IL TREDICESIMO TESTIMONE Il Cenacolo di Leonardo Simone

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IL TREDICESIMO TESTIMONE Il Cenacolo di Leonardo Simone
IL TREDICESIMO TESTIMONE
Il Cenacolo di Leonardo
Simone Ferrari
Introduzione
Le conoscenze odierne su Leonardo e in particolare sul Cenacolo offrono allo spettatore più curioso
e raffinato occasioni di incontro, lettura, approfondimento, impensabili fino a poco tempo fa. Gli
oltre vent’anni fruttuosamente dedicati al restauro del capolavoro nel refettorio di S. Maria delle
Grazie a Milano (1977-99), consentono una visione dell’opera più vicina all’originale rispetto a
quanto possibile in precedenza1. I progressi degli studi in relazione alla produzione teorica del
maestro, alle sue idee artistiche, la possibilità di ammirare adesso e per diversi anni, nel corso di
diverse esposizioni in due sedi distinte, i fogli del celebre Codice Atlantico, garantiscono quella
necessaria integrazione fra diverse sfere di interesse e branche del sapere, imprescindibile punto di
partenza per approciare la sua produzione pittorica (quantitativamente assai limitata, specialmente
se paragonata al numero impressionante di manoscritti autografi che ancora si conservano)2.
Il panorama è però nel complesso tutt’altro che rassicurante. L’afflusso impressionante di visitatori
al Cenacolo durante gli ultimi anni (un dato di per sé ovviamente positivo) va di pari passo con la
diffusione sciagurata ed incontrollabile, per giunta quasi giornaliera, di aneddoti, dicerie, presunte
(ovviamente sensazionali) scoperte, che allontanano il pubblico da una corretta comprensione
dell’artista e del suo dipinto più celebre (su muro, non certo un affresco come tristemente capita
ancora di leggere). Ci troviamo quindi di fronte ad un primo eclatante paradosso: Leonardo è in
assoluto l’artista di cui maggiormente si parla nelle più disparate ed improprie circostanze (come è
ovvio, spesso a sproposito) ma che in realtà si conosce di meno. C’è una sorta di sentimento diffuso
in base al quale si pensa comunque (proprio a causa del bombardamento quotidiano cui siamo
sottoposti) di conoscere bene Leonardo, magari per avere visto qualche dipinto (nel migliore dei
casi). In realtà, la sua produzione pittorica (numericamente ristretta a una ventina di opere) è il
momento terminale, altissimo e sublime, di un processo mentale e di un approccio scientifico ed
epistemologico che è necessario conoscere e comprendere, almeno in estrema sintesi. Altrimenti,
l’unicità di pensiero ed azione (artistica) del maestro, l’inestricabile sinergia di riflessione e
produzione, sua cifra unica e distintiva, rischia di essere rimossa, banalizzata o vilipesa.
La diffusione disordinata di notizie senza alcun filtro produce nel suo caso gravi fraintendimenti.
Una delle definizioni corrive ma più di moda, che spesso si sente ripetere acriticamente a proposito
dell’autore del Cenacolo, è quella di “genio”; se con il termine si intende la capacità di Leonardo di
modificare profondamente la tradizione, inventando nuove convenzioni di rappresentazione (in
relazione alla luce, al colore e a concetti normativi quali disegno e prospettiva) e più moderne
modalità espressive ed emozionali, la definizione è quanto mai calzante3. Al contrario però, al
sostantivo si associano spesso parole come “incontrastato”, “libero”, “fuori dagli schemi”, e altri
definizioni simili, che alludono ad una presunta e precocissima capacità di emancipazione
dell’artista, talmente innovativo rispetto alla sua epoca da potere creare qualunque cosa in piena
autonomia, senza dovere rispondere del proprio operato ai committenti. Nulla di più lontano dal
vero. Come molti altri colleghi della sua epoca, Leonardo è valutato (specialmente a Milano) alla
stregua di un semplice artigiano, senza che gli venga riconosciuta quella caratura intellettuale tipica
delle “arti liberali” (preclusa quindi alla pittura) da lui tanto agognata e che certo avrebbe ben
meritato4. Il mito dell’artista “indipendente”, refrattario alle regole, dedito soltanto al proprio lavoro
senza alcun tipo di vincolo, è una costruzione successiva, una forzatura “romantica” che ancora
adesso può risultare avvincente ma che ci allontana dalla realtà dell’epoca.
Da questo errato presupposto deriva un’ulteriore conseguenza: talora si pensa al Cenacolo come
all’opera in cui l’artista si è quasi fatto beffe dei committenti e dei contemporanei, riuscendo quasi a
“gabbarli”, introducendo interpretazioni scabrose e sconvenienti sotto mentite spoglie, che soltanto
noi adesso saremmo in grado di decriptare e di intendere correttamente. Questo approccio è
doppiamente scorretto. Innanzitutto fraintende totalmente la realtà dell’epoca: nessun artista del
Rinascimento si sarebbe permesso un atteggiamento di questo genere e ad ogni modo, nel caso di
una (anche solo presunta od opinabile) mancata osservanza delle tradizioni iconografiche, i
committenti potevano facilmente rifiutare un opera d’arte considerata poco gradita o non decorosa.
In secondo luogo, questo atteggiamento rivela una grave presunzione tipica della nostra epoca, una
sorta di hubrys moderna, quasi noi fossimo gli scopritori di segreti misteri o i depositari delle
corrette interpretazioni . Provare delle emozioni o delle sensazioni forti di fronte ad un dipinto è
cosa mirabile; proiettare un sentimento soggettivo verso un passato lontano e elevarlo a strumento
per una possibile ermeneutica (non supportato da una rigorosa competenza iconografica ed
iconologia) è invece riprovevole5.
La tempesta interpretativa che si è scatenata sul Cenacolo e su altre opere come la Gioconda (non a
caso le più celebri e meglio sfruttabili a livello commerciale), ha contribuito ad acuire un fenomeno
riscontrabile già da diversi secoli: un complesso processo di stratificazione culturale, una
progressiva patina ermeneutica ed encomiastica fatta di elogi smisurati, leggende metropolitane,
meravigliose pagine di poesia e prosa (si pensi all’Ottocento romantico o al Decadentismo) che
hanno però distorto e “sforzato” l’immagine, al di là dei suoi significati e delle reali intenzioni
dell’artista6. Nessuna immagine ovviamente è “neutra”, ma è una sorta di organismo vivente nel
corso dei secoli, con una propria storia, interpretativa e conservativa. Ma il Cenacolo, è ancora
meno “neutro” delle altre opere d’arte, non soltanto per la sua sconfinata e prevedibile fortuna
storiografica e letteraria, ma per le drammatiche vicende conservative che ha patito nel corso dei
secoli, per i discutibili restauri del passato e per gli “aggiustamenti” che certo non l’hanno
migliorata7. Proprio per questo, in conclusione, richiede un grosso sforzo da parte del pubblico, va
sottoposto ad un necessario processo di contestualizzazione storica per cercare di apprezzarlo con la
mente il più possibile sgombra da pregiudizi, immagini mitiche, forzature storiografiche e letterarie.
Solo così, mi pare, sarà possibile accostarsi con la dovuta discrezione ed umiltà e comprenderlo
nella sua complessità riposta (proprio il contrario di certe letture scandalistiche mortificanti), non
inquadrabile secondo gli schemi e i paradigmi tradizionali, come summa del pensiero e della
produzione pittorica del maestro, manifesto programmatico e sintesi suprema delle sue conoscenze
e della strenua indagine scientifica dei fenomeni (quella sintesi che, per l’estensione e la
ramificazione degli interessi, non è possibile riscontrare nei suoi manoscritti)8.
I possibili committenti e la datazione dell’opera
Sembra quasi incredibile, a fronte della quantità industriale di “notizie” relative all’opera, ma allo
stato attuale delle conoscenze permangono diverse, non secondarie incertezze sugli inizi dei lavori.
Innanzitutto non possediamo il contratto che regola i rapporti fra il maestro e il committente,
fondamentale strumento prescrittivo nei confronti dell’artista, in molti casi ricco di informazioni
(utilissime per noi) relative all’opera, alla sua cronologia, ai tempi di consegna, alle modalità di
pagamento ed altro. Questa lacuna ci impedisce di stabilire in termini perentori il nome del
committente, anche se naturalmente non mancano ipotesi verosimili. Non siamo certi della sua
presenza fin dall’inizio, ma il coinvolgimento di Ludovico il Moro è comunque garantito da diversi
punti di vista. Morto Gian Galeazzo Maria Sforza (1494), primo probabile committente, Ludovico il
Moro vuole essere ricordato come il promotore dell’opera9; nella lunetta centrale, sopra il dipinto,
l’iscrizione lo onora insieme alla moglie Beatrice d’Este, insieme al titolo di “DUX” ricevuto grazie
al suggello imperiale nel 1494. L’esibito programma di celebrazione familiare è completato dagli
stemmi, dai biscioni sforzeschi, dall’epigrafe nella lunetta di sinistra che ricorda il primogenito
Massimiliano Sforza, mentre quella di destra celebra il secondogenito Francesco in qualità di Duca
di Bari (anche se il suo nome non compare). La presenza della famiglia sforzesca, sotto forma di
ritratti, è ribadita ai lati estremi dell’affresco dipinto da Montorfano di fronte al Cenacolo nel 1495.
L’interesse del duca per il procedere, in realtà assai lento, dei lavori è confermato da una sua lettera
indirizzata nel 1497 a Marchesino Stanga, in cui espressamente si chiede di sollecitare l’artista a
finire il dipinto nel Refettorio10. Il coinvolgimento diretto del Moro è confermato da più voci
autorevoli, dal matematico Luca Pacioli (1498) al Bandello e non è certo un caso isolato, ma fa
parte di una variegata politica culturale-propagandistica, del programma celebrativo promosso dal
Moro specialmente nell’ultimo decennio del Quattrocento, che comprende fra le altre cose
l’intervento di Bramante nella tribuna di S. Maria delle Grazie (contemporaneo all’esecuzione del
Cenacolo), la Piazza di Vigevano, la commissione della Pala Sforzesca (oggi alla Pinacoteca di
Brera)11.
Oltre all’indubbia partecipazione del Moro al progetto, non va ovviamente trascurata la presenza dei
Domenicani di Santa Maria delle Grazie (chiesa inizialmente dedicata proprio al santo fondatore
dell’ordine) che, anche se non vengono mai menzionati come i possibili committenti del dipinto,
sono certamente interessati da vicino alla campagna decorativa del loro refettorio12; risulta pertanto
assai probabile un loro coinvolgimento in parallelo a Ludovico il Moro e proprio la compresenza di
due committenze così autorevoli può avere agito come propulsivo ulteriore. L’interferenza fra i
“due soli” (il potere politico e religioso) avrà una conferma con l’avvento del priore Vincenzo
Bandello nel 1495, al quale il Moro si avvicinerà particolarmente a seguito della morte della moglie
Beatrice d’Este (1497).
A questo punto, sembra trascurabile la possibilità che la commissione originaria risalga ad un
personaggio esterno del tipo del conte Gasparo Vimercati, munifico benefattore grazie alla cui
donazione sorse la chiesa di Santa Maria delle Grazie nel 146313.
Per quanto riguarda la cronologia dell’opera, su cui molto si è dibattuto, la proposta più plausibile
fissa l’esecuzione (a partire dai disegni preparatori, di cui si parlerà più avanti) dal 1490 fino al
1497 compreso, in cui Leonardo è ancora documentato al lavoro; un notevole lasso di tempo, che
tiene però conto del procedimento tecnico dell’artista, dei suoi interessi molteplici e paralleli in
questi anni e dei mutamenti fra le prime idee, i disegni e l’opera finale14.
Le novità più dirompenti
La portata innovativa e rivoluzionaria unanimemente riscontrata nel Cenacolo non è uno dei tanti
miti stravaganti sorti intorno al maestro toscano, ma la risultanza di un adeguato riconoscimento
critico dell’opera. Tale giudizio si sostanzia, come avviene abitualmente a livello storiografico,
sulla base di un confronto fra le soluzioni proposte nell’opera e la tradizione figurativa precedente:
Leonardo imprime una svolta dirompente, uno scarto consapevolmente perseguito con tenacia
rispetto al passato15. Iconografia, composizione, tecnica pittorica, disegno, luce, colore, prospettiva,
coinvolgimento del pubblico secondo il principio dello spettatore oculare…; i singoli aspetti
vengono rivisitati e ridiscussi da Leonardo16 (che, come è noto, viene da una tradizione normativa e
codificata come quella fiorentina) e compongono nel loro insieme un mosaico senza precedenti, che
esemplifica il rapporto fra arte e scienza da lui perseguito, la sua idea di mimesis integrale della
natura, l’integrazione fra teoria e pratica, analisi scientifica dei fenomeni e loro rappresentazione
pittorica. Con una parola: una universalità mai raggiunta (neppure in seguito da altri) in modo così
esaustivo.
L’iconografia Tradizionale
Dovendo dipingere su una parete del refettorio dei padri domenicani, il tema era necessariamente
quello dell’ultima cena di Cristo fra i 12 apostoli, episodio con il quale inizia la Passione dei Cristo.
La tradizione aveva raffigurato la scena in diversi modi: identificando il
momento
dell’allontanamento di Giuda dal Convivio, ricordato nel Vangelo di Giovanni (XIII, 27-30);
oppure, rimarcando il traditore in varie forme, attraverso il colorito più scuro della carnagione o
dell’aureola o, come ampiamente diffuso a Firenze nel Quattrocento (Andrea del Castagno,
Ghirlandaio, Perugino), isolandolo rispetto ai 12 (Cristo e gli altri 11 apostoli)17. In quest’ultimo
modo, Giuda si trova sempre più vicino allo spazio dello spettatore, che può identificare senza
errore e con immediatezza il reprobo, il responsabile del vergognoso tradimento; questa soluzione,
così apprezzata e diffusa, garantisce il valore didattico e didascalico dell’immagine pittorica, che
all’epoca era ancora principalmente giudicata come una Biblia Pauperum (Bibbia per gli
analfabeti)18, per la sua funzione educativa nei confronti del pubblico.
Un disegno conservato a Windsor (inv. nr. 12542) documenta attraverso quattro studi le prime idee
di Leonardo per l’Ultima Cena: nello studio più consistente, in alto a sinistra, Giuda siede isolato al
di qua della tavola ed è identificato come colui che riceve, secondo le Scritture, il boccone da Cristo
(l’episodio parrebbe rappresentare Giuda con il braccio proteso verso il piatto di Cristo); il secondo
studio, sulla destra, è limitato ad un numero ristretto di figure, fra le quali spiccano Giovanni riverso
sulla tavola e Cristo che offre il boccone al traditore, raffigurato in piedi. Il foglio è databile assai
precocemente, intorno al 1490 (in modo da fissare a questo momento l’inizio degli studi dell’artista
per il Cenacolo): tale cronologia rende giustificabile lo scarto fra le scelte iconografiche qui
proposte, in linea con la tradizione e la svolta impressa con il dipinto vero e proprio19.
La svolta compositiva
La capacità di comporre una Historia, ossia di organizzare il soggetto di un dipinto secondo una
pausata ed armoniosa logica distributiva in funzione di una narrazione didatticamente efficace, è
elemento chiave nel Rinascimento, richiesto dai committenti e riconosciuto nella trattatistica
dell’epoca.
La “composizione” si impone nella teoria artistica grazie a Leon Battista Alberti (De Pictura,
1435), come elemento indispensabile per una adeguata narrazione di un episodio. Una
composizione “corretta” armonizza i vari elementi di un dipinto e si basa sul rispetto di determinate
regole: rapporti proporzionali fra le parti; concinnitas (armonia) dei colori, appropriati ai momenti
previsti dal racconto; movimenti ed emozioni adeguati all’età, all’azione, al livello sociale dei
personaggi. Il rispetto di queste e di altre norme garantisce il decoro e la convenienza dell’episodio
rappresentato. Nel complesso quindi, si richiede un difficile equilibrio fra varietà e composizione: la
prima offre linfa vitale al racconto, mentre la seconda disciplina la varietà e garantisce il decoro
narrativo dell’insieme20.
I precetti albertiani sono noti ed accettati da Leonardo21, che però non si limita certo a riproporli in
modo pedissequo ma li ridiscute in profondità. Rispetto al grande predecessore, propone
l’imitazione della natura (la mimesis) come principio assoluto ed inderogabile, senza scelte
gerarchiche o selettive, all’interno di un metodo empirico e sperimentale senza precedenti che va
nella direzione di Caravaggio e Galileo22. Il naturalismo integrale (e talora spregiudicato) del
maestro postula una richiesta di varietà quasi infinita, che coinvolge qualsiasi ordine e genere di
fenomeni23. Ed è proprio sulla base di tali presupposti che nascono le profonde novità compositive
del Cenacolo. Tradizionalmente, come si è detto, l’organizzazione di un Cenacolo è regolata e
subordinata al momento dell’identificazione del reprobo, che di fatto diventa il momento
culminante della scena. La scelta di Leonardo è invece più complessa ed originale: non rappresenta
infatti l’episodio consueto, ma quello immediatamente precedente in cui Cristo dice: “in verità, in
verità vi dico, uno di voi mi tradirà”. Alle terribili parole appena pronunciate, nunzie dell’ignobile
tradimento, segue lo scatenamento delle più diverse emozioni; ed è proprio per caratterizzare al
meglio le singole reazioni individuali, che Leonardo compone (ossia organizza) la narrazione a
gruppi di 3 apostoli, senza mai ripetere un gesto o un’espressione. Questa nuova impaginazione
consente di superare un’impostazione rigidamente simmetrica o frontale, a favore di una soluzione a
gruppi ben più dinamica e tumultuosa. I risultati conseguiti sono molteplici e variamente
direzionati24.
Fulcro simbolico e compositivo della scena è naturalmente Cristo, da cui provengono le inquietanti
e profetiche parole che si irradiano sugli apostoli, quasi onde sonore in grado di scandire gesti, moti
mentali, movimenti; la scena, nel suo insieme, è ampiamente diversificata e risente degli studi
condotti dall’artista in campo ottico, acustico e dinamico, sulla propagazione delle onde sonore e
dei raggi visivi e sulle reciproche corrispondenze fra questi ultimi due ambiti25. Nell’immagine
convivono quindi due diverse polarità, armonicamente fuse: un punto di vista centripeto, più
tradizionale, chiaramente posto all’altezza della testa di Cristo, in osservanza (apparente, come
vedremo) alle norme prospettiche e al decoro richiesto dal tema religioso; allo stesso tempo,
troviamo un moto centrifugo, un tumulto ondulatorio che si propaga attraverso gli apostoli, da
destra a sinistra, come un’onda che accompagna le emozioni individuali.
L’impostazione prospettica
A partire dalla sua scoperta ad opera di Brunelleschi (circa 1415), la prospettiva si impone nel
Quattrocento come strumento principe della rappresentazione pittorica. L’applicazione corretta e
ortodossa delle sue regole consente di ottenere molteplici vantaggi rispetto al passato: la plausibilità
spaziale; il rilievo delle figure (se adeguatamente modellate dal chiaroscuro); la verosimiglianza
dell’episodio narrato. L’utilizzo della prospettiva è quindi il corollario necessario ed indispensabile
della composizione di una Historia. Agli artisti del Rinascimento viene riconosciuta in più occasioni
la qualità di “prospectivo”, “gran prospettico”, oppure troviamo elogi come “maxime intese bene
prospectiva”, a conferma del significato assunto dal termine26.
La posizione di Leonardo, ovviamente, non è la semplice ripetizione di assunti consolidati, ma assai
complessa e sfumata (e con chiare ripercussioni, come vedremo, nel Cenacolo). Nella sua visione,
la conoscenza della prospettiva (così come degli altri principi della rappresentazione) è il
presupposto per una imitazione scientifica della natura, degna di un artista-intellettuale e non di un
semplice artigiano27. E proprio grazie alla scienza prospettica (che si basa sulla matematica,
disciplina da tempo reputata come arte liberale), il pittore potrà ambire al giusto riconoscimento
sociale, al pari di umanisti, letterati, poeti e al superamento del pervicace pregiudizio medievale
che relegava la pittura fra le arti “meccaniche”28. Nello stesso tempo, però, si rende conto che la
nostra percezione retinica non corrisponde esattamente alla visione proposta dalla prospettiva, ma
permangono delle discrepanze (oltre alle cosiddette aberrazioni marginali); la pittura, osserva
giustamente Leonardo, presenta dei limiti intrinseci rispetto alla rappresentazione della realtà e la
prospettiva tradizionale (o lineare) non soddisfa pienamente la sua ricerca di mimesis; per ovviare
in parte- per quanto possibile- a questi inconvenienti, Leonardo ricerca soluzioni più articolate e
naturalistiche e sviluppa non a caso nei suoi scritti esempi di prospettiva dei colori, dei perdimenti e
a volo d’uccello29.
L’impostazione prospettica del Cenacolo è assai complessa, ambigua e scenografica30.
Apparentemente, guardando il dipinto da una debita distanza (per apprezzare gli effetti di tono è
invece opportuna una visione ravvicinata), sembra di trovarci di fronte ad un vano rettangolare
inquadrato da una prospettiva ortodossa, costruita con le linee ortogonali delle pareti laterali che
convergono in un punto di fuga situato all’altezza della testa di Cristo. In realtà questo punto di
fuga, che giace sulla linea di orizzonte, si trova a circa quattro metri di altezza rispetto al piano del
pavimento e non può quindi corrispondere (come invece dovrebbe secondo i dettami prospettici) al
nostro punto di vista (a meno di usare una scala…). Tale anomalia, o discrepanza, fa si che il
presunto invaso rettangolare sia piuttosto percepibile come un’immagine trapezoidale. Il problema
prospettico del Cenacolo non è comunque un tema a se stante o autosufficiente, ma funzione di altri
aspetti ugualmente (se non più) importanti, come il rapporto fra luci e ombre, il movimento, le
espressioni, i moti dell’anima. La spazialità non è cifra autoreferenziale, un fine inderogabile ma un
campo aperto alla sperimentazione e alla verifica empirica. Il Cenacolo non può quindi essere visto
con gli occhi di Piero della Francesca, quasi la sublime dimostrazione di un teorema matematico, o
un riflesso delle idee del pur stimato Luca Pacioli31; al contrario, le discrepanze di cui si diceva e le
volute ambiguità che ostacolano una nostra precisa ricostruzione dello schema complessivo, creano
una sorta di accelerazione prospettica, che converge verso il centro del dipinto e polarizza la nostra
attenzione sul Cristo, fulcro prospettico, simbolico, spirituale e compositivo.
Per intendere alcune “alternative” dell’opera non si dovrà trascurare la strettissima relazione
professionale (cementata grazie ad una lunga e coeva attività alla corte del Moro) con Bramante,
portatore di un accentuato sperimentalismo prospettico ed inquadrabile, nel periodo milanese,
all’interno di dinamiche stilistiche “padane”, “eversive” rispetto alle scelte (anche prospettiche)
codificate dalla tradizione fiorentina32. L’illusionismo dell’architettura dipinta nella parete del
refettorio è stata collegata ad esempio all’ardito trompe-l’oeil di Santa Maria presso San Satiro,
esplosivo esordio milanese di Bramante; allo stesso modo, la nuova scala monumentale adottata
nelle figure degli apostoli, risente dell’ideale bramantesco proposto nei noti affreschi con gli
Uomini d’arme di casa Visconti, ora a Brera, già in opera intorno al 1486-8733.
Il problema prospettico è legato non soltanto alla rappresentazione dello spazio in profondità, ma
anche alla distribuzione e alla articolazione plastica delle figure. Rispetto alla tradizione, incentrata
su una prospettiva albertiana unita ad una collocazione più paratattica degli apostoli, Leonardo
“corregge” anche questo secondo aspetto, creando una sintassi più complessa ed articolata. Grazie
al paziente e meticoloso lavoro di restauro, è ora possibile distinguere la diversa tridimensionalità
delle forme, ora più esibita ora più sottile; il recupero di valori cromatici più vicini all’originale
acuisce questo aspetto ed esalta il sapiente gioco di sporgenze e rientranze degli apostoli, la varietà
delle pose, dei gesti, dei volti. La più statica e tradizionale composizione si scioglie ora con
Leonardo in una più fluida e continua onda che si propaga assecondando i diversi affetti dei
protagonisti.
Consapevole dell’incolmabile distanza fra realtà/ rappresentazione pittorica (ma strenuamente
impegnato a colmare questo iato) e fra immagine prospettica/percezione retinica, Leonardo studia
dei sistemi correttivi in grado di mitigare tali effetti e di avvicinare lo spettatore all’immagine34. I
molteplici studi sulle luci e sulle ombre gli consentono di organizzare una scena molto complessa
ed articolata dal punto di vista luminoso, in grado di dinamizzare l’episodio e conferire varietà alle
espressioni dei personaggi, ai gesti, alla loro collocazione nello spazio.
Invece di utilizzare un'unica fonte luminosa, Leonardo sfrutta molteplici sorgenti35. Tre differenti
fasci di luce provengono dal fondo e attraverso le aperture irradiano la scena. Un’ulteriore tipo
proviene dal Refettorio stesso e si proietta quasi ortogonale al piano della parete dipinta. Infine, un
fascio intenso penetra da sinistra per simulare e continuare l’effetto della luce naturale che entrava
dalle finestre laterali nella stanza. Quest’ultimo accorgimento conferisce continuità illusoria alla
scena rappresentata e si mescola con un’infinita serie di variazioni sul tema, che producono zone
d’ombra, altre più illuminate, persino effetti di ombra illuminata. Specialmente da un punto di vista
non ravvicinato, la composizione risulta quindi organizzata grazie ad una complessa regia luminosa
che integra e stempera la distanza che la visione prospettica tradizionale può creare in nome di una
perfezione matematica astratta. Leonardo, al contrario, cercare di superare la barriera fra spazio
reale e virtuale per coinvolgere emotivamente lo spettatore come mai era avvenuto prima. Lo
spettatore risulta pienamente partecipe, secondo il principio dello spettatore oculare e della
proprietà transitiva fra occhio/opera d’arte ed ha l’impressione che la scena capitale si stia
dispiegando proprio in quel momento sotto i suoi occhi36. Grazie alla sequenza aperta degli
elementi, al gioco mutevole di sguardi, gesti, emozioni, alla luminosità e alla prospettiva cangiante,
Leonardo pone il pubblico quasi nella condizione di assistere ad una rappresentazione teatrale; il
Cenacolo, in conclusione, diviene opera non da contemplare intellettualmente da lontano ma spazio
vissuto ed empatico (secondo un modello percettivo non a caso proposto in contemporanea da
Bramante nella tribuna di S. Maria delle Grazie), espressione diretta e partecipata di un momento
drammatico, da rivivere, che si compie di fronte a noi, si perpetua, ma si rinnova ogni volta. Proprio
come a teatro.
Il Cenacolo manifesto di una poetica: l’arte come mimesis
Il Cenacolo è un vero e proprio manifesto programmatico, la summa delle ricerche artistiche,
scientifiche e tecniche portate avanti da Leonardo nel corso degli anni. L’elogio incondizionato
verso la natura, i suoi fenomeni così diversi e i processi creativi la rendono ai suoi occhi l’unica
possibile fonte di ispirazione, l’indiscutibile maestra per un artista che non voglia accontentarsi di
essere soltanto un suo “nipote”. Il metodo empirico e sperimentale di Leonardo si applica in
maniera estensiva, senza improprie scelte selettive o gerarchiche; l’insopprimibile ricerca di varietà
in pittura (dettata dalla gamma dei fenomeni naturali) è l’unica scelta possibile per ottenere l’ambita
qualifica di “universale” e distinguersi dagli artisti “selettivi” (Botticelli, che poco si curava del
paesaggio nei suoi quadri) o ripetitivi (Perugino, le cui figure paiono tutte “fratelle”)37.
Oltre alla grande varietà38 compositiva, prospettica, luminosa (di cui si è detto), tonale (di cui si
parla nel prossimo paragrafo), l’aspetto più sorprendente risiede nella distinzione gestuale fra gli
apostoli: tale innovazione, che forse si rischia di leggere con sufficienza o come scontata, è in realtà
di straordinaria importanza in un’epoca in cui il repertorio gestuale, come ci ricorda Gombrich, era
assai povero e limitato39. Questo risultato, davvero prodigioso per il Quattrocento, è frutto dei
molteplici studi e disegni condotti da Leonardo sul naturale e risponde a una precisa esigenza
dell’artista, più volte ribadita anche nei suoi scritti: riuscire a distinguere da un punto di vista
psicologico i personaggi rappresentati, visualizzando emozioni, temperamenti e stati d’animo (i
“moti dell’animo” con le parole dell’artista); il collegamento fra gestualità-emozioni trova un
suggello paradigmatico laddove Leonardo consiglia ai colleghi di esercitarsi studiando i muti che,
pur privi della parola, esprimono i propri sentimenti attraverso i gesti40.
Gli effetti di questa acribia sono spettacolari: nel Cenacolo non ci sono gesti, posture, espressioni,
movimenti, che vengano pigramente ripetuti. Le parole drammatiche di Cristo si riflettono sugli
Apostoli ma con tempi, modalità ed incidenza diversi: generano stupore, incredulità, movimenti
bruschi, gesti più pacati, atteggiamenti riflessivi. Alcuni hanno quasi l’atteggiamento ponderato di
filosofi antichi; al contrario, l’incolpevole Filippo (il terzo guardando Cristo, alla nostra destra, in
posizione speculare rispetto a Giuda, a sinistra), talmente turbato da doversi quasi scusare, si indica
con la mano destra, emotivamente colpito, come per dire: “Signore, non sono io il colpevole”. Un
gesto straordinario, dalla forte suggestione ed empatia, che avrà grandissima fortuna in seguito al
punto di diventare emblematico, mentre sarà già ripreso in pittura a Venezia alla fine del
Quattrocento41.
Il paziente e meritorio restauro del Cenacolo ha prodotto esiti clamorosi, alcuni neppure
immaginabili fino ad allora: fra questi, la rappresentazione della tovaglia e di quanto giace sopra di
essa. Un intreccio straordinario di motivi naturalistici e simbolici. Gli oggetti sono descritti con una
attenzione lenticolare: fra i vari dettagli della tavola apparecchiata, scorgiamo un’ampolla
trasparente con l’acqua, piatti con riflessi, una fettina d’arancia, bicchieri, ricami azzurri sulla
tovaglia che, all’estremità destra, presenta un nodo. Un naturalismo analitico che collega Leonardo,
ancora una volta, ai pittori fiamminghi e di cui serbano traccia gli straordinari fiori visibili
nell’arazzo sullo sfondo della parete42. I brani di natura morta sulla tavola, se vantano precedenti
nell’arte antica, precorrono i successivi sviluppi di Caravaggio (vero inventore del tema) e del
Seicento olandese. Ma già nel Cinquecento, l’attenzione per questo motivo (non ancora divenuto un
genere artistico autonomo) inizia a diffondersi nell’Europa del Nord (Jacopo de’ Barbari, Natura
morta, Monaco, Alte Pinakothek, 1504 e anche con Dürer e Cranach)43.
Oltre agli inserti presenti sulla tovaglia, nel Cenacolo compaiono molteplici elementi che assolvono
a diverse funzioni e accrescono il naturalismo dell’opera. Sulle pareti laterali della scena ed in
mutate condizioni luminose campeggiano quattro arazzi a sinistra (in ombra) ed altrettanti a destra
(ben illuminati); le ghirlande vegetali che racchiudono gli stemmi nelle lunette ricordano il motivo
naturalistico (con foglie e frutti) abitualmente usato per addobbare la città in occasione di particolari
cerimonie (matrimoni di stato). Le lunette, inoltre, mimetizzano e stemperano il trapasso dal
virtuale soffitto a cassettoni (dipinto) allo spazio reale del refettorio.
Sullo sfondo della scena campeggia, pur deteriorato, un luminoso paesaggio popolato da montagne .
Il suo significato è emblematicamente sancito dalla collocazione all’altezza della testa di Cristo, ove
giace la linea di orizzonte e il punto di vista del dipinto. E’ il risultato di molteplici studi condotti
per anni sul naturale e la logica maturazione di un interesse già manifestato in gioventù, a partire
dal Battesimo di Cristo eseguito con Verrocchio (che presenta uno splendido paesaggio di
Leonardo)44. L’interesse per questo tema allontana ancora una volta l’artista da quella tradizione
fiorentina, di cui pure si era nutrito in gioventù, tesa all’esaltazione del disegno, dei volumi, della
prospettiva e propensa a trascurare elementi “accessori” come il paesaggio45.
Il naturalismo dirompente del dipinto non preclude naturalmente la presenza di forti elementi
simbolici46; al contrario, acuisce il significato religioso dell’insieme, lo rende più diretto ed
emotivamente coinvolgente. Da un punto di vista religioso il Cenacolo di Leonardo, incentrato
sull’annuncio del tradimento di Giuda, dà inizio alla sequenza della Passione di Cristo che si
conclude proprio con la Crocifissione di Montorfano, affrescata dirimpetto. Frutti e piante illustrati
nelle ghirlande e nelle lunette accompagnano simbolicamente questo percorso di Redenzione (e
soltanto all’interno di tale itinerario spirituale si spiega la figura di un traditore): le pere alludono al
legno dell’albero della croce, la palma al martirio, le mele alla Salvezza.
Il pane ed il vino, alimento materiale per i confratelli che all’epoca desinavano nel refettorio,
rappresentano per loro anche un nutrimento spirituale; inoltre, l’indicazione del pane e del vino da
parte di Cristo, secondo tradizione, allude al proprio Sacrificio per la nostra Salvezza e Redenzione
dei peccati; questa simbologia è confermata anche dalla posizione di Cristo, le cui braccia aperte
(con le mani sulla tavola) alludono (e preludono) alla Crocifissione (visualizzata da Montorfano
sulla parete di fronte). Sulla tavola o a ridosso di essa giacciono ulteriori elementi fortemente
caratterizzanti dal punto di vista simbolico. Giuda, lievemente teso a sinistra, vi appoggia il proprio
braccio destro, la cui mano stringe l’ignobile sacchetto delle monete, chiara allusione all’ infame
tradimento.
Nel Cenacolo, infine, il tema sacro è intrecciato ad elementi profani e dinastici, che segnano il
passaggio di consegne da Gian Galeazzo a Ludovico il Moro (come si ricordava all’inizio), con
precise allusioni alla moglie e ai figli.
La tecnica innovativa
Leonardo, consapevolmente, non realizza il Cenacolo seguendo la tradizione toscana dell’affresco.
La tecnica del “buon fresco” prevede infatti una divisione della superficie in “giornate” e
un’esecuzione rapidissima sull’intonaco bagnato. Leonardo, al contrario, vuole ottenere effetti
pittorici più sfumati e atmosferici e necessita quindi di un procedimento simile alla pittura su
cavalletto, a secco, che gli consenta di procedere lentamente e soprattutto di apportare modifiche in
corso d’opera (impossibili con l’affresco).
Per garantire la durata e la conservazione (rivelatasi effimera) del dipinto su muro, Leonardo
prepara la superficie con due diversi strati di materiale: una base di carbonato di calcio, per rendere
omogenea una parete altrimenti difforme; un secondo livello più fine e levigato, di bianco di
piombo, su cui fare aderire il pigmento (ossia il colore a tempera). Successivi ritocchi ad olio e
ulteriori rifiniture in oro conferiscono alla superficie un tono vibrante ed acceso, ma ne precludono
la conservazione47.
Grazie ad un procedimento tecnico raffinato, Leonardo utilizza pennellate minute e sottili che
risolvono con precisione lenticolare i dettagli all’apparenza più insignificanti. Questa poetica
naturalistica “alla fiamminga” porta ad analizzare con lo stesso impegno le diverse parti da
dipingere, senza alcuna selezione; nella visione di Leonardo, la definizione anatomica o la resa
prospettica non devono portare a trascurare altri aspetti tradizionalmente negletti.
Questa impostazione “universale” (volta a rappresentare tutti i fenomeni naturali)48 si basa su un
espediente straordinario per una pittura murale: l’utilizzo delle velature, di strati di colore
sovrapposti per ottenere un effetto atmosferico “sfumato”; lo sfumato, in questo caso, non è quindi
una possibile evoluzione del chiaroscuro di Massaccio, ma si identifica con un modulato trapasso di
colori simile al tonalismo di quei pittori veneziani che non a caso (Giorgione, Doppio Ritratto,
Roma, Palazzo Venezia) saranno suoi debitori.
Il significato del disegno
All’interno della tradizione fiorentina il disegno occupa un ruolo prioritario, normativo. La visione
toscana trova in Michelangelo (Tondo Doni, Uffizi) il suo esponente principe. La definizione
lineare delle forme porta ad esaltare volumi scultorei, contorni netti ed incisivi torniscono figure
dall’anatomia perfetta. In tale ottica il disegno svolge una funzione quasi metafisica, a priori,
garantisce l’idealizzazione delle scene rappresentate in ossequio allo stile classico e al
neoplatonismo imperante a Firenze49.
La posizione di Leonardo è molto diversa. L’artista contesta il linearismo insistito e la nettezza dei
contorni. Il disegno, nella sua visione, non circoscrive la natura ma la indaga in chiave atmosferica.
La svalutazione della linea porta invece ed elogiare la macchia e l’abbozzo50. Una prima, eloquente
prova in questo senso, si trova nell’Adorazione dei Magi degli Uffizi, fondamentale precedente per
il dipinto milanese.
Anche Il Cenacolo riflette questo nuovo orientamento: alcuni disegni degli apostoli, a matita rossa,
creano un effetto vivido e palpitante, coinvolgente emotivamente, lontano dai contorni “spediti” di
Michelangelo o Botticelli51. Il disegno genera quindi le emozioni. Non vi sono invece, non a caso,
prove dell’uso di un cartone complessivo, a conferma di una tecnica spregiudicata ed
anticonvenzionale. Probabilmente Leonardo realizza un disegno preparatorio direttamente sul muro
(ve ne sono tracce, rinvenute a seguito del più recente restauro), per avere la possibilità di effettuare
modifiche fino all’ultimo52.
1
Il principale testo di riferimento, realizzato a conclusione del restauro dell’opera, è P. Brambilla Barcilon, P.C.
Marani, Leonardo. L’Ultima Cena, Electa, Milano 1999. Naturalmente, le mutate (decisamente in meglio, con alcuni
dettagli incredibili) condizioni di leggibilità non devono portare a fraintendere lo stato del dipinto e a sperare di trovarsi
di fronte ora “al vero Leonardo”, dopo oltre 500 anni. E’ quest’ultimo un pensiero che non tiene conto, fra le altre cose,
del patimento sofferto dall’opera nel corso dei secoli e delle difficoltà affrontate per preservarlo al meglio. Il restauro,
come è nelle migliori tradizioni, mira alla tutela e alla conservazione e non deve rispondere alle attese di chi vorrebbe
leggere un’opera sulla base di un attitudine percettiva influenzata da immagini e strumenti (la televisione, la fotografia,
il computer) che all’epoca non esistevano e possono creare delle attese comprensibili, ma lontane da materiali,
tecniche, procedimenti esecutivi così lontani nel tempo (che vengono invece esaminati con il dovuto rispetto e le cautele
del caso).
2
La possibilità di ammirare da vicino, dal 2009 al 2015, durante 24 mostre nella Sagrestia di S. Maria delle Grazie e
alla Biblioteca Ambrosiana a Milano, gli oltre 1000 fogli del Codice Atlantico di Leonardo, mi pare un’occasione
imperdibile. Si veda, a questo proposito, l’intervento del coordinatore scientifico delle mostre in occasione della prima
esposizione: P. C. Marani, Introduzione, in Fortezze, Bastioni e Cannoni. Disegni di Leonardo dal Codice Atlantico,
catalogo della mostra, De Agostini, Novara 2009, pp. 17-39.
3
Una profonda disamina della produzione artistica all’interno di concetti articolati quali “sequenze” , “serie”, “età
sistematica”, consente un uso meno corrivo e banalizzante della nozione (oggi abusata) di “genio”. Si veda, a questo
proposito, G. Kubler, The Shape of Time. Remarks on the History of Things, Yale University Press, New HavenLondon 1962 (trad.it., La forma del tempo. Considerazioni sulla storia delle cose, Introduzione di Giovanni Previtali,
Einaudi, Torino 1976). Di grande utilità anche le riflessioni di E. H. Gombrich, Art and Illusion. A Study in Psychology
of Pictorial Representation, Phaidon, London 1959 (trad.it., Arte e illusione. Studio sulla psicologia della
rappresentazione pittorica, Einaudi, Torino 1965).
4
Le mostre dedicate al Codice Atlantico, di cui si riferisce alla nota 2, sono altamente indicative in questo senso e
consentono di avvicinarci al faticoso lavoro quotidiano dell’artista, dedito non soltanto a raffinati progetti artistici ma
anche a progettare armi, fortezze, macchinari di vario genere (alla stregua di un qualificato artigiano), bagni privati,
nonché ad esaudire i desiderata di corte con feste, motti, facezie e quant’altro. Sui limiti di Ludovico il Moro come
committente, si veda: L. Giordano, Nihil supra. La magnificenza di Ludovico Sforza, in Arte, committenza ed economia
a Roma e nelle corti del Rinascimento (1420-1530), Atti del Convegno Internazionale (Roma 1990), a cura di A. Esch,
C. L. Frommel, Einaudi, Torino 1995, pp. 273-96.
5
Lo studio rigoroso (e non cialtronesco) del soggetto e del significato complessivo di un’opera d’arte richiede
molteplici e raffinate competenze, che spaziano dalla mitologia alla religione, dalla filosofia alla storia della cultura in
senso molto ampio. Ovviamente, è necessaria una padronanza quasi sterminata della tradizione artistica, di soggetti,
simboli, allegorie, convenzioni di rappresentazione e molto altro ancora. Per un primo approccio orientativo alla
questione (che ancora, come monito purtroppo poco osservato, dovrebbe suggerire prudenza ermeneutica a chi propone
allegre e non provate letture), si veda E. Panofsky, Studies in Iconology, Oxford University Press, New York 1939
(trad.it., Studi di iconologia, Einaudi, Torino 1975).
6
Per avere una prima idea delle sovrastrutture culturali, emotive e percettive che hanno contribuito a costruire il mito
della Gioconda, si veda D. Sassoon, Mona Lisa. The History of the World’s most Famous Painting, Collins, London
2001 (trad.it., La Gioconda. L’avventurosa storia del quadro più famoso del mondo, Carocci, Roma 2001); per uno
spaccato interpretativo, G. Pallanti, La vera identità della Gioconda. Un mistero svelato, Skira, Génèvre-Milano 2006.
Per il mito di Leonardo nell’800 all’interno di un quadro complessivo ed originale dell’epoca, M. Praz, La carne, la
morte e il diavolo nella letteratura romantica (1930, Milano-Roma), Sansoni, Firenze 1999.
7
Di tutti questi aspetti, oltre che della fortuna critica dell’opera, utilissima per inquadrare con taglio diacronico le novità
del Cenacolo rilevate nel corso dei secoli, rende conto l’approfondito volume di P. Brambilla Barcilon, P.C. Marani,
Leonardo… cit. Ci si rende subito conto, da una prima lettura, di come alcuni aspetti fondamentali (mimesis dei
dettagli, rilevata da Vasari, unicità dell’opera, ecc.) siano stati subito intuiti già all’epoca.
8
Sulla nuova scienza della natura proposta da Leonardo e più in generale sul profilo culturale del maestro, si veda C.
Dionisotti, Leonardo uomo di Lettere (1962, “Italia medioevale e umanistica”), in Id., Appunti su arti e lettere, Jaca
Book, Milano 1995, pp. 21-50. La “totale subordinazione dell’arte alla natura” è chiamata efficacemente il “motivo di
Leonardo” da W. Tatarkiewicz, Storia di sei Idee, Aesthetica, Palermo 1993, p. 391 (od. or. 1976, Warsawa).
9
Le vicende relative alla committenza del Cenacolo, con il passaggio di consegne da Gian Galeazzo a Ludovico il
Moro e il ruolo assunto dai padri domenicani, sono riassunte in un intervento recente di P. C. Marani, 9 febbraio 1498.
Il «Cenacolo» svelato, in I giorni di Milano, Laterza, Roma-Bari 2010, pp. 69-95. Il saggio propone, oltre ad una
disamina completa del dipinto murale, un inquadramento storico e culturale indispensabile per inquadrare il capolavoro
all’interno dello stimolante contesto milanese. Il titolo del saggio, come è noto, allude alla data di conclusione dei lavori
(un sicuro ante quem), certificata da un osservatore d’eccellenza come Luca Pacioli.
10
Il documento è riprodotto da E. Villata, in P. C. Marani, Leonardo da Vinci. Una carriera di pittore (1999), Motta,
Milano 2003, pp. 346-47. La condotta “rilassata” del maestro (una lentezza soltanto presunta, in realtà dettata dal suo
nuovo approccio epistemologico e tecnico) era comunque proverbiale e ricordata dalle fonti, ad esempio Matteo
Bandello. Su questo aspetto si veda F. Zöllner, Leonardo da Vinci, 1452-1519. Sämtliche Gemälde und Zeichnungen,
Taschen, Köln 2003 (tr. it., Leonardo da Vinci,1452-1519. Tutti i dipinti e disegni, Taschen, Köln 2007, pp. 135-36).
11
Su questi aspetti, P. C. Marani, Il Cenacolo di Leonardo, in P. Brambilla Barcilon, P.C. Marani, Leonardo… cit., pp.
15-93.
12
Sulla vicende relative alla chiesa e al ruolo dei domenicani, si veda il volume Santa Maria delle Grazie in Milano,
Introduzione di G. A. Dell’Acqua, Amilcare Pizzi, Cinisello Balsamo (Milano) 1983. Fra le fonti antiche, è da citare
almeno la voce autorevole di padre Girolamo Gattico (1574-1646); si veda a proposito, la recente pubblicazione, Fra G.
Gattico, Descrizione succinta e vera delle cose spettanti alla chiesa di Santa Maria delle Grazie…, ed. a cura di E. E.
Bellagente, presentazione di P. C. Marani, Ente Raccolta Vinciana, Castello Sforzesco, Milano 2004.
13
La figura del Vimercati è ampiamente analizzata in diversi saggi del volume Santa Maria delle Grazie in Milano…
cit.
14
Per la cronologica dell’opera, P. C. Marani, Il Cenacolo…, cit., pp. 15-36; si veda inoltre La biblioteca, il tempo e gli
amici di Leonardo. Disegni di Leonardo dal Codice Atlantico (seconda esposizione), catalogo della mostra, a cura di E.
Villata, De Agostini, Novara 2009, pp. 31 e 89.
15
Per un’analisi approfondita delle novità introdotte nel dipinto, ma anche dei possibili debiti rispetto alla tradizione
precedente (segnatamente i grandi prototipi fiorentini), si rimanda a Il genio e le passioni. Leonardo e il Cenacolo.
Precedenti, innovazioni, riflessi di un capolavoro, catalogo della mostra, a cura di P. C. Marani, prefazione di E. H.
Gombrich, Skira-Artificio, Milano-Firenze 2001.
16
La tendenza a non accettare supinamente modelli consolidati o normativi è cifra complessiva nell’attività di
Leonardo, che sottopone a vaglio rigoroso la tradizione precedente (a livello artistico ed epistemologico). La sua
capacità di mettere in discussione la scienza fin dalle fondamenta, è oggetto dell’analisi di M. Kemp, La crisi del sapere
tradizionale nell’ultimo Leonardo, in Leonardo e l’età della ragione, a cura di E. Bellone, P. Rossi, Scientia, Milano
1982, pp. 43-52.
17
Per uno studio degli esempi toscani, C. Acidini Luchinat, Note sulla psicologia dei commensali nei Cenacoli
fiorentini prima e dopo Leonardo, in Il genio e le passioni…cit., pp. 47-52
18
Questa celebre definizione, che afferisce al problema del significato educativo dell’arte (secondo un modello
pedagogico assai diffuso per molti secoli) risale a Gregorio Magno (papa fra il 590 e il 604); si veda a proposito D.
Levi, Gregorio Magno e la funzione didattica delle immagini, in Eadem, Il discorso sull’arte. Dalla tarda antichità a
Ghiberti, Bruno Mondadori, Milano 2010, pp. 90-94.
19
Sul disegno si rimanda alla scheda di P. C. Marani, in Il genio e le passioni… cit., pp. 124-26, n. 27. Si veda inoltre
Leonardo. Studies for the Last Supper from the Royal Library at Windsor Castle, catalogo della mostra, a cura di C.
Pedretti, Cambridge University Press, Cambridge 1983, pp. 64-71, n. 3.
20
Per un’analisi di questi concetti (decoro, convenienza, varietà, composizione, Historia, in relazione alla trattatistica
dell’epoca) ed alcune indicazioni bibliografiche sui singoli argomenti, si veda: S. Ferrari, Voci del Rinascimento.
Attraverso gli scritti di artisti e teorici dell’epoca, Pearson Paravia Bruno Mondadori, Milano 2008
21
Sui rapporti fra i due maestri, si veda P. C. Marani, Leonardo e Leon Battista Alberti (1994, Milano), da poco
ripubblicato in Id., Leonardiana. Studi e saggi su Leonardo da Vinci, Skira, Génèvre-Milano 2010, pp. 313-23.
22
S. Ferrari, Voci del Rinascimento… cit., pp. 27-31.
23
Tale precetto compare incessantemente nei suoi scritti; per una prima, agile campionatura, si veda L. da Vinci, Scritti
artistici e tecnici, a cura di B. Agosti, Rizzoli, Milano 2002. Di grande utilità anche la raccolta Scritti scelti di Leonardo
da Vinci, a cura di A. M. Brizio (1952, Torino), Utet, Torino 1966.
24
Questi effetti dinamici, che generano quasi una vitale sequenza di fotogrammi, sono sottolineati da P. C. Marani, Il
Cenacolo di Leonardo, in Il Cenacolo. Guida al Refettorio e a Santa Maria delle Grazie (1999, Milano), Mondadori
Electa, Milano 2007, pp. 11-45.
25
Il problema del movimento nel dipinto murale, nodo fondante delle sue ricerche artistiche (con una sequenza di
risultati che connette l’Adorazione dei Magi al Cenacolo), è vagliato in parallelo agli interessi del maestro in altri ambiti
(dall’ottica all’acustica) da Id., Invenzione e rappresentazione in Leonardo (2003, Milano-Roma), in Id.,
Leonardiana… cit., pp. 207-24.
26
Uno spaccato di alcune categorie fondanti il linguaggio critico dell’epoca si trova in M. Baxandall, Painting and
Experience in Fifteenth Century Italy, Oxford University Press, Oxford 1972 (trad.it., Pittura ed esperienze sociali
nell’Italia del Quattrocento, Einaudi, Torino 1978).
27
E infatti, con le parole di Leonardo, è indispensabile che “il giovane debe prima imparare prospettiva”, per evitare
errori puerili o un naturalismo facile all’apparenza, in realtà ingenuo. Il brano è riportato in Scritti d’Arte del
Cinquecento, vol. VI, L’artista, a cura di P. Barocchi (1973, Milano-Napoli), Einaudi, Torino 1979, p. 1299.
28
La strenua battaglia combattuta da Leonardo per il giusto riconoscimento del valore intellettuale della pittura trova un
apice, come è noto, nell’arguto paragone proposto con le altre discipline; si vedano, fra gli altri: L. da Vinci, Scritti
artistici e tecnici…cit., pp. 174-89; Id., Il paragone delle arti, a cura di C. Scarpati, Vita e Pensiero, Milano 1993;
Scritti d’Arte del Cinquecento, vol. III, Pittura e scultura, a cura di P. Barocchi (1971, Milano-Napoli), Einaudi, Torino
1978, pp. 475-88. La svolta impressa dall’artista nel rapporto fra le arti è sottolineata anche da W. Tatarkiewicz, Storia
di sei Idee…, cit., p. 137.
29
Leonardo, in un suo brano, parla espressamente di “tre prespettive”; si veda L. da Vinci, Scritti artistici e
tecnici…cit., p. 98; in un altro, di “prospettiva aerea” (p. 298). Per una riflessione più generale fra rappresentazione
prospettica e percezione retinica, all’interno di una lettura che relativizza e storicizza il tema, E. Panofsky, Die
Perspektive als “Symbolische Form”, Teubner, Leipzig-Berlin 1927 (trad.it., La prospettiva come “forma simbolica” e
altri scritti, a cura di G. D. Neri, con una nota di M. Dalai, Feltrinelli, Milano 1984).
30
Su questo tema, con una prospettiva di ampio respiro, M. Kemp, The Science of Art. Optical Themes in Western Art
from Brunelleschi to Seurat, Yale University Press, New Haven and London 1990 (trad.it., La scienza dell’arte.
Prospettiva e percezione visiva da Brunelleschi a Seurat, Giunti, Firenze1994). Sul dipinto di Leonardo, P. C. Marani, 9
febbraio 1498… cit., pp. 73 e sgg.
31
La contemporanea presenza a Milano e in Lombardia di personalità come Bramante, Leonardo, Gasparo Visconti,
Luca Pacioli, Francesco di Giorgio Martini, rende conto di un contesto culturale ricco di fermenti e stimoli propulsivi.
Alcuni esempi relativi alla proficua collaborazione Leonardo-Pacioli (matematico di primo livello) sono presenti in
Leonardo. Dagli studi di proporzioni al Trattato della pittura, catalogo della mostra, a cura di P. C. Marani, M. T.
Fiorio, Mondadori Electa, Milano 2007. Un rapporto che in questi ultimi anni si ha modo di verificare da vicino grazie
alle esposizioni dei fogli del Codice Atlantico (cfr. nota 2). Si veda, nello specifico, Leonardo, la politica e le allegorie.
Disegni di Leonardo dal Codice Atlantico (quarta esposizione), catalogo della mostra, a cura di M. Versiero, De
Agostini, Novara 2010, pp. 86-140-142-144-146-150. Si veda anche, C. Maccagni, Augusto Marinoni, Luca Pacioli e
Leonardo, in “Hostinato rigore”. Leonardiana in memoria di Augusto Marinoni, a cura di P. C. Marani, Electa, Milano
2000, pp. 55-60.
32
Sulle relazioni fra Bramante e Leonardo, diverse riflessioni sono presenti in Bramante e la sua cerchia a Milano e in
Lombardia 1480-1500, catalogo della mostra, a cura di L. Patetta, Skira, Génèvre-Milano 2001; P. Marani, Bramante e
Leonardo architetti militari (1988, “Arte Lombarda”), in Id., Leonardiana… cit., pp. 303-11. Alcuni aspetti sulle
dinamiche “padane” (anche in riferimento a Bramante e Leonardo) si trovano in S. Ferrari, Bramantino. Un intricato
tema storiografico, in Nascita della storiografia e organizzazione dei saperi, in corso di stampa presso Olschki.
33
Sui rapporti Bramante-Leonardo insiste giustamente Marani nei suoi scritti; si veda, fra gli altri, P. C. Marani, Il
Cenacolo di Leonardo, Skira, Génèvre-Milano 2009, p. 42. La carica rivoluzionaria degli Uomini d’arme di Brera crea
un corto circuito figurativo che si riverbera a cascata su moltissimi maestri dell’epoca; fra questi, Vincenzo Foppa, ad
esempio nel Martirio di S. Sebastiano a Brera, come ho avuto modo di sostenere in Alcune ipotesi per la formazione e il
percorso di Butinone, in “Dialoghi di Storia dell’arte”, 8-9, 1999, p. 100, nota 36; il confronto e la conseguente
indicazione cronologica si trovano anche nella scheda di S. Facchinetti in Vincenzo Foppa. Un protagonista del
Rinascimento, catalogo della mostra, a cura di G. Agosti, M. Natale, G. Romano, Skira, Génèvre-Milano 2003, p. 204.
Per la collocazione degli Uomini d’arme intorno al 1487, si veda P. C. Marani, La pittura a Milano al tempo di
Bramante (1477-1499), in Bramante e la sua cerchia… cit., pp. 49-65, in part. p. 55; G. Romano, Un seminario su
Bramantino, in “Concorso. Arti e Lettere”, I, 2007, pp. 39-69, in part. p. 63 (lo studioso propone 1486-89). Tale
datazione è confermata dalla chiara ripresa degli affreschi in un ciclo bergamasco già nel 1489: S. Ferrari, Una facciata
bramantesca a Bergamo, in Pellegrino da San Daniele. Giornate di studio (San Daniele del Friuli, 1997), a cura di A.
Tempestini, Forum, Udine 1999, pp. 55-63, in part. pp. 57-58.
34
E’ interessante notare come, per l’impossibilità di raggiungere la “perfezione”nei risultati (malgrado un impegno
davvero unico), permanga in Leonardo “un margine di insoddisfazione costituzionale” (come ricorda C. Scarpati, in L.
da Vinci, Il Paragone delle arti… cit., p. 49).
35
P. C. Marani, Il Cenacolo di Leonardo, in Il Cenacolo. Guida al Refettorio… cit., p. 28.
36
Il coinvolgimento progressivo dello spettatore nel Quattrocento (con riferimento allo stesso Leonardo) è oggetto di
uno studio raffinato di J. Shearman, Only Connect… Art and the Spectator in the Italian Renaissance, Trustees of the
National Gallery of Art, Washington D.C. 1992, (trad.it., Arte e spettatore nel Rinascimento italiano. «Only connect»),
Jaca Book, Milano 1995.
37
La “riprensione” (riprovazione) di Leonardo si può leggere con le gustose parole dell’artista in L. da Vinci, Scritti
artistici e tecnici…cit., pp. 320 e 329.
38
Per il significato del termine in Leonardo, S. Ferrari, Voci del Rinascimento… cit., pp. 56-61.
39
La presenza di aspetti schematici e convenzionali nella rappresentazione artistica è al centro delle ricerche di E. H.
Gombrich, Art and Illusion… cit.
40
Si veda il brano in Scritti d’arte del Cinquecento, vol. VII, t. 2, L’imitazione. Bellezza e grazia. Proporzioni-misuregiudizio, a cura di P. Barocchi (1973, Milano-Napoli), Einaudi, Torino 1979, pp. 1723-24.
L’incredibile varietà delle emozioni proposta è fra i molti aspetti puntualizzati da un raffinato lettore come J. W.
Goethe, Joseph Bossi über Leonards da Vinci Abendmahl zu Mayland, in “Über Kunst und Alterthum…”, fasc. 3, 1817
(trad.it., Il Cenacolo di Leonardo, a cura di M. Carminati, Abscondita, Milano 2004). Per un ampio spaccato sulla
fortuna critica del dipinto, si veda P. C. Marani, Il Cenacolo di Leonardo, in P. Brambilla Barcilon, P.C. Marani,
Leonardo… cit., pp. 53-69.
41
Della testa di Filippo possediamo uno splendido disegno preparatorio, su cui si veda la scheda di P. C. Marani, in Il
genio e le passioni… cit., pp. 132, n. 31. La ripresa del gesto dell’apostolo compare a Venezia, al volgere del secolo, in
un quadro di Jacopo de’ Barbari, si cui si veda: S. Ferrari, Jacopo de’ Barbari. Un protagonista del Rinascimento tra
Venezia e Dürer, Paravia Bruno Mondadori, Milano 2006, p. 31. L’interferenza fra Lombardia, Veneto, Leonardo,
leonardeschi e cultura nordica, è oggetto della disamina di P. C. Marani, Dürer, Leonardo e i pittori lombardi del
Quattrocento (2007, Milano), in Id., Leonardiana… cit., pp. 325-42.
42
Il confronto con la pittura fiamminga è proposto in più pagine da P. C. Marani, Leonardo. Una carriera di
pittore…cit. Un aspetto giustamente sviluppato anche da E. Villata, Leonardo, 5 Continens, Milano 2005. Per quanto
riguarda le discussioni a seguito del restauro, si veda la nota di P. C. Marani, Il Cenacolo di Leonardo, Skira, GénèveMilano 2009, pp. 61-62; fra le voci critiche viene citato M. Kemp, che successivamente, nel recente Leonardo, Oxford
University Press, Oxford 2004 (trad.it., Leonardo. Nella mente del genio, Einaudi, Torino 2006, p. XVIII), esprime
invece “una sincera ammirazione, che non nutrivo (…) quando vidi per la prima volta il restauro completato”.
43
La linea che da Leonardo porta a Caravaggio (con opportuni riferimenti anche all’opera di Raffaello), è sottolineata
da P. C. Marani, 9 febbraio 1498…cit., pp. 88-94; sull’invenzione della Natura Morta, il suo significato e i precedenti
lombardi di Caravaggio, si veda R. Longhi, Caravaggio (1952, Milano), a cura di G. Previtali, Editori Riuniti, Roma
1982; sul genere artistico e la sua evoluzione, La Natura morta in Italia, a cura di F. Porzio, 2 vol., Electa, Milano
1989.
44
Sul naturalismo pittorico di Leonardo, si veda A. M. Brizio, Leonardo pittore, in Leonardo, a cura di L. Reti,
Mondadori, Milano 1974, pp. 20-55. Per il dipinto, P. C. Marani, Leonardo. Una carriera di pittore…cit., pp. 62-67.
45
Fa quindi ora una certa impressione, anche a distanza di tempo, pensare a come il dipinto sia stato letto all’interno di
una linea puramente filofiorentina (si veda, a proposito di questa lettura, S. Ferrari, Bramantino…cit.).
46
P. C. Marani, Il Cenacolo di Leonardo. Storia, significati, restauri, in Il Cenacolo. Il restauro, a cura di A. Artioli,
Mondadori Electa, Milano 2002, pp. 45-69, in part. pp. 60-65.
47
Id., pp. 53-60.
48
La qualifica di “universale” viene messa in risalto da Adolfo Venturi, nella History of Art Criticism, Dutton and Co.,
New York 1936 (trad.it., Storia della critica d’arte, 1945, Firenze, Einaudi, Torino 1991), che pur in poche pagine (pp.
104-08) offre uno spaccato suggestivo del maestro, teso al superamento della tradizione e orientato verso veneziani,
olandesi e fiamminghi.
49
Per l’analisi di alcuni aspetti della tradizione fiorentina e delle diverse posizioni di Leonardo, S. Ferrari, Voci del
Rinascimento… cit., pp. 123-34. Per una panoramica sull’epoca, G.C. Sciolla, Primato del disegno: un dibattito
accademico nel Rinascimento, in Il Disegno, vol. 1. Forme, tecniche, significati, a cura di G.C. Sciolla, Istituto San
Paolo, Amilcare Pizzi, Cinisello Balsamo (Milano) 1991, pp. 11-38; Id., Il disegno nella letteratura artistica del
Cinquecento, in “Grafica d'arte”, II,1991, nr. 7, p. 24-32.
50
Le conseguenze di tali innovazioni sono messe in risalto da C. Luporini, La mente di Leonardo (1953, Firenze), Le
Lettere, Firenze 1997, pp. 123-27. Su Leonardo e più in generale sul Rinascimento ha scritto, come è noto, pagine
fondamentali E. H. Gombrich; si veda, in particolare, Norm and Form. Studies in the Art of the Renaissance, Phaidon,
London 1966 (trad.it., Norma e Forma. Studi sull’arte del Rinascimento, 1973, Torino, Mondadori Electa, Milano
2003). All’interno di tale raccolta si trova il saggio: I precetti di Leonardo per comporre delle storie (pp. 68-73), di
grande interesse. Si veda inoltre, dello stesso autore, New Light on Old Masters, Phaidon, Oxford 1986 (trad.it., Antichi
maestri, nuove letture, Einaudi, Torino 1987, in part. pp. 29-59), con diverse osservazioni metodologiche sul maestro.
51
Su questo tema, P. C. Marani, I disegni di Leonardo per il Cenacolo (2001, Milano), in Id., Leonardiana… cit., pp.
259-83. Si veda anche, F. Ames-Lewis, Leonardo da Vinci e il disegno a matita, in “Raccolta Vinciana”, XXIX, 2001,
pp. 3-40.
52
P. C. Marani, Il Cenacolo di Leonardo. Storia, significati, restauri… cit., p. 49.
Nota Bibliografica
Si vuole offrire una scelta sintetica per orientare il pubblico alla lettura di alcuni testi relativi all’artista e al suo più
grande capolavoro. Per un approfondimento dei singoli aspetti, si rimanda alle note del saggio.
Il principale testo di riferimento, realizzato a conclusione del restauro dell’opera, è P. Brambilla Barcilon, P.C. Marani,
Leonardo. L’Ultima Cena, Electa, Milano 1999 (con bibliografia completa fino a quella data).
Fra i contributi sul Cenacolo comparsi negli ultimi anni, si segnalano: Il genio e le passioni. Leonardo e il Cenacolo.
Precedenti, innovazioni, riflessi di un capolavoro, catalogo della mostra, a cura di P. C. Marani, prefazione di E. H.
Gombrich, Skira-Artificio, Milano-Firenze 2001; P. C. Marani, Il Cenacolo di Leonardo. Storia, significati, restauri, in
Il Cenacolo. Il restauro, a cura di A. Artioli, Mondadori Electa, Milano 2002, pp. 45-69; P. C. Marani, Il Cenacolo di
Leonardo, in Il Cenacolo. Guida al Refettorio e a Santa Maria delle Grazie (1999, Milano), Mondadori Electa, Milano
2007, pp. 11-45; C. Perdetti, La Cena del secolo, in Id., Leonardo e io, Mondadori, Milano 2008, pp. 120-58; P. C.
Marani, Il Cenacolo di Leonardo, Skira, Génève-Milano 2009; P. C. Marani, 9 febbraio 1498. Il «Cenacolo» svelato, in
I giorni di Milano, Laterza, Roma-Bari 2010.
Per un profilo complessivo sull’artista, si vedano i seguenti contributi: M. Kemp, Leonardo. Le mirabili operazioni
della natura e dell’uomo, Mondadori, Milano 1982 (ed. or. 1981); P. C. Marani, Leonardo da Vinci. Una carriera di
pittore (1999), Motta, Milano 2003; F. Zöllner, Leonardo da Vinci. Tutti i dipinti e disegni, Taschen, Köln 2007 (ed. or.
2003). Si rimanda infine ai molti spunti presenti nel recente volume di P. C. Marani, Leonardiana. Studi e saggi su
Leonardo da Vinci, Skira, Génève-Milano 2010.
Per “avvicinarsi” a Leonardo attraverso i suoi scritti, si veda l’agile volume L. da Vinci, Scritti artistici e tecnici, a cura
di B. Agosti, Rizzoli, Milano 2002.
Per il mito di Leonardo nell’800 all’interno di un quadro complessivo ed originale dell’epoca (scevro da letture
fiorvianti), M. Praz, La carne, la morte e il diavolo nella letteratura romantica (1930, Milano-Roma), Sansoni, Firenze
1999.
FOTO:
PP. 18-27 (SOTTO)-28-29 (DS)- 30-99- 101- 129-194-242259-264-265-299 (PIATTO CON SPICCHIO DI ARANCIA)- 305 (PANE)-307-322-323-340Varrebbe la pena, anche il presunto, celebre autoritratto alla Reale di Torino (in realtà, probabile studio per l’apostolo
Taddeo).