IL TREDICESIMO TESTIMONE Il Cenacolo di Leonardo Simone
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IL TREDICESIMO TESTIMONE Il Cenacolo di Leonardo Simone
IL TREDICESIMO TESTIMONE Il Cenacolo di Leonardo Simone Ferrari Introduzione Le conoscenze odierne su Leonardo e in particolare sul Cenacolo offrono allo spettatore più curioso e raffinato occasioni di incontro, lettura, approfondimento, impensabili fino a poco tempo fa. Gli oltre vent’anni fruttuosamente dedicati al restauro del capolavoro nel refettorio di S. Maria delle Grazie a Milano (1977-99), consentono una visione dell’opera più vicina all’originale rispetto a quanto possibile in precedenza1. I progressi degli studi in relazione alla produzione teorica del maestro, alle sue idee artistiche, la possibilità di ammirare adesso e per diversi anni, nel corso di diverse esposizioni in due sedi distinte, i fogli del celebre Codice Atlantico, garantiscono quella necessaria integrazione fra diverse sfere di interesse e branche del sapere, imprescindibile punto di partenza per approciare la sua produzione pittorica (quantitativamente assai limitata, specialmente se paragonata al numero impressionante di manoscritti autografi che ancora si conservano)2. Il panorama è però nel complesso tutt’altro che rassicurante. L’afflusso impressionante di visitatori al Cenacolo durante gli ultimi anni (un dato di per sé ovviamente positivo) va di pari passo con la diffusione sciagurata ed incontrollabile, per giunta quasi giornaliera, di aneddoti, dicerie, presunte (ovviamente sensazionali) scoperte, che allontanano il pubblico da una corretta comprensione dell’artista e del suo dipinto più celebre (su muro, non certo un affresco come tristemente capita ancora di leggere). Ci troviamo quindi di fronte ad un primo eclatante paradosso: Leonardo è in assoluto l’artista di cui maggiormente si parla nelle più disparate ed improprie circostanze (come è ovvio, spesso a sproposito) ma che in realtà si conosce di meno. C’è una sorta di sentimento diffuso in base al quale si pensa comunque (proprio a causa del bombardamento quotidiano cui siamo sottoposti) di conoscere bene Leonardo, magari per avere visto qualche dipinto (nel migliore dei casi). In realtà, la sua produzione pittorica (numericamente ristretta a una ventina di opere) è il momento terminale, altissimo e sublime, di un processo mentale e di un approccio scientifico ed epistemologico che è necessario conoscere e comprendere, almeno in estrema sintesi. Altrimenti, l’unicità di pensiero ed azione (artistica) del maestro, l’inestricabile sinergia di riflessione e produzione, sua cifra unica e distintiva, rischia di essere rimossa, banalizzata o vilipesa. La diffusione disordinata di notizie senza alcun filtro produce nel suo caso gravi fraintendimenti. Una delle definizioni corrive ma più di moda, che spesso si sente ripetere acriticamente a proposito dell’autore del Cenacolo, è quella di “genio”; se con il termine si intende la capacità di Leonardo di modificare profondamente la tradizione, inventando nuove convenzioni di rappresentazione (in relazione alla luce, al colore e a concetti normativi quali disegno e prospettiva) e più moderne modalità espressive ed emozionali, la definizione è quanto mai calzante3. Al contrario però, al sostantivo si associano spesso parole come “incontrastato”, “libero”, “fuori dagli schemi”, e altri definizioni simili, che alludono ad una presunta e precocissima capacità di emancipazione dell’artista, talmente innovativo rispetto alla sua epoca da potere creare qualunque cosa in piena autonomia, senza dovere rispondere del proprio operato ai committenti. Nulla di più lontano dal vero. Come molti altri colleghi della sua epoca, Leonardo è valutato (specialmente a Milano) alla stregua di un semplice artigiano, senza che gli venga riconosciuta quella caratura intellettuale tipica delle “arti liberali” (preclusa quindi alla pittura) da lui tanto agognata e che certo avrebbe ben meritato4. Il mito dell’artista “indipendente”, refrattario alle regole, dedito soltanto al proprio lavoro senza alcun tipo di vincolo, è una costruzione successiva, una forzatura “romantica” che ancora adesso può risultare avvincente ma che ci allontana dalla realtà dell’epoca. Da questo errato presupposto deriva un’ulteriore conseguenza: talora si pensa al Cenacolo come all’opera in cui l’artista si è quasi fatto beffe dei committenti e dei contemporanei, riuscendo quasi a “gabbarli”, introducendo interpretazioni scabrose e sconvenienti sotto mentite spoglie, che soltanto noi adesso saremmo in grado di decriptare e di intendere correttamente. Questo approccio è doppiamente scorretto. Innanzitutto fraintende totalmente la realtà dell’epoca: nessun artista del Rinascimento si sarebbe permesso un atteggiamento di questo genere e ad ogni modo, nel caso di una (anche solo presunta od opinabile) mancata osservanza delle tradizioni iconografiche, i committenti potevano facilmente rifiutare un opera d’arte considerata poco gradita o non decorosa. In secondo luogo, questo atteggiamento rivela una grave presunzione tipica della nostra epoca, una sorta di hubrys moderna, quasi noi fossimo gli scopritori di segreti misteri o i depositari delle corrette interpretazioni . Provare delle emozioni o delle sensazioni forti di fronte ad un dipinto è cosa mirabile; proiettare un sentimento soggettivo verso un passato lontano e elevarlo a strumento per una possibile ermeneutica (non supportato da una rigorosa competenza iconografica ed iconologia) è invece riprovevole5. La tempesta interpretativa che si è scatenata sul Cenacolo e su altre opere come la Gioconda (non a caso le più celebri e meglio sfruttabili a livello commerciale), ha contribuito ad acuire un fenomeno riscontrabile già da diversi secoli: un complesso processo di stratificazione culturale, una progressiva patina ermeneutica ed encomiastica fatta di elogi smisurati, leggende metropolitane, meravigliose pagine di poesia e prosa (si pensi all’Ottocento romantico o al Decadentismo) che hanno però distorto e “sforzato” l’immagine, al di là dei suoi significati e delle reali intenzioni dell’artista6. Nessuna immagine ovviamente è “neutra”, ma è una sorta di organismo vivente nel corso dei secoli, con una propria storia, interpretativa e conservativa. Ma il Cenacolo, è ancora meno “neutro” delle altre opere d’arte, non soltanto per la sua sconfinata e prevedibile fortuna storiografica e letteraria, ma per le drammatiche vicende conservative che ha patito nel corso dei secoli, per i discutibili restauri del passato e per gli “aggiustamenti” che certo non l’hanno migliorata7. Proprio per questo, in conclusione, richiede un grosso sforzo da parte del pubblico, va sottoposto ad un necessario processo di contestualizzazione storica per cercare di apprezzarlo con la mente il più possibile sgombra da pregiudizi, immagini mitiche, forzature storiografiche e letterarie. Solo così, mi pare, sarà possibile accostarsi con la dovuta discrezione ed umiltà e comprenderlo nella sua complessità riposta (proprio il contrario di certe letture scandalistiche mortificanti), non inquadrabile secondo gli schemi e i paradigmi tradizionali, come summa del pensiero e della produzione pittorica del maestro, manifesto programmatico e sintesi suprema delle sue conoscenze e della strenua indagine scientifica dei fenomeni (quella sintesi che, per l’estensione e la ramificazione degli interessi, non è possibile riscontrare nei suoi manoscritti)8. I possibili committenti e la datazione dell’opera Sembra quasi incredibile, a fronte della quantità industriale di “notizie” relative all’opera, ma allo stato attuale delle conoscenze permangono diverse, non secondarie incertezze sugli inizi dei lavori. Innanzitutto non possediamo il contratto che regola i rapporti fra il maestro e il committente, fondamentale strumento prescrittivo nei confronti dell’artista, in molti casi ricco di informazioni (utilissime per noi) relative all’opera, alla sua cronologia, ai tempi di consegna, alle modalità di pagamento ed altro. Questa lacuna ci impedisce di stabilire in termini perentori il nome del committente, anche se naturalmente non mancano ipotesi verosimili. Non siamo certi della sua presenza fin dall’inizio, ma il coinvolgimento di Ludovico il Moro è comunque garantito da diversi punti di vista. Morto Gian Galeazzo Maria Sforza (1494), primo probabile committente, Ludovico il Moro vuole essere ricordato come il promotore dell’opera9; nella lunetta centrale, sopra il dipinto, l’iscrizione lo onora insieme alla moglie Beatrice d’Este, insieme al titolo di “DUX” ricevuto grazie al suggello imperiale nel 1494. L’esibito programma di celebrazione familiare è completato dagli stemmi, dai biscioni sforzeschi, dall’epigrafe nella lunetta di sinistra che ricorda il primogenito Massimiliano Sforza, mentre quella di destra celebra il secondogenito Francesco in qualità di Duca di Bari (anche se il suo nome non compare). La presenza della famiglia sforzesca, sotto forma di ritratti, è ribadita ai lati estremi dell’affresco dipinto da Montorfano di fronte al Cenacolo nel 1495. L’interesse del duca per il procedere, in realtà assai lento, dei lavori è confermato da una sua lettera indirizzata nel 1497 a Marchesino Stanga, in cui espressamente si chiede di sollecitare l’artista a finire il dipinto nel Refettorio10. Il coinvolgimento diretto del Moro è confermato da più voci autorevoli, dal matematico Luca Pacioli (1498) al Bandello e non è certo un caso isolato, ma fa parte di una variegata politica culturale-propagandistica, del programma celebrativo promosso dal Moro specialmente nell’ultimo decennio del Quattrocento, che comprende fra le altre cose l’intervento di Bramante nella tribuna di S. Maria delle Grazie (contemporaneo all’esecuzione del Cenacolo), la Piazza di Vigevano, la commissione della Pala Sforzesca (oggi alla Pinacoteca di Brera)11. Oltre all’indubbia partecipazione del Moro al progetto, non va ovviamente trascurata la presenza dei Domenicani di Santa Maria delle Grazie (chiesa inizialmente dedicata proprio al santo fondatore dell’ordine) che, anche se non vengono mai menzionati come i possibili committenti del dipinto, sono certamente interessati da vicino alla campagna decorativa del loro refettorio12; risulta pertanto assai probabile un loro coinvolgimento in parallelo a Ludovico il Moro e proprio la compresenza di due committenze così autorevoli può avere agito come propulsivo ulteriore. L’interferenza fra i “due soli” (il potere politico e religioso) avrà una conferma con l’avvento del priore Vincenzo Bandello nel 1495, al quale il Moro si avvicinerà particolarmente a seguito della morte della moglie Beatrice d’Este (1497). A questo punto, sembra trascurabile la possibilità che la commissione originaria risalga ad un personaggio esterno del tipo del conte Gasparo Vimercati, munifico benefattore grazie alla cui donazione sorse la chiesa di Santa Maria delle Grazie nel 146313. Per quanto riguarda la cronologia dell’opera, su cui molto si è dibattuto, la proposta più plausibile fissa l’esecuzione (a partire dai disegni preparatori, di cui si parlerà più avanti) dal 1490 fino al 1497 compreso, in cui Leonardo è ancora documentato al lavoro; un notevole lasso di tempo, che tiene però conto del procedimento tecnico dell’artista, dei suoi interessi molteplici e paralleli in questi anni e dei mutamenti fra le prime idee, i disegni e l’opera finale14. Le novità più dirompenti La portata innovativa e rivoluzionaria unanimemente riscontrata nel Cenacolo non è uno dei tanti miti stravaganti sorti intorno al maestro toscano, ma la risultanza di un adeguato riconoscimento critico dell’opera. Tale giudizio si sostanzia, come avviene abitualmente a livello storiografico, sulla base di un confronto fra le soluzioni proposte nell’opera e la tradizione figurativa precedente: Leonardo imprime una svolta dirompente, uno scarto consapevolmente perseguito con tenacia rispetto al passato15. Iconografia, composizione, tecnica pittorica, disegno, luce, colore, prospettiva, coinvolgimento del pubblico secondo il principio dello spettatore oculare…; i singoli aspetti vengono rivisitati e ridiscussi da Leonardo16 (che, come è noto, viene da una tradizione normativa e codificata come quella fiorentina) e compongono nel loro insieme un mosaico senza precedenti, che esemplifica il rapporto fra arte e scienza da lui perseguito, la sua idea di mimesis integrale della natura, l’integrazione fra teoria e pratica, analisi scientifica dei fenomeni e loro rappresentazione pittorica. Con una parola: una universalità mai raggiunta (neppure in seguito da altri) in modo così esaustivo. L’iconografia Tradizionale Dovendo dipingere su una parete del refettorio dei padri domenicani, il tema era necessariamente quello dell’ultima cena di Cristo fra i 12 apostoli, episodio con il quale inizia la Passione dei Cristo. La tradizione aveva raffigurato la scena in diversi modi: identificando il momento dell’allontanamento di Giuda dal Convivio, ricordato nel Vangelo di Giovanni (XIII, 27-30); oppure, rimarcando il traditore in varie forme, attraverso il colorito più scuro della carnagione o dell’aureola o, come ampiamente diffuso a Firenze nel Quattrocento (Andrea del Castagno, Ghirlandaio, Perugino), isolandolo rispetto ai 12 (Cristo e gli altri 11 apostoli)17. In quest’ultimo modo, Giuda si trova sempre più vicino allo spazio dello spettatore, che può identificare senza errore e con immediatezza il reprobo, il responsabile del vergognoso tradimento; questa soluzione, così apprezzata e diffusa, garantisce il valore didattico e didascalico dell’immagine pittorica, che all’epoca era ancora principalmente giudicata come una Biblia Pauperum (Bibbia per gli analfabeti)18, per la sua funzione educativa nei confronti del pubblico. Un disegno conservato a Windsor (inv. nr. 12542) documenta attraverso quattro studi le prime idee di Leonardo per l’Ultima Cena: nello studio più consistente, in alto a sinistra, Giuda siede isolato al di qua della tavola ed è identificato come colui che riceve, secondo le Scritture, il boccone da Cristo (l’episodio parrebbe rappresentare Giuda con il braccio proteso verso il piatto di Cristo); il secondo studio, sulla destra, è limitato ad un numero ristretto di figure, fra le quali spiccano Giovanni riverso sulla tavola e Cristo che offre il boccone al traditore, raffigurato in piedi. Il foglio è databile assai precocemente, intorno al 1490 (in modo da fissare a questo momento l’inizio degli studi dell’artista per il Cenacolo): tale cronologia rende giustificabile lo scarto fra le scelte iconografiche qui proposte, in linea con la tradizione e la svolta impressa con il dipinto vero e proprio19. La svolta compositiva La capacità di comporre una Historia, ossia di organizzare il soggetto di un dipinto secondo una pausata ed armoniosa logica distributiva in funzione di una narrazione didatticamente efficace, è elemento chiave nel Rinascimento, richiesto dai committenti e riconosciuto nella trattatistica dell’epoca. La “composizione” si impone nella teoria artistica grazie a Leon Battista Alberti (De Pictura, 1435), come elemento indispensabile per una adeguata narrazione di un episodio. Una composizione “corretta” armonizza i vari elementi di un dipinto e si basa sul rispetto di determinate regole: rapporti proporzionali fra le parti; concinnitas (armonia) dei colori, appropriati ai momenti previsti dal racconto; movimenti ed emozioni adeguati all’età, all’azione, al livello sociale dei personaggi. Il rispetto di queste e di altre norme garantisce il decoro e la convenienza dell’episodio rappresentato. Nel complesso quindi, si richiede un difficile equilibrio fra varietà e composizione: la prima offre linfa vitale al racconto, mentre la seconda disciplina la varietà e garantisce il decoro narrativo dell’insieme20. I precetti albertiani sono noti ed accettati da Leonardo21, che però non si limita certo a riproporli in modo pedissequo ma li ridiscute in profondità. Rispetto al grande predecessore, propone l’imitazione della natura (la mimesis) come principio assoluto ed inderogabile, senza scelte gerarchiche o selettive, all’interno di un metodo empirico e sperimentale senza precedenti che va nella direzione di Caravaggio e Galileo22. Il naturalismo integrale (e talora spregiudicato) del maestro postula una richiesta di varietà quasi infinita, che coinvolge qualsiasi ordine e genere di fenomeni23. Ed è proprio sulla base di tali presupposti che nascono le profonde novità compositive del Cenacolo. Tradizionalmente, come si è detto, l’organizzazione di un Cenacolo è regolata e subordinata al momento dell’identificazione del reprobo, che di fatto diventa il momento culminante della scena. La scelta di Leonardo è invece più complessa ed originale: non rappresenta infatti l’episodio consueto, ma quello immediatamente precedente in cui Cristo dice: “in verità, in verità vi dico, uno di voi mi tradirà”. Alle terribili parole appena pronunciate, nunzie dell’ignobile tradimento, segue lo scatenamento delle più diverse emozioni; ed è proprio per caratterizzare al meglio le singole reazioni individuali, che Leonardo compone (ossia organizza) la narrazione a gruppi di 3 apostoli, senza mai ripetere un gesto o un’espressione. Questa nuova impaginazione consente di superare un’impostazione rigidamente simmetrica o frontale, a favore di una soluzione a gruppi ben più dinamica e tumultuosa. I risultati conseguiti sono molteplici e variamente direzionati24. Fulcro simbolico e compositivo della scena è naturalmente Cristo, da cui provengono le inquietanti e profetiche parole che si irradiano sugli apostoli, quasi onde sonore in grado di scandire gesti, moti mentali, movimenti; la scena, nel suo insieme, è ampiamente diversificata e risente degli studi condotti dall’artista in campo ottico, acustico e dinamico, sulla propagazione delle onde sonore e dei raggi visivi e sulle reciproche corrispondenze fra questi ultimi due ambiti25. Nell’immagine convivono quindi due diverse polarità, armonicamente fuse: un punto di vista centripeto, più tradizionale, chiaramente posto all’altezza della testa di Cristo, in osservanza (apparente, come vedremo) alle norme prospettiche e al decoro richiesto dal tema religioso; allo stesso tempo, troviamo un moto centrifugo, un tumulto ondulatorio che si propaga attraverso gli apostoli, da destra a sinistra, come un’onda che accompagna le emozioni individuali. L’impostazione prospettica A partire dalla sua scoperta ad opera di Brunelleschi (circa 1415), la prospettiva si impone nel Quattrocento come strumento principe della rappresentazione pittorica. L’applicazione corretta e ortodossa delle sue regole consente di ottenere molteplici vantaggi rispetto al passato: la plausibilità spaziale; il rilievo delle figure (se adeguatamente modellate dal chiaroscuro); la verosimiglianza dell’episodio narrato. L’utilizzo della prospettiva è quindi il corollario necessario ed indispensabile della composizione di una Historia. Agli artisti del Rinascimento viene riconosciuta in più occasioni la qualità di “prospectivo”, “gran prospettico”, oppure troviamo elogi come “maxime intese bene prospectiva”, a conferma del significato assunto dal termine26. La posizione di Leonardo, ovviamente, non è la semplice ripetizione di assunti consolidati, ma assai complessa e sfumata (e con chiare ripercussioni, come vedremo, nel Cenacolo). Nella sua visione, la conoscenza della prospettiva (così come degli altri principi della rappresentazione) è il presupposto per una imitazione scientifica della natura, degna di un artista-intellettuale e non di un semplice artigiano27. E proprio grazie alla scienza prospettica (che si basa sulla matematica, disciplina da tempo reputata come arte liberale), il pittore potrà ambire al giusto riconoscimento sociale, al pari di umanisti, letterati, poeti e al superamento del pervicace pregiudizio medievale che relegava la pittura fra le arti “meccaniche”28. Nello stesso tempo, però, si rende conto che la nostra percezione retinica non corrisponde esattamente alla visione proposta dalla prospettiva, ma permangono delle discrepanze (oltre alle cosiddette aberrazioni marginali); la pittura, osserva giustamente Leonardo, presenta dei limiti intrinseci rispetto alla rappresentazione della realtà e la prospettiva tradizionale (o lineare) non soddisfa pienamente la sua ricerca di mimesis; per ovviare in parte- per quanto possibile- a questi inconvenienti, Leonardo ricerca soluzioni più articolate e naturalistiche e sviluppa non a caso nei suoi scritti esempi di prospettiva dei colori, dei perdimenti e a volo d’uccello29. L’impostazione prospettica del Cenacolo è assai complessa, ambigua e scenografica30. Apparentemente, guardando il dipinto da una debita distanza (per apprezzare gli effetti di tono è invece opportuna una visione ravvicinata), sembra di trovarci di fronte ad un vano rettangolare inquadrato da una prospettiva ortodossa, costruita con le linee ortogonali delle pareti laterali che convergono in un punto di fuga situato all’altezza della testa di Cristo. In realtà questo punto di fuga, che giace sulla linea di orizzonte, si trova a circa quattro metri di altezza rispetto al piano del pavimento e non può quindi corrispondere (come invece dovrebbe secondo i dettami prospettici) al nostro punto di vista (a meno di usare una scala…). Tale anomalia, o discrepanza, fa si che il presunto invaso rettangolare sia piuttosto percepibile come un’immagine trapezoidale. Il problema prospettico del Cenacolo non è comunque un tema a se stante o autosufficiente, ma funzione di altri aspetti ugualmente (se non più) importanti, come il rapporto fra luci e ombre, il movimento, le espressioni, i moti dell’anima. La spazialità non è cifra autoreferenziale, un fine inderogabile ma un campo aperto alla sperimentazione e alla verifica empirica. Il Cenacolo non può quindi essere visto con gli occhi di Piero della Francesca, quasi la sublime dimostrazione di un teorema matematico, o un riflesso delle idee del pur stimato Luca Pacioli31; al contrario, le discrepanze di cui si diceva e le volute ambiguità che ostacolano una nostra precisa ricostruzione dello schema complessivo, creano una sorta di accelerazione prospettica, che converge verso il centro del dipinto e polarizza la nostra attenzione sul Cristo, fulcro prospettico, simbolico, spirituale e compositivo. Per intendere alcune “alternative” dell’opera non si dovrà trascurare la strettissima relazione professionale (cementata grazie ad una lunga e coeva attività alla corte del Moro) con Bramante, portatore di un accentuato sperimentalismo prospettico ed inquadrabile, nel periodo milanese, all’interno di dinamiche stilistiche “padane”, “eversive” rispetto alle scelte (anche prospettiche) codificate dalla tradizione fiorentina32. L’illusionismo dell’architettura dipinta nella parete del refettorio è stata collegata ad esempio all’ardito trompe-l’oeil di Santa Maria presso San Satiro, esplosivo esordio milanese di Bramante; allo stesso modo, la nuova scala monumentale adottata nelle figure degli apostoli, risente dell’ideale bramantesco proposto nei noti affreschi con gli Uomini d’arme di casa Visconti, ora a Brera, già in opera intorno al 1486-8733. Il problema prospettico è legato non soltanto alla rappresentazione dello spazio in profondità, ma anche alla distribuzione e alla articolazione plastica delle figure. Rispetto alla tradizione, incentrata su una prospettiva albertiana unita ad una collocazione più paratattica degli apostoli, Leonardo “corregge” anche questo secondo aspetto, creando una sintassi più complessa ed articolata. Grazie al paziente e meticoloso lavoro di restauro, è ora possibile distinguere la diversa tridimensionalità delle forme, ora più esibita ora più sottile; il recupero di valori cromatici più vicini all’originale acuisce questo aspetto ed esalta il sapiente gioco di sporgenze e rientranze degli apostoli, la varietà delle pose, dei gesti, dei volti. La più statica e tradizionale composizione si scioglie ora con Leonardo in una più fluida e continua onda che si propaga assecondando i diversi affetti dei protagonisti. Consapevole dell’incolmabile distanza fra realtà/ rappresentazione pittorica (ma strenuamente impegnato a colmare questo iato) e fra immagine prospettica/percezione retinica, Leonardo studia dei sistemi correttivi in grado di mitigare tali effetti e di avvicinare lo spettatore all’immagine34. I molteplici studi sulle luci e sulle ombre gli consentono di organizzare una scena molto complessa ed articolata dal punto di vista luminoso, in grado di dinamizzare l’episodio e conferire varietà alle espressioni dei personaggi, ai gesti, alla loro collocazione nello spazio. Invece di utilizzare un'unica fonte luminosa, Leonardo sfrutta molteplici sorgenti35. Tre differenti fasci di luce provengono dal fondo e attraverso le aperture irradiano la scena. Un’ulteriore tipo proviene dal Refettorio stesso e si proietta quasi ortogonale al piano della parete dipinta. Infine, un fascio intenso penetra da sinistra per simulare e continuare l’effetto della luce naturale che entrava dalle finestre laterali nella stanza. Quest’ultimo accorgimento conferisce continuità illusoria alla scena rappresentata e si mescola con un’infinita serie di variazioni sul tema, che producono zone d’ombra, altre più illuminate, persino effetti di ombra illuminata. Specialmente da un punto di vista non ravvicinato, la composizione risulta quindi organizzata grazie ad una complessa regia luminosa che integra e stempera la distanza che la visione prospettica tradizionale può creare in nome di una perfezione matematica astratta. Leonardo, al contrario, cercare di superare la barriera fra spazio reale e virtuale per coinvolgere emotivamente lo spettatore come mai era avvenuto prima. Lo spettatore risulta pienamente partecipe, secondo il principio dello spettatore oculare e della proprietà transitiva fra occhio/opera d’arte ed ha l’impressione che la scena capitale si stia dispiegando proprio in quel momento sotto i suoi occhi36. Grazie alla sequenza aperta degli elementi, al gioco mutevole di sguardi, gesti, emozioni, alla luminosità e alla prospettiva cangiante, Leonardo pone il pubblico quasi nella condizione di assistere ad una rappresentazione teatrale; il Cenacolo, in conclusione, diviene opera non da contemplare intellettualmente da lontano ma spazio vissuto ed empatico (secondo un modello percettivo non a caso proposto in contemporanea da Bramante nella tribuna di S. Maria delle Grazie), espressione diretta e partecipata di un momento drammatico, da rivivere, che si compie di fronte a noi, si perpetua, ma si rinnova ogni volta. Proprio come a teatro. Il Cenacolo manifesto di una poetica: l’arte come mimesis Il Cenacolo è un vero e proprio manifesto programmatico, la summa delle ricerche artistiche, scientifiche e tecniche portate avanti da Leonardo nel corso degli anni. L’elogio incondizionato verso la natura, i suoi fenomeni così diversi e i processi creativi la rendono ai suoi occhi l’unica possibile fonte di ispirazione, l’indiscutibile maestra per un artista che non voglia accontentarsi di essere soltanto un suo “nipote”. Il metodo empirico e sperimentale di Leonardo si applica in maniera estensiva, senza improprie scelte selettive o gerarchiche; l’insopprimibile ricerca di varietà in pittura (dettata dalla gamma dei fenomeni naturali) è l’unica scelta possibile per ottenere l’ambita qualifica di “universale” e distinguersi dagli artisti “selettivi” (Botticelli, che poco si curava del paesaggio nei suoi quadri) o ripetitivi (Perugino, le cui figure paiono tutte “fratelle”)37. Oltre alla grande varietà38 compositiva, prospettica, luminosa (di cui si è detto), tonale (di cui si parla nel prossimo paragrafo), l’aspetto più sorprendente risiede nella distinzione gestuale fra gli apostoli: tale innovazione, che forse si rischia di leggere con sufficienza o come scontata, è in realtà di straordinaria importanza in un’epoca in cui il repertorio gestuale, come ci ricorda Gombrich, era assai povero e limitato39. Questo risultato, davvero prodigioso per il Quattrocento, è frutto dei molteplici studi e disegni condotti da Leonardo sul naturale e risponde a una precisa esigenza dell’artista, più volte ribadita anche nei suoi scritti: riuscire a distinguere da un punto di vista psicologico i personaggi rappresentati, visualizzando emozioni, temperamenti e stati d’animo (i “moti dell’animo” con le parole dell’artista); il collegamento fra gestualità-emozioni trova un suggello paradigmatico laddove Leonardo consiglia ai colleghi di esercitarsi studiando i muti che, pur privi della parola, esprimono i propri sentimenti attraverso i gesti40. Gli effetti di questa acribia sono spettacolari: nel Cenacolo non ci sono gesti, posture, espressioni, movimenti, che vengano pigramente ripetuti. Le parole drammatiche di Cristo si riflettono sugli Apostoli ma con tempi, modalità ed incidenza diversi: generano stupore, incredulità, movimenti bruschi, gesti più pacati, atteggiamenti riflessivi. Alcuni hanno quasi l’atteggiamento ponderato di filosofi antichi; al contrario, l’incolpevole Filippo (il terzo guardando Cristo, alla nostra destra, in posizione speculare rispetto a Giuda, a sinistra), talmente turbato da doversi quasi scusare, si indica con la mano destra, emotivamente colpito, come per dire: “Signore, non sono io il colpevole”. Un gesto straordinario, dalla forte suggestione ed empatia, che avrà grandissima fortuna in seguito al punto di diventare emblematico, mentre sarà già ripreso in pittura a Venezia alla fine del Quattrocento41. Il paziente e meritorio restauro del Cenacolo ha prodotto esiti clamorosi, alcuni neppure immaginabili fino ad allora: fra questi, la rappresentazione della tovaglia e di quanto giace sopra di essa. Un intreccio straordinario di motivi naturalistici e simbolici. Gli oggetti sono descritti con una attenzione lenticolare: fra i vari dettagli della tavola apparecchiata, scorgiamo un’ampolla trasparente con l’acqua, piatti con riflessi, una fettina d’arancia, bicchieri, ricami azzurri sulla tovaglia che, all’estremità destra, presenta un nodo. Un naturalismo analitico che collega Leonardo, ancora una volta, ai pittori fiamminghi e di cui serbano traccia gli straordinari fiori visibili nell’arazzo sullo sfondo della parete42. I brani di natura morta sulla tavola, se vantano precedenti nell’arte antica, precorrono i successivi sviluppi di Caravaggio (vero inventore del tema) e del Seicento olandese. Ma già nel Cinquecento, l’attenzione per questo motivo (non ancora divenuto un genere artistico autonomo) inizia a diffondersi nell’Europa del Nord (Jacopo de’ Barbari, Natura morta, Monaco, Alte Pinakothek, 1504 e anche con Dürer e Cranach)43. Oltre agli inserti presenti sulla tovaglia, nel Cenacolo compaiono molteplici elementi che assolvono a diverse funzioni e accrescono il naturalismo dell’opera. Sulle pareti laterali della scena ed in mutate condizioni luminose campeggiano quattro arazzi a sinistra (in ombra) ed altrettanti a destra (ben illuminati); le ghirlande vegetali che racchiudono gli stemmi nelle lunette ricordano il motivo naturalistico (con foglie e frutti) abitualmente usato per addobbare la città in occasione di particolari cerimonie (matrimoni di stato). Le lunette, inoltre, mimetizzano e stemperano il trapasso dal virtuale soffitto a cassettoni (dipinto) allo spazio reale del refettorio. Sullo sfondo della scena campeggia, pur deteriorato, un luminoso paesaggio popolato da montagne . Il suo significato è emblematicamente sancito dalla collocazione all’altezza della testa di Cristo, ove giace la linea di orizzonte e il punto di vista del dipinto. E’ il risultato di molteplici studi condotti per anni sul naturale e la logica maturazione di un interesse già manifestato in gioventù, a partire dal Battesimo di Cristo eseguito con Verrocchio (che presenta uno splendido paesaggio di Leonardo)44. L’interesse per questo tema allontana ancora una volta l’artista da quella tradizione fiorentina, di cui pure si era nutrito in gioventù, tesa all’esaltazione del disegno, dei volumi, della prospettiva e propensa a trascurare elementi “accessori” come il paesaggio45. Il naturalismo dirompente del dipinto non preclude naturalmente la presenza di forti elementi simbolici46; al contrario, acuisce il significato religioso dell’insieme, lo rende più diretto ed emotivamente coinvolgente. Da un punto di vista religioso il Cenacolo di Leonardo, incentrato sull’annuncio del tradimento di Giuda, dà inizio alla sequenza della Passione di Cristo che si conclude proprio con la Crocifissione di Montorfano, affrescata dirimpetto. Frutti e piante illustrati nelle ghirlande e nelle lunette accompagnano simbolicamente questo percorso di Redenzione (e soltanto all’interno di tale itinerario spirituale si spiega la figura di un traditore): le pere alludono al legno dell’albero della croce, la palma al martirio, le mele alla Salvezza. Il pane ed il vino, alimento materiale per i confratelli che all’epoca desinavano nel refettorio, rappresentano per loro anche un nutrimento spirituale; inoltre, l’indicazione del pane e del vino da parte di Cristo, secondo tradizione, allude al proprio Sacrificio per la nostra Salvezza e Redenzione dei peccati; questa simbologia è confermata anche dalla posizione di Cristo, le cui braccia aperte (con le mani sulla tavola) alludono (e preludono) alla Crocifissione (visualizzata da Montorfano sulla parete di fronte). Sulla tavola o a ridosso di essa giacciono ulteriori elementi fortemente caratterizzanti dal punto di vista simbolico. Giuda, lievemente teso a sinistra, vi appoggia il proprio braccio destro, la cui mano stringe l’ignobile sacchetto delle monete, chiara allusione all’ infame tradimento. Nel Cenacolo, infine, il tema sacro è intrecciato ad elementi profani e dinastici, che segnano il passaggio di consegne da Gian Galeazzo a Ludovico il Moro (come si ricordava all’inizio), con precise allusioni alla moglie e ai figli. La tecnica innovativa Leonardo, consapevolmente, non realizza il Cenacolo seguendo la tradizione toscana dell’affresco. La tecnica del “buon fresco” prevede infatti una divisione della superficie in “giornate” e un’esecuzione rapidissima sull’intonaco bagnato. Leonardo, al contrario, vuole ottenere effetti pittorici più sfumati e atmosferici e necessita quindi di un procedimento simile alla pittura su cavalletto, a secco, che gli consenta di procedere lentamente e soprattutto di apportare modifiche in corso d’opera (impossibili con l’affresco). Per garantire la durata e la conservazione (rivelatasi effimera) del dipinto su muro, Leonardo prepara la superficie con due diversi strati di materiale: una base di carbonato di calcio, per rendere omogenea una parete altrimenti difforme; un secondo livello più fine e levigato, di bianco di piombo, su cui fare aderire il pigmento (ossia il colore a tempera). Successivi ritocchi ad olio e ulteriori rifiniture in oro conferiscono alla superficie un tono vibrante ed acceso, ma ne precludono la conservazione47. Grazie ad un procedimento tecnico raffinato, Leonardo utilizza pennellate minute e sottili che risolvono con precisione lenticolare i dettagli all’apparenza più insignificanti. Questa poetica naturalistica “alla fiamminga” porta ad analizzare con lo stesso impegno le diverse parti da dipingere, senza alcuna selezione; nella visione di Leonardo, la definizione anatomica o la resa prospettica non devono portare a trascurare altri aspetti tradizionalmente negletti. Questa impostazione “universale” (volta a rappresentare tutti i fenomeni naturali)48 si basa su un espediente straordinario per una pittura murale: l’utilizzo delle velature, di strati di colore sovrapposti per ottenere un effetto atmosferico “sfumato”; lo sfumato, in questo caso, non è quindi una possibile evoluzione del chiaroscuro di Massaccio, ma si identifica con un modulato trapasso di colori simile al tonalismo di quei pittori veneziani che non a caso (Giorgione, Doppio Ritratto, Roma, Palazzo Venezia) saranno suoi debitori. Il significato del disegno All’interno della tradizione fiorentina il disegno occupa un ruolo prioritario, normativo. La visione toscana trova in Michelangelo (Tondo Doni, Uffizi) il suo esponente principe. La definizione lineare delle forme porta ad esaltare volumi scultorei, contorni netti ed incisivi torniscono figure dall’anatomia perfetta. In tale ottica il disegno svolge una funzione quasi metafisica, a priori, garantisce l’idealizzazione delle scene rappresentate in ossequio allo stile classico e al neoplatonismo imperante a Firenze49. La posizione di Leonardo è molto diversa. L’artista contesta il linearismo insistito e la nettezza dei contorni. Il disegno, nella sua visione, non circoscrive la natura ma la indaga in chiave atmosferica. La svalutazione della linea porta invece ed elogiare la macchia e l’abbozzo50. Una prima, eloquente prova in questo senso, si trova nell’Adorazione dei Magi degli Uffizi, fondamentale precedente per il dipinto milanese. Anche Il Cenacolo riflette questo nuovo orientamento: alcuni disegni degli apostoli, a matita rossa, creano un effetto vivido e palpitante, coinvolgente emotivamente, lontano dai contorni “spediti” di Michelangelo o Botticelli51. Il disegno genera quindi le emozioni. Non vi sono invece, non a caso, prove dell’uso di un cartone complessivo, a conferma di una tecnica spregiudicata ed anticonvenzionale. Probabilmente Leonardo realizza un disegno preparatorio direttamente sul muro (ve ne sono tracce, rinvenute a seguito del più recente restauro), per avere la possibilità di effettuare modifiche fino all’ultimo52. 1 Il principale testo di riferimento, realizzato a conclusione del restauro dell’opera, è P. Brambilla Barcilon, P.C. Marani, Leonardo. L’Ultima Cena, Electa, Milano 1999. Naturalmente, le mutate (decisamente in meglio, con alcuni dettagli incredibili) condizioni di leggibilità non devono portare a fraintendere lo stato del dipinto e a sperare di trovarsi di fronte ora “al vero Leonardo”, dopo oltre 500 anni. E’ quest’ultimo un pensiero che non tiene conto, fra le altre cose, del patimento sofferto dall’opera nel corso dei secoli e delle difficoltà affrontate per preservarlo al meglio. Il restauro, come è nelle migliori tradizioni, mira alla tutela e alla conservazione e non deve rispondere alle attese di chi vorrebbe leggere un’opera sulla base di un attitudine percettiva influenzata da immagini e strumenti (la televisione, la fotografia, il computer) che all’epoca non esistevano e possono creare delle attese comprensibili, ma lontane da materiali, tecniche, procedimenti esecutivi così lontani nel tempo (che vengono invece esaminati con il dovuto rispetto e le cautele del caso). 2 La possibilità di ammirare da vicino, dal 2009 al 2015, durante 24 mostre nella Sagrestia di S. Maria delle Grazie e alla Biblioteca Ambrosiana a Milano, gli oltre 1000 fogli del Codice Atlantico di Leonardo, mi pare un’occasione imperdibile. Si veda, a questo proposito, l’intervento del coordinatore scientifico delle mostre in occasione della prima esposizione: P. C. Marani, Introduzione, in Fortezze, Bastioni e Cannoni. Disegni di Leonardo dal Codice Atlantico, catalogo della mostra, De Agostini, Novara 2009, pp. 17-39. 3 Una profonda disamina della produzione artistica all’interno di concetti articolati quali “sequenze” , “serie”, “età sistematica”, consente un uso meno corrivo e banalizzante della nozione (oggi abusata) di “genio”. Si veda, a questo proposito, G. Kubler, The Shape of Time. Remarks on the History of Things, Yale University Press, New HavenLondon 1962 (trad.it., La forma del tempo. Considerazioni sulla storia delle cose, Introduzione di Giovanni Previtali, Einaudi, Torino 1976). Di grande utilità anche le riflessioni di E. H. Gombrich, Art and Illusion. A Study in Psychology of Pictorial Representation, Phaidon, London 1959 (trad.it., Arte e illusione. Studio sulla psicologia della rappresentazione pittorica, Einaudi, Torino 1965). 4 Le mostre dedicate al Codice Atlantico, di cui si riferisce alla nota 2, sono altamente indicative in questo senso e consentono di avvicinarci al faticoso lavoro quotidiano dell’artista, dedito non soltanto a raffinati progetti artistici ma anche a progettare armi, fortezze, macchinari di vario genere (alla stregua di un qualificato artigiano), bagni privati, nonché ad esaudire i desiderata di corte con feste, motti, facezie e quant’altro. Sui limiti di Ludovico il Moro come committente, si veda: L. Giordano, Nihil supra. La magnificenza di Ludovico Sforza, in Arte, committenza ed economia a Roma e nelle corti del Rinascimento (1420-1530), Atti del Convegno Internazionale (Roma 1990), a cura di A. Esch, C. L. Frommel, Einaudi, Torino 1995, pp. 273-96. 5 Lo studio rigoroso (e non cialtronesco) del soggetto e del significato complessivo di un’opera d’arte richiede molteplici e raffinate competenze, che spaziano dalla mitologia alla religione, dalla filosofia alla storia della cultura in senso molto ampio. Ovviamente, è necessaria una padronanza quasi sterminata della tradizione artistica, di soggetti, simboli, allegorie, convenzioni di rappresentazione e molto altro ancora. Per un primo approccio orientativo alla questione (che ancora, come monito purtroppo poco osservato, dovrebbe suggerire prudenza ermeneutica a chi propone allegre e non provate letture), si veda E. Panofsky, Studies in Iconology, Oxford University Press, New York 1939 (trad.it., Studi di iconologia, Einaudi, Torino 1975). 6 Per avere una prima idea delle sovrastrutture culturali, emotive e percettive che hanno contribuito a costruire il mito della Gioconda, si veda D. Sassoon, Mona Lisa. The History of the World’s most Famous Painting, Collins, London 2001 (trad.it., La Gioconda. L’avventurosa storia del quadro più famoso del mondo, Carocci, Roma 2001); per uno spaccato interpretativo, G. Pallanti, La vera identità della Gioconda. Un mistero svelato, Skira, Génèvre-Milano 2006. Per il mito di Leonardo nell’800 all’interno di un quadro complessivo ed originale dell’epoca, M. Praz, La carne, la morte e il diavolo nella letteratura romantica (1930, Milano-Roma), Sansoni, Firenze 1999. 7 Di tutti questi aspetti, oltre che della fortuna critica dell’opera, utilissima per inquadrare con taglio diacronico le novità del Cenacolo rilevate nel corso dei secoli, rende conto l’approfondito volume di P. Brambilla Barcilon, P.C. Marani, Leonardo… cit. Ci si rende subito conto, da una prima lettura, di come alcuni aspetti fondamentali (mimesis dei dettagli, rilevata da Vasari, unicità dell’opera, ecc.) siano stati subito intuiti già all’epoca. 8 Sulla nuova scienza della natura proposta da Leonardo e più in generale sul profilo culturale del maestro, si veda C. Dionisotti, Leonardo uomo di Lettere (1962, “Italia medioevale e umanistica”), in Id., Appunti su arti e lettere, Jaca Book, Milano 1995, pp. 21-50. La “totale subordinazione dell’arte alla natura” è chiamata efficacemente il “motivo di Leonardo” da W. Tatarkiewicz, Storia di sei Idee, Aesthetica, Palermo 1993, p. 391 (od. or. 1976, Warsawa). 9 Le vicende relative alla committenza del Cenacolo, con il passaggio di consegne da Gian Galeazzo a Ludovico il Moro e il ruolo assunto dai padri domenicani, sono riassunte in un intervento recente di P. C. Marani, 9 febbraio 1498. Il «Cenacolo» svelato, in I giorni di Milano, Laterza, Roma-Bari 2010, pp. 69-95. Il saggio propone, oltre ad una disamina completa del dipinto murale, un inquadramento storico e culturale indispensabile per inquadrare il capolavoro all’interno dello stimolante contesto milanese. Il titolo del saggio, come è noto, allude alla data di conclusione dei lavori (un sicuro ante quem), certificata da un osservatore d’eccellenza come Luca Pacioli. 10 Il documento è riprodotto da E. Villata, in P. C. Marani, Leonardo da Vinci. Una carriera di pittore (1999), Motta, Milano 2003, pp. 346-47. La condotta “rilassata” del maestro (una lentezza soltanto presunta, in realtà dettata dal suo nuovo approccio epistemologico e tecnico) era comunque proverbiale e ricordata dalle fonti, ad esempio Matteo Bandello. Su questo aspetto si veda F. Zöllner, Leonardo da Vinci, 1452-1519. Sämtliche Gemälde und Zeichnungen, Taschen, Köln 2003 (tr. it., Leonardo da Vinci,1452-1519. Tutti i dipinti e disegni, Taschen, Köln 2007, pp. 135-36). 11 Su questi aspetti, P. C. Marani, Il Cenacolo di Leonardo, in P. Brambilla Barcilon, P.C. Marani, Leonardo… cit., pp. 15-93. 12 Sulla vicende relative alla chiesa e al ruolo dei domenicani, si veda il volume Santa Maria delle Grazie in Milano, Introduzione di G. A. Dell’Acqua, Amilcare Pizzi, Cinisello Balsamo (Milano) 1983. Fra le fonti antiche, è da citare almeno la voce autorevole di padre Girolamo Gattico (1574-1646); si veda a proposito, la recente pubblicazione, Fra G. Gattico, Descrizione succinta e vera delle cose spettanti alla chiesa di Santa Maria delle Grazie…, ed. a cura di E. E. Bellagente, presentazione di P. C. Marani, Ente Raccolta Vinciana, Castello Sforzesco, Milano 2004. 13 La figura del Vimercati è ampiamente analizzata in diversi saggi del volume Santa Maria delle Grazie in Milano… cit. 14 Per la cronologica dell’opera, P. C. Marani, Il Cenacolo…, cit., pp. 15-36; si veda inoltre La biblioteca, il tempo e gli amici di Leonardo. Disegni di Leonardo dal Codice Atlantico (seconda esposizione), catalogo della mostra, a cura di E. Villata, De Agostini, Novara 2009, pp. 31 e 89. 15 Per un’analisi approfondita delle novità introdotte nel dipinto, ma anche dei possibili debiti rispetto alla tradizione precedente (segnatamente i grandi prototipi fiorentini), si rimanda a Il genio e le passioni. Leonardo e il Cenacolo. Precedenti, innovazioni, riflessi di un capolavoro, catalogo della mostra, a cura di P. C. Marani, prefazione di E. H. Gombrich, Skira-Artificio, Milano-Firenze 2001. 16 La tendenza a non accettare supinamente modelli consolidati o normativi è cifra complessiva nell’attività di Leonardo, che sottopone a vaglio rigoroso la tradizione precedente (a livello artistico ed epistemologico). La sua capacità di mettere in discussione la scienza fin dalle fondamenta, è oggetto dell’analisi di M. Kemp, La crisi del sapere tradizionale nell’ultimo Leonardo, in Leonardo e l’età della ragione, a cura di E. Bellone, P. Rossi, Scientia, Milano 1982, pp. 43-52. 17 Per uno studio degli esempi toscani, C. Acidini Luchinat, Note sulla psicologia dei commensali nei Cenacoli fiorentini prima e dopo Leonardo, in Il genio e le passioni…cit., pp. 47-52 18 Questa celebre definizione, che afferisce al problema del significato educativo dell’arte (secondo un modello pedagogico assai diffuso per molti secoli) risale a Gregorio Magno (papa fra il 590 e il 604); si veda a proposito D. Levi, Gregorio Magno e la funzione didattica delle immagini, in Eadem, Il discorso sull’arte. Dalla tarda antichità a Ghiberti, Bruno Mondadori, Milano 2010, pp. 90-94. 19 Sul disegno si rimanda alla scheda di P. C. Marani, in Il genio e le passioni… cit., pp. 124-26, n. 27. Si veda inoltre Leonardo. Studies for the Last Supper from the Royal Library at Windsor Castle, catalogo della mostra, a cura di C. Pedretti, Cambridge University Press, Cambridge 1983, pp. 64-71, n. 3. 20 Per un’analisi di questi concetti (decoro, convenienza, varietà, composizione, Historia, in relazione alla trattatistica dell’epoca) ed alcune indicazioni bibliografiche sui singoli argomenti, si veda: S. Ferrari, Voci del Rinascimento. Attraverso gli scritti di artisti e teorici dell’epoca, Pearson Paravia Bruno Mondadori, Milano 2008 21 Sui rapporti fra i due maestri, si veda P. C. Marani, Leonardo e Leon Battista Alberti (1994, Milano), da poco ripubblicato in Id., Leonardiana. Studi e saggi su Leonardo da Vinci, Skira, Génèvre-Milano 2010, pp. 313-23. 22 S. Ferrari, Voci del Rinascimento… cit., pp. 27-31. 23 Tale precetto compare incessantemente nei suoi scritti; per una prima, agile campionatura, si veda L. da Vinci, Scritti artistici e tecnici, a cura di B. Agosti, Rizzoli, Milano 2002. Di grande utilità anche la raccolta Scritti scelti di Leonardo da Vinci, a cura di A. M. Brizio (1952, Torino), Utet, Torino 1966. 24 Questi effetti dinamici, che generano quasi una vitale sequenza di fotogrammi, sono sottolineati da P. C. Marani, Il Cenacolo di Leonardo, in Il Cenacolo. Guida al Refettorio e a Santa Maria delle Grazie (1999, Milano), Mondadori Electa, Milano 2007, pp. 11-45. 25 Il problema del movimento nel dipinto murale, nodo fondante delle sue ricerche artistiche (con una sequenza di risultati che connette l’Adorazione dei Magi al Cenacolo), è vagliato in parallelo agli interessi del maestro in altri ambiti (dall’ottica all’acustica) da Id., Invenzione e rappresentazione in Leonardo (2003, Milano-Roma), in Id., Leonardiana… cit., pp. 207-24. 26 Uno spaccato di alcune categorie fondanti il linguaggio critico dell’epoca si trova in M. Baxandall, Painting and Experience in Fifteenth Century Italy, Oxford University Press, Oxford 1972 (trad.it., Pittura ed esperienze sociali nell’Italia del Quattrocento, Einaudi, Torino 1978). 27 E infatti, con le parole di Leonardo, è indispensabile che “il giovane debe prima imparare prospettiva”, per evitare errori puerili o un naturalismo facile all’apparenza, in realtà ingenuo. Il brano è riportato in Scritti d’Arte del Cinquecento, vol. VI, L’artista, a cura di P. Barocchi (1973, Milano-Napoli), Einaudi, Torino 1979, p. 1299. 28 La strenua battaglia combattuta da Leonardo per il giusto riconoscimento del valore intellettuale della pittura trova un apice, come è noto, nell’arguto paragone proposto con le altre discipline; si vedano, fra gli altri: L. da Vinci, Scritti artistici e tecnici…cit., pp. 174-89; Id., Il paragone delle arti, a cura di C. Scarpati, Vita e Pensiero, Milano 1993; Scritti d’Arte del Cinquecento, vol. III, Pittura e scultura, a cura di P. Barocchi (1971, Milano-Napoli), Einaudi, Torino 1978, pp. 475-88. La svolta impressa dall’artista nel rapporto fra le arti è sottolineata anche da W. Tatarkiewicz, Storia di sei Idee…, cit., p. 137. 29 Leonardo, in un suo brano, parla espressamente di “tre prespettive”; si veda L. da Vinci, Scritti artistici e tecnici…cit., p. 98; in un altro, di “prospettiva aerea” (p. 298). Per una riflessione più generale fra rappresentazione prospettica e percezione retinica, all’interno di una lettura che relativizza e storicizza il tema, E. Panofsky, Die Perspektive als “Symbolische Form”, Teubner, Leipzig-Berlin 1927 (trad.it., La prospettiva come “forma simbolica” e altri scritti, a cura di G. D. Neri, con una nota di M. Dalai, Feltrinelli, Milano 1984). 30 Su questo tema, con una prospettiva di ampio respiro, M. Kemp, The Science of Art. Optical Themes in Western Art from Brunelleschi to Seurat, Yale University Press, New Haven and London 1990 (trad.it., La scienza dell’arte. Prospettiva e percezione visiva da Brunelleschi a Seurat, Giunti, Firenze1994). Sul dipinto di Leonardo, P. C. Marani, 9 febbraio 1498… cit., pp. 73 e sgg. 31 La contemporanea presenza a Milano e in Lombardia di personalità come Bramante, Leonardo, Gasparo Visconti, Luca Pacioli, Francesco di Giorgio Martini, rende conto di un contesto culturale ricco di fermenti e stimoli propulsivi. Alcuni esempi relativi alla proficua collaborazione Leonardo-Pacioli (matematico di primo livello) sono presenti in Leonardo. Dagli studi di proporzioni al Trattato della pittura, catalogo della mostra, a cura di P. C. Marani, M. T. Fiorio, Mondadori Electa, Milano 2007. Un rapporto che in questi ultimi anni si ha modo di verificare da vicino grazie alle esposizioni dei fogli del Codice Atlantico (cfr. nota 2). Si veda, nello specifico, Leonardo, la politica e le allegorie. Disegni di Leonardo dal Codice Atlantico (quarta esposizione), catalogo della mostra, a cura di M. Versiero, De Agostini, Novara 2010, pp. 86-140-142-144-146-150. Si veda anche, C. Maccagni, Augusto Marinoni, Luca Pacioli e Leonardo, in “Hostinato rigore”. Leonardiana in memoria di Augusto Marinoni, a cura di P. C. Marani, Electa, Milano 2000, pp. 55-60. 32 Sulle relazioni fra Bramante e Leonardo, diverse riflessioni sono presenti in Bramante e la sua cerchia a Milano e in Lombardia 1480-1500, catalogo della mostra, a cura di L. Patetta, Skira, Génèvre-Milano 2001; P. Marani, Bramante e Leonardo architetti militari (1988, “Arte Lombarda”), in Id., Leonardiana… cit., pp. 303-11. Alcuni aspetti sulle dinamiche “padane” (anche in riferimento a Bramante e Leonardo) si trovano in S. Ferrari, Bramantino. Un intricato tema storiografico, in Nascita della storiografia e organizzazione dei saperi, in corso di stampa presso Olschki. 33 Sui rapporti Bramante-Leonardo insiste giustamente Marani nei suoi scritti; si veda, fra gli altri, P. C. Marani, Il Cenacolo di Leonardo, Skira, Génèvre-Milano 2009, p. 42. La carica rivoluzionaria degli Uomini d’arme di Brera crea un corto circuito figurativo che si riverbera a cascata su moltissimi maestri dell’epoca; fra questi, Vincenzo Foppa, ad esempio nel Martirio di S. Sebastiano a Brera, come ho avuto modo di sostenere in Alcune ipotesi per la formazione e il percorso di Butinone, in “Dialoghi di Storia dell’arte”, 8-9, 1999, p. 100, nota 36; il confronto e la conseguente indicazione cronologica si trovano anche nella scheda di S. Facchinetti in Vincenzo Foppa. Un protagonista del Rinascimento, catalogo della mostra, a cura di G. Agosti, M. Natale, G. Romano, Skira, Génèvre-Milano 2003, p. 204. Per la collocazione degli Uomini d’arme intorno al 1487, si veda P. C. Marani, La pittura a Milano al tempo di Bramante (1477-1499), in Bramante e la sua cerchia… cit., pp. 49-65, in part. p. 55; G. Romano, Un seminario su Bramantino, in “Concorso. Arti e Lettere”, I, 2007, pp. 39-69, in part. p. 63 (lo studioso propone 1486-89). Tale datazione è confermata dalla chiara ripresa degli affreschi in un ciclo bergamasco già nel 1489: S. Ferrari, Una facciata bramantesca a Bergamo, in Pellegrino da San Daniele. Giornate di studio (San Daniele del Friuli, 1997), a cura di A. Tempestini, Forum, Udine 1999, pp. 55-63, in part. pp. 57-58. 34 E’ interessante notare come, per l’impossibilità di raggiungere la “perfezione”nei risultati (malgrado un impegno davvero unico), permanga in Leonardo “un margine di insoddisfazione costituzionale” (come ricorda C. Scarpati, in L. da Vinci, Il Paragone delle arti… cit., p. 49). 35 P. C. Marani, Il Cenacolo di Leonardo, in Il Cenacolo. Guida al Refettorio… cit., p. 28. 36 Il coinvolgimento progressivo dello spettatore nel Quattrocento (con riferimento allo stesso Leonardo) è oggetto di uno studio raffinato di J. Shearman, Only Connect… Art and the Spectator in the Italian Renaissance, Trustees of the National Gallery of Art, Washington D.C. 1992, (trad.it., Arte e spettatore nel Rinascimento italiano. «Only connect»), Jaca Book, Milano 1995. 37 La “riprensione” (riprovazione) di Leonardo si può leggere con le gustose parole dell’artista in L. da Vinci, Scritti artistici e tecnici…cit., pp. 320 e 329. 38 Per il significato del termine in Leonardo, S. Ferrari, Voci del Rinascimento… cit., pp. 56-61. 39 La presenza di aspetti schematici e convenzionali nella rappresentazione artistica è al centro delle ricerche di E. H. Gombrich, Art and Illusion… cit. 40 Si veda il brano in Scritti d’arte del Cinquecento, vol. VII, t. 2, L’imitazione. Bellezza e grazia. Proporzioni-misuregiudizio, a cura di P. Barocchi (1973, Milano-Napoli), Einaudi, Torino 1979, pp. 1723-24. L’incredibile varietà delle emozioni proposta è fra i molti aspetti puntualizzati da un raffinato lettore come J. W. Goethe, Joseph Bossi über Leonards da Vinci Abendmahl zu Mayland, in “Über Kunst und Alterthum…”, fasc. 3, 1817 (trad.it., Il Cenacolo di Leonardo, a cura di M. Carminati, Abscondita, Milano 2004). Per un ampio spaccato sulla fortuna critica del dipinto, si veda P. C. Marani, Il Cenacolo di Leonardo, in P. Brambilla Barcilon, P.C. Marani, Leonardo… cit., pp. 53-69. 41 Della testa di Filippo possediamo uno splendido disegno preparatorio, su cui si veda la scheda di P. C. Marani, in Il genio e le passioni… cit., pp. 132, n. 31. La ripresa del gesto dell’apostolo compare a Venezia, al volgere del secolo, in un quadro di Jacopo de’ Barbari, si cui si veda: S. Ferrari, Jacopo de’ Barbari. Un protagonista del Rinascimento tra Venezia e Dürer, Paravia Bruno Mondadori, Milano 2006, p. 31. L’interferenza fra Lombardia, Veneto, Leonardo, leonardeschi e cultura nordica, è oggetto della disamina di P. C. Marani, Dürer, Leonardo e i pittori lombardi del Quattrocento (2007, Milano), in Id., Leonardiana… cit., pp. 325-42. 42 Il confronto con la pittura fiamminga è proposto in più pagine da P. C. Marani, Leonardo. Una carriera di pittore…cit. Un aspetto giustamente sviluppato anche da E. Villata, Leonardo, 5 Continens, Milano 2005. Per quanto riguarda le discussioni a seguito del restauro, si veda la nota di P. C. Marani, Il Cenacolo di Leonardo, Skira, GénèveMilano 2009, pp. 61-62; fra le voci critiche viene citato M. Kemp, che successivamente, nel recente Leonardo, Oxford University Press, Oxford 2004 (trad.it., Leonardo. Nella mente del genio, Einaudi, Torino 2006, p. XVIII), esprime invece “una sincera ammirazione, che non nutrivo (…) quando vidi per la prima volta il restauro completato”. 43 La linea che da Leonardo porta a Caravaggio (con opportuni riferimenti anche all’opera di Raffaello), è sottolineata da P. C. Marani, 9 febbraio 1498…cit., pp. 88-94; sull’invenzione della Natura Morta, il suo significato e i precedenti lombardi di Caravaggio, si veda R. Longhi, Caravaggio (1952, Milano), a cura di G. Previtali, Editori Riuniti, Roma 1982; sul genere artistico e la sua evoluzione, La Natura morta in Italia, a cura di F. Porzio, 2 vol., Electa, Milano 1989. 44 Sul naturalismo pittorico di Leonardo, si veda A. M. Brizio, Leonardo pittore, in Leonardo, a cura di L. Reti, Mondadori, Milano 1974, pp. 20-55. Per il dipinto, P. C. Marani, Leonardo. Una carriera di pittore…cit., pp. 62-67. 45 Fa quindi ora una certa impressione, anche a distanza di tempo, pensare a come il dipinto sia stato letto all’interno di una linea puramente filofiorentina (si veda, a proposito di questa lettura, S. Ferrari, Bramantino…cit.). 46 P. C. Marani, Il Cenacolo di Leonardo. Storia, significati, restauri, in Il Cenacolo. Il restauro, a cura di A. Artioli, Mondadori Electa, Milano 2002, pp. 45-69, in part. pp. 60-65. 47 Id., pp. 53-60. 48 La qualifica di “universale” viene messa in risalto da Adolfo Venturi, nella History of Art Criticism, Dutton and Co., New York 1936 (trad.it., Storia della critica d’arte, 1945, Firenze, Einaudi, Torino 1991), che pur in poche pagine (pp. 104-08) offre uno spaccato suggestivo del maestro, teso al superamento della tradizione e orientato verso veneziani, olandesi e fiamminghi. 49 Per l’analisi di alcuni aspetti della tradizione fiorentina e delle diverse posizioni di Leonardo, S. Ferrari, Voci del Rinascimento… cit., pp. 123-34. Per una panoramica sull’epoca, G.C. Sciolla, Primato del disegno: un dibattito accademico nel Rinascimento, in Il Disegno, vol. 1. Forme, tecniche, significati, a cura di G.C. Sciolla, Istituto San Paolo, Amilcare Pizzi, Cinisello Balsamo (Milano) 1991, pp. 11-38; Id., Il disegno nella letteratura artistica del Cinquecento, in “Grafica d'arte”, II,1991, nr. 7, p. 24-32. 50 Le conseguenze di tali innovazioni sono messe in risalto da C. Luporini, La mente di Leonardo (1953, Firenze), Le Lettere, Firenze 1997, pp. 123-27. Su Leonardo e più in generale sul Rinascimento ha scritto, come è noto, pagine fondamentali E. H. Gombrich; si veda, in particolare, Norm and Form. Studies in the Art of the Renaissance, Phaidon, London 1966 (trad.it., Norma e Forma. Studi sull’arte del Rinascimento, 1973, Torino, Mondadori Electa, Milano 2003). All’interno di tale raccolta si trova il saggio: I precetti di Leonardo per comporre delle storie (pp. 68-73), di grande interesse. Si veda inoltre, dello stesso autore, New Light on Old Masters, Phaidon, Oxford 1986 (trad.it., Antichi maestri, nuove letture, Einaudi, Torino 1987, in part. pp. 29-59), con diverse osservazioni metodologiche sul maestro. 51 Su questo tema, P. C. Marani, I disegni di Leonardo per il Cenacolo (2001, Milano), in Id., Leonardiana… cit., pp. 259-83. Si veda anche, F. Ames-Lewis, Leonardo da Vinci e il disegno a matita, in “Raccolta Vinciana”, XXIX, 2001, pp. 3-40. 52 P. C. Marani, Il Cenacolo di Leonardo. Storia, significati, restauri… cit., p. 49. Nota Bibliografica Si vuole offrire una scelta sintetica per orientare il pubblico alla lettura di alcuni testi relativi all’artista e al suo più grande capolavoro. Per un approfondimento dei singoli aspetti, si rimanda alle note del saggio. Il principale testo di riferimento, realizzato a conclusione del restauro dell’opera, è P. Brambilla Barcilon, P.C. Marani, Leonardo. L’Ultima Cena, Electa, Milano 1999 (con bibliografia completa fino a quella data). Fra i contributi sul Cenacolo comparsi negli ultimi anni, si segnalano: Il genio e le passioni. Leonardo e il Cenacolo. Precedenti, innovazioni, riflessi di un capolavoro, catalogo della mostra, a cura di P. C. Marani, prefazione di E. H. Gombrich, Skira-Artificio, Milano-Firenze 2001; P. C. Marani, Il Cenacolo di Leonardo. Storia, significati, restauri, in Il Cenacolo. Il restauro, a cura di A. Artioli, Mondadori Electa, Milano 2002, pp. 45-69; P. C. Marani, Il Cenacolo di Leonardo, in Il Cenacolo. Guida al Refettorio e a Santa Maria delle Grazie (1999, Milano), Mondadori Electa, Milano 2007, pp. 11-45; C. Perdetti, La Cena del secolo, in Id., Leonardo e io, Mondadori, Milano 2008, pp. 120-58; P. C. Marani, Il Cenacolo di Leonardo, Skira, Génève-Milano 2009; P. C. Marani, 9 febbraio 1498. Il «Cenacolo» svelato, in I giorni di Milano, Laterza, Roma-Bari 2010. Per un profilo complessivo sull’artista, si vedano i seguenti contributi: M. Kemp, Leonardo. Le mirabili operazioni della natura e dell’uomo, Mondadori, Milano 1982 (ed. or. 1981); P. C. Marani, Leonardo da Vinci. Una carriera di pittore (1999), Motta, Milano 2003; F. Zöllner, Leonardo da Vinci. Tutti i dipinti e disegni, Taschen, Köln 2007 (ed. or. 2003). Si rimanda infine ai molti spunti presenti nel recente volume di P. C. Marani, Leonardiana. Studi e saggi su Leonardo da Vinci, Skira, Génève-Milano 2010. Per “avvicinarsi” a Leonardo attraverso i suoi scritti, si veda l’agile volume L. da Vinci, Scritti artistici e tecnici, a cura di B. Agosti, Rizzoli, Milano 2002. Per il mito di Leonardo nell’800 all’interno di un quadro complessivo ed originale dell’epoca (scevro da letture fiorvianti), M. Praz, La carne, la morte e il diavolo nella letteratura romantica (1930, Milano-Roma), Sansoni, Firenze 1999. FOTO: PP. 18-27 (SOTTO)-28-29 (DS)- 30-99- 101- 129-194-242259-264-265-299 (PIATTO CON SPICCHIO DI ARANCIA)- 305 (PANE)-307-322-323-340Varrebbe la pena, anche il presunto, celebre autoritratto alla Reale di Torino (in realtà, probabile studio per l’apostolo Taddeo).