Catalogo

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Catalogo
Il Tesoro
del
Cremlino
in copertina: Tazza, botteghe del Cremlino, 1694 (cat. n. 40)
a pagina 6: Veduta del Palazzo dell’Armeria e della Torre Borovitskaya nel Cremlino di Mosca
Ministero per i Beni e le Attività Culturali
Direzione Regionale per i Beni Culturali e Paesaggistici della Toscana
Soprintendenza Speciale per il Patrimonio Storico, Artistico
ed Etnoantropologico e per il Polo Museale della città di Firenze
Museo degli Argenti di Palazzo Pitti
Ministero della Cultura della Federazione Russa
Musei del Cremlino di Mosca
Il Tesoro
del
Cremlino
a cura di
Irina Gorbatova
Maria Sframeli
ISBN 978-88-8347-606-8
© 2011 Ministero per i Beni e le Attività Culturali
Soprintendenza Speciale per il Patrimonio Storico, Artistico
ed Etnoantropologico e per il Polo Museale della città di Firenze
© 2011 Musei del Cremlino di Mosca
Una realizzazione editoriale
s i l l a b e s.r.l.
Livorno
www.sillabe.it
[email protected]
direzione editoriale: Maddalena Paola Winspeare
progetto grafico: Susanna Coseschi
redazione: Barbara Galla
fotolitografia: La Nuova Lito, Firenze
stampato presso Media Print, Livorno
RistampeAnno
0 1 2 3 4 5 6 7 8 9 2011 2012 2013 2014 2015 2016 2017 2018 2019 2020
sillabe
Comunicazione a cura di
Opera Laboratori Fiorentini - Civita Group
Il Tesoro
del
Sito web
www.unannoadarte.it/cremlino
Cremlino
Ufficio Stampa
Camilla Speranza
Barbara Izzo e Arianna Diana
Firenze, Palazzo Pitti - Museo degli Argenti
27 maggio - 11 settembre 2011
Segreteria Ufficio Stampa
Promozione e relazioni esterne
Mariella Becherini
Direzione Regionale per i Beni Culturali e Paesaggistici della Toscana
Immagine coordinata e progetto grafico
per sito web
Senza Filtro Comunicazione - Firenze
Soprintendenza Speciale per il Patrimonio Storico, Artistico
ed Etnoantropologico e per il Polo Museale della città di Firenze
Trasporti
Arterìa
Ministero per i Beni e le Attività Culturali
Museo degli Argenti - Palazzo Pitti, Firenze
Restauri
Galleria degli Uffizi:
Francesca Spagnoli
Ministero della Cultura della Federazione Russa
Musei del Cremlino di Mosca
Musei del Cremlino:
Vladimir Vychuzhanin, Nikolai Maresev
Firenze Musei
Albo dei prestatori
Mosca, Musei del Cremlino
Firenze, Archivio di Stato
Firenze, Biblioteca Nazionale Centrale
Firenze, Galleria degli Uffizi
Firenze, Museo Nazionale del Bargello
Firenze, Museo di Storia Naturale, sezione
di Mineralogia, Università di Firenze
Firenze, Palazzo Pitti, Galleria Palatina
Firenze, Palazzo Pitti, Museo degli Argenti
Ente Cassa di Risparmio di Firenze
Cristina Acidini
Soprintendente per il Patrimonio Storico, Artistico ed Etnoantropologico
e per il Polo Museale della città di Firenze
Elena Gagarina
Direttore Generale dei Musei del Cremlino di Mosca
Maria Sframeli
Direttrice del Museo degli Argenti di Palazzo Pitti
Zelfira Tregulova
Vicedirettrice per le mostre dei Musei del Cremlino di Mosca
con la collaborazione di
Media partner
Direzione della mostra
Maria Sframeli
Realizzazione dell’allestimento
Opera Laboratori Fiorentini - Civita Group
Cura della mostra
Irina Gorbatova
Grafica
Sillabe
Cura della sezione fiorentina
Maria Sframeli
Riccardo Gennaioli
Direzione Amministrativa
Giovanni Lenza
con la collaborazione di
Manola Cosi e Simona Pasquinucci
Coordinamento della mostra
Ilaria Bartocci
Olga Šašina
Progettazione dell’allestimento e direzione dei lavori
Mauro Linari
Direzione del personale
Silvia Sicuranza
Produzione e gestione della mostra
Opera Laboratori Fiorentini - Civita Group
Garanzia di Stato
Ministero per i Beni e le Attività Culturali
Direzione Generale per la valorizzazione
del patrimonio culturale
Mario Resca
Servizio I – Valorizzazione del patrimonio
culturale, programmazione e bilancio
Manuel Roberto Guido
Ufficio Garanzia di Stato
Antonio Piscitelli
Marcello Tagliente
Angelina Travaglini
Istituto Superiore per la Conservazione ed il
Restauro
Marìca Mercalli
Gabriella Prisco
Ministero dell’Economia e delle Finanze
Dipartimento Ragioneria dello Stato
Ispettorato Generale del Bilancio
Ufficio XI
Rosario Stella
Collaboratori
Sebastiano Verdesca
Paola Pollastri
Ufficio mostre della Soprintendenza
Speciale per il Patrimonio Storico,
Artistico ed Etnoantropologico e per il
Polo Museale della città di Firenze
Monica Fiorini e Sabrina Brogelli
Catalogo a cura di
Irina Gorbatova e Maria Sframeli
Autori delle schede
N.A. - Natalja Abramova
S.A. - Svetlana Amelehina
I.B. - Irina Bobrovnickaja
V.Č. - Valentina Čubinskaja
A.Č. - Alexandr Čubinskij
R.G. - Riccardo Gennaioli
L.G.S. - Lisa Goldenberg Stoppato
E.JA. - Elena Jablonskaja
A.Ko. - Alexandr Kolyzin
I.K. - Inna Kostina
A.K. - Anžela Kudrjavceva
M.M. - Marina Martynova
O.M. - Olga Mel’nikova
F.M. - Francesco Morena
E.M. - Elena Moršakova
V.N. - Vasilij Novoselov
M.S.H. - Micaela Sambucco Hamoud
L.Š. - Ljudmila Šanskaja
O.Š. - Olga Šašina
I.S. - Irina Sterligova
I.V. - Inna Višnevskaja
S.Z. - Svetlana Zjuzeva
M.Z. - Marina Zaigrajkina
Traduzioni
Gabriella Tozzetti
Referenze fotografiche
Archivio di Stato di Firenze; Biblioteca
Nazionale Centrale di Firenze: foto
GAP; Gabinetto Fotografico della
Soprintendenza SPSAE e per il Polo
Museale della città di Firenze; Musei del
Cremlino: foto Valentin Overchenko,
Sergey Baranov, Alexander Sushenok;
Museo di Storia Naturale, sezione di
Mineralogia, Università di Firenze: foto
Edoardo Inturrisi
Ringraziamenti
Maria Beatrice Bacci, Marta Bencini,
Roberto Boddi, Alessandro Cecchi,
Marcello Consoli, Valentina Conticelli,
Daniela Degl’Innocenti, Claudio Di
Benedetto, Maria Anna Di Pede, Filippo
Fineschi, Marco Fossi, Cristina Gabbrielli,
Galina Khatina, Galina Kuleva, Nadia
Lastrucci, Tatiana Lekhovich, Massimo
Liccardo, Francesca de Luca, Piero
Marchi, Giorgio Marini, Antonio Natali,
Beatrice Paolozzi Strozzi, Carla Pinzauti,
Luisa Poggi, Giovanni Pratesi, Anna Maria
Sacco, Maria Letizia Sebastiani, Marilena
Tamassia, Patrizia Tarchi, Angelo Tartuferi,
Carla Zarrilli
Un ringraziamento particolare
all’Ambasciatore d’Italia a Mosca Antonio
Zanardi Landi e a Margherita Belgiojoso
Si ringrazia inoltre tutto il personale del
Museo degli Argenti
Presentazioni
Giuliano Urbani
Giancarlo Galan
Cristina Acidini
Elena Gagarina
Michele Gremigni
Maria Sframeli
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Il Palazzo dell’Armeria del Cremlino di Mosca
Tesoro d’arte e testimone di storia
Irina Gorbatova
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Schede
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L’arte della diplomazia
Scambi di doni preziosi tra i Medici e gli zar di Russia
Maria Sframeli, Riccardo Gennaioli
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Schede
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Bibliografia generale
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La mostra ospitata nelle sale del Museo degli Argenti è uno degli eventi principali delle celebrazioni Italia-Russia 2011 che ho l’onore di coordinare. È stato infatti possibile attuare uno scambio fra i due musei europei, il Museo del Cremlino di Mosca e il Museo degli Argenti di Firenze,
che conservano il frutto prezioso del collezionismo di due grandi dinastie: i Medici, Granduchi di
Toscana, e gli Zar di Russia.
Al Cremlino viene presentata una ricca selezione dei tesori collezionati dai Medici in quasi quattro secoli di storia che attraversano la fioritura artistica dell’Umanesimo e del Rinascimento, l’affermarsi della raffinatezza estrema allo stesso tempo eccentrica e intellettuale del Manierismo, la
fioritura del fasti barocchi.
Il museo fiorentino accoglie invece più di cento capolavori, provenienti dal Palazzo del Cremlino
cuore politico dell’antica Russia, parte del “Tesoro dei Gran Principi e degli Zar”: oggetti preziosi appartenuti agli imperatori e cimeli legati ai nomi di famosi governanti e uomini politici, a
eventi storici di rilevanza nazionale e a vittorie militari.
Auspichiamo che iniziative come questa contribuiscano a rinsaldare i già amichevoli rapporti fra
i due Paesi in uno spirito di sempre maggior collaborazione fatta anche della consapevolezza di
antiche consuetudini e di comuni radici storiche.
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Giuliano Urbani
Coordinatore per l’Anno della Cultura e della Lingua russa in Italia e della Cultura e della Lingua italiana in Russia - 2011
Non è frequente che due musei, custodi di alcuni dei tesori dinastici più importanti al mondo,
si accordino per uno scambio come quello che nel mese di maggio 2011 si apprestano a fare
il Museo del Cremlino e il Museo degli Argenti di Firenze. Il Ministero per i Beni e le Attività
Culturali non può che manifestare la propria soddisfazione per questo evento che rappresenta uno dei momenti salienti delle celebrazioni per l’Anno Italia-Russia 2011.
È stato in tal senso determinante l’apporto dell’Ufficio istituito presso la Presidenza del
Consiglio dei Ministri, Coordinatore Giuliano Urbani, che ha gestito il complesso delle iniziative trovando in questo caso la fattiva collaborazione della Soprintendenza per il Polo
Museale fiorentino diretta da Cristina Acidini.
Nel cuore dell’antica reggia di Palazzo Pitti, vengono così ospitate circa centocinquanta opere,
testimonianza del periodo più fiorente dell’Armeria del Cremlino, che accoglieva i laboratori da
cui uscivano i manufatti destinati alla corte dello zar: il laboratorio dell’oro (zolotaja palata),
quello dell’argento (serebrjannaja palata), l’atelier della zarina (carycina palata), dove sotto la
guida della sovrana le migliori cucitrici in oro confezionavano e decoravano gli sfarzosi abiti
della famiglia dello zar e delle alte gerarchie della chiesa russa ortodossa. Nelle botteghe gestite
dal dicastero delle scuderie si producevano poi finimenti per cavalli e carrozze e nel più antico e
più vasto dei laboratori (oružejnaja palata) si fabbricavano le armi.
Il Tesoro del Cremlino conserva però anche oggetti giunti a Mosca come acquisti o doni provenienti dall’Europa occidentale, testimonianza dei rapporti diplomatici e commerciali intrattenuti
con il resto d’Europa attraverso i secoli.
Già all’inizio del Seicento risalgono alcune attività diplomatiche tese a cementare i rapporti fra la
corte fiorentina dei Medici e quella degli zar di Mosca. Il granduca Ferdinando i sostenne l’importante missione commerciale guidata nel 1602 dal mercante livornese Avraham Lussio, finalizzata
al libero commercio nelle terre russe, promettendo Ferdinando lo stesso privilegio ai mercanti russi
che fossero giunti in Toscana; altre attestazioni dei contatti tra Firenze e Mosca sono del 1656 con
l’ambasceria russa capeggiata da Ivan Ivanovič Čemodanov, inviato in Italia con mèta Venezia
dallo zar Aleksej Michailovič della dinastia dei Romanov, seguita solo quattro anni più tardi da
una nuova ambasceria guidata da Vasilij Bogdanovič Lichačëv, questa volta finalizzata alla stipula di accordi commerciali proprio con Firenze. Nel corso della seconda metà del Seicento e dei
primi decenni del Settecento altre missioni diplomatiche russe raggiunsero Firenze, come quella
inviata nel 1711 da Pietro il Grande a Cosimo iii.
Giunge quindi particolarmente opportuna questa occasione per ricordare che i rapporti di oggi non
sono altro che la prosecuzione di contatti che affondano le loro radici nella storia.
Giancarlo Galan
Ministro per i Beni e le Attività Culturali
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L’arrivo del “Tesoro del Cremlino” moscovita in Palazzo Pitti, nel Museo degli Argenti che ne
rappresenta il cuore prezioso, è un momento altissimo del fitto programma di scambi culturali
tra Ministri della Cultura d’Italia e di Russia di quest’anno 2011; programma che, con il coordinamento del comitato presieduto dal già ministro Giuliano Urbani, ha incluso qualificate
iniziative da parte del Polo Museale fiorentino. Nel vedere protagonisti due musei di Stato, la
mostra conferma la centralità del settore pubblico non solo nella conservazione, ma anche nella gestione e nella valorizzazione dei beni culturali.
Le fila di un’intesa complessa, che ha visto – in attuazione di un’autentica e sentita reciprocità –
partire per il Cremlino una raffinata selezione di “Tesori medicei” dai musei di Firenze, sono
state tenute dalla direttrice del nostro museo Maria Sframeli, che ha potuto contare sulla piena
intesa con il Museo del Cremlino diretto da Elena Gagarina, nonché su numerosi supporti a
cominciare dai partner Ente Cassa di Risparmio di Firenze e Firenze Musei, con ENEL e Ferrovie dello Stato. Nella complessa organizzazione, Civita e Mondo Mostre hanno avuto ruoli
importanti, d’intesa con il comitato e con i musei.
Il bel catalogo dell’editore Sillabe ci accompagna, grazie alla cura di Irina Gorbatova e Maria Sframeli, attraverso le vicende complesse di una raccolta di tesori stratificata nei secoli e
variamente collocata in quel complesso straordinario di palazzi, cattedrali, antiche botteghe
artistiche e musei che è il Cremlino, dove la presenza di artefici italiani – da Aristotele Fioravanti ai restauratori fiorentini d’oggi – è pegno della continuità e della proficuità dei rapporti.
Con le gioie, le armi, le vesti, le suppellettili sacre e profane entra nelle sale del nostro museo
il mondo dell’antica Rus’, degli zar e dei patriarchi ortodossi, nell’onda lunga del retaggio
dell’Impero bizantino, che dispiega splendore materiale e tecniche raffinate al servizio dei
grandi poteri, terreno e spirituale. In previsione di questo arrivo prestigioso, anche da parte
italiana sono state approfondite ricerche e condotti nuovi studi sui rapporti tra la Toscana
e la Russia nei secoli scorsi: resoconti di ambascerie, cronache di delegazioni, sporadici ritratti, e il progetto non compiuto di un’Accademia per la formazione degli artisti dello zar
vagheggiato sotto Cosimo iii ci vengono incontro dal nostro passato e arricchiscono la percezione della nostra amicizia odierna.
Per questa mostra importante, che il grande pubblico dei nostri musei non mancherà di apprezzare,
esprimo a tutti coloro che l’hanno resa possibile la mia più profonda gratitudine.
Cristina Acidini
Soprintendente per il Patrimonio Storico, Artistico ed Etnoantropologico
e per il Polo Museale della città di Firenze e, ad interim, dell’Opificio delle Pietre Dure
Il 2011 è l’anno della Russia in Italia. Nel quadro delle manifestazioni culturali messe a punto
per questo importante evento siamo lieti di presentare, al Museo degli Argenti di Palazzo Pitti,
la mostra “Il Tesoro del Cremlino” che comprende più di cento capolavori provenienti dalla collezione del Palazzo dell’Armeria.
Abbiamo progettato la mostra con l’intento precipuo di far conoscere in tutta la loro varietà, agli
amanti dell’arte e agli studiosi italiani, le collezioni del più antico museo russo. Alla mostra sono
esposte opere insigni di arte bizantina e russa, europea e orientale, lavori di oreficeria, armi, stoffe preziose e finimenti da parata per cavalli. Le opere si collocano all’interno di un lungo arco di
tempo, dal xii al xvii secolo, all’epoca, cioè, del tesoro dei Gran Principi di Mosca e dei primi zar
della dinastia dei Romanov.
Di qui l’intenzione di presentare al grande pubblico questi capolavori del Palazzo dell’Armeria,
che resero famosa la corte di Mosca per il suo sfarzo e la sua magnificenza. Molti oggetti presenti
alla mostra non sono solo eminenti opere d’arte, ma anche cimeli legati a illustri personaggi storici o a eventi memorabili nella storia della Russia.
Le opere esposte alla mostra “Il Tesoro del Cremlino” costituiscono il vanto del Museo del Palazzo dell’Armeria e sono capolavori universalmente riconosciuti. Una ventina di queste varcano i
confini della Russia per la prima volta.
Noi speriamo che la nostra mostra avvicini due grandi culture, permetta al pubblico italiano di
conoscere meglio e di apprezzare l’arte e la storia russa e rafforzi i legami di amicizia e di reciproca conoscenza tra la Russia e l’Italia.
Elena Gagarina
Direttore Generale dei Musei del Cremino di Mosca
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L’occasione unica di poter ammirare nella città che fu dei Medici e dei Lorena oggetti di eccezionale fattura provenienti dal patrimonio artistico della Nazione russa, ci apre, in questo
‘Anno ad Arte 2011’, alla conoscenza diretta di testimonianze di una civiltà che nei secoli ha
saputo realizzare opere di straordinaria bellezza.
L’uso di materiali preziosi e di tecniche raffinate, unitamente ad una mirabile sapienza
manuale e inventiva, non è certamente una prerogativa esclusiva delle nostre latitudini,
che pur vantano esempi celebrati ed ammirati, ma fa riferimento anche ad altre significative esperienze, nel caso specifico, in quella parte del mondo, la Russia, che ha potuto
oltretutto giovarsi nel tempo, per la sua collocazione geografica tra Occidente e Oriente,
di contributi ed influenze diverse.
Inoltre l’opportunità data dall’attivazione di un rapporto di reciprocità tra il Museo del
Cremlino e il Museo degli Argenti, che vanno a scambiarsi i rispettivi ‘tesori’, rappresenta
sicuramente un elemento di notevole interesse che arricchisce la qualità e il valore di una
rassegna di grandi eventi espositivi, quale è ‘Un Anno ad Arte’, che di volta in volta riesce a
proporre nuovi stimoli per la promozione culturale nell’ambito della storia dell’arte.
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Michele Gremigni
Presidente dell’Ente Cassa di Risparmio di Firenze Nel tormentato ‘periodo dei Torbidi’, mentre sul trono degli zar di Russia sedeva Boris
Godunov, celebre nell’Ottocento come protagonista del dramma musicale di Mussorgsky
(1874) tratto dalla tragedia di Puŝkin, un mercante ebreo livornese di nome Avraham Lussio raggiungeva Mosca per una missione sostenuta dal granduca di Toscana Ferdinando i,
finalizzata al reciproco libero commercio nelle terre russe e toscane. Era finora ignoto che
nel viaggio del 1603 al Lussio Ferdinando i avesse deciso di affidare tre preziosi vasi in
cristallo di rocca, diaspro e agata della collezione medicea con il preciso scopo di mostrarli “a l’imperatore de’ Moscoviti”, come è scrupolosamente registrato negli inventari della
Galleria. Si delegava così ai preziosi oggetti in pietre dure, arricchiti da fastose montature
in metalli pregiati, smalti e pietre preziose, vanto della Tribuna degli Uffizi, il delicato
ruolo di ambasciatori del Granducato di Toscana presso gli zar di Russia.
Da allora i contatti tra le due lontane corti non vennero mai meno e, mentre a Mosca giungevano le sete fiorentine e i preziosi oggetti prodotti nei laboratori granducali, a Firenze le
ambascerie degli zar recavano in dono oggetti pregiati prodotti nei laboratori del Cremlino o
lavorati nel lontano Oriente, oggetti ancora oggi annoverati fra le meraviglie di Palazzo Pitti.
È per questo che il Museo degli Argenti, scrigno del Tesoro dei Medici, ha accolto volentieri
l’invito a rammentare gli antichi amichevoli rapporti e reiterare gli scambi di ‘doni’ nella
moderna veste di mostre temporanee, collaborando in perfetta sintonia con la Direzione
del Cremlino (Elena Gagarina, Direttore Generale, con Zelfira Tregulova e Olga Šašina) a
due esposizioni: a Mosca oggetti preziosi dalle collezioni medicee, a Firenze una pregevole
selezione degli oggetti custoditi nel Cremlino.
La mostra che il Museo degli Argenti ha l’onore di ospitare in questa primavera 2011, come
illustra il saggio della curatrice Irina Gorbatova, testimonia che il Tesoro custodito nell’antico
Palazzo dell’Armeria rimane uno dei più fastosi d’Europa. Nel vasto complesso di laboratori
del Cremlino si producevano i pregiati manufatti per l’uso della corte degli zar: gli ori, gli
argenti, le armi, i finimenti per cavalli e le carrozze, gli sfarzosi abiti della famiglia regnante
e delle alte gerarchie della chiesa russa ortodossa; mentre alla Cattedrale dell’Annunciazione
del Cremlino erano destinati gli arredi sacri tempestati di gemme bizantine, giunte a Mosca
grazie ai rapporti, stretti e costanti, con Costantinopoli fino alla caduta per mano dei Turchi e
oltre, considerandosi la corte di Mosca legittima erede dell’Impero bizantino.
I preziosi oggetti di questo immenso tesoro conservato nel cuore politico dell’antica Russia
hanno lasciato la loro sede per offrire ai visitatori di Palazzo Pitti l’opportunità di ripercorrere più di quattro secoli di avvincente storia russa.
Maria Sframeli
Direttrice del Museo degli Argenti di Palazzo Pitti
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Il Palazzo dell’Armeria del Cremlino di Mosca
Tesoro d’arte e testimone di storia
Irina Gorbatova
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Cappello di Monomachos,
Oriente, fine del xiii-inizio
del xiv secolo, Mosca,
Palazzo dell’Armeria del
Cremlino
Il Cremlino di Mosca è storicamente il centro politico della Russia. Al tempo stesso è un complesso
storico-culturale unico, che comprende splendidi monumenti architettonici dal xv al xix secolo, fra
i quali il Museo del Palazzo dell’Armeria, conosciuto in tutto il mondo. All’interno di questo complesso museale, vi sono alcune grandi collezioni tematiche: l’insieme di capolavori di oreficeria
russo-bizantina e bizantina; la raccolta di armi, che comprende rari esemplari della produzione
orientale, russa ed europea; la collezione degli argenti artistici dell’Europa occidentale e, oltre a
stoffe preziose e abiti, anche una splendida collezione di carrozze e finimenti equini da parata.
Tutte queste collezioni sono rappresentate alla mostra “Il Tesoro del Cremlino”, proposta all’attenzione degli amanti dell’arte in occasione dell’Anno della Russia in Italia. Si tratta di 114 capolavori
provenienti dallo splendido Palazzo dell’Armeria, molti dei quali hanno lasciato il museo, varcando
i confini della Russia, per la prima volta. La storia del Palazzo dell’Armeria è collegata strettamente
non solo al Cremlino e a Mosca, ma anche a tutto lo stato russo. Il nucleo originario della raccolta
museale è costituito dal Tesoro dei Gran Principi e degli Zar, dove si conservano prestigiose opere
d’arte degli imperatori e cimeli legati ai nomi di famosi governanti e uomini politici, a eventi storici di
portata eccezionale e a vittorie militari.
Il periodo più interessante e significativo della storia del Palazzo dell’Armeria va dal xiv al xvii secolo. È il momento in cui il Principato di Mosca si impone e riunifica intorno a sé le terre russe; è l’epoca in cui il potere dei principi si trasforma nell’autorità dello zar, e quindi la Rus’, da un conglomerato
di principati in lotta tra di loro, si trasforma in una illustre e grandiosa potenza, con capitale Mosca.
Il Palazzo dell’Armeria ha assistito a numerose trasformazioni nel corso della storia, conservando
la memoria di molte generazioni.
L’antico Palazzo dell’Armeria aveva la classica struttura del Tesoro: una raccolta di oggetti preziosi di
proprietà personale del Gran Principe di Mosca che, a partire dalla seconda metà del xv secolo, era
divenuto signore di tutto lo stato russo. Questi capolavori hanno origini diverse, sono stati realizzati
in luoghi e tempi diversi e per vie diverse sono pervenuti al tesoro statale. Alcuni furono eseguiti su
apposita commissione nelle Botteghe del Cremlino, altri vennero acquisiti per i loro pregi particolari.
Un gruppo cospicuo di opere è costituito dai doni portati dalle ambascerie degli stati stranieri e dai
diplomatici in visita a Mosca, in altri casi si tratta di regali che gli zar ricevettero dai parenti o dall’entourage di corte in occasione di importanti eventi. Gli splendidi esemplari di armi, oreficerie e tessuti,
bizantini e russi, orientali ed europei, hanno convissuto e si sono integrati a vicenda nel corso dei
secoli, assicurando al tesoro della corte degli zar un carattere del tutto particolare e uno splendore
irripetibile. La corte del sovrano di Mosca aveva fama di essere una delle più fastose del mondo.
Il Palazzo dell’Armeria non era solo un deposito di oggetti di valore. Nel xiv secolo nel Cremlino si creò
un vasto complesso di laboratori o botteghe per la produzione di manufatti destinati alla corte dello
zar. Questi laboratori si chiamavano “palaty”. Nel territorio del Cremlino erano presenti il laboratorio
dell’oro (zolotaja palata), quello dell’argento (serebrjannaja palata), in cui venivano eseguiti gioielli e
suppellettili preziose e l’atelier della zarina (caricyna palata), dove, sotto la guida della sovrana, le
migliori cucitrici in oro confezionavano e adornavano gli abiti sfarzosi della famiglia dello zar e delle
alte gerarchie della chiesa russa ortodossa. Nelle botteghe gestite dal dicastero delle scuderie si
producevano finimenti per cavalli e carrozze. Il più antico e il più grande di questi laboratori era quello
addetto alla fabbricazione di armi (oružejnaja palata). Proprio per questo nel xviii secolo si è dato il suo
nome a tutto il complesso museale1. Benché si tratti di una denominazione più tarda, per comodità e
brevità essa viene usata per indicare convenzionalmente tutte le collezioni del museo.
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Nel xvii secolo si assiste a un’autentica fioritura delle botteghe del Cremlino: è là che furono realizzati gli splendidi capolavori diventati l’orgoglio della cultura russa. Purtroppo nella storia della formazione di questo museo ci sono molti momenti oscuri. Il tempo e le catastrofi storiche non hanno
certo favorito la conservazione dei tesori e soprattutto l’integrità dei documenti relativi alla tesoreria
statale nei vari momenti della sua esistenza. Questo vale in particolare per la fase più antica, quando l’armeria o gli altri laboratori non esistevano ancora e non si era ancora formato uno stato centralizzato. L’inizio ufficiale della storia di Mosca si fa risalire al 1147, quando il principe di Vladimir Jurij
Dolgorukij2 soffocò la rivolta di uno dei suoi boiardi e si impadronì dei suoi possedimenti, costituiti
da una cittadina situata su un’alta collina, nel punto in cui confluivano due modesti fiumi, la Moscova
e la Neglinka. La prima volta in cui Mosca viene menzionata nelle cronache è proprio in relazione
a questo evento. Tuttavia gli scavi archeologici effettuati nella seconda metà del Novecento sulla
collina Borovickij hanno rivelato che la storia di Mosca è in effetti molto più antica: la città esisteva
ed era dedita a commerci già nel x secolo.
Uno dei maggiori ritrovamenti archeologici è quello del 1988 che riguarda il cosiddetto Grande
Tesoro del Cremlino, comprendente 300 manufatti in argento, soprattutto gioielli. Non sappiamo
chi abbia messo al riparo questi oggetti, né in quale situazione, tuttavia la loro quantità e qualità li
farebbero supporre appartenenti al tesoro del signore moscovita. Nel tesoro sono presenti i tipici
gioielli che una ricca e nobile dama russa indossava nel periodo che va dal x al xiii secolo: orecchini,
braccialetti, grossi pendenti da acconciatura (i kolty), anelli da tempia, la cui forma e decorazione
indicavano a quale delle popolazioni slave, insediate nell’antica Rus’, appartenesse la dama. Nel
tesoro fu trovato anche il barmy, una specie di monile maschile fatto di grossi grani alternati a medaglioni. Il barmy simboleggiava il potere del Principe, e pertanto solo il signore aveva la facoltà
di portarlo. Esso mantenne il suo valore simbolico fino a tutto il xvii secolo e come attributo della
regalità fu considerato un complemento indispensabile all’abbigliamento da cerimonia dello zar. Il
monile rinvenuto nell’antico deposito è una prova evidente che a Mosca nel periodo tra l’xi e il xiii
secolo regnò un uomo non solo facoltoso, ma anche alquanto influente. Alcuni singoli componenti
del barmy, cioè gli elementi globulari e il medaglione, sono presenti in mostra (cat. nn. 7, 8). Una
delle tecniche di decorazione dei gioielli più diffuse nel periodo preso in esame era la granulazione.
Molti oggetti preziosi del Grande Tesoro del Cremlino sono decorati con minuscole gocce d’argento
applicate con una tecnica virtuosistica.
Sino all’inizio del xiv secolo, Mosca non ebbe un ruolo particolarmente significativo nella vita politica
dello stato. La Russia medioevale era divisa in un gran numero di principati. I signori degli stati più
forti conducevano una continua lotta tra di loro per il titolo di Gran Principe, vale a dire per il diritto
di considerarsi il capo di tutto lo stato. Nel xii-xiii secolo la capitale del principato era Vladimir, e il governo della piccola Mosca veniva affidato per consuetudine al figlio minore dello zar. La situazione
cambiò quando divenne signore di Mosca Daniil, il figlio più piccolo del principe Aleksandr Nevskij,
l’eroe nazionale russo che sconfisse gli svedesi e i cavalieri teutonici sul fiume Neva.
La politica di Daniil e le sue indubbie capacità diplomatiche gli permisero di staccarsi dal principato
di Vladimir e di fare di Mosca e delle terre adiacenti un soggetto politico autonomo. Il figlio di Daniil,
Ivan i Kalita3 riuscì a ottenere il titolo di Gran Principe, divenne cioè il “primus inter pares”, il signore
di un paese ancora frazionato in più stati. Ivan Kalita è entrato nella storia come “colui che ha riunito
le terre russe”. Sotto di lui, il principato di Mosca, non solo divenne il più influente di tutti gli altri, ma
aumentò anche il proprio territorio in modo considerevole.
Il tesoro del Principe viene menzionato per la prima volta nel testamento di Ivan Kalita. Insieme alle
città e alle terre, il Gran Principe di Mosca lasciò agli eredi anche gli oggetti sacri di proprietà personale: icone, reliquie e suppellettili preziose. Nell’elenco generale si menziona anche “il copricapo
d’oro”. Molti storici sono inclini a ritenere che si tratti del famoso “cappello di Monomah”, una delle
insegne regie più importanti dello stato russo. Tuttavia, la mancanza di una descrizione particolareggiata ci impedisce di affermarlo con certezza.
Attualmente, riconoscere nei reperti presenti nei musei del Cremlino gli oggetti preziosi appartenenti ai tesori dei principi del xiv-xv secolo non è impresa facile, ma possiamo farci un’idea di questi oggetti dai beni che sin dai tempi antichi figurano di proprietà della Cattedrale dell’Annunciazione del
Cremlino. Raffinata e elegante, collegata al palazzo da un particolare passaggio, questa chiesa era
utilizzata come cappella di corte, prima del principe, poi dello zar di Mosca. Il Superiore della chiesa era poi il confessore del sovrano. Oltre ad assolvere a questa funzione spirituale, la Cattedrale
dell’Assunzione serviva anche da deposito per il tesoro del Gran Principe. Alcuni pezzi presenti
alla mostra vengono proprio dalla Cattedrale dell’Assunzione e i loro incredibili requisiti artistici
permettono di ascriverli senz’altro al tesoro. Si tratta dei rjazny, orecchini di perle infilate a forma di
pendente (cat. n. 17), che spesso adornavano le icone della Vergine; le splendide icone-cammeo
bizantine (cat. n. 19); la croce da mensa d’altare (cat. n. 12); il prezioso corredo dell’icona “Madonna Bogoljubskaja” della fine del xiv-inizio del xv secolo (cat. nn. 14-16) e alcuni altri. Va segnalato
che il Palazzo dell’Armeria possiede la più bella collezione al mondo di gemme bizantine, un tempo
ritenute tesoro avito dei Gran Principi di Mosca e degli zar.
I rapporti tra l’antica Rus’ e l’impero bizantino sono stati per un lungo periodo (fino alla caduta di
Costantinopoli), piuttosto stretti e si sono mantenuti costanti nel tempo. La Rus’ venne cristianizzata proprio da Bisanzio, e fino allo scadere del Cinquecento rimase sotto l’influenza religiosa del
patriarca di Costantinopoli. Il Patriarca inviava un proprio vicario-metropolita che diventava il capo
della chiesa russa ortodossa. È ovvio che i metropoliti erano prelati prevalentemente stranieri, soprattutto greci. Quando si trasferivano nella nuova sede, oltre a splendide opere d’arte, tra cui icone
di eccellente fattura, reliquiari, libri, suppellettili liturgiche, erano soliti portare con sé anche degli
artisti. Questi ultimi, oltre ad eseguire in proprio dei preziosi manufatti, divennero anche maestri di
artisti russi. Nell’arte russa antica è particolarmente evidente l’ossequio verso le tradizioni bizantine, quale tributo degli artisti russi verso le opere dei maestri. Questo non impediva affatto di creare
opere originali o di completare e arricchire le creazioni bizantine. Molte montature per gli splendidi
cammei bizantini sono state eseguite da artisti russi, ed esse, oltre a intonarsi perfettamente con la
pietra, dimostrano anche l’altissimo livello raggiunto dai discepoli.
Orgoglio del Palazzo dell’Armeria sono senz’altro le opere dei maestri orafi russi del periodo che va
dal xiv al xvii secolo. In questi capolavori sono presenti tutte le tappe dello sviluppo dell’arte orafa
della Russia medievale. Nelle forme e in parte anche nell’ornamentazione, l’arte russa è rimasta fedele, nel corso dei secoli, a una tradizione ben precisa. Gli orafi si mantenevano conformi ai canoni
stabiliti e si basavano, per quanto riguarda, per esempio, la creazione di vasellame o di gioielli, sugli
esemplari di origine popolare consacrati dal tempo, oppure si rifacevano agli originali bizantini di alta
qualità. Questa fedeltà ai canoni si spiega in gran parte con il fatto che per trecento anni, dal xii al xv
secolo, la Rus’ è stata dominata dai khan mongoli. L’arte era dunque il modo migliore per conservare
le tradizioni nazionali, la coscienza di sé e la sensazione di libertà interiore. I contatti ravvicinati con
la cultura orientale non potevano non influire sugli artisti russi, che erano di fatto tagliati fuori dalla
cultura europea, tuttavia l’arte russa si è mantenuta salda nei confronti dell’espansione orientale e ha
mantenuto la propria originalità; l’arte dei ‘vicini’ orientali non ha fatto altro che arricchire il complesso
delle modalità artistiche. Risultato di tutto ciò sono capolavori straordinariamente eleganti e raffinati,
in cui forme e contenuti tradizionali si fondono con una ricchezza decorativa esuberante.
Per questi motivi, l’arte medievale russa non è caratterizzata da una precisa divisione in stili, come
avviene per l’arte europea. Questo non significa affatto che essa sia rimasta in una condizione di
immutabilità. I cambiamenti sono avvenuti soprattutto attraverso l’adozione e il perfezionamento di
tecniche che hanno permesso di superare le limitazioni canoniche e di creare all’interno di esse delle particolari innovazioni. Alcuni procedimenti di tecnica orafa inventati in Russia, come ad esempio
il niello su oro, non trovano analogie.
Ogni svolta in campo metodico portava al primo posto questa o quella tecnica, senza per questo
rigettare o dimenticare quelle usate in precedenza. L’affermarsi di una tecnica “guida” è di estrema
importanza ai fini della datazione di opere russe di arte applicata. I capolavori della mostra “Il Tesoro del Cremlino” permettono di seguire con facilità il passaggio da un’epoca a un’altra.
Oltre alla granulazione, che abbiamo già ricordato, un’altra tecnica assai cara ai maestri orafi nel
corso di tre secoli dal xiii al xv secolo era quella della filigrana. Da un solo grammo del duttile oro e
argento si poteva ricavare un filo più sottile di un capello, della lunghezza di alcune centinaia di metri.
Molti manufatti di quest’epoca sono decorati da motivi raffinati a volute o a forma di polloni vegetali
dagli intrecci bizzarri. Alla mostra è esposta un’icona in avorio unica nel suo genere raffigurante: “Il
metropolita Pietro con storie della sua vita”. Personalità politica e religiosa di grande rilievo nella Rus’
del xiv secolo, il metropolita Pietro fu amico e sostenitore di Ivan Kalita, ed ebbe un ruolo importante
nell’ascesa del Principato di Mosca. La cornice d’argento dell’icona è realizzata in una filigrana straordinariamente sottile (cat. n. 20). “Piccole piramidi” convesse di filigrana, la decorazione preferita
dagli orafi del xv secolo, costituiscono il motivo principale dell’ornamentazione dell’icona “Madonna
Bogoljubskaja”, come è già stato ricordato.
Sempre in questa epoca i maestri russi raggiunsero vette straordinarie nella tecnica dell’intaglio
dei metalli preziosi, con cui furono capaci di rendere tutte le sfumature ornamentali e persino i più
piccoli dettagli dei volti. Ne è uno splendido esempio la panagìa del xv secolo (cat. n. 18).
Il xvi secolo, l’epoca del primo zar russo Ivan iv detto il Terribile, produsse una tecnica straordinaria, il niello su oro, che ebbe breve durata, meno di cento anni, e andò irrimediabilmente perduta. È difficile trovare nell’arte orafa qualcosa che la eguagli per eleganza e raffinatezza. Una
decorazione sottilissima, che pare tracciata da un ago, ricopre l’oro di un leggiadro ricamo nero,
facendo apparire leggero, quasi privo di peso, il pesante metallo. Venivano decorate a niello sia
le suppellettili liturgiche che gli oggetti di uso pratico. Alla mostra sono presenti: un calice di rara
bellezza, commissionato dal metropolita Ioasaf per il monastero Soloveckij (cat. n. 43); l’immagine votiva con Santa Irina, toccante pegno d’amore coniugale dello zar Fëdor, l’ultimo discendente
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della stirpe di Rjurik, per la consorte Irina Godunova (cat. n. 26); un recipiente kovš, splendido
nella sua essenzialità, appartenuto al fratello della zarina Irina, Boris Godunov (cat. n. 27).
Anche se la tecnica del niello su oro è andata perduta, il procedimento in sé si è conservato. Solo
che gli orafi hanno cambiato metallo e sono passati a decorare manufatti in argento: il niello si è
così riaffermato con nuovo vigore nella seconda metà del xvii secolo. A tutt’oggi è una delle tecniche
più diffuse tra gli orafi russi.
La tecnica della smaltatura ebbe una splendida fioritura nella Rus’ dell’xi-xii secolo, ma in pratica
scomparve durante il dominio tartaro-mongolo. La sua ripresa non avviene prima della seconda metà
del xvi secolo. Se la tecnica dello smalto cloisonné, un tempo ben nota agli orafi, era ormai perduta,
si affermò però un procedimento affine, la smaltatura su filigrana. Il complesso motivo traforato, costituito da una sottilissima “cordicella” d’oro o d’argento, veniva coperto di smalto. In un primo momento
i colori prevalenti erano i bianchi e gli azzurri. Questa preferenza è dettata non solo da esigenze
tecniche ma anche dai gusti dell’epoca. Il colore preferito di Ivan il Terribile era l’azzurro e tra le pietre
preziose questo uomo crudele, questo rigido sovrano prediligeva lo zaffiro, simbolo di purezza celeste
e di equilibrio interiore. Esemplare magnifico è il piccolo trittico “Deesis”, con l’immagine del Salvatore
Emanuele (cat. n. 25), che un tempo adornava gli ambienti di palazzo.
L’antico deposito dei tesori dei Gran Principi di Mosca e dei primi zar ha avuto un destino tragico.
Con la morte di Ivan iv la dinastia dei discendenti di Rjurik si avviò al tramonto. Lo zar Fëdor, figlio
e successore di Ivan il Terribile, morì senza figli. Demetrio, il fratellastro più giovane e suo erede,
era morto, quando era ancora vivo lo zar Fëdor, in circostanze che rimangono a tutt’oggi misteriose
(o si ferì a morte accidentalmente durante un attacco epilettico o fu assassinato per ordine di Boris Godunov). Iniziò uno dei periodi più drammatici della storia della Rus’, la cosiddetta epoca dei
Torbidi. Il paese si ritrovò senza un legittimo erede al trono. Al governo dei “sette boiardi”, cioè dei
rappresentanti delle famiglie di più alto lignaggio, si avvicendò il breve regno di Boris Godunov e di
suo figlio e l’ancor più breve regno dello “zar boiardo” Vasilij Šujskij. Contemporaneamente la Polonia si lanciò in una impresa politica e militare: la morte misteriosa di Demetrio permise all’aristocrazia polacca di sostenere un impostore, che si spacciava per lo zarevič Demetrio miracolosamente
scampato alla morte, e di invadere la Russia per restituire il trono al “legittimo” erede.
Il popolo russo, del tutto disorientato, accolse l’impostore a braccia aperte. Il falso Demetrio fece il
suo ingresso al Cremlino e riuscì a farsi incoronare. Tuttavia fu quasi subito smascherato e ucciso
e i polacchi, dopo una guerra breve ma sanguinosa, furono rigettati dalla Russia. Fu eletto zar un
membro della nobile famiglia dei Romanov, il giovanissimo Mihail (di soli 16 anni), che aveva lontanissimi legami di parentela con la dinastia oramai estinta dei Rjurikidi.
Nel breve periodo in cui i polacchi furono padroni del Cremlino il ricchissimo tesoro degli zar fu quasi
totalmente asportato e distrutto. La nuova dinastia ricevette in eredità solo quella parte esigua del tesoro che si era riusciti a nascondere e salvare. Fu allora che andarono perduti anche tutti i documenti
d’archivio che avrebbero potuto fornire agli studiosi una descrizione completa dei preziosi. Tuttavia
sulla base di quei pochi oggetti che si sono conservati si può affermare che i governanti dell’antica
Mosca e dello stato moscovita possedevano una delle raccolte di tesori più cospicue al mondo. Questo lo si ricava in primo luogo dagli oggetti di culto, che meglio si sono conservati. Non è un caso
che i capolavori d’arte sacra facciano parte del tesoro degli zar del xiv-xvi secolo: questa circostanza
rispecchia un preciso ordine di valori che compenetra ogni aspetto della vita nella Russia medievale.
La religione occupava un ruolo preponderante nella coscienza della gente e questo valeva per tutti
i russi, al di là di ogni distinzione sociale. Una parte considerevole delle funzioni di rappresentanza
del sovrano si espletava proprio nell’ambito religioso, e la sua partecipazione ai servizi liturgici nelle
chiese e nei monasteri, la sua presenza solenne alle grandi feste religiose era di estrema importanza. Un atteggiamento particolare nei confronti della fede ha contribuito a far sì che in Russia non sia
esistita, sino al xviii secolo, la consuetudine di erigere monumenti, neppure in onore di eventi storici
di straordinaria portata. Per celebrare i momenti memorabili si costruivano chiese e monasteri, e
quelli già esistenti ricevevano ricche donazioni comprendenti anche suppellettili liturgiche. Per le
icone più venerate si commissionavano ricche cornici. Pertanto i doni commemorativi costituivano
una parte consistente dei manufatti commissionati, sia dal sovrano che dalle alte gerarchie ecclesiastiche, ai maestri artigiani del Cremlino. Bisogna del resto tenere presente che le cattedrali e
i monasteri del Cremlino godevano di uno status particolare: non erano di proprietà della Chiesa
né da essa dipendevano. Sia gli edifici che le famose icone antiche, sia le sante reliquie che i beni
preziosi delle chiese appartenevano al tesoro statale, erano quindi di competenza del sovrano in
persona. Per questo gli oggetti di culto delle cattedrali del Cremlino sono da considerare in relazione con il tesoro dei Gran Principi e degli zar. Per quanto riguarda gli oggetti che gli zar donarono
ad altre chiese, destino ha voluto che alcuni di questi abbiano fatto ritorno, molto tempo dopo, nel
luogo in cui furono eseguiti, l’armeria del Cremlino.
La nuova dinastia dei Romanov dovette ricostituire un proprio tesoro praticamente da zero. La ripresa
che seguì il periodo dei Torbidi permise di riportare la corte degli zar allo splendore e allo sfarzo dei
tempi passati e di dar vita all’eccezionale collezione del Palazzo dell’Armeria.
Il xvii secolo è indubbiamente uno dei periodi di maggior splendore dell’arte russa. Durante il regno
dei primi rappresentanti della dinastia dei Romanov la svolta in politica estera comincia a produrre nel
paese conseguenze di grande portata. Se fino alla seconda metà del xvi secolo la Russia non aveva
quasi tenuto contatti importanti con gli stati europei adesso comincia a uscire dall’isolamento. Per gli
artisti russi questo significa venire a stretto contatto con la cultura europea. Cominciano a giungere
a corte orafi e armaioli stranieri. Essi recano non solo nuove tecniche di lavorazione ma anche un
linguaggio artistico nuovo per la Russia, libero, non gravato da convenzioni tradizionali. Ecco perché
nell’arte russa del xvii secolo convivono forme canoniche e uno splendore quasi barocco. Accanto agli
oggetti consueti, riprodotti secondo stereotipi immutati sin dall’antichità, nella vita quotidiana degli zar
entrano manufatti di forma nuova, prodotti in Europa e anche in Russia ispirandosi al nuovo linguaggio europeo. Sulla tavola dello zar si trovavano contemporaneamente recipienti di tipo tradizionale,
come le tazze bratina (cat. n. 30) o il grosso vaso endova, da cui si versavano le bevande (cat. n. 31)
e coppe europee in stile barocco, nonché raffinati mesciroba (cat. n. 37).
Nel xvii secolo gli smalti policromi cominciano ad acquisire un ruolo predominante nell’arte orafa
russa. Splendenti e raffinati gli smalti conferivano solennità non solo agli oggetti del cerimoniale,
ma anche alle suppellettili di uso quotidiano di una corte dove, peraltro, non si eccedeva nel lusso. I manufatti presenti in mostra permettono di seguire l’evoluzione e la fioritura delle tecniche di
smaltatura nel corso del xvii secolo. Se inizialmente solo superfici modeste di un oggetto venivano
decorate con smalti di vari colori, verso la fine del secolo la pittura a smalto si afferma come uno dei
mezzi principali per creare un’autentica opera d’arte. I visitatori della mostra possono vedere, tra i
capolavori di questo gruppo, la coppa d’oro appartenuta al primo zar della dinastia dei Romanov,
Mihail Fëdorovič (cat. n. 29): è l’unico manufatto di questo tipo ad essersi conservato. Il corpo centrale della coppa è decorato con motivi applicati dipinti a smalti di più colori. Un insieme di splendide
figure smaltate e di medaglioni decorava il Crocifisso da altare, andato perduto, della Cattedrale
dell’Assunzione (cat. nn. 48-53). La preziosa croce che si indossava con gli abiti da cerimonia
apparteneva a Pietro il Grande (cat. n. 41) e la tazza di straordinaria bellezza fu eseguita per suo
figlio, lo zarevič Aleksej (cat. n. 40). Guardando le opere decorate a smalto esposte alla mostra si
può notare come l’influenza dell’arte europea abbia portato a un mutamento non solo delle forme
ma anche delle modalità esecutive. A riprova di quanto detto si esamini il piccolo gruppo di splendidi oggetti eseguiti dai maestri artigiani di Sol’vyčegodsk, una città nel nord della Russia. Grazie al
proprio talento essi riuscirono a conquistarsi un posto di tutto rispetto alla corte di Mosca, che era
abituata allo sfarzo e quindi non facile da soddisfare. Nella vita quotidiana della famiglia dello zar
erano in uso tazze, scrigni, posate da tavola. Le scene pittoresche dipinte a smalto sui manufatti di
Sol’vyčegodsk si rifanno per lo più a modelli desunti da illustrazioni di libri provenienti dall’Europa e
la gamma vivace dei colori dimostra che questi artisti conoscevano la famosa maiolica italiana (cat.
n. 33-36). I motivi floreali erano peraltro molto diffusi nell’arte popolare russa.
La raccolta di armi dei musei del Cremlino è una delle più importanti al mondo. Si tratta di autentiche
rarità che esprimono al meglio la produzione di centri importantissimi. Fino all’inizio del xviii secolo
nessun monarca o Gran Principe o zar della Russia si appassionò al collezionismo, ma questo complesso di armi ha tutti i requisiti di una collezione per la completezza e l’altissimo livello di esecuzione.
Se nell’ambito della vita quotidiana e del cerimoniale di corte lo zar si atteneva a regole consolidate,
per le armi l’unico requisito sempre valido era quello del perfetto funzionamento, mentre nella fabbricazione di esemplari da parata e da caccia prevaleva il criterio della raffinatezza e dello sfarzo.
Per molto tempo i maggiori fornitori di armi preziose della corte russa furono due grosse potenze
orientali, la Persia e la Turchia. Le armi prodotte in Oriente godevano di fama mondiale: le lame d’acciaio e di Damasco, fabbricate da armaioli famosi, si vendevano letteralmente a peso d’oro e di fatto
non costavano meno della loro magnifica decorazione. Il Palazzo dell’Armeria del Cremlino di Mosca
possiede una delle più belle collezioni al mondo di armi orientali. Alla mostra sono esposti esemplari
magnifici sia persiani che turchi. Vale la pena di notare che gli abiti e gli accessori che lo zar indossava
durante le sue apparizioni in veste di condottiero non era meno sfarzosi di quelli confezionati per le
cerimonie religiose e mondane. I visitatori della mostra potranno vedere uno splendido elmo di fattura
persiana mirabilmente damascato in oro (cat. n. 62); dei bracciali turchi tempestati di turchesi (cat. n.
63); una piccola ascia da cerimonia (cat. n. 66); una sciabola stupenda (cat. n. 64) e molti altri capolavori. Lo zar e gli uomini del suo entourage, boiardi e capi militari, esibivano queste armi durante le
solenni parate militari. I sovrani russi furono dei veri intenditori di armi. Se fino alla fine del xvii secolo
per le armi bianche si preferirono senz’altro i modelli orientali, le armi da fuoco, invece si facevano
venire dall’Europa occidentale. Gli zar si tenevano aggiornati sulle ultime novità e si preoccupavano di
arricchire il proprio arsenale personale e di rifornire l’esercito. Nella collezione del museo vi sono capolavori dei maestri olandesi, francesi, belgi, tedeschi e di altri paesi. Alla mostra è possibile vedere,
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ad esempio, una eccezionale coppia di pistole, decorate in avorio, realizzate da maestri olandesi nel
xvii secolo (cat. nn. 80-81), nonché lavori di armaioli francesi famosi. È chiaro che l’interesse verso le
armi fabbricate in Europa non portò a trascurare la produzione locale; al contrario, essa fu, come si è
già ricordato, una di quelle di più ampio respiro nel complesso delle Botteghe del Cremlino. Si sono
conservati i nomi di armaioli russi di grande talento, la cui produzione fu alla base dell’arsenale dello
zar. È presente in mostra la bellissima sciabola eseguita da Il’ja Prosvit nell’armeria del Cremlino (cat.
n. 64), in cui requisiti tecnici e qualità artistiche si fondono sapientemente.
La caccia fu uno dei passatempi preferiti dell’aristocrazia in tutto il mondo e la corte di Mosca non
fece eccezione. Molti Gran Principi e zar ebbero fama di appassionati cacciatori. Si pensi che lo zar
Aleksej, figlio di Mihail Romanov e padre di Pietro il Grande, fu l’ultimo vero esperto di caccia con
volatili da preda in Russia, nonché autore di un importante saggio su questo nobile passatempo.
Dal momento che per lo zar la caccia non era solo una distrazione, un modo per divertirsi, ma era
anche una specie di rituale solenne, la magnificenza che la caratterizzava non era inferiore a quella
di tutte le altre apparizioni in pubblico del sovrano. Non è un caso che molte armi di squisita fattura
siano state create proprio per la caccia e non per la guerra. Se in battaglia la cosa più importante
è l’affidabilità dell’armatura e dell’attrezzatura militare, la caccia permetteva di fare di un’arma perfetta un vero capolavoro. Fucili da caccia, daghe-pugnali, ecc. erano decorati in avorio, oro e altre
pietre preziose al pari delle armi da parata.
Una delle cerimonie di maggior effetto erano le uscite solenni degli zar, trionfali processioni in cui i
cavalli erano l’elemento principale, e potevano arrivare sino a mille. Non li cavalcava nessuno, erano
condotti per le briglie dagli stallieri: con lo sfarzo delle bardature i nobili animali testimoniavano la
magnificenza e la grandezza degli zar. Alla mostra è presente un corredo completo di bardature da
parata (cat. nn. 73-75), e anche selle eleganti usate per manifestazioni analoghe.
Orgoglio del Palazzo dell’Armeria è la splendida collezione di argenti artistici dell’Europa occidentale; al pari della collezione di armi non ha eguali al mondo. La collezione si è formata nel corso del
xvi e del xvii secolo quando nelle relazioni della Russia con i vicini occidentali si registra un deciso
incremento. L’inizio di rapporti diplomatici con l’Europa risale alla seconda metà del Cinquecento. I
primi partner della Russia furono i due maggiori imperi commerciali dell’epoca, l’Inghilterra e l’Olanda, entrambe estremamente interessate alla conquista del mercato russo. Affonda le sue radici in
questa epoca la pratica dello scambio di doni attraverso le ambascerie, che nel secolo successivo
diviene una consuetudine del cerimoniale diplomatico. I regali erano espressione della stima che
i sovrani dei paesi stranieri o le compagnie commerciali nutrivano nei confronti della corte russa,
in primo luogo nei confronti dello zar. Prima di essere consegnati allo zar i “doni in ricordo”, come
sono chiamati nei documenti d’archivio, erano sottoposti a un esame accurato da parte di incaricati
speciali del Dicastero degli affari esteri. I funzionari avevano modo di apprezzare sia il valore materiale degli oggetti sia le loro qualità artistiche sia la provenienza rara, esotica dei materiali con cui
erano fatti. I doni che per qualche ragione erano definiti di poco conto venivano considerati al pari
di un’offesa e la conseguenza era uno scandalo diplomatico: l’ambasciatore poteva vedersi negato
l’accesso a corte, e questo vanificava le speranze di successo della sua missione. Tuttavia questi
casi sono estremamente rari. Tutte le corti europee conoscevano bene il gusto raffinato ed esigente
dei sovrani russi e cercavano di offrire quanto c’era di meglio. Inoltre questa generosità recava vantaggi di non poco conto. Per tradizione il dono veniva contraccambiato e lo zar lo faceva alla russa,
alla grande, con un regalo che superava di tre, e anche di quattro volte, il valore di quello ricevuto.
Tuttavia non tutti i capolavori europei sono pervenuti nella raccolta del museo come doni diplomatici.
Il sovrano godeva del diritto di prelazione sull’acquisto di manufatti preziosi da mercanti stranieri. Chi
si recava in Russia con manufatti artistici doveva esibire la propria merce agli agenti dello zar. I pezzi
migliori, degni di arricchire il tesoro degli zar, venivano acquisiti volentieri dalla tesoreria statale.
Nel Palazzo dell’Armeria si conserva la più pregiata collezione di argenti inglesi del xvi-xvii secolo;
pezzi di simile valore non si trovano neppure nelle collezioni britanniche. Nel periodo indicato gli
orafi più famosi erano quelli di Norimberga, Amburgo e Augusta. Molti sovrani sceglievano di commissionare proprio in queste tre città tedesche i regali per la corte russa. Questo ha fatto sì che nel
tesoro degli zar si siano accumulati un gran numero di capolavori. Si tratta della raccolta più importante al mondo, sia per la quantità che per l’altissima qualità artistica, un vero punto di riferimento
per gli amanti e gli specialisti di argenti europei. Il valore della collezione era già noto nel xvii secolo
e costituiva per gli zar un motivo di giusto orgoglio. In occasione dei pranzi festivi e dei banchetti
ufficiali la grande sala dei ricevimenti del palazzo Sfaccettato del Cremlino veniva addobbata con
una credenza di notevoli dimensioni. Intorno al pilastro centrale, l’unico presente, veniva montato
un mobile-vetrina, pieno di stoviglie d’oro e d’argento, tra cui una selezione di capolavori di artisti
europei. A rappresentare in mostra questa collezione straordinaria è un gruppo di oggetti, di fattura
sia inglese che tedesca (cat. nn. 82-90).
Parlando dei tesori dei Gran Principi di Mosca e degli zar, non si può tralasciare il lavoro delle donne
russe. L’atelier della zarina non era da meno delle altre botteghe del Cremlino. Come è già stato detto
lo dirigeva personalmente la sovrana. Tutte le donne in Russia eseguivano, in un modo o nell’altro,
lavori di cucito, tuttavia nell’educazione delle fanciulle nobili si poneva un accento particolare sulle
tecniche, complesse e raffinate, del ricamo, in particolare quello su perle, e del cucito. Le zarine non
si limitavano a dirigere in modo competente il folto gruppo di ricamatrici, molte di loro maneggiavano
ago e filo da autentiche artiste.
In questo laboratorio non ci si limitava a cucire e decorare gli indumenti di uso quotidiano e da
cerimonia per lo zar e la sua famiglia. Da qui uscivano anche le vesti, sontuose e di rara bellezza,
per i membri delle alte gerarchie ecclesiastiche e i vari accessori di culto necessari durante le funzioni religiose o per decorare le chiese: veli, coperchi per calici, ecc. Era un’attività di beneficenza
a cui si attribuiva un grande significato spirituale. Gli oggetti che le zarine facevano con le proprie
mani e donavano alle chiese o ai monasteri erano le loro preghiere, affinché Dio preservasse dalle malattie tutta la famiglia, concedesse di assicurare la discendenza e vegliasse sul benessere
del paese. Con queste creazioni le zarine esprimevano la loro gratitudine a Dio per il felice esito
di situazioni complesse oppure onoravano la memoria del coniuge o dei familiari defunti.
Oltre agli oggetti di estrema bellezza e mirabilmente eseguiti che fanno parte dell’abbigliamento solenne del patriarca (cat. nn. 57-59), alla mostra è presente anche un completo di accessori liturgici
(cat. nn. 54-56) creati dalla zarina Irina Godunova, diventata la monaca Alessandra (era consuetudine
che la sovrana vedova non potesse ‘rimanere nel mondo’: ella doveva prendere i voti e andare in
convento), in memoria del marito morto, lo zar Fëdor.
Nel corso della lunga storia dello stato russo ci sono stati non pochi periodi memorabili e importanti.
Ma l’epoca a cavallo tra il xvii e il xviii secolo ha avuto un ruolo veramente particolare, ha diviso la vita
dello stato in due mondi, il vecchio e il nuovo. Nel vecchio mondo rimasero le tradizioni secolari, l’assetto patriarcale e un tipo di vita scandita da ritmi relativamente pacati. Il nuovo mondo dette l’impulso
a uno sviluppo impetuoso e portò la Russia ad affacciarsi sulla vasta arena mondiale. Queste trasformazioni sono dovute al figlio minore dello zar Aleksej Mihajlovič, il famoso Pietro i o Pietro il Grande.
Il futuro imperatore della Russia salì sul trono, all’età di dieci anni, insieme al fratellastro maggiore
Ivan v, mentre alla sorella Sofja, avida di potere, venne affidata la reggenza. Le lunghe e complesse
cerimonie, a cui Pietro fu costretto sin dall’infanzia, erano mal tollerate da un ragazzo che si distingueva per una vivacità non proprio confacente a uno zar e per il disprezzo per le “buone maniere”.
Cresciuto nell’atmosfera stagnante della corte moscovita il giovane zar capiva perfettamente che
molte tradizioni ostacolavano il normale sviluppo del paese, e che la Russia era tenuta lontana, in
modo del tutto artificiale, da qualsiasi innovazione. L’azione riformatrice di Pietro il Grande investì
ogni aspetto della vita e portò a cambiamenti radicali nell’economia, nell’esercito, nella gestione
dello stato e della chiesa, nella situazione geopolitica e nella stessa vita quotidiana.
Pietro il Grande fu il primo zar russo a oltrepassare i confini del proprio stato e a viaggiare all’estero,
dapprima in incognito, poi in veste ufficiale. La svolta della Russia verso una modernizzazione di
tipo occidentale avvenne per decisione del giovane sovrano.
Le vicende dell’infanzia costrinsero Pietro i a vedere in Mosca il simbolo di un passato retrogrado
e del rifiuto del progresso. Per questo la capitale fu spostata in un’altra città, costruita alla foce del
fiume Neva, sulle rive del mar Baltico. La città fu chiamata San Pietroburgo in onore del santo protettore dello zar. Mosca ricevette il titolo di Antica Capitale e conservò tutta la sua importanza nel
cerimoniale di stato, infatti era a Mosca che venivano incoronati gli imperatori russi.
San Pietroburgo divenne ovviamente il centro principale della vita politica e mondana, strutturato in
modo del tutto nuovo rispetto al passato. Nella sua opera di modernizzazione della società russa
in senso europeo Pietro il Grande puntò molto sull’aspetto esteriore dei suoi sudditi. Da questo
momento divenne consuetudine vestirsi all’europea, fu vietato farsi crescere la barba, si diffusero
nuove abitudini, come l’uso del tabacco, ad esempio. Sulle tavole apparvero cibi nuovi: tè, caffè e
cioccolata. L’arte russa prese una direzione conforme agli indirizzi artistici europei.
Il modo nuovo di vivere richiedeva oggetti con forme e tipologie nuove, un linguaggio figurativo e
decorativo nuovi. Anche se Pietro i era personalmente un uomo dai gusti molto austeri, che talvolta
rasentavano l’ascetismo, la sua corte non era meno sfarzosa di quella dei suoi antenati, solo lo era
in modo diverso. Lo sfarzo raggiunse il culmine all’epoca dei successori del primo imperatore e in
primo luogo all’epoca dei suoi diretti successori (il destino ha voluto che nel xviii secolo il governo
sia stato fondamentalmente in mano alle donne).
Ma tutta questa magnificenza riguardava soprattutto Pietroburgo, dal momento che la vita di corte si
concentrava proprio in questa città. I sovrani e le sovrane del xviii secolo si recavano a Mosca solo di
tanto in tanto e per brevi periodi, nonostante che ad alcuni di loro l’antica capitale piacesse di più della
nuova e pomposa Pietroburgo. Nel Cremlino non c’era neppure una residenza reale degna di questo
nome. La corte dovette abitare in una costruzione di legno provvisoria sino alla metà dell’Ottocento,
perché tutte gli sforzi e i mezzi finanziari erano destinati a Pietroburgo.
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A causa di queste riforme radicali anche lo status delle Botteghe del Cremlino mutò in modo sostanziale. La produzione si fermò quasi del tutto e i maestri artigiani di maggior talento furono trasferiti
nella nuova capitale. Nel 1727 i laboratori furono riuniti in un unico complesso chiamato “palazzo dei
laboratori e dell’armeria” che diventa non tanto un Tesoro, quanto un luogo preposto alla custodia
di opere d’arte e cimeli storici. Era qui che, una volta conclusi i festeggiamenti, si portava tutto il
corredo di abiti e accessori usati durante l’incoronazione, quel momento tanto importante nella vita
di un sovrano, che si celebrava ancora nella Cattedrale dell’Assunzione del Cremlino. Nel Palazzo
dell’Armeria si conservavano le antiche insegne regali, i trofei di famose vittorie militari e i cimeli legati
alla famiglia dello zar o a importanti personaggi pubblici. Alla mostra, i tesori del xviii secolo sono rappresentati da un gruppo di oggetti disparati, tipici della vita di corte di quell’epoca. C’è uno splendido
abito (cat. nn. 91-92), appartenuto al nipote di Pietro i, il giovanissimo imperatore Pietro ii (che morì
prima di compiere 17 anni), vi sono armi di corte (cat. nn. 93-94) e stoviglie di gala. La caccia era
sempre uno dei passatempi più diffusi e come prima gli imperatori e le imperatrici avevano una vera
e propria passione per i bei fucili da caccia. La nipote di Pietro i, l’imperatrice Anna e la figlia di lui,
l’imperatrice Elisabetta, venivano paragonate dai contemporanei alla dea Diana. Anna aveva la fama
di tiratrice abile e precisa e persino i cavalieri più resistenti invidiavano la capacità di resistenza di
Elisabetta, che poteva trascorrere in sella un’intera giornata. I visitatori della mostra possono vedere
una carabina elegantissima di fattura francese, uno dei fucili preferiti della figlia di Pietro i (cat. n. 97).
Nonostante la totale modernizzazione della vita quotidiana in senso europeo alcune sopravvivenze
del passato non furono del tutto cancellate. Immutata rimase la magnificenza dei paramenti da
cerimonia degli alti prelati, anche se alcuni accessori dell’abbigliamento e certi oggetti di culto subirono mutamenti stilistici. Alla mostra è esposta, ad esempio, una panagìa in stile barocco (cat. n.
106). Un oggetto così caratteristico in Russia come il recipiente kovš subisce una trasformazione
estremamente interessante (cat. n. 110). Questo recipiente, che non mancava mai sulle tavole dei
russi, sia su quelle dei contadini che su quella dello zar, era usato per bere. Nel xviii secolo il kovš
diventa un premio onorifico. L’oggetto mantiene la sua forma tipica, ma viene decorato con i simboli
dello stato e assegnato per meriti patriottici. Si premiavano prevalentemente personaggi di spicco
del ceto dei mercanti e i capi dell’armata cosacca che difendeva i confini dell’impero russo.
Con il passare del tempo gli imperatori si convinsero sempre di più che l’armeria aveva da tempo
superato la sua funzione di tesoro di stato. Essa accoglieva non solo tesori d’arte e di cultura materiale, ma si era trasformata in depositaria della memoria storica. Persino per il sovrano dello stato
più grande del mondo divenne impossibile il possesso personale di un complesso così importante
per il paese. Con un editto speciale l’imperatore Alessandro i modificò nel 1806 lo status dell’armeria. Fu costruito un apposito edificio e le persone interessate adesso potevano visitare “le bellezze
del palazzo”. Il tesoro degli zar divenne un museo pubblico.
Questo atto dell’imperatore mutò radicalmente la vita della raccolta. Come si è già ricordato inizialmente essa non era una collezione. Nessun oggetto era stato acquisito in quanto oggetto raro, da
custodire e mostrare all’interno di una teca di vetro. A partire del 1806 si comincia a completare e
arricchire il nucleo iniziale di opere. A tutt’oggi il Palazzo dell’Armeria è un museo “vivo” che cerca di
allargare e approfondire la splendida raccolta formatasi sulla collina Borovickij a partire dal xiv secolo.
Nell’organizzare la mostra dedicata al Tesoro degli zar, i curatori dei Musei del Cremlino sono stati
guidati dal desiderio di far conoscere agli amanti dell’arte italiani i pezzi più importanti della vasta
collezione. Benché la raccolta del Palazzo dell’Armeria comprenda anche opere notevoli del xix-xx
secolo, la parte più importante rimane senz’altro quella più antica del complesso, formatasi prima
della creazione del museo. Per questo il gruppo di 112 opere esposte rientra nei limiti cronologici
della fine del xviii secolo. I visitatori della mostra “Il Tesoro del Cremlino” potranno apprezzare l’arte
eminente dei maestri artigiani russi del Medioevo e farsi un’idea della magnificenza dell’antica corte
degli zar in tutta la sua varietà. Alcuni pezzi risulteranno allo spettatore del tutto nuovi e sconosciuti,
altri rievocheranno ricordi e faranno scaturire associazioni.
I Musei del Cremlino sperano che questa mostra contribuisca a far conoscere più da vicino al pubblico degli specialisti e degli amanti dell’arte, la cultura e la storia dello Stato russo, e sia di stimolo
per instaurare ancor più stretti legami di amicizia e reciproca conoscenza.
Il termine russo palata ha vari significati, tra cui quello di “palazzo”. Questo spiega perché nella traduzione
ormai in uso nella lingua italiana tutto il complesso museale venga chiamato “Palazzo dell’Armeria” (NdT).
2
Il termine dolgorukij significa “dal lungo braccio” (NdA).
3
Kalita significa “borsa di denaro” (NdA).
1
Schede
Avvertenze
Il calibro delle armi da fuoco è indicato in millimetri
Si riporta di seguito la traslitterazione degli inventari in cirillico delle opere esposte
Арх - arch.
MP - MR
МЗ - MZ
ДК - DK
Ж-Ž
Р-R
КН - KN
ТК - TK
ОР - OR
К-K
Glossario
24
Barmy – Gioiello maschile, tipo di monile. Era uno dei simboli del potere statale. Nell’antichità
era costituito da elementi globulari e medaglioni, nel xvii secolo assunse l’aspetto di un largo
bavero di stoffa staccato sopra il quale erano cuciti oppure raffigurati a ricamo medaglioni
preziosi.
Bratina – Grande tazza.
Čarka – Tazza destinata a bevande alcoliche.
Cata (pendente) – Pendente per icona che viene fissato, alla stregua di un monile, al collo del
personaggio raffigurato. Ha la forma di una mezzaluna, talvolta con l’estremità figurata.
Drobnica (placchetta) – Piastra decorativa, cesellata, smaltata, ecc. Queste placchette
venivano usate come decorazioni applicate per diversi oggetti, ad esempio per suppellettili
sacre o indumenti.
Endova – Vaso, recipiente a bocca larga.
Epitrahil – Paramento sacro ortodosso a forma di pettorale.
Felon’ (coprispalla) – Nella chiesa cattolica è la “casula”, o pianeta. È il paramento sacro che
gli alti prelati mettono sopra le altre vesti, una specie di mantello. Rappresenta la veste di
porpora che fu fatta indossare a Cristo durante il processo da Ponzio Pilato.
Jašma krovavaja (diaspro sanguigno) – Tradizionale nome russo della pietra decorativa.
Kanfarenie (puntinatura) – Poinçon.
Kolt, Kolty (pl.) – Gioiello femminile antico russo composto da due pezzi identici. Sono noti
due tipi di “kolt”: a forma di medaglione e di stella. Venivano fissati all’acconciatura mediante
nastri e pendevano al livello della spalla.
Kovš – Recipiente con manico.
Nauz – Gorgiera equina con nappe.
Oglaviе (apice) – Elemento superiore della panagìa o della croce, fissato in modo da poter
scorrere. Consiste in un grosso nodo decorativo necessario per appendere l’oggetto.
Palica (epigonation) – Accessorio di stoffa dei paramenti sacri, a forma di rombo, che viene
fissato alla veste sul lato destro. Dal punto di vista simbolico rappresenta la spada spirituale,
cioè la Parola di Dio. Inoltre la “palica” simboleggia l’estremità del telo con cui Cristo asciugò i
piedi degli apostoli.
Potir (calice) – Dal greco “tazza”, “coppa”. Tazza per l’Eucarestia.
Rjazny – Lunghe catenelle a maglie, dischi o piastrine.
Stavec – Basse tazze cilindriche con coperchio.
Stopà – Alto bicchiere.
Zern’ – granulazione. Tecnica usata in oreficeria consistente nel saldare minuscole sfere
(“granuli”) di metallo nobile.
25
1. Kolt
Rus’,
xii-primi
decenni del
xiii
secolo
argento
forgiatura, brasatura, granulazione, filigrana
diam. cm 10
Mosca, Palazzo dell’Armeria del Cremlino, inv. n. arch.-773
Il pendente d’argento è a forma di stella a sei punte decorate a granuli. I raggi sono grossi, arrotondati, a forma di coni e terminano con una sferetta saldata costituita da due semisfere. I raggi a
struttura conica sono fissati al corpo cilindrico sul lato della base maggiore. Anche la parte piana a
vista del corpo cilindrico presenta un’applicazione a sferetta.
Sopra il corpo centrale della base è fissata una mezzaluna piatta. La mezzaluna è costituita da
un archetto con la testa di forma romboidale forata. All’altra estremità dell’archetto è saldato un
piccolo gancio.
A.Ko.
26
27
3. Pendente
Scandinavia,
2. Anello da tempia
Rus’,
xii-primi
decenni del
xiii
xi-xiii
secolo
argento
forgiatura, brasatura, filigrana, granulazione, foratura
lungh. cm 5,3
Mosca, Palazzo dell’Armeria del Cremlino, inv. n. arch.-791
secolo
argento
forgiatura, brasatura, filigrana, granulazione
diam. cm 3,4
Mosca, Palazzo dell’Armeria del Cremlino, inv. n. arch.-786
Anello da tempia, in argento, а tre sfere. Nel filo d’argento a forma d’archetto sono inserite tre sfere
traforate di filo metallico, distanziate da manicotti di catenella filigranata. Un’estremità dell’archetto
non è saldata e termina a forma romboidale forata.
A.Ko.
Il pendente è in argento, a forma di scarabeo allungato, cavo, composto da due parti. Il verso è
leggermente concavo, il recto convesso. Il recto è adornato da granuli e filigrana. Al centro del pendente passa dall’alto verso il basso una striscia ornamentale di granuli e piccole semisfere. Essa
divide la decorazione in due parti simmetriche. Le strisce del nastro decorativo di filigrana e granuli
occupano, intrecciandosi, tutta la superficie del pendente. Nella parte inferiore del recto, al posto
della congiunzione delle due parti, passa un ornamento di cerchietti, rivestiti di catenella filigranata.
Nell’estremità superiore del pendente sono presenti le aperture per l’inserto di aggancio, formate,
da entrambe le parti, da due file di semplice filo.
A.Ko.
28
29
4. Anello
Rus’,
xii-primi
decenni del
xiii
secolo
5. Vago di collana
argento
forgiatura, incisione, brasatura, niello
diam. scudetto cm 2,7
Mosca, Palazzo dell’Armeria del Cremlino, inv. n. arch.-792
Rus’,
L’anello è realizzato in argento forgiato con scudetto circolare a sigillo. Sul sigillo è rappresentato un
volatile a bassorilievo. Sulle facce laterali del sigillo è realizzato un ornamento geometrico. L’anello
è cavo, composto da due parti. La parte superiore dell’anello è fissata al sigillo da quattro tasselli
decorativi.
A.Ko.
xi-primi
decenni del
xiii
secolo
argento
forgiatura, brasatura, filigrana, granulazione
diam. cm 3,3
Mosca, Palazzo dell’Armeria del Cremlino, inv. n. arch.-814
L’elemento globulare è in argento traforato, ovale lungo la sezione longitudinale, decorato con un
motivo geometrico di granuli “lisci” e filigrana.
A.Ko.
30
31
7. Medaglione
6. Braccialetto
Rus’,
xii
Rus’,
xii
secolo
argento
forgiatura, brasatura, incisione, niello
diam. cm 7,5
Mosca, Palazzo dell’Armeria del Cremlino, inv. n. arch.-925
secolo
argento
forgiatura, torciglione
diam. cm 9
Mosca, Palazzo dell’Armeria del Cremlino, inv, n. arch.-922
Il medaglione, in argento, di forma circolare, proviene dalla decorazione del barmy1. Vi è raffigurata
una croce fiorita.
Il braccialetto è in argento ed è costituito da tre fili attorti con le estremità appiattite.
A.Ko.
A.Ko.
1
Per una corretta descrizione del barmy si veda il Glossario a p. 24 nel presente catalogo (NdT).
32
33
9. Anelli da tempia
Kiev,
xi-xiii
secolo
oro
cesello, filigrana, granulazione
h. cm 3, largh. cm 4,3, h. cm 4,3, largh. cm 4
Mosca, Palazzo dell’Armeria del Cremlino, inv. n. arch. MR-999/1-2
8. Vago di collana
Rus’,
xii
secolo
argento
granulazione, filigrana, doratura, forgiatura, brasatura
cm 2,7 x 2,4
Mosca, Palazzo dell’Armeria del Cremlino, inv. n. arch.-1023
Il vago è in argento, ovale lungo la sezione longitudinale e consta di due metà, su ciascuna delle
quali è un rivestimento di cinque triangoli granulati, disposti con le punte rivolte verso il foro. Il foro,
bordato da due ordini di filigrana intaccata, è anch’esso decorato con un rivestimento di cinque
triangoli, ma con le punte rivolte verso il centro del vago. Al centro c’è una fascetta d’argento liscio,
dello spessore di cm 0,3, decorata su entrambi i bordi da due file di filigrana intaccata. I granuli e il
filo sono leggermente spianati. Il fondo è dorato.
A.Ko.
Gli anelli da tempia in oro e argento che, evidentemente, venivano fissati all’acconciatura femminile,
sono tra i gioielli più diffusi nell’antica Rus’ e risalgono alla cultura antico-slava del vii e viii secolo.
Nell’arte pagana i ciondoli da tempia svolgevano la funzione di amuleti e la forma e i motivi decorativi
avevano un significato magico. In seguito essi perdono le proprie funzioni magiche e da talismani si
trasformano in ornamenti preziosi. Nel realizzarli ci si concentrava principalmente sui motivi decorativi. Larghissima diffusione avevano gli anelli a tre sfere. Gli elementi globulari di anelli dalle stesse
forme si distinguevano per fantasia e gusto notevoli. Erano circolari e ovali, romboidali e cilindrici.
Alcuni, simili a leggere palline traforate, erano realizzati con fili metallici intrecciati, lisci e ritorti. Altri
erano interamente fatti di metallo e decorati con disegni geometrici in rilievo di granuli e filigrana.
I.B.
10. Immagine votiva da petto raffigurante la “Crocifissione con dolenti”
Costantinopoli, fine del x-inizio dell’xi secolo; Rus’,
xii-xiii
secolo (cornice)
oro
smalto cloisonné, filigrana, granulazione
misure complessive: cm 6 x 4,5; misure della placchetta centrale: cm 3,5 x 2,5
iscrizioni: sulla traversa superiore della croce è presente l’iscrizione IS HS; l’iscrizione verticale a sinistra della croce è
ιδουοηοсου (Questo è il figlio tuo); a destra ιδουοημρсου (Questa è tua madre)
Mosca, Palazzo dell’Armeria del Cremlino, inv. n. MZ-1143
34
L’immagine votiva smaltata “Crocifissione con dolenti” è di forma rettangolare, con gli angoli arrotondati, e ha una cornice di filigrana. La croce di Cristo è smaltata di blu scuro con un contorno nero bluastro. La testa di Cristo è inclinata
sulla spalla destra, l’aureola è turchese e le linee che vi si intersecano a forma di croce sono bianche. Il corpo dai
muscoli finemente modellati, le ginocchia, le dita delle mani e dei piedi, con la punteggiatura marrone dei chiodi, sono
resi con estrema cura, e smaltati con una sfumatura color carne scura, la fascia del perizoma è color latte. Da sotto la
costola destra sgorga un fiotto di sangue rosso. Sopra la testa di Cristo, sulla traversa della croce, c’è un’iscrizione color
bianco-grigio. In alto, a sinistra della croce, è presente la rossa voluta del sole. Non è visibile la raffigurazione della luna.
A entrambi i lati della traversa superiore della croce sono raffigurati a mezzo busto gli angeli in adorazione. I volti degli angeli
sono smaltati di giallo-marrone, il bianco degli occhi è color latte, le pupille sono spalancate, gli sguardi, pervasi da un dolore
profondo, sono rivolti verso il centro della composizione. I capelli sono neri, le teste, su cui sono adagiati diademi bianchi,
sono circondate da aureole turchesi, bordate di nero. Le vesti e le ali hanno un contorno scuro e presentano un’alternanza
di strisce azzurre e blu scure. A entrambi i lati della croce, sul fondo oro dell’icona, ci sono due scritte verticali di colore blu
scuro. Ai lati della croce sono raffigurati i dolenti, la Vergine e l’apostolo Giovanni. La Madre di Dio ha un velo celeste e un
cerchietto rosso sulla fronte, indossa una veste blu scura con le maniche orlate di rosso, l’aureola è color turchese, bordata
di rosso scuro. È rivolta di tre quarti verso Cristo e lo guarda sofferente, con la testa appena reclinata sulla spalla sinistra.
Sul bianco degli occhi della Vergine spiccano le nere pupille, le sopracciglia, nere anch’esse, sono sollevate in segno di
emozione profonda. Con il palmo scoperto della mano sinistra la Madonna sostiene la guancia, la destra è tesa verso il
Figlio. Giovanni è vestito con una tunica celeste, un mantello dalle pieghe nere e turchesi e un clavio sulla spalla destra. La
testa dell’apostolo è leggermente reclinata sulla spalla destra, l’aureola è turchese, orlata di rosso scuro, i capelli sono neri,
ondulati. Gli occhi spalancati, con le pupille nere modellate e il bianco color latte, sono rivolti verso i piedi del Maestro, le
sopracciglia sono sollevate in segno di emozione e leggermente accostate. Nelle mani, dalle dita accuratamente modellate,
Giovanni tiene un pesante Vangelo giallo con decorazioni rosse (al centro, un medaglione con una pietra celeste e ai lati
pietre rosse, la rilegatura è rossa). Da sotto la veste sporge il piede destro con le dita modellate.
Il Calvario è smaltato di blu scuro, la testa di Adamo e i due fiumi del Paradiso stilizzati sono color bianco latte1. In cima
al Golgota, ai piedi della croce, ci sono tre bastoni, orlati di rosso scuro2.
La placchetta con le figure smaltate è saldata, per mezzo di una fascetta liscia bordata da filo d’oro intrecciato, su una
lamina ovale in oro, ornata ai bordi da uno spesso ricamo di filigrana a doppio ordine con granuli e dodici incavi per le
pietre e le perle.
O.Š.
Bibliografia: Bank 1966, n. 181; Kondakov 1892, pp. 337, 338, disegno 105; Kondakov 1896, pp. 89-90, tav. xvii; Pisarskaja 1964, tav. xxvi
Il Paradiso “terrestre” descritto nel secondo libro della Genesi, è bagnato da un corso d’acqua che alimenta quattro fiumi: il Pison, il
Ghicon, il Tigri e l’Eufrate (NdA).
2
I tre bastoni sul Golgota ai piedi della Croce rappresentano i tre alberi del Vecchio Testamento con i quali è stata fatta la Croce del
Signore. Una leggenda narra che durante una protesta popolare nei pressi della sorgente di acqua amara e salata di Merra un angelo dette a Mosè tre alberi, abete bianco (aloe), cedro e cipresso, e ordinò di intrecciarli insieme come simbolo della Santa Trinità e
piantarli sulla riva della fonte. Secondo un’altra leggenda Isaia dette a Lot tre bastoni di tre diversi alberi, abete bianco (aloe), cedro
e cipresso, con l’ordine di innaffiarli ogni giorno. Lot li innaffiò con zelo e andò tutti i giorni alla fonte fino a che non crebbe un albero,
l’albero della vita. In seguito l’albero fu tagliato e messo a guisa di ponte sul fiume Cedron. Quando la regina di Saba venne in visita
da Salomone, per convincersi della sua saggezza, doveva attraversare il fiume sul ponte-albero della vita. Ella si avvicinò all’albero, si
inginocchiò e prese a pregare, senza osare calpestarlo. La regina di Saba predisse che su questo legno sarebbe stato crocifisso Gesù
Cristo. Allora Salomone ordinò di toglierlo dal fiume e conservarlo. Quando fu deciso di crocifiggere Gesù fu proprio l’albero della vita
pietrificato ad essere scelto per preparare la croce, al fine di rendere ancor più crudo il supplizio di Cristo (NdA).
1
35
36
37
11. Immagine votiva da petto raffigurante “L’altissimo Salvatore”
Costantinopoli, x-xi secolo
oro, diaspro sanguigno, pietre preziose
intaglio, sbalzo, cesello
h. cm12; largh. 8,2
Mosca, Palazzo dell’Armeria del Cremlino, inv. n. DK-142
L’intaglio di pietre dure colorate, che a suo tempo rese famosi gli artisti del mondo antico, fu ripreso
a Costantinopoli a partire dal x secolo. È un’arte estremamente complessa e laboriosa. Per questo
motivo esse erano realizzate per lo più su commissione di sovrani importanti. Il Palazzo delle Armi
possiede una delle più belle raccolte al mondo di gemme bizantine, in lapislazzuli, agata, calcedonio e altre pietre preziose e colorate. Di solito le loro misure sono abbastanza piccole: dai 3 ai 5 centimetri. Il cammeo con “L’altissimo Salvatore” in diaspro sanguigno, alto circa 9 centimetri, rientra
nel novero degli esemplari rarissimi. La posizione rigidamente frontale della figura, immobile, con lo
sguardo rivolto verso lo spettatore, è tipica del x-xi secolo, quando si afferma nell’arte il cosiddetto
stile bizantino classico. La resa corretta delle proporzioni e dei volumi del corpo umano testimonia il
persistere della tradizione antica nelle opere degli artisti bizantini. Il valore di questo oggetto è dato
anche dal fatto che il bassorilievo è giunto sino a noi nella sua originaria montatura in oro. Le pietre
che ne costituiscono la decorazione, almandino, smeraldi, agate si intonano perfettamente con le
tonalità multicolori del diaspro.
Icone preziose in pietra di questo tipo, portate nella Rus’ da Costantinopoli, facevano parte delle
reliquie di famiglia dei grandi principi moscoviti ed erano conservate nella tesoreria del Cremlino.
Per i governanti dell’antica Rus’ esse avevano un significato particolare, dal momento che sottolineavano la continuità del loro potere e l’unità della Chiesa cristiana d’Oriente.
M.M.
Bibliografia: Pisarskaja 1964, p. 20, tav.
653; Carskij hram 2003, n. 84
xxviii;
Bank 1978, p. 120, disegno 105; Iskusstvo Vizantii 1977, vol. 2, n.
38
39
12. Croce d’altare
Costantinopoli,
xiii-xiv
secolo
legno, argento
sbalzo, cesello, doratura
h. cm 35,6; largh. cm 14
Mosca, Palazzo dell’Armeria del Cremlino, inv. n. MZ-1142
La croce di legno a sei bracci fa parte della tipologia delle antichissime croci da messa, assai note
grazie alle raffigurazioni nell’arte bizantina. Su uno dei lati della croce ci sono reliquiari con parti
della Vera Croce del Signore e altre reliquie della Passione, utilizzate durante i riti della Elevazione
della croce e della settimana della Passione. L’accuratezza dell’esecuzione, le proporzioni notevoli,
i due scrigni per le reliquie ci permettono di considerare questa croce un magnifico esempio dell’oreficeria liturgica e della toreutica bizantine. Croci analoghe non sono note, ma i motivi decorativi,
la forma elegante, la cesellatura fine e particolareggiata della superficie indicano che la croce viene
da un importante centro artistico dell’epoca dei Paleologi. Una croce simile, con i bracci a sezione
poligonale, è raffigurata sul retro dell’icona del xv secolo del Cristo Pantocrator, conservata al Museo bizantino di Atene.
La croce in mostra proviene dalla raccolta di oggetti sacri un tempo conservati nella cosiddetta
“Obraznaja palata”1, e nelle chiese del Palazzo dei Terems2 del Cremlino di Mosca.
I.S.
Bibliografia: Opis Oružejnoj palaty 1884, n. 7, p. 8
Sala delle immagini votive del Cremlino, dove anticamente si conservavano le icone e gli oggetti liturgici che
non trovavano collocazione nelle cappelle degli zar e delle zarine (NdT).
2
Termine che indica la residenza principale degli zar nel corso del xvii secolo (NdT).
1
13. Icona “Le festività”:
“Circoncisione”, “Entrata a Gerusalemme”, “Crocifissione”, “Discesa agli Inferi”
rilievo in steatite: Bisanzio, fine del
xiii-xiv
secolo; cornice: Russia, fine del
xvi
secolo
steatite, argento, almandino, perle, vetri
intaglio, cesello
h. cm 7,7, largh. cm 6,2 (senza cornice); h. cm 15, largh. cm 9,2 (con cornice)
provenienza: dal 1634 la sua presenza è documentata nella Chiesa dell’Annunciazione del Cremlino di Mosca
Mosca, Cattedrale dell’Annunciazione del Cremlino, inv. n. DK-145
40
La superficie quadrata dell’icona è suddivisa in quattro parti, su ciascuna delle quali sono rappresentate le scene della
Circoncisione, l’Entrata a Gerusalemme, la Crocifissione, la Discesa agli Inferi. La steatite ha una sfumatura grigioverde, le immagini sono eseguite ad alto rilievo. Sul verso, celato da una liscia lamina d’argento, è abbozzata la scena
dei Sette dormienti di Efeso, contornata da linee tratteggiate. Ai lati degli adolescenti con gli involti sono posti due angeli
con le braccia protese verso il cielo, l’ala dell’angelo di destra fuoriesce dalle linee tratteggiate.
L’icona poggia su una base di legno che si colloca all’interno di una massiccia cornice-scrigno in argento chiusa sul
retro (l’anta superiore a forma di cornice con le estremità laterali è infilata in quella inferiore chiusa sul fondo e ai bordi).
Sul lato anteriore della cornice si diparte un motivo decorativo a guisa di stelo intagliato che si intreccia con fiori a otto
e dodici petali, su uno sfondo opaco eseguito sul rovescio. Ai lati, una cornice in rilievo. Al centro di ogni lato grosse
perle sono fissate in alti alloggiamenti a forma di rosette e negli angoli sono presenti vetri trasparenti. L’apice è a forma
di quadrifoglio con una decorazione a bassorilievo intagliato e un grosso almandino ovale posto nell’alloggiamento decorato da nastri pendenti eseguiti a intaglio.
Relativamente all’iconografia dell’opera, segnaliamo il criterio insolito con cui sono stati accostati i soggetti: le scene
non si attengono rigidamente alla cronologia degli eventi descritti dai Vangeli, come in tutte le icone in steatite dedicate
alle feste che si conoscono, si susseguono bensì secondo un ordine particolare. Le tre scene del ciclo della passione
(Entrata in Gerusalemme, Crocifissione, Discesa agli Inferi) sono precedute dalla Circoncisione. L’iconografia delle festività è nel complesso standard. Segnaliamo come rari alcuni dettagli iconografici della scena della Circoncisione, vale
a dire il gesto del Bambino Gesù con le braccia allargate come il Cristo in croce nella scena della Crocifissione collocata
sotto la “Circoncisione”; e la croce formata dall’intersecarsi della colonna del ciborio con le porte del tramezzo dell’altare, proprio sotto la figura del Bambino Gesù. Forse sono proprio questi elementi insoliti a sottolineare nell’evento l’inizio
della missione di salvezza di Cristo, al culmine della quale si pongono le sofferenze del Salvatore e la sua resurrezione,
raffigurate nelle scene successive. Nella scena dell’Entrata a Gerusalemme sono da segnalare la camicia sotto i piedi
di Cristo e i due abitanti di Gerusalemme. Nella Crocifissione sono presenti delle croci sul codice che Giovanni tiene in
mano e sullo scudo di Longino. Nella Discesa agli Inferi è sottolineato il gesto di David e Salomone con le mani sul cuore
e la croce che Cristo innalza. Espressivo è il gesto indicante e benedicente di Giovanni Battista.
L.V. Pisarskaja ha pubblicato l’icona come opera d’arte bizantina del xiii-xiv secolo; A.V. Bank ha segnalato che i rilievi
dell’icona non sono da riferirsi all’arte bizantina; e I. Kalavrezu-Maksajner l’ha considerata di scarso valore artistico e
l’ha riferita all’arte provinciale dell’epoca post bizantina. M.N. Pucko-Bočkareva, al contrario, ha insistito su una datazione precoce (intorno al 1200) e non ha escluso la possibilità che l’icona sia stata realizzata nella Rus’ da un maestro
bizantino, ad esempio a Kiev, dopo il 1204.
Le modeste misure della lastra di steatite, lo spessore e la scelta originale dei soggetti permettono di ritenere che l’icona fosse destinata alla devozione personale, come una croce da petto. Questa tesi è confortata anche dall’immagine
incompleta sul verso, molto diffusa nelle icone da petto e venerata come apotropaica.
Come ha giustamente notato ancora A.V. Bank, i rilievi dell’icona non sono di tipo bizantino. I contorni delle figure intensamente delineati, il disegno ornamentale delle pieghe degli abiti e dei capelli, le forme stilizzate degli edifici, delle colline e
dell’albero, la conformazione dei volti ( dagli zigomi larghi con stretti occhi a mandorla), la resa della figura umana e alcuni
dettagli(la forma dell’albero, l’asina nella scena “Entrata a Gerusalemme”, il teschio di Adamo nella “Crocifissione”), tutta
la maniera artistica rivelano, forse, la mano di un artista europeo, a cui sono ben noti i modelli bizantini. La profusione di
croci in tutte le quattro scene dell’icona può alludere all’arte dell’epoca delle crociate.
M.Z., S.Z.
Bibliografia: Pisarskaja 1964, p. 25, tavv.
xliv-xlv;
Bank 1978, p. 112; Kalavrezou-Maxeiner 1985, app. 32, p. 243
41
14-16. Corona, aureola e pendente della cornice dell’icona “Madonna Bogoljubskaja”
Mosca, fine del
xiv-inizio
del
xv
secolo
oro, zaffiri, smeraldi, tormaline, granato, almandino, turchesi, madreperla, vetri, perle
cesello, filigrana, granulazione
aureola: largh. cm 1,5-3,5; dentelli della corona: cm 11-11,5 x 7,5-8; pendente: cm 12,6 x 9
Mosca, Palazzo dell’Armeria del Cremlino, inv. nn. MR-1041, MR-1040, MR-3683
42
La corona, l’aureola e il pendente ornavano la “Madonna Bogoljubskaja” (“Madonna del Divino
amore”), una delle icone più venerate della Cattedrale dell’Assunzione del Cremlino di Mosca,
come testimonia non solo la sua collocazione sul badalone davanti all’iconostasi, ma anche la
splendida cornice in argento sbalzato.
La Rus’ ereditò da Costantinopoli la tradizione di creare preziose cornici per le icone più venerate.
Il significato simbolico dell’oro e dell’argento, delle pietre preziose e delle perle, degli ornamenti
e delle immagini raffigurate sulla parte anteriore della cornice dava un’enfasi nuova all’immagine
votiva. In segno di particolare devozione si realizzavano cornici che facevano dell’icona un oggetto
sacro particolare, alla stregua di un reliquiario. Non era raro che l’impianto artistico dell’icona venisse pensato sin dall’inizio strettamente collegato al suo prezioso decoro.
Il carattere di queste cornici è mutato nel corso dei secoli. Dell’epoca antica si sono conservati
solo pochi esemplari, più o meno integri. I più antichi risalgono al xii secolo. Si può avere un’idea
dell’arredo di un’icona per lo più basandosi sui vecchi inventari delle chiese e su pochi, singoli frammenti miracolosamente sopravvissuti. Tra questi ultimi l’aureola, la corona e il pendente dell’icona
“Madonna Bogoljubskaja”. Nel 1812, quando l’armata di Napoleone si trovava a Mosca, l’icona
scomparve senza lasciare traccia, ma il caso volle che singole parti della sua ricca cornice non
andassero perdute. Tra queste, l’elegante corona d’oro, composta da cinque placchette trilobate.
Corone di questa forma sono note a partire dal xii secolo e si trovano fino al xv, ad esempio sulla
cornice della famosa icona “Madonna di Vladimir”, eseguita su commissione del metropolita Fozio.
Nella cornice dell’icona “Madonna Bogoljubskaja” il motivo filigranato che caratterizza la corona,
con volute attorcigliate a spirale e sferette granulate, svela la sua evidente affinità con l’ornamentazione delle opere premongoliche, in particolare con gli oggetti del tesoro di Rjazan. Al contempo le
incastonature delle pietre sono tipiche per lo più delle opere di oreficeria del xiv-xv secolo.
Anche i pendenti di icone sono noti sin dall’epoca premongolica. Come la maggior parte degli
elementi che costituiscono il corredo di un’icona, la loro forma e il significato simbolico derivano
da gioielli antichi veri, le grivne. Questi cerchi da collo sono abbastanza noti grazie ai numerosi
ritrovamenti archeologici. Erano utilizzati non solo come gioielli e amuleti, ma anche come segni
distintivi di una posizione sociale elevata all’interno della società. È nelle fonti del xii secolo che per
la prima volta si menziona l’uso di appendere le grivne alle icone oggetto di venerazione. Tuttavia
sono rimasti solo pochissimi esemplari di grivne del xii-xv secolo. Il pendente della cornice dell’icona
della “Madonna Bogoljubskaja”, a forma di piccola falce d’oro, andrebbe più esattamente chiamato
grivna, dal momento che il termine “zata” (pendente) è entrato nell’uso solo a partire dal xvii secolo.
M.M., E.M.
Bibliografia: Martynova 1988, pp. 101-112; Sterlygova 2000, pp. 199-220
43
44
45
46
47
17. Pendenti d’icona (rjazny)
Russia,
xv
secolo
oro, argento, perle, vetri, filigrana, doratura
lungh. cm 11
Mosca, Palazzo dell’Armeria del Cremlino, inv. n. MR-2643/1-2
Gli eleganti pendenti di perle minute provengono dalla Cattedrale dell’Annunciazione, la chiesa privata dei granduchi nel Cremlino di Mosca. Un tempo essi decoravano una delle numerose piccole
icone della iconostasi principale della chiesa, icone che, nel loro complesso, erano evidentemente
oggetto di una venerazione particolare presso la corte dei sovrani moscoviti. Particolarmente numerose erano le icone della Madonna, in prevalenza copie della “Madonna di Vladimir”, una delle
reliquie più importanti di Mosca. Nel novero di siffatte antichissime copie rientrava, evidentemente,
anche l’icona, di cui sono giunti sino a noi i pendenti di perle della preziosa cornice d’oro.
E.M.
Bibliografia: Russkoe zoloto 1987, pp. 33, 187
48
49
18. Panagìa con catenella
Mosca,
xv
secolo
argento
fusione, niello, incisione, smalto, doratura
lungh. cm 13,5; diam. cm 13
Моsca, Palazzo dell’Armeria del Cremlino, inv. n. MR-1023/1-2
Il termine panagìa deriva dal greco “santissima”. Così nell’antica Rus’ veniva chiamato un recipiente composto da due piattini convessi uniti l’uno all’altro che si usava durante la liturgia della consacrazione del pane in onore della Vergine. Piccole panagìe a due valve, con apice a occhiello per far
passare una catenella, erano destinate al trasporto e alla conservazione del pane “della Vergine”.
Esso poteva essere utilizzato per somministrare il sacramento dell’Eucarestia ai fedeli che non potevano recarsi in chiesa. Fino al xvi secolo furono utilizzate panagìe di questo tipo, in seguito esse
subirono alcune trasformazioni.
I soggetti raffigurati sul recto delle panagìe a due valve sono abbastanza vari. Per lo più si tratta di
scene della Crocifissione e dell’Ascensione. Sulla valva anteriore della panagìa in mostra è presente un motivo decorativo traforato, al cui interno sono collocati medaglioni con le figure di Cristo e
dei quattro Evangelisti. All’interno della panagìa sono incise le figure della Trinità e della Madonna
dell’Epifania, vale a dire della Madonna con le braccia sollevate e allargate e recante sul petto l’immagine di Cristo-Emanuele. Una decorazione di questo tipo della parte interna delle panagìe a due
valve è pienamente conforme alla tradizione.
La panagìa fu offerta al monastero Kirillo-Belozerskij, situato nel nord del paese, uno dei più importanti centri religiosi dell’antica Rus’. Nei musei del Cremlino la panagìa è pervenuta alla metà degli
anni Venti.
M.M.
Bibliografia: Varlaam, arhimandrit 1859, vol. 3, pp. 50-51; Ryndina 1977, p. 222, fig. p. 221
50
51
19. Icona a libretto raffigurante la “Lode della Madonna”
Mosca, seconda metà del
xv
secolo
legno, oro, argento, smeraldi, zaffiri, almandino, ametiste, calcedonio, perle
intaglio, filigrana, cesello
cm 13,7 x 9,2
Mosca, Palazzo dell’Armeria del Cremlino, inv. n. DK-7
Questa icona a libretto intagliata è una delle opere più belle della scultura russa minore. Nella Russia medievale, a differenza dell’Europa occidentale, questo genere di scultura ebbe una diffusione
più ampia rispetto alla scultura monumentale. Icone di piccole dimensioni, croci da petto e icone a
libretto con figure intagliate nel legno, nell’avorio o nella pietra erano largamente diffuse tra i vari
ceti della società russa. I manufatti destinati alla corte del principe, al metropolita e ai nobili boiardi
erano opera di artisti altamente specializzati e le cornici d’oro e d’argento, con decorazioni di perle
e pietre dure, erano eseguite dai migliori orefici. Spesso opere di questo tipo venivano realizzate
in occasione di eventi particolari della vita del committente, che talvolta dava indicazioni sul programma iconografico e decorativo. L’icona a libretto “Lode della Madonna” rientra senza dubbio nel
novero di immagini votive eseguite su commissione. Essa potrebbe essere stata eseguita per uno
dei membri della famiglia dei gran principi di Mosca. Lo attestano il virtuosismo dell’intagliatore e
dell’orefice, la preziosità dei materiali impiegati e la storia del dittico, uno delle reliquie di maggior
valore della chiesa dell’Annunciazione del Cremlino di Mosca, la chiesa privata dei gran principi.
Sui lati interni delle ante sono presenti raffigurazioni in rilievo dei profeti e delle feste. Sul retro
dell’icona è posta la chiusura costituita da una placchetta d’argento dorato con le immagini incise
dei santi Giovanni Crisostomo, Basilio il Grande, Gregorio Nazianzeno e dei santi di Mosca Leonzio
Rostovskij, il metropolita Pietro, il metropolita Alessio e Sergej Radonežkij, ritenuti i protettori dello
stato russo e di Mosca.
E.M.
Bibliografia: Filomonov 1875, nn. 6-10; Nikolajeva 1974, pp. 172-177
20. Icona raffigurante “Il metropolita Pietro con storie della sua vita”
52
Mosca, primi decenni del
xvi
secolo
53
avorio, argento
intaglio, filigrana, doratura
cm 15,9 x 12,7
Mosca, Palazzo dell’Armeria del Cremlino, inv. n. DK-132
L’icona in avorio raffigurante “Il metropolita Pietro con storie della sua vita” è la replica di una
famosa icona della Cattedrale dell’Assunzione del Cremlino di Mosca, dipinta dal celebre pittore
russo Dionisij a cavallo tra il xv e il xvi secolo. L’intagliatore riproduce scrupolosamente il tema
iconografico del modello. Sull’icona in avorio, come su quella dipinta, la parte centrale è occupata
dalla figura solenne del santo, incorniciata da placchette con storie della sua vita e dei suoi atti.
La figura di Pietro, a bassorilievo schiacciato, rimanda alle figure dipinte da Dionisij, che sembrano scivolare sulla superficie pittorica. Nonostante le piccole dimensioni l’icona in avorio conserva
il carattere monumentale proprio dell’originale. La figura rigidamente frontale del santo con le
braccia spalancate, grandiosa e significativa è in sintonia con le figure di Dionisij anche per la
sua connotazione emotiva.
Il pannello d’avorio è inserito in una cornice d’argento che presenta un motivo ritmico filigranato di
grosse volute a forma di cuore, decorate di filo liscio. Gli anellini di filigrana attorti che le riempiono
si richiamano all’intaglio decorativo a occhio d’uccello del corpo centrale dell’icona contribuendo
all’omogeneità della soluzione artistica.
Il metropolita Pietro fu alla guida della Chiesa russa nei primi venticinque anni del xiv secolo. Egli
è noto tuttavia non solo per il suo operato di pastore spirituale. L’autorità particolarmente forte di
cui godeva gli permise di sostenere il principe Ivan Danilovič Kalite nell’opera di riunificazione delle
terre russe e prendere così parte attiva all’edificazione dello stato moscovita. Il metropolita Pietro
morì alla fine del 1326 e dopo tredici anni, nel 1339, fu canonizzato, divenendo così uno dei santi
più venerati della Chiesa russa. Anticamente presso la sua tomba, nella Cattedrale dell’Assunzione
del Cremlino, si proclamavano e si eleggevano i primati di Mosca.
I.B.
Bibliografia: 1000-letie 1988, cat. n. 298; Pervosvjatiteli 2001, cat. n. 3
21. Croce pettorale
cammeo in zaffiro: Costantinopoli, xii secolo; montatura: Mosca, botteghe del Cremlino, xvi secolo
54
oro, argento, zaffiri, rubini, perle; cesello, smalto, filigrana, granulazione
h. con la parte superiore: cm 8,3; largh. cm 5,5
Mosca, Palazzo dell’Armeria del Cremlino, inv. n. DK-129
55
Al centro della croce d’oro da petto c’è uno zaffiro celeste chiaro a forma di croce con un crocifisso in rilievo e scritte in greco. La glittica, l’incisione su pietre dure preziose e semipreziose,
fu una delle tecniche più diffuse dell’oreficeria medievale sia nei paesi dell’Europa occidentale,
prima fra tutti l’Italia, sia in Oriente, a Costantinopoli. Molto probabilmente il cammeo della croce
proveniente dalle collezioni del Cremlino venne realizzato a Costantinopoli. Lo testimoniano le
scritte in greco, considerato la lingua ufficiale dell’Impero bizantino, e anche le peculiarità iconografiche del Crocifisso sul cammeo, dove i piedi del Salvatore, conformemente alla tradizione
ortodossa, sono inchiodati separatamente, diversamente dai crocifissi cattolici, in cui entrambi i
piedi di Cristo sono incrociati e trafitti con un unico chiodo.
La montatura in oro della croce è decorata da un motivo vegetale stilizzato smaltato, la parte
superiore è a forma di rosetta con quattro petali ed è decorata da un rubino e da grosse perle.
L’eleganza della decorazione è accentuata da minuscole gocce di granuli d’oro inclusi nello smalto. L’ornamentazione della croce è tipica della produzione degli orefici del Cremlino della seconda
metà del xvi secolo, l’epoca in cui regnò lo zar Ivan il Terribile, come dimostrano la scelta dei procedimenti tecnici e delle soluzioni artistiche, il carattere del motivo filigranato smaltato, il modo in
cui sono stati interpretati i singoli elementi decorativi, l’uso raffinato degli smalti.
Le peculiarità artistiche della croce fanno supporre che inizialmente essa sia appartenuta a uno
dei membri della famiglia dello zar Ivan il Terribile. All’inizio del xvii secolo la croce divenne una
preziosa reliquia del primo rappresentante della nuova dinastia regnante dei Romanov, lo zar
Mihail Fëdorovič, a cui premeva sottolineare i suoi legami di parentela con la precedente casa
regnante. Secondo una versione elaborata nel xix secolo, sulla base di fonti seicentesche, la
croce d’oro da petto, con il prezioso cammeo inciso in zaffiro, sarebbe stata regalata dalla zarina
Evdokia Luk’janovna, moglie di Mihail Fëdorovič, alla figlia Irina Mihailovna nel 1627, in occasione del suo battesimo.
I.B.
Bibliografia: Drevnosti 1849-1853, sez. 2, pp. 81-82, fig. 47; Postnikova-Loseva 1954, p. 196; Martynova 2002,
cat. n. 13
22. Icona raffigurante “Il beato Basilio”
Mosca, botteghe del Cremlino, fine del
xvi
secolo
legno, oro, pietre preziose, miscela di alabastro e colla, tessuto
tempera, niello, sbalzo, cesello, incisione, puntinatura
cm 15,3 х 11,5
Mosca, Palazzo dell’Armeria del Cremlino, inv. n. Ž-1746/1-2
56
Sulla icona di piccole dimensioni è raffigurato il beato Basilio, uno dei santi più famosi della chiesa
russa. Secondo la tradizione iconografica russa il santo, che viene altresì chiamato basilio Nudo,
è rappresentato in preghiera, spogliato delle vesti, con le braccia protese verso l’immagine a mezzo busto di Gesù Cristo, posta nell’angolo superiore sinistro. L’icona è impreziosita da una ricca
cornice, la cui realizzazione risponde, sia dal punto di vista artistico che tecnico, a una tipologia
diffusa tra i manufatti eseguiti dagli orafi del Cremlino nella seconda metà del xvi secolo. Al centro
dell’icona è presente una lamina d’oro con un raffinato motivo a niello di sottili steli vegetali avvolti
a spirale, sullo sfondo di piccole volute incise; ai margini vi sono lamine d’oro che presentano una
decorazione a sbalzo, scandita aritmicamente, di elementi vegetali stilizzati. L’aureola del santo,
così come il pendente figurato sul suo petto, sono decorati con pietre preziose, smeraldi, zaffiri e
almandino rosso scuro.
Il beato Basilio (1469-1552) era un “folle di Dio” (in russo “jurodivyj”). Così erano chiamati nella Rus’
coloro che per l’amore verso Dio e il prossimo abbracciavano una vita di sacrificio nello spirito della
devozione cristiana. Essi non solo rinunciavano spontaneamente a tutti gli agi e ai beni della vita
terrena e si sottoponevano a pratiche di umiliazione ascetica, ma assumevano altresì il comportamento di persone folli, che non riconoscono nessuna delle regole del vivere civile (non a caso la
parola russa “jurodivyj” deriva dallo slavo “urod”, mentecatto, pazzo). Il beato Basilio, ad esempio,
sopportava ogni privazione, girava privo di vesti, dormiva a cielo aperto, osservava costantemente
il digiuno, portava indosso catene di ferro per la mortificazione della carne.
Tuttavia la “follia in Dio” come fenomeno al di là dell’aspetto passivo, che riguardava esclusivamente l’asceta, aveva anche una connotazione attiva. Il martirio volontario unitamente alla apparente
pazzia davano allo “jurodivyj” il diritto di attaccare il mondo superbo e meschino, di dire la verità in
faccia ai potenti della terra, e giudicare gli ingiusti e i peccatori. Di questo tipo di “folli in Dio” faceva
parte anche il beato Basilio, che smascherava continuamente la menzogna e l’ipocrisia. Egli fu
probabilmente l’unica persona di cui ebbe paura persino lo zar Ivan il Terribile, come ebbero modo
di notare i contemporanei.
Il beato Basilio fu canonizzato nel 1588 durante il regno dello zar Fëdor Ivanovič, figlio di Ivan Il Terribile.
I.B.
Bibliografia: Mosca 1990, cat. n. 28
57
23. Icona di “Nicola Taumaturgo”
Mosca, botteghe del Cremlino, seconda metà del
58
xvi
secolo
oro, pietre preziose, perle, legno
cesello, incisione, niello, tempera
cm 24 x 15,5
Mosca, Palazzo dell’Armeria del Cremlino, inv. n. Ž-563/1-2
59
Nella Russia medievale le icone erano un elemento indispensabile dell’arredo sia delle chiese
che di qualsiasi altro edificio laico, dalla izba contadina agli appartamenti dello zar. “In ogni casa
russa”, ha scritto un diplomatico straniero che all’inizio del xvi secolo visitò il paese, “le immagini
sacre si trovano al posto d’onore. Quando un russo va a casa di un altro, entrando in casa si scopre immediatamente la testa e si guarda intorno alla ricerca dell’immagine sacra. Dopo che l’ha
vista si fa per tre volte il segno della croce”. L’icona di “Nicola Taumaturgo”, di modeste dimensioni, può essere riferita al novero di queste immagini di devozione domestica.
Nicola Taumaturgo, protettore dei marinai e dei viaggiatori, era uno dei santi più popolari della
Rus’. Era oggetto di devozione sia in ampi strati sociali che nell’ambiente di corte. Senza dubbio l’icona in questione era destinata a un membro della famiglia dello zar. Prova ne sono sia
l’icona stessa, dipinta da un valente pittore della capitale, sia la sua cornice preziosa. Anche la
provenienza è importante, si trovava, infatti, nella Cattedrale dell’Arcangelo del Cremlino, luogo
di sepoltura degli zar.
Nell’elegante motivo ornamentale della cornice con riporto a niello, tipico dei manufatti dei maestri orafi del Cremlino della seconda metà del xvi secolo, si avverte chiaramente l’influenza dei
fantasiosi arabeschi orientali che gli orefici russi conoscevano sia per il tramite dell’arte europea
del Rinascimento sia per contatto diretto con l’Oriente. L’artista ha usato qui la tecnica, tipica
anch’essa dei manufatti persiani e turchi, del riempimento dello sfondo intorno al disegno principale con piccole volute incise. Ai margini della cornice sono presenti otto borchiette con le cinque
figure della “Deesis”: Gesù Cristo, la Madonna, Giovanni Battista, gli arcangeli Michele e Gabriele
e i tre Padri della Chiesa: Gregorio Nazianzeno, Giovanni Crisostomo e Basilio di Cesarea. Le
figure dei santi, eseguite a niello, risentono in parte dei modi caratteristici dell’incisione, soprattutto per quanto riguarda i procedimenti tecnici, la resa dei volumi e degli spazi. Ma nell’iconografia
delle figure e nel modo in cui sono eseguite si rinviene un indiscutibile legame con la pittura di
icone dell’epoca.
I.B.
Bibliografia: Bobrovnickaja 2006, p. 92, fig. 78
24. Doppia icona raffigurante la “Madonna di Vladimir”
e l’ “Altare con Vangelo e strumenti della passione”
pittura: Mosca, seconda metà del
Mosca, metà del xvi secolo
xvi
secolo; cornice: Mosca, botteghe del Cremlino di
oro, pietre preziose, perle, vetri, legno, miscela di colla e alabastro
cesello, filigrana, niello, puntinatura, tempera d’uovo, smalti
cm 31,5 x 27
provenienza: Monastero delle Vergini di Mosca
Mosca, Palazzo dell’Armeria del Cremlino, inv. n. Ž-1749/1-2
60
L’icona “Madonna di Vladimir” ha una cornice d’oro, decorata a filigrana, smalti e dodici placche in
oro con le immagini delle feste religiose eseguite a niello. Sulla testa della Vergine e del Bambino
sono presenti un’aureola d’oro e una grossa corona con cinque placchette trilobate decorate con
perle, pietre preziose e vetri colorati. Gli ampi margini della cornice, lo sfondo, la corona e le aureole
della Vergine e del Bambino sono decorati da un motivo vegetale filigranato di sottili steli intrecciati
con trifogli e lunghe foglie sagomate, smaltate di bianco opaco, azzurro, blu traslucido e verde. Sui
margini della cornice sono apposte placche cesellate a forma di scrigno con la rappresentazione
eseguita a niello delle dodici feste del calendario ortodosso: in alto, l’Annunciazione, la Nascita di
Cristo, il Battesimo di Cristo e l’Epifania. Sui bordi: l’Entrata di Cristo a Gerusalemme, la Resurrezione di Lazzaro, la Crocifissione, la Discesa dello Spirito Santo. Sul margine inferiore: la Discesa
agli inferi, la Resurrezione, la Trasfigurazione e l’Assunzione della Vergine.
L’icona con cornice presente in mostra si rifà all’icona miracolosa della “Vergine di Vladimir” del xii
secolo corredata da una cornice di filigrana d’oro con le dodici feste cesellate sui margini, eseguita
nel primo terzo del xv secolo su commissione del metropolita Fozio. L’antica icona bizantina era
la massima reliquia della Cattedrale dell’Assunzione del Cremlino di Mosca, che a partire dal xvi
secolo fu chiamata “Casa della Santissima Vergine”. L’icona “La Vergine di Vladimir” era oggetto di
un culto straordinario da parte della famiglia dello zar nel xvi e xvii secolo. A partire dalla seconda
metà del xvi secolo nelle botteghe del Cremlino vengono realizzate copie della “Madonna di Vladimir” che ne ripetono anche l’antico corredo. La cornice in questione riproduce l’antica cornice
dell’icona miracolosa solo nei tratti generali. Gli smalti policromi sul fondo, verdi, blu, bianchi, con
i loro motivi di steli e foglie, gigli e tulipani, creano l’immagine di un paradiso in fiore, che circonda
l’immagine centrale e serve da sfondo alle scene del Vangelo. La combinazione di elementi svariati
nella composizione della cornice crea un mondo raffinato, armonioso, espressivo, e palesemente
elegante, rispondente alla mentalità artistica dell’epoca. L’icona presa in esame potrebbe essere
stata donata al monastero delle Vergini di Mosca dallo zar Ivan il Terribile e la moglie Anastasia o in
occasione della consacrazione di una nuova cattedrale in pietra o in memoria del primogenito dello
zar morto appena nato nel 1550.
S.Z.
Bibliografia: Pisarskaja 1974, pp. 50, 52, fig. pp. 51, 53; Martynova 2002, pp. 43-44; Ščennikova 2006, pp. 129132; Zjuzeva 2009, pp. 443-455
61
25. Trittico raffigurante “Deesis”
Mosca, botteghe del Cremlino (?), ultimo quarto del
62
xvi
secolo
argento, legno, tessuto
cesello, filigrana, smalto, doratura, tempera d’uovo
h. cm 22; largh. di ciascuna icona cm 17,5
provenienza: Fondo dei beni ecclesiastici, acquisito nel 1927
Mosca, Palazzo dell’Armeria del Cremlino, inv. n. Ž-1748/1-2
63
Il trittico “Deesis” è composto da tre icone fissate da ganci. Su quella centrale è raffigurato a mezzo busto Cristo adolescente, immagine che nell’arte cristiana ha ricevuto l’appellativo di “Salvatore Emanuele”; sulle icone laterali appaiono le immagini a mezzo busto della Vergine e Giovanni
Battista rivolti verso Cristo, con le mani protese in atteggiamento orante.
Le icone sono racchiuse da cornici d’argento dorate, decorate da un motivo vegetale stilizzato,
ritmicamente organizzato, di steli intrecciati con trifogli e fiori gigliati filigranati e smaltati di blu
scuro, verde scuro e celeste.
Nell’iconografia delle immagini, nonché nel modo di rendere i volti e le figure dei santi, privi di una
modellatura volumetrica, sono evidenti le tradizioni della cultura bizantina che influenzano la pittura
di icone antico-russa praticamente sino alla metà del xvii secolo. Ma nella esecuzione delle cornici
si avverte l’influenza dell’arte rinascimentale, che si manifesta sia nella impostazione generale
dell’ornamentazione, sia nei singoli motivi decorativi.
Tutte e tre le icone formano una composizione unica, nota con la definizione di “Deesis” che,
tradotto dal greco, significa “preghiera, supplica”. Nella “Deesis” si concreta l’idea del compito assolto dai santi al cospetto di Cristo, quello di intercedere a favore dei mortali. Oltre alle tre figure
fondamentali del Cristo, la Vergine e Giovanni Battista, nelle icone della “Deesis” possono essere
raffigurati anche gli arcangeli Michele e Gabriele, gli apostoli Pietro e Paolo e altri santi.
Le icone della “Deesis” costituiscono il fulcro della distribuzione delle icone sulla iconostasi anticorussa, così come essa si è delineata alla fine del xiv secolo. L’iconostasi consiste in un’alta parete
con alcune file di icone, che separa l’altare dal rimanente spazio della chiesa. Le icone della “Deesis” si collocavano di regola nella seconda fila dell’iconostasi. Oltre a quella principale nelle chiese
potevano esserci anche delle piccole iconostasi, disposte lungo le pareti o attorno alle colonne
centrali. Probabilmente anche il trittico “Deesis” presente in mostra proviene da una di queste.
I.B.
Bibliografia: Martynova 2002, cat. n. 21
26. Icona-reliquiario con la rappresentazione
della “Madonna in trono e Santa Irina”
Mosca, botteghe del Cremlino, 1589
64
oro, pietre preziose, perle
niello, cesello, incisione
h. cm 11,8; largh. di ogni sportello cm 6,5
provenienza: Monastero dell’Ascensione del Cremlino di Mosca, 1918
Mosca, Palazzo dell’Armeria del Cremlino, inv. n. MR-1158
65
L’icona-reliquiario fu eseguita nel 1589 per ordine dello zar Fëdor Ivanovič, che intendeva farne
dono alla consorte, la zarina Irina Fëdorovna. L’icona-reliquiario doppia è in oro, adorna di pietre
preziose e perle. Sul recto dello sportello superiore è presente un’immagine della Madonna col
Bambino in trono eseguita a cesello. Sul recto dello sportello inferiore è raffigurata la santa martire
Irina, patrona della zarina, eseguita a niello, tecnica molto diffusa tra gli orafi del Cremlino nella
seconda metà del xvi secolo. La figura solenne della santa disposta frontalmente rispetto all’osservatore, con la veste che ricade in pieghe pesanti, colpisce per la sua monumentalità e importanza a
dispetto delle dimensioni esigue e rievoca le opere d’arte figurativa dell’arte antico-russa. Nel denso
tratteggio chiaroscurato, a imitazione della tecnica di incisione, che segue i contorni della figura, si
può vedere il desiderio di una resa dei volumi.
L’icona d’oro è un contenitore di reliquie cristiane. Non è da escludere che la sua realizzazione
possa essere collegata al viaggio del patriarca di Costantinopoli Geremia, che nel 1589 si recò a
Mosca per la cerimonia dell’insediamento del primo patriarca russo Giobbe. Dalle fonti è noto che
in occasione di questo memorabile evento il primate di Costantinopoli fu ricevuto dalla zarina nel
Palazzo d’oro del Cremlino. Il patriarca benedisse Irina Fëdorovna, la chiamò la “devota e gentile
tra le zarine” e le fece dono di preziose reliquie.
Fëdor Ivanovič, figlio dello zar Ivan il terribile, aveva sposato nel 1580, per volere del padre, Irina
Fëdorovna, discendente di una stirpe nobile e antica, quella dei Godunov. La scelta di Ivan il Terribile si rivelò estremamente azzeccata. Durante tutta la vita matrimoniale, durata diciotto anni, sino
alla morte dello zar Fëdor Ivanovič nel 1598, i coniugi furono legati da un tenero affetto. Dopo la
morte della zarina Irina, avvenuta nel 1603, la preziosa icona fu collocata nel monastero della Resurrezione del Cremlino, luogo di sepoltura della zarina.
I.B.
Bibliografia: Postnikova-Loseva 1954, p. 200, disegno 38; Bobrovnickaja 2006, p. 89, fig. 71
27. Recipiente con manico (kovš)
Mosca, botteghe del Cremlino, fine del
66
xvi
secolo
oro
forgiatura, cesello, incisione, niello
h. con il manico cm 5,5; lungh. con il manico cm18,5; largh. cm 13
Collezione principale dell’Armeria del Cremlino
Mosca, Palazzo dell’Armeria del Cremlino, inv. n. MR-1128
67
Il kovš è una delle suppellettili più caratteristiche dell’antica Russia. Basandosi su ritrovamenti
archeologici si è potuto stabilire che questi recipienti in legno erano in uso nella Rus’ sin dal x-xi
secolo. In seguito, oltre a quelli di legno, ne apparvero anche in metallo. Nei testamenti dei principi di Mosca si menzionano più volte, a partire dal xiv secolo, questi recipienti in oro, che venivano
lasciati in eredità ai figli. In kovš preziosi nella Rus’ si beveva l’idromele, la bevanda preferita dei
russi. Gli stranieri che visitarono la Russia nel xvi-xvii secolo la definivano “meravigliosa e buonissima” e la confrontavano con il famoso vino di Creta. Le ricette con cui anticamente veniva
preparato l’idromele erano nel numero di svariate decine. Alla base della preparazione c’erano
frutti e bacche, per cui i vari tipi di idromele erano diversi non solo per gusto, ma anche per il
colore. L’idromele di color rosso veniva bevuto in kovš d’oro, l’idromele bianco in kovš d’argento.
Il piccolo kovš d’oro presente in mostra si distingue per la sua esclusiva raffinatezza. Esso apparteneva allo zar Boris Fëdorovič Godunov, come è attestato dalla scritta niellata presente lungo il bordo con l’indicazione del titolo e del nome dello zar. Sul fondo del recipiente è presente l’aquila a due
teste, stemma dello Stato russo, eseguita a niello. Questo kovš è l’unico tra quelli appartenenti a
Boris Godunov, assai numerosi a giudicare dall’inventario delle sue proprietà, a essere giunto sino
a noi. Boris Godunov rimase sul trono della Russia dal 1598 al 1605. Giunse al potere dopo la morte
dello zar Fëdor Ivanovič, figlio di Ivan il Terribile e ultimo rappresentante della dinastia dei Rjurik,
che era stata a capo dello Stato russo, a partire dalla sua fondazione, per più di 700 anni. Boris
Godunov era parente dello zar Fëdor Ivanovič, che ne aveva sposato la sorella Irina Fëdorovna.
Tuttavia Boris Fëdorovič divenne zar non per diritto ereditario ma, per la prima volta nella storia
russa, in seguito alla elezione popolare in seno allo Zemnkij sobor, l’assemblea dei rappresentanti
dei vari ceti della popolazione russa.
I.B.
Bibliografia: Postnikova-Loseva 1954, p. 170, disegno 11; Bobrovnickaja 2006, p. 96, fig. 80
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28. Recipiente con manico (kovš)
Mosca, botteghe del Cremlino, 1618
oro, rubini, zaffiri, smeraldi, perle
forgiatura, cesello, incisione, niello
lungh. cm 29,5; h. cm 14,5; largh. cm 20,5
Mosca, Palazzo dell’Armeria del Cremlino, inv. n. MR-4126
Nel xvi secolo gli artisti russi mettono a punto un tipo particolare di kovš, basso, largo, con il fondo
piatto. Questo kovš, appartenuto allo zar Mihail Fëdorovič, il primo rappresentante della dinastia
dei Romanov, affascina per la nobiltà della forma e la squisita fattura. Sulla superficie levigata del
metallo brillano intensamente le pietre preziose, racchiuse in alte incastonature cesellate. La punta
e il manico sono decorati da placchette con un fine motivo niellato, la scritta niellata sul bordo, a
caratteri ornamentali, riporta il titolo dello zar Mihail Fëdorovič. Questi recipienti erano conservati,
insieme ai simboli della regalità e ad altri oggetti del cerimoniale di corte, nella cosiddetta “Tesoreria grande”, dove si trovavano gli oggetti di maggior valore del tesoro degli zar. I kovš erano
usati durante i ricevimenti ufficiali nel Palazzo Sfaccettato (Granovitaja palata), nel salone di gala
del palazzo, dove adornavano particolari credenze con ripiani. Talvolta in questi recipienti veniva
offerto l’idromele agli ospiti di maggior riguardo. Dalle fonti risulta che nel 1671 durante un pranzo
nella Sala della Croce del Palazzo del Patriarca al patriarca fu offerto idromele rosso in tre “kovsh
eleganti decorati con perle e pietre”.
M.M.
Bibliografia: Postnikova-Loseva 1954, p. 161
29. Coppa
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Mosca, botteghe del Cremlino, 1628
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maestro orafo: Jakob Frik
oro, pietre preziose
cesello, smalto, incisione, puntinatura
h. cm 17,8; diam. della tazza cm 15
Mosca, Palazzo dell’Armeria del Cremlino, inv. n. MR-1046
Nei musei del Cremlino si conserva una ricchissima collezione di vasellame di gala della Russia
antica. Oltre ai kovš d’oro e d’argento e ai recipienti per l’assunzione di cibi e bevande di varie
dimensioni e fattura, vi sono anche coppe non solo in metallo prezioso, ma anche in madreperla,
pietre colorate, pregiate qualità di legno, vi sono piatti e bicchieri alti ed eleganti. I calici nella Rus’
erano noti da tempo. Per la prima volta sono menzionati nelle cronache del xii secolo. Nel xvi-xvii secolo alla corte dello zar di Mosca si faceva largo uso di coppe d’argento di provenienza occidentale.
Spesso venivano donate a chi si era distinto a vario titolo, inoltre questi eleganti recipienti servivano
a decorare gli armadi a ripiani collocati nei saloni di rappresentanza del palazzo dello zar.
Nel xvii secolo appaiono le prime coppe di manifattura russa. Tra queste la raffinata coppa d’oro qui
esposta, appartenente allo zar Mihail Fëdorovič, come attesta la scritta sul bordo del recipiente. La
forma ricorda quella di un calice di chiesa. Le facce della tazza e i lobi alla base della coppa presentano motivi applicati alterni in smalto traslucido. La decorazione di questo oggetto è completata da
brillanti pietre preziose, rubini, smeraldi, zaffiri, che mettono in risalto l’ornamentazione sgargiante.
Come sulla stragrande maggioranza dei manufatti dell’oreficeria antico-russa sulla coppa non è
riportato il nome dell’artista che l’ha eseguita. Tuttavia documenti d’archivio danno la possibilità di
stabilire che l’autore di questo magnifico pezzo fu il maestro Jakob Frik, che lavorò nel laboratorio
dell’oro del Cremlino di Mosca. Insieme ad altri orefici stranieri realizzò nella prima metà del xvii secolo un gran numero di pregiati manufatti, tra cui la splendida corona da cerimonia dello zar Mihail
Fëdorovič, armi da parata e altri preziosi oggetti.
M.M.
Bibliografia: Drevnosti 1849-1853, sez. v, p. 32, fig. 21; Postnikova-Loseva 1954, p. 177, fig. p. 23; Martynova
2002 n. 35
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30. Grande tazza (bratina)
Mosca, botteghe del Cremlino, prima metà del xvii secolo
argento
fusione, sbalzo, cesello, incisione, doratura
h. con il coperchio cm 28,5
Mosca, Palazzo dell’Armeria del Cremlino, inv. n. MR-4131/1-2
I musei del Cremlino possiedono una collezione unica per quantità e valore di vasellame russo-antico
in oro e argento. Di solito le forme di questi oggetti si rifanno alle semplici suppellettili di legno e di
ceramica in uso presso il popolo. All’interno della collezione occupano un posto importante le tazze
augurali bratina, che venivano passate, in cerchio, a tavola per bere kvas e vino. Nonostante la relativa semplicità della forma, questi recipienti sono decorati in modi estremamente variati. Tra le tazze
giunte sino a noi ve ne sono di grandi, di forma sferica e molto piccole.
Una delle bratina di maggior impatto appartenne a Pëtr Tret’jakov, segretario della Duma dei boiardi, figura di rilievo nell’amministrazione della corte degli zar. Il corpo centrale della tazza, coperto da
intrecci di erbe cesellate, è sostenuto da sei figure fuse ed è decorato da quattro scudetti col nome
del proprietario, incorniciati da un leone e un unicorno, uccelli, pesci e giovanetti in abiti di foggia
straniera. Anche nella decorazione della bratina, come in molti altri manufatti d’argento russi-antico,
hanno un ruolo importante le scritte. Eseguite a caratteri ornamentali esse contengono spesso
pillole di saggezza popolare o qualche osservazione di carattere morale. La complessa e lunga
iscrizione presente sul bordo ragguaglia sui casi in cui è d’uopo bere vino.
Nella decorazione di questo elegante recipiente si avverte una certa influenza dell’arte europea
occidentale. Ad esempio, sono insolite nei manufatti russi le figure alla base, così come il mazzo di
fiori d’argento, simile a quei mazzi che incoronano i coperchi delle coppe tedesche del xvii secolo.
Tuttavia questi elementi decorativi sono in sintonia con la forma prettamente russa del recipiente.
M.M.
Bibliografia: Drevnosti 1849-1853, sez. v, p. 11; Postnikova-Loseva 1954, p. 172, disegno 17; Oružejnaja palata
2006, p. 104, fig. p. 105
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31. Vaso a bocca larga (endova)
Mosca, botteghe del Cremlino, 1644
argento
sbalzo, cesello, incisione, puntinatura, doratura
h. cm 17
Mosca, Palazzo dell’Armeria del Cremlino, inv. n. MR-4189
Da questi recipienti si versava il vino e il kvas nelle tazze bratina e nei recipienti kovš. Questi vasi
erano molto diffusi nella Rus’ fino al xx secolo. Tuttavia nella vasta collezione del Palazzo dell’Armeria del Cremlino di Mosca è presente un unico esemplare di vasi di questo tipo. Decisamente
d’effetto è l’ornamentazione del recipiente, sbalzato a spesse baccellature convesse, lisce, con un
motivo vegetale in rilievo.
In alto il vaso è come ristretto da un largo bordo con la scritta che ne indica l’appartenenza a Vasilij
Ivanovič Strešnëv, un alto funzionario che per lungo tempo diresse le botteghe del Cremlino.
M.M.
Bibliografia: Postnikova-Loseva 1954, p. 184, disegno 29
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32. Tazza (čarka)
Mosca, seconda metà del
xvii
secolo
argento
fusione, sbalzo, cesello, incisione, puntinatura, doratura
h. cm 7,2, largh. cm 10,2
Mosca, Palazzo dell’Armeria del Cremlino, inv. n. MR-5189
Questi piccoli recipienti d’argento, rotondi, con il manico, erano destinati all’assunzione di bevande
alcoliche. Relativamente poco costosi, per via della modesta quantità di metallo necessaria alla
loro esecuzione, erano accessibili a una larga schiera di acquirenti. Nel xvii secolo ebbero in Russia
una grande diffusione, sia nell’ambiente di corte che nelle case dei rappresentanti della nobiltà di
servizio, degli artigiani, dei mercanti.
La tazza d’argento dorato presente in mostra spicca per la sua decorazione bizzarra. Il manico traforato a volute termina con un mascherone leonino. Sulle pareti interne del bicchiere tra ondeggianti
volute sono sbalzate ad altorilievo figure di abitanti reali e fantastici dei fondi marini: pesci, chiocciole, un gambero, un mostro con il grugno di cane e una lunga coda sdoppiata in fondo. Sul fondo del
bicchiere compare una balena con lo spruzzo d’acqua sulla testa. Sulle pareti esterne del bicchiere,
tra motivi vegetali, sono raffigurati a cesello Sansone che spalanca le fauci di un leone, un leone
e un unicorno che si fronteggiano e un’aquila che lotta con un drago. Sul bordo del bicchiere sono
incisi il nome del proprietario e un’iscrizione che reca una specie di brindisi augurale: “Bevete da
questo questo bicchiere alla salute, lodando e pregando Iddio”. Scritte augurali di questo tenore non
erano rare sui recipienti antico-russi destinati all’assunzione di bevande.
I.B.
Bibliografia: Russkoe serebro 1984, p. 215, fig. 20
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33. Tazza
Sol’vyčegodsk, fine del
xvii
secolo
argento
cesello, filigrana, smalto, doratura
diam. cm 14,7; h. cm 4,8
Collezione principale del Palazzo dell’Armeria
Mosca, Palazzo dell’Armeria del Cremlino, inv. n. MR-1233
L’elegante tazza d’argento fu eseguita a Sol’vyčegodsk, nella parte nord della Russia europea, e
decorata a smalto, tecnica di cui alla fine del xvii secolo si erano felicemente appropriati gli orefici di
questa antica città russa. Ciò che caratterizza gli smalti di Sol’vyčegodsk è la combinazione del fondo bianco neve, che copre la superficie degli oggetti in argento, con il disegno a più colori, eseguito
con smalti particolari contenenti olii essenziali. Nella pittura a smalto prevalgono colori vivaci, gialli,
verdi, blu, viola. Il contorno del disegno veniva eseguito con smalto nero o rosso scuro. Sempre a
smalto si tracciava sul disegno un sottile tratteggio che ricorda la tecnica dell’incisione su legno.
Con lo smalto bianco si copriva integralmente la superficie degli oggetti oppure si riempivano singoli incavi a forma di cartigli, fiori, cerchi, contornati di filigrana, che serviva sia a fissare il motivo
smaltato sulla superficie dell’oggetto ed era anche, di per sé, un procedimento artistico d’effetto.
L’estremità superiore della tazza e il settore circolare di fondo erano di solito incorniciati da anelli
di filigrana, riempiti di smalto traslucido blu. Le pareti esterne e interne della tazza erano di regola
decorate con fiori smaltati, dai lunghi steli, uniti a formare un’unica ghirlanda, che dal punto di vista
compositivo rimandava alla forma emisferica delle pareti. La ghirlanda variopinta faceva da splendida cornice al settore circolare di fondo, su cui erano disposti motivi ornamentali e immagini varie.
Sul fondo della tazza presente in mostra l’artista smaltatore ha dipinto a mezzo busto giovinetti con
berretti orlati di pelliccia e abiti di fantasia.
I.B.
Bibliografia: Bobrovnickaja 2001, cat. n. 1
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34. Tazza
Sol’vyčegodsk, fine del
xvii
secolo
argento
cesello, filigrana, smalto, doratura
diam. cm 15,2; h. cm 4,5
Collezione principale del Palazzo dell’Armeria
Mosca, Palazzo dell’Armeria del Cremlino, inv. n. MR-1027
Nella decorazione della tazza di Sol’vyčegodsk è presente la rusalka, figura mitologica antichissima
dal corpo di donna e la coda di pesce. Sulle pareti interne, dallo sfondo smaltato di bianco, compare
una ghirlanda di fiori variopinti smaltati. All’esterno la tazza è decorata con fiori suntuosi, smaltati su
fondo oro entro una cornice di filigrana.
La tazza è un esempio tipico dei manufatti smaltati di Sol’vyčegodsk, con decorazione a prevalenti
motivi vegetali, resi con estrema ricchezza e varietà. In molti fiori smaltati che decorano questi
oggetti si riconoscono i prototipi presenti in natura: tulipani, papaveri, iris, fiordalisi, girasoli. Ma la
fantasia dei maestri smaltatori ha trasformato i fiori reali in fiori fantastici, splendidi, da fiaba, ciascuno dei quali in pratica non si ripete due volte. Il motivo vegetale dei manufatti di Sol’vyčegodsk si
distingue per una certa asimmetria che conferisce a una composizione sostanzialmente equilibrata
una vivacità e un ritmo straordinari.
Rispetto ai prodotti di altri centri artistici della Russia del xvii secolo nei manufatti degli smaltatori di
Sol’vyčegodsk si avverte sensibilmente l’influenza dello stile fiorito del Barocco europeo che negli
smalti di questa città, pervasi da un senso di bellezza e di gioia terrene, ha trovato terreno fertile.
I.B.
Bibliografia: Bobrovnickaja 2001, cat. n. 13
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35. Cucchiaio
Sol’vyčegodsk, fine del
xvii
secolo
argento
cesello, smalto, filigrana, incisione
lungh. cm 18,4
provenienza: collezione di L.K. Zubalov, acquisito nel 1924
Mosca, Palazzo dell’Armeria, inv. n. MR-3293
I cucchiai preziosi erano usati come posate e contemporaneamente abbellivano le mense di gala.
Per questo si dava grande importanza a come venivano realizzati. L’artista di Sol’vyčegodsk ha
finemente decorato il cucchiaio d’argento con smalti brillanti di vari colori e vi ha dipinto un cigno
che scivola sull’acqua. All’estremità del manico del cucchiaio, adornato da un nastro a tortiglione di
smalto, è cesellato un tulipano stilizzato.
La figura del cigno, frequente nell’arte russa del tardo xvii secolo improntata alla cultura barocca e
dunque sensibile ai motivi allegorici, era carica di svariati significati. Ad esempio, a quanto risulta da
un almanacco di simboli a cavallo fra il xvii e il xviii secolo, il cigno era il simbolo della musica e del
canto. In un’altra pagina dello stesso almanacco la figura del cigno vicino al lauro è accompagnata
dal motto: “Non mi atterriscono gli strali del tuono”. Tuttavia nella scena dipinta a smalto è difficile
ravvisare un contenuto edificante. Essa viene avvertita come una scena di paesaggio non priva di
ingenuo fascino.
I.B.
Bibliografia: Bobrovnickaja 2001, cat. n. 61
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36. Cofanetto
Sol’vyčegodsk, fine del
xvii
secolo
argento, specchio
cesello, smalto, filigrana, doratura
h. cm 7,0; lungh. cm 9,5; largh. cm 5,8
provenienza: proprietà di palazzo1, acquisito prima del 1893
Mosca, Palazzo dell’Armeria del Cremlino, inv. n. MR-1231
In Russia erano chiamati cofanetti le scatole di varia misura che servivano a custodire gioielli e
altri accessori di bellezza. Venivano realizzati in forma di piccole scatole a forma di parallelepipedo
poggianti su quattro piedini, chiuse da alti coperchi a quattro spioventi con manici fusi figurati. Sulla
parte interna del coperchio non era rara la presenza di uno specchio. Per realizzare gli scrigni si
utilizzavano materiali vari: legno, avorio, metallo.
Il cofanetto presente in mostra è stato realizzato a Sol’vyčegodsk. È in argento dorato, decorato con
la tecnica della pittura a smalto, tipica degli artisti di questa città. Le pareti e il coperchio sono come
rivestiti da un intreccio di lunghi steli filigranati, morbidamente incurvati, e sontuosi fiori smaltati, che
colpiscono per la varietà e la ricchezza decorativa.
I.B.
Bibliografia: Bobrovnickaja 2001, cat. n. 60
Con questa definizione si intendono tutti gli oggetti di proprietà degli zar portati dai diversi palazzi e residenze
che dopo la Rivoluzione del 1917 furono sistemati in scatole e portati nel Palazzo Grande del Cremlino, per essere
in parte fusi, in parte incamerati dallo stato sovietico, in parte collocati nel museo. L’allora direttore del Palazzo
dell’Armeria, Ivanov, riuscì a salvarne una parte che pervenne al museo con la dicitura “proprietà di palazzo” (NdT).
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37. Mesciroba
Mosca, botteghe del Cremlino, 1676
maestri orafi: Fëdor Prokop’ev, Vasilij Ivanov
argento
cesello, filigrana, smalto, fusione, incisione, doratura
h. cm 32,1; largh. cm 17,2
Mosca, Palazzo dell’Armeria del Cremlino, inv. n. MR-3420
I serviti di suppellettili necessarie per lavarsi le mani erano largamente usati nel xvii secolo presso la
corte moscovita non solo durante i banchetti solenni, ma anche nel corso di ricevimenti ufficiali nei
saloni di rappresentanza del palazzo. Stando a quanto riferito dai viaggiatori stranieri che visitarono
la Russia in quest’epoca, lo zar detergeva la mano dopo che questa era stata baciata dal console di
una fede diversa da quella professata dal regnante russo. Presso la corte di Mosca erano in uso per
lo più acquamanili di produzione straniera. Tuttavia risulta che li facessero anche gli artigiani russi.
Nel 1676 Fëdor Alekseevič, figlio maggiore dello zar Aleksej Mihajlovič, che regnò solo sei anni e
morì in giovane età, ordinò per i suoi fratelli minori Ivan e Pëtr, il futuro zar Pietro i, due mesciroba
d’argento con i bacili loro pertinenti. Nell’ordine, come risulta dai documenti, Fëdor indicò anche
il tipo di decorazione da eseguire sugli oggetti: ordinò di decorare a smalto le brocche e i piatti
con motivi vegetali incisi. Si sono conservati solo due mesciroba. Uno di questi, appartenente allo
zarevič (il figlio maggiore dello zar ed erede al trono) Pietro Alekseevič, è presente in mostra. Ha la
forma tipica delle brocche di produzione sia europea che orientale. Il manico figurato, alla cui estremità troviamo una erma di donna, è di evidente provenienza europea. Dettagli fusi singolarmente
erano approntati in grande quantità da argentieri europei, in particolare tedeschi, per realizzare
recipienti di forme varie, ed erano esportati in altri paesi.
M.M.
Bibliografia: Zabelin 1853, p. 76; Postnikova-Loseva 1954, p. 148
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38. Recipiente (stavec)
Mosca, botteghe del Cremlino, ultimo quarto del
xvii
secolo
argento
cesello, niello, incisione, doratura
h. cm 10; diam. cm 14,6
Mosca, Palazzo dell’Armeria del Cremlino, inv. N. MR-4208/1-2
Dei numerosi esemplari di antico vasellame prezioso, usati nei banchetti ufficiali alla corte degli
zar, si sono conservati alcuni recipienti detti stavec. La destinazione di queste basse tazze cilindriche con coperchio non è del tutto chiara. Esemplari di legno erano ampiamente diffusi nei
monasteri. Esisteva persino un modo di dire: “Quanti sono i monaci, tanti sono gli stavec”. Presso
la corte degli zar erano comuni recipienti di questo tipo in argento che, secondo gli studiosi, venivano utilizzati per servire il dessert.
La figura dell’aquila a due teste, lo stemma dello stato russo, che si ripete più volte nella decorazione dello stavec, forma un originale fregio decorativo. L’iscrizione lungo il bordo, in cui il nome
di Pietro i è associato al titolo di zar, ci dice che il recipiente fu eseguito dopo il 1682, anno in cui
Pietro, all’età di dieci anni, fu incoronato zar insieme al fratello maggiore Ivan.
M.M.
Bibliografia: Opis Oružejnoj palaty 1884-1893, parte ii, vol. 2, p. 204, n. 1979, fig. 204; Postnikova-Loseva 1954,
p. 478, fig. 25
39. Piatto
Mosca, botteghe del Cremlino, 1694
maestro orafo: Jurij Frobos (?)
oro, rubini, smeraldi
cesello, incisione, smalto
diam. cm 15,2
Mosca, Palazzo dell’Armeria, inv. n. MR-3365
90
La scritta eseguita a niello e smaltata, a caratteri ornamentali, racconta che il piatto fu donato
dalla zarina Natal’ja Kirillovna, madre di Pietro il Grande, al nipote Alessio, che aveva allora
quattro anni. Questo oggetto presenta molte affinità con il piatto d’oro creato nel 1675 per lo
zar Aleksej Mihajlovič, padre di Pietro il Grande. È negli anni del suo governo che, prendendo a
modello i blasoni stranieri, viene modificato lo stemma dello stato russo, in uso sin dalla fine del
xv secolo. L’aquila a due teste comincia a essere rappresentata con le ali sollevate, sormontata
da tre corone, con il globo e lo scettro tra le zampe e sul petto, che qui è sostituito da una pietra
preziosa, lo stemma di Mosca, con San Giorgio vincitore. Alle estremità sono collocati gli stemmi
dei territori che nelle varie epoche sono stati annessi a Mosca e i cui nomi facevano parte del
titolo del regnante russo. Questi stemmi, formatisi come emblemi delle singole città russe, hanno
radici storiche profonde e risalgono talvolta al xii secolo. Tra di essi lo stemma di Novgorod (trono
con scettro e, ai lati, due orsi eretti sulle zampe posteriori); Astrakan (una sciabola sormontata da
corona); Pskov (una lince); Tver’ (trono sormontato da corona); Perm’ (orso su quattro zampe);
Smolensk (un cannone con l’uccello del paradiso seduto sopra); lo stemma siberiano (due zibellini, con frecce ai lati); Kazan’ (un serpente alato). Lo stemma russo viene raffigurato per la prima
volta insieme agli stemmi delle terre che ne facevano parte nel Grande Sigillo di Stato dello zar
Ivan il Terribile nel xvi secolo. Sulle opere di arte applicata una simile raffigurazione degli stemmi
unificati è nota a partire dalla seconda metà del xvii secolo.
Come quasi tutte le oreficerie di questo secolo, il piatto non reca punzoni. Tuttavia si può supporre
che l’autore sia stato Jurij Frobos, maestro orafo dei laboratori dell’oro del Cremlino, che incise il
proprio nome sul piatto del 1675 destinato allo zar Aleksej Mihajlovič. Tra questi due oggetti esiste
una evidente affinità non solo nell’ornamentazione e nella fattura degli stemmi, ma anche nei modi
della lavorazione. Si sa che Juriij Frobos lavorò presso la corte russa negli anni sessanta del xvii
secolo, e ancora nel 1704 figurava nel gruppo dei maestri orafi del Cremlino.
M.M.
Bibliografia: Drevnosti 1849-1853, sez. v, p. 65, fig. 43; Opis Oružejnoj palaty 1884-1893, parte iv, vol. 2, p. 16,
n. 541, fig. 174; Russkie drevnosti 1913, ed. 1, foglio 6; Oružejnaja palata 1958, fig. 178; Pisarskaja 1974, p.
115, fig. p. 117
91
92
93
40. Tazza
Mosca, botteghe del Cremlino, 1694
oro, pietre preziose
cesello, fusione, smalto
h. cm 10,4; diam. cm 10,1
Mosca, Palazzo dell’Armeria del Cremlino, inv. n. MR-3367/1-2
Nella forma di questa raffinata tazza baccellata dai manici fusi a forma di S, all’estremità dei quali
sono presenti due protomi femminili, si avverte l’influenza dei manufatti artistici di metallo dell’Europa occidentale. Va segnalata, in particolare, una certa affinità che questo oggetto presenta con la
cosiddetta “tazza di Radziwill” del tesoro di Monaco, eseguita intorno al 1600.
Nella rifinitura della tazza è presente una decorazione smaltata estremamente delicata, a forma
di volute leggere con figure di uccelli e vi sono anche placchette decorative con pietre preziose,
con cui gli orafi moscoviti adornavano gli oggetti più disparati. Eseguita su commissione di Pietro
il Grande per il figlio, lo zarevič Alessio, questa tazza ricorda il piatto d’oro del 1694 eseguito evidentemente dallo stesso orefice. È molto probabile che entrambi gli oggetti siano stati realizzati in
occasione del quarto compleanno dello zarevič Alessio, il figlio che Pietro il Grande aveva avuto dal
primo matrimonio con Evdokija Lapuhina.
In seguito Alessio prese parte alla reazione conservatrice dei boiardi che si opponevano alle riforme di Pietro il Grande. Nel 1716 il figlio dello zar scappò all’estero e a stento il padre riuscì a farlo
rientrare in Russia. A carico dello zarevič Alessio fu istruito un processo che si concluse con la sua
condanna alla pena capitale.
M.M.
Bibliografia: Drevnosti 1849-1853, sez. v, p. 23, fig. 17; Opis Oružejnoj palaty 1884-1893, parte
n. 543, fig. 177; Russkie drevnosti 1913, ed. 1, foglio i; Pisarskaja 1974, pp. 114-115, fig. p. 116
iv,
vol. 2, p. 17,
41. Croce pettorale
94
Mosca, botteghe del Cremlino, ultimo quarto del
xvii
95
secolo
oro, smeraldi, diamanti
fusione, cesello, smalto, incisione
h. cm 15,6; largh. cm 10,7
collezione principale del Palazzo dell’Armeria
Mosca, Palazzo dell’Armeria del Cremlino, inv. n. R-14
Preziose croci da petto erano un elemento indispensabile dell’abbigliamento dello zar. La croce
d’oro dello zar Pëtr Alekseevič (il futuro imperatore Pietro il Grande) presenta una decorazione di
smalti policromi e pietre preziose di grande effetto. Al centro del recto è applicata una piccola croce
di splendidi smeraldi tagliati in vari modi, ornata da un motivo vegetale inciso e smaltato. Per la
forma e la lavorazione la croce di smeraldi può essere attribuita a orefici dell’Europa occidentale
in un’epoca a cavallo tra il xvi e il xvii secolo. Ma la “Crocifissione” intagliata su uno degli smeraldi
e la scritta “Nika”1 intagliata sull’altro sono una prova evidente dell’ origine russa dell’oggetto e la
datazione si può far risalire alla fine del xvii secolo.
Sul verso della croce da petto è raffigurato a smalti policromi, in posizione frontale, l’apostolo Pietro,
il santo protettore di Pietro il Grande ed è proprio in suo onore che lo zar fu chiamato così.
La decorazione a smalto della croce, unitamente alle pietre sfavillanti, accentuano il carattere gioioso della decorazione, in sintonia con le tendenze generali della società russa del tempo. L’omogeneità della soluzione artistica, la purezza e la finezza dell’esecuzione fanno della croce un
capolavoro dell’arte orafa russa del xvii secolo. Non è un caso che a fine Ottocento abbia attirato
l’attenzione degli orafi particolarmente interessati alla tradizione culturale nazionale. Su modello
dell’antica croce di Pietro il Grande, ad esempio, il famoso laboratorio di Pavel Ovčinnikov eseguì
nel 1885 una croce, anch’essa nella collezione dei musei del Cremlino.
I.B.
Bibliografia: Drevnosti 1849-1853, sez. 2, 1851, pp. 73-74, fig. 48; Martynova 2002, cat. n. 141; Bobrovnickaja
2004, p. 22; Černuha 2006, p. 41
1
Dal greco, “Nike”, “vittoria” (NdT).
96
97
42. Panagiarion
Mosca, metà del
xvi
secolo
argento
fusione, cesello, intaglio, filigrana, smalto, doratura
h. cm 31,5; diam. cm 35,5
Mosca, Cattedrale della Dormizione del Cremlino, inv. n. МР-1063
Il panagiarion (dal greco παναγία, “Tuttasanta”, uno degli appellativi della Madre di Dio) è il recipiente per l’eucaristia consacrata alla Madre di Dio. Nei giorni festivi a Bisanzio, il panagiarion
con il pane veniva “elevato”, ovvero innalzato sopra la tavola a fine del pasto recitando particolari
preghiere, dopodiché il pane veniva distribuito ai presenti e mangiato nella speranza dell’intercessione della Vergine. La cerimonia era detta “rito dell’elevazione della panagìa” e aveva luogo
nei monasteri, nelle cattedrali e alla corte imperiale, dove acquistò un carattere particolarmente
cerimoniale. Il rito bizantino fu poi ripreso dai russi, trovando diffusione sia nella pratica monastica che nei cerimoniali di corte.
Il panagiarion in mostra proviene dalla Cattedrale della Dormizione del Cremlino.
La complessa struttura del piedistallo, con angeli che si ergono sul dorso di leoni, richiama quella
di un panagiarion del 1535 della Cattedrale di Santa Sofia di Novgorod, la cui decorazione si ispira
a sua volta alla tradizione dell’arte gotica dell’Europa occidentale.
I.B.
Bibliografia: Bobrovnitskaya 1976, pp. 116-123; 1000-letie 1988, n. 311; Tsar’ Aleksey Mikhaylovich 2005, n. 142
98
43. Calice
99
Mosca, botteghe del Cremlino, 1637
oro, diamanti, tormaline, zaffiri
forgiatura, incisione, niello, cesello, puntinatura
h. cm 26; diam. della tazza cm 17,5
Mosca, Palazzo dell’Armeria del Cremlino, inv. n. MR-1075
Sulla tazza dello splendido recipiente di uso liturgico compare il motivo iconografico della “Deesis”
che è tradizionalmente presente nei calici eseguiti in Russia. Sul piede sono raffigurati a mezzo
busto i dodici apostoli. Eseguite con la tecnica del niello, tanto amata dagli orefici russi, queste immagini sono delle vere e proprie incisioni su oro. La fioritura del graffito a niello nell’arte orafa russa
risale alla fine del xvi-primo terzo del xvii secolo. Tutta la superficie del calice è decorata da eleganti
motivi a niello di steli attorti, sullo sfondo dei quali si accendono i diamanti, divampano le tormaline
e gli zaffiri in alte incastonature.
Come testimonia la scritta a niello presente sul piede del calice, il committente dell’opera fu il quarto patriarca russo Ioasaf, che donò questo prezioso oggetto liturgico al monastero di Soloveckij.
Fondato nel 1429 su un’isola del mar Bianco, con il tempo questo monastero divenne uno dei più
importanti della Russia e nel corso dei secoli è stato meta di pellegrinaggio di migliaia di persone.
Lo splendido complesso architettonico eretto nell’arco di alcuni secoli nel nord della Russia, in
condizioni climatiche estremamente rigide, colpisce per la sua monumentalità e severa grandezza.
A partire dalla fine del xvi secolo fu circondato da mura imponenti. Divenuto così “la fortezza del
grande sovrano”, il monastero assicurava l’inviolabilità dei confini settentrionali del paese.
Esso godeva della protezione particolare della Chiesa e dei sovrani russi. Ricche donazioni andavano ad arricchire senza interruzione la sagrestia del monastero, dove erano conservate icone, libri
ecclesiastici in preziose cornici, vasellame d’oro e d’argento di uso liturgico, magnifici paramenti
sacri, veli e manti con figure dei santi abilmente eseguiti dalle ricamatrici russe.
M.M.
Bibliografia: Postnikova-Loseva 1954, p. 202, fig. 43
100
101
44. Panagìa
cammeo: Costantinopoli,
xii
secolo; montatura: Mosca, botteghe del Cremlino, 1671
maestro orafo: Mihail Jakovlev
oro, cammeo in crisoprasio, pietre preziose
smalto, filigrana, incisione, niello
diam. cm 9; misure del cammeo cm 4,6 x 3,5
Mosca, Palazzo dell’Armeria del Cremlino, inv. n. MR-3300
Al centro della panagìa, che nel xvii secolo gli alti prelati portavano sul petto come segno distintivo,
è montato un cammeo bizantino del xii secolo di crisoprasio con l’immagine dell’Assunzione della
Vergine. I manufatti intagliati bizantini erano estremamente apprezzati nella Rus’. Questa gemma è
particolare, perché appartiene all’esiguo gruppo di cammei della glittica bizantina con composizioni
a soggetto, ed è unica nel suo genere. Riuscire a concentrare più di quindici figure su una superficie
minima ha richiesto all’intagliatore un’alta capacità professionale. La montatura in oro del cammeo,
impreziosita da smeraldi, zaffiri, rubini, tormaline e smalto su decorazione a filigrana, crea una
cornice fulgida intorno al crisoprasio dal colore verde delicato. È stata eseguita nelle botteghe del
Cremlino. In base alle fonti l’autore sarebbe Mihail Jakovlev, maestro orafo dei laboratori dell’oro
del Cremlino, che la fece “con maestria, senza un modello”.
La scritta a niello sul rovescio della panagìa ci dice che essa fu eseguita per il Patriarca Iosaf ii, alla
guida della Chiesa russa dal 1667 al 1672.
M.M.
Bibliografia: Postnikova-Loseva 1954, p. 215; Pisarskaja 1964, p. 23, tavv.
xxxviii-xxxix
103
102
45. Icona della “Trinità del Vecchio Testamento”
Mosca, botteghe del Cremlino, 1676-1682
oro, pietre preziose
tempera d’uovo, smalto, cesello, incisione
cm 28,2 x 22,8
Mosca, Palazzo dell’Armeria del Cremlino, inv. n. Ž-1736/1-2
Il soggetto dell’icona La Trinità si basa sul racconto biblico dell’apparizione di tre angeli ad Abramo
sotto la querce di Mamre. In questa immagine, presente nei mosaici bizantini sin dal v-vi secolo,
si vedeva la rappresentazione di Dio nelle sue tre sostanze. È nato così il tema iconografico della
Trinità del Vecchio Testamento che ha avuto una fortuna straordinaria nell’arte russa antica.
Si suppone che l’opera sia stata commissionata dallo zar Fëdor Alekseevič. Nella seconda metà del
xvii secolo preziose cornici ricoprivano quasi interamente la superficie pittorica, e ne costituivano
talvolta una esatta riproduzione. In questa icona di metallo sono evidenti i tratti propri della pittura
dell’epoca. Anche qui il contenuto religioso-filosofico si fa un po’ da parte per cedere il posto al
racconto vivace degli eventi narrati dalla Bibbia. A destra, è raffigurato Abramo che ha in mano un
piatto di grano; dietro di lui, sullo sfondo di ambienti raffinati, è Sara; al centro, un servo marchia
un vitellino. È evidente l’amore per i particolari e il dettaglio narrativo. Nel xvii secolo gli orafi dedicavano un’attenzione particolare alla tecnica della smaltatura. Nella seconda metà del secolo si
appropriarono del procedimento della stesura dello smalto su immagini a rilievo, e insieme a smalti
opachi integranti la pittura, si valevano abilmente anche di smalti traslucidi. La cornice dell’icona La
Trinità rientra nel novero delle opere di maggior valore degli smaltatori del Cremlino.
Nel xviii o xix secolo l’icona è apparsa a Pietroburgo ed è divenuta proprietà personale dello zar
Nicola ii.
M.M.
Bibliografia: Oružejnaja palata 1970, fig. 115; Martynova 2002, cat. n. 235
46. Vangelo
Vangelo: Mosca 1677; cornice: botteghe del Cremlino, 1679; broccato: Italia, metà del xvii
secolo; damasco: Europa occidentale (?), xvii secolo; taffettà: Oriente, xvii secolo; autori delle
miniature: pittori del laboratorio dell’armeria, 1679
carta, legno, broccato, raso, oro, argento, perle, pietre preziose, vetro
stampa, disegno a pennino, tempera, inchiostri di oro e di argento in pasta
cesello, niello, incisione, smalto
cm 45 x 28,7
dono della principessa Tatjana Mihajlovna al monastero delle Vergini nel 1679
Mosca, Palazzo dell’Armeria del Cremlino, inv. n. KN-27/1-2
104
Nelle chiese russe il Vangelo è collocato sulla mensa dell’altare e ha un significato importantissimo
nella liturgia. Il Vangelo ornato di pietre preziose e di figure sacre era l’immagine stessa del Salvatore. Nelle legature dei libri sacri l’elemento più importante era costituito, secondo la tradizione
russa antica, dai cinque medaglioni disposti nella parte superiore: al centro, Cristo sul trono, la
Crocifissione o la Discesa agli inferi e negli angoli le figure dei quattro Evangelisti. Al centro della
coperta d’argento dorato del Vangelo in mostra è presente una Crocifissione con i quattro dolenti
ai lati, e negli angoli le figure degli Evangelisti e i loro simboli. Le immagini sono eseguite con la
tecnica del niello, una lega particolare d’argento, rame, piombo e zolfo, straordinariamente diffusa
nell’arte orafa russa del xvi-xvii secolo. Le scene sono rappresentate su uno sfondo architettonico,
ricavato da modelli di incisioni provenienti probabilmente dall’Europa occidentale, ben noti agli orafi
russi della seconda metà del xvii secolo. La superficie tra le placchette è decorata con smeraldi
sfaccettati, zaffiri e tormaline incastonati in smalti policromi. Sul bordo della fascia superiore una
serie di placchette di rubini e diamanti smaltati, disposte tra le perle, conferisce a tutta la composizione eleganza e ricchezza decorativa. La superficie levigata e brillante del fondo oro, le immagini
estremamente nitide della parte centrale e degli angoli, le placchette preziose e le perle: sono tutti
elementi che caratterizzano la produzione di molti manufatti nelle botteghe del Cremlino di Mosca
negli anni settanta e ottanta del xvii secolo.
Il testo evangelico è stato illustrato con otto miniature eccezionali, con le figure degli Evangelisti e i
loro simboli, a tempera dai colori brillanti, impiegando anche colori d’oro e d’argento, entro raffinate
cornici ornamentali.
La scritta incisa sul bordo della fascia superiore ci racconta di come il Vangelo sia stato commissionato dalla principessa Tat’jana Mihajlovna, figlia minore dello zar Mihail Fëdorovič Romanov e da
lei donato, nel 1679, al monastero delle Vergini di Mosca “a suffragio dei reali parenti”. Il monastero
femminile delle Vergini fu fondato all’inizio del xvi secolo in seguito a un voto del gran principe Vasilij
iii. Era il più ricco e privilegiato di Mosca. Nel corso del xvi-xvii secolo vi presero il velo dame appartenenti alle maggiori famiglie dell’epoca, tra cui la famiglia reale.
S.Z.
Bibliografia: Istoričeskoe opisanie 1885, p. 60; Ukazatel vystavki 1913, n. 79; Martynova 2002, cat. n. 125,
pp. 134-136, fig. p. 135
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47. Aureola dell’icona di “Santa Caterina”
Mosca, fine del
xvii
secolo
oro, argento, pietre preziose, perle, smalti
sbalzo, cesello, incisione, puntinatura, doratura
cm 39 x 20
Mosca, Palazzo dell’Armeria del Cremlino, inv. n. MR-3708
L’aureola faceva parte della cornice per l’icona di “Santa Caterina”, collocata in una chiesa di palazzo
dedicata alla martire cristiana.
La chiesa di Santa Caterina, che adesso è parte del complesso del Gran Palazzo del Cremlino,
fu costruita nel 1627 sotto lo zar Mihail Fëdorovič. Nel 1687 per ordine degli zar Pietro e Ivan
Alekseevič venne eseguita per la chiesa una nuova iconostasi. Fu allora che Tihon Filat’ev, noto
pittore del Cremlino, dipinse l’immagine della santa a cui la chiesa era dedicata. Durante il grande
incendio del 1737 l’iconostasi della chiesa bruciò, tuttavia si riuscì a salvare alcune icone della fila
inferiore, tra cui la reliquia più importante della chiesa, l’icona di Santa Caterina.
La sua ricca cornice, di cui oggi rimane solo l’aureola, fu realizzata dai maestri orafi del Cremlino
alla fine del xvii secolo.
Al centro dell’aureola è collocata la corona, ornata di pietre preziose e smaltata con colori brillanti. L’aureola è decorata da un motivo a cesello di fiori e foglie rigogliosi, tipico della seconda
metà del xvii secolo.
М.М.
Bibliografia: Postnikova-Loseva 1954, cat. n. 142
48-53. Corredo di croce d’altare
48. Placchetta
Mosca, botteghe del Cremlino, terzo quarto del
xvii
secolo
oro; cesello, incisione, smalti
diam. cm 19
provenienza: Cattedrale dell’Assunzione del Cremlino di Mosca
Mosca, Palazzo dell’Armeria del Cremlino, inv. n. MR-3637/1
49. Placchetta
Mosca, botteghe del Cremlino, terzo quarto del
xvii
secolo
oro; cesello, incisione, smalti
diam. cm 8,5
provenienza: Cattedrale dell’Assunzione del Cremlino di Mosca
Mosca, Palazzo dell’Armeria del Cremlino, inv. n. MR-3637/2
50. Placchetta
Mosca, botteghe del Cremlino, terzo quarto del
xvii
secolo
oro; cesello, incisione, smalti
diam. cm 8,5
provenienza: Cattedrale dell’Assunzione del Cremlino di Mosca
Mosca, Palazzo dell’Armeria del Cremlino, inv. n. MR-3637/3
51. Figura di Gesù Cristo
Mosca, botteghe del Cremlino, terzo quarto del
108
xvii
secolo
oro; cesello, incisione, smalti
lungh. cm 9,5, largh. cm 8,6
provenienza: Cattedrale dell’Assunzione del Cremlino di Mosca
Mosca, Palazzo dell’Armeria del Cremlino, inv. n. MR-3637/4
52. Figura della Madonna
Mosca, botteghe del Cremlino, terzo quarto del
xvii
109
secolo
oro; cesello, incisione, smalti
lungh. cm 9, largh. cm 4
provenienza: Cattedrale dell’Assunzione del Cremlino di Mosca
Mosca, Palazzo dell’Armeria del Cremlino, inv. n. MR-3637/5
53. Figura di Giovanni Evangelista
Mosca, botteghe del Cremlino, terzo quarto del
xvii
secolo
oro; cesello, incisione, smalti
lungh. cm 9,2, largh. cm 3,7
provenienza: Cattedrale dell’Assunzione del Cremlino di Mosca
Mosca, Palazzo dell’Armeria del Cremlino, inv. n. MR-3637/6
Tre placchette d’oro di forma circolare e tre figure d’oro con la crocifissione di Cristo, la Madonna e Giovanni evangelista
impreziosivano un tempo la croce d’altare della Cattedrale dell’Assunzione al Cremlino, la cattedrale più importante della
Russia. Sulla placchetta di dimensioni maggiori sono rappresentate tre figure della “Deesis”: il Salvatore in trono, la Madonna e Giovanni Battista. Sulle altre due placchette, che hanno eguale misura, figurano gli Evangelisti Luca e Giovanni.
Nella decorazione dei pezzi sono stati impiegati smalti stesi a pittura e smalti sul rilievo cesellato, largamente diffusi
nell’arte orafa moscovita della seconda metà del xvii secolo. La tecnica dello smalto steso a pittura, ricca di grandi possibilità figurative, trasformava lo smaltatore in un pittore che realizzava sulla liscia superficie smaltata disegni svariati
con smalti di più colori. Con la tecnica dello smalto steso a pittura sulle placchette circolari sono state realizzate strutture
architettoniche, visibili attraverso le finestre ad arco, e gli interni di palazzi suntuosi, le cui mura e colonne sono coperte
da erbe sottili, su sfondo bianco, che si intrecciano a spirale, e da volute smaltate di nero, rosa-lilla, giallo e verde chiaro.
Il procedimento con cui lo smalto viene steso sulle immagini a rilievo comportò grosse difficoltà tecniche. All’orafo
venivano richieste una perizia e una maestria tali da poter dipingere i dettagli del rilievo di altezze diverse con smalti
di colori differenti, ciascuno dei quali con il suo punto di fusione. Gli smaltatori ottenevano effetti artistici interessanti
variando i procedimenti di stesura degli smalti sulla superficie metallica. Tenendo conto delle possibilità estetiche dello
smalto traslucido, particolarmente efficace sullo sfondo dorato, che traspare attraverso di esso, i mastri orafi cercavano
di sfruttare al massimo le peculiarità decorative proprio del fondo dorato, lavorato inizialmente con tratti incisi aventi funzione aggrappante, consapevolmente tracciati in direzioni diverse, il che faceva sì che gli smalti assumessero tonalità
cangianti e producessero un bell’effetto di iridescenza.
Gli orafi del Cremlino ricorrevano spesso a accostamenti di colori contrastanti nei manufatti smaltati della seconda metà
del xvii secolo. Sulle placchette alla gamma chiara dello smalto opaco steso a pittura sono contrapposti i colori brillanti,
localizzati , dello smalto traslucido applicato alle figure cesellate ad altorilievo di Gesù Cristo e dei santi: il blu, il verde smeraldo, il rosso scuro insieme agli smalti dorati conferiscono una particolare eleganza alla soluzione cromatica d’insieme.
I.B.
Bibliografia: Martynova 2002, cat. n. 101
110
111
54-56. Completo di veli liturgici
stoffe: Italia, xvi secolo; cucito (ricamo): Mosca, botteghe del Cremlino, atelier della zarina, 1598
cm 53,5 x 58; cm 54 x 52; cm 67 x 95
provenienza: sagrestia della Cattedrale dell’Arcangelo del Cremlino di Mosca
dono della zarina Irina Fëdorovna alla Cattedrale dell’Arcangelo del Cremlino di Mosca nel 1598
Mosca, Palazzo dell’Armeria del Cremlino, inv. nn. TK-2479, TK-2532, TK-2478
112
Durante la liturgia di rito ortodosso i recipienti sacri venivano chiusi con tre appositi pezzi di stoffa
che formavano un completo. Due veli quadrati chiudevano il calice e la patena e un terzo, il più
grande, di forma rettangolare, detto “aria”, veniva messo sopra entrambi. Questo nome deriva dal
fatto che durante la messa, al momento della lettura dei Simboli della fede, il sacerdote faceva
con questo coperchio dei movimenti particolari, quasi volesse scacciare l’aria, per l’appunto, da
sopra i sacri recipienti.
Nell’atelier della zarina Irina Godunova che, dopo la morte del marito, lo zar Fëdor Ivanovič, entrò
in convento e assunse il nome di “monaca Alessandra”, fu eseguito un completo liturgico di questo
tipo. Cucito con seta lavorata rossa e blu recante un motivo vegetale, fu offerto dalla zarina alla
Cattedrale dell’Arcangelo nel 1598, a suffragio delle anime dei propri cari, come attestano le scritte
ricamate a fili d’oro presenti su tutti e tre i pezzi del completo. Far dono alla chiesa di oggetti di
questo tipo era considerato un atto particolarmente gradito a Dio. Lo zar Fëdor Ivanovič e la zarina
Irina fecero molte donazioni a chiese e monasteri. In un primo momento la regale coppia, che per
molto tempo non ebbe figli, donò completi ricamati con la preghiera della “procreazione”. Poi dopo
la morte in tenerissima età della principessa Feodosia e di lì a poco anche dello zar Fëdor Ivanovič,
nell’atelier della zarina ci si dedicò alla esecuzione di oggetti “a suffragio dei defunti”.
Nella parte centrale del pezzo destinato a coprire il calice è ricamata un’immagine della Vergine
dell’Incarnazione, circondata da quattro cherubini. Al centro del panno che copre il coperchio a forma di stella della patena (che contiene il pane dell’Eucarestia), è ricamata un’immagine dell’Agnello
di Dio: il Bambin Gesù appare disteso sulla patena dotato di un supporto figurato. Su di lui lo Spirito
Santo, in alto nel segmento di cielo Sabaoth a mezzo busto, con le braccia spalancate in segno di
benedizione. Ai lati della patena, due angeli con ventagli.
Al centro del panno rettangolare detto “aria” è ricamata l’immagine di Cristo nel sepolcro: Cristo
giace nella tomba, sopra di essa un cherubino e due angeli in volo con i ventagli. Sotto la tomba
giace la veste funeraria. L’immagine di Cristo nel sepolcro ricamata sull’“aria” è quella che più
ricorre in questi oggetti di culto, in quanto direttamente collegata al significato fondamentale della
liturgia, il sacrificio di Cristo.
Il ricamo eseguito su tutti i pezzi è di fili d’oro e di seta, perle, rubini e smeraldi incastonati in oro. Le
parti scoperte dei corpi sono ricamate con una seta leggermente ritorta color carne, dalle modeste
ombreggiature, e fili d’oro intrecciati con seta scura. Tutte le altre parti sono ricamate con filati di
seta d’oro con inserti di seta brillante che creano motivi svariati. Perle infilate incorniciano le scritte
e seguono i contorni delle figure. Nelle aureole ci sono pietre preziose incastonate in oro.
L’abbondanza di fili d’oro, perle e pietre preziose, caratteristica di questi oggetti nel loro complesso, è un tratto distintivo del cucito artistico della fine del xvi secolo, in particolare, dell’atelier della
zarina Irina Godunova. Tradizione vuole che a capo dell’atelier di cucito artistico del Cremlino
fosse la zarina in persona che, di regola, era una ricamatrice provetta.
I.V.
Bibliografia (inv. n. TK-2479): Russkoe šit’e 1989, p. 75, n. 17; Majasova 1976, 2, pp. 49-50; Majasova 2002,
p. 341, fig. 7; Majasova 2004, cat. n. 63, pp. 218-219; Herança 2005, pp. 88-89, n. 37
Bibliografia (inv. n. TK- 2532): Russkoe šit’e 1989, p. 75, n. 16; Majasova 1976, 2, pp. 39-61; Treasures 1979,
p. 200, n. 84, fig. p. 114; Tresors 1979, p. 179, n. 84, fig. p. 168; Schatze der Museen 1987, p. 40, n. 15; Majasova
2002, p. 341, fig. 6; Majasova 2004, cat. n. 62, pp. 216-221; Herança 2005, pp. 86-87, n. 36
Bibliografia (inv. n. TK-2478): Russkoe šit’e, 1989, p. 74, n. 15; Majasova 1976, 2, pp. 49-50; Majasova 2002,
p. 341, fig. 4; Majasova 2004, cat. n. 61, pp. 214-215; Herança 2005, pp. 82-83, n. 35
113
114
115
57. Epigonation raffigurante “Sofia, l’altissima sapienza di Dio”
Mosca, botteghe del Cremlino, atelier della zarina, primi decenni del xvii secolo; seta lavorata:
Italia, primi del xvii secolo
116
seta lavorata, raso, argento, fili d’oro, fili di seta, perle
tessitura, ricamo
cm 43 x 43
Mosca, Palazzo dell’Armeria del Cremlino, inv. n. TK-2525
117
L’epigonation è parte dell’abbigliamento di un arcivescovo ortodosso e simboleggia il Verbo di Dio
e la spada della fede. È di seta lavorata azzurra a forma di rombo, ha un gancetto d’argento per
attaccarla alla veste e nappe sui tre angoli rimanenti.
Nella parte mediana è ricamata la composizione “Sofia, l’altissima sapienza di Dio”. Al centro, la
figura della Sofia con le ali sollevate, vestita con abiti regali da cerimonia, incoronata, assisa sul
trono con lo scettro e un rotolo in mano. Accanto a lei, sullo stesso piano, sono presenti le figure
oranti della Vergine con il Bambin Gesù in braccio e la corona sulla testa, e di Giovanni Battista,
con ali, corona, e uno specchio su cui è riflesso il volto della Sofia. Questa è sovrastata dal busto
di Gesù benedicente. Ancora più in alto vi sono quattro angeli che circondano da due lati la mensa
d’altare su cui è adagiato un libro chiuso e la colomba dello Spirito Santo.
Le parti non ricamate dello sfondo azzurro danno alla composizione una forma quasi quadrata, con
un arco semicircolare, che ne incornicia la parte principale, formato dalle figure degli angeli alati.
Sui fianchi e nei tre angoli sotto la composizione vi sono figure di cherubini.
Le parti del corpo scoperte delle figure sono ricamate con sete chiare, le nuvole con seta azzurra,
blu e bianca, tutto il resto con filati in oro e seta rossa, verde e azzurra. Le figure sono bordate di fili
di perle di piccole e media grandezza.
Sull’orlo, nella cornice formata da due fili di perle piccole, corrono versi del libro dei canti per la festa
dell’Assunzione della Vergine.
La precisione dell’invenzione compositiva, l’abilità con cui è stata adattata alla forma romboidale
dell’epigonation, le linee eleganti e precise del disegno nonché la gamma raffinata dei colori dimostrano che nella realizzazione del manufatto deve essere stato coinvolto un artista di indubbio
talento, attivo nell’atelier della zarina ai tempi della sovrana Evdokija Kuk’janovna.
I.V.
Bibliografia: Popov 1910, n. 4; Majasova 2004, cat. n. 89, pp. 272-274; Ikonopiscy 2007, pp. 114-115, n. 42;
Treasures 2010, p. 242, n. 106
59. Paramento sacro (epitrahil)
Mosca, botteghe del Cremlino, seconda
metà del xvi-xvii secolo
seta lavorata, taffettà, raso, fili d’oro e di seta,
argento, perle
tessitura, ricamo
lungh. cm 135; largh. cm 30
Mosca, Palazzo dell’Armeria del Cremlino,
inv. n. TK-2520
118
58. Soprammaniche
Mosca, botteghe del Cremlino, atelier della zarina, seconda metà del
xvii
secolo
velluto, raso, fili dorati, argento, perle
tessitura, ricamo
lungh. cm 22; largh. cm 20
appartenuti al Patriarca Pitirim
Mosca, Palazzo dell’Armeria del Cremlino, inv. n. TK-106/1-2
I polsini indossati sopra la maniche della veste liturgica rappresentano le catene ai polsi del Salvatore condotto a giudizio, e stanno a significare la forza, nonché la fermezza e saggezza conferite al
ministro di Dio per il compimento della liturgia.
Le soprammaniche sono in velluto nero, decorate con splendidi ricami di perle e d’oro. Al centro
di ogni polsino, entro una cornice sagomata, è presente una croce a quattro bracci, ricamata in
perle, da cui si dipartono simmetricamente germogli di piante con foglie dentellate, bocci e tulipani
stilizzati. I germogli sono ricamati con perle di varie misure e fili d’oro. La combinazione delle perle
opache e dei fulgidi fili d’oro conferisce ai polsini un aspetto straordinariamente solenne e al tempo
stesso raffinato. Oggetti di uso sacro di questo tipo, riccamente decorati, venivano realizzati dalle
migliori ricamatrici dell’atelier della zarina.
I.V.
Bibliografia: Savva 1863, p. 30, n. 4; Treasures 1979, p. 201, n. 86; Tresors 1979, p. 179, n. 86; Russkoe šit’e,
1989, p. 128, n. 59; Treasures 2010, p. 238, n. 104
Si chiama epitrahil il paramento sacro ortodosso a forma di pettorale, che il sacerdote indossa
facendolo passare dalla testa e che si porta davanti, sopra la veste o il coprispalla. La epitrahil
simboleggia la benevolenza di Dio nei confronti
del sacerdote chiamato a compiere i sacramenti, nonché “il giogo di Cristo”, ed è parte indispensabile nella celebrazione del sacramento
dell’Eucarestia.
L’indumento è di raso, di colore rosso scuro. Al
centro sono posti bottoni d’argento levigato che
lo dividono in due parti. Su entrambi i lati sono
ricamate le immagini di santi universalmente venerati e di santi russi. Tra i primi figurano Basilio
il Grande, Gregorio Nazianzeno, Giovanni Crisostomo, Nicola di Bari. Per quanto riguarda i
santi russi, sono rappresentati i santi moscoviti
oggetto di maggior devozione: i primi metropoliti
di Mosca Pietro e Alessio; gli episcopi Leontio di
Rostov e Nikita di Novgorod che sono diventati
oggetto di devozione in tutta la Russia sotto il
regno di Ivan il Terribile, a metà del xvi secolo;
il metropolita Makarij. Il ricamo è eseguito con
filati di seta colorata e d’oro. Tutte le immagini,
le scritte e il testo delle preghiere sono bordati
da un ricamo di perle piccole e medie.
I.V.
Bibliografia: Russkoe šit’e 1989, p. 73, n. 13; Czar
2002, p. 58; Majasova 2004, cat. n. 66, pp. 224-227;
Treasures 2010, p. 244, n. 107
119
120
121
60. Paramento sacro (felon’)
Mosca, botteghe del Cremlino, atelier della zarina, seconda metà del
xvii
secolo
oro, argento, velluto, tela, pietre preziose, perle
tessitura, ricamo
cm 76 x 36
Mosca, Palazzo dell’Armeria del Cremlino, inv. n. TK-56
Il coprispalla è di velluto nero, riccamente decorato con ricami di perle. Le linee principali del disegno sono sottolineate da perle più grosse, a un solo filo, mentre i fiori e le grandi foglie piumate
sono ricamate con perle di media grandezza. Il bocciolo dei fiori è decorato con pietre preziose
incastonate in oro, anche la croce al centro del coprispalla è di pietre preziose. Lo strato fulgido e
compatto di elementi dorati sullo sfondo nero crea l’impressione di una superficie interamente d’oro,
variegata da pietre preziose e perle.
I pregiati materiali impiegati e l’altissima qualità dell’esecuzione inducono a ritenere che il manufatto sia opera delle ricamatrici di corte.
Il coprispalla è giunto sino a noi come indumento singolo, parte un tempo di un paramento liturgico
completo. Il conservare parti superstiti di vesti consunte era una pratica diffusa nella Russia medievale, sia negli ambienti ecclesiastici che in quelli laici. Una simile parsimonia si spiega non solo con
l’alto costo dei materiali, le stoffe di importazione, i fili d’oro e di seta, le pietre preziose e le perle,
ma anche con il desiderio di preservare opere di cucito di alto valore artistico.
I.V.
Bibliografia: Treasures 2010, p. 236, n. 103
122
123
61. Mitra
Mosca, botteghe del Cremlino, atelier della zarina, seconda metà del
xvii
secolo
restauro: secolo xix
oro, argento, diamanti, rubini, smeraldi, perle, vetri, fili dorati
ricamo, smalti, cesello
h. cm 22; diam. della base cm 19,5
Mosca, Palazzo dell’Armeria del Cremlino, inv. n. TK-53
La mitra è il copricapo indossato dagli arcivescovi ortodossi nelle occasioni solenni. La mitra esposta è interamente ricoperta di perle, decorata con lamine d’oro cesellate e smaltate e con variegate
placchette d’oro e pietre preziose.
In alto, al centro della mitra, è cucita una placchetta circolare d’oro con la Trinità del Vecchio Testamento cesellata e ricoperta di smalti traslucidi. Sul bordo della mitra sono attaccate dieci placchette
sagomate con le figure cesellate e smaltate a vari colori di Cristo, la Madonna, Giovanni Battista, gli
arcangeli Michele e Gabriele, gli apostoli Pietro e Paolo, i santi universalmente venerati Giovanni
Crisostomo e Basilio il Grande, e il metropolita di Mosca Alessio. Fili di perle di grosse dimensioni
incorniciano le placchette e formano quattro fascette che si dipartono dalla placchetta centrale, su
cui sono collocate lamine d’oro di varie forme, arricchite da pietre preziose. Lo spazio rimanente è
ricoperto da un ricamo in perle di media grandezza.
La mitra è stata restaurata (e forse è stato rinnovato il ricamo di perle) nel xix secolo. Durante il
restauro, nel settore compreso tra le strisce a forma di croce, sono state cucite quattro figure di
cherubini dai volti espressivi e ali ricamate con perle di piccole dimensioni.
I.V.
Bibliografia: Treasures 2010, p. 240, n. 105
124
125
62. Elmo
Persia,
xvi
secolo
acciaio Damasco, oro, pietre, perle, tessuti
forgiatura, cesello, incisione, damascatura in oro, smalti
diam. cm 22
appartenuto allo zar Aleksej Mihajlovič
Mosca, Palazzo dell’Armeria del Cremlino, inv. n. OR-164
L’elmo in acciaio Damasco con tesa del collo, paraguance e paranaso è decorato con eleganti
arabeschi incisi in oro. All’estremità del bordo è presente una fascia d’oro cesellata, decorata con
germogli vegetali e pietre preziose in montature d’oro. La punta d’oro tubolare per alloggiare il pennacchio è smaltata. I paraguance, attaccati alla cupola con un cordoncino, sono guarniti ai bordi da
una striscia d’oro, in cui sono incastonati piccoli rubini e turchesi, e decorati su tutta la superficie da
motivi vegetali stilizzati. Al centro dei paraguance vi sono aperture eseguite eseguite a traforo con
una pietra rossa montata in oro. La striscia nasale, fornita di una piccola apertura a forma di cuore,
termina con un ornamento damascato in oro e grosse perle.
L’elmo fu offerto alla zar Aleksej Mihajlovič dal principe Boris Petrovič Šeremetev (m. 1650), esponente di una delle maggiori famiglie della Russia.
Rimangono a tutt’oggi sconosciuti sia le modalità con cui Šeremetev entrò in possesso dell’elmo,
sia i motivi per cui in seguito l’oggetto passò al tesoro di Stato.
E.JA.
Bibliografia: Opis Oružejnoj palaty 1884-1893, parte iii, vol. 2, n. 4414; Gosudareva Oružejnaja palata, 2002, n.
4, pp. 302-303; Oružejnaja palata 2006, n. 185, pp. 216-217
126
127
63. Coppia di bracciali d’armatura
Turchia,
xvi
secolo
acciaio Damasco, oro, rubini, smeraldi, turchesi, fettuccia
forgiatura, cesello, damascatura in oro, sbalzo
diam. cm 39
appartenuti al principe Fëdor Ivanovič Mstislav
Mosca, Palazzo dell’Armeria del Cremlino, inv. n. OR-168
I bracciali servivano per proteggere le braccia del guerriero. Di dimensioni notevoli questi bracciali
sono profilati su tutta la lunghezza da sfaccettature e interamente decorati a motivi vegetali di steli
intrecciati con piccoli fiori, intarsiati in oro sottile nell’acciaio damascato. Sopra la decorazione
sono fissate lamine cesellate in oro a forma di boccioli di tulipani e rosette, su cui rifulgono pietre
preziose.
Questi stupendi bracciali appartenevano al principe Fëdor Ivanovič Mstislav, esponente politico e
capo militare tra i più in vista nella seconda metà del xvi e all’inizio del xvii secolo. Poiché apparteneva a una delle maggiori famiglie e figurava anche tra i principali proprietari terrieri dello stato,
nel periodo dei Torbidi e dell’interregno, che seguì alla morte senza figli dello zar Fëdor Ivanovič,
il principe fu ritenuto un probabile pretendente al trono della Russia. Dopo la sua morte, avvenuta
nel 1622, i bracciali pervennero al tesoro dell’armeria dello zar. Furono valutati 160 rubli, una cifra
enorme nel xvii secolo. I bracciali accompagnarono lo zar Aleksej Mihajlovič nelle campagne militari
di Smolensk e di Riga del 1654-1656.
E.JA.
Bibliografia: Opis Oružejnoj palaty 1884-1893, parte iii, vol. 2, n. 46528; Gosudareva Oružejnaja palata 2002, n.
28, pp. 326-327; Oružejnaja palata 2006, n. 187, p. 219
128
129
64. Sciabola con fodero e cintura
Mosca, laboratorio dell’armeria, 1618
mastro armaiolo: Il’ja Prosvit
acciaio Damasco, argento, legno, velluto, fettuccia, cordoncino
forgiatura, incisione, damascatura in argento, doratura
lungh. cm 106; lungh. della lama cm 93
appartenuta allo zar Mihail Fëdorovič
Mosca, Palazzo dell’Armeria del Cremlino, inv. n. OR-136/1-3
La sciabola da parata con fodero venne fabbricata nel 1618 dal maestro armaiolo Il’ja Prosvit per
lo zar Mihail Fëdorovič, come recita la scritta damascata in oro sulla lama. La lama della sciabola
è forgiata in acciaio damaschino. L’allargatura all’estremità della lama ha una inclinazione atipica,
con una curvatura verso la parte pungente. La superficie del forte presso l’impugnatura è decorata
con un motivo vegetale di volute sottili damascato in oro. Lungo la lama corre, parallela alla lieve
curvatura del filo, un’ampia incavatura decorata con un ornamento di petali di fiori intagliati, che
sono alternativamente dorati e argentati. L’impugnatura di legno e il fodero della sciabola sono rivestiti di velluto verde. I dettagli in argento dorato dell’impugnatura e del fodero sono decorati con
motivi vegetali stilizzati eseguiti a traforo. Si è conservato il cordoncino a cappio con nappa dell’impugnatura e la cintura di fettuccia di seta verde e argento, con elementi dorati e incisi, necessaria
per assicurare l’arma e allacciarla.
Nei documenti del dicastero dell’Armeria che si sono conservati, il nome del maestro armaiolo Il’ja
Prosvit non compare mai. Si può supporre che la sciabola qui esposta sia stata appositamente
commissionata all’armaiolo che ha vissuto a Mosca per un breve periodo di tempo. Il cognome
Prosvit indica che le sue origini sono da rintracciarsi nell’Ucraina occidentale.
E.JA.
Bibliografia: Opis Oružejnoj palaty 1884-1893, parte iv, vol. 3, n. 5902; Gosudareva Oružejnaja palata 2002, n. 35,
pp. 333; Oružejnaja palata 2006, nn. 146, 147, pp. 176-177
130
131
65. Mazza da parata
Turchia, metà del
xvii
66. Piccola ascia da parata
secolo
oro, nefrite, legno, pietre preziose
incisione, intarsio, cesello, smalti
lungh. cm 64,4
appartenuta allo zar Aleksej Mihajlovič
Mosca, Palazzo dell’Armeria del Cremlino, inv. n. OR-179
Persia,
Alla fine del xvi secolo le mazze persero la loro funzione di temibile arma d’assalto e diventarono
il simbolo del potere dei capi militari. Di regola mazze di questo tipo pervenivano al tesoro dell’Armeria degli zar russi come doni offerti da signori o mercanti orientali. Tuttavia questa mazza fu
acquistata nel 1656, come testimoniano i documenti, durante la guerra contro Riga, che a quel tempo apparteneva agli svedesi. Questa impresa militare fu intrapresa allo scopo di conquistare uno
sbocco sul mar Baltico e scongiurare l’ingerenza degli svedesi nella guerra russo-polacca del 16541667. Non si conosce, purtroppo, l’identità della persona da cui la mazza qui esposta fu acquistata:
potrebbe trattarsi di un nobile russo o dell’ambasciatore di uno stato straniero o di un mercante.
La parte superiore della mazza è in nefrite tornita. La superficie levigata della pietra fa da splendido
sfondo alla decorazione di oro intarsiato in forma di reticella, con castoni a forma di fiori, in cui scintillano rubini preziosi. Sul bordo inferiore del puntale c’è una fascetta di smeraldi. Tutta la superficie
del rivestimento in oro è decorata da incisioni e smalti policromi.
I manufatti degli artigiani persiani eccellevano per la squisita fattura. Il lato affilato della piccola
ascia da parata e la parte ottusa a poliedro a quattro facce sono ornati su tutta la superficie da un
motivo stilizzato damascato in oro e da incastonature d’oro con pietre preziose.
Sul manico di legno sono montate quattro fascette in oro, tre delle quali tempestate da file di smeraldi, rubini, turchesi e perle con montature d’oro su sfondo puntinato. La fascia inferiore è decorata
con un piccolo motivo vegetale ottenuto dalla disposizione figurata di rubini, turchesi e perle.
Piccole asce da guerra di questo tipo erano diffuse su un territorio enorme, dall’Oceano Pacifico
al Medio Oriente e l’Europa centrale, i cavalieri se ne avvalevano come arma ausiliaria. Già note
dall’età del bronzo continuarono a essere utilizzate in Europa fino alla fine del xviii secolo, nei paesi
asiatici fino al xx secolo. Fabbricate in base a principi costruttivi comuni si differenziavano per la
forma della lama e il tipo di decorazione.
E.JA.
Bibliografia: Opis Oružejnoj palaty 1884-1893, parte
iv,
vol. 3, n. 5186
xvii
secolo
oro, acciaio, legno, pietre preziose, turchesi, perle
sbalzo, damascatura in oro
lungh. cm 66,5
Mosca, Palazzo dell’Armeria del Cremlino, inv. n. OR-188
E.JA.
Bibliografia: Opis Oružejnoj palaty 1884-1893, parte
136, pp. 200-203
iv,
vol. 3, n. 5514; Gosudareva Oružejnaja palata 1988, n.
132
133
67-68. Coppia di asce “dell’ambasciatore”
Mosca, laboratorio dell’armeria, prima metà del
xvii
secolo
acciaio Damasco, argento, oro, turchesi, legno
forgiatura, incisione, damascatura in oro, cesello, puntinatura, doratura, filigrana
lungh. cm 98-99
Mosca, Palazzo dell’Armeria del Cremlino, inv. nn. OR-2238, 2239
Le asce “dell’ambasciatore” erano un’arma da parata delle guardie del corpo dello zar nel xvi e xvii
secolo. Nel xvii secolo a Mosca, durante gli incontri diplomatici ad alto livello, presso il trono dello
zar si trovavano immancabilmente quattro guardie del corpo con le asce. Nei documenti le asce
“dell’ambasciatore” venivano chiamate anche “d’oro” o “dello zar”, a riprova dell’importanza che
questo tipo di arma aveva nel cerimoniale di corte dello stato moscovita.
Le parti in acciaio delle asce sono decorate con figure e motivi ornamentali damascati in oro. I manici di legno riportano delle fascette d’argento cesellato dal colletto arrotondato, decorate con grossi
turchesi. Tutti i dettagli in argento ad alto rilievo sono dorati, fatta eccezione per i manici, ricoperti
interamente di filo a treccia. Di notevole interesse lo stemma presente sulle asce, con l’aquila a due
teste, sormontata da corone, e piccoli scudi sul petto su cui sono raffigurati, su un lato dell’ascia, un
unicorno, e sull’altro, un cavaliere che colpisce un drago con la lancia. Tali raffigurazioni si rifanno ai
blasoni dello Stato russo del xvi secolo.
La coppia di asce presenti in mostra fa parte di un insieme di quattro asce “dell’ambasciatore” che
differiscono leggermente solo nelle misure. Nella collezione del Palazzo dell’Armeria ve ne sono in
tutto otto esemplari.
A.Č.
Bibliografia: Drevnosti 1849-1853, sez. iii, disegno 77; Opis Oružejnoj palaty 1884-1893, parte iv, vol. 3, n. 5275,
n. 5276; Gosudareva Oružejnaja palata 2002, cat. 62, pp. 208-209; pp. 356-357
134
135
69. Turcasso (faretra e fodero per arco)
Mosca, botteghe del Cremlino di Mosca, laboratorio dell’armeria, 1666
maestro armaiolo: Dmitrij Astaf’ev
argento, tessuti, pelle, smeraldi, rubini
cucito, doratura, fusione, smalti, incisione
lungh. del fodero cm 68; lungh. della faretra cm 38
appartenuto allo zar Aleksej Mihajlovič
Mosca, Palazzo dell’Armeria del Cremlino, inv. n. OR-4471/1-3
Tutto il completo del turcasso da cerimonia comprendeva il fodero dell’arco e la faretra con frecce, il fodero della faretra e una gualdrappa che fungeva da vessillo del proprietario. Questi completi si eseguivano, su apposita commissione, esclusivamente per l’autocrate russo o per l’erede
ufficiale al trono.
La faretra e il fodero sono di pelle di capra, tinta di rosso e cucita con fili d’argento e d’oro. Nei motivi
vegetali di erbe e fiori sono inseriti punzoni ornamentali con lo stemma degli zar, l’aquila a due teste
sormontata da tre corone. Nell’angolo superiore del fodero è fissata una lamina sagomata d’argento dorato, smaltata di bianco, verde e azzurro lungo la filigrana, impreziosita da smeraldi e rubini
incastonati. Negli angoli superiori della faretra da una parte è fissata una lamina identica, dall’altra
la figurina di un leone in argento dorato e smaltato.
Alla faretra è fissata una cintura, intessuta di seta e d’argento, su fodera di pelle. Alla cintura sono
attaccate placchette sagomate d’argento dorato, i puntali e la fibbia, smaltati lungo la filigrana profilata a fiori e volute vegetali.
Nel 1666 il maestro Dmitrij Astaf’ev trafilò la pelle del turcasso con oro e argento per offrirlo allo zar
Aleksej Mihajlovič.
V.N.
Bibliografia: Opis Oružejnoj palaty 1884-1893, parte
iv,
vol. 3 p. 326, n. 6340; Martynova 2002, p.109, n. 95
70. Sella
Mosca, botteghe del Cremlino, 1677 o 1682
136
maestri orafi: Andrei Pavlov, Mihail Mihajlov
velluto: Italia, xvii secolo
argento, legno, velluto, pelle, rame, gallone, ferro, fili d’oro, fettuccia
doratura, incisione, niello, tessitura, cucito, cesello, forgiatura
h. curvatura ant. cm 26; h. curvatura post. cm 20; lungh. cm 47
appartenuta allo zar Fëdor Alekseevič
Mosca, Palazzo dell’Armeria del Cremlino, inv. n. K-1184
137
La festa principale della Russia ortodossa, la più gioiosa era quella della Santa Pasqua in primavera. Nella settimana di Pasqua lo zar riceveva doni dai propri sudditi. Tra questi non mancavano mai
i doni dei maestri artigiani del Cremlino, forgiatori d’oro, armaioli, sellai. Nei doni offerti allo zar essi
davano prova di tutta la loro abilità.
Nella primavera del 1677 Andrei Pavlov e Mihail Mihajlov, maestri orafi del laboratorio dell’argento
del Cremlino, realizzarono delle montature da sella in argento niellato; nel 1682 sempre gli stessi
orafi decorarono a niello le montature in argento di tre selle, le briglie e una sciabola per farne dono
allo zar Fëdor Alekseevič. Ci troviamo evidentemente in presenza di uno dei doni offerti allo zar in
occasione della Pasqua. Lo zar Fëdor Alekseevič amava molto i cavalli e la malattia di cui soffriva
alle gambe non gli impediva di tenersi saldo sulla sella. Nelle cronache di corte si conserva il ricordo
di come durante le processioni solenni lo zar non andasse in carrozza, ma in sella a un cavallo della
razza orientale “argomak”.
La seduta della sella è rivestita di velluto italiano lavorato. La splendida stoffa ha un ornamento a
rilievo di due tipi: un motivo che per via dello spessore più alto dell’ordito spicca sul fondo liscio del
velluto, creando un gioco di chiaroscuri, e grossi fiori intessuti di fili dorati. Le falde rettangolari laterali di cuoio rigido sono ricoperte di velluto scarlatto liscio, su cui sono cucite in oro e argento figure
di leoni tra erbe attorte. Le cinghie della sella sono rifinite con fettuccia di seta rossa, bianca, verde
e gialla a motivi geometrici. La liscia montatura d’argento dorato della sella è cosparsa di minuscoli
fiori e erbe realizzati a niello. Sullo sfondo niellato si evidenzia un disegno dorato e inciso di “erbe
e falchi”. È proprio servendosi della tecnica della niellatura che negli ultimi decenni del xvii secolo i
maestri argentieri del Cremlino hanno eseguito tutta una serie di manufatti. La sella era destinata
alle cavalcate dello zar e alla caccia.
O.M.
Bibliografia: Opis Oružejnoj palaty 1884-1893, parte
sova 1954, p. 259, fig. p. 260
vi,
vol. 5, n. 8580; Troickij 1928, pp. 80-81, pp. 92-93; Deni-
138
139
71. Coppia di staffe
Mosca, botteghe del Cremlino,
xvii
secolo
argento, ferro
doratura, cesellatura, incisione, forgiatura
h. cm 17; ovale alla base cm 11,5 x 10,5
Mosca, Palazzo dell’Armeria del Cremlino, inv. n. 172/1-2
Le staffe per la sella dello zar, realizzate a Mosca nel xvii secolo, sono leggere e eleganti, la
loro forma è adatta a mantenere ben saldo in sella il cavaliere. Hanno una base ovale e sottili
archetti laterali che si uniscono a forma di ogiva, nella parte superiore della quale sono riportate
le fenditure rettangolari per l’alloggio delle cinghie. Il ferro con cui sono state forgiate le staffe
è completamente rivestito d’argento dorato. I lati esterni degli archetti e le estremità della base
sono interamente decorati da un fregio con motivo vegetale inciso. Al centro della base, sotto
i piedi, è inciso lo stemma della Russia, un’aquila a due teste sormontate da una corona, con
cartigli intagliati.
O.M.
Bibliografia: Opis Oružejnoj palaty 1884-1893, parte
vi,
vol. 5, n. 8733; Kirillova 2000, p. 195
140
141
72. Sella
Istanbul, metà del
xvii
secolo
oro, argento, smeraldi, perle, velluto, legno, pelle, fettuccia
cucito, tessitura, cesello, doratura
lungh. cm 41; h. curvatura ant. cm 31; h. curvatura post. cm 16
Mosca, Palazzo dell’Armeria del Cremlino, inv. n. K-230
Nel tesoro delle scuderie dei sovrani moscoviti non si conservavano solo i manufatti dei maestri
artigiani del Cremlino. Il deposito veniva arricchito anche con preziose bardature di importazione,
offerte agli zar da ambasciatori e mercanti stranieri. Insieme agli ambasciatori del sultano di Istanbul arrivavano a Mosca anche i mercanti greci e il fatto che questi ultimi fossero di fede ortodossa
era importante ai fini dell’acquisizione, da parte del tesoro statale, dei preziosi oggetti orientali da
essi portati.
La sella turca proveniente dal tesoro dello zar Aleksej Mihajlovič spicca per la nobiltà delle forme e la
ricercatezza nell’esecuzione. La curvatura anteriore ha una stretta incurvatura, la seduta ha linee morbide, le falde laterali sono arrotondate alle estremità. La sella è rivestita di velluto rosso regale. Sulla
seduta sono ricamate con sottili fili d’argento dorato foglie, tulipani e garofani, racchiusi in punzoni
ovali. Con questi stessi fili è stata cucita la decorazione di foglie e fiori di melograno attorti sulle falde
laterali. La montatura dell’incurvatura anteriore e posteriore sembra d’oro ma è anch’essa rivestita di
stoffa. Si tratta di una stoffa turca di broccato d’oro, una seta intessuta d’argento dorato. I garofani e i
tulipani sulla montatura della sella sono realizzati con perle cucite, mentre le corolle dei fiori sono ottenute con grossi smeraldi tagliati a corolla, forati e cuciti sulla stoffa.
O.M.
Bibliografia: Opis Oružejnoj palaty 1884-1893, parte vi, vol. 5, n. 8519, p. 35
73-74. Finimenti per cavallo: cavezza e briglie pettorali
Mosca, botteghe del Cremlino,
142
xvii
secolo
oro, argento, pietre preziose, perle, pelle, seta, fettuccia, fili dorati
cesello, incisione, doratura, smalti, tessitura
largh. delle cinghie cm 1,5
Mosca, Palazzo dell’Armeria del Cremlino, inv. nn. K-311, K-151
143
Ogolov (cavezza) e paperst (briglie pettorali) sono gli antichi termini russi per indicare i finimenti
equini. La cavezza di cinghie di cuoio con morsi di ferro permetteva di guidare il cavallo e le cinghie
del petto servivano a mantenere stabile la sella. Nel xvii secolo i maestri artigiani del Cremlino trasformarono questi oggetti di uso pratico in manufatti regali, raffinati e preziosi.
Sulle sottili cinghiette di cuoio, che in alto sono nascoste dalla fettuccia d’argento e in basso da
seta dorata, sono applicate targhette rettangolari traforate e dorate con rubini e diamanti, smaltate di verde, azzurro e bianco. Nei punti in cui le cinghie della cavezza si incontrano sono fissate
delle borchiette traforate a forma di foglie, incorniciate da strisce di smalto rosso e bianco. Esse
sono decorate ai bordi con perle e diamanti e, al centro, con rubini rossi. Tra le cinghie della fronte e del naso è sospesa a delle catenelle una lamina centrale circolare, ornata da incisioni e da
grossi rubini e diamanti incastonati a forma di fiori. Le stesse pietre decorano la lamina pettorale
a otto facce, al centro della quale c’è uno smeraldo sfaccettato di forma triangolare, in una alta
incastonatura smaltata di azzurro e bianco. I gioielli d’oro inseriti nella cavezza e nelle briglie
pettorali furono eseguiti dai mastri artigiani del Cremlino o dagli orafi di Istanbul, i cui manufatti
erano molto apprezzati alla corte degli zar.
Al centro della cinghia frontale della cavezza c’è un tubicino d’argento per il pennacchio, sulla
cinghia del naso ci sono due nappine di fili dorati, intrecciate con piccole perle. Alle estremità delle
cinghie sono presenti fibbie lisce, in argento dorato, e puntali incisi.
Durante le processioni solenni questi preziosi finimenti adornavano i cavalli delle scuderie dello zar.
Originariamente il completo era costituito da tre pezzi, la cavezza con i morsi di ferro e le redini, le
cinghie del petto e il sottocoda. Nel xviii secolo il sottocoda è andato perduto, ma la cavezza e le
cinghie pettorali si sono conservate.
O.M.
Bibliografia: Opis Oružejnoj palaty 1884-1893, n. 8632, p. 64; Denisova 1953, pp. 270, 273
75. Gorgiera equina con nappe (nauz)
Mosca, botteghe del Cremlino,
xvii
secolo
argento, fili dorati, vetri, fettuccia
fusione, cesello, doratura, torcitura, tessitura
lungh. cm 78
Mosca, Palazzo dell’Armeria del Cremlino, inv. n. K-1084
144
L’uso di addobbare i cavalli con sottogola di nappe è esistito
sin dai tempi più antichi. Originariamente piccole nappe di peli
di cavallo o di fili colorati fungevano da amuleti ma col tempo
si trasformarono in segni di distinzione, conferiti a quei cavalieri che avevano dato prova di coraggio, e in simboli di potere e di rango. Nella Russia del xvii secolo lunghe gorgiere di
seta e oro erano un accessorio indispensabile dell’“addobbo
equino da parata”, nappe di questo tipo adornavano i cavalli
dello zar e dei boiardi e venivano usate solo nelle cerimonie
di corte più solenni.
Sulle armi e sulle bardature equine del tesoro statale è raffigurato lo stemma dello Stato russo, l’aquila a due teste e
anche i simboli araldici del leone e dell’unicorno, ma questa
nappa sottogola equina che ha la sommità a forma di aquila
a due teste è un esemplare unico. L’aquila è d’argento fuso,
le piume sono abilmente cesellate, il torso e le ali spalancate
sono decorate con vetri colorati che imitano il turchese, l’ametista (al centro del tronco), e i rubini (sulle ali). Oltre al maestro argentiere, lavorò a questo manufatto anche un esperto
di torcitura, eseguita a mano e di tessitura, che ha preparato
le nappe, i cordoncini, le sferette intrecciate e la fettuccia di
seta dorata. Nove nappe sono fissate in tre file su tre cordoncini di seta. Le nappe della fila superiore e inferiore sono eseguite con fili d’argento, quelle della fila centrale con fili dorati.
La fettuccia per appendere l’ornamento al collo è intessuta in
seta di color rosso e sabbia con argento. Gli elementi della
fibbia d’argento sono decorati da motivi vegetali incisi.
O.M.
Bibliografia: Opis Oružejnoj palaty 1884-1893, parte
vi,
vol. 5, n. 8998
145
146
147
76. Gualdrappa
Mosca, botteghe del Cremlino,
xvii
secolo
velluto: Italia, inizio del xvii secolo (la parte centrale); Persia, inizio del
velluto, taffettà
tessitura
cm 142 x 106
Mosca, Palazzo dell’Armeria del Cremlino, inv. n. TK-605
xvii
secolo (il bordo)
La gualdrappa di forma rettangolare fu eseguita nel xvii secolo nelle botteghe del Cremlino ed era
destinata ad adornare il cavallo dello zar. Per confezionarla gli artigiani del Cremlino ricevettero
dalle casse reali stoffe importate di rara bellezza. La parte centrale è in velluto italiano e presenta
una composizione definita in tutti i suoi dettagli. Sullo sfondo giallo è intessuto un raffinato motivo in
rilievo di seta color lampone, al centro un rosone con numerosi petali, ai lati ci sono tulipani e gigli
con steli sottili reclinati, sul bordo un’orlatura a motivi geometrici e vegetali.
Il largo bordo è fatto di pezzi di prezioso velluto persiano con figure di giovanetti bellissimi, uccelli
fantastici, fiori e erbe. Le figure dai contorni tracciati da una sottile linea nera emergono sullo sfondo
liscio e luminoso. I colori che predominano sono le varie gradazioni dell’oro, del giallo paglierino con
sfumature di rosa, del marrone chiaro. Nonostante i colori abbiano perduto lo splendore originario,
ancor oggi si ravvisano nel tessuto sfumature di azzurro e di rosa.
Sul velluto e sulla fodera di taffettà giallo rimangono le tracce inconfondibili dell’uso prolungato che
di questa gualdrappa è stato fatto nel corso delle cerimonie di corte.
O.M.
Bibliografia: Opis Oružejnoj palaty 1884-1893, parte
iv,
vol. 3, n. 6363
77. Archibugio da caccia
Mosca, laboratorio dell’armeria del Cremlino, 1692
148
acciaio, legno, avorio, argento, madreperla
forgiatura, cesello, incisione, intarsio, damascatura in argento, brunitura
lungh. cm 137,7; lungh. della canna cm 103,2; calibro mm 9; filettature 6
appartenuto allo zar Pietro il Grande
Mosca, Palazzo dell’Armeria del Cremlino, inv. n. OR-101
149
Il grande fucile da caccia è realizzato nei modi tipici del laboratorio di fabbricazione delle armi del
Cremlino della seconda metà del xvii secolo. È costituito da un notevole acciarino a selce di tipo
anglo-olandese, da una canna brunita e trafilata e dal cosiddetto “calcio dell’archibugio”. Sul lato
della canna che guarda il mirino c’è un’iscrizione damascata in argento: archibugio dello zar e gran
principe pietro alekseevič sovrano di tutte le russie anno zs1. L’asse della culatta è decorata con motivi
vegetali e grottesche incise. Lo scodellino per la polvere d’innesco è chiuso da un copriscodellino a
scivolo e ha dalle parti una sicura con la figura di un mascherone.
Nella decorazione della canna e della cassa dell’archibugio compaiono motivi ornamentali mutuati
dall’occidente, vale a dire grottesche, mascheroni, figurine vestite all’europea che convivono con lo
stemma araldico dell’aquila a due teste e figure di unicorni e sirene.
Pietro il Grande si interessò alle armi sin dall’infanzia. Gli piaceva andare al laboratorio dell’armeria
a esaminare le armi che vi erano conservate. Talvolta sceglieva qualcosa che lo attirava in modo
particolare e se lo faceva portare a palazzo. L’interesse che il giovanissimo zar provava per le armi
e i giochi di guerra col tempo si trasformò in uno studio serio dell’arte bellica e della scienza delle
fortificazioni e costituì il primo passo verso la messa in atto delle riforme militari.
Pietro il Grande non amava la caccia, la riteneva un passatempo vuoto e ozioso. Durante il suo
regno gli uffici di corte preposti alla gestione della caccia decaddero e furono liquidati.
E.JA.
Bibliografia: Opis Oružejnoj palaty 1884-1893, parte v, 1886, vol. 4, n. 7468; Gosudareva Oružejnaja palata 2002,
n. 86, pp. 383-384; Oružejnaja palata 2006, nn. 157, 158 p. 187
Fino al regno di Pietro il Grande in Russia si contava il tempo a partire dalla creazione del mondo e le cifre
erano indicate con lettere dell’alfabeto cirillico. La data riportata indica l’anno 7200 dalla creazione del mondo:
corrisponde al 1692 (NdA).
1
79. Carabina con acciarino a selce
Utrecht, 1640-1650
150
Mosca, laboratorio dell’armeria del Cremlino, 1660 ca
argento
cesello, fusione, incisione, puntinatura, doratura, incisioni
diam. cm 9; h. con il beccuccio cm 12,3
appartenuta al funzionario del dicastero dell’Armeria Afanasij Ivanovič Nesterov
Mosca, Palazzo dell’Armeria del Cremlino, inv. n. OR-2089
Il contenitore per polvere da sparo ha la forma di una fiaschetta circolare con un tubicino chiuso da un
piccolo coperchio a forma di drago stilizzato. La scritta incisa sulla staffa perimetrale delle due valve
ricarica per fucile a avancarica di afanasij ivanovič nesterov attesta che questo contenitore apparteneva
a Nesterov, uno dei funzionari più importanti del dicastero dell’armeria nel xvii secolo, il vice del nobile
armaiolo che dirigeva il laboratorio dell’armeria, Bogdan Matveevič Hitrovo. La decorazione della fiaschetta d’argento a ceselli ad alto rilievo sulla parte centrale è un esempio brillante della manifattura
di corte della seconda metà del xvii secolo. Sul recto del contenitore è raffigurata una scena di lotta fra
un’aquila e un serpente. Si tratta di un soggetto, assai diffuso nell’arte russa applicata del xvii secolo,
che si rifà alla storia di Costantinopoli, alla cosiddetta “visione della città dell’imperatore”. La leggenda
narra che la capitale dell’Impero romano d’Oriente fu fondata dall’imperatore Costantino nel luogo in
cui egli assistette alla lotta tra un’aquila e un serpente, interpretata come la lotta dell’ortodossia contro
le eresie. La figura di San Giorgio sul verso risente indubbiamente dell’influenza dell’arte figurativa
dell’Europa occidentale.
Attualmente la fiaschetta per la polvere da sparo è priva della molla che faceva aderire la chiusura
al collo del beccuccio, nonché dei cordoncini con cui il contenitore veniva attaccato alla cintura.
Nel xvii secolo questi accessori dell’equipaggiamento militare, riccamente decorati, fungevano da segni
distintivi sui generis, e avevano il compito di mettere in risalto l’alta posizione sociale del proprietario.
A.Č.
Bibliografia: Opis Oružejnoj palaty 1884-1893, parte v, 1886, vol. 4, , n. 8381; Mamaev 1966, pp. 342-352
151
acciaio, ferro, rame, legno
forgiatura, incisione, fusione, doratura
lungh. cm 103,5; lungh. della canna cm 70,5; calibro mm 16,5
Mosca, Palazzo dell’Armeria del Cremlino, inv. n. OR-1040
78. Fiaschetta per polvere da sparo
Questa arma da caccia olandese è una delle più rappresentative dell’arte di fabbricazione delle
armi di epoca barocca. Il tratto tipico di questo stile si esprime qui in una soluzione decorativa intenzionalmente enfatica. La superficie della canna è dorata e il fondo è decorato da un motivo vegetale
stilizzato inciso su uno sfondo ornato con piccoli cerchi.
La carabina è dotata di un acciarino a selce di tipo anglo-olandese. Sull’acciarino sono presenti due
teste di delfino incise in mezzo a intrecci bizzarri a rilievo. La vite del percussore ha la forma di una
piccola pigna. L’insieme costituito dal ponticello del grilletto riporta un’applicazione su cui è raffigurato un volto maschile con barba e baffi. Sul copriscodellino e sulla sicura figurano mascheroni
incisi. La superficie dell’asse della culatta, con l’estremità inferiore arrotondata, è decorata da un
motivo vegetale inciso; alla fine del lato sinistro è incisa una testa di delfino.
Questa carabina si distingue per la bellezza e l’eleganza delle proporzioni, la precisione dei motivi
decorativi e la fine lavorazione dei rilievi. Gli armaioli olandesi, autori di questo autentico capolavoro, hanno ottenuto un effetto decorativo particolare grazie alla combinazione dell’ebano levigato
con la rilucente doratura. Il nido dello scovolino è inciso con una testa di mostro marino, sul collo
del calcio è riportato un mascherone circondato da grosse foglie d’acanto. Sul calcio sono raffigurati
esseri fantastici con testa di delfino e corpo di serpente piegato a spirale. I dettagli in lega di rame
sono decorati da un motivo vegetale inciso che completa il tema decorativo della canna.
Sulla staffa della sicura appare la figurina di Giuditta con la testa di Oloferne in mano. Sulla piastra
del calcio compaiono due figurine di fusione: un cavaliere con la spada in mano (si tratta molto probabilmente San Giorgio) che lotta con un drago; più in basso una figurina maschile che indossa un
abito dalle lunghe falde e ha in mano una spada, forse l’apostolo Paolo.
E.JA.
Bibliografia: Opis Oružejnoj palaty 1884-1893, n. 7053; Yablonskaya 1996, cat. 25; Gosudareva Oružejnaja palata
2002, n. 97, pp. 397-398
152
153
80-81. Pistole da parata con acciarino a ruota
Maastricht, 1660 ca
acciaio, avorio, ebano
forgiatura, intagli, intarsi, incisioni
lungh. cm 56; lungh. della canna cm 37,3; calibro mm 13
Mosca, Palazzo dell’Armeria del Cremlino, inv. nn. OR-269, OR-270
A metà del xvii secolo si diffuse in Europa la moda delle impugnature di pistola terminanti con forme scultoree. I pomelli delle pistole venivano fusi in bronzo o argento a forma di testa di leone, cane o aquila.
Ebbero un successo particolare coppie di pistole da parata con le impugnature d’avorio e le estremità a forma di testa di guerriero con elmo, di testa maschile con turbante o corona di lauro, o anche
a forma di maschera di cammello o testa di montone. Queste pistole venivano fabbricate in Olanda
nell’armeria di Maastricht. Gli studiosi ritengono che l’autore di questi piccoli capolavori in miniatura
possa essere Lukas Faydherbe, allievo del famoso pittore Peter Paul Rubens.
La coppia di pistole olandesi degli anni 1660-1670 provenienti dalla collezione del Palazzo dell’Armeria
presenta una decorazione di grande effetto. Le impugnature di avorio levigato spiccano per la bellezza
delle proporzioni e la precisione nell’esecuzione delle figure intagliate. I pomoli delle impugnature sono
a forma di testa di guerriero con elmo di fantasia, che ha ai lati delle maschere e un ricco piumaggio.
Le pistole sono dotate di acciarino a ruota, con la ruota che si presenta esterna. Sulla superficie
arrotondata della culatta è inciso un uccello tra un’ornamentazione di foglie e la scritta “magesti”. Il
grilletto sul sostegno profilato a forma di “L” è intagliato in forma di testa di drago.
E.JA.
Bibliografia: Opis Oružejnoj palaty 1884-1893, n. 6532; Sobolev-Ermolev 1954, pp. 415-417; Jablonskaja 1996, pp.
147-148; Imperatorskaja Rüst-Kamera 2004, n. 75, pp. 172-175; Oružejnaja palata 2006, pp. 208-209
154
155
82. Coppa
Londra, 1613-1614
maestro orafo: “TC”
argento
fusione, sbalzo, cesello, incisione, puntinatura, doratura
h. cm 51
punzoni con l’indicazione della città, del titolo dell’argento, dell’anno di esecuzione (Jackson 1989,
p. 51), con il monogramma del maestro orafo “TC” (Jackson 1989, p. 107)
provenienza: nucleo principale della raccolta del Palazzo dell’Armeria
Mosca, Palazzo dell’Armeria del Cremlino, inv. n. MZ-619
La coppa dorata oviforme, con piede alto, è decorata con steli e fiori di campanule cesellati, a gruppi
di tre, che sviluppano da cinghie intrecciate, da grossi e lisci ovali, da frutti di melograno e foglie di
acanto. Al centro della tazza è presente lo scudetto vuoto di uno stemma. Il sottocoppa è costituito
da foglie di acanto incise in argento non dorato.
Sul retro del piede è incisa una iscrizione seicentesca con l’indicazione del peso e dell’appartenenza della suppellettile al Tesoro degli zar.
La coppa appartiene, per forma e ornamentazione, a una tipologia diffusa in Inghilterra; la decorazione a campanule, a gruppi di tre, è uno standard delle coppe in argento del primo quarto del xvii
secolo. In effetti questa coppa rinascimentale, vistosa e di notevole altezza, era uno dei doni che il re
d’Inghilterra Giacomo i inviò allo zar Mihail Fëdorovič, e che furono portati in Russia dall’ambasciatore
John Merryk nel 1620. Quando si faceva la presentazione dei doni da parte di un ambasciatore era
tradizione che le coppe fossero al primo posto nella lista e si consegnassero per prime.
N.A.
Bibliografia: Opis Oružejnoj palaty 1884-1893, parte ii, 1885, vol. 2, n. 1122; Jones 1909, parte i, xix, n. 1; Goldberg
1954, p. 482, disegno 17; Rossija-Britanija 2003, pp. 151-152, n. 110; English Silver 1991, n. 101, pp. 162-163;
Britannia & Muscovy 2006, n. 18, p. 94
156
157
83. Boccale
Londra, 1617-1618
maestro orafo: “O…”
argento
cesello, fusione, doratura, puntinatura
h. cm 41,5
punzoni con l’indicazione della città, del titolo del metallo e dell’anno di esecuzione (Jackson 1989,
p. 51), con il monogramma del maestro orafo “O…”
Mosca, Palazzo dell’Armeria del Cremlino, inv. n. MZ-666
Il boccale, di forma cilindrica dorato, con il manico a forma di S, il coperchio reclinabile e un cilindro
liscio alla sommità, è un tipico manufatto inglese del periodo post rinascimentale. È decorato con
sviluppi a cinghiette, con figure di mostri marini e frutti di melograno tra viluppi vegetali, caratteristici
dell’ornamentazione inglese, e l’arme di Giacomo i, la cui presenza dell’emblema testimonia che il
boccale proviene dal tesoro della corona inglese. Sul retro della base è incisa l’iscrizione seicentesca con l’indicazione del peso e dell’appartenenza al Tesoro degli zar.
Il boccale risponde al tipo cosiddetto “hanse”. Si tratta di recipienti cilindrici dalle proporzioni allungate che si usavano di solito per bere la birra sia a bassa che alta fermentazione e talvolta venivano
donati alla Chiesa. Erano molto diffusi nelle città della costa del Baltico riunite nella lega anseatica:
Riga, Lubecca, Rostok, Amburgo, dove furono fabbricati fino ai primi del xviii secolo. Il boccale presente in mostra faceva parte dei doni che il re d’Inghilterra Carlo i inviò allo zar Mihail Fëdorovič e
che furono consegnati dall’ambasciatore Simon Digby nel 1636.
N.A.
Bibliografia: Opis Oružejnoj palaty 1884-1893, parte ii, 1885, vol. 2, nn. 1688, 1689; Goldberg 1954, p. 489, disegno 50; Oman 1961, p. 37, parte i.26b
158
159
84. Fiasca
Londra, 1619-1620
maestro orafo: “IS”
argento
cesello, fusione, doratura
h. cm 48,5
punzoni con l’indicazione della città, del titolo del metallo e dell’anno di esecuzione (Jackson 1989,
p. 51) e con il monogramma del maestro orafo “IS”
provenienza: nucleo principale della collezione del Palazzo dell’Armeria
Mosca, Palazzo dell’Armeria del Cremlino, inv. n. MZ-654
La fiasca dorata dall’alto collo è decorata con figure cesellate di mostri marini in marchi ovali a cinghietta, con fasci di frutti e grosse foglie di acanto, con frutti e conchiglie. Sui lati del corpo centrale
sono presenti mascheroni leonini con anelli uniti da una catenella a maglie. Il coperchio è sormontato da volute di grottesche a cui è fissata una catenella.
Sul retro della base è incisa una scritta con l’indicazione del peso e dell’appartenenza al Tesoro
degli zar.
La fiasca presente in mostra è uno dei pochissimi esemplari eseguiti dagli argentieri inglesi del Rinascimento; rientra nel novero esiguo di recipienti dalla forma conica e collo allungato su un alto piede.
Le sue peculiarità ne fanno un oggetto di rappresentanza di grande effetto che risponde pienamente
ai requisiti necessari al dono di un ambasciatore. La fiasca fa parte dei regali che nel 1620 il re d’Inghilterra Carlo i inviò allo zar Mihail Fëdorovič per il tramite dell’ambasciatore John Merryk.
N.A.
Bibliografia: Opis Oružejnoj palaty 1884-1893, parte ii, 1885, vol. 2, nn. 1535, 1536; Filimonov 1893, p. 25, n. 87;
Goldberg 1954, p. 501, disegno 55; Oman 1961, p. 35, P1 23; Rossija-Britanija 2003, pp. 159-160, n. 116; English
Silver 1991, n. 104, pp. 170-173; Britannia & Muscovy 2006, n. 27, p. 110
85-86. Vasi-rassol’niki (alzate da dolciumi)
Germania, Amburgo, 1633-1640
maestro argentiere: Dieterich Thor Moye
argento
fusione, sbalzo, cesello, doratura
h. cm 21,4; cm 21; diam. cm 20
presenti dal 1688 nel Tesoro degli zar Ivan e Pietro Alekseevič
Mosca, Palazzo dell’Armeria del Cremlino, inv. n. MZ-406-407
160
Si tratta di due alzate d’argento parzialmente dorato che evidentemente un tempo facevano parte
di un servito, la cui decorazione aveva come motivo conduttore il mito di Apollo. Sul fondo delle
coppe circolari, dall’alto bordo dorato, sono montate placchette d’argento entro corone di lauro
con le figure cesellate di Apollo che insegue Dafne e di Apollo che uccide il serpente Pitone. Evidentemente si rifanno a un modello olandese realizzato nella Germania meridionale. In ciascun
esemplare fungono da fusti figurine fuse eseguite a guisa di sculture manieriste. Esse si rifanno
a un modello che si incontra spesso nelle opere di famosi maestri orafi di Amburgo, ma poiché le
mani della figura femminile nuda, seduta sul tronco, sono prive degli attributi andati perduti, non
si può stabilire con certezza se questa sia o no una Venere. La base circolare così come il piatto
che la sovrasta, elemento che spesso è andato perduto in oggetti di questo tipo, sono cesellati
abilmente in stile Knorpel.
Nel xvii secolo le alzate ricevettero in Europa il nome di “tazze da dolciumi”. Sono una parte dei
serviti da cerimonia da tavola dell’epoca rinascimentale, del cui uso troviamo testimonianza nelle
tele di grandi pittori e in particolare nelle scene di soggetto storico o del Vecchio Testamento. Già
nel xv secolo durante i banchetti ufficiali alle corti imperiali e regali, nelle case dei nobili e persino
ai ricevimenti dei mercanti, nelle alzate si servivano le tradizionali quattordici portate del pranzo di
Pasqua (in certi paesi le portate andavano da otto a dodici). Probabilmente per questo i serviti di
alzate comprendevano dodici pezzi. È nota anche un’altra alzata, simile a questa, ma mancante
del fusto e del piede, che si conserva nella collezione reale di Wavel a Cracovia.
All’epoca in cui Dieterich Thor Moye, famoso maestro orafo di Amburgo, creò il servito di alzate
con le storie legate al mito di Apollo (1633-1651) questo tipo di suppellettile d’argento si era già
trasformata in oggetto da collezione. Dal momento che sul fondo della coppa delle alzate venivano spesso montate monete, figure smaltate, placchette o cammei appositamente acquistati
o dal maestro orafo o dal proprietario stesso (nel caso specifico eseguite dallo stesso autore),
succedeva a volte che il valore degli elementi decorativi superasse di gran lunga il valore della
loro non meno “preziosa cornice”.
Alla corte di Mosca le alzate erano amate e tenute in grande considerazione, poiché tutti i lieti
eventi della coppia regnante, il fidanzamento, il matrimonio e i festeggiamenti solenni delle nozze,
le nascite e i battesimi degli eredi al trono erano accompagnati dalle cosiddette “tavolate dolci”.
È noto che in occasione della nascita del figlio, il futuro imperatore Pietro il Grande, la zarina
Natal’ja Kirillovna ordinò di imbandire un tavolo dove i vini dolci venivano serviti in coppe a forma
di animali e uccelli mentre i dolciumi, i “rossoly” (rosoli), frutta e bacche cotte nel miele, si offrivano nelle tazze dei vasi che in Russia presero il nome di vasi-rassol’niki. I diplomatici dei paesi
europei, che conoscevano bene questa tradizione della corte moscovita, quando si recavano in
visita dai sovrani russi nel xvii secolo e portavano doni, includevano immancabilmente nei serviti
da tavola queste alzate.
Sul retro della base di entrambe le alzate presenti in mostra è incisa in cirillico un’indicazione del
Tesoro statale che riporta il peso dei manufatti, rispettivamente 2 libbre e 41 zolotniki e 2 libbre e
39 zolotniki1, e anche l’anno: 1688.
A.K.
Bibliografia: Opis Oružejnoj palaty 1884-1893, parte ii, 1885, vol. 2, nn. 1319, 1320; Hüseler 1950, 172, 9;
Scheffler 1965, vol. i, 869; Markova 1975, n. 48 (МZ-406); Smirnowa-Heitmann 1985, vol. i, n. 84, vol. ii, figg. 111113; Smirnowa-Heitmann 1986, p. 120, n. 24 (МZ-407); Markova-Kudrjavceva 2002, p. 18, nn. 36, 37
1
Zolotniki: vecchia unità di peso russa pari a gr 4,26 (NdT).
161
162
163
87. Brocca
Germania, Augusta, 1645
maestro orafo: David i Schwesterműller
argento
sbalzo, cesello, fusione, puntinatura, doratura
h. con la croce cm 62
inclusa nella lista dei doni recati allo zar Aleksej Mihajlovič dagli ambasciatori del re di Polonia
Giovanni ii Casimiro Vasa
Mosca, Palazzo dell’Armeria del Cremlino, inv. n. MZ-506/1-2
164
La grande brocca, interamente dorata all’esterno, è parte di un servito eseguito dal brillante maestro di Augusta David i Schwesterműller. Il corpo centrale del recipiente presenta su entrambi i lati
scene eseguite a sbalzo e cesello, il cui soggetto è La grandezza d’animo di Scipione l’Africano. La
brocca risale ai tempi della fioritura dello stile Knorpel e di questo stile risentono la forma e il decoro
a cesello che fa da sfondo alle scene rappresentate. Grazie alla fantasia del maestro i dettagli del
recipiente incarnano brillantemente i tratti salienti dello stile Knorpel: il beccuccio a forma di doppia
testa di mostri marini poste una sopra l’altra; il manico decorato al centro dal busto di un’arpia alata;
il piedino a forma di due bizzarre maschere che scivolano morbide l’una nell’altra; i mascheroni
fusi applicati al piede della brocca. Il maestro ha affiancato alle scene storiche, incluse nei cartigli
in stile Knorpel, figure fuse di sirene a mezzo busto; nella parte inferiore i loro corpi si trasformano
in grosse palmette. David i Schwesterműller (1628-1678) nacque a Ulma e fu famoso, agli albori
della sua carriera artistica, come abile scultore di bronzi. In seguito, alla fine degli anni venti del xvii
secolo, si trasferì ad Augusta e divenne un celebre maestro doratore. Le sue opere si trovano oggi
nelle più importanti collezioni museali e private del mondo.
La brocca di sua produzione qui esposta è un manufatto unico nella storia della Russia. Nel suo
destino si intrecciano in modi imprevedibili le drammatiche vicende della storia delle relazioni
russo-polacche (1649-1653) e le conseguenze dell’alleanza di due eminenti politici russi: lo zar
Aleksej Mihajlovič e il patriarca Nikon, il riformatore della chiesa russa ortodossa (1652-1666).
Questo mesciroba è l’unico ad essere stato usato durante i riti liturgici della Pasqua. Tutte le peripezie della sua esistenza in Russia e il mutamento di status a cui è andato soggetto trovano eco
nelle scritte in cirillico incise nella parte interna del corpo centrale e del coperchio. Una di queste,
riportata sul bordo del recipiente, recita: il grande zar e gran principe aleksej mihajlovič sovrano di
tutte le russie si è compiaciuto di donare alla casa della santissima vergine e all ’ illustrissimo signore nikon , santissimo patriarca di mosca e di tutte le russie, questo mesciroba con bacile nell’ anno
164 (1655), nel terzo giorno di aprile. Un’altra scritta ci fornisce spiegazioni sulla destinazione
del mesciroba: per la lavanda dei piedi del giovedì di pasqua, cerimonia rimasta uguale sino ai nostri
giorni sia nel rito cattolico che in quello ortodosso. Questo prezioso recipiente è stato usato per
più di due secoli dai patriarchi russi per lavare simbolicamente i piedi dei prelati in occasione del
sacro rito annuale del Giovedì Santo durante la settimana della Passione. È per questo che il
guerriero con l’antica corazza, che l’autore aveva eseguito sull’estremità superiore della brocca,
è stato trasformato in Russia in una croce ortodossa, su cui sono incise le iniziali delle parole: re
della gloria gesù trionfante . Forse a influire sul destino della brocca in Russia non è stata solo
l’abilità dell’esecutore, ma anche il soggetto delle composizioni eseguite a sbalzo e cesello, e
cioè il “magnanimo perdono universale”.
A.K.
Bibliografia: Opis Oružejnoj palaty 1884-1893, parte ii, 1885, vol. 2, n. 1461, tav. 253; Filimonov 1893, n. 229; Martin
1900, n. 7 (erroneamente attribuito al console svedese del 1647); Rosenberg 1922, vol. i, n. 721 m; Seling 1980,
vol. ii, fig. 349, vol. iii, n. 1442с; Seling 2007, n. 1442c; Zarensilber 2008, n. 23
165
88. Mesciroba a forma di leone
Germania, Augusta, 1654
maestro orafo: Johann Caspar Wagner
argento
sbalzo, cesello, fusione, punzonatura, doratura
h. cm 40
incluso nella lista dei doni offerti allo zar Aleksej Mihajlovič dall’ambasciatore del re di Svezia Carlo x nel 1655
Mosca, Palazzo dell’Armeria del Cremlino, inv. n. MZ-587/1-2
166
Quasi tutti gli ambasciatori svedesi, che nel xvii secolo andarono in Russia, recavano tra i doni una
coppa o una brocca a forma di leone. Questo regale animale simboleggiava e ricordava il breve ma
intenso periodo di predominio della Svezia sugli altri paesi europei agli inizi del Seicento. Il re di
Svezia Gustavo ii Adolfo (1611-1632), valente condottiero e abile uomo politico, detto “Il leone del
Nord”, è stato oggetto nell’arte applicata di raffigurazioni alquanto curiose. In molti musei del mondo
è possibile tutt’oggi vedere come l’effigie del monarca compaia in decorazioni da tavolo e suppellettili da mensa. Si prenda, ad esempio, la scultura d’argento che rappresenta il monarca nelle vesti di
cavaliere antico con la corazza, in sella a un cavallo impennato (Museo della Navigazione di Riga;
Museo Nazionale di Stoccolma); oppure il supporto-scultura, abilmente smaltato, a guisa di calice
di vetro (flute) (Museo di Arti applicate del Louvre di Parigi).
Nel Palazzo dell’Armeria di Mosca, dove si conserva una famosa raccolta di doni degli ambasciatori
svedesi di circa 300 pezzi, si trovano attualmente due brocche d’argento a forma di leone rampante, portate dagli ambasciatori nel 1655 e nel 1699. La brocca presente in mostra, a forma di leone
che si erge sulle zampe posteriori, in argento parzialmente dorato all’esterno, è stata eseguita con
effetti straordinariamente naturalistici dal maestro orafo Johann Caspar Wagner (1644-1667). La
cesellatura sul corpo dell’animale simula il manto di pelliccia e i peli sono stati delineati tenendo
conto dell’anatomia dell’animale; sulle zampe sono stati eseguiti a cesello sia la peluria disposta
ad anelli sia ogni singola unghia. La testa del leone è abilmente modellata e funge, benché non lo
sia, da coperchio smontabile del recipiente. La tazza-conchiglia, che il leone regge tra le zampe, è
unita al corpo centrale da un beccuccio e serviva da apertura per far scolare l’acqua dalla brocca.
Una foglia di acanto, non dorata, copre la parte superiore della conchiglia. Sulla foglia è inciso a
caratteri cirillici e il leone dorato di 6 libbre e 42 zolotniki1. La coda del leone, saldata e ripiegata, fa
da manico. Funge da base della figura un piede basso di forma ovale. Nell’estremità superiore del
piede il cesello imita la “terra”, con due tronchi, l’erba e una pietra, a cui si appoggia la zampa destra
del leone rampante, posizione che ci rimanda alla sua tradizionale rappresentazione negli stemmi.
Nella parte inferiore del piede otto conchiglie a forma di ventaglio, eseguite a sbalzo e cesello, si
alternano a maschere in stile Knorpel. Al bordo liscio e ondeggiante del piede sono saldate quattro
conchigliette incorniciate da volute.
A.K.
Bibliografia: Opis Oružejnoj palaty 1884-1893, parte ii, 1885, vol. 2 n. 1924 tav. 308; Kologrivov 1911, p. 140;
Martin 1900, tav. 16; Markova 1975, n. 57; Seling 1980, vol. i, p. 114, vol. ii, fig. 460, vol. iii, n. 1530a; Silverskatter
från Kreml 1997, p. 89, n. 17; Der Kreml 2004, n. 94
1
Si veda nota 1 cat. nn. 85-86 (NdT).
167
89. Boccale con “Il trionfo di Poseidone e Anfitrite”
Germania, Augusta, 1659-1663
maestro orafo: David i Schwestermüller
argento
sbalzo, cesello, fusione, punzonatura, doratura
h. cm 25
trasferito al Palazzo dell’Armeria di Mosca dalla collezione personale dell’imperatore Nicola ii dopo il 1917
Mosca, Palazzo dell’Armeria del Cremlino, inv. n. MZ-1582
168
Nel tesoro degli zar affluì, in epoca antica, un gran numero di opere preziose, sia perché donate
dagli ambasciatori, sia come regali fatti al sovrano o alla sovrana da alti funzionari, sia perché appositamente acquistate da emissari dello zar. Ma per molti preziosi manufatti questo non era che l’inizio del percorso in Russia. Una consuetudine della corte russa, rigorosamente rispettata nel corso
dei secoli, era quella di ricambiare i regali ricevuti attenendosi ad un sistema ben regolamentato. Il
dono con cui lo zar contraccambiava superava di tre, talvolta di quattro volte il valore di quello che
era stato a lui offerto. I diplomatici e i cortigiani, conoscendo bene questa tradizione e anche consapevoli del gusto estremamente raffinato dei monarchi russi, proprietari di uno dei tesori più cospicui
al mondo, cercavano di recare in dono agli zar manufatti dei maggiori artisti europei, opere di superba fattura che rispecchiassero le ultime tendenze del gusto. In seguito questi oggetti potevano a
loro volta essere donati dal sovrano a un diplomatico o ai sudditi, come attesta la scritta incisa sul
bordo del boccale in mostra: il 25 luglio 1676 il signore e gran principe fëdor alekseevič (1676-1682)
ha donato [un boccale] al boiardo, maggiordomo e sovrintendente dell’armeria di corte bogdan matveevič
hitrovo (1615-1680). Bogdan Hitrovo era un eminente politico russo, costruttore delle città-fortezza
sul Volga, condottiero, ministro della guerra nonchè diplomatico; dal 1654 fino alla morte fu a capo
del dicastero dell’Armeria. Erano di sua competenza non solo la produzione degli armamenti imperiali, ma anche i tesori di Stato conservati presso l’armeria e i laboratori dell’oro e dell’argento.
L’attività di Hitrovo, un degli uomini più ricchi nonché uno dei primi collezionisti della Russia, dette
un forte contributo alla trasformazione del laboratorio dell’armeria del Cremlino.
A questo venerando ed influente cortigiano il giovane zar Fëdor Alekseevič donò, nell’anno della
sua ascesa al trono, questo meraviglioso boccale, eseguito dal maestro orafo di Augusta David i
Schwestermüller, di cui abbiamo un’altra opera in mostra. Sul corpo cilindrico del boccale è stato
applicato un manicotto decorato con “Il trionfo di Poseidone e Anfitrite” eseguita a cesello. Negli
anni sessanta del xvii secolo questo tema mitologico era uno dei soggetti più frequenti nei manufatti
del celebre artista orafo. Le sue figure eseguite a cesello, divinità marine e creature immaginarie,
Poseidone e Tritone, nereidi, sirene, ippocampi, e anche gli abitanti del mare realmente esistenti
rimandano a certi modi propri dell’incisione italiana. La base ed il coperchio del boccale sono decorati da un ornamento floreale cesellato, motivo tipico dell’autore.
Nel 1892 il boccale si trovava nella collezione del principe L.F. Golicyn. Dal 1917 è menzionato tra
gli oggetti che facevano parte dei beni personali dell’imperatore Nicola ii e che passarono al Palazzo dell’Armeria. Così, dopo essere stato nelle collezioni di personaggi famosi della storia russa, il
boccale è nuovamente tornato a far parte dei tesori del Cremlino.
A.K.
Bibliografia: Opis Oružejnoj palaty, 1884-1893, parte ii, 1885, vol. 1, n. 817, tav. 282; Seling 1980, vol.
1442n
iii,
n.
169
90. Bacile
170
Germania, Augusta, 1665-1670
maestro orafo: Abraham ii Warnberger
argento
sbalzo, cesello, doratura, fusione
cm 74,5 x 63
pervenuto al Palazzo dell’Armeria di Mosca dal monastero di Bogojavlenskij (di Čudov) il 9 settembre
1918
Mosca, Palazzo dell’Armeria del Cremlino, inv. n. MZ-364
Piatto ovale, parzialmente dorato, che presenta sul fondo la scena con “Minerva visita le Muse”,
eseguita a sbalzo e cesello. In primo piano sono raffigurati due gruppi di donne musicanti e, sul
fondo, Minerva che si avvicina a loro. Fa da sfondo alla scena il monte Gelikon. La tesa presenta
una decorazione non attinente al soggetto principale: è interamente cesellata con grandi fiori e
foglie secondo i dettami dello stile fiorito in gran voga negli anni sessanta del xvii secolo. Tra i sei
fiori dal rilievo più o meno pronunciato, e con una straordinaria ricchezza di dettagli, non ce n’è
uno uguale all’altro. Con un ritmo calmo e solenne i fiori si alternano con sei medaglioni in cui sono
ritratti di profilo gli imperatori romani Aureliano, Graziano, Tito Vespasiano, Marco Aurelio, Probo,
Tiberio Claudio.
Sul retro del piatto è incisa una scritta: il grande bacile d’argento è stato donato dall’oberkamerger
aleksandr mihajlovič golicyn al monastero stavropigiale bogojavlenskij di mosca per essere posto a servizio di sua eminenza giugno 1789.
I medaglioni con i ritratti di profilo erano il tipo di decorazione più in voga all’epoca, in Europa, sui
manufatti artistici in argento, ed era quella che gli argentieri di Augusta preferivano e a cui ricorrevano spesso. Se nell’esecuzione dei ritratti si cercò inizialmente di mantenere una somiglianza
realistica con il personaggio raffigurato, col tempo si giunse alla cancellazione completa dei tratti
individuali. Questi medaglioni, inizialmente cesellati e poi saldati, si incontrano per molto tempo nei
manufatti in argento di Augusta.
L.Š.
Bibliografia: Rosenberg 1922, n. 641a; Markova 1975, n. 67; Seling 1980, vol. 3, n. 1659b; Seling 2007, n. 1659g;
Zarensilber 2008, n. 38
171
91-92. Caffettano e giustacuore dell’imperatore Pietro ii
172
Francia, 1727-1730
173
panno, seta, filo d’argento, filo metallico
tessitura, cucitura
lungh. del caffettano cm 99; lungh. del giustacuore cm 89
Mosca, Palazzo dell’Armeria del Cremlino, inv. n. TK-1879, 1880
Il completo da cerimonia, caffettano e giustacuore di panno verde scuro foderato di taffettà verde
chiara con un disegno “a nei”, destinato evidentemente alla stagione fredda, è decorato da numerosi bottoni ornamentali di filo d’argento intrecciato e da un ricamo pure d’argento. Il disegno
del ricamo è costituito da arabeschi di nastri ondulati che si intrecciano con ramoscelli a un unico
grande fiore e boccioli. Di questo completo da cerimonia si sono conservati i pantaloni al ginocchio,
di panno verde, con un ricamo analogo e fili di fettuccia d’argento con fibbie di rame per allacciarli.
Il caffettano, tagliato intero, a un solo petto e lungo fino alle ginocchia aderiva alla parte superiore
del tronco mentre dalla vita in giù si allargava alquanto. In omaggio ai dettami della moda, i lembi
staccati anteriori e posteriori del caffettano sono replicati incollandoli sulla tela e tagliati con l’aggiunta di falde laterali, raccolte a gruppi di pieghe, che si aprono a raggio verso il basso, a guisa di
ventaglio. Le maniche accorciate a forma di falce terminano con grandi risvolti. Sui lembi anteriori
del caffettano e del giustacuore ci sono le tasche con patte sagomate.
Il caffettano e il giustacuore appartenevano all’imperatore Pietro ii. Dopo la morte improvvisa del
giovane monarca, avvenuta il 19 gennaio 1730, tutto il suo guardaroba venne conservato nei depositi del dicastero di corte del Cremlino. Nel 1766, per “ordine orale” dell’imperatrice Caterina ii, il
guardaroba del defunto imperatore fu inviato alla Direzione delle Botteghe e dell’Armeria del Cremlino, ad esclusione degli oggetti logori, per esservi conservato. Pervennero al museo, in cassoni e
bauli di noce, rivestiti di pelle di foca e ferro, ventiquattro caffettani da parata, ventuno giustacuori,
dieci paia di calzoni, ed anche divise da guardia e da caccia, soprabiti, vestaglie da casa, corpetti
ovattati, corti caffettani con bottoni, biancheria, venticinque paia di calze, nove cappelli e ventidue
paia di guanti.
S.A.
Bibliografia: Magnificence of the tsar 2008, pp. 58-59
174
175
93. Spada da parata
Russia (?), quarto decennio del
xviii
secolo
acciaio, argento, oro, diamanti
forgiatura, fusione, incisione, doratura
lungh. cm 89; lungh. della lama cm 73,5
Mosca, Palazzo dell’Armeria del Cremlino, inv. n. OR-377
Nel xvii secolo le spade da parata erano un accessorio indispensabile dell’abito del cortigiano. Se le lame sottili ed elastiche delle
eleganti spade rispondevano ai requisiti necessari per un’arma da
offesa, al tempo stesso la bellezza e la mirabile esecuzione delle
else hanno fatto di questa arma una delle creazioni più belle del
xviii secolo.
La spada presente in mostra, impreziosita di diamanti, è un autentico capolavoro dei maestri armaioli russi, forse è appartenuta all’imperatrice Elisabetta Petrovna.
La lama della spada è d’acciaio, a doppio profilo di taglio a sezione
esagona. Sulla lama sono rimaste tracce della scritta anthonio pichinio. È poco probabile che la lama sia stata effettivamente eseguita
dal grande armaiolo italiano Antonio Piccinino, celebre agli inizi del
xvii secolo. Dal momento che le lame di sua fabbricazione godevano
di grande notorietà, non era raro che anche sulle armi del xviii secolo
fosse riportato il nome di questo famoso fabbricatore di armi.
L’elsa d’oro della spada è tempestata di file di preziosi diamanti incastonati in argento.
E.JA.
Bibliografia: Opis Oružejnoj palaty 1883-1894, parte iv, vol. 3, n. 5815
94. Spada da parata
Russia, Sestroreck (lama), 1752; Petergof (elsa), 1753
mastri armaioli: Pomorcev Ivan (lama); Bottom Josif (elsa)
acciaio, argento, agata
forgiatura, mordenzatura, incisione, doratura, fusione
lungh. cm 89; lungh. della lama cm 75,1
marchio: S.B. anno 1752
Mosca, Palazzo dell’Armeria del Cremlino, inv. n. OR-3999/1
176
Questa spada è un raro esemplare di arma russa da parata della
metà del xviii secolo. La lama della spada è stata prodotta nella fabbrica di armi di Sestroreck, dove Pietro il Grande spostò nel 1721 la
produzione delle fabbriche di Oloneck e trasferì i maestri armaioli.
Alle origini della fabbricazione di spade a Sestroreck troviamo gli
artigiani che Pietro il Grande fece venire dalla Prussia, e da questi
ha inizio l’uso, prima sconosciuto nella fabbricazione delle armi in
Russia, di imprimere sulle lame un marchio con la sigla S.B., l’abbreviazione del nome svedese di Sestroreck, Suster Beek.
Nel 1752 il dicastero di corte dell’imperatrice Elisabetta Petrovna
commissionò una partita di lame dorate consistente in quattro esemplari per spade e quattro per daghe insieme alle parti affilate per
coltellini e forchette. Tutte queste lame furono spedite alla fabbrica di
rettifica di Petergof, nei pressi di Pietroburgo e consegnate al direttore della fabbrica, il mastro molatore Iosif Bottom, per fabbricare le
else. L’impugnatura in agata e la guardia d’argento dell’elsa sono in
stile rococò con decorazioni a fasce intarsiate in “marcassite” sfaccettata, una pirite con lucenti riflessi metallici. Sulla lama è presente
la scritta damascata in oro: per dio e la patria/ viva la grande elisabetta.
Evidentemente quest’arma era destinata a far parte dei doni di
valore che l’imperatrice Elisabetta Petrovna elargiva a importanti
funzionari di Stato, a cortigiani, agli alti gradi dell’esercito e altri
personaggi importanti che si erano distinti per meriti particolari.
Alla fine del xviii secolo nel dicastero di corte c’erano ancora tre
spade e una daga che figurano nelle collezioni del Palazzo dell’Armeria. Un’altra daga di questa partita si trova presso l’Armeria
Reale di Torino (inv. n. H 26).
V.N.
Bibliografia: Opis Oružejnoj palaty 1883-1894, parte
L’Armeria Reale 1982, cat. nn. 170-170a, inv. n. H 26
iv,
vol. 3, p. 133, n. 5807;
177
95. Daga da caccia
Francia o Olanda, ultimo quarto del
xvii
secolo
acciaio, argento, lega di rame, tessuto
forgiatura, incisione, doratura, fusione, intagli, puntinatura, mordenzatura
lungh. cm 79,8; lungh. della lama cm 66,4
Mosca, Palazzo dell’Armeria del Cremlino, inv. n. OR-3958
178
Le daghe da parata, corte e leggere, erano spesso usate dagli aristocratici di corte al posto delle spade, più scomode da portarsi con
l’abito di gala.
In questa daga sono evidenti i tratti tipici dei manufatti di questo tipo
dell’epoca di Luigi xiv. L’abilità con cui è stata eseguita l’ornamentazione rivela che non siamo in presenza di una imitazione, bensì di
una soluzione artistica originale. Sul forte della lama in prossimità
dell’impugnatura è inciso su entrambi i lati un cartiglio con la seguente scritta in francese: dieu mon esperance l’epee pour ma defence
(“Dio è la mia speranza, la spada è per la mia difesa”). L’elsa dorata
si sviluppa in una guardia e in un’impugnatura a sezione ottagonale.
Sulla guardia, strutturata a valva di conchiglia, è presente un’applicazione d’argento intagliato e traforato, al centro della quale è raffigurata in rilievo dorato, semisdraiata, la dea Diana, con il corno da
caccia in mano e il cane ai suoi piedi. La qualità dell’esecuzione e la
purezza dello stile rococò in tutti i dettagli della decorazione fanno
pensare alla mano di un maestro francese o olandese.
Le estremità della crociera hanno la forma di piccole teste di drago piegate. Lo stile adottato risale alla soluzione decorativa delle
else delle sciabole corte di Ceylon, le “kastane”. Nel xvii-xviii secolo
Ceylon era una colonia olandese e attraverso l’Olanda questa arma
rara, in auge presso la nobiltà, si diffuse in tutta l’Europa, eseguita
nella maniera tipica locale.
Questa daga viene menzionata per la prima volta nel 1733 nel registro delle armi conservate nel Palazzo Preobraženskij, nei pressi di
Mosca, che inizialmente fu la residenza preferita dello zar Pietro il
Grande. Forse fu proprio lui ad acquistare la daga durante uno di suoi
viaggi in Europa.
V.N.
Bibliografia: Opis Oružejnoj palaty 1883-1894, parte iv, vol. 3, pp. 293-294, n. 6226
179
180
96. Daga da caccia con fodero
Europa occidentale,
xviii
181
secolo
oro, acciaio, pelle
forgiatura, fusione, cesello, incisione, mordenzatura, doratura
lungh. cm 70; lungh. della lama cm 55; lungh. del fodero cm 57
Mosca, Palazzo dell’Armeria del Cremlino, inv. n. OR-381/1-2
La lama della daga è d’acciaio, a un solo filo, con una curvatura appena visibile. La parte superiore
è dorata e presenta un motivo ornamentale e scene di caccia incise. Sul lato non affilato della lama
è incisa una scritta in latino: deligite justitiam qui judicatis ferrum damasco, che tradotta significa:
“Chi apprezza il ferro Damasco scelga la giustizia”. Tutta la superficie della lama è decorata da un
motivo che imita la fattura dell’acciaio damascato, eseguito con la tecnica della mordenzatura o
acquaforte. Sulla lama è riportato il punzone con la figura del “gambero” entro un ovale del maestro
armaiolo Clemens Meigen. Si sa che lavorò nella città tedesca di Solingen negli anni 1600-1630. È
probabile che per fare questa daga sia stata usata una lama del xvii secolo.
L’elsa della daga, vale a dire l’impugnatura e la guardia, sono realizzate in fusione in oro, completamente decorate con un motivo stilizzato di volute in stile rocaille, steli, mascheroni e colonnati.
Sulla guardia figurata, strutturata a valva di conchiglia, tipicamente rivolta verso il basso, appare
una scena di caccia in rilievo con “cani che inseguono un cervo”. Da una parte questa scena indica
chiaramente quale era la destinazione principale della daga, e cioè l’essere un accessorio indispensabile dell’equipaggiamento per la caccia al cervo fatta con i cani, un tipo di caccia che per alcuni
secoli costituì lo svago di tutte le corti europee. D’altra parte questa stessa scena può essere letta
come ispirata al mito di Diana e Atteone, soggetto assai diffuso nel xvii-xviii secolo, nell’ornamentazione di accessori e di armi per la caccia.
Il fodero è costituito da una guaina di legno rivestita di pelle marrone; il puntale d’oro e la testa del
fodero sono decorati nello stesso stile dell’elsa della daga.
E.JA.
Bibliografia: Opis Oružejnoj palaty 1883-1894, parte
2004, n. 33, pp. 86-87
iv,
vol. 3, pp. 293-294, n. 6244; Imperatorskaja Rüst-Kamera
97. Fucile da caccia
Parigi, 1720-1743
maestro armaiolo: Adrien Réynier ii detto “Le Hollandois”
argento, diamanti, ferro, acciaio, legno
incisione, fusione, cesello, damascatura in oro, brunitura, doratura
lungh. cm 144,2; lungh. della canna cm 103,5; calibro mm 16
appartenuto all’imperatrice Elisabetta Petrovna
Mosca, Palazzo dell’Armeria del Cremlino, inv. n. OR-406
Questo fucile da caccia apparteneva all’imperatrice Elisabetta Petrovna.
Fu fabbricato da un famoso maestro armaiolo parigino, Adrian Réynier ii. Nel 1723 Rénier fu insignito del titolo di armaiolo del re e nel 1724 gli fu concesso il diritto di avere degli appartamenti nella
Galleria del Louvre. Figlio di un noto armaiolo, anche lui, come il padre, firmava i propri lavori “Le
Hollandois”, intendendo così mettere in risalto la propria origine.
Il fucile è dotato di acciarino a selce di tipo francese. Sulla culatta è incisa la scritta: le hollandois a
paris aux gallerie. I riporti in argento sono incisi con motivi e figure di trofei di caccia. Sul lato superiore
della piastra del calcio sono presenti applicazioni, cosparse di diamanti rutilanti, su cui è raffigurata
l’aquila a due teste, sormontata dalla corona, che regge con le zampe il globo e lo scettro.
E.JA.
Bibliografia: Opis Oružejnoj palaty 1883-1894, parte v, vol. 4, n. 7471; Imperatorskaja Rüst-Kamera, pp. 196-199
182
98-99. Coppia di pistole con acciarino a selce
100. Fucile da caccia con acciarino a selce
Parigi, 1735-1739
183
Tula, 1672
maestro armaiolo: Jean Baptiste La Roche
acciaio, ferro, legno, corno
forgiatura, incisione, doratura, brunitura, puntinatura, intarsio
lungh. cm 50,1; lungh. della canna cm 32,7; calibro mm 15,5
Mosca, Palazzo dell’Armeria del Cremlino, inv. nn. OR-2326, 2327
ferro, acciaio, argento, legno
forgiatura, incisione, doratura, puntinatura, intarsio
lungh. cm 150,2; lungh. della canna cm 109; calibro mm 15,8
Mosca, Palazzo dell’Armeria del Cremlino, inv. n. 5010
Queste pistole sono appartenute al padre dell’imperatore russo Pietro iii, il duca Carlo Federico di
Holstein-Gottorp, come risulta dallo stemma di famiglia inciso negli scudi araldici delle impugnature
delle pistole. Intorno allo stemma è inciso il motto dell’ordine di Sant’Anna amantibus justitiam pietatem
fidem (“A coloro che amano la giustizia, la devozione, la fedeltà”). Questo ordine fu creato in memoria
della consorte del duca, la principessa russa Anna Petrovna (figlia maggiore di Pietro il Grande);
morta nel 1728 dopo la nascita del figlio Karl Petr Ulrich, il futuro imperatore russo Pietro iii.
La coppia di pistole in mostra è uno delle creazioni più belle di Jean Baptiste La Roche, armaiolo del
re di Francia Luigi xv. Nel 1743 La Roche ricevette il prestigioso privilegio di vivere e lavorare negli
appartamenti del Louvre. Di armi che recano la sua firma ne sono rimaste poche.
Le canne, gli acciarini e i dettagli delle pistole sono decorati con splendide composizioni incise e dorate su fondo scuro brunito. Nella parte standard della canna di una delle pistole (inv. n. OR-2326)
è raffigurato il re del mare Nettuno che regge il tridente. La sua carrozza a forma di conchiglia è
condotta da ippocampi, cavalli marini fantastici, formati da protome equina, con il corpo che prosegue posteriormente a forma di pesce.
Sulla canna dell’altra pistola (inv. n. OR-2327) è incisa la figura di Anfitrite, la consorte di Nettuno,
in piedi sul carro. Nei nastri sopra l’incisione è riportata la scritta: laroch a paris.
Le pistole sono dotate di un acciarino a selce di tipo francese, su cui è presente la stessa scritta
della canna. Le impugnature sono di mogano con intarsi di filo d’oro.
Questo fucile da caccia testimonia l’altissima qualità della produzione dei maestri armaioli di Tula,
uno dei centri più antichi in Russia per la fabbricazione di armi. La superficie dorata e puntinata della
canna, dell’acciarino e dei riporti in metallo è decorata con figure incise di un cavaliere armato, trofei
di battaglie, uccelli, mascheroni e conchiglie entro volute vegetali. Sulla canna decorata è incisa la
scritta tula 1762, l’anno dell’ascesa al trono dell’imperatrice Caterina ii. Sulla culatta sono raffigurati
putti con un cane al guinzaglio e Artemide su un carro trainato da cani. L’impugnatura in legno di noce
è intarsiata con filo d’argento e placchette, intagliate e incise, con scene di caccia e di battaglie. Sul
lato destro del calcio spicca la figura di Artemide con l’arco teso.
Negli anni 1740-1760 i maestri armaioli di Tula si rifecero molto, nella scelta delle soluzioni decorative, ai modelli presentati nei testi francesi che trattavano la decorazione di armi da fuoco. Il testo più
famoso si chiamava “Modelli per maestri armaioli” di Nicolas Gérard, pubblicato nel 1719. Proprio
da qui sono stati tratti i disegni usati per ornare il calcio del nostro fucile.
Si suppone che il fucile abbia avuto un’altissima committenza e sia stato fabbricato in un laboratorio privato di Tula. Nel Palazzo dell’Armeria sono conservati alcuni fucili e pistole fabbricati a Tula,
simili al nostro per il design e la ricchezza delle rifiniture che recano il monogramma dell’imperatrice
Elisabetta Petrovna (1741-1761).
Prima di pervenire al Palazzo dell’Armeria di Mosca il fucile si trovava nella collezione di armi appartenute agli imperatori e alle imperatrici del xviii secolo presso la Rüstkammer di San Pietroburgo.
E.JA.
A.Č.
Bibliografia: Opis Oružejnoj palaty 1883-1894, parte v, vol. 4, n. 8048; Imperatorskaja Rüst-Kamera, n. 77, pp.
178-183
Bibliografia: Opis Oružejnoj palaty 1884-1893, parte v, 1886, vol. 4, n. 7197; Guérard 1719; Keeble K. Corey 2001,
p. 118; Treasures from the Tower of London 1982, p. 86
101. Sciabola con fodero
San Pietroburgo, intorno al
xviii
secolo; lama: Turchia, intorno al
xviii
secolo
maestro armaiolo: Hadzhi Sanfar (lama)
oro, argento, acciaio Damasco, pelle, corniola
forgiatura, damascatura, doratura, fusione, cesello, intaglio in pietra
lungh. cm 100,5; lungh. della lama cm 83,5; lungh. del fodero cm 85,5
Mosca, Palazzo dell’Armeria del Cremlino, inv. n. OR-4458/1-2
184
La decorazione dell’elsa della sciabola è improntata al classicismo ed è carica di significati. L’impugnatura fusa in oro presenta due figure maschili incatenate entro trofei di guerra. Sopra i prigionieri in catene c’è una figura femminile, intagliata in corniola, a mezzo busto con fascia e piume
sulla testa. Al centro dell’impugnatura sono presenti gemme antiche con il profilo dell’imperatore
Augusto sul lato esterno e di Alessandro il Macedone sul rovescio. Le estremità della crociera
hanno la forma di fasci littori a cui sono avvinghiati dei serpenti. Al centro della crociera, sul lato
esterno, è incastonata una gemma ovale con una figura femminile dolente, sullo sfondo di scudi
da guerra, che simboleggia il compianto dei soldati morti; sulla gemma ovale nel lato interno della
crociera è raffigurata Nike, la dea della vittoria, con il ramo di palma e la corona di lauro in mano,
a simboleggiare il trionfo in guerra.
Questa sciabola è un esempio straordinario della fabbricazione di armi e di arte applicata russa
della seconda metà del xviii secolo. La leggenda narra che essa sia stata regalata dall’imperatrice
Caterina ii all’amato nipote, il gran principe Aleksandr Pavlovič (il futuro imperatore Alessandro i).
La sciabola, che con tutta probabilità fu fabbricata verso la fine degli anni ottanta del Settecento,
contiene nella decorazione un messaggio programmatico. È noto che Caterina ii vedeva nel nipote
Alessandro, e non nel figlio Paolo, il proprio erede al trono. La decorazione dell’impugnatura rappresenta le vittorie militari riportate sui turchi durante il regno della sovrana. I fasci, simboli del potere, e
i serpenti, simboli di saggezza, insieme stanno a indicare il buon governo dell’imperatrice. Le figure
dell’imperatore Augusto e di Alessandro il Macedone alludono al nipote di Caterina, Alessandro,
che viene paragonato agli eroi dell’antichità per le virtù di governo e militari e al tempo stesso viene
indicato come erede diretto della gloria della nonna. Anche nella decorazione del fodero si riprende
il tema del trionfo militare e del buon governo: sulle gemme del lato esterno sono raffigurati condottieri antichi e su quelle interne imperatori romani. È possibile che tutte queste gemme provengano
dalla famosa collezione di Caterina ii, conservata all’Ermitage.
La lama turca della sciabola è damascata d’oro. Lame di questo tipo, forgiate a Istanbul, sono
tipiche della fine del xvii-inizi xviii secolo. Le scritte in greco e latino, nonché i simboli ortodossi
damascati in oro, attestano che queste lame erano destinate alle popolazioni cristiane dell’impero
Ottomano e all’esportazione.
V.N.
Bibliografia: Opis Oružejnoj palaty 1884-1893, parte iv, vol. 3, pp. 177-178, n. 5918
185
186
187
102. Calice
Russia, Mosca o Pietroburgo, 1739
oro
cesello, fusione, pittura a smalto, incisione
h. cm 29,4
donato dall’imperatrice Anna Ioannovna al monastero Hutynskij, nei pressi di Novgorod, nel 1739
Mosca, Palazzo dell’Armeria del Cremlino, inv. n. MP-858
Le miniature smaltate con le immagini dei santi e l’illustrazione di soggetti biblici ed evangelici
ebbero gran fortuna nel corso di tutto il xviii secolo. I colori luminosi e la superficie brillante delle
miniature conferivano al manufatto una particolare eleganza, lo rendevano ben visibile da lontano
all’interno del tempio e attiravano l’attenzione. Sulla coppa del calice spiccano medaglioni smaltati
con la Crocifissione, la Vergine, Giovanni Battista, e l’immagine di Varlaam Hutynskij, il taumaturgo
di Novgorod, mentre i medaglioni sul piede rappresentano la Passione di Cristo. Il disegno delle
figure è netto e preciso e l’azzurro carico dello sfondo attira l’attenzione da lontano. Questo pezzo
è straordinariamente raffinato. La decorazione a cesello in stile Régence, particolarmente in voga
in Russia negli anni trenta del Settecento, è a basso rilievo, per questo non è appariscente. Serve
solo a fare da sfondo agli smalti. Tuttavia, dopo un’attenta osservazione, ci si rende conto dell’alta
qualità del lavoro, eseguito da un maestro artigiano molto abile, attivo a Mosca o a San Pietroburgo.
Non sappiamo esattamente da chi sia stato creato questo bellissimo oggetto poiché non reca alcun
punzone. La presenza dell’immagine del fondatore del monastero, al quale fu fatta la donazione, attesta che si tratta di un oggetto appositamente commissionato dalla corte imperiale. Probabilmente
l’orafo ottenne la necessaria quantità di oro dal dicastero di corte, mentre le miniature con le misure
necessarie furono commissionate all’artigiano smaltatore.
I.K.
Bibliografia: Kostina 2004a, p. 256; Kostina 2004b, p. 134; Kostina 2006, pp. 132-133
103. Reliquiario
188
Russia, Mosca, 1753
189
argento, metallo
sbalzo cesello, fusione, intaglio, doratura
cm 65,5 x 32,5 x 24,1
dono di E.M. Saltykova al monastero di Bogojavlenskij di Kostroma
Mosca, Palazzo dell’Armeria del Cremlino, inv. n. MR-690/1-2
Nel xviii secolo i reliquiari della chiesa ortodossa di regola venivano realizzati a forma di tempio
stilizzato decorato secondo lo stile dell’epoca. Non era raro che venissero aggiunte figure di angeli
ed Evangelisti. Al centro dei reliquiari di solito si trovava uno scrigno a forma di sepolcro, dove si
conservava il Corpo e il Sangue di Cristo.
Il reliquiario presente in mostra, grande e decorato con sfarzo, è un esemplare assai raro, poiché
ben poche chiese potevano permettersi di commissionare una suppellettile così costosa. Per realizzarlo si procedette alla fusione di antichi manufatti d’argento del monastero femminile di Bogojavlenskij di Kostroma. I lavori per l’opera furono pagati dalla vedova Caterina Saltykovaja che
volle così onorare la memoria del coniuge, come attesta la scritta riportata sul cassettino del reliquiario, in basso. Nella parte superiore, in quatto cartigli, sono raffigurate a sbalzo e a cesello le
scene del Compianto sul Cristo morto, l’Apparizione degli angeli alle tre Marie, L’apostolo Pietro
davanti al sepolcro di Cristo risorto, l’Apparizione di Cristo a Maria Maddalena. Sul corpo del reliquiario dominano i quattro Evangelisti e sulla base i loro simboli.
Purtroppo sul reliquiario manca sia il punzone che indica la città sia quello con il nome del maestro
orafo. Si può solo supporre che l’opera sia stata realizzata da un argentiere moscovita e non da
un artista locale, cioè di Kostroma. Una tale ipotesi trova riscontro nella fattura di altissima qualità
e nella presenza di elementi barocchi e del rococò, una combinazione tipica dell’arte moscovita
del tempo. La struttura decorativa che si articola su più piani, l’espressività delle figure realizzate
in fusione e delle immagini a cesello, l’impiego di tecniche diversificate permettono di considerare
questo reliquiario un esempio eccellente di manufatto d’argento del xviii secolo.
I.K.
Bibliografia: Der Kreml 2004
190
191
104. Croce pettorale
Russia, seconda metà del
xviii
secolo
argento, oro, smeraldi, diamanti
cm 13,7 x 6; lungh. della catenella cm 100
Mosca, Palazzo dell’Armeria del Cremlino, inv. n. MR-926/1-2
Con il concilio del 1675 fu stabilito che le croci da petto dovessero essere indossate solo dai patriarchi e dai metropoliti, cioè dai ministri del culto di terzo rango, il più alto nella gerarchia ecclesiastica.
Tuttavia nella seconda metà del xviii secolo furono insigniti di queste croci anche gli archimandriti,
i superiori dei monasteri più importanti (sacerdoti di secondo rango). Ciò fu dettato dalla necessità
di distinguerli da quei sacerdoti che conducevano vita monacale, poiché a quel tempo le vesti degli
uni e degli altri erano pressoché identiche.
La croce d’argento con l’apice a forma di corona è decorata da splendidi smeraldi, uno dei quali
raggiunge i 14 carati, e da diamanti in castoni a forma di boccioli e foglie, che creano un motivo
complesso e fantasioso. La croce era conservata a Mosca nella sacrestia del monastero di Čudov,
che nella seconda metà del xviii secolo era cattedra vescovile dei metropoliti moscoviti, e molto
probabilmente apparteneva ad un arcivescovo. Sul retro della croce è fissato sullo spinotto un piccolo scrigno-reliquiario tripartito, anch’esso d’argento dorato, con coperchio e cerniera su cui sono
raffigurati un cuore, la corona di spine e tre chiodi.
I.K.
Bibliografia: Herança 2005, n. 109, pp. 214-215; Russkoe zoloto 1987, pp. 94, 114, 115; Kostina 2004c, n. 12, p. 633
192
193
105. Croce d’altare
Russia, Mosca (?) 1766
argento, perle, almandino, vetro
niello, pittura a smalto, puntinatura, incisione, doratura
cm 39,7 x 24,2
Mosca, Palazzo dell’Armeria del Cremlino, inv. n. MR-8545
La croce da mensa d’altare è in stile rococò, realizzata con l’impiego di tecniche diffuse nell’arte
russa del xviii secolo, come il niello e la pittura a smalto, ed è decorata con perle, che in Russia sono
sempre state molto diffuse.
Sul lato frontale della croce è presente una Crocifissione smaltata e placchette che raffigurano Sabaoth, la Madre di Dio, Giovanni, la testa di Adamo e gli strumenti della Passione, eseguiti a niello,
entro un motivo decorativo di rocaille, anch’esso niellato.
Questi soggetti sono tipici per le croci d’altare. Invece la scelta dei santi raffigurati sul verso, non
meno elegante, della croce è stata dettata, evidentemente, dallo sconosciuto che ha commissionato
la croce e poi l’ha donata a una chiesa di Mosca. Sullo sfondo dorato, tra motivi vegetali e a rocaille
niellati, sono presenti cinque composizioni eseguite a niello: la Trinità del Vecchio Testamento, Alessio, l’uomo di Dio, Nicola Taumaturgo, i santi martiri Quirico e Giuditta. Al centro della croce, sono
raffigurati i santi Pietro e Paolo che recano un tempio. La croce è stata donata alla chiesa dedicata a
questi apostoli, come attesta la scritta riportata di fianco: questa croce è stata eseguita per la chiesa dei
santi pietro e paolo, sulla via di kaluga, 1766, dal peso di 2 libbre e 69 zolotnìk1.
L.Š.
Bibliografia: Kostina 2003 n. 17, pp. 277-278
1
Si veda nota 1 cat. nn. 85-86 (NdT).
194
195
106. Panagìa
Russia, metà del
xviii
secolo
oro, argento, diamanti, rubini, zaffiri, smeraldi, almandino, vetri
fusione, pittura a smalto, doratura
cm 17,5 x 10,3
Mosca, Palazzo dell’Armeria del Cremlino, inv. n. MR-857
Nel xviii secolo la panagìa era per lo più un prezioso gioiello, con l’apice a forma di corona, al centro della quale era collocata un’immagine sacra dipinta a smalto, per esempio una Madonna, una
Trinità, una Crocifissione, una Resurrezione.
Nel xviii secolo i sovrani donavano spesso panagìe ai ministri del culto e in questi casi sul verso
potevano esserci, anch’essi dipinti a smalto, i ritratti dell’imperatore o dell’imperatrice.
Al centro della panagìa si trova una placchetta smaltata con la Resurrezione di Cristo. Le pietre
preziose che la contornano, e che con i loro colori si integrano con lo smalto, formano un motivo
decorativo vegetale in stile rocaille, in cui sono inserite le lettere I X P. Il monogramma di Cristo, che
si ripete per quattro volte, forma una croce.
L.Š.
196
197
107. Vassoio
Russia, Mosca, 1762
maestro orafo: Aleksej Vasil’ev Polozov
argento
sbalzo, cesello, doratura
cm 48,0 x 60
offerto in dono a Caterina ii nel giorno della sua incoronazione
Mosca, Palazzo dell’Armeria del Cremlino, inv. n. MR-8524
Il grande piatto con il monogramma di Caterina ii sotto la corona imperiale fu realizzato nel 1762 in
occasione dell’incoronazione dell’imperatrice. Questa importante commissione fu eseguita da uno
dei migliori argentieri moscoviti del tempo, Aleksej Polozov.
L’ornamento cesellato di straordinaria bellezza, in stile rococò, della tesa del vassoio è di notevoli
dimensioni, abilmente assemblato, riccamente e minuziosamente lavorato. Altre opere di questo
maestro argentiere si trovano, oltre che nei musei del Cremlino di Mosca, anche nelle raccolte di
musei importanti e in collezioni private. I piatti in argento venivano offerti ai regnanti non solo per
l’incoronazione, ma anche nelle occasioni più diverse. Venivano poi sistemati alle pareti del palazzo
d’Inverno, in genere non con l’attenzione a un accurato fissaggio, ma semplicemente attaccati con
chiodi; per questo motivo i piatti sopravvissuti hanno vistose rotture e mancano di alcune parti nel
tratto superiore della tesa.
I.K.
Bibliografia: Kostina 2006, p. 70, p. 118; Herança 2005, n. 111, pp. 218-219
198
199
108. Vassoio
Russia, Mosca, 1780
maestro orafo: Alexej Ivanov Ratkov
argento
sbalzo, cesello, niello, incisione, doratura
cm 50,5 x 65
offerto in dono a Caterina ii da una delegazione di cittadini di Smolensk nel 1780
Mosca, Palazzo dell’Armeria del Cremlino, inv. n. MR-4918
Il piatto fu offerto in dono all’imperatrice Caterina ii a nome dei cittadini di Smolensk. Lo stemma
di questa città – un cannone sui cui è seduto un uccello – è raffigurato in un ovale sul petto dell’aquila a due teste. Intorno allo stemma russo si trova la dedica in versi che glorifica l’imperatrice,
la sua saggezza e la sua generosità. Nei medaglioni sagomati sulla tesa sono presenti figure
allegoriche realizzate a niello. Sullo stemma è l’immagine di Caterina, nelle vesti di regnante, che
patrocina le scienze e le arti. Ne sono prova i simboli del potere disposti accanto a lei, il mappamondo, il compasso, la tavolozza del pittore e un’opera architettonica. Caterina è rappresentata
come imperatrice europea illuminata, cosa che la distingue dai regnanti delle terre lontane, che
vivevano nell’ozio ed erano estranei alla cultura europea. Per questo sugli altri tre medaglioni
sono raffigurati questi regnanti tra palme ed animali selvatici, così come se li poteva immaginare
un russo del xviii secolo. L’abbigliamento di questi personaggi e di coloro che li circondano è una
versione stilizzata di vesti orientali e africane. Nella raffigurazione in basso figura un uomo con un
incensiere fumante in mano ed un cammello. In quella di sinistra, un personaggio con indosso un
turbante ha ai suoi piedi un leone e un serpente. Il niello riportato sull’incisione è messo in risalto
da uno sfondo di filigrana dorata. Fungono da festose cornici alle applicazioni corone e ghirlande
con foglie di alloro, vasi e cestini di fiori, realizzati a sbalzo e a cesello. Il piatto si presenta, nella
brillante esecuzione dell’insigne argentiere, come tipico esempio di classicismo moscovita.
I.K.
Bibliografia: Donova 1973, pp. 151-152; Kostina 2004c, p. 117
200
201
109. Bicchiere (stopà)
Russia, Mosca, 1788
maestro argentiere: Alexej Ivanov Ratkov
argento
sbalzo, cesello, doratura
h. cm 20,7
Mosca, Palazzo dell’Armeria del Cremlino, inv. n. MR-585
Il rococò e il classicismo sono coesistiti a lungo nell’arte russa della seconda metà del xviii secolo.
Spesso gli argentieri lavoravano con successo passando con disinvoltura da uno stile all’altro. Ne è
un esempio la produzione di Aleksej Ratkov, valente maestro argentiere di Mosca . Nella raccolta dei
Musei del Cremlino sono conservate circa trenta sue opere, decorate in stile classico, e una soltanto
in stile barocco. Si tratta di un bel bicchiere alto (stopà) del 1788, interamente decorato con disegni
a rilievo. Il maestro dà prova di una padronanza perfetta della tecnica dello sbalzo e cesello che a
buona ragione viene considerata come la più complessa tra quelle impiegate dagli orafi. Va detto che
Alexej Ratkov eccelse non solo nell’arte del cesello, ma anche in quella dell’incisione. Decorava i suoi
manufatti a niello e a smalto e si avvaleva ampiamente della tecnica della fusione.
I.K.
Bibliografia: Donova 1973, p. 154; Kostina 2006
202
110. Recipiente con manico (kovš)
203
Russia, Mosca, 1764
monogramma del maestro orafo: “EI” (?)
argento
fusione, cesello, incisione, doratura
cm 31,3 x 39,7 x 19,4
donato al mercante Luka Afanasev, figlio di Devjatov dall’imperatrice Caterina
Mosca, Palazzo dell’Armeria del Cremlino, inv. n. MR-615
ii
nel 1764
Sin dal xvii secolo in Russia si premiavano con kovš d’argento gli esattori delle tasse che avevano
fatto aumentare in modo considerevole le entrate dello Stato e che per questo si erano distinti.
Premiandoli si intendeva valorizzare in modo particolare il loro contributo all’economia del paese.
I kovš costituirono un’alta ricompensa dello zar per tutto il xviii secolo. Di solito venivano conferiti
per merito ai mercanti o agli atamani a capo dei gruppi di cosacchi che giungevano alla corte dello
zar per svolgervi un servizio temporaneo o con degli incarichi. Queste decorazioni erano motivo di
orgoglio e si tramandavano di generazione in generazione, ed è per questo che se ne sono conservati, a tutt’oggi, alcune decine di esemplari. Erano solitamente recipienti poco profondi, a forma di
barca, con il manico a scodellino ripiegato, decorati con lo stemma dell’aquila a due teste, a volte
con i ritratti dei sovrani dell’epoca o cartigli con iscrizioni relative al conferimento. A metà del xviii secolo comparve un tipo completamente diverso di kovš onorifico, dotato di una larga punta, senza il
manico a scodellino, con i bordi irregolari e ondeggianti e con grandi aquile di metallo fuso, nei becchi delle quali era fissata una piccola corona o un ramo di palma. A confronto con i kovš tradizionali
questi sono più appariscenti e la loro decorazione in stile rococò è più complessa. Vi compaiono per
la prima volta motivi di barchette e delfini e il peso diventa considerevole, più di due chili e mezzo.
Il kovš del 1764 fu donato dall’imperatrice Caterina ii a un mercante moscovita come premio per
lo zelo di cui questi aveva dato prova nella raccolta dei dazi negli Urali, nella regione del fiume
e della cittadina di Kungur.
I.K.
Bibliografia: Der Kreml 2004; Kostina 2006, p. 140
204
205
112. Cestello portabottiglie
111. Saliera
San Pietroburgo, 1784
argento
niello, incisione, fusione, doratura
h. cm 8,2
Mosca, Palazzo dell’Armeria del Cremlino, inv. n. MR-13067/1-2
monogramma del maestro orafo: “SI”
argento
filigrana, doratura
h. cm 10; diam. cm 12
Mosca, Palazzo dell’Armeria del Cremlino, inv. n. MR-13125
La saliera d’argento dorato a tre piedini a forma di delfino, con la tazza esterna ornata con decorazione classica, è caratteristica della produzione degli argentieri moscoviti della fine del xviii-inizio del
xix secolo, che impiegavano la tecnica del niello. La decorazione a niello di oggetti d’uso consisteva
a quel tempo in ghirlande e corone di fiori e di lauro, urne e medaglioni, spesso con raffigurazioni
allegoriche, su sfondo dorato. Nei quattro medaglioni ovali della saliera sono presenti le personificazioni delle stagioni che rappresentano al tempo stesso le quattro età dell’uomo: il giovane con
la ghirlanda di fiori è il simbolo della primavera, l’uomo con la falce e il covone di spighe e l’uomo
con la cesta dei frutti sono rispettivamente l’estate e l’autunno, l’anziano barbuto che si copre con
il mantello è l’inverno.
Nota sin dall’antichità nelle parti più disparate del mondo, la filigrana ha conosciuto fortune alterne.
Sullo scorcio del xviii secolo si registra in Russia un particolare interesse verso questo procedimento consistente nell’applicare elementi sovrapposti e impiegato per incorniciare medaglioni e pietre
incastonate. Era piuttosto raro che si eseguissero in filigrana interi manufatti. Per lo più si applicava
un esile strato di filigrana su una solida base di argento. Proprio in questo modo il maestro orafo di
San Pietroburgo ha realizzato questo cestello portabottiglie: un rivestimento traforato, non dorato,
a motivi vegetali stilizzati, è stato posto sopra un corpo liscio, dorato, di forma cilindrica. Grazie al
contrasto tra la superficie dorata spendente e il filo d’argento opaco questo pezzo di un servito di
gala assume un aspetto particolarmente elegante.
Russia, Mosca, fine del
xviii
secolo
L.Š.
L.Š.
113. Veduta della piazza Ivanovskaja nel Cremlino
Fëdor Jakovlevič Alekseev, secondo decennio del
206
xix
secolo
olio su tela
cm 81,5 x 112,5
Mosca, Palazzo dell’Armeria del Cremlino, inv. n. Ž-1940
207
Il Cremlino di Mosca era uno dei soggetti prediletti da Fëdor Jakovlevič Aleksev. Permeate da un
raffinato sentimento poetico, le numerose vedute dipinte dal pittore costituiscono una memoria storica del Cremlino e degli edifici che non si sono conservati.
Nel dipinto impostato su piani profondi e morbide scansioni è immortalata la piazza Ivanovskaja,
la seconda, per importanza, del Cremlino. Diversamente dalla piazza della Cattedrale, solenne e
formale, spazio privilegiato di ufficiali cerimonie, la piazza Ivanovskaja era il cuore della vita sociale
dell’antica capitale, da qui si dipartivano le vie principali di Mosca. Su questa piazza ferveva la vita
del popolo. Qui venivano resi noti i decreti degli zar e nei secoli xviii-xix vi si svolsero le parate militari. La chiusa struttura architettonica della piazza è formata dal complesso del campanile di Ivan
il Grande, raffigurato a sinistra, l’edificazione del quale si protrasse per quasi un secolo. Nel 1505
Bon Frjazin eresse la possente torre campanaria principale, a base ottagonale, sul punto dove si
trovava la precedente chiesa di Giovanni Climaco e negli anni 1532-1539 Petrok Maly iniziò a costruire, quasi addossato al lato settentrionale del pilastro, il campanile della Resurrezione di Cristo,
a quattro piani, ultimato nel 1552. Nel 1600 la torre campanaria principale fu alzata fino a 81 metri
e nel 1642 Bažen Ogurcov completò l’opera con la cosiddetta “Dipendenza del patriarca Filarete”
dal tetto a tenda. Ai piedi del campanile c’è una buca recintata realizzata a colata, dove fino al
1836 si trovava uno delle principali attrazioni del Cremlino, la famosa Zarina delle campane, che fu
fusa all’epoca dell’imperatrice Anna Ioannovna e manifestò delle crepe a seguito dell’incendio del
1737. Nell’angolo di sinistra è rappresentata la chiesa a cinque cupole della Cattedrale dei Dodici
apostoli, che faceva parte del palazzo dei Patriarchi, costruito al tempo del patriarca Nikon negli
anni 1653-1656. I fabbricati alla sua destra sono quelli della corte dello zar Boris Godunov, demoliti
negli anni 1806-1808. Sullo sfondo, al centro, ci sono gli edifici del monastero maschile di Čudov, e
a destra la piazza è chiusa dall’edificio della residenza dell’arcivescovo, costruita nel 1776 dall’architetto M. F. Kazakov e rifatta nel 1824 come palazzo imperiale chiamato Malyj Nikolaevski. Sia il
monastero di Čudov che il palazzo furono demoliti nel 1929.
V.Č.
114. Veduta del Cremlino dal ponte Kamennyj
Fëdor Jakovlevič Alekseev, secondo decennio del
xix
secolo
olio su tela
cm 83 x 113,5
Mosca, Palazzo dell’Armeria del Cremlino, inv. n. Ž-1941
208
Fëdor Jakovlevič Alekseev fu il fondatore del genere della veduta nell’arte figurativa russa e l’autore di una serie di panorami moscoviti. Il dipinto fa parte delle opere della maturità del pittore,
quando il suo talento raggiunse l’apice. È la veduta più famosa di Mosca, nota anche per alcune
copie e varianti d’autore.
Nella luce splendente di un giorno d’estate si staglia maestoso il Cremlino, sotto di lui scorre il fiume
Moscova. Il Cremlino si estende sull’alto colle Borovickij, è cinto da mura e da torri, costruite nel
xv secolo da ingegneri e costruttori di fortificazioni italiani per ordine del principe di Mosca Ivan iii.
A sinistra, sopra gli edifici in primo piano, si scorge l’ordine superiore della torre Trojckaja (14951499) che nella parte occidentale del Cremlino sovrasta la porta di passaggio. La torre seguente è
la Borovickaja (1490, architetto Pietro Antonio Solari), anch’essa di passaggio. Al centro del dipinto
è raffigurata la torre d’angolo, cilindrica, Vodovzvodnaja (1488, architetto Antonio Frjazin), munita
di pozzo e accesso al fiume in caso di assedio da parte del nemico. Lungo il perimetro delle mura si
susseguono: la torre Blagoveščenskaja (dell’Annunciazione) (1485-1488), il cui nome è legato alla
leggenda dell’icona taumaturgica omonima; la torre centrale del lato meridionale delle mura, dalla
quale iniziò la costruzione della fortezza; la possente torre Tajnickaja con annessa feritoia (1485,
architetto Antonio Frjazin).
L’elemento predominante del Cremlino è il poderoso campanile di Ivan il Grande, coronato dalla cupola dorata. Il campanile prese il suo nome da San Giovanni Climaco, cui era dedicata la chiesa che
si trovava nell’ordine inferiore. Di fronte al campanile sorge la Cattedrale dell’Arcangelo Michele
(1508, architetto Alvise Lamberti, conosciuto nella Rus’ come Aleviz Novy). A destra, in lontananza,
si distingue appena la parte superiore della torre Spasskaja (1491, architetto Pietro Antonio Solari),
che dà sulla piazza Rossa. La porta di questa torre era quella principale del Cremlino e serviva per
le uscite in carrozza degli zar, le solenni uscite del clero, gli incontri con gli ambasciatori stranieri.
A sinistra del campanile di Ivan il Grande sono raffigurati: il palazzo imperiale d’inverno, che non
esiste più, costruito su progetto degli architetti F. B. Rastrelli e N. A. L’vov, e il palazzo dei Terems
dello zar Mihail Fëdorovič (1635-1636, architetti B. Ogurcov, A. Kostantinov, T. Šarutin, L. Ušakov).
A sinistra, tra le torri Borovicki e Vodovzvodnaja, si vede la chiesa della Natività di Giovanni Battista
con il campanile a tenda (inizio del xvi secolo, non esiste più). Occupa lo spazio centrale del dipinto
il ponte Bol’šoj Kamennyj o Vsesvjatskij (1640-1680), rimasto in piedi fino 1857.
V.Č.
Bibliografia: Aničkov 1853, vol.
i Rumjancevskij muzej 1916
iv,
p. 98; Aničkov 1855, n. 5, p. 2; Ivanovskij 1870, p. 27; Imperatorski Moskovski
209
L’arte della diplomazia
Scambi di doni preziosi tra i Medici e gli zar di Russia
Maria Sframeli, Riccardo Gennaioli
Le opere raccolte in questa sezione costituiscono una testimonianza significativa degli intensi
rapporti diplomatici e commerciali che i Medici intrattennero con gli zar di Russia. Nonostante
la distanza geografica e culturale esistente tra la corte fiorentina e quella moscovita, questi due
mondi, così profondamente diversi, furono accomunati da reciproci interessi di natura economica
e artistica. Si deve a Ferdinando i la nascita di una vera e propria attività diplomatica con l’antico
Principato di Moscovia. Il granduca infatti, interessato ad accrescere il ruolo strategico del porto
di Livorno ben oltre i confini del Mediterraneo, sostenne economicamente e politicamente l’importante missione commerciale guidata nel 1602 dal mercante livornese Avraham Lussio presso
lo zar Boris Godunov. Scopo della spedizione era quello di ottenere dal sovrano la concessione
all’esercizio del libero commercio nelle città russe per la compagnia del Lussio; da parte sua Ferdinando in una missiva personale al Godunov prometteva di riservare lo stesso privilegio ai mercanti russi che fossero giunti in Toscana. Come testimonia la lettera inviata dallo zar al granduca
dell’Archivio di Stato di Firenze (cat. n. 2), a Sion Lussio, padre di Avraham e ai fratelli di questi,
venne accordato il permesso di poter “far ogni sorte di traffico libero et sicuro senza impedimenti
alcuno” nel porto di Arcangelo e nella città di Mosca1. Dalla minuta della risposta di Ferdinando,
datata 1603, si apprende che con la missiva del Godunov venne consegnato anche il primo dono
diplomatico di uno zar a un granduca di Toscana, costituito da alcune preziose pelli di zibellino2.
Kornilij Jakovlevič
Tromonin,
Ferdinando ii riceve
l’ambasciatore Lichačëv,
litografia da Aleksandr
Dmitrievič Čertkov,
Descrizione dell’ambasceria
inviata nel 1659 [1660]
dallo zar Aleksej Mihajlovi
a Ferdinando ii, granduca
di Toscana, Mosca 1840
211
212
Queste, oggetto di un vasto mercato in tutta Europa, rappresentavano una delle merci più pregiate provenienti dalle terre di Moscovia insieme al caviale e alla “morona di Astracan”, vale a
dire la pregiatissima pelliccia dal pelame nero e lucido ricavata da agnelli di razza caracùl tipici
della Russia meridionale e della Persia. La rilevanza che tali prodotti rivestivano per le compagnie
occidentali è ben testimoniata da una lettera dello stesso Avraham Lussio a Ferdinando, con la
quale il mercante livornese chiese al granduca di conferirgli per dieci anni il pieno controllo in Toscana del commercio dell’astrakan3. Beni altrettanto preziosi erano quelli italiani che da Venezia
e Livorno salpavano sulle navi dirette nei principali porti russi.
Un’idea ben precisa sul tipo di merci di lusso esportate si ricava da una nota stilata dal mercante
Raffaello Barberini, il quale nel 1564 giunse alla corte dello zar Ivan iv con una lettera di raccomandazione della regina Elisabetta I d’Inghilterra. Nel documento il Barberini, accanto a stoffe
di diverse tipologie (velluti, damaschi, rasi, taffettà), cita anche “balasci et zaffiri busati [bruciati]
tondi, o ovati, o a faccette con una perla di sopra e di sotto per mettere agli orecchi in vari modi”,
delle “balle tonde, o a faccette grosse quanto un uovo d’oca, d’argento dorato guarnite con varie
gioie fine, o false per chavallo”, bottoni d’oro e d’argento “a bella foggia con quantità [di] gioie e
smalti non di grande pretio, ma molto grossi”, bottoni “di coralli tondi, o a pera, o come mellone,
in cima con una perla”, tutte “sorte di pietre intagliate per mettere in anelli con varie impronte,
cammei, agate, plasme, rubini di Spagna, corniole, nicholi, e altri simili … incavati” e ancora
“Qualche rubino grande in ogni forma, e mal netti”, delle “granate intagliate” e “patennostri di Cristallo, e con oro, e senza, e di varie pietre e colori a varie e diverse fationi, tutte per la Mosca” 4.
Considerata la notevole rilevanza data nella lista del Barberini ai manufatti di oreficeria e in pietra
dura, non stupisce la decisione di Ferdinando i di affidare al Lussio tre preziosi vasi in cristallo di
rocca, diaspro e agata della collezione medicea con il preciso scopo di mostrarli “a l’Imperatore
de’ Moscoviti” in occasione del suo secondo viaggio in Russia, svoltosi nella primavera-estate
del 1603 (cat. nn. 3-4). Molto probabilmente era intenzione del granduca avviare un lucroso commercio di questo tipo di oggetti con la corte dello zar, che però non dovette concretizzarsi, forse
per motivi di natura economica, perché come ricordato dal Barberini “bisogna avvertire di portare
mercantia di prospettiva, che paia, e non sia, purché sia vistosa, perché cose di gran pregio non
le pagano, o molto poco”.
La difficile situazione politica venutasi a creare in Russia dopo la morte del Godunov (1605) determinò una drastica riduzione dei contatti con il Granducato di Toscana per tutta la prima metà del
Seicento e solo nel 1656 si ebbe una ripresa delle relazioni diplomatiche tra i due paesi. Infatti,
il 4 o 5 dicembre di quell’anno sbarcò al porto di Livorno l’ambasceria russa capeggiata da Ivan
Ivanovič Čemodanov, inviato in Italia da Aleksej Mihajlovič per discutere con la Repubblica di Venezia l’eventualità di un intervento comune contro l’Impero Ottomano. Non si trattava pertanto di
una missione diplomatica rivolta al granduca Ferdinando ii de’ Medici. Tuttavia egli accolse con tutti
gli onori l’ambasciatore e le trenta persone del suo seguito, che dopo aver stazionato a Livorno e
a Pisa, il 4 gennaio 1657 giunsero a Firenze, dove si trattennero fino all’11 gennaio. Per loro vennero predisposte alcune stanze in Palazzo Pitti decorate con gli arazzi delle Storie di Giuseppe e
furono organizzati diversi intrattenimenti volti ad allietarne il soggiorno. Dai dettagliati resoconti
sulla permanenza della delegazione in Toscana emerge il grande interesse da essa suscitato nella
corte, affascinata soprattutto dal carattere insolito e sfarzoso delle vesti degli stranieri riccamente
decorate di gemme, perle, gioielli di argento e pregiate pellicce (cat. n. 5). Proprio quaranta pelli
di zibellino costituirono il dono del Čemodanov a Ferdinando ii, che ricambiò l’ambasciatore con
quattro preziosi tessuti ricamati d’oro, due collane d’oro “alla genovese” degli orafi Michelangelo
Targioni e Giusto Coppini, due archibugi “molto ben lavorati” e due balestre in giuggiolo intagliate
con maschere e cavalli marini eseguite da Domenico Nannini detto il Trottolino5.
La visita del Čemodanov inaugurò una intensa stagione di rapporti ufficiali con obiettivi di natura
diplomatica e commerciale. Il 15 gennaio 1660 una nuova ambasceria raggiunse il porto di Livorno. A differenza della precedente, lo scopo di questa seconda delegazione, guidata da Vasilij
Bogdanovič Lichačëv, era quello di ridiscutere specificatamente con Ferdinando ii i termini di alcuni significativi accordi, come la libertà di commercio per i mercanti russi in Toscana. Per le sue
implicazioni politiche, l’evento fu considerato uno dei più rilevanti del regno di Ferdinando ii. Non
a caso ad esso venne dedicato uno dei monumentali dipinti a monocromo dell’apparato funerario
progettato dall’architetto Ferdinando Tacca per le esequie del granduca celebrate nel 1670 nella
basilica di San Lorenzo6. Il soggetto dell’opera, oggi perduta, è noto da una litografia di Kornilij
Jakovlevič Tromonin (vedi fig. a p. 211) e dalla descrizione contenuta nell’inventario del 1825,
che riporta: “Il Granduca Ferdinando ii de’ Medici riceve i Legati dello Zar di Moscovia. A destra
siede in trono il giovine Principe col cappello in mano in atto di salutare i Legati Russi che a Lui
si presentano nel mezzo: a sinistra stanno alcuni gentiluomini, e un fanciullo che tiene un cane
per il collare”7. Sappiamo inoltre da Manfredi Macigni e dalla litografia che sotto la scena correva
l’iscrizione “magnvs dvx moschorvm longissimo terrarum tractv dissitvs, gemina legatione, cvm magno
dvce etruriæ amicitiam, nectit” 8.
Come di consueto, la visita di Vasilij Bogdanovič Lichačëv si concluse con uno scambio di doni:
l’ambasciatore consegnò a nome dello zar sette mazzi di zibellini a Ferdinando ii e questi contraccambiò con due collane d’oro e due suoi ritratti in miniatura di Giusto Suttermans riposti entro uno
scatolino d’oro tempestato di diamanti, più diversi oggetti preziosi per i componenti del seguito. Al
Suttermans fu commissionato anche il ritratto del Lichačëv (cat. n. 6) e diversi dipinti con le effigi di
membri della famiglia granducale richiesti dall’ambasciatore.
Nel corso della seconda metà del Seicento e dei primi decenni del secolo successivo altre missioni diplomatiche russe raggiunsero Firenze. Di particolare interesse risulta quella inviata nel 1711
da Pietro il Grande a Cosimo iii de’ Medici, che in tale occasione fu omaggiato con il dono di due
bambini calmucchi, pelli, capre silvestri, una bussola in avorio realizzata al tornio dallo stesso
zar (cat. n. 10) e un gruppo di pregiati drappi cinesi tessuti ad arazzo (cat. n. 11)9. Estimatore
dell’arte italiana e munifico mecenate, Pietro i si avvalse dell’amicizia con il granduca di Toscana
per chiamare a San Pietroburgo, città da lui fondata nel 1703, maestri specializzati in diverse
discipline e per favorire la formazione di una nuova generazione di artisti russi. Tra questi spicca
il nome del pittore Ivan Maksimovich Nikitin, mandato in Italia dallo zar per perfezionarsi insieme
al fratello Roman e ad altri due giovani. Dopo aver soggiornato per circa un anno a Venezia, nel
luglio 1717 il gruppo si spostò a Firenze. Lo scopo della missione fu reso noto a Cosimo iii da una
lettera personale di Pietro il Grande, in cui lo zar chiese al granduca di prendere sotto la sua protezione i giovani artisti giunti in Toscana per “apprender l’Archit[ettura], civile, e la pittura” presso
“l’Accademia di V[ostra] Alt[ez]za in Fiorenza con lode universale adornata di tutte le Scienze et
arti liberali”10. Cosimo iii affidò l’incarico di istruire i fratelli Nikitin e i loro compagni all’architetto
Alessandro Seller e al pittore Tommaso Redi. Quest’ultimo in seguito al rientro in Russia di Ivan e
Roman Nikitin, avvenuto nel 1720, ricevette da parte dello zar l’allettante proposta di trasferirsi a
San Pietroburgo per assumere la carica di “Primo Maestro” della nascente Accademia delle Belle
Arti di quella città, ma l’età avanzata del pittore e l’opposizione del granduca a una sua eventuale
partenza fecero fallire il progetto11. Dell’attività svolta a Firenze dagli allievi russi del Redi resta
oggi solo la coppia di ritratti raffiguranti Pietro e la zarina Caterina i con le insegne regali (cat. nn.
7-8), attribuiti dalla critica a Ivan Nikitin e commissionati verosimilmente da Cosimo iii per arricchire la collezione di ritratti di sovrani e uomini illustri della Galleria degli Uffizi.
213
ASF, MM 102, ins. 9, c. 4.
ASF, MM 102, ins. 9, c. 8.
3
ASF, MM 102, ins. 9, c. 6; sull’argomento si veda Risaliti 1996, p. 28.
4
Il documento, compilato prima del 1570, è pubblicato in Ciampi 1834-1842, ii, 1839, pp. 141-146, in particolare
per le parti citate pp. 141-144.
5
ASF, MM 442, c. 308r e ASF, GM 673, c. 11r, pubblicati in Lekhovich-Orsi Landini 2009, p. 55 nota 11.
6
I dipinti narranti “alcune delle più segnalate prodezze” di Ferdinando II erano posizionati sotto gli archi della
navata maggiore, Macigni 1671, p. 46.
7
BdU, ms. 173, n. 474.
8
Macigni 1671, p. 65.
9
Lekhovich-Orsi Landini 2009, p. 54.
10
Ciampi 1830, p. 153.
11
Sui contatti del Redi con la corte russa si vedano Baldinucci (1725-1730), ed. Matteoli 1975, pp. 395-397 e
Androsov 1995.
1
2
1. Moscovia urbs metropolis totius Russiae Albae
Incisore di scuola fiammingo-tedesca degli inizi del
xvii
secolo
Veduta di Mosca; Colonia, [post 1610-1617]
pagina doppia incisa all’acquaforte e bulino, acquerellata; testo in latino sul verso
lastra: mm 350 x 465; foglio: mm 422 x 540
In: Georg Braun, Franz Hogenberg, Civitates Orbis Terrarum. V: Vrbium praecipuarum mundi theatrum
quintum, [Coloniae Agrippinae: sumptibus auctoris, 1600]
volume alluvionato restaurato; sul frontespizio timbro di appartenenza alla Biblioteca Mediceo Palatina
Biblioteca Nazionale Centrale di Firenze, Magl. 22.1.3, v, tav. 27
Schede
La tavola fa parte della celeberrima serie del Civitates Orbis Terrarum, titolo del primo volume con cui
viene solitamente designata l’intera opera, che raccoglie in 6 tomi, dai sontuosi frontespizi incisi, poco
meno di 600 vedute di centri urbani, del vecchio come del nuovo mondo. Considerato il primo atlante
sistematico mondiale di immagini di città, il Civitates costituisce uno dei prodotti editoriali più celebrati del
tardo Rinascimento, grazie soprattutto alla ricchezza decorativa con la quale le tavole sono impaginate,
impreziosite con stemmi e personaggi in costume, con scene di vita agreste o militare, con figure in armatura o in abiti locali, che animano il primo piano conferendo ulteriore autenticità ai dettagli topografici
altamente accurati. Ma esso è anche emblematico di un sapere in cui la visione dello spazio e la sua
restituzione divengono i cardini di un rinnovato sistema conoscitivo, intreccio serrato di sapere tecnico e
pulsioni culturali, di conoscenze matematiche e esplorazioni geografiche, di percezione di rinnovati orizzonti economici e commerciali (sull’argomento De Seta-Stroffolino 2001, passim).
La grande impresa editoriale fu portata a compimento a Colonia in 45 anni tra il 1572 e il 1617, con edizioni in latino, tedesco, francese, ma proprio per l’immediata fortuna commerciale, molte furono le ristampe,
di interi volumi o di singole carte, che si susseguirono fino alla metà del xviii secolo, per cui rare sono le
raccolte omogenee e la maggior parte degli esemplari censiti non sono completi.
Vi collaborò un nutrito gruppo di figure intellettuali, artistiche e imprenditoriali, espressione del pieno Rinascimento europeo, coordinate e dirette dal cattolico Georg Braun (Colonia 1541-1622), canonico della
Cattedrale di Colonia, editore e supervisore scientifico cui si deve la redazione dei testi, e dal protestante
Franz Hogenberg (Malines 1540 ca-Colonia 1590 ca), abile incisore e calcografo, principale responsabile
della traduzione in incisione del ricchissimo apparato iconografico. Ma non mancarono sollecitazioni e
consigli da Abraham Ortelius, che considerava il Civitates come complemento ideale del suo prestigioso
atlante, il Theatrum orbis terrarum, a cui infatti l’opera di Braun va riferita per le esplicite somiglianze nel
titolo, nel formato, nell’impaginazione (Skelton 1965, p. 10) .
Alla grande officina lavorarono più di un centinaio di artisti e cartografi; di essi basti ricordare il più importante, il fiammingo Joris Hoefnagel (1542-1600), dai cui disegni originali, elaborati nel corso di ripetuti
viaggi in Italia, Francia, Spagna e Inghilterra furono incise moltissime tavole che portano il suo nome,
mentre altre illustrazioni si devono ad artisti più o meno noti o furono rielaborazioni e aggiornamenti di
prototipi già esistenti.
Non avendo precedenti, il Civitates, come il Theatrum orteliano fu “uno dei best-seller tra le pubblicazioni
dell’ultimo quarto del xvi secolo” (Koeman 1968, p. 10): vero compendio per il ‘viaggiatore a tavolino’, esso
rispose alla domanda di un vasto pubblico che per ragioni economiche, politiche e sociali, aveva nelle città
il suo centro di interesse e trovava di che saziare le sue curiosità in quelle tavole – tutte corredate da un
accurato commento storico, geografico, economico – in cui si alternano vedute in profilo, con planimetrie in
scala lineare, con innovative vedute a volo d’uccello, sintesi sapiente tra il disegno topografico e una visione
dall’alto che coglie i contesti morfologicamente diversi delle varie città, ma soprattutto capaci di rendere la
rappresentazione dello spazio costruito, in immagini che hanno la qualità della verosimiglianza.
Anche per lo studioso moderno il caleidoscopico corpus iconografico del Braun si rivela fonte preziosissima,
per la ricchezza e la varietà di informazioni e conoscenze che tramanda, fornendo attraverso le immagini
uno spaccato e una visione generale della vita urbana alla fine del xvi secolo, e costituendo di frequente
l’unica testimonianza dell’esistenza di particolarità urbanistiche non sopravvissute al correre della storia.
Alla “metropoli di tutta la Russia Bianca” il Civitates dedica due tavole, ma è particolarmente nella veduta prospettica che qui si presenta – penalizzata nella sua ricca cromia dall’alluvione del 1966 – che
viene messo in evidenza lo sviluppo della città. Il cuore della trama urbana corrisponde alla fortezza
215
216
(Cremlino) fatta erigere dal principe Jurij Dolgorukij alla metà del xii secolo in prossimità della confluenza del fiume Neglinnaja nella Moscova, come si può osservare nell’incisione, dove i fiumi formano un
fossato difensivo naturale sui fianchi della cittadella. Più volte distrutto e ricostruito nel corso dei secoli
e nonostante la minaccia costante dei nomadi dell’Orda d’oro, il Cremlino, in quanto residenza dello
Zar e del Metropolita, costituirà il centro dell’organizzazione politico-amministrativa e religiosa messa
in essere dai principi russi, nella stessa misura in cui esso costituisce il centro urbanistico della città.
Tra la fine del xv secolo e gli inizi del Cinquecento, sotto il governo di Ivan iii il Grande (1462-1505), che
qui portò la capitale, Mosca subì importanti ampliamenti urbanistici e trasformazioni architettoniche – in
parte compromesse dal rovinoso incendio del 1547 – che introdussero nuovi moduli costruttivi dovuti
principalmente all’opera di maestranze italiane, chiamate dal sovrano a intervenire su un tessuto urbano
interamente edificato in legno. Come Georg Braun ricorda nel testo di commento all’altra tavola dedicata
a Mosca (la n. 28 dello stesso volume): “…Eius castris propugnacela, basilicae, cum Principis palatio ex
latere ab hominibus Italis, quos propositis magnis praemijs Princeps ex Italia evocaverat, Italico more
extructa sunt …”. Se il matrimonio di Ivan iii con Zoe Paleologa, nipote dell’ultimo imperatore di Bisanzio,
Costantino xi, legittimò nel sovrano l’aspirazione ad assurgere al ruolo di baluardo contro l’avanzata islamica e di erede della tradizione romano-bizantina, la presenza a corte della nuova principessa, educata
a Roma, costituì “l’anello di congiunzione tra la Russia moscovita e il Rinascimento italiano”, aprendo “la
strada ad architetti italiani formatisi sui migliori modelli umanistici del tempo, quali Aristotele Fioravanti,
Marco Ruffo e Pietro Antonio Solari, che nell’arco di qualche decennio pongono mano alla costruzione
delle cattedrali, dei palazzi e delle mura del Cremino” (Degl’Innocenti-Lekhovich 2009, p. 35), tutte emergenze monumentali ravvisabili nella veduta.
Nell’incisione, infatti, il centro urbano è descritto da un punto di osservazione sufficientemente elevato
da apprezzarne l’imponente dispiegarsi nella pianura e permettere al contempo una lettura dettagliata
del tessuto cittadino, individuabile in tutte le sue parti: mura difensive, lotti edificati, strade, fabbriche
monumentali. È dal Cremlino che si dipartono a raggiera le strade dei nuovi sobborghi, delimitati da
cinte murarie concentriche a quelle della fortezza più antica, e i tre anelli che caratterizzano l’impianto
topografico della Mosca del tardo Rinascimento – nel testo di commento annoverata per estensione con
Costantinopoli, Parigi e Lisbona tra le quattro maggiori città d’Europa – sono individuati sulla pianta dalle
didascalie: al centro il Cremlino e il Kitaij-gorod, quartiere commerciale di mercanti, poi il Belgorod, sobborgo residenziale delle classi nobiliari, infine la terza parte volta a Settentrione e chiamata Skorodim.
Sulla destra una legenda illustrativa racchiusa in un elegante cartiglio decorativo richiama le emergenze
dell’edilizia sacra e profana e i principali luoghi deputati alla vita civile, agli scambi commerciali, all’ospitalità di ambasciatori o mercanti stranieri, mentre in basso a sinistra tre personaggi abbigliati secondo
le fogge tipiche del luogo costituiscono la nota di costume conforme allo stile delle vedute del Civitates.
Negli angoli superiori troviamo invece la nota aulica degli stemmi: a destra quello dell’Impero russo, in uso
a partire dal 1562, quando il primo zar Ivan il Terribile unì lo scudo araldico di Mosca raffigurante il cavaliere
trionfante sul drago – ovvero San Giorgio – accollandolo al petto dell’aquila bicipite bizantina, introdotta
dopo il 1472 grazie al matrimonio di Ivan iii con l’ultima erede dei Paleologhi; a sinistra il complesso stemma
dei Vasa di Polonia, che per la presenza della corona reale e del collare del Toson d’oro, risulta riferibile a
Ladislao iv (Cracovia 1595-Merkiné 1648), re di Polonia dal 1632 e Granduca della Moscovia dal 1610 al
1634. È la presenza di questa insegna araldica che ci consente di ascrivere agli anni tra il 1610 e il 1617
– data di pubblicazione dell’ultimo volume del Civitates – la realizzazione dell’anonima calcografia, forse
opera di uno dei figli dell’Hogenberg, quell’Abraham (fl. 1608-post 1653) che fu assistente del padre e ne
proseguì l’attività a Colonia a fianco del Braun. È quanto ci suggerisce il confronto con la pianta di Strasburgo firmata: “Cum privilegio Abraham Hogenberg excudit Coloniae” (cfr. ill. in Grosso 1995, p. 72), nel taglio
e nell’impianto assai vicina alla veduta di Mosca che qui si espone.
M.S.H.
Bibliografia: Grosso 1995, p. 153; Prato 2009, p. 164, n. 54
217
2. Lettera credenziale dello zar Boris Fëdorovič Godunov
al granduca Ferdinando i de’ Medici
1602
inchiostro su carta con fregi dorati, mm 325 x 280
Firenze, Archivio di Stato, Miscellanea Medicea 102, inserto 9, c. 1
Nel 1602 il mercante ebreo di Livorno Avraham Lussio raggiunse Mosca recando con sé una lettera di raccomandazione di
Ferdinando i de’ Medici, nella quale il granduca richiedeva per i membri della famiglia Lussio l’autorizzazione a poter esercitare
il libero commercio in Russia. In cambio di tale privilegio Ferdinando si impegnava a concedere lo stesso diritto ai mercanti russi
in Toscana. Con lettera del giugno 1602, qui esposta, lo zar Boris Fëdorovič Godunov rispose a Ferdinando accordando alla
compagnia dei Lussio l’autorizzazione ad importare nei suoi domini ogni tipo di merce. Di seguito si riporta il testo di una delle
minute di traduzione della lettera credenziale dello zar (ASF, MM 102, inserto 9, cc. 4-5).
218
“Per la Dio gratia Boriss Fedroviz Grand Imperatore et Gran Duca / di tutta la Russia, signore et herede di Valadimizia, di
Moscovia, di / Novoguardia, Imperatore di Cassania, / Imperatore di Astracania, Imperatore di Sibiria, Gran Duca di Plescovia,
Gran Duca di Smolensco, di Sivezia, di Ugaria, di Peresslavia, di Viaschi, di Bulgaria et altro, Imperatore / et Gran Duca di Castelnovo, et del paese più basso, di Viatria, et di / Rosclavia, di Polotia, di Rostovia, di Faroslavia, di Lacobranco, di / Liflandia,
di Vdorsia, di Obdorsia, di Codignia, et delle altre parti del paese / basso, dell’Alta Russia, et di Altri Gran Duchi et Principi,
delle / terre Grusinensi, et Cabardinensi, di Circassia, di Igoria, et di molti altri Governi Imperatore. /
Al Serrenissimo Gran Duca di Toscana et Duca di Fiorenza / Fernando Alissandro di Medices /
Essendo comparso inanzi alla Maestà Imperiale di noi Boriss Fedroviz / Signore di tutta la Russia, la persona di Abram
Lussio mandato con / lettere di Vostra Altezza Serenissima alla nostra Imperiale Maestà, per la quale noi Boriss Fedrovizo,
Signore di tutta la Russia et il nostro figliolo il Serenissimo Fedro Borisovizo Signore di tutta la Russia, habbiamo concesso
a detto Abram / Lussio di comparire alla nostra presenza. Con grandissima cortesia / et benignità habbiamo ricevuto la
lettera di Vostra Altezza Serenissima et con gradissima / attentione inteso il tenor di essa scritta da Vostra Altezza Serenissima alla nostra / Imperiale Maestà, et al Serenissimo Fedro Borisovizo Signore di tutta la Russia, per / la quale la nostra
Imperial Maestà Boriso Fedrovizo Signore di / tutta la Russia habbiamo inteso quello la Vostra Altezza Serenissima scrive
con grandissima / riverenza, molto cortesemente, pregando la nostra Imperial Maestà Borisso Fedrovizo / Signore di tutta la
Russia, et il Serenissimo Fedro Borisvizo Signore di tutta la Russia / accioche la nostra Imperiale Maestà, et il Serenissimo
Fedro Borissovizo usiamo tal / favore, cortesia, et amorevolezza verso la Vostra Altezza Serenissima concedendo al detto /
Abram huomo di Vostra Altezza Serenissima per l’amore di Vostra Altezza Serenissima quanto esso Abram / chiederà dalla
nostra Imperiale Maestà. Per il che stimando che li preghi et l’amicitia / di Vostra Altezza Serenissima siano a noi molto care
et necessarie, accettiamo / quanto la Vostra Altezza Serenissima ci offerisce et promette cortesissimamente di esser / buon
amico alla nostra Imperiale Maestà, et tutto quello che sarà possibile / a Vostra Altezza Serenissima di fare a benefitio et
commodo del nostro stato, et quanto / à nostra Imperiale Maestà sarà conveniente pregare, con grandissima prontezza,
gratissimamente sodisferà. /
La Vostra Altezza Serenissima nell’ultima parte della lettera fa riverenza alla Imperiale Maestà nostra / et il detto Abram Lussio
attualmente ne ha fatto riverenza in nome di / Vostra Altezza Serenissima, la qual riverenza à noi è stata accetta molto amorevolmente / et mosso dalli preghi di Vostra Altezza Serenissima habbiamo concesso secondo la dimanda / di esso Abram al
padre Sion Lussio, et à suoi figli Abram, Isac et / Mattia di poter venire al nostro Imperio, et arrivare, stare, entrare / et partire
à nostri porti di Moscovia et Castel Arcangelo / con le navi cariche di ogni sorte di mercantia, et far ogni libero / traffico, et la
nostra Imperiale Maestà col Serenissimo Fedro / Borissovizo Signore di tutta la Russia con Vostra Altezza Serenissima Ferdinando Granduca / di Toscana et Duca di Fiorenza vogliono tenere amicitia, / havendo à caro, et laudando la Vostra Altezza
Serenissima Ferdinando, che nel nostro / Imperio cerchi la nostra amicitia et cortese amorevolezza, per la quale / richiesta
di Vostra Altezza Serenissima habbiamo concesso al detto Sion Lussio, et à suoi figli / Abram, Isaac, et Matia di poter venire
con le navi cariche / di ogni sorte di robbe nel nostro Imperio al porto di Moscovia, et di Castel / Arcangelo a far ogni sorte di
traffico libero et sicuro senza impedimenti alcuno. Per il che la nostra Imperiale Maestà al detto / Abram habbiamo dato per
maggior sicurezza un nostro Privilegio / per venire, andare, et arrivare alli sopranominati porti di Moscovia et Castel Arcangelo
senz’alcuno impedimento / con salvezza di tutta la sua mercantia et Huomini.
E per l’avenire Serenissimo Ferdinando, vogliamo alla Vostra Altezza Serenissima / il nostro favore et amorevolezza mostrare,
et grandissima pace et amicitia / mantenere et conservare. Et Vostra Altezza Serenissima deve essere benissimo / noto che à
nostra Imperiale Maestà tutti li Monarchi Christiani, et / tutti gli Imperatori Pagani continuamente mandano molti / Ambasciatori
a pregar la Maestà nostra Imperiale accioche gli / accettiamo nella nostra amicitia, et siamo con loro in pace et concordia. /
Data dalla nostre Corte nella Christianissima città di / Moscovia nel mese di giugno l’anno da poi la pace fatta 7110 [1602]”
Bibliografia: Risaliti 1996, p. 28; Degl’Innocenti-Lekhovich 2009, p. 44; Prato 2009, p. 195, n. 83
R.G.
219
3. Vaso a urna
Francesco Tortorino (attr.) (Milano, 1512 ca-1573)
terzo quarto del xvi secolo
cristallo di rocca e oro; h. cm 10,5, diam. cm 11
Firenze, Palazzo Pitti, Museo degli Argenti, inv. Gemme 1921, n. 492
220
Il piccolo vaso presenta un piede a base circolare liscio su cui poggia una coppa baccellata ornata nella
zona superiore da una teoria di putti impegnati in diverse attività. Il coperchio, caratterizzato da una presa
a pomello con finale in oro, presenta anch’esso un’elegante baccellatura e una fascia in cui sono raffigurati fanciulli in volo muniti di manti gonfiati dal vento.
L’esemplare è identificabile con la “tazzetta coperchiata di cristallo, intagliata a puttini e baccelli con una
rosettina e un filetto d’oro” registrata nell’inventario dei beni presenti nella “Stanza di Madama” della
Galleria degli Uffizi, l’attuale Sala delle miniature, stilato tra il 1609 e il 1634 (Gaeta Bertelà 1997, p. 84,
n. 119 [901]). Come ha osservato Paola Venturelli (2009), un oggetto del tutto analogo a quello in esame figura già nell’inventario della Tribuna del 1589 (BdU, ms. 70), in cui al n. 59 è descritta “Una tazza
con coperchio e piede tutto di cristallo di monte lavorato a baccelli e trionfi di puttini con cerchietto e
punta d’oro smaltato” (Gaeta Bertelà 1997, p. 48, n. 59 [567]). Una nota manoscritta aggiunta alla copia
dell’inventario del 1589 ricorda che il 21 maggio 1603 il vaso fu prelevato dalla Tribuna e consegnato da
Ferdinando I de’ Medici ad “Abran Lucx” per presentarlo “a l’Imperatore de’ Moscoviti” (BdU, ms. 71, c.
38, n. 59). Nel “Lucx” menzionato nel documento è senz’altro riconoscibile l’ebreo Avraham Lussio, figlio
del mercante livornese Sion Lussio, responsabile di un’importante missione commerciale e diplomatica
a Mosca, dove lo zar Boris Fëdorovič Godunov gli concesse, grazie all’appoggio di Ferdinando, il privilegio di poter introdurre nei domini russi “ogni sorte di mercantie et fare ogni libero traffico” (ASF, MM
102, inserto 9, c. 5). Oltre al cristallo di rocca, al Lussio furono affidati altri due manufatti in pietra dura
della raccolta medicea: il vaso a forma di drago in diaspro dei Grigioni (cat. n. 4) e una “tazzetta d’agata
a navicella con cerchietto e filetto d’argento dorato” (BdU, ms. 71, c. 35, n. 29). Rimangono da chiarire i
motivi che spinsero il granduca a inviare questi pezzi fino a Mosca. Si può supporre tuttavia che essi costituissero una specie di piccolo campionario di oggetti di lusso da esibire ai membri della corte imperiale
russa quale esempio della raffinata produzione italiana di vasi in pietra dura, molto apprezzata in tutta
Europa. I documenti d’archivio non forniscono indicazioni precise sul rientro delle tre opere a Firenze,
che comunque dovette avvenire verso la fine del 1603. Dal 1638 l’esemplare in esame risulta di nuovo in
Galleria (BdU, ms. 76, c. 35v, n. 19). Da qui nell’aprile 1651 fu trasferito a “Palazzo” per “servire il Santissimo Sacramento” (BdU, ms. 62, c. 18, n. 119; Venturelli 2009, p. 130, n. 87). Consegnato in seguito
alla Guardaroba, il cristallo venne portato ancora una volta a corte nel 1685 con l’intenzione di sistemarvi
le ceneri di san Zanobi. La trasformazione del recipiente lapideo in reliquiario non venne però attuata,
forse a causa della natura profana delle decorazioni, e il 21 settembre dello stesso anno fu restituito alla
Guardaroba (BdU, ms. 62, c. 176). Gli inventari settecenteschi documentano il suo ritorno in Galleria,
dove restò fino al 1921, anno in cui pervenne al Museo degli Argenti.
L’attribuzione del vaso a Francesco Tortorino, esperto intagliatore milanese di pietre dure, si deve a
Ernst Kris (1929). Tale indicazione è stata confermata in diverse occasioni da Paola Venturelli (in Lugano 1998, Venturelli 2009), la quale ha ribadito l’esistenza di strette affinità stilistiche e iconografiche
tra le incisioni del pezzo fiorentino e quelle di un vaso in cristallo di rocca firmato dall’artista al Kunsthistorisches Museum di Vienna ornato da un baccanale, tritoni e nereidi (R. Distelberger, in Vienna 2002,
pp. 118-120, n. 40). Infatti le due opere oltre a essere confrontabili per il modo di rendere i corpi e i
volti dei personaggi sono connotate anche da simili motivi figurativi, come nel caso del putto entro un
cratere nel cristallo degli Argenti che discende direttamente dal giovane calato in un tino rappresentato
sul corpo del vaso viennese.
R.G.
Bibliografia: Kris 1929, i, pp. 83, 173, n. 338, ii, tav. 81, n. 338; Aschengreen Piacenti 1967, p. 134, n. 67; P.
Venturelli, in Lugano 1998, p. 273, n. 73; Venturelli 2009, p. 130, n. 87
221
4. Vaso con coperchio a forma di drago
Bottega dei Saracchi
ante 1589
diaspro dei Grigioni, oro, smalti, perle e rubini
h. cm 21; lung. corpo del drago cm 14,5
Firenze, Palazzo Pitti, Museo degli Argenti, inv. Gemme 1921, n. 493
222
Il vaso, in diaspro dei Grigioni, poggia su un piede piatto circolare cinto da una fascia modanata, in oro
inciso e smaltato a racemi, impreziosita da tre perle e da tre rubini montati in alti castoni. Il fusto, contraddistinto da un nodo a vaso e da due nodi di raccordo in oro decorati da motivi floreali in smalti opachi
e traslucidi, sostiene una coppa a conchiglia sulla quale poggia un elaborato coperchio a forma di drago
con testa, ali e coda lavorate a tutto tondo e fissate al corpo mediante legature in oro simili a quelle del
fusto. Sul dorso del mostro è inciso in rilievo un altro animale fantastico, simile a un delfino, che funge da
presa per il coperchio.
L’opera è identificabile per la prima volta nell’inventario della Tribuna degli Uffizi risalente al 1589.
Come gli altri manufatti in pietre dure della raccolta medicea, anche questo esemplare si trovava custodito in uno dei due armadi segreti, i cosiddetti “armadi dei vasi”, che si aprivano in corrispondenza
delle pareti laterali della Tribuna. Da un breve appunto riportato nell’inventario manoscritto n. 71 della
Biblioteca degli Uffizi (BdU, ms. 71, c. 45, n. 49) risulta che il drago il 21 maggio 1603 fu affidato da
Ferdinando i al mercante livornese Avraham Lussio per condurlo, insieme ad altre opere (cat. n. 3), alla
corte dello zar Boris Fëdorovič Godunov. Rientrato a Firenze in data imprecisata, il sontuoso oggetto fu
ricollocato nella Tribuna, dove rimase fino al 1780-1782, quando fu trasferito presso il nuovo Gabinetto
delle Gemme allestito in una piccola stanza affacciata sul corridoio meridionale degli Uffizi. Da qui nel
1921 passò al Museo degli Argenti.
L’attribuzione dell’opera alla bottega dei Saracchi, avanzata da Ernst Kris (1929) e poi ripresa da Rudolf
Distelberger (1975), è stata accettata da tutta la critica successiva. Esperti intagliatori di cristalli e orafi,
i fratelli Saracchi (Giovanni Ambrogio, Simone, Stefano, Michele e Raffaello), in stretti rapporti con Annibale Fontana, furono impegnati nella creazione di elaborati vasi dalle stravaganti forme di uccelli, pesci e
animali fantastici molto apprezzati dalle raffinate corti italiane dei Gonzaga, dei Medici e dei Savoia. Oltre
al pezzo qui considerato, presso il Museo degli Argenti si conservano altri esemplari riconducibili alla
stessa bottega, alcuni dei quali realizzati probabilmente in occasione del matrimonio di Ferdinando i con
Cristina di Lorena (1589). Tra questi, spicca quello spettacolare con Ercole e l’idra (Venturelli 2009, pp.
95-96, n. 48), eseguito anch’esso in diaspro dei Grigioni, materiale estratto dalla regione a nord dell’attuale Lombardia e caratterizzato da macchie dalle calde tonalità, abilmente sfruttate per la resa del corpo del
mostro-rettile. Un simile gusto pittorico contraddistingue anche il vaso con coperchio a forma di drago qui
considerato, tipologicamente affine a un esemplare del Kunsthistorisches Museum di Vienna con stemma
del vescovo Wolf Dietrich von Raitenau (R. Distelberger, in Vienna 2002, pp. 207-208, n. 121).
R.G.
Bibliografia: Kris 1929, i, pp. 125, 184, n. 532, ii, tav. 147, n. 532; Aschengreen Piacenti 1967, p. 134, n. 68; Distelberger 1975, p. 158, fig. 188; Barocchi-Gaeta Bertelà 1990, pp. 560-561; F. Tuena, in Massinelli-Tuena 1992, p.
116; M. Scalini, in Firenze 1997, p. 120, n. 159; P. Venturelli, in Mantova 2002, p. 299, n. 105; Mosco 2004, p. 78,
fig. 19; Venturelli 2005, p. 145, fig. 66; E. Nardinocchi, in Mantova 2008, p. 287, n. 51; Venturelli 2009, p. 96, n.
49, tav. XXIII; R. Gennaioli, in Parigi 2010, p. 133, n. 44
223
5. Ritratto dell’ambasciatore russo Ivan Ivanovič Čemodanov
Pittore livornese
1656
acquerello, tempera e inchiostro su carta, mm 285 x 200
Firenze, Archivio di Stato, MM 102, inserto 12, c. 7
224
“Serenissimo Signore
Quel pittore che ha fatto lo schizzo dell’Ambasciatore Moscovito m’è/
riuscito più ciabattino ch’io non pensavo; tuttavia lo mando/
à Vostra Altezza qui allegato. L’habito di sotto è un calzone attaccato/
alle calze alla scocca di raso rosso, il resto è di raso giallo imbottito/
come un calzone; dal ginocchio in giù uno stivaletto/
di cuoio giallo senza legatura in luogo nessuno, e il di sopra/
è di velluto piano rosso foderato di zibellini con maniche/
fino in terra; quel poco di bianco alla fine del busto, che è/
lunghissimo (come si vede) è una cintura d’argento che lo cigne/
tutto, e quei riscontri al robone son perle, come anco quelli/
altri lavori al berrettone, che pure è di velluto rosso foderato/
di zibellini, e quel bavero è attaccato al vestito di sotto, ed è/
anch’esso pieno di perle, le quali però sento che non son cosa/
di grandissima considerazione. L’altro giorno avvisai non essere/
in Livorno altri che parli Moscovito, che quel Tedesco [Giovanni Sachs], adesso/
dico à Vostra Altezza haverne trovato un altro, che è il Rabino di questi/
ebrei, e si chiama Benedetto di Josef, di che dò parte à Vostra Altezza in/
ordine à suoi comandamenti de quali vivendo ambiziosissimo resto/
con baciarle humilmente la veste.
Livorno 14 dicembre 1656
Anco stamani han parlato del essere cenati e spesati a nome di Sua Altezza et stanno negotiando alle
strette la vendita delle lor mercantie”
Così Antonio Serristori, governatore della città di Livorno, informava il granduca Ferdinando ii a Firenze
sul tipo di abbigliamento sfoggiato dall’ambasciatore russo Ivan Ivanovič Čemodanov, a capo di una delegazione diplomatica inviata in Italia dallo zar Aleksej Mihajlovič per condurre trattative commerciali con
la Repubblica di Venezia. Fin dal loro inatteso arrivo nel porto toscano, all’inizio di dicembre nel 1656, gli
ambasciatori avevano destato non poca curiosità negli abitanti del luogo e nella corte fiorentina per l’aspetto
insolito delle loro vesti sontuose, sulle quali si sofferma spesso l’attenzione dei commentatori dell’epoca
che, come il Serristori, ne danno descrizioni dettagliate, esaltanti da un lato la preziosità delle pellicce e delle stoffe tempestate di perle e dall’altro l’originalità delle fogge. Tutti aspetti che Ferdinando ii poté verificare
di persona quando la legazione russa giunse a Firenze, dove soggiornò per alcuni giorni ospitata a Palazzo
Pitti in una serie di stanze abbellite per l’occasione dagli arazzi con le Storie di Giuseppe (Lekhovich-Orsi
Landini 2009, p. 49). L’identificazione del personaggio ritratto nel disegno con il Čemodanov è confermata
da un altro documento conservato nello stesso inserto, che oltre a riportare il nome dell’ambasciatore, “Ivan
Ivanowech Chumadanove”, lo descrive come un uomo “di circa 60 anni”, alto e con “barba alla Cappuccina”
(ASF, MM 102, inserto 12, c. 20).
R.G.
Bibliografia: Risaliti 1996, p. 28; Degl’Innocenti-Lekhovich 2009, p. 44; Lekhovich-Orsi Landini 2009, p. 49; Prato
2009, p. 197, n. 85
225
6. Ritratto di Vasilij Bogdanovič Lichačëv
Giusto Suttermans (Anversa, 1597-Firenze, 1681)
1660
olio su tela, cm 120 x 97
Firenze, Palazzo Pitti, Galleria Palatina, inv. 1890, n. 2371
226
Questo ritratto proviene dalla raccolta del gran principe Ferdinando de’ Medici (1663-1713). Figura tra i
beni di Ferdinando inventariati nel 1698, descritto come “un quadro in tela di Giusto Suttermanni entrovi
il ritratto d’un ambasciatore moscovita vestito alla moscovita con berretta con perle in capo” (ASF, GM
1067, c. 23r, Chiarini 1975). È citato nei successivi inventari della raccolta di Ferdinando (ASF, GM 1185,
c. 376s, n. 218; ASF, GM 1222, c. 18r) e in quello di Palazzo Pitti del 1716-1723 (BdU, ms. 79, cc. 359360). Pervenne alla Galleria degli Uffizi nel 1882 dai magazzini reali di Palazzo Pitti e fu trasferito alla
Galleria Palatina nel 1928.
L’attribuzione a Suttermans, ritrattista della corte medicea dal 1621 al 1681, è molto convincente: l’impaginazione e la stesura pittorica ricordano da vicino quelle di un ritratto di Cosimo iii de’ Medici citato in documenti del 1658 (Galleria Palatina, inv. 1890, n. 2875, Goldenberg Stoppato 2006, p. 26, n. 1).
Il moscovita in questione è stato identificato nel secolo xix con Ivan Ivanovič Čemodanov, il diplomatico
inviato alla Repubblica Veneta nel 1656 dallo zar Aleksej Mihajlovič. Il nome di Čemodanov compare sulla
riproduzione incisa nel 1887 di un quadro di Klavdij Stepanov con l’ambasciatore seduto nello studio del
ritrattista a Firenze (Villani 2010, pp. 288, 292). L’identificazione, ripetuta nell’inventario degli Uffizi (1890)
e accolta dalla critica successiva, non tiene conto dell’assenza di Suttermans durante la visita dell’ambasciatore. Čemodanov e il suo aiutante Aleksej Posnikov sbarcarono a Livorno il 4 o 5 dicembre 1656 e,
dopo una tappa a Pisa, sostarono a Firenze dal 4 all’11 gennaio 1657, prima di proseguire per Venezia.
Nell’ottobre 1656 il Suttermans si era trasferito ad Innsbruck, dove rimase almeno fino al 20 giugno 1657.
Non sembra proponibile, per la brevità della sua visita, neanche il nome dell’ambasciatore Ivan Afanas’evič
Željabužskij che arrivò a Firenze il 26 aprile 1663 e ripartì il 9 maggio, diretto a Venezia.
Il diplomatico ritratto è dunque Vasilij Bogdanovič Lichačëv, inviato a Ferdinando ii de’ Medici dallo zar
alla fine del 1659. Secondo un diario di etichetta della corte, Lichačëv e lo scrivano Ivan Fomin sbarcarono a Livorno il 15 gennaio 1660, si trasferirono il giorno 21 a Pisa e il 23 gennaio a Firenze, dove si
fermarono sino al 25 febbraio 1660 (ASF, MM 444, cc. 1-13). Il diario rammenta due ritratti in miniatura
di Ferdinando ii “di mano di Giusto” donati dal Granduca a Lichačëv e Fomin (c. 11v); un conto del pittore
ricorda il 20 febbraio 1660 ricorda questi “dui ritrattini piccoli in rame” con cinque altri ritratti medicei che
“servirno all’imbaciadore moscovito” (ASF, GM 698, c. 1379).
Il ritratto di Lichačëv fu forse commissionato da Mattias de’ Medici, indicato nel diario di corte come il
protagonista degli intrattenimenti offerti all’ambasciatore. Il ritratto potrebbe essere uno dei “lavori” di
“Giusto Suttermani pittore”, citati il 18 agosto 1660 in un mandato di pagamento di Mattias (ASF, MdP
5487, c. 39v).
L.G.S.
Bibliografia: Chiarini 1975, fasc. 301, p. 73; L. Goldenberg Stoppato, in Prato 2009, p. 198, n. 87, con bibl. prec.;
Villani 2010, pp. 291-292
227
7. Pietro i il Grande, zar di Russia
8. Caterina i, zarina di Russia
Ivan Maksimovich Nikitin (attr.), (Mosca?, 1680 ca-post 1742 ca)
1717
olio su tela, cm 127 x 96; cm 124 x 96
Firenze, Galleria degli Uffizi, inv. Depositi 477, 478
228
La più antica attestazione documentaria riguardante i due ritratti, raffiguranti lo zar di Russia Pietro i, detto
il Grande, e la sua seconda moglie, la zarina Caterina Alekseevna, è contenuta nel Quaderno della Guardaroba generale delle Robe Fabbricate del 1717-1722, dove in data 14 gennaio 1718 si legge: “Da S[ua]
A[ltezza] R[eale] mandatoci di camera due quadri in tela alti b[racci]a 2 1/6 larghi b[racci]a 1 2/3 dipintovi
in uno il Zar Pietro Gran Duca di Moscovia, Arm[a]to con manto rosso foderato di pelle, e nell’altro la moglie di d[ett]o Zar, con manto turchino, si vede la corona reale sopra di una tavola coperta di velluto rosso”
(ASF, GM 1260, c. 10v). Le tele furono consegnate a Francesco Guasconti, “primo guardaroba di S[ua]
A[ltezza] R[eale]”, per essere incorniciate, operazione che venne compiuta entro il 3 febbraio dello stesso
anno, giorno in cui i dipinti ormai dotati di “adornamenti di albero scorniciati lisci tinti di nero e filettati di
oro” passarono sotto la custodia di Francesco Bianchi per essere trasferiti agli Uffizi (ASF, GM 1260bis,
c. 17v). Una preziosa testimonianza sulla loro originaria collocazione in Galleria è fornita dall’inventario
del 1753, dal quale risulta che andarono ad arricchire la sequenza delle effigi di sovrani e altre personalità illustri inframmezzate alla serie gioviana al sommo delle pareti del corridoio di ponente (BdU, ms. 95
[1753], n. 137). Più precisamente i ritratti di Pietro e di Caterina vennero posti tra quelli dell’imperatore
Carlo vi e del principe Eugenio di Savoia. In tale ordine figurano anche nel Catalogo dimostrativo della
Reale Galleria di Giuseppe Bianchi redatto nel 1768 (BdU, ms. 67, cc. 24-25), nell’Inventario generale del
1769 (BdU, ms. 98, n. 125) e in due vedute facenti parte dell’Inventario disegnato coordinato da Benedetto Vincenzo De Greyss (M.L. Guarducci, in Firenze 1988, pp. 100, 101 nota 4). Non sono noti i successivi
spostamenti dei ritratti, che non figurano più al loro posto nell’inventario del 1784 (BdU, ms. 113). Essi
dovettero essere trasferiti prima di questa data in qualche palazzo granducale, come sembrano suggerire
alcuni numeri di inventario tracciati sul verso delle opere. Passati in data imprecisata alla sede fiorentina
dell’Intendenza di Finanza, nel 1996 sono stati riportati agli Uffizi.
La presenza sul retro di ciascuna tela dell’iscrizione “giov. moscovit. in firenze a.o dom. 1717 lug.io 23…”
(oggi non più leggibile dopo la rintelatura dei supporti originali) ha suggerito a Silvia Meloni Trkulja di
identificarne l’autore con il russo Ivan Maksimovich Nikitin, celebrato ritrattista della corte di Pietro il Grande. Tale attribuzione, condivisa dalla critica italiana, è stata in parte messa in discussione da Androsov
(1995), per il quale i ritratti non hanno lo stesso livello qualitativo degli altri lavori dell’artista risalenti al
1716. Secondo lo studioso essi sarebbero stati iniziati da un altro pittore e soltanto finiti dal Nikitin durante il suo soggiorno a Firenze, dove fu inviato dallo zar, insieme al fratello Roman e ad altri due giovani,
Teodor Čercassov e Michail Sacharov, per perfezionarsi. I documenti resi noti da Androsov sul soggiorno
toscano degli artefici russi e sul loro apprendistato nella bottega di Tommaso Redi, incaricato da Cosimo
iii di istruirli nell’arte del disegno e nella pittura, sembrano avvalorare la sua tesi. Infatti il Nikitin e i suoi
compagni, dopo aver abitato per circa un anno a Venezia, giunsero a Firenze in un momento compreso
tra il 6 e il 28 luglio 1717, periodo che mal si combina con la data riportata nella iscrizione.
Diverse fonti attestano la particolare premura con la quale i russi furono accolti a corte. Il granduca si
preoccupò anche di tenere costantemente informato lo zar sul progresso compiuto dai suoi protetti, elogiando soprattutto i fratelli Nikitin. La loro permanenza a Firenze si protrasse fino al 1719, quando furono
richiamati a San Pietroburgo da Pietro il Grande.
R.G.
Bibliografia: M.L. Guarducci, in Firenze 1988, pp. 99-101, nn. 1-2; Meloni Trkulja 1989, p. 849; Chiarini 1993, pp.
224 figg. 9-10, 225; Androsov 1995, pp. 16-17 nota 18; S. Meloni Trkulja, in Firenze 1995, pp. 62-63, nn. 24-25
229
9. Coppa
Cina,
xvi-xvii
secolo
giada intagliata, diam. cm 12
Firenze, Museo di Storia Naturale, sezione Mineralogia, Università di Firenze, inv. 1947 n. 13633
230
La coppa giunse a Firenze, insieme a un’altra uguale (inv. n. 13634), nel 1698 quale dono del “Principe Galliceno moscovita” al Granduca Cosimo iii (1639-1723) (Morena 2005, p. 156). Pur non avendo una precisa
documentazione a proposito, si può forse ipotizzare che questo personaggio sia in realtà il principe Dmitrij
Mihajlovič (1665-1737) della nobilissima casata dei Galitzine. Inviato in Italia nel 1697 da Pietro il Grande
(1672-1725) per acquisire nozioni sulle strategie militari, è perciò probabile che il Principe russo abbia
offerto al Granduca queste due preziose coppette in occasione di una sua visita a Firenze. Se così fosse
accaduto, il dono risalirebbe in origine allo zar che, almeno in un altra caso (cat. n. 11), avrebbe scelto un
manufatto cinese come regalo per i Medici di Toscana.
Comunque sia andata, le due coppe furono subito dopo sistemate nella Tribuna degli Uffizi, sicuramente
entro il 1704, anno in cui fu compilato un inventario di quel prestigiosissimo ambiente; lì rimasero fino
almeno al 1769, per poi passare al nascituro Real Museo di Fisica e Storia Naturale e, in seguito, nel
Museo di Mineralogia, dove tuttora si trovano (A.M. Massinelli, scheda storico-artistica presso il Museo di
Storia Naturale-Sezione Mineralogia; Massinelli 1992).
Oltre alle spezie, nel xvi-xvii secolo i mercanti occidentali si rifornivano dalla Cina soprattutto di vasellame in porcellana e di contenitori e mobilio in lacca, materiali ancora allora sconosciuti agli europei
che ne erano perciò affascinati per l’aurea di mistero che li circondava. Nonostante ciò, la curiosità nei
confronti di una cultura tanto lontana e diversa come quella cinese stimolò l’importazione anche di altri
generi di oggetti, come le rarità della natura oppure manufatti insoliti e preziosi per materiali, tecniche
di lavorazione e destinazioni d’uso.
I manufatti in giada non facevano parte di quelle tipologie di oggetti che erano esportate dal grande impero
estremo-orientale verso l’Europa con consuetudine. Sono infatti rarissime le giade cinesi presenti nelle collezioni storiche occidentali, nonostante già il gesuita Matteo Ricci (1552-1610), in Estremo Oriente dal 1582
alla sua morte, avesse scritto che ai suoi tempi la giada era “molto stimata nella Cina” (Clunas 1987, p. 69).
Per questo il nucleo di cinque giade cinesi conservato nei musei fiorentini assume una particolare rilevanza
nell’ambito della storia dell’antico collezionismo di arte estremo-orientale in Europa. Oltre alle due coppe
che qui si discutono, infatti, nel Museo degli Argenti di Palazzo Pitti si trovano tre altre piccole tazze in giada
cinese, molto probabilmente anch’esse appartenute ai Medici (Morena 2005, pp. 119-120, nn. 77-78).
Le due coppette del Museo di Mineralogia sono esemplari raffinatissimi dell’arte dell’intaglio della giada, pietra alla quale i cinesi hanno da sempre attribuito un particolare significato, e persino proprietà
magiche. Manufatti in giada erano interrati abitualmente nelle sepolture dei dignitari fin dall’Epoca
Neolitica, per assolvere a funzioni rituali di vario tipo, e tale usanza perdurò almeno fino al tempo della
dinastia Han (206 a.C.-220 d.C.). Confucio (551-479 a.C.) considerava questa pietra come “la perfetta
incarnazione delle virtù dell’uomo”, per la sua levigatezza, la sua solidità, la sua translucidità e la sua
musicalità, mentre i maestri daoisti la tenevano come amuleto per preservare il corpo dal decadimento,
sia in vita sia dopo la morte.
Nei secoli successivi, pur perdendo gran parte dei suoi significati magici, la giada è rimasta la pietra
più amata dai cinesi, che le attribuiscono tuttora particolari proprietà simboliche. Nel tempo, gli artigiani
specializzati nella lavorazione della giada hanno affinato le loro tecniche, riuscendo a produrre oggetti
raffinatissimi, per grazia e virtuosismo di intaglio. Come queste due coppette, ognuna delle quali ricavata da un singolo blocco di pietra di colore tendente al verde chiaro, con sfumature che variano nello
spettro cromatico del bianco e del bruno. Intorno al contenitore a forma di corolla di fiore di loto (in
origine forse usato dal letterato cinese come sciacquapennelli o per provare la consistenza dell’inchiostro, mentre pare improbabile che potesse essere usato per contenere una bevanda: Wilson 2004, p.
42) si dipana un mirabolante florilegio di racemi e corolle, dettagliate con vena naturalistica. Esse ben
rappresentano gli sviluppi di questa tecnica artistica tra il xvi e il xvii secolo, dunque nella fase finale
della dinastia Ming (1368-1644).
Una coppa molto simile a questa, solo di dimensioni maggiori (cm 19,5) è conservata nel Victoria & Albert
di Londra (Clunas 1987, fig. 7; Wilson 2004, fig. 42).
F.M.
Bibliografia: Trosti-Ferroni 1986; Massinelli 1992, p. 214; Barbagli-Pratesi 2009, p. 241; F. Morena, in Parigi
2010, p. 232, n. 135; Cipriani-Fantoni-Poggi-Scarpellini c.s.
231
10. Scatola con bussola
Pietro i il Grande (Mosca, 1672-San Pietroburgo, 1725)
ante 1711
avorio tornito, cartoncino dipinto, bronzo dorato, ebano e cristallo
diam. alla base esterna cm 13,1; h. cm 9,7
Firenze, Palazzo Pitti, Museo degli Argenti, inv. Bargello 1879, n. 40
232
La scatola è costituita da tre pezzi di avorio africano lavorati al tornio. Il corpo cilindrico, ricavato da
una zanna nella sua parte cava, è contraddistinto sul lato esterno da un semplice motivo a onde e
superfici rese lisce dall’azione di polveri abrasive. La base e il coperchio, connessi al corpo tramite
filettature, sono stati realizzati da due sezioni trasversali di una zanna e presentano ornamenti simili
a quelli del corpo. Al centro del coperchio, entro una cornice bassa d’ebano, spicca il ritratto dello zar
Pietro i il Grande realizzato a pantografo, come dimostrano le numerose righe circolari lasciate dallo
strumento sulla superficie del bassorilievo. Il sovrano è effigiato a mezzo busto, di profilo verso destra,
con il capo laureato, armatura e paludamentum fermato sulla spalla da una fibula gemmata. All’interno
della scatola è montata una bussola protetta da una lastrina di cristallo. Questa è costituita da un cono
di bronzo dorato a cui sono fissati due fogli di cartoncino che racchiudono il metallo polarizzato. Sulla
faccia superiore del primo cartoncino è dipinta la rosa dei venti a sedici punte con il polo e uno dei punti
cardinali evidenziati. L’ago è mancante.
L’opera fu inviata in dono a Cosimo iii de’ Medici dallo zar Pietro il Grande attraverso il suo ambasciatore
Semen Grigorevič Naryškin, alla guida di un’imponente delegazione diplomatica giunta a Firenze nel
1711. Risale al 31 luglio dello stesso anno la prima citazione del prezioso manufatto nel Quaderno della
Guardaroba generale delle Robe Fabbricate che riporta: “Da S[ua] A[ltezza] R[eale] mandatoci di camera
l’appresso bussola da navigare, mandatali in dono dalla maestà dello Zar di Moscovia, la quale dissero
essere stata fatta con le proprie mani dalla maestà sua. Una bussola da navigare d’avorio in forma tonda lavorata a onde con suo coperchio simile, entrovi il ritratto dello Zar Pietro di Moscovia” (ASF, GM,
1172, c. 129r). Dal registro si apprende inoltre che l’opera, insieme alla sua custodia, ora perduta, in
pelle “stampata d’oro” e rivestita internamente di velluto rosso, venne consegnata a Francesco Bianchi,
conservatore della Galleria degli Uffizi. Qui ebbe modo di ammirarla Johann Georg Keyssler, il quale
nel suo Neueste Reise la cita tra i lavori in avorio tornito più curiosi della collezione granducale facendo
riferimento al nome del suo illustre esecutore (Keyssler 1740-1741, i, 1740, p. 496). Documentata negli
inventari di Palazzo Pitti del 1855 (ASF, IRC 4724, n. 29966), del 1860 (AGF, Inventario dei Vasi, Stipi,
Tavole in Pietre Dure, lavori in avorio e in ambra, vol. i, n. 247) e del 1863 (AGF, Invenatrio Oggetti d’Arte,
vol. i, n. 938), la scatola passò intorno al 1865 al Museo del Bargello (Campani 1884, pp. 108-109), per poi
giungere nella prima metà del Novecento al Museo degli Argenti.
L’esecuzione di oggetti in avorio più o meno complessi attraverso l’uso del tornio fu un’attività alla quale
si dedicarono diversi monarchi europei. Anche Pietro il Grande coltivò tale interesse, creando personalmente diversi tipi di manufatti, spesso da lui utilizzati come doni diplomatici. Lo dimostrano la bussola
degli Argenti e un calice conservato nel castello di Rosenborg (Rosenborg Castle 1963, p. 37, n. 3035),
molto probabilmente entrato a far parte delle collezioni reali all’epoca di Federico iv di Danimarca
(regnante dal 1699 al 1730), un altro estimatore dell’arte del tornire. Similmente in ambito mediceo si
impegnarono nella produzione di oggetti in avorio i principi Ferdinando e Gian Gastone sotto la guida
del tedesco Filippo Sengher, operoso maestro della corte granducale e ideatore di nuove soluzioni
tecniche legate all’uso del tornio e del pantografo che fecero di Firenze un centro all’avanguardia in
questo genere di lavorazioni. Non a caso l’ambasciatore Naryškin durante il suo soggiorno fiorentino si
rivolse a Francesco Sengher, figlio di Filippo, per far costruire una macchina per tornire simile a quella
utilizzata da Ferdinando de’ Medici richiestagli dallo zar. Di tutta l’operazione si fece carico il granduca
Cosimo iii, il quale nel 1712 inviò in dono lo stumento a Pietro il Grande insieme a due vasi in avorio
per dimostrarne le possibilità (Androsov 2009, p. 85).
R.G.
Bibliografia: Keyssler 1740-1741, i, 1740, p. 496; Campani 1884, p. 116; Aschengreen Piacenti 1963, p. 22, fig. 12;
Aschengreen Piacenti 1967, p. 157, n. 513; Firenze 1988, p. 98; M. Mosco, in San Pietroburgo 2003, p. 43, n. 115;
Lekhovich-Orsi Landini 2009, p. 54; Prato 2009, p. 228, n. 112
233
11. Sette frammenti di parato con raffigurazioni di gru, fenici
e bambini che giuocano
Cina, prima metà del
xvii
secolo
arazzi in seta, oro e argento, cm 81 x 96 (3), cm 163 x 52 (2), cm 160 x 184 (2)
Firenze, Palazzo Pitti, Museo degli Argenti, inv. MPP 1911, n. 9029
234
La storia nota di questi tessuti, ricostruita in ogni dettaglio a suo tempo dalla Westermann Bulgarella (1984), è oltremodo interessante. Nella più antica registrazione negli inventari dei Medici in cui compaiono, risalente al 1711, vi è annotato che furono
inviati come dono al granduca Cosimo iii de’ Medici (1639-1723) da parte di Pietro il Grande (1672-1725), zar di Russia. In
seguito furono conservati nella Guardaroba di Palazzo Vecchio fino al 1842, allorché si utilizzarono per rivestire la tenda che
copriva un ampio lucernario semicircolare (cm 166 x 550) nel Salotto Cinese nel Quartiere d’Inverno al secondo piano di Palazzo Pitti, ambiente allestito in quegli anni per volere della granduchessa Maria Ferdinanda di Sassonia-Lorena (1796-1865).
Fu allora che, per adeguarli allo scopo al quale erano stati destinati, i sette stralci furono cuciti insieme. La composizione non
fu disfatta nonostante nel 1846 fosse rimossa dal lucernaio del Salotto Cinese poiché non riusciva ad assolvere alla funzione
di filtrare la luce. I tessuti rimasero in questo stato fino al 1984, anno in cui un complesso restauro permise che fossero riportati
allo stato originario, nel quale si trovano tuttora.
Il gruppo si compone di sette pezzi. Tre (cm 81 x 96) mostrano una composizione con una gru (he) posata su una roccia con
fori oblunghi (taihu) che emerge dalle onde marine; tutto intorno nuvole, il disco solare, fiori e foglie di vario genere; tale scena
si distingue da quella presente in una fascia superiore, costituita da due fenici (fenghuang) che si affrontano divise da una
rigogliosa peonia (mudan). Due altri stralci, dalla forma piuttosto allungata (cm 163 x 52), mostrano una composizione con
alcune gru, rocce, onde, nuvole, pesche (taozi), un pomposo fiore di loto (lianhua) e alcuni oggetti: tutti gli elementi hanno
una forte carica simbolica e beneaugurale, soprattutto in riferimento all’auspicio di longevità. Le ultime due pezze, all’incirca
quadrate (cm 160 x 184), mostrano invece altrettante scene con una miriade di bambini occupati in varie attività di gioco per lo
più all’aperto, anche se si vedono pure alcuni padiglioni. Il tema qui raffigurato è quello dei “Cento Bambini” (baizi). Si tratta di
un soggetto tradizionale dell’arte cinese, che dovrebbe far riferimento alla storia di Wen Wang (1231-1135 a.C.), il duca dello
stato di Zhou, il quale aveva novantanove figli suoi: raggiunse i cento adottando un trovatello perdutosi nei campi dopo una
tempesta. Molto popolare soprattutto durante la dinastia Qing (1644-1911), questo tema fu utilizzato su ogni tipo di supporto,
con lo scopo principale di augurare una prole numerosa.
Prima che giungessero in Russia alla corte di Pietro, per poi essere trasferiti definitivamente a Firenze, in Cina questi tessuti
erano in origine stati realizzati per ornare un tempio. I due pezzi dalla forma allungata dovevano servire per rivestire altrettante
sedie; i tre dalla forma più quadrata dovevano ornare tre altari, con la parte con le gru che ricadeva a vista sul davanti dei
tavoli e la sezione più stretta con le fenici posata sul piano; i due più ampi, infine, con le scene con i bambini, potevano essere
sistemati alle pareti con scopo decorativo.
Questi preziosi tessuti sono esemplari di una tipologia tessile cinese nota con il termine kesi (“seta tagliata”). Conosciuta
fin dalla dinastia Tang (618-906) e usata ampiamente in quella Song (960-1279) soprattutto per riprodurre famosi dipinti del
tempo, questa tecnica ha certe analogie con quella usata per la manifattura degli arazzi in Europa. Consiste quindi nella sovrapposizione di fili di seta colorata su una base in seta a formare il tema decorativo. Impreziosisce ulteriormente questa già
elaborata lavorazione la presenza diffusa di fili d’oro e d’argento.
Non conosciamo con certezza in quale occasione e con quali modalità Pietro il Grande sia venuto in possesso di questi tessuti
cinesi. Tuttavia, è noto che l’Impero Russo riuscisse ad avere costanti rapporti commerciali e diplomatici con la Cina per lo
meno dalla metà del xvii secolo, nel momento quindi in cui gli stranieri mancesi desautorarono l’ultimo imperatore della dinastia
Ming (1368-1644), fondando contemporaneamente la dinastia Qing (1644-1911). Una prima ambasceria russa fu ricevuta a
Pechino già nel 1653, mentre nel 1689 fu siglato a Nertchinsk un importante patto di non-belligeranza. I rapporti tra Pietro e il
potentissimo imperatore cinese Kangxi (regno 1662-1722) culminarono nel 1719-1720, anno in cui una missione diplomatica
russa fu ricevuta con tutti gli onori nella capitale del Regno di Mezzo. Fu allora che il sovrano cinese inviò in dono allo zar delle
Russie una serie di pannelli tessuti, i quali però non comprendevano evidentemente anche queste pezze di Palazzo Pitti che,
come si è scritto sopra, si trovavano a Firenze per lo meno dal 1711 (Vainker 2004, p. 194).
Non deve sorprendere che Pietro il Grande scegliesse come dono per Cosimo iii de’ Medici dei manufatti cinesi. Era già successo,
probabilmente, nel 1698 circa, allorché forse il principe Dmitrij Mihajlovič (1665-1737) donò al Granduca di Toscana due preziose
coppe in giada, quasi sicuramente su incarico dello Zar per conto del quale si trovava in missione in Italia (cat. n. 9). Per certo il
sovrano russo – che aveva allestito una sua straordinaria Kunstkammer (‘Camera delle Meraviglie’) nella quale non mancavano
rarità dell’Asia orientale, trasferita da Mosca a San Pietroburgo nel 1714 e aperta solennemente al pubblico nel 1719 – doveva
avere notizia della passione di Cosimo iii per la Cina e la sua cultura che, in quegli stessi anni, lo aveva spinto a raccogliere un
gran numero di manufatti artistici e curiosità naturali di là provenienti (Morena 2005, pp. 82-84, 145-157).
F.M.
Bibliografia: Westermann Bulgarella 1984; Aschengreen Piacenti 1990, p. 30, n. 59; Colle 1991, p. 56; San Pietroburgo 2003, pp. 42,
164, n. 114; Morena 2004, p. 47; Morena 2005, pp. 188-189, n. 86
235
12. Medaglia commemorativa per la nascita di Pietro i il Grande
Peter Paul Werner (Norimberga, 1689-1771)
metà del xviii secolo
236
argento, mm 66,7
iscrizioni: sul D, intorno lungo l’orlo: alexivs michaelis filivs d. g. tzar et magnvs dvx totivs rvssiae; sotto la
troncatura del busto dello zar, in due righe: P.P. Werner / Fecit. N; sul R, in alto lungo l’orlo: spes magna
fvtvri; nell’esergo, in tre righe: petrus alixii filius / natus 30 maii / mdclxxii
Firenze, Museo Nazionale del Bargello, inv. n. 8801
La medaglia presenta sul dritto i busti accollati di tre quarti a destra dello zar Aleksej Mihajlovič, con
scettro sormontato dall’aquila bicipite imperiale russa e globo crocifero, e della zarina Natal’ja Kirillovna
Naryškina, contraddistinta da una elaborata acconciatura ornata di perle. Sul rovescio, entro una cornice
modanata, è raffigurata la personificazione della Russia con il capo cinto da corona turrita che riceve dalle
braccia della Gloria, seduta su di un trono di nuvole, il piccolo Pietro, divenuto zar nel 1682.
L’esemplare faceva parte di un gruppo comprendente ottanta medaglie, tutte in argento, e otto gettoni,
pure in argento, inviato nel 1768 alla corte di Vienna da Caterina ii, probabilmente come dono a Giuseppe ii d’Austria, divenuto da poco imperatore (1765). Depositato presso il Gabinetto imperiale delle
medaglie di Vienna, tale nucleo, accompagnato da un catalogo manoscritto in russo e da uno in lingua
francese (AGF, filza iv B, 1771, 3, cc. n.n.), passò in seguito a Firenze, dove fu custodito presso la
Biblioteca Palatina fino al 2 luglio 1771, data in cui venne affidato alla custodia di Raimondo Cocchi,
responsabile del Gabinetto delle gemme e del medagliere della Galleria degli Uffizi. Da qui, nel 1897,
giunse al Museo del Bargello.
Dai cataloghi descrittivi in russo e in francese della serie risulta che le medaglie erano ordinate secondo
una precisa sequenza, che si apriva proprio con l’esemplare dedicato alla “naissance de l’Empereur Pierre Premier arrivée l’an 1672 le 30 de -may” e terminava con quello “Sur le transport des bles de Livonie
et d’Estonie dans le port de S. Petersbourg en tem[p]s de disette 1767”.
La realizzazione della medaglia di Pietro i si deve a Peter Paul Werner, importante medaglista tedesco
che dalla sua città natale, Norimberga, lavorò per diverse zecche e per le principali corti europee, ivi
compresa quella russa. L’opera fu verosimilmente commissionata dall’imperatrice Elisabetta, secondogenita di Pietro i e di Caterina i, durante il suo regno (1741-1762) per celebrare solennemente il
ricordo della nascita del padre, figlio dello zar Aleksej e della sua seconda moglie Natal’ja Kirillovna
Naryškina. Le effigi dei due sovrani, ritratti secondo i dettami della moda russa del tardo xvii secolo,
colpiscono per la ricchezza delle vesti e dei gioielli: Aleksej, in particolare, porta in testa un imponente berretto ornato di pelliccia, gemme e perle. Un numero impressionante di pietre preziose decora
anche la sopravveste finemente ricamata dello zar, dal cui collo pende una croce gemmata appesa a
una lunga catena.
R.G.
Bibliografia: Forrer 1904-1930, vi, 1916, p. 454 (altro esemplare); G. Toderi, F. Vannel, in Firenze 1988, p. 4, n. 1
237
13. Medaglia commemorativa per l’ascesa al trono di Pietro i il Grande
Samuel Judin (San Pietroburgo?, 1730 ca-post 1800)
ante 1768
argento, mm 66
iscrizioni: sul D, intorno lungo l’orlo: (rosetta) petrvs . alexii . filivs . d. g. tzar . et magnvs .dvx . totivs . rvssiae; nella troncatura
del busto su due righe, in caratteri cirillici: samuel / judin; sul R, in alto lungo l’orlo: mea . mecvm . ascendes . in altvm; nell’esergo,
in due righe: imperii . habenas . capessit . xxvii / aprilis . mdclxxxii
Firenze, Museo Nazionale del Bargello, inv. n. 8803
14. Medaglia commemorativa per l’annientamento degli Strel’cy
Samuel Judin (San Pietroburgo?, 1730 ca-post 1800)
ante 1768
argento, mm 65,9
iscrizioni: sul D, intorno lungo l’orlo: (rosetta) petrvs . alexii . filivs . d. g. tzar . et magnvs .dvx . totivs . rvssiae; sul R, in alto
lungo l’orlo: salvs . pvblica . firmata. Nell’esergo, in due righe: perduellibus . deletis / mdcxcviii. Nella troncatura del terreno, fra
due ramoscelli di olivo, in caratteri cirillici: incisione di samuel judin
Firenze, Museo Nazionale del Bargello, inv. n. 8810
238
Le due medaglie presentano sul dritto lo stesso ritratto di Pietro i il Grande, raffigurato a mezzo busto di profilo a destra. Lo
zar, laureato, indossa un’elegante armatura ornata sul petto da una terrificante testa di Gorgone e una clamide soppannata di
ermellino e seminata di aquile imperiali russe. Sul rovescio del primo esemplare, al centro di un ampio paesaggio rischiarato
dai raggi di un sole nascente, Pietro i, vestito all’antica e coronato di alloro, conduce per mano la personificazione della Russia,
resa come una giovane donna riccamente panneggiata, con la testa cinta da una corona turrita e uno scudo a volute su cui
risalta l’aquila bicipite imperiale. Il sovrano è colto nell’atto di indicare con la mano destra un sentiero tortuoso che conduce
verso la cima di un monte, dove si erge un grande edificio. Sul rovescio del secondo esemplare campeggia la figura statuaria
di Ercole, con la clava appoggiata sulla spalla sinistra e il capo coperto dalla leontè. L’eroe è rappresentato mentre brucia con
una face le teste dell’idra di Lerna giacente ai suoi piedi.
Come il pezzo illustrato alla scheda precedente, le medaglie facevano parte di un gruppo di ottantotto esemplari di argento
inviato a Firenze dalla corte imperiale di Vienna. Entrambe le opere recano la firma in caratteri cirillici di Samuel Judin, uno dei
più prolifici medaglisti russi della seconda metà del xviii secolo. Nato probabilmente a San Pietroburgo, lo Judin frequentò la
scuola per incisori della zecca di quella città, lavorandovi poi in veste di collaboratore dal 1757. Cinque anni più tardi assunse il
prestigioso incarico di medaglista ufficiale della corte imperiale, carica che ricoprì insieme a Timothei Ivanoff. I due artisti furono molto apprezzati per le loro doti di ritrattisti da Caterina ii. Per lei crearono effigi permeate da una sobrietà stilistco-formale
di stampo neoclassico in linea con quanto proposto dai più importanti incisori dell’epoca sui conî delle potenze dell’Europa
occidentale. Nel caso dello Judin sappiamo che Caterina gli commissionò in diverse occasioni repliche di medaglie dedicate
ad importanti avvenimenti della storia russa verificatisi durante il regno di Pietro i il Grande, del quale l’imperatrice si riteneva
la diretta discendente nonostante le sue origini straniere. In questo filone si inseriscono anche gli esemplari in esame. Quello
recante sul rovescio l’immagine della Russia guidata da Pietro il Grande celebra l’ascesa al trono dello zar, avvenuta nel 1682
insieme al fratellastro Ivan, col quale regnò fino al 1689. L’altro commemora la feroce repressione della rivolta degli Strel’cy
(1698), un antico e potente corpo militare in stretti rapporti con gli oppositori di Pietro i. Tale evento portò la Russia sotto il
pieno controllo dello zar e segnò l’inizio di una stagione di importanti riforme che fecero progredire il paese secondo il modello
dell’Occidente. Contemporaneamente Pietro i si fece promotore di un radicale rinnovamento delle arti, chiamando a lavorare
alla sua corte un gran numero di architetti, scultori e pittori stranieri. Al pari di altri regnanti europei, e in particolare dei Medici,
egli esaltò la sua persona facendosi rappresentare su diversi conî nelle sembianze di Ercole, considerato fin dal Medioevo
un esempio di rettitudine e di virtù. Il parallelo fra lo zar e l’eroe mitologico fu rilanciato da Caterina ii. Oltre all’esemplare per
l’annientamento degli Strel’cy con l’impresa di Ercole e l’idra, Judin replicò su commissione dell’imperatrice anche la medaglia
realizzata da Philipp Heinrich Müller per la vittoria di Pietro il Grande sull’esercito svedese a Poltava (1709), in Ucraina, nel cui
rovescio compare un possente Ercole con la clava stante sopra un trofeo d’armi e di vessilli (G. Toderi, F. Vannel, in Firenze
1988, p. 20, n. 21).
R.G.
Bibliografia: Forrer 1904-1930, iii, 1907, p. 92 (altri esemplari); G. Toderi, F. Vannel, in Firenze 1988, p. 4, n. 2 e pp. 6, 8, n. 5
239
Bibliografia generale
I titoli dei volumi russi di cui non esiste
traduzione nell’alfabeto latino sono stati
citati nella loro forma traslitterata unitamente alla traduzione in italiano
BdU, ms. 71
Inventario di tutte le figure, quadri et
altre cose della Tribuna, 1589-1634,
Firenze, Biblioteca degli Uffizi, ms. 71
Fonti
BdU, ms. 76
Inventario della Galleria, Tribuna e
altre stanze consegnato a Bastian
Bianchi come custode di essa, fatto
questo dì detto, 9 di Dic. 1638 (16381654), Firenze, Biblioteca degli Uffizi,
ms. 76
manoscritte
ASF, IRC 4724
Inventario dei Mobili dell’I. e R. Palazzo
Pitti, tomo 10, 1855, ASF, Imperiale e
Real Corte 4724
ASF, GM 698
Conti della Guardaroba generale 16581660, ASF, Guardaroba Medicea 698
ASF, GM 1067
Inventario di Quadri ed altro a Pitti [del
gran principe Ferdinando de’ Medici],
ASF, Guardaroba Medicea 1067
ASF, GM 1185
Quadri del Reale Palazzo Pitti [del gran
principe Ferdinando de’ Medici], s.d.
[1702?], ASF, Guardaroba Medicea 1185
242
ASF, GM 1222
Inventario dei Mobili, e Masserizie della
proprietà del serenissimo signor principe
Ferdinando di gloriosa ricordanza,
ritrovate doppo la di lui morte nel suo
appartamento nel Palazzo de’ Pitti, e
sono l’appresso, cioè [...], 1713, ASF,
Guardaroba Medica 1222
ASF, GM 1260
Quaderno della Guardaroba generale
delle Robe Fabbricate di S. A. R., 17181722, ASF, Guardaroba Medicea 1260
ASF, MdP 5487
Riscontri di Mandati [di Mattias de’ Medici] che si fanno alla giornata al Signor
Tesoriere e prima, 1656-1662, ASF,
Mediceo del Principato 5487, cc. 1-96
ASF, MM 444
Ambasciadori Moscoviti, in ms. senza
titolo [Diario di etichetta], 1659-1662,
ASF, Miscellanea Medicea 444, cc. 1-13
BdU, ms. 62
Giornaletto delle Gallerie, 1646-1688,
Firenze, Biblioteca degli Uffizi, ms. 76
BdU, ms. 67
Catalogo dimostrativo della Real
Galleria Austromedicea di Firenze come
era nell’Aprile dell’anno 1768, Firenze,
Biblioteca degli Uffizi, ms. 67
BdU, ms. 70
Inventario di tutte le figure, quadri et
altre cose della Tribuna, 1589, Firenze,
Biblioteca degli Uffizi, ms. 70
BdU, ms. 79
Inventario di quadri che si ritrovano
negl’apartamenti del gran Palazzo
de’ Pitti di Sua Altezza Reale, alcuni
dei quali sono dell’eredità del serenissimo cardinale Leopoldo, e per qui
col proprio numero, come ancora per
maggior chiarezza con la presente
cifra S:C:L:,altri sono dell’eredità del
serenissimo gran principe Ferdinando
ambi di gloriosa memoria, e questi si
noteranno col proprio numero e con
la presente cifra S:P:F:, altri sono di
proprietà del serenissimo gran duca
Cosimo terzo felicemente regnante
[...], 1716-1723, Firenze, Biblioteca
degli Uffizi, ms. 79
BdU, ms. 95
Inventario delle preziose antichità ed
insigni memorie che si conservano
nella magnifica Imperial Galleria di
Sua Maestà Cesarea, 1753, Firenze,
Biblioteca degli Uffizi, ms. 95
BdU, ms. 98
Inventario Generale di tutte le Antichità,
Pitture, e altre preziose rarità che si
conservano nella Real Galleria di S.A.R.
Pietro Leopoldo i Arciduca d’Austria
Gran Duca di Toscana, 1769, Firenze,
Biblioteca degli Uffizi, ms. 98
BdU, ms. 113
Inventario Generale della Real Galleria
di Firenze compilato nel 1784 essendo
direttore della medesima Giuseppe
Bencivenni già Pelli N.P.F. colla
presenza ed assistenza del signore
Pietro Mancini ministro dell’Uffizio
delle Revisioni e Sindacati, Firenze,
Biblioteca degli Uffizi, ms. 113
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a stampa
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1995, pp. 13-17
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tajnogo sovetnika Fëdora Ivanoviča
Prjanišnikova (Descrizione della pinacoteca del consigliere segreto Fëdor
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Aničkov 1855
I. Aničkov, Opisanie kartinnoj galerei
tajnogo sovetnika Fëdora Ivanoviča
Prjanišnikova (Descrizione della pinacoteca del consigliere segreto Fëdor
Ivanovič Prjanišnikov), San Pietroburgo
1855
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Zjuzeva 2009
S.G. Zjuzeva, Ikonnye oklady vtoroj
poloviny xvi v. s drobnicami iz masterskih Moskovskogo Kremlja // Drevnerusskoe iskusstvo. Ideja i obraz. Opyty
izučenija vizantijskogo i drevnerusskogo
iskusstva. Materialy Meždunarodnoj
naučnoj konferencii 1-2 nojabrja 2005 g.
/ Red.-sost. A.L. Batalov, E.S. Smirnova
(Le cornici di icone della seconda metà
del xvi secolo con le placchette provenienti dalle Botteghe del Cremlino di
Mosca// L’arte antica. L’idea e la figura.
Esperienze di studio dell’arte bizantina e
antico russa, materiali della conferenza
internazionale scientifica 1-2 novembre
2005/ a cura di A.L Batalov, E.S. Smirnova) Mosca 2009, pp. 443-455
1000-letie 1988
1000-letie ruskoj hudožestvennoj kultury
(Mille anni di cultura artistica), Mosca
1988
247
Il Tesoro
del
Cremlino