Lo specchio magico e infranto dei nostri tempi

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Lo specchio magico e infranto dei nostri tempi
giornalino 06 ok
12-05-2006
9:41
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José Saramago
giovedì 22 giugno
con la voce di Massimo Popolizio e la musica di Ali Shaigan
Lo specchio magico e infranto dei nostri tempi
di Arnaldo Colasanti
Due sono le grandi
accettabile, la spietatezza, dolore senza più sofferenza, come un Il Gesù in croce di Saramago (Il
bambino che chieda perché, perché Vangelo secondo Gesù Cristo, 1991)
ossessioni della letteratura l’ingiustificata assurdità
fissa un Padre celeste che, sorridendo,
accade tutto questo.
di José Saramago: la
degli eventi.
La forza poetica di Saramago è quello facendo spallucce, esclama: “Né io
memoria ovvero l’ostinata
necessità di far resistere
Narratore, poeta e drammaturgo, José Saramago nasce ad Azinhaga, in Portogallo, nel 1922. Dopo
qualcosa della vita; poi
diverse occupazioni precarie, trova un impiego stabile nel campo dell’editoria e approda infine al
il disincanto, il sentimento
giornalismo, mestiere che eserciterà con successo e passione spesso in contrasto con il regime di
struggente per la
Salazar. Negli anni Sessanta scrive sulla rivista «Seara Nova» divenendo uno dei critici più seguiti del
precarietà della condizione
paese. Dopo la Rivoluzione dei Garofani, nel 1974 si dedica a tempo pieno alla letteratura, in soli
umana – il fatto che la
sei anni pubblica tre opere di grande impatto: Memoriale del convento (1982), L'anno della morte di
furia del sangue non
Ricardo Reis (1984) e La zattera di pietra (1986), che ricevono numerosi ed importanti riconoscimenfinisca mai e si diffonda
ti. Nel 1998 l’Accademia di Svezia gli conferisce il Premio Nobel per la Letteratura, premiando sia le
tra le cose.
sue qualità di scrittore sia l’uomo delle battaglie civili: «Una grande responsabilità, ecco cos'è. Sono
La vicenda di José, ragazzino di
Azinhaga, una frazione di Golegã nel
Ribatejo portoghese; quell’infanzia fra
gli uliveti e i maiali, un fiume silenzioso, il nonno massiccio come un profeta della Bibbia, quel vecchio che
dormiva accanto ad un bambino per
continuare a raccontargli le storie più
antiche del mondo, e il bianco di una
luna indimenticabile quasi fosse la
prima del primo giorno della
creazione; la realtà di José, insomma,
è tutt’una con la grande favola dello scrittore Saramago: colui che ha imparato a
scrivere nel silenzio delle biblioteche di
Lisbona, credendo che solo questo
significasse non far più morire la vita.
Il lettore di Saramago sa che la sua
letteratura non ha nulla di futile, né di
fatuo: è un morso caldo di sopravvivenza. In un libro del ’95 Cecità le
domande sono già un secco no prima
che la possibile risposta: “Di quanti
ciechi ci sarà bisogno per fare una
cecità. Nessuno gli seppe rispondere”.
Saramago possiede la
rabbia e il rigore della
disperazione. Ma nella sua
pagina niente è confuso,
nulla è lasciato a scorciatoie. Anzi, il dolore diventa
il perfetto dominio della
materia umana: mai come
in Saramago ci sembra di
vedere lo statuto di chi,
scrivendo, sappia rendere
comprensibile, perfino
il primo portoghese a vincerlo e ne sento l’importanza. Non smetterò mai di ripetere che una cultura
della periferia non è una cultura periferica». Bibliografia Memoriale del convento, Mondadori, 1999;
L’anno della morte di Ricardo Reis, Mondadori, 1999; La zattera di pietra, Mondadori, 1999; Il concerto dell’unicorno, in «Leggere», ottobre 1989; Storia dell’assedio di Lisbona, Einaudi, 2000; La
seconda vita di Francesco d’Assisi, Einaudi, 1997; Una terra chiamata Alentejo, Einaudi, 2006; Il vangelo secondo Gesù Cristo, Einaudi, 2002; L’anno mille993, Einaudi, 2001; Manuale di pittura e calligrafia, Einaudi, 2003; Il perfetto viaggio, Einaudi, 2006; Viaggio in Portogallo, Einaudi, 1999; Cecità,
Einaudi, 2003; Oggetto quasi, Mondadori, 1999; Teatro (comprende La notte, Cosa ne farò di questo
libro?, La seconda vita di Francesco d’Assisi e In Nomine Dei), Einaudi, 1997; Tutti i nomi, Mondadori,
1999; Il racconto dell’isola sconosciuta, Mondadori, 1999; Poesie, Einaudi, 2002; L’uomo duplicato,
Einaudi 2003; Saggio sulla lucidità, Einaudi, 2004; Don Giovanni o Il dissoluto assolto, Einaudi, 2005;
Le intermittenze della morte, Einaudi, 2005; Di questo e dell’altro mondo, Einaudi, 2006.
Nel Memoriale del convento (1982) il
sogno di costruire una casa mai vista,
quella sontuosa Cattedrale con la volta
grande quanto il cielo, diventa il nostro
incubo, la processione di vittime e di
esseri sconfitti dalla visionarietà dell’illusione: “Come i mattoni. Quelli che
non sono adatti, se il carico è stato di
mattoni, restano lì, finiranno per servire
in opere di minore importanza, non
mancherà chi li possa utilizzare, ma se
si tratta di uomini, li mandano via, alla
buonora, buona o cattiva che sia. Non
servi, tòrnatene al tuo paese, e quelli se
ne vanno, per strade che non
conoscono, si perdono, diventano
vagabondi, muoiono per la strada, a
volte rubano, a volte ammazzano, a
volte arrivano”. Appare l’orrore nudo.
Eppure Saramago non tace, né desiste:
il suo uomo, il suo essere uomo, è la
cosa più vicina all’Ecce Homo del
Metropolitan Museum, il volto che, per
Antonello da Messina, ha ormai lo
sguardo mortificato e offeso da un
sguardo, è la ferita negli occhi che
svuotano e, in questo, stringono dentro
un pugno di pietra la realtà. Se i suoi
paesaggi (quelli di Una terra chiamata
Alentejo, 1980) sono sempre segreti e
perturbanti, è perché restano delle spine,
delle splendide bestie nella nostra oscura spiritualità.
La stessa filigrana della
scrittura (il famoso “stile
orale” di Saramago) batte
con un magnetismo di
timbri e di colori (intensi
persino nella traduzione).
Eppure non dilaga mai
come l’inflorescenza dello
stile; piuttosto si dà quale
il guscio serrato di una
fede alla complessità,
all’inspiegabilità del reale.
posso farti tutte le domande, né tu puoi
darmi tutte le risposte”. Quel Padre per
José è orrore. Ma anche qui penetra la
lama della poesia. Mentre sotto la
croce, in una scodella nera, gocciola il
sangue di un uomo perso, la voce di
fronte ad un mondo che odia recita
l’ultima preghiera: “Uomini, perdonatelo, perché non sa quello che ha
fatto”.
Quest’amore, la sua
emblematica, ossessiva
verità è José Saramago: il
rigore di non dimenticare
mai che amare significa
restare perdutamente soli
in uno sguardo fermo sugli
altri. Saramago, Premio
Nobel 1998, è davvero lo
specchio magico e infranto
dei nostri tempi.
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