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SAPIENZA UNIVERSITÀ DI ROMA
FACOLTÀ DI FILOSOFIA
CORSO DI LAUREA IN SCIENZE DELL'EDUCAZIONE E DELLA FORMAZIONE
ELABORATO DI LAUREA IN PEDAGOGIA GENERALE
Laureanda
Giulia Granati
Matricola
1162729
Relatore
Chiar.mo prof.
Nicola Siciliani de Cumis
Correlatore
Chiar.mo prof.
Corrado Veneziano
Parabole della prospettiva
Opere di Agresti, Bird, Ekk, Makarenko
Editrice
Nuova Cultura – Roma
Anno Accademico
2009 – 2010
Composizione grafica a cura dell’Autore/Autrice
Indice
Premessa .......................................................................................................... IX
Introduzione .................................................................................................. XIII
Capitolo primo – Faccia a faccia tra Remy e Makarenko ........................... 1
1.1. «Gradirei della prospettiva… fresca, chiara e ben condita» ................ 1
1.1.1. Un topo ai fornelli ............................................................................ 4
1.1.2. La squadra di Ratatouille ................................................................. 7
1.2. Anton Ego, Remy e i ragazzi di Makarenko: personalità in
progress ....................................................................................................... 10
1.2.1. La Disney-Pixar: a tu per tu con la prospettiva ......................... 14
Capitolo secondo – Due sognatori: Valentin e Makarenko ...................... 17
2.1. Alla scoperta di Valentin ........................................................................ 17
2.1.1. A proposito di Valentin .................................................................. 19
2.1.2. I valori di Valentin ......................................................................... 25
2.2. La grande forza d’animo dei due personaggi...................................... 30
2.2.1. La spinta della prospettiva ........................................................... 34
Capitolo terzo – Sergeev e Makarenko: due educatori a
confronto ............................................................................................... 39
3.1. La storia di Verso la vita ........................................................................... 39
3.1.1. Una fonte di prospettiva: il lavoro............................................... 47
3.2. Le comuni di Makarenko e Sergeev: nuove vite da costruire ........... 53
3.2.1. Confronti tra Makarenko ed Ekk ................................................. 57
Conclusioni ...................................................................................................... 63
Appendice- Avatar: il film del futuro ............................................................... 65
Appendice II- Una mappa speciale della prospettiva ......................................... 69
Bibliografia ........................................................................................................ 71
Sito-filmografia .................................................................................................. 73
Indice dei nomi .................................................................................................. 75
Indice delle tematiche......................................................................................... 77
Al mio passato, il mio presente, il mio futuro:
alle mie nonne che adoro e sono i miei punti di riferimento;
ai miei genitori che amo e mi hanno permesso di arrivare fino a qui;
a Raniero che mi è sempre stato vicino, anche nei momenti difficili.
A Martina che ha sopportato ogni mio sfogo con tanta pazienza
e ad Ilaria che con il suo carattere sempre allegro
è riuscita a far volare gli ultimi due anni di studio:
insieme è stato tutto più semplice.
Premessa
Eccomi giunta alla stesura dell’elaborato scritto per la tesi di Laurea.
Mi fa un certo effetto dirlo e, quasi, mi emoziono ad affermare che tra
poco diventerò Dottoressa in Scienze dell’Educazione e della
Formazione, si concluderà così un altro capitolo della mia vita.
Sono passati tre anni e qualche mese, da quando mi sono iscritta a
questa Facoltà e ho iniziato il mio percorso universitario; il tempo è
volato tra un esame e un altro, tra alti e bassi, e nuove amicizie. Ricordo
ancora l’emozione provata, la paura e le tante domande che occupavano
la mia mente il giorno del mio primo esame: “Cosa succederà? Saprò
rispondere? Mi ricorderò tutto? E se non supero l’esame?”. Sono
emozioni e domande che mi hanno pervasa ad ogni prova da affrontare
ma, al tempo stesso, ho imparato molto dalle esperienze fatte: ho iniziato
a dominare (un pochino) l’ansia, a impegnarmi sempre più per
raggiungere degli ottimi risultati e a capire che, in fin dei conti, se non si
supera un esame, si può sempre riprovare.
Secondo me, l’Università da questo punto di vista offre una grande
opportunità: dà la possibilità di sostenere nuovamente un esame per
migliorare il proprio voto; mette in condizione lo studente di dare
sempre il massimo e di sforzarsi il più possibile, affinché i suoi sforzi
vengano premiati con un buon voto.
Una struttura come l’Università, un piccolo universo del genere, aiuta
lo studente a maturare, a crearsi una propria personalità, a “fare da sé”;
quando si frequenta il Liceo, sono i genitori che pensano a tutto: dai libri
all’iscrizione e alle scadenze. Una volta che si entra all’Università non c’è
più nessuno che spiega allo studente a chi rivolgersi o dove deve andare
per trovare le informazioni che cerca, deve imparare da subito a
cavarsela e a contare sulle proprie capacità.
Nel mio piccolo posso affermare che è stata, per me e la mia famiglia,
una gioia immensa superare il test d’ammissione alla Facoltà e iniziare
questo percorso di studi che mi permetterà di lavorare a stretto contatto
con i bambini.
I primi tempi, devo ammetterlo, sono stati molto difficili; mi sentivo
spaesata, dovevo affrontare tutti i miei dubbi da sola, ma mi sono
innamorata subito di Villa Mirafiori e, iscrivendomi al gruppo
d’esercitazione, a poco a poco mi sono sentita meno sola e ho capito che
non ero l’unica ad essere confusa. Questo corso di Laurea per me è
organizzato benissimo: le esercitazioni di ricerca sono molto importanti
X
Premessa
soprattutto per le matricole che possono trovare buone guide nelle
figure del tutor, del mentore e degli altri studenti, anziani e non:
insomma è come se fosse una grande famiglia.
La piattaforma Moodle inoltre è un ottimo sostegno per i dubbi che ti
assalgono all’improvviso, per le informazioni più disparate e per le
notizie dell’ultima ora.
Proprio lo scorso settembre ho iniziato a lavorare in una scuola
materna e dell’infanzia privata di orientamento religioso, la stessa dove
ho trascorso tre anni d’asilo e cinque di Elementari. Sono molto
orgogliosa di questo mio primo impiego ufficiale, uno serio finalmente
dopo svariate collaborazioni saltuarie, con tanto di contratto, anche se a
tempo determinato ma a me per il momento basta: a 22 anni mi sembra
già un ottimo traguardo.
Sono entusiasta di questo lavoro, anche se è molto stancante; adoro
tutti i bambini che seguo e il loro affetto senza misure, un sorriso o un
bacio mi fanno dimenticare la stanchezza. Ormai mi sono affezionata a
tutti dai più piccoli- di tre, quattro e cinque anni- ai Cavalloni di prima
Elementare come li chiamiamo a scuola, ed è veramente uno spasso
vederli giocare e rapportarsi tra di loro, ascoltarli mentre si parlano,
sentire come vedono il mondo e come vedono noi grandi.
Sono impegnata dalla mattina presto fino al pomeriggio ma le
giornate volano e quando mi ritrovo a leggere l’orologio ormai è già ora
di tornare a casa ma al mattino dopo sono già pronta e di nuovo carica
per affrontare una nuova giornata.
In quest’ultimo periodo ho faticato molto a lavorare e a trovare il
tempo anche per sostenere gli ultimi esami e scrivere il mio elaborato di
Laurea. È un impegno nuovo, un diverso stile di vita per me che in
questi anni non ho fatto altro che frequentare i corsi, studiare e sostenere
esami.
Ed ora eccomi qua, nella mia cameretta, davanti al mio computer,
compagno di tante avventure, a scrivere l’elaborato per la tesi di Laurea
con il tempo che passa e non intende rallentare.
La mia decisione di affrontare un tema che crea un collegamento tra
l’educazione, l’infanzia e il cinema sta proprio nella mia passione
cinefila, un amore che mia madre, un’altra appassionata della settima
arte, ha aiutato a far crescere in me.
Grazie a lei ho imparato a riconoscere gli attori, a memorizzare i loro
nomi, ad apprezzare i film; ricordo ancora quando da piccola era
tradizione andare al cinema a Natale a vedere il film tra mamma e papà,
con i pop-corn in mano… Allora si vedevano solo film d’animazione o i
Premessa
XI
Cinepanettoni, come li chiamano adesso, quando ancora anche un
bambino di dieci anni li poteva vedere e non erano pieni di volgarità
come lo sono ora.
L’idea di analizzare tre film è nata quando, in seguito ad una lezione
di Pedagogia generale in cui il Professor Nicola Siciliani de Cumis cita il
film Ratatouille1 in relazione al tema della prospettiva nel Poema
pedagogico2 di Anton Semënovič Makarenko, vado al suo ricevimento e
gli propongo di affrontare quella tematica, un po’ particolare,
nell’elaborato d’esame.
Il collegamento tra la prospettiva individuata nel film e nel Poema
pedagogico è continuato poi con l’analisi di altri due film, sempre nell’ambito degli elaborati d’esame: Valentin3 di Alejandro Agresti e Verso la vita4
di Nikolaj Vladimirovič Ekk.
Queste quattro opere, Ratatouille, Valentin, Verso la vita e il Poema
pedagogico, sembrano non avere niente in comune, vista anche la grande
differenza temporale che le attraversa e i diversi ambiti in cui sono nate,
invece attraverso un’acuta analisi, ho scoperto che il tema della
prospettiva è prevalente in tutte, è un po’ le fil rouge che percorre e
colora le sequenze dei film e del libro.
È stata interessante la lettura del Poema pedagogico e rintracciare le
parti più significative che potessero ricollegarsi ai tre film in questione e,
viceversa fare lo stesso percorso durante la visione degli stessi,
soffermandomi ad esaminare i dialoghi più interessanti da questo punto
di vista. Ho visto e rivisto i film, letto e riletto il Poema, e devo dire che
ogni volta scopro sempre qualcosa di nuovo, un qualcosa che la volta
prima non avevo notato; queste opere sono una continua scoperta,
offrono degli insegnamenti continui e delle morali che non sempre si
possono rintracciare nei recenti film.
Ratatouille, di Brad Bird, Jan Pinkava, Disney-Pixar, USA 2007.
A. S. MAKARENKO, Poema pedagogico. A cura di N. SICILIANI DE CUMIS. Con la
collaborazione di F. Craba, A. Hupalo, E. Konovalenko, O. Leskova, E. Mattia, B.
Paternò, A. Rybčenko, M. Ugarova e degli studenti dei corsi di Pedagogia generale I
nell’Università di Roma “La Sapienza” 1992-2009. Roma, l’albatros, 2009.
3 Valentin, di Alejandro Agresti. C. Maura, J. Cardinali, R. Noya, J. P. Noher, M.
Urtizberea. Durata 86 min. circa. Castelao Producciones, Argentina, Olanda 2003.
4 Verso la vita, di Nikolaj Vladimirovič Ekk, titolo or.: Putëvka v žizn’ (tit. it. Verso
la vita; altro tit. it. Il cammino verso la vita). N. Batalov, I. Kyrlja, M. Džagofarov, M.
Žarov, A. Novikov, Mežrabpom-fil’m, Mosca, 1931. La versione a cui facciamo
riferimento è quella trasmessa da RaiTre nel 1997 durante la trasmissione Fuori
orario. Cose (mai) viste e della durata di 78’ ca.
1
2
XII
Premessa
Il Poema pedagogico è un romanzo di formazione perché racconta di
personalità umane in formazione, che mutano nel corso della storia e
crescono secondo una loro “logica”, in prospettiva; e perché, per l’appunto con queste caratteristiche, produce cambiamenti e in qualche
modo forma il lettore, gli offre nuove lezioni di vita e nuovi punti di
vista. In un certo senso, è quello che succede a chi guarda i tre film in
questione.
Queste opere analizzate sono speciali, rare da trovare, un giornalista
ha definito il film Valentin “un piccolo gioiello” e posso affermare che, in
qualche modo, anche le altre possono essere definite come dei piccoli
gioielli, preziosi perché unici e che non si finisce mai di scoprire e di
osservare.
Introduzione
Il tema principale dell’elaborato, come abbiamo detto, è l’analisi del
tema della prospettiva in relazione alla lettura del Poema pedagogico e alla
visione di: Ratatouille, Valentin e Verso la vita.
La prospettiva ha rapporti con la dimensione temporale e riguarda il
presente, il passato e il futuro; nell’ambito di essa possiamo parlare di
radici: ha delle basi nel passato, un presente in cui si radica e offre
sempre nuovi impulsi e nuove aspirazioni per il futuro.
Possiamo ritrovare l’essenza di questa parola dalla sua origine latina
prospĭcere: guardare innanzi. La prospettiva rappresenta una previsione,
la possibilità di futuri sviluppi, il progetto e il non avere paura delle
utopie.
Il termine è usato molto nell’arte, grazie alla prospettiva un quadro
può essere considerato da diversi punti di vista, a seconda da dove si
posiziona l’osservatore. La stessa cosa può accadere a chi legge il Poema
pedagogico che, essendo un romanzo di formazione, può trasformare, in
meglio, secondo una determinata prospettiva, sia il lettore che gli stessi
personaggi che fanno parte della storia e in un certo senso anche ai
protagonisti e agli spettatori dei film analizzati.
La prospettiva permette di creare realtà nuove, nuovi sviluppi
personali, consente di vedere lontano senza rimanere ancorati all’hic et
nunc, al qui ed ora. Ecco perché essa va di pari passo con il tema del
cambiamento e della crescita personale: due temi molto presenti nei film
e nel Poema pedagogico.
È una spinta molto importante verso il futuro, spesso incerto, che
permette all’uomo di non fermarsi mai a quello che ha già ottenuto; ma
che gli permette di raggiungere traguardi sempre migliori, è una sorta di
intreccio tra passato e futuro, dove nel futuro si può trovare il concetto
di nuovo, legato a quello della prospettiva e della fiducia, la stessa che
Makarenko ripone nei suoi ragazzi della colonia Gor’kij che
diventeranno degli uomini nuovi.
La pedagogia di Makarenko sembra assetata di “infinito”. Non le sono
sufficienti il lavoro, l’impegno collettivo, i progetti, particolari rappresentati dai
piani e dalla loro realizzazione: tutti scopi limitati che per sé a un certo punto
potrebbero standardizzare la vita del collettivo, deformandone il carattere
entusiasta e eudemonistico. Occorre dare all’uomo, adulto giovane, la
sensazione ininterrotta di una vita piena, impegnativa, dinamica. […] Infine il
XIV
Introduzione
concetto di prospettiva è definito da alcuni sinonimi come gioia, entusiasmo e
speranza nella gioia di domani5.
Makarenko è un personaggio con una grande forza d’animo e lo
dimostra in tutto l’arco della vicenda, nelle continue difficoltà che è
costretto ad affrontare; in questo senso egli rappresenta l’uomo della
prospettiva e del futuro, dimostrando che non bisogna mai arrendersi di
fronte alle difficoltà e che per ottenere ciò che si vuole, non si deve mai
perdere la speranza.
Allo stesso modo il coraggio può voler dire anche paura, perché la
prospettiva indica che bisogna guardare avanti ma non specifica cosa ci
sarà.
Anche i protagonisti dei film possono essere considerati degli uomini
della prospettiva, anche se il personaggio principale di Ratatouille è un
topolino, Remy, amante della cucina con un sogno nel cassetto:
diventare chef e Valentin, il protagonista del film di Alejandro Agresti,
ha solo 8 anni, e anche i protagonisti di Verso la vita sono tutti ragazzi,
dei besprizorniki6 che vengono accolti in una Comune di lavoro, un po’
come ha fatto Makarenko nella sua colonia Gor’kij e tentano di cambiare
il corso della loro vita attraverso il lavoro e la rieducazione.
Vediamo tutti questi personaggi nell’intento di realizzare i propri
obiettivi e i propri sogni, contando solo sulle loro capacità. Sono
“speciali” perché hanno una grande forza d’animo che li spinge a
combattere fino in fondo, anche se la loro battaglia sembra persa in
partenza.
Remy è un topolino che vive a Parigi con la sua famiglia. È diverso
dagli altri suoi simili perché cammina su due zampe, legge libri di
cucina e non si accontenta di mangiare spazzatura. Il suo sogno è quello
di diventare uno chef e alla fine non solo ci riuscirà ma aprirà anche un
piccolo bistrot, insieme alle persone che per prime hanno creduto in lui e
farà cambiare idea all’inflessibile critico gastronomico, Anton Ego, che
dovrà rivedere alcuni dei suoi principi quando assaggiando la divina
ratatouille scoprirà che l’ha cucinata un topo!
Valentin, d’altro canto, è un bambino di 8 anni che vive con la nonna
perché è stato abbandonato dai suoi genitori: la madre lo ha lasciato
A. LAURIA, L’uomo felice, in N. SICILIANI DE CUMIS (a cura di) e C. COPPETO (con la
collaborazione di), Makarenko “didattico” 2002-2009. Tra pedagogia e antipedagogia,
Roma, Nuova Cultura, 2009, p. 40.
6 Ragazzi (o bambini) abbandonati e/o senza tutela.
5
Introduzione
XV
quando era molto piccolo, il padre invece cerca di rifarsi una vita; il
ragazzino ha due grandi sogni: diventare astronauta e costruirsi una
nuova famiglia. È molto caparbio e determinato per la sua età e, se non
riuscirà ad andare sulla Luna perché “Armstrong l’ha fregato”, almeno
riuscirà nel suo secondo intento, formandosi così una famiglia un po’
speciale, come lo è lui del resto.
I ragazzi invece che fanno parte della Comune di lavoro, cercano di
cambiare il loro destino scritto tra i borghi della città. Ci pensa un
educatore, Sergeev, che li aiuta a redimere le loro vite attraverso il
lavoro e la fiducia nei loro confronti. I ragazzi che interpretano i
besprizorniki lo erano anche nella vita, non erano veri attori, il che rende
la vicenda ancora più autentica, ci fa vedere le condizioni in cui
vivevano realmente e come è cambiata la loro vita nel momento in cui
hanno incontrato l’ispettore Sergeev della Commissione per la tutela dei
bambini abbandonati.
I personaggi del Poema pedagogico e Makarenko stesso, hanno delle
forti personalità. Makarenko accoglie nella colonia Gor’kij un gruppo,
all’inizio ristretto, di ragazzi che vivono per le strade, che non hanno
una famiglia e dediti al furto e all’omicidio per sopravvivere. Il compito
di Makarenko è molto arduo, la rieducazione di questi ragazzi dura per
circa dieci anni ed è un percorso che il più delle volte viene
caratterizzato per le sue difficoltà.
La novità del metodo pedagogico di Makarenko consiste nel ricreare dal
basso la comunità degli ex-detenuti, riconsegnando loro il tempo, la sua
scansione, il ritmo, lo stile del vivere quotidiano. In questo senso, Makarenko è
un educatore classico. Prende per mano l’educando, lo conduce «fuori di sé»,
per farlo tornare in sé e fargli scoprire il Sé profondo, là dove l’identità si scopre
correlativa, quasi gemella, per così dire, dell’alterità. Dall’ego al gruppo; dal
gruppo alla storia, alla comunità, alla lucidità condivisa, alle regole esperite,
anche emotivamente come vincolanti. […] L’intento profondo del Poema
pedagogico di Makarenko è tutto lì, nel chiarire i termini di questa tensione e nel
farli interagire positivamente. Non c’è una formula data. Non esistono ricette
dall’esito sicuro. Ogni individuo è un mondo a sé: unico, irripetibile,
irriducibile. E tuttavia, non si dà problema dell’individuo che si esaurisca tutto
nei suoi termini individuali. Senza esserne un passivo o scontato epifenomeno,
l’individuo chiama in causa il sociale. I suoi problemi sono segnali di disagio. È
un’antenna che vibra e lancia messaggi che sono in realtà sintomi clinici:
rimandano alle contraddizioni meta-individuali della società globale.
Makarenko non si stanca di interrogarsi su questa ineliminabile tensione. Si
XVI
Introduzione
dirà: «cercare tesori e trovare lombrichi». Ma i lombrichi possono essere tesori.
Riciclano. fertilizzano. Ridanno vita a terreni esausti. I lombrichi
«trasfigurano»7.
I nostri personaggi della prospettiva, siano essi uomini o animali,
provenienti dal mondo di celluloide o da quello della carta stampata, sono coraggiosi, lottano per i propri ideali e traguardi da raggiungere e
alla fine il loro coraggio viene sempre premiato.
Ero dunque ad un passo (ma al liceo non c’ero ancora arrivato) dal sapere
che esisteva una questione relativa allo “specifico filmico”; e che ciascuno film
ha le sue fonti e la sua fortuna: ed una genesi, un impatto formativo, un’incidenza culturale ed ideologica a breve e a più lungo termine: esattamente come,
né più né meno, un’opera letteraria o d’arte figurativa o di musica o teatrale
ecc.8.
Inoltre è importante chiarire il titolo dell’opera Parabole della
prospettiva. Opere di Agresti, Bird, Ekk, Makarenko. Il termine “parabola”
rimanda immediatamente ad una dimensione religiosa: le parabole di
Gesù sono dei discorsi, in forma di racconto, che forniscono similitudini
ed esempi con scopi morali.
I valori dell’elaborato non sono di certo misticheggianti, l’intenzione
è quella di far conoscere i lavori, cinematografici e non, analizzati in una
chiave metaforica e pedagogica, cogliendo i temi e gli aspetti più
importanti che riguardano la crescita dell’individuo, la forza che questi
ha nell’affermare sé stesso e l’importanza del gruppo e della famiglia
all’interno dei quali il singolo può formarsi e trovare la propria strada.
La “parabola” è anche un’espressione usata in Matematica per
indicare una figura geometrica tracciata sul piano cartesiano che ha un
andamento discendente e ascendente; il termine è tendenzialmente
7 F. FERRAROTTI, Sul Poema pedagogico di A. S. Makarenko, in A. S. MAKARENKO,
Poema pedagogico. A cura di N. SICILIANI DE CUMIS. Con la collaborazione di F. Craba,
A. Hupalo, E. Konovalenko, O. Leskova, E. Mattia, B. Paternò, A. Rybčenko, M.
Ugarova e degli studenti dei corsi di Pedagogia generale I nell’Università di Roma
“La Sapienza” 1992-2009. Roma, l’albatros, 2009, pp. XX-XXI.
8 N. SICILIANI DE CUMIS, Nota didattica- Il cinema nei processi formativi (Intervento
svolto al Convegno Nazionale “Anni Sessanta: Storia, Cultura, Società”, Chieti, 15-16
maggio 1996), in DISTRETTO SCOLASTICO N.10 DI TERNI, S. BEVILACQUA e P. FINN (a
cura di), La scuola al cinema. Cinema e storia del ‘900. Video-Archivio della memoria,
Terni, Tipolitografia Visconti, 2008, p.15.
Introduzione
XVII
aderente alle linee di sviluppo delle storie esaminate, dove i protagonisti
affrontando varie avventure nel corso delle vicende, cambiano,
combattono per i propri ideali, si trasformano, inciampano e si rialzano,
grazie sempre alla spinta della prospettiva e alla voglia di vedere
realizzati i loro sogni.
L’opera attraversa diverse dimensioni: da un punto di vista
pedagogico, il romanzo e il lavoro nella colonia Gor’kij di Makarenko
rappresentano delle linee di collegamento tra i diversi lavori analizzati,
ecco perché il nome di Makarenko nel sottotitolo compare alla fine
dell’elenco: è come se abbracciasse l’intero elaborato, c’è un continuo
confronto e parallelismo tra i film e il libro di Makarenko.
È chiaro come la fonte cartacea principale sia stata il Poema pedagogico
ma anche I bambini di Makarenko9 ha trovato un suo spazio e una sua
importanza per sottolineare alcuni aspetti del Poema, della vita e del
percorso personale di ogni colonista.
Alla fine del 1923 (dove si colloca la conclusione della Prima parte del Poema
pedagogico), proprio i bambini più piccoli incarnano, assieme ai migliori ragazzi
del collettivo, la tradizione e la prospettiva di un po’ tutto il discorso educativo fin
qui svolto da Makarenko. Essi, anzi, sono il frutto di una tradizione, e il seme di
una prospettiva; e dell’una e dell’altra offrono, come gruppo generazionale
misto, il profilo formativo più alto. Più ricco di storia ed insieme di possibilità di
sviluppo. Più aperto cioè alla ricerca-acquisizione degli elementi genetici,
costitutivi dell’”uomo nuovo”; spalancato, come sembra, sul presente-futuro; e
dialetticamente (dialogicamente, anche) propositivo, ben oltre la segnaletica
pura e semplice di una infanzia storicizzata e storicizzabile, in fieri10.
Un’altra dimensione che caratterizza l’elaborato è quella
multimediale. I siti internet che si occupano di cinema sono state delle
risorse importanti utilizzate nel corso dell’opera, soprattutto nel
rintracciare interviste al regista o agli attori e approfondimenti inerenti
ai film; anche i siti dedicati alle specifiche pellicole, come quello di
Valentin, si sono rivelati di grande interesse per scovare curiosità e
aneddoti in fase di lavorazione di alcune scene e per capire meglio com’è
nata l’idea del film dalle parole stesse del regista.
N. SICILIANI DE CUMIS, I bambini di Makarenko. Il Poema pedagogico come
“romanzo d’infanzia”, Pisa, EDIZIONI ETS, 2002.
10 Ivi, p. 78.
9
Capitolo primo
Faccia a faccia tra Remy e Makarenko
1.1. «Gradirei della prospettiva… fresca, chiara e ben condita»
[…] dopo aver letto tante sviolinate a proposito del vostro nuovo cuoco, lo
sa cosa vorrei tanto? Un po’ di prospettiva… ecco, gradirei della prospettiva…
fresca, chiara e ben condita. Mi può consigliare un buon vino da poterci
abbinare? […] Prospettiva… ne siete forse sprovvisti? Molto bene, visto che
siete a corto di prospettiva e nessun altro sembra averne in questa balorda città,
propongo un accordo: voi provvederete al cibo… io provvederò alla
prospettiva. […] Per molti versi la professione del critico è facile. Rischiamo
molto poco, pur approfittando del grande potere che abbiamo su coloro che
sottopongono il proprio lavoro al nostro giudizio. Prosperiamo grazie alle
recensioni negative, che sono uno spasso da scrivere e da leggere, ma la triste
realtà a cui ci dobbiamo rassegnare è che, nel grande disegno delle cose, anche
l’opera più mediocre ha molta più anima del nostro giudizio che la definisce
tale. Ma ci sono occasioni in cui un critico qualcosa rischia davvero, ad esempio
nello scoprire di difendere il nuovo: il mondo è spesso avverso ai nuovi talenti e
alle nuove creazioni. Al nuovo servono sostenitori. Ieri sera mi sono imbattuto
in qualcosa di nuovo; un pasto straordinario di provenienza assolutamente
imprevedibile. Affermare che, sia la cena, sia il suo artefice abbiano messo in
crisi le mie convinzioni sull’alta cucina, è a dir poco riduttivo. Hanno scosso le
fondamenta stesse del mio essere. In passato non ho fatto mistero del mio
sdegno per il famoso motto dello chef Gusteau “chiunque può cucinare”; ma
ora, soltanto ora, comprendo in pieno ciò che egli intendesse dire: non tutti
possono diventare dei grandi artisti, ma un grande artista può celarsi in
chiunque. È difficile immaginare origini più umili di quelle del genio che ora
guida il ristorante “Gusteau” e che, secondo l’opinione di chi scrive, è niente di
meno che il miglior chef di tutta la Francia. Tornerò presto al ristorante
“Gusteau” di cui non sarò mai sazio11.
In queste poche righe tratte da alcune sequenze di Ratatouille si può
entrare subito nel mondo di Remy, il piccolo chef, e della prospettiva che
dà un significato speciale al film.
11 Da Ratatouille, vd. nota 1. Cfr. N. SICILIANI DE CUMIS, Lettere dall’Università. Un
albatro di Natale, in «l’albatros», aprile-giugno 2008, pp. 125-138.
2
Capitolo primo
Possiamo capire il senso del film partendo proprio dal titolo
Ratatouille: «la ratatouille è originaria dell’area dell’attuale Nizza ed era,
originariamente, un piatto per contadini poveri, preparato in estate con
verdure fresche estive»12.
Questa breve descrizione ci fa capire che un piatto così semplice e per
di più cucinato da un topo, contiene in sé un mix perfetto tra passato e
futuro; alla base abbiamo la ricetta originaria con verdure stufate che,
rielaborate dal nostro piccolo chef, riescono nell’impossibile impresa di
far apprezzare di nuovo il gusto di mangiare (e della vita) al terribile
critico Ego.
[…] Sperimentando-sperimentando, possiamo così ritrovarci a tu per tu con
il magnifico ratto Remy e con gli altri incredibili uomini e topi del su citato film
di animazione; e, innanzitutto, con quell’Anton Ego, critico culinario militante,
che sembra autocriticamente dare voce all’astinenza progettuale dell’intellettuale “in servizio” e all’ubertosità euristica, antipedagogica, della creatività
umana, tra “retrospettive storiche” e “senso della prospettiva”, tra “infelicità
del presente” e “gioia del domani”, tra spinte innovative e crisi mentale, morale
e pedagogica di un ruolo accademico, che per così dire si rigenera nella
elementarità gastronomica della “Ratatouille”… La “Ratatouille”, concentrato
di memoria e di futuro, di “stasi” e di “scoppi”, di disabilità morali e di valori
pedagogici “altri”, di infinita fiducia nel potenziale di creatività umana, di
eticità e di esteticità, di individualità e di socialità, di responsabilità e di
corresponsabilità, ecc.13.
C’è un passo fondamentale nel film quando Ego recensisce
positivamente il ristorante e dice: «[…] Ma ci sono occasioni in cui un
critico qualcosa rischia davvero, ad esempio nello scoprire di difendere
il nuovo: il mondo è spesso avverso ai nuovi talenti e alle nuove
creazioni. Al nuovo servono sostenitori»14. Quel nuovo è legato ai
concetti di prospettiva e fiducia: si può trovare dovunque il grande
artista, perfino in un topolino, e anche i ragazzi di Makarenko possono
diventare uomini nuovi.
http://it.wikipedia.org/wiki/Ratatouille_(cucina)
24/02/2010].
13 Ivi, pp. 125-126.
14 Vd. nota 11.
12
[Data
di
consultazione:
Faccia a faccia tra Remy e Makarenko
3
Il vocabolario della lingua italiana definisce la parola fiducia come
«senso di sicurezza che viene dal profondo convincimento che qualcuno
o qualcosa siano conformi alle proprie attese e speranze»15.
La sicurezza nel costruire qualcosa di buono e la certezza che i
ragazzi della colonia possano un giorno riscattarsi e diventare uomini
nuovi, spingono Makarenko a non mollare mai la presa perché sa che
alla fine tutti i suoi sforzi verranno ricompensati, e così è stato…
Ma va già un po’ meglio. Il mio primo giorno di vita nella «colonia Gor’kij»,
così pieno di vergogna e di impotenza, è ormai così lontano che mi pare
soltanto un’immagine piccola piccola che non riesce ad imbrattare il vetro di un
contesto festivo. Va già molto meglio. Già in molti luoghi dell’Unione Sovietica
si sono annodati i nodi robusti di un serio lavoro pedagogico, già il partito
sferra gli ultimi colpi sui nuclei residui dell’infanzia disgraziata e
demoralizzata16.
Makarenko ha una grande forza d’animo, dall’inizio alla fine della
vicenda, nelle enormi difficoltà che è costretto ad affrontare. Il suo
coraggio è un sentimento personale ma che diventa collettivo perché
inserito in esso, soprattutto per quanto riguarda la scelta di trasferirsi
nella colonia Kurjaž che, in ucraino, vuol dire coraggio.
Il coraggio di Makarenko, è più che altro incoscienza, è un coraggio il
cui confine con la paura è molto labile. Odia il sentimento della tristezza
perché è un sentimento nostalgico, del passato ed egli, essendo l’uomo
della prospettiva e del futuro, non può essere triste o malinconico; in
questo senso il coraggio può voler dire anche paura, perché la
prospettiva dice che bisogna guardare avanti ma non indica cosa ci sarà.
Era passata solo una notte dal momento in cui avevamo ricevuto l’accordo
per il trasferimento a Kurjaž, ma la colonia era già riuscita a mettersi in marcia:
con l’umore, con le passioni, con i ritmi. I ragazzi non avevano nessuna paura
di Kurjaž; anche perché non lo avevano ancora visto in tutto il suo splendore.
Invece, ai miei occhi, Kurjaž continuava ad apparire come un fantastico ed
orrendo cadavere ancora capace di afferrarmi alla gola nonostante che la sua
morte fosse stata sancita ufficialmente già da un pezzo17.
M. DOGLIOTTI e L. ROSIELLO (a cura di), lo ZINGARELLI, VOCABOLARIO
Nicola Zingarelli, Bologna, Zanichelli, 1999.
16 A. S. MAKARENKO, op. cit., p. 562.
17 Ivi, p. 367.
15
LINGUA ITALIANA di
DELLA
4
Capitolo primo
Anche Remy ha coraggio da vendere, e se Makarenko è l’uomo della
prospettiva, osando un po’ con i termini, Remy potrebbe essere il topo
della prospettiva; in comune hanno di certo il non arrendersi davanti
alle difficoltà e la ferma volontà di raggiungere quello in cui credono
davvero.
La grandezza di Remy è certamente la sua riuscita nella conquista
della fiducia di Ego, nell’averlo sorpreso positivamente e quindi nell’aver ottenuto il suo obiettivo primario: affermarsi come grande chef pur
essendo un topo. L’esclamazione di Ego, ormai assiduo frequentatore
del nuovo bistrot “Ratatouille”, «Sorprendimi18!», nel momento dell’ordinazione, è molto forte; citando nuovamente le parole del dizionario
che esprimono al meglio questo pensiero, sta ad indicare un «senso di
sicurezza che viene dal profondo convincimento che qualcuno o
qualcosa siano conformi alle proprie attese e speranze».
1.1.1. Un topo ai fornelli
«Non tutti possono diventare grandi artisti, ma il grande artista può
celarsi in chiunque.» È la morale dell’ottavo lungometraggio della
Disney-Pixar nel 2007, Ratatouille.
Questo piccolo capolavoro cinematografico è opera del regista Brad
Bird che ha iniziato la sua collaborazione con il resto della troupe
quando la lavorazione del film già era cominciata; Jan Pinkava, infatti,
stava lavorando al progetto dal 2000 ma nel 2005, con l’arrivo di Bird, è
stato sostituito alla regia. Pinkava aveva da tempo creato tutto dal set ai
personaggi ma, Bird riscrivendo la sceneggiatura e dando maggiore
spazio ad alcuni elementi come Skinner e Colette e rendendo meno
antropomorfo il topolino Remy, ha donato al film un equilibrio speciale
che l’ha reso un valido concorrente per la nomination agli Oscar 2008,
vincendo infatti il premio di miglior film d’animazione.
Il protagonista è un topolino, Remy, che vive con la sua famiglia poco
lontano da Parigi, nella casa di campagna di un’anziana signora.
Remy è diverso dai suoi simili: cammina su due zampe, possiede un
olfatto e un gusto molto raffinati e non si nutre della spazzatura come
fanno tutti gli altri topi. Remy passa le sue giornate a scovare veleno per
topi nel cibo dei suoi compagni e a sperimentare nuovi gusti, cercando
18
Da Ratatouille.
Faccia a faccia tra Remy e Makarenko
5
di coinvolgere il suo goffo e tenero fratello Emile, attraverso il libro di
ricette del suo idolo, lo chef francese Auguste Gusteau.
Quando l’anziana signora scopre la colonia di topi, inforca il suo
fucile e inizia a sparare cosicché i topini sono costretti a fuggire su
barche di fortuna in un affluente della Senna. Remy, per non lasciarsi
sfuggire il suo libro, finisce nelle fogne di Parigi perdendo la sua
famiglia.
Il fantasma di Gusteau lo porta così nel suo ristorante che ora è
gestito dallo chef Skinner, una persona sinistra e scontrosa che vorrebbe
arricchirsi vendendo prodotti surgelati usando il nome del rinomato
ristorante.
Una sera Remy, in compagnia del suo amico Gusteau, sbirciando
dalle finestre del ristorante, incuriosito da quello che avviene in una
cucina così famosa, nota lo sguattero Linguini che, per pulire la cucina,
fa cadere una pentola con della zuppa e, per rimediare all’accaduto,
aggiunge acqua e spezie a caso, creando così un intruglio disgustoso.
Figura 1. Remy insieme al fratello Emile in una scena del film
Ratatouille.
Il topolino non può restare a guardare e, ricordando il motto dello
chef, «Chiunque può cucinare19!», entra di nascosto nella cucina e
modifica la zuppa dandole un ottimo sapore. Lo chef è molto sorpreso
dall’abilità di Linguini, e la zuppa riscuote un forte successo; quando
però il topolino viene scoperto, Linguini viene incaricato di farlo sparire.
19
Ibidem.
6
Capitolo primo
Giunto sulla Senna con l’intenzione di annegarlo, Linguini scopre che
Remy capisce ciò che dice e decidono di cooperare: Remy guiderà
Linguini come fosse una marionetta nella realizzazione dei piatti
richiesti, così egli non verrà licenziato, e il topolino potrà esprimere il
suo estro.
Lo chef Skinner però non crede alle nuove capacità dello sguattero e
ogni giorno lo mette a dura prova; con suo grande stupore, Linguini
riesce a preparare tutti i piatti richiesti, grazie al “piccolo chef” che tiene
nel cappello e lo guida in ogni sua mossa.
Skinner è sempre più sospettoso della situazione finché un giorno
non gli arriva una lettera dalla quale apprende che Linguini è il figlio
misconosciuto di Gusteau. Remy però, capendo che si tratta di una
lettera importante, riesce a rubare il testamento di Gusteau e ad aiutare
ancora una volta il suo amico che ottiene la guida del ristorante del
padre con la carica di capocuoco.
Ora Remy può cucinare tranquillamente e i suoi piatti riportano in
auge il ristorante che ottiene una nuova stella.
L’enorme successo del locale attira la curiosità del critico
gastronomico Anton Ego che anni prima aveva stroncato il ristorante
con una pesante critica.
Ego decide di tornare al ristorante per verificare di persona la sua
rinascita e, assaporando la “ratatouille”, uno dei piatti forti del locale,
Ego torna ai ricordi della sua infanzia, a quando la madre gli cucinava la
pietanza e così il critico abbandona definitivamente ogni dubbio verso le
qualità del ristorante.
La cucina di Remy conquista il critico che vuole conoscere a tutti i
costi lo chef. Linguini e gli altri decidono di svelare la verità al critico,
presentandogli così il piccolo chef; Ego, pur restando sorpreso dalla
rivelazione, recensisce positivamente il ristorante che ottiene un’altra
stella nella propria valutazione.
Skinner, dal canto suo, ancora furioso per aver perso la direzione del
ristorante, denuncia la presenza di topi nel locale. Remy e la sua squadra
sono costretti a chiudere ma non si perdono d’animo e in seguito aprono
un bistrot, il “Ratatouille”, più piccolo del precedente ma comunque
molto frequentato e con un cliente fisso: Ego.
In un libro per bambini20 la storia di Remy viene invece descritta così:
20
2007.
A. MACCHETTO (testo italiano di), Il mio primo libro puzzle, Milano, Disney libri,
Faccia a faccia tra Remy e Makarenko
7
Remy: Questo topino ha grandi progetti e tanta buona volontà… Infatti
lavorerà in uno dei più famosi ristoranti di Parigi, quello di Auguste Gusteau!
Linguini: Linguini è il ragazzo delle pulizie del ristorante. Eppure in coppia con
Remy sa cucinare piatti deliziosi… Ma non ditelo in giro: è un segreto! La
famiglia: Remy ha un fratello di nome Emile, che adora mangiare… tutto! Il loro
papà si chiama Django e non ha mai capito Remy. Ma gli vuole un gran bene ed
è tanto orgoglioso di lui. Colette: Colette è una brava cuoca. Ha molta
esperienza e quando cucina è velocissima. Avrà abbastanza pazienza per
insegnare a Linguini i trucchi del mestiere?
Il libro, se pur nella sua brevità perché si rivolge ai bambini dai 3 anni
in su, descrive e pone l’accento su quelle che sono le caratteristiche del
film e i personaggi più importanti. Remy viene descritto come un
topolino che ha dei grandi progetti e tanta buona volontà; in una sola
parola: la prospettiva. Si è già accennato al significato del termine che ha
a che fare con altri due importanti: il progetto e la crescita. Sono tutte
parole che racchiudono nel loro significato il senso del futuro, della
spinta verso il cambiamento, della voglia e forza di cambiare e guardare
avanti con grande ottimismo in quello a cui si va incontro e nelle proprie
potenzialità.
Un altro aspetto importante da notare e che viene sottolineato nel
libro, è la descrizione dei personaggi; si passa dalla rappresentazione dei
singoli caratteri per poi passare a quella del gruppo, in particolare la
famiglia di Remy. Questa corrispondenza tra il singolo e il collettivo, è
molto presente anche nel Poema pedagogico, dove troviamo tante singole
realtà, i ragazzi che dalla strada vengono accolti e rieducati nella colonia,
che insieme formano un gruppo, un collettivo e, proprio all’interno di
esso, sapranno crescere e imparare a vivere onestamente lontano dai vizi
e dalle cattive compagnie, portando rispetto verso il prossimo e
aiutandosi l’un l’altro.
1.1.2. La squadra di Ratatouille
Uno dei rapporti chiave del film non è quello tra i topi, anche se è
molto forte il senso del gruppo nella colonia, ma quello tra Remy e il
protagonista umano Linguini.
Così come il personaggio di Emile, il fratello di Remy, Linguini è
molto dolce, ingenuo e non conosce bene il mondo, ma è come se avesse
una grande forza interiore e ha una mente piuttosto aperta, visto che
inizia questo strano rapporto d’amicizia con un topo ed è l’unico a
8
Capitolo primo
scoprirne il talento. Anche se non appare molto intelligente, è intuitivo e
logico per tanti versi.
Linguini è il personaggio debole ma forte allo stesso tempo: si mette
nelle “mani” del topolino e si lascia guidare nella realizzazione dei piatti
come se fosse un burattino, è disposto a farlo per non perdere il lavoro e,
una volta raggiunto il successo, ci mette poco a dimenticarsi del suo
benefattore. È una reazione del tutto umana che spesso capita nelle
relazioni interpersonali; lo sceneggiatore che è anche il regista Brad Bird
è stato geniale nell’affrontare temi importanti e mai banali che fanno
divertire i bambini e riflettere gli adulti.
[…] Nasce così la collaborazione forzata tra i due, con Remy a condurre le
azioni dell’imbranato Linguini standosene nascosto sotto il suo cappello da chef
e “guidandolo” in un modo certamente semplicistico ed infantile, ma che
rappresenta quanto di più cartoonesco ed esilarante si sia visto di recente al
cinema. È questo uno dei punti di forza del film: la sua capacità di essere film a
tutti gli effetti, ma allo stesso tempo mantenendo lo spirito, la consapevolezza e
l’attitudine di un cartone animato, in una miscela in cui la trama e le gag si
intrecciano senza che l’una tolga spazio alle altre o ne sia in qualche modo
penalizzata21.
Il personaggio principale, Remy, è un vero sognatore. È affascinato
dal cibo in modo decisamente diverso rispetto agli altri topi: è un
buongustaio che disdegna la spazzatura mentre gli altri topi mangiano
di tutto e non sono schizzinosi. Remy nella sua specie è una sorta di
emarginato perché gli piace mangiare bene, sperimentare e approfondire
tutte le sue conoscenze, essendo in costante crescita personale.
La storia di Remy è la storia di chi vuole affermare sé stesso,
esprimendosi in un modo che il mondo non gli consente; rappresenta un
personaggio con un grande ostacolo da superare, abbattere i tabù della
società non è un’impresa assolutamente semplice.
Il personaggio di Remy vive la sua avventura in solitaria, la famigliain primis il padre- non accetta questo suo legame con gli umani ma il
topolino, deciso a non perdersi d’animo e a realizzare i suoi sogni,
continua a frequentare la casa dell’anziana signora, a vedere la
televisione e a leggere il libro di Gusteau come un essere umano e,
A. CUOMO (a cura di), Il sapore del buon cinema. Recensione del film Ratatouille
(2007), http://www.movieplayer.it/articoli/03912/il-sapore-del-buon-cinema [Data di
pubblicazione: 15/10/2007. Data di creazione del sito: 1999].
21
Faccia a faccia tra Remy e Makarenko
9
quando la colonia è costretta a fuggire, il caso vuole che Remy perda la
sua famiglia e si ritrovi a Parigi da solo.
In questa “seconda parte” della sua peripezia, vediamo una grande
forza d’animo del topolino nel badare a sé stesso e nell’affermarsi come
chef, il “piccolo chef”, per poi ritrovare nella parte finale il padre, il
fratello e l’intera colonia che, comprendendo la sua volontà, lo aiutano
nelle ultime imprese di salvare Linguini e lo staff dalle angherie di
Skinner.
Una presenza costante nella vita di Remy è lo chef Gusteau. Il suo
libro di ricette è preziosissimo per il topolino; in seguito all’incidente a
casa della vecchietta, finisce nelle fogne di Parigi proprio per non
rischiare di perderlo.
Attraverso il libro e il suo autore ha iniziato ad apprezzare l’alta
cucina e a sperimentare nuovi gusti combinando elementi a dir poco
diversi tra di loro, come ad esempio fragole e formaggio.
[…] la recitazione dei personaggi digitali, in primis quella di Remy che usa per lo
più la mimica per farsi comprendere ha un sapore d’altri tempi, da attore di
cinema muto. Un aspetto, questo di ammiccare a tanto cinema del passato, che
ritroviamo in tanti momenti del film: Ratatouille infatti è in definitiva una
commedia brillante d’altri tempi, densa di ritmo, dialoghi brillanti ed equivoci,
per la quale l’aggiunta “d’animazione” come specifica di “cinema” rischia di
non renderle giustizia. […] Ben al di sopra dei suoi diretti concorrenti,
Ratatouille spiazza per un doppio pregio: da una parte molti aspetti del film,
dalla ricostruzione di Parigi ai fenomeni naturali (acqua, fuoco, riflessi…), sono
del tutto fotorealistici, dall’altra la capacità di sembrare cartone animato a tutti
gli effetti, con l’uso del 3D che è ancora una volta solo un mezzo che, grazie
all’abilità degli animatori Pixar nell’utilizzarlo, riesce a donare al film quel
calore e quella genuinità che solo l’animazione tradizionale a mano è stata
finora in grado di riprodurre22.
Lo chef che ha aiutato il regista e il produttore a migliorare le proprie
competenze in cucina, Thomas Keller, in un’intervista23 ha affermato che
è stato il suo mentore a fargli capire che esiste un legame emotivo per
cucinare per qualcuno procurandogli, così, piacere. In seguito a questo
suo cambiamento di prospettiva, ha deciso di cercare altri modelli di
22
23
Ibidem.
Vd. Contenuti speciali dvd Ratatouille.
10
Capitolo primo
riferimento ed è emersa così la figura di Fernand Point che assomiglia in
modo impressionante al nostro Gusteau di celluloide…
Nel libro di Point, «Ma Gastronomie», vengono messe in luce alcune
qualità di un cuoco, come l’importanza della scelta dei prodotti, dell’esecuzione della ricetta e dell’interpretazione di ciò che senti dentro per
la realizzazione finale del piatto.
Le similitudini che ritroviamo tra le figure di Point, Gusteau e i loro
libri di cucina, sono molto nette e anche la relazione di modello di
riferimento tra Fernand Point/Thomas Keller e Gusteau/Remy, non è da
meno.
Gusteau è una guida per Remy, il suo motto «Chiunque può
cucinare!» viene portato all’estremo dal topolino che diventa “anche un
topo può cucinare”. È come se fosse il Grillo Parlante della situazione,
una sorta di coscienza per Remy ed ha il compito di tirarlo su nei
momenti difficili e di spronarlo ad andare avanti.
1.2. Anton Ego, Remy e i ragazzi di Makarenko: personalità in progress
Uno dei personaggi più emblematici del film è sicuramente il critico
gastronomico, Anton Ego; durante il film assistiamo ad una sua vera e
propria climax24 ascendente. Se dovessimo descriverlo useremmo
sicuramente aggettivi come solitario, severo, inflessibile, pessimista e via
dicendo.
Quello che però ci colpisce maggiormente è il suo cambiamento: tutto
il film si basa su questa metafora e la trasformazione che
contraddistingue il nostro critico è sicuramente quella più profonda e
sorprendente, è talmente inflessibile nelle sue idee che quando Linguini
gli presenta lo chef del ristorante, lo spettatore è quasi certo che sia
un’impresa persa in partenza…
Il cambiamento avviene proprio quando il critico assaggiando la
“ratatouille”, un piatto molto semplice a base di verdure, ritorna
all’antico sapore della sua infanzia, ricorda la madre ed è in quel
momento che il suo viso cupo ed accigliato, ritrova il colore perso,
quello umano.
24
Scala, dal greco.
Faccia a faccia tra Remy e Makarenko
11
Figura 2. Il critico gastronomico, Anton Ego.
Ego è il modello dell’uomo nuovo, quell’uomo che in Makarenko è
rappresentato dai bambini della colonia Gor’kij e in seguito da quelli
della colonia Kurjaž.
Makarenko si occupa di ragazzi difficili, con situazioni familiari
disagiate, analfabeti, che rubano e si rende conto fin da subito che non
sarà di certo un percorso facile ma la sua pazienza e costanza a lungo
andare sapranno ricompensarlo delle sue fatiche.
Come nel film, la forte spinta che abbraccia l’intera vicenda è il
cambiamento, il raggiungere una nuova condizione interiore e di vita
migliori.
L’importante, diciamo così… non è una qualche colonia di delinquenti
minorenni, capisci, è l’educazione sociale… abbiamo la necessità di formare un
uomo… il nostro uomo! E tu ci riuscirai. Tutti devono riuscirci. E ce la farai
anche tu25.
25
A. S. MAKARENKO, op. cit., p. 4.
12
Capitolo primo
È stato difficile per Anton Semënovič conquistare la fiducia e il
rispetto dei ragazzi della colonia e allo stesso modo non è stato semplice
dimostrare ai “piani alti” che i ragazzi sono diventati uomini onesti,
lavoratori e studiosi, insomma uomini nuovi.
La storia di Remy ha numerose assonanze con quella dei gor’kijani,
anche Remy deve lottare per affermare sé stesso e combattere contro i
pregiudizi delle persone, “un topo in cucina ma che assurdità!”
Uno degli elementi in comune tra questi due mondi così lontani ma
inaspettatamente simili, è sicuramente la voglia di realizzare i propri
sogni e riscattare sé stessi. «Chiunque può cucinare, ma solo gli
intrepidi… possono diventare dei grandi».
Se da una parte però abbiamo Remy in continua crescita e scoperta
personale, alla realizzazione di sé stesso, dall’altra troviamo Ego che nel
corso della sua vita si è chiuso in una dimensione tutta sua e si è
convinto che nessun piatto è all’altezza dei suoi standard. Proprio il suo
cognome, Ego, esprime appieno la solitudine nella quale è immerso il
personaggio. È una persona sola, che ha perso i contatti con il mondo,
non ha amici, veste di nero, è magrissimo perché mangia solo piatti
raffinati e, ormai a causa delle sue recensioni, a Parigi sono rimasti pochi
ristoranti che lo soddisfano. «Per questo abbiamo esagerato e abbiamo
dato al suo ufficio la forma di una bara: non c’è speranza se si è così
ossessionati da sé stessi»26, afferma il regista Brad Bird.
Uno degli aspetti predominanti in Ratatouille è di certo il senso del
gruppo. In primis lo ritroviamo nella famiglia di Remy, anche se il padre
all’inizio tenta di ostacolare il figlio, cambierà idea e si arrenderà davanti
alle sue straordinarie doti; in una sequenza del film affermerà questa
frase che interpreta appieno il suo cambiamento d’opinione nei confronti
del figlio, facendo quello che farebbe ogni genitore: sostenere il proprio
ragazzo senza alcun dubbio: «Non siamo cuochi, ma siamo una famiglia.
Dicci che dobbiamo fare e noi lo faremo27.[…]»
Un altro gruppo che si forma verso la fine del film è quello costituito
dallo staff di cuochi che si crea e lavora nel nuovo bistrot: Colette,
Linguini e Remy. La sintonia tra i tre è perfetta, anche perché tra la
ragazza e Linguini è nata una tenera storia d’amore, oltre ad un
sentimento di sincera amicizia che li unisce e la straordinaria fiducia che
i due ripongono nel topolino affidandogli la cucina… Si trovano
26
27
Vd. Contenuti speciali dvd Ratatouille.
Vd. nota 18.
Faccia a faccia tra Remy e Makarenko
13
raramente delle persone così speciali che non hanno preconcetti di
nessun tipo e che possono trovare normale che un topolino diventi chef
di un ristorante!
Nel Poema pedagogico c’è un passaggio fondamentale in cui nella
colonia viene espresso per la prima volta il senso del gruppo. Nel
capitolo “Il nostro è il più bello” una ragazza della colonia, una delle più
istruite, Raisa Sokolova, viene mandata alla facoltà operaia di Kiev
nell’autunno del 1921. Dopo qualche tempo però torna alla colonia
sostenendo di essere stata mandata in vacanza. Tutti nella colonia
sapevano che la ragazza era incinta ma lei continuava a negare. Così un
giorno, mentre Makarenko discuteva in una riunione tra pedagoghi
sull’importanza del collettivo misto, gli giunse la notizia del
ritrovamento di un bambino morto nella cesta di Raisa. La ragazza
dovette lasciare la colonia e un ragazzo, Karabanov, portò in ospedale il
cadavere del neonato per l’autopsia. E nel suo breve “resoconto”
troviamo per la prima volta la parola nostro.
Cosa m’è toccato vedere! Là ne hanno tanti di quei bambini dentro dei
barattoli, una trentina! Fanno paura: uno ha la testa grande così, l’altro ha le
gambe storte che non capisci più se è un uomo o un ranocchio. Ma il nostro, il
nostro è il più bello28!
Nell’intero Poema c’è sempre questo gioco tra l’individuale e il
collettivo e anche in Ratatouille, possiamo ritrovare il collettivo nella
famiglia di Remy, nella colonia di topi appunto, nello staff di cuochi del
ristorante di Gusteau e l’elemento singolare è sicuramente rappresentato
da Ego, il cui nome di per sé, racconta il personaggio e il suo essere anticollettivo.
Come detto prima però anche il personaggio di Ego è soggetto al
cambiamento, come tutti noi del resto. Il Poema pedagogico è un romanzo
di formazione, è importante vedere come cambiano i personaggi, come
maturano e come cambia il corso della loro vita, in un certo senso è un
romanzo che può cambiare anche chi lo legge, ed è questo che lo
differenzia da un romanzo letterario.
[…] e a coinvolgere quindi il lettore odierno come “storico” ed insieme
“educatore” di sé stesso e delle proprie assunzioni di “responsabilità”, secondo
una “prospettiva”. E ciò, innanzi tutto perché sono proprio la responsabilità e la
28
Ivi, p. 107.
14
Capitolo primo
prospettiva le categorie pedagogiche “forti” del work in progress makarenkiano:
ovvero, romanzo d’educazione (roman vospitanija) tuttora in fieri, sia come
risultato storiografico e poetico-letterario aperto; sia come efficace strumento
pratico-educativo tutt’altro che superato, ed ancor ricco, se mai, di vitali
innervature e determinazioni formative29.
Un romanzo del genere comporta un movimento, una trasformazione
e forse potrà essere avventato definire Ratatouille come un film di
formazione ma di certo quello che accade ai personaggi makarenkiani è
qualcosa di molto simile alle avventure ratatouilliane: è la prospettiva
che traccia il percorso di ogni personaggio.
1.2.1. La Disney-Pixar: a tu per tu con la prospettiva
In un certo senso anche la Disney-Pixar ha della prospettiva nelle sue
tecniche di lavoro e progettazione dei film perché ha saputo accostare al
disegno manuale della storia e alla classica trama con i buoni, i cattivi e
il lieto fine, delle innovazioni di carattere tecnico come il 3D realizzato
interamente al computer. Ora anche i film d’animazione possono
contare sulle tecniche che prima erano riservate solo al grande cinema:
attraverso il 3D i personaggi sulla carta possono diventare quasi degli
attori in carne ed ossa, con dei sentimenti e delle movenze quasi umane.
[…] Oltre infatti alle più ovvie innovazioni di carattere tecnico (l’introduzione al grande pubblico del cartone animato in 3D interamente generato al
computer) la Pixar ha saputo, di film in film, affrontare temi e sfide
cinematografiche (oltre che tecnico/tecnologiche) non indifferenti, e le
caratteristiche che ora sono sfruttate […] da tutto il cinema d’animazione in
computer grafica (fatto anche da concorrenti come la Dreamworks) sono quasi
tutte dovute a Lasseter e soci. […] A fare da ponte quindi tra la tradizione
narrativa americana, il modo di ritrarre i personaggi tipico del cinema europeo
e il sentimentalismo nipponico di impronta miyazakiana è arrivato Lasseter che
è riuscito a dare vita, assieme ad un manipolo di altri appassionati, ad una vera
fabbrica di idee, dove la creatività di gruppo funziona in maniera virtuosa e che
riesce a dare vita ad ottimi film dallo stile omogeneo che hanno sempre registi
diversi. Il segreto della Pixar è come riesca a proporre storie canoniche, in grado
di attrarre e soddisfare gli spettatori meno esigenti, raccontandole in maniere
sempre nuove, efficaci e creative. Ratatouille ne è un esempio perfetto. […] A
29
N. SICILIANI DE CUMIS, op. cit., p. 20.
15
Faccia a faccia tra Remy e Makarenko
fare la differenza è ciò che c’è in mezzo, sono le mille piccole delicatezze di cui il
film è disseminato e che non si trovano certo nei cartoni della concorrenza. Il
roditore Remy che descrive il piacere di assaporare un piatto con uno sfondo di
colori che esemplifica visivamente lo spandersi dei sapori, l’emotività della
prima volta che il topo approda ad una cucina vera e lo stratagemma con il
quale viene mostrato come Remy vince la sfida finale con l’inflessibile critico,
sono solo alcuni esempi di un modo di narrare che non batte i soliti percorsi e
che innova profondamente avvalendosi dell’esperienza di tutto il cinema che
c’è stato. […] Dove la Pixar voglia andare, cosa tenti di fare e quali strade possa
battere in futuro è impossibile dirlo. Fatto sta che in un momento storico in cui
si ricicla molto e l’innovazione viene dal saper rielaborare cose nuove da
contenuti già visti, lo studio di animazione fondato decenni fa da Steve Jobs
puntando sulle idee innovative di Lasseter a cui la Disney non aveva dato
ascolto, è l’unica fonte continua di novità e qualità da 12 anni a questa parte30.
Gli studi della Disney-Pixar negli anni Novanta erano composti da un
gruppo molto ristretto di collaboratori che creavano solo spot e
cortometraggi, quando vennero chiamati a realizzare il primo
cortometraggio (Toy Story) si diedero da fare per dare vita a qualcosa che
non si era mai visto prima sugli schermi.
La parola “animazione” deriva dal latino e vuol dire dare l’anima,
ovvero la vita: è questo il difficile compito che ogni persona deve portare
a termine per realizzare un film d’animazione che lasci il segno.
Per creare il personaggio di un film come questo, bisogna saper
combinare due elementi in particolare: la voce del doppiatore con l’animazione del modello.
In un divertente filmato durante la lavorazione del film, il doppiatore
di Linguini, non sa assolutamente cosa succederà al suo personaggio
guidato dal piccolo chef Remy da un angolo ad un altro della cucina ed
improvvisa tutto, dando grande spontaneità alla sequenza.
La Disney-Pixar è uno speciale gruppo di persone dove ognuno può
proporre le sue idee senza paletti, «è una scuola senza insegnanti dove
viene usata l’idea migliore», afferma il creatore di alcuni film d’animazione come Alla ricerca di Nemo e Wall-E, Andrew Stanton.
G. NIOLA (a cura di), Dove sta andando la Pixar?,
http://movieplayer.it/articoli/03910/dove-sta-andando-la-pixar/
pubblicazione: 15/10/2007. Data di creazione del sito: 1999].
30
[Data
di
16
Capitolo primo
In un’intervista31 il regista Brad Bird afferma quali sono le sue
prerogative per realizzare un buon film d’animazione:
La mia idea è quella di privilegiare i film che mostrano e insegnano cose
nuove man mano che si invecchia e li si rivede. La prima volta si può godere
soltanto della nota leggera, più tardi si avranno letture profonde. I bambini
sono molto più intelligenti di quanto crediamo: io da bambino amavo vedere
film che mi aprissero sempre nuove prospettive.
Anche il regista parla di prospettive, che mostrano nuove strade da
percorrere, ti lanciano verso il futuro, ti fanno crescere e cambiare: sono
messaggi importanti per un bambino che vede attraverso i suoi occhi un
film come Ratatouille ma anche per l’adulto che siede al suo fianco.
Sennonché è proprio nell’intreccio di adultità e di infanzia, proprio all’incrocio dei distanti livelli di età (anche dei più distanti, poniamo la vecchiaia e la
prima primissima infanzia), che può talvolta determinarsi criticamente ed
autocriticamente la possibilità (interculturale) del contatto e del cambiamento32.
Il cambiamento e l’intrecciarsi tra passato e presente sono concetti che
riguardano in modo particolare la prospettiva e un film d’animazione
come Ratatouille si pone proprio l’obiettivo di arrivare al cuore dei
bambini ma anche a quello dei genitori, quindi degli adulti: anche loro
possono imparare da un film del genere, ricco di tanti buoni sentimenti,
genuini perché fanno riscoprire cose della vita che possono essere state
dimenticate nel tram tram di tutti i giorni e che l’adulto può ritrovare,
anzi riassaporare, visto il tema, attraverso questo gustosissimo film.
I bambini sono il futuro della società mentre i genitori, e i nonni, ne
rappresentano il passato, le radici della famiglia di quei futuri adulti che
A. STARACE (a cura di), Venezia festeggia la Pixar con il Leone d’Oro alla carriera a
Lasseter, http://www.movieplayer.it/articoli/06060/venezia-festeggia-la-pixar-con-illeone-d-oro-alla-carriera-a-lasseter/ [Data di pubblicazione: 06/09/2009. Data di
creazione del sito: 1999].
32 N. SICILIANI DE CUMIS, I figli del Papuano. Cultura, culture, intercultura,
interculture da Labriola a Makarenko, Gramsci, Yunus. Prefazione di Franco
Ferrarotti. Pinocchio, Chagall, Zavattini, Modugno, Gould, Amelio, Ferrarotti, Oukili, i
ragazzacci di Casal del Marmo, i corsisti di San Vittore, Roma, Catanzaro, Milano, la
Presila catanzarese e Artek, la “Banca delle invenzioni” e il “Diritto di stampa”, Giorgia,
Iqbal e i bambini recensori del mondo, le formiche di “Lamerica”, “A bug’s life”, e
“Ratatouille”, in fase di stampa, p. 216.
31
Faccia a faccia tra Remy e Makarenko
17
cresceranno con un piccolo eroe nel cuore che ha saputo trovare la sua
strada ed il suo posto nel mondo: Remy.
Capitolo secondo
Due sognatori: Valentin e Makarenko
2.1. Alla scoperta di Valentin
Il film di Alejandro Agresti inizia subito con la voce del bambino,
interpretato da Rodrigo Noya, di sottofondo che si descrive e ci fa
entrare così nel suo mondo.
«Ciao, mi chiamo Valentin e ho otto anni. Quando non devo andare a scuola,
vado in soffitta e costruisco delle cose da astronauta, faccio dei missili, sto
lavorando su una tuta spaziale33».
Figura 3. Valentin allo specchio.
Dalle prime parole del ragazzino si può capire che non è un bambino
come tutti gli altri che quando sta a casa gioca con i suoi amici o va in
bicicletta. Valentin ha un sogno: diventare astronauta e andare sulla
Luna, per questo costruisce missili, lavora alla sua tuta spaziale, si
esercita a camminare con dei pesi sulle scarpe per simulare la
camminata sul suolo lunare in assenza di gravità e a restare il più
33
Vd. nota 3.
20
Capitolo secondo
possibile in apnea nella sua vasca da bagno perché, si sa, trattenere il
fiato sulla Luna è importantissimo.
Valentin ha solo un piccolo difetto fisico:
«L’unica cosa che mi preoccupa è un piccolo dettaglio fisico, mio. Io ci vedo
benissimo, sono una specie di lince, ma il mio problema è l’angolazione.
Comunque dicono che per gli astronauti non è indispensabile guardare
dritto…34»
Il protagonista del film vive a Buenos Aires con la nonna, interpretata
magistralmente da una Carmen Maura invecchiata per esigenze di
copione, perché la mamma lo ha abbandonato da piccolo e il papà è più
impegnato a cercarsi una fidanzata che a badare a suo figlio.
Valentin si prende cura della nonna che da quando le è morto il
marito non è più la stessa e, come dice il ragazzo, spesso parla da sola.
Il padre che nel film ha il volto del regista, va a trovarli raramente e il
più delle volte è per presentare la fidanzata di turno al figlio che ogni
volta spera che sia finalmente quella giusta per tornare a vivere con il
padre come una vera famiglia.
La vita del bambino si divide tra la scuola, la casa e i suoi pochi amici;
in particolare, diventa amico di un bizzarro personaggio, Rufo, un
pianista trentenne che abita nel palazzo di fronte al suo e che la nonna
considera “un balordo e un ubriacone”, ma in fondo Valentin vede in lui
una persona buona e sincera. Tra i due scatta una speciale affinità
elettiva e ben presto il piccolo inizia a prendere lezioni di piano dal
vicino di casa, scoprendosi così portato a suonare il piano e un grande
appassionato di musica.
Un giorno il padre gli presenta una nuova fidanzata, Leticia, che va
subito d’accordo con Valentin; come vuole il padre, si vedono un giorno
in un parco passando insieme un pomeriggio sereno chiacchierando e
conoscendosi meglio.
Dopo poco però Valentin apprende che i due si sono lasciati e anche
Leticia sparisce. Il bambino credeva che il padre avesse finalmente
trovato la compagna giusta ma a quanto pare c’erano altre motivazioni
che non poteva comprendere. Tuttavia continua a perseguire il suo
obiettivo principale: quello di formarsi una famiglia, così riprende i
contatti con Leticia e a vederla.
34
Ibidem.
Due sognatori: Valentin e Makarenko
21
Nel frattempo le condizioni di salute della nonna si aggravano
sempre di più e Valentin decide di andare da un dottore per convincerlo
a visitarla perché non vuole recarsi all’ospedale. Si scopre così che la
nonna è molto malata ed è costretta a letto; in seguito, dopo quello che
doveva essere solo un controllo, la nonna purtroppo peggiora e muore.
Valentin si trova di colpo solo, senza l’unica persona che aveva al suo
fianco.
Dopo la morte della nonna, va a vivere a casa del suo compagno di
scuola Roberto, come aveva deciso il padre, ma sente che quella non è la
sua famiglia anche se non gli fanno mancare mai niente; il protagonista
della storia decide così che sarebbe andato fino in fondo pur di
costruirsene una propria. Un giorno organizza un’uscita con Leticia e
Rufo per farli conoscere e tra i due nasce immediatamente una
particolare simpatia.
Il film si chiude sull’immagine di loro tre in un bar e la voce di
Valentin di sottofondo.
«Eh sì, ci sono cose che vengono bene, altre che vengono male, insomma la
vita è come le tagliatelle. Non sono i miei genitori ma sono come degli zii,
stanno insieme, si sono fidanzati e si amano tanto! Il mese dopo l’uomo è
arrivato sulla Luna: Armstrong mi ha fregato, mi ha anticipato, che potevo
farci? Io intanto cominciavo ad essere un po’ più felice su questo pianeta, avevo
deciso di restare per fare lo scrittore. Di sicuro per scrivere una storia, anche se
magari era un po’ corta, un’idea già ce l’avevo35».
2.1.1. A proposito di Valentin
Questa tenera storia di un bambino che vive nell’Argentina degli anni
Sessanta è, in un certo senso, un film autobiografico sulla vita dello
stesso regista, Alejandro Agresti. Il soggetto, infatti, e la sceneggiatura
sono di Agresti che ha diretto il film e si è pure ritagliato un piccolo
ruolo, quello del padre di Valentin.
Il film in Italia è quasi sconosciuto ma ha fatto incetta di premi: l’Associazione critici cinematografici argentini Award (Argentinean Film
Critics Association Awards) ha premiato il film con premi quali miglior
film, miglior regia, migliore sceneggiatura, miglior montaggio, migliore
colonna sonora e miglior attore rivelazione, Rodrigo Noya che interpreta
35
Ibidem.
22
Capitolo secondo
Valentin. L’Imagen Foundation Awards ha assegnato il riconoscimento per
la miglior fotografia mentre il Mar del Plata Film Festival per la migliore
regia e, da parte della giuria, è stato dato un premio speciale; l’Olanda
Film Festival ha premiato la miglior regia, il film infatti è stato girato tra
l’Argentina e l’Olanda, e il Newport International Film Festival lo ha
decretato il miglior film. Infine, all’Oslo Films from the South Festival ha
ricevuto il premio del pubblico36.
Agresti ha trascorso la propria infanzia in Argentina dove già all’età
di 17 anni ha girato il suo primo cortometraggio ma poi, per la passione
cinefila e anche per motivi personali, si è trasferito in Olanda. Il regista,
vincitore di 25 premi internazionali, definisce questo film come «un
anno della mia vita nel 1960» e quello che più colpisce è «il sincero atto
di fede nel potere dell’immaginazione che può rendere ottimista un
bambino troppo solo e un po’ disilluso a fargli cambiare sogno nel
cassetto: da astronauta a scrittore37.»
Il MORANDINI38, dizionario del genere cinematografico, recensisce
così il film di Agresti, attribuendogli il punteggio di 2 stelle e mezzo su
un massimo di 5:
Nella Buenos Aires degli anni ’60, Valentin un bambino di 8 anni, abbandonato dalla mamma, con un padre (interpretato dal regista stesso) sempre via per
affari o in cerca di nuove fidanzate, vive con una nonna brontolona e pessimista. Valentin è molto solo, sogna di fare l’astronauta da grande e vorrebbe sapere perché sua madre se n’è andata. Fa amicizia con Rufo, un dirimpettaio
pianista che, ascoltandolo, gli si affeziona. Quando il padre si fa lasciare anche
dall’ultima fidanzata che piaceva anche a lui e dopo la morte della nonna, Valentin cerca da solo le risposte alle sue domande e, con un colpo d’ala, fa un
“combino” per mettere insieme i suoi affetti. Incentrato sul personaggio di un
ragazzino molto speciale, interpretato dal piccolo, buffo, bravissimo R. Noya,
accattivante fino all’inverosimile, è una simpatica e commovente tranche de vie
raccontata dal punto di vista di un personaggio piccolo piccolo ma incredibilmente forte.
http://it.wikipedia.org/wiki/Valentin [Data di consultazione del sito:
05/01/2010].
37 M. CONSOLI, (senza titolo), in «Ciak», www.mymovies.it , maggio 2004.
38 L. MORANDINI, L. MORANDINI, M. MORANDINI, il MORANDINI. Dizionario dei film,
Bologna, Zanichelli editore, 2009.
36
Due sognatori: Valentin e Makarenko
23
In un’intervista di Caroline Siebbeles che compare sul sito ufficiale
del film39, il regista spiega com’è nata l’idea del film:
[…] La storia è autobiografica, è relativa ad un anno della mia vita di
ragazzo. Volevo raccontare la storia della solitudine di un ragazzo, la relazione
con suo padre e sua nonna e il periodo della sua crescita. Io volevo fare un film
ambientato negli anni ’60 di un ragazzo che fa parte di una famiglia disunita.
[…] Ogni volta che suo padre porta a casa una nuova fidanzata, la speranza
di Valentin è che quella ragazza diventi sua madre, ma nessuna relazione dura.
Suo padre è un donnaiolo e usa suo figlio per sedurre le ragazze, è davvero un
personaggio terribile. Un giorno suo padre gli presenta una ragazza che a
Valentin piace molto e che gli si figura come mamma. Ma nel suo entusiasmo e
nella sua innocenza, racconta troppe cose sul conto di suo padre e la ragazza
scopre chi egli sia veramente. La storia verte attorno a tante cose, ma il suo
centro è questo bambino che vuole disperatamente formare la sua propria
famiglia.
Il mondo degli adulti è insieme ipocrita e indulgente, gli adulti hanno troppa
considerazione di sé stessi e i ragazzi si trovano di fronte a ipocrisia e bugie. Lui
è solo e cerca di risolvere tutto a modo suo. Ero sempre più stanco di fare film
su adulti, i ragazzi per me ora sono più importanti. Noi siamo responsabili della
vita dei nostri ragazzi, trasmettiamo i nostri problemi a loro. Il modo in cui sei
allevato determina il resto della tua vita e la maniera di relazionarti a questa. I
genitori spesso prendono troppo alla leggera il modo in cui i ragazzi reagiscono
al divorzio quando dovrebbero essere consapevoli del danno che arrecano. I
ragazzi vedono il mondo nella maniera in cui glielo mostriamo, sono indifesi e
non possono farci nulla, sono soli nel cercare di affrontarlo.
Inizialmente non dovevo recitare nel film, ma poi le cose sono andate in
maniera tale che mi sono ritrovato ad interpretare il ruolo di mio padre. Devo
dire che è stata un’esperienza strana recitare mio padre con un bambino che
recitava me stesso. C’è una scena del film in cui mio padre grida contro di me,
colpendomi e umiliandomi con le sue parole. Io non potevo fare questa scena,
mi sentivo ogni volta emotivamente bloccato, ricordavo troppo bene cosa mi
aveva fatto mio padre. Ho preso un po’ di tempo prima di riuscire a farla.
[…] Io scrivo semplicemente la storia ed ogni cosa, la posizione della
camera, la musica, la voce fuori campo, ecc. dipende da ciò di cui la storia ha
bisogno. Molti registi prima tagliano l’abito e poi cercano la persona per
indossarlo mentre dovrebbe essere il contrario. Prima racconti una storia e poi
39 http://www.medusa.it/valentin/valentin.html [Data di consultazione del sito:
05/01/2010].
24
Capitolo secondo
automaticamente tutto il resto segue. Valentin si può paragonare ai miei primi
film […], troppi film raccontano trame complicate, eroi, situazioni estreme. Io
volevo fare un film semplice, realistico su un anno della vita di un ragazzo e le
cose che fa.
Valentin non è solo il personaggio principale del film, noi vediamo tutto dal
suo punto di vista, la storia è raccontata da lui in prima persona. Un narratore
in prima persona rende lo spettatore dipendente da cosa vede il ragazzo.
Sul sito mediaplayer.it40 troviamo invece una recensione di Marco
Minniti che descrive così questo piccolo gioiello di film:
[…] Un dolce, toccante “viaggio” autobiografico che ha i sapori e i colori di
un’età irripetibile, una malinconica rievocazione, un atto d’amore per il cinema
visto come mezzo per scavare dentro sé stessi e tirar fuori storie semplici ma in
grado di coinvolgere ed emozionare lo spettatore.
[…] Il piccolo protagonista, pur nell’estrema difficoltà della sua situazione
familiare, non rinuncia all’ottimismo, alla fiducia nella possibilità che suo padre
trovi la donna giusta, una persona che possa finalmente sostituire quella madre
di cui Valentin sente fortemente la mancanza. Così, l’incontro del padre con la
bella Leticia, a cui subito il bambino si affeziona, darà una nuova linfa alla
fiducia di Valentin; ma purtroppo, le cose non saranno così facili come il
bambino sperava.
Quello di Agresti è un film che si può senz’altro definire “a misura di
bambino”: lo sguardo con cui seguiamo la vicenda è quello sognante, a volte
confuso ma energico e inguaribilmente fiducioso del piccolo protagonista. Il
mondo degli adulti appare lontano, poco comprensibile e pieno di piccole
meschinità, contrapposto alla realtà “pulita”, ricca di speranza, di piccoli e
grandi sogni di Valentin. Il tocco del regista è leggero, il tono, per gran parte del
film, è da commedia, la regia si “nasconde” volutamente dietro le quinte di una
narrazione che coinvolge in virtù della semplicità e dell’universalità dei temi
trattati.
La sceneggiatura si caratterizza principalmente per la sua freschezza, e
delinea personaggi assolutamente credibili a cui lo spettatore non può fare a
meno di affezionarsi. Colpisce l’empatia dimostrata da Valentin verso caratteri
ugualmente toccati, feriti dalla solitudine: sua nonna, preda di ricordi che la
tormentano, e che a sua volta si appoggia disperatamente al bambino; il
pianista Rufo, solitario e malinconico, perso tra notti che sanno di alcool e
40 http://www.movieplayer.it/articoli/00552/lo-sguardo-dell-infanzia/ [Data di
creazione del sito: 1999].
Due sognatori: Valentin e Makarenko
25
sigarette, che stabilisce una sorta di affinità elettiva con il piccolo protagonista;
Leticia da subito colpita dall’intelligenza e dalla forza di Valentin, che finisce
per affezionarsi al bambino anche al di là della sua relazione con il padre.
Un’intrecciarsi di vicende dal quale Valentin esce meglio di tutti, proprio in
virtù della sua capacità di reagire alle avversità, di mantenere i sogni anche
quando la vita sembra fare di tutto per strapparglieli. E il film, in generale,
sembra proprio essere un invito a recuperare lo sguardo semplice e lineare
dell’infanzia, unito a quella capacità propria dei bambini di reagire con energia
e fiducia anche alle situazioni più difficili.
“Meglio tardi che mai”, viene da pensare guardando la data di produzione
di questo film (2002), e considerando che si tratta di una pellicola di assoluto
valore, un piccolo gioiello che non ha nulla da invidiare alle uscite più
blasonate, soprattutto provenienti dall’Oltreoceano, in una stagione che
comunque, finora, si è caratterizzata per un livello qualitativo decisamente alto.
Cinema che riscopre la sua funzione di narrazione di storie, e che fa della
semplicità, unita all’onestà, il mezzo per veicolare emozioni autentiche, che non
hanno bisogno di enfasi o artefici per giungere dritte al cuore di chi guarda.
In un’intervista41 ad Alejandro Agresti e Carmen Maura, rintracciata
sempre su movieplayer.it e a cura di Marco Minniti, sulla realizzazione
del film, il regista ha spiegato perché ha deciso di portare sul grande
schermo la propria infanzia, raccontando così una parte della propria
vita:
[…] Proprio stamattina un giornalista mi chiedeva se fosse una caratteristica
propria di alcuni registi (vedi anche François Truffaut con I quattrocento colpi)
quella di trasportare la propria infanzia sullo schermo. Secondo me è più che
altro una caratteristica degli artisti, siano essi registi, pittori, poeti, ecc. Nel mio
caso, ad un certo punto ho iniziato a ripensare alla mia infanzia, e
contemporaneamente a sentire la necessità di raccontare una storia piccola,
semplice, ma che dicesse molto, a differenza di certe storie “grandi” che spesso
dicono poco.
[…] Ho cercato di far “pensare” al protagonista quello che io pensavo da piccolo: credo che lui abbia molto buon senso, così come tutti i bambini che vivono
soli. I bambini, in genere, affrontano la sofferenza molto meglio degli adulti,
non si compiacciono del loro stato di malessere come facciamo noi: le storie di
adulti depressi, pessimisti, che vedono il futuro solo in nero, mi avevano
41
http://www.movieplayer.it/articoli/00557/intervista-ad-alejandro-agresti-ecarmen-maura/ [Data di creazione del sito: 1999].
26
Capitolo secondo
stancato. […] Leticia si disinnamora del padre del protagonista, perché ne
capisce l’ipocrisia, e parallelamente si “innamora” invece del bambino, in
quanto ne riconosce l’entusiasmo e la spontaneità.
Il mondo di Valentin è popolato da pochi personaggi ma hanno tutti
delle caratteristiche particolari.
Il protagonista è un bambino molto sveglio e maturo rispetto agli altri
della sua età. La sua storia è triste ma al tempo stesso lo spirito del
ragazzo e il suo inguaribile ottimismo donano uno spiraglio di speranza
all’intera vicenda. Egli è stato abbandonato dalla madre e, in un certo
senso, anche dal padre, un tipo dai modi bruschi che si prende cura, a
modo suo, della madre, la nonna del bambino, e di suo figlio.
Valentin è un gran sognatore, ha una fervida fantasia e da grande non
aspira a fare un mestiere come un altro ma bensì l’astronauta, per questo
nel tempo libero si diletta a costruire modellini di missili spaziali, si
esercita a camminare con dei pesi sulle scarpe per simulare la
camminata sul suolo lunare e a restare in apnea il più a lungo possibile.
Valentin è un bambino semplice, sensibile e deciso a realizzare i suoi
obiettivi che non sono sempre di facile realizzazione, ma la sua grande
caparbietà, e quindi lo spirito della prospettiva, lo spingono a non
accontentarsi mai di quello che ha e a guardare sempre in avanti per
trovare la felicità.
È un bambino schietto e sincero, che ha una sua particolare visione
del mondo ed è molto più maturo rispetto agli amici della sua età che
nel film, infatti, sono quasi assenti, eccezione fatta per uno solo, Roberto.
Valentin è un acuto osservatore del mondo che lo circonda: è il primo
a rendersi conto che la nonna non sta più bene come una volta e si reca
da solo in un ambulatorio a cercare un dottore affinché la incontri e la
visiti. Osserva i suoi compagni di scuola quando alla fine della giornata
scolastica le mamme vanno a prenderli e a malapena si scambiano la
parola quando Valentin, nel ruolo di narratore, afferma che
racconterebbe alla madre tutto quello che gli passa per la testa in quel
momento.
«Nel museo della mia scuola c’è una delle cose più strane che abbia mai
visto: un capretto con due teste! Ma la cosa più strana di tutto tutto tutto tutto
quello che ho visto è un mio compagno che ha la mamma e non le parla mai: lui
Due sognatori: Valentin e Makarenko
27
esce, le passa la cartella e nient’altro! Io se avessi una mamma la userei molto di
più, starei sempre a parlarle42.»
Il padre del ragazzo, interpretato dal regista, e il figlio hanno, in fin
dei conti, un comune desiderio: quello di costruirsi una nuova famiglia,
ma se da un lato il padre un po’ frivolo cambia spesso fidanzata ed ogni
volta è convinto che sia quella giusta, dall’altro Valentin si affeziona
subito a Leticia, l’ultima conquista del padre, ed è convinto che possa
essere una valida sostituta della madre e della nonna, quando non ci
sarà più.
Leticia, interpretata da Julieta Cardinali già diretta dal regista Agresti,
è un personaggio molto mite e dolce, sicuramente contrapposto al
carattere forte della nonna. Valentin si affeziona alla giovane donna
capendo, dopo un breve distacco, che non può stare senza di lei e che ha
bisogno del suo affetto; escogita così un piano perfetto per far incontrare
Leticia con il suo amico musicista.
Rufo, interpretato da Mex Urtizberea, è un personaggio bizzarro, una
specie di bohemien, un pianista che passa le sue giornate a strimpellare e
a comporre melodie nel suo appartamento da scapolo.
Un giorno poi incontra Valentin per strada e tra i due nasce un
sincero rapporto d’amicizia, nonostante la nonna non sia d’accordo che
il piccolo lo frequenti. Il protagonista del film sente che può contare su
Rufo, più grande di lui, capace di saperlo ascoltare e dargli dei consigli;
viceversa anche Valentin si ritrova una sera a fare da confidente al
musicista sulle sue pene d’amore… L’amicizia, come l’amore del resto,
non conosce limiti d’età, di razza o specie.
La nonna di Valentin è un personaggio dal carattere duro, l’unica
persona che lui ha al mondo e senza la quale poi sarà davvero solo. Lei,
dopo la morte del marito malato di diabete, vive in uno stato di continua
nostalgia e non fa altro che aggrapparsi ai vecchi ricordi di quando era
felice con il marito; è un tipo all’antica che detesta la madre di Valentin
perché ha abbandonato il figlio molto piccolo e suo figlio che pensa più a
cercarsi una fidanzata e a vestirsi bene, che alle esigenze economiche del
figlio e della madre. È l’unico punto di riferimento per il giovane
protagonista che vede in lei la sola persona che ancora non l’ha
abbandonato e che non lo farà mai, neanche quando non ci sarà più. Il
legame tra i due è molto forte, la loro vita è semplice e fatta di piccole
cose, come ascoltare la radio dopo cena e i racconti della nonna prima di
42
Vd. nota 3.
28
Capitolo secondo
andare a letto o preparare il piatto preferito al padre quando va a
visitarli; la forza dei due sta nella loro unione e nel rapporto davvero
speciali.
2.1.2. I valori di Valentin
Uno dei temi principali su cui ruota il film fin dall’inizio, è
sicuramente quello della famiglia. Possiamo rintracciare tre momenti
importanti che attraversa la famiglia di Valentin e che hanno a che fare
con il concetto di prospettiva.
Come abbiamo già accennato, la prospettiva è un intreccio tra il
passato, il presente ed il futuro; ha delle radici nel passato, un presente
in cui si radica e progetti nel futuro. Nel passato abbiamo il primo
nucleo familiare di Valentin, quello costituito dalla madre, dal padre e
dal bambino stesso: è questa la base della famiglia, dalla quale poi ne
nasceranno delle altre.
Tuttavia, in seguito all’abbandono della madre, il nucleo si spezza e
restano solo Valentin e il padre che però non sa prendersi cura di suo
figlio e lo affida alla madre. Si crea così, nel presente della storia e della
vicenda del film, una nuova famiglia: quella formata da Valentin e dalla
nonna e che occuperà gran parte della durata del film.
Figura 4. Un’immagine serena di Valentin sulle gambe del padre,
guardati con affetto dalla nonna.
Due sognatori: Valentin e Makarenko
29
Tra la donna e il nipote si rafforza un rapporto importante, speciale
che si può creare solo tra nonni e nipoti, la nonna si prende cura di
Valentin e cerca di farlo crescere in modo sano, offrendogli una buona
istruzione e tanto affetto.
Come afferma Valentin all’inizio del film, non sono benestanti e le
loro giornate scorrono in modo semplice e senza troppe pretese:
Valentin va a scuola, nel tempo libero si diletta nel suo hobby preferito e
la sera si rilassano ad ascoltare la musica alla radio oppure la nonna
racconta di quando ha conosciuto per la prima volta il marito e di come
si sono innamorati.
In seguito alla malattia della nonna, il piccolo protagonista capisce
che oltre a lei non ha nessun altro su cui contare; per questo
approfondisce la conoscenza di Leticia, ormai l’ex fidanzata del padre,
avendo bisogno di una presenza femminile in sostituzione di quella
materna che non ha mai avuto e della nonna.
Valentin durante il corso del film non perde mai la speranza di
costruirsi una nuova e vera famiglia, una famiglia che non lo
abbandonerà mai e sulla quale potrà contare: in questo sta l’enorme
spinta della prospettiva in Valentin che decide di portare a termine il
suo piano a qualunque costo. Così un giorno decide di far incontrare
Leticia e Rufo e, per fortuna, i due si piacciono e si fidanzano,
diventando una sorta di zii per il bambino, come li definisce egli stesso.
Questo nuovo nucleo familiare rappresenta il futuro, un futuro che dona
felicità e serenità alle persone che ne fanno parte e che finalmente
trovano il loro equilibrio.
Un altro valore importante che riecheggia nel film è quello dell’amicizia. Gli amici di Valentin, come si suol dire, sono pochi ma buoni. A
cominciare dal suo compagno di banco Roberto Medina, il suo miglior
amico: un bambino che, al contrario di Valentin, ha una famiglia unita e
felice alle spalle. A volte il ragazzino passa del tempo a casa del suo
amico sognando di avere una famiglia bella e moderna, come la sua.
«Il mio miglior amico si chiama Roberto Medina e sta nella mia stessa classe.
Sappiamo cos’è l’amicizia, l’amore e ci prestiamo tutto. I suoi genitori sono,
come posso dire, più moderni, sì sono più moderni; soprattutto per me che vivo
con mia nonna che è vecchia. Mi piacerebbe avere una mamma come la sua,
bionda, bella, eh sì43…»
43
Ibidem.
30
Capitolo secondo
L’amicizia che unisce i due bambini è di quelle che si stringono
durante l’infanzia, quei legami semplici e sinceri dove i momenti più
belli sono quelli passati insieme a giocare e a raccontarsi storie.
Ma se da una parte abbiamo quest’amicizia infantile tra i due
bambini, dall’altra Valentin conosce una persona con la quale nasce da
subito una forte affinità elettiva. Si tratta di Rufo, il pianista sulla
trentina che abita nel palazzo di fronte a quello del bambino e che
incontra un giorno per caso proprio sotto casa.
Tra i due nasce un sentimento d’amicizia autentico che supera ogni
differenza d’età. Rufo è un personaggio dai modi singolari che vive in
un classico appartamento da single dove regna il disordine e dove il suo
pianoforte ha una posizione di rilievo rispetto al resto dell’arredamento.
I due si frequentano nonostante le resistenze della nonna e spesso si
ritrovano davanti ad una tazza di thè a parlare del più e del meno e a
confidarsi i loro problemi, anche di donne.
Sono due persone semplici, dai sentimenti sinceri e trasmettono l’uno
all’altro le proprie passioni e i propri sogni. Valentin cerca di
coinvolgere Rufo al suo progetto di diventare astronauta e Rufo, dal
canto suo, insegna al ragazzino a suonare il pianoforte.
Si rendono conto di avere un interesse comune: la musica; anche
Valentin si diverte a suonare il piano, come si dice, a quattro mani
accanto al suo amico. Rufo diventa così un punto di riferimento
importante per il ragazzo, soprattutto quando la nonna si ammala ed è
costretta a restare in ospedale.
Il musicista capisce che quel bambino è speciale ed ha solo bisogno
d’affetto, un affetto di cui entrambi sentono la necessità di scambiarsi
vicendevolmente: Rufo è una persona che vive da sola, le fidanzate lo
hanno mollato e si dedica solo alla musica, la sua unica passione. Anche
Valentin è un personaggio sostanzialmente solitario, la sua esistenza è
legata strettamente a quella della nonna e sa che quando un giorno non
ci sarà più, egli resterà solo. Emblematiche sono le parole dello stesso:
«Quella notte è stata molto triste, non me la dimenticherò mai. Ho preparato
del Mate44 per la nonna e sono rimasto lì a guardarla. Avevo paura che le
È un’infusione preparata con le foglie di erba Mate, una pianta originaria del
Sud America. Seguendo lo stesso procedimento del thè, l’erba Mate viene essiccata,
tagliata e sminuzzata. Tradizionalmente questa infusione si beve calda e in
compagnia.
44
31
Due sognatori: Valentin e Makarenko
succedesse qualcosa, sapevo che stava bene ma sapevo anche che prima o poi se
ne sarebbe andata. E allora io che avrei fatto? La mia nonnina… Non so se fosse
buona o cattiva ma era l’unica persona che avevo al mondo e avrei voluto che
restasse con me finché io non diventavo vecchio. Anche lei quella sera era triste,
forse si era resa conto che aveva soltanto me al mondo; cercai di tirarle su il
morale, ma anche io ce l’avevo sotto i tacchi45.»
Quando arriva la notizia della morte della nonna, è Rufo che riceve la
telefonata dall’ospedale, comunicando l’accaduto al bambino, ed è lo
stesso Rufo che non lo lascerà da solo e si prenderà cura di lui insieme
alla sua nuova fidanzata, Leticia.
Possiamo affermare che l’intera vicenda è scandita dalla realizzazione
di un unico grande sogno di Valentin: quello di formarsi una propria famiglia.
È stato interessante trovare in un sito spagnolo46 che si occupava del
film, un titolo alternativo al semplice Valentin com’è stato poi distribuito
in Italia e in tutti gli altri Paesi: El sueño de Valentín. La dimensione del
sogno quindi, come si può ben capire, è un elemento distintivo del film
che già era presente nei pensieri del regista.
Il protagonista sogna di avere una famiglia al completo, formata cioè
da una figura maschile e una femminile; egli stesso aveva una famiglia
di cui facevano parte il padre e la madre ma questa si è disgregata prima
che Valentin potesse crescere e avere un bel ricordo di lei. La nuova
famiglia che si crea con la nonna ovviamente non è la stessa cosa, la
nonna lo ama immensamente ma l’affetto e il rapporto che si vengono a
creare con un genitore sono totalmente diversi.
Valentin ha un modello di famiglia molto vicino e che frequenta
spesso: è quello del suo amico Roberto. Il bambino esprime il suo
desiderio di poter avere una famiglia così, con due genitori come li
definisce lui, moderni che allietano le giornate dei figli allestendo
spettacoli con le marionette, come si vede durante una sequenza del
film.
Anche il padre di Valentin vorrebbe ricostruirsi una vita insieme al
figlio, ecco perché cerca in tutti i modi di trovare una fidanzata che
piaccia non solo a lui ma che vada d’accordo anche con il figlio. È così
Vd. nota 3.
http://www.cinenacional.com/peliculas/index.php?pelicula=2613
creazione del sito: 2001].
45
46
[Data
di
32
Capitolo secondo
che il bambino conosce Leticia, con la quale instaura da subito un ottimo
rapporto, anche se le cose con il padre non vanno a finire bene.
Valentin è un bambino molto sveglio e maturo, la sua schiettezza è
disarmante, è iperattivo e non passa mai fermo un minuto della sua vita.
Sogna, ad occhi aperti e ad occhi chiusi, è quello il suo motore di vita; il
suo sogno di astronauta, diciamocelo, è di difficile realizzazione se non
quasi impossibile, ma egli ci crede e va contro tutto e tutti quelli che
invece lo deridono per questo suo stupido sogno. E invece quel piccolo
ragazzino occhialuto continua a costruire missili spaziali, ad aggirarsi
per casa con la sua tuta da astronauta e ad esercitarsi in apnea.
Per lui è importante sognare, attraverso i sogni riesce ad evadere
dalla realtà che purtroppo non è così felice come vorrebbe, e come
dovrebbe essere per ogni bambino della sua età.
«Che ne so, c’è gente che ha tutto e non se lo gode; come quel tipo che a
volte spio al bar all’angolo e beve il caffè e legge il giornale e nient’altro! C’è
gente che sembra che non sta vivendo o che non ci fa niente con la vita47».
Queste sono le parole di Valentin, osservando un signore che se ne
sta tutto il giorno al bar davanti al suo giornale e che non solleva mai la
testa da esso.
Valentin sa bene ciò che vuole: sa che diventerà un astronauta e che
ben presto avrà una famiglia tutta per sé. Ha le idee molto chiare per
essere un bambino di otto anni e anche se uno di questi due sogni
resterà irrealizzato perché non metterà mai piede sulla Luna, l’altro
invece riuscirà a portarlo a termine, come ben sappiamo.
È impossibile non tifare per lui, con quella vocetta così simpatica e
squillante, quel tenero visetto paffuto e quegli enormi occhiali che gli
riempiono il volto, quasi festeggiamo insieme a lui quando alla fine ci
racconta di come ora sia “un po’ più felice su questo pianeta” insieme
alla sua nuova e speciale famiglia.
Non è riuscito a diventare astronauta ma anzi ha scoperto il suo
nuovo sogno: diventare uno scrittore. È Valentin il piccolo uomo della
prospettiva: è coraggioso, non ha paura di affermare le proprie idee e di
fare l’impossibile per realizzare i suoi sogni; non resta fissato all’hic et
nunc perché la sua mente non può smettere di sognare cose sempre
nuove e stimolanti da realizzare che lo facciano sentire vivo.
47
Vd. nota 3.
Due sognatori: Valentin e Makarenko
33
2.2. La grande forza d’animo dei due personaggi
Sia Makarenko che Valentin sono due personaggi dalla forte
personalità, nonostante Valentin abbia 8 anni. Entrambi sono molto
determinati nel realizzare quello in cui hanno sempre creduto: per
quanto riguarda Valentin la costruzione di una famiglia, mentre per
Makarenko di una nuova colonia. In comune hanno diverse qualità:
entrambi sono coraggiosi e non hanno paura nell’affermare le proprie
idee, sono decisi nel portare a termine i propri progetti accomunati da
una caratteristica specifica: la creazione di nuove realtà.
Sono personaggi che non guardano mai quello che hanno lasciato alle
proprie spalle perché la spinta della prospettiva non lo permette, in
quanto è una spinta verso il futuro che porta l’uomo nuovo a cercare
nuove dimensioni migliori per la sua vita. «Siccome volevo avere una
famiglia, ho deciso di mettere in pratica un nuovo piano48» afferma la
tenera vocina di Valentin in un passo del film: questa frase esprime
appieno la determinazione del bambino che, anche se piccolo, dimostra
di essere sveglio e tenace nel vedere realizzato il suo sogno.
Il personaggio di Makarenko non è da meno. Quando la colonia
Gor’kij si trova ad un bivio importante della sua storia, ovvero il
trasferimento in una nuova colonia, egli capisce che deve prendere in
mano la situazione e agire immediatamente. La colonia quindi si
trasferisce nella nuova tenuta a Kurjaž dove sarebbe iniziato per tutti,
educatori e colonisti, un nuovo periodo delle loro vite.
Forse la principale differenza del nostro sistema educativo, rispetto a quello
borghese consiste nel fatto che da noi un collettivo di ragazzi deve
necessariamente crescere ed arricchirsi, deve vedere davanti a sé un domani
migliore e avanzare verso di esso in uno sforzo gioioso e comune, in un sogno
allegro e persistente. Forse è proprio in questo che si cela la vera dialettica
pedagogica49.
La vita a Kurjaž era molto diversa da quella nella colonia Gor’kij: là i
bambini erano abbandonati a sé stessi e vivevano in condizioni di
povertà e igieniche inimmaginabili.
48
49
Ibidem.
A. S. MAKARENKO, op. cit., p. 347.
34
Capitolo secondo
L’assemblea generale, come tutte quelle degli ultimi tempi, ascoltò il mio
rapporto meditabonda e seria. Mentre parlavo, ascoltavo con curiosità non solo
le reazioni dell’assemblea, ma anche me stesso. […] Nelle mie parole, nel tono,
negli atteggiamenti del mio viso sentivo nettamente uno spiacevole senso di
insicurezza. Per un anno intero non avevamo fatto che proiettarci verso spazi
ampi e luminosi, possibile che le nostre aspirazioni dovessero essere coronate
da quel comico e sporco Kurjaž? Come era potuto accadere che io stesso,
spontaneamente, parlassi ai ragazzi di un futuro così insopportabile? Cosa ci
poteva attrarre a Kurjaž?
[…] Ma al tempo stesso nella mia breve e sincera esposizione, nella quale
non risuonava una sola parola di speranza, sentivo un nuovo potente appello,
nuovo anche per me stesso, un appello dietro il quale si celava una gioia ancora
timida, lontana ed incerta50.
Il lavoro da fare era immenso per rendere i nuovi alloggi vivibili e
puliti ma la volontà e l’impegno non mancavano di certo; si doveva
lavorare non solo per la costruzione di una nuova colonia, ma anche per
quella di un nuovo collettivo e tutti i ragazzi si adoperavano per rendere
tutto questo possibile. Nonostante l’iniziale indifferenza dei ragazzi che
abitavano già nella nuova colonia, presto anche loro cominciarono a
darsi da fare per rendere quel posto migliore per poterci vivere,
collaborando con gli altri. Era chiaro come la prospettiva stesse alla base
di tutto. La formazione di una nuova colonia e un nuovo collettivo
impegnava tutti a guardare al futuro con fiducia nelle proprie capacità e
con la voglia di far parte di un gruppo unito, dedito al lavoro e
all’amicizia reciproca.
[…] A dire il vero, l’uomo non può vivere se non vede davanti a sé qualcosa
di piacevole da raggiungere. Il vero stimolo della vita umana è la gioia del
domani. […] Ciò che siamo abituati ad apprezzare maggiormente nell’uomo
sono la forza e la bellezza. Entrambe si formano in lui unicamente in
dipendenza del suo atteggiamento verso la prospettiva. L’uomo che stabilisce la
propria condotta in base alla prospettiva più immediata, quella del pranzo di
oggi, per intenderci, è l’uomo più debole. Un individuo, le cui azioni sono
invece volte verso una prospettiva più lungimirante, allo scopo, supponiamo, di
accumulare ricchezze e acquistare un podere, questo individuo è un uomo
forte, e lo sarà tanto di più quanto maggiori saranno gli ostacoli che avrà
superato, e cioè più lungimiranti le sue prospettive. […] Educare l’uomo
50
Ivi, p. 356.
Due sognatori: Valentin e Makarenko
35
significa educare in lui le linee di prospettiva sulle quali troverà la sua felicità di
domani. Si potrebbe scrivere un’intera metodologia di questo fondamentale
lavoro. Esso consiste nell’organizzare nuove prospettive, nell’utilizzare quelle
già esistenti sostituendole gradualmente con altre di maggior pregio51.
Sia Makarenko che Valentin possono essere considerati come uomini
della prospettiva, continuamente pronti a guardare avanti a sé e a
cercare di trovare sempre una buona soluzione ai loro problemi. Non
sono dei personaggi malinconici perché lo slancio della prospettiva non
permette di restare ancorati al passato; entrambi lottano, anche se con
mezzi e modi differenti vista la grande differenza d’età e la diversa
collocazione temporale, per realizzare i propri obiettivi che sono molto
simili. Valentin è solo un ragazzino ma dimostra d’essere nell’arco di
tutta la vicenda a volte molto più maturo e saggio degli adulti che lo
circondano perché non ha perso mai il sorriso e la voglia di andare
avanti nonostante tutto: ha saputo fare dei propri sogni una bellissima
realtà, la sua realtà tanto attesa e sperata.
Un passo molto importante che riguarda la colonia Gor’kij e, in senso
stretto il tema della prospettiva, è il momento in cui Makarenko capisce
che i ragazzi hanno bisogno di un posto nuovo dove poter crescere. La
stessa cosa accade in modo analogo al piccolo Valentin, quando la nonna
viene a mancare e capisce che la sua temporanea sistemazione a casa
dell’amico Roberto potrebbe diventare definitiva, ma non è quello per
cui ha lottato: Valentin vuole una famiglia tutta sua.
«Dopo un paio di settimane stavo già, diciamo, un po’ meglio. Papà si era
messo d’accordo con i genitori di Roberto e così ora vivevo con loro, non sapevo
fino a quando sarei potuto rimanere, loro mi volevano bene, mi facevano
giocare, ma non erano mio padre e mia madre… Dovevo fare qualcosa. Ogni
tanto tornavo dove abitavo prima, mio padre aveva messo in vendita la casa e a
me non piaceva molto, voleva dire che io lì non ci sarei potuto tornare, avevano
perfino messo una catena alla porta, che brutto no? Mai più, quella parte della
mia vita era finita. […] Siccome volevo avere una famiglia, ho deciso di mettere
in pratica un nuovo piano…52».
Anche nel Poema pedagogico c’è una morte importante che segna
profondamente la vita della colonia: il suicidio di Čobot, un ragazzo del
51
52
Ivi, pp. 495-496.
Vd. nota 3.
36
Capitolo secondo
gruppo. Makarenko capisce che quel gesto estremo aveva sconvolto tutti
i colonisti e che serviva una nuova spinta al collettivo per non lasciarlo
morire.
Non appena si presenta l’occasione per cambiare nettamente tutti
quei giovani destini, Makarenko capisce che quella è la situazione
migliore per far continuare a crescere quella colonia, i ragazzi e gli
educatori che ne fanno parte. Il collettivo non deve morire con Čobot,
deve andare avanti, guardare al futuro come ha sempre fatto e cambiare
il luogo della sua crescita.
In un simile collettivo l’incertezza dei destini individuali non poteva
provocare una crisi generale. I destini individuali sono sempre indeterminati. E
cos’è mai un destino individuale determinato? È un rifiuto del collettivo, è un
concentrato di piccola borghesia: una preoccupazione noiosa e prematura per il
futuro pezzo di pane, per quella famosa qualifica. E quale qualifica? Falegname,
calzolaio, mugnaio. No, io credo fermamente che per un ragazzo di sedici anni
nella nostra vita sovietica la qualifica più ambita sia quella di un uomo che
lotta.
Un vero uomo però, il cui nome talvolta si propone di scrivere con la
maiuscola, può nascere solo nel collettivo. Il nuovo collettivo della nostra storia
più recente non può essere costruito in tre- quattro anni: questo è vero; noi
magari abbiamo avvertito appena le sue più significative caratteristiche. Ma
anche i tratti principali di questo nuovo collettivo, proprio quelle preziose
particolarità dell’uomo nuovo collettivista, io non le cambierei per nessun altro
tipo di qualificazione.
No, il problema non è nella “qualificazione”. Dopotutto, anche negli ultimi
giorni, sento chiaramente il battito intenso della colonia; e non ho dubbi sul
fatto che la colonia porti in sé una grande forza sana, altrimenti i colonisti non
avrebbero affrontato la morte di Čobot con tanta incrollabile serenità.
M’immaginai tutta la forza di quel collettivo di colonisti e all’improvviso
capii come stavano le cose: ma certo, come avevo fatto a non capirlo prima? Si
trattava di una sosta. Non ci devono essere momenti di “stasi” nella vita di un
collettivo.
Ero contento come un bambino: che bellezza! Che dialettica prodigiosa,
affascinante! Un libero collettivo di lavoratori non può restare allo stesso punto.
La legge dello sviluppo generale comincia solo ora a mostrare la sua vera forza.
La forma vitale di un libero collettivo umano è il movimento in avanti, mentre
una “stasi” ne rappresenta la morte. Ma se non siamo ancora morti, non vuol
dire che da noi c’è una qualche vitalità? Di che tipo? Una vitalità interiore?
Potrebbe essere che questa sia la “molla”: la tensione potenziale delle forze
Due sognatori: Valentin e Makarenko
37
collettive. Che diavolo, qui è possibile trovare un intero mucchio di leggi
affascinanti, ma io non ho il tempo di occuparmene, giacché per adesso mi è
stata offerto non di “fabbricare” leggi, ma la colonia Gor’kij.
Sì, noi da quasi due anni eravamo fermi allo stesso punto: gli stessi campi, le
stesse aiuole, la stessa falegnameria e lo stesso ciclo annuale53.
2.2.1. La spinta della prospettiva
Come abbiamo già accennato più volte, la prospettiva spinge l’uomo
nuovo a non arrendersi mai davanti alle difficoltà, a cercare sempre un
futuro migliore per la sua condizione personale e a non darsi mai per
vinto.
Il piccolo Valentin in un certo senso può rappresentare questo
modello di “uomo nuovo”, sebbene abbia solo otto anni e la sua
esperienza di vita sia davvero minima; come Makarenko però ha dentro
di sé lo spirito del coraggio e dell’iniziativa di cercare sempre una
soluzione ai propri problemi senza arrendersi mai.
Se da una parte abbiamo il piccolo protagonista del film intento a
costruirsi una nuova vera famiglia, dall’altra abbiamo l’uomo maturo,
protagonista del Poema, che cerca durante tutto l’arco della storia di
creare nella propria colonia un collettivo di ragazzi, aiutandoli con tutti i
mezzi a costruirsi una nuova vita, attraverso lo stimolo del lavoro.
Alla base della prospettiva d’altronde c’è un concetto duale: quello
del progresso da una parte e della regressione dall’altra, ovvero della
continua spinta verso il futuro e del richiamo al passato che
caratterizzano le vite dell’uomo ed è grazie ad essa che la voglia di
andare avanti non viene mai meno.
Bisognava avere molta pazienza ed essere dotati dell’ottimismo della
prospettiva, per continuare ad avere fiducia nel successo dello schema trovato
precedentemente, per non perdere il coraggio e per non allontanarsi dalla
strada intrapresa54.
Makarenko si rende conto delle difficoltà che dovrà affrontare ma
essendo l’uomo del coraggio e della prospettiva, non si arrende e
53
54
Ivi, p. 337.
Ivi, p. 81.
38
Capitolo secondo
continua a lottare per raggiungere i suoi obiettivi ed aiutare i ragazzi
della colonia a lasciarsi alle spalle il loro complicato passato e guardare
al loro futuro con i migliori auspici.
La pedagogia sovietica esigeva una logica completamente nuova: dal
collettivo al singolo. Solo l’intero collettivo può essere l’oggetto della pedagogia
sovietica. Solo educando il collettivo ci possiamo aspettare di raggiungere una
forma della sua organizzazione, all’interno della quale il singolo sia allo stesso
tempo assolutamente disciplinato e completamente libero.
Mi ero persuaso che né la biologia né la logica né l’etica potessero
determinare le norme del comportamento. Le norme vengono determinate, in
qualsiasi momento, dalle nostre esigenze di classe e dalla nostra lotta. Non c’è
scienza più dialettica della pedagogia. La formazione del tipo di
comportamento necessario è soprattutto una questione di esperienza, di
abitudine e di lungo esercizio in ciò di cui abbiamo bisogno. E la palestra per
tale esercizio sarà il nostro collettivo sovietico, che è attrezzato con i trapezi e le
sbarre di cui abbiamo adesso bisogno. […] Solo negli ultimi anni, intorno
all’anno 1930, io venni a conoscenza di molti delitti dei gor’kiani, sui quali a suo
tempo era stato tenuto completamente all’oscuro. Adesso provo una vera
riconoscenza nei confronti di questi meravigliosi primi gor’kiani, per aver
compreso così bene, di dover eliminare le tracce e conservare in me la fiducia
nel valore umano del nostro collettivo. No, compagno ispettore, la nostra storia
continuerà nella stessa direzione. Continuerà forse con molta fatica e non
sempre senza intoppi; ma questo è dovuto solo al fatto che non possediamo
ancora una tecnica pedagogica. Manca solo la tecnica55.
La colonia Gor’kij è un’espressione importante del senso della
prospettiva: per i ragazzi che ne fanno parte è il loro passato e presente,
dove hanno trovato una propria collocazione e una famiglia che li aiuta,
li consiglia e li guida nella vita ma anche il loro futuro, grazie ad essa
infatti mattone dopo mattone hanno costruito il loro avvenire e da essa
dovranno prima o poi staccarsi, come un figlio fa con i genitori per
formare una propria famiglia.
Oggi si può constatare con senso di gioiosa sicurezza quanto sia cresciuta e
quanto si sia abbellita la colonia. […] Nella colonia si sta bene, a proprio agio, in
Non a caso, nelle conclusioni del Poema pedagogico, Makarenko ritornerà
diffusamente sul tema dell’importanza della tecnica pedagogica, come elemento
qualificante di una prospettiva educativa. Ivi, p. 82.
55
Due sognatori: Valentin e Makarenko
39
un clima di bellezza e razionalità e guardando quello spettacolo mi sento fiero
di aver contribuito per la mia parte all’abbellimento della terra. […] Eccoli che
corrono, passeggiano serenamente in mezzo agli ospiti, si danno da fare intorno
alle tavole, vigilano ai loro posti, arginano la marea di centinaia di curiosi
perdigiorno venuti a vedere quel matrimonio mai visto. Sono i gor’kiani, snelli
e con un bel portamento, hanno figure agili ed eleganti, corpi muscolosi e sani,
che non conoscono il medico, hanno visi freschi e labbra rosse. Sono visi
fabbricati qui, nella colonia: quando sono arrivati dalla strada avevano visi di
tutt’ altro aspetto.
Ciascuno ha la sua strada davanti a sé, come ha una sua strada da seguire la
stessa colonia «Gor’kij». Sento fra le mie mani gli inizi di molte fra quelle strade,
ma non riesco a distinguerne la continuazione e la fine nella nebbia del futuro,
che comincia lì vicino56.
La colonia può essere paragonata in un certo senso al simbolo della
famiglia di Valentin: in principio c’era quella composta dai genitori e da
Valentin stesso, poi se n’è formata una nuova composta dalla nonna e
dal bambino e infine il film ci fa capire che si è appena creato un nuovo
nucleo familiare, grazie a Leticia e a Rufo, gli amici speciali di Valentin.
Il ragazzino è sempre al centro della vicenda, è lui il vero motore di
tutto: non può restare a guardare che gli eventi facciano il loro percorso,
senza intervenire, deve agire in prima persona per far sì che la sua
situazione migliori ed è ciò che otterrà, grazie soprattutto all’impulso
della prospettiva.
56
Ivi, pp. 288-289.
Capitolo terzo
Sergeev e Makarenko: due educatori a confronto
3.1. La storia di Verso la vita
Il film è centrato sulla vicenda di una Comune per ragazzi
abbandonati nei pressi di Mosca che prende vita nell’inverno del 1923.
I besprizorniki, ovvero ragazzi abbandonati senza né dimora né
genitori, vivevano per le strade della città commettendo furti ed erano
una triste realtà per quei tempi; piccoli criminali che sfuggivano sempre
dagli orfanotrofi e che neanche la polizia riusciva a prendere. I ragazzini
derubavano la gente della città ed erano anche violenti; un giorno infatti,
mentre uno di loro ruba delle mele ad una signora per strada, una
donna tenta di fermarlo rimettendoci la vita: era la madre di Kol’ka, un
quindicenne che diventerà un besprizornye, lasciando la casa dove viveva
e il padre che aveva iniziato a bere, sconvolto per la perdita della moglie.
Una notte, durante una retata, la Commissione per la tutela dei
bambini abbandonati riesce a catturarne alcuni che dormivano in uno
scantinato e a portarli nei loro uffici, dove eseguono i primi
interrogatori.
Un ispettore, Sergeev, si rende conto che, continuando ad usare i
metodi repressivi e violenti allora in voga, la situazione sarebbe rimasta
invariata, propone quindi di sperimentare un nuovo metodo educativo
basato sulla fiducia e sul lavoro nei confronti dei ragazzi abbandonati.
Gli altri componenti della Commissione accettano la proposta di
Sergeev e gli affidano l’incarico di creare una Comune in cui avrebbe
messo in atto il suo nuovo progetto. L’educatore allora convoca un
gruppo di ragazzi e comunica loro la decisione di creare un collettivo in
cui essi avrebbero lavorato, si sarebbero autogestiti e nel quale sarebbero
stati liberi di restare o meno.
I giovani non credono subito alle parole di Sergeev e iniziano ad
alzare la voce, in quel momento l’educatore compie un gesto che
conquista tutti: invece di alzare le mani contro di loro, tira fuori dalla
tasca del cappotto un pacchetto di sigarette e le offre ai ragazzi che
stupiti accettano non solo di fumare insieme a lui ma anche di seguirlo
nella Comune, anche se tra di loro continuavano a pensare alla fuga.
Fin da subito, Sergeev capisce che l’unico modo per ottenere l’aiuto e
la collaborazione dei ragazzi è conquistarli in tutte le maniere possibili.
42
Capitolo terzo
Alla stazione avviene un altro episodio importante che consolida il
legame di fiducia tra Sergeev e i ragazzi: durante il trasferimento dagli
uffici della Commissione alla stazione, l’educatore fa loro presente che
non ci saranno delle guardie a condurli nella Comune perché hanno
scelto liberamente di entrarne a far parte, per questo saranno
accompagnati solo da lui.
Lungo il tragitto si presenta ai ragazzi una buona occasione per
fuggire perché tra loro e Sergeev si interpongono due tram che li
separano ma non lo fanno e questo dona grande sollievo all’educatore.
In un altro momento, mentre Sergeev dà a Mustafa, uno dei
besprizorniki, i soldi per la colazione da fare durante il viaggio in treno,
teme che il ragazzo scappi con il denaro ma proprio quando il treno sta
partendo Mustafa torna con il cibo per tutti e anche con un salame
rubato, Sergeev lo ammonisce subito: quella deve essere l’ultima volta
che compie un furto.
Con l’arrivo alla Comune, in un monastero abbandonato, i ragazzi
iniziano a lavorare con entusiasmo come falegnami e come calzolai. Il
lavoro, secondo Sergeev, li avrebbe aiutati a maturare e ad avere uno
scopo nella vita che non fosse quello dell’alcool, del furto o delle donne.
La vita nella Comune procedeva bene anche se non mancavano
episodi di una certa regressione; come il furto dei cucchiai, ad esempio,
risolto con destrezza dai ragazzi che, obbligati da Sergeev a mangiare la
minestra con le mani per far capire loro la lezione, decidono che
avrebbero trovato il responsabile senza denunciarlo.
Durante la primavera, nel periodo del disgelo, un’inondazione
colpisce la Comune isolandola per qualche giorno e impedendo ai
ragazzi di lavorare; essi allora chiedono a Sergeev di procurare loro un
nuovo lavoro, così l’educatore si reca a Mosca per parlare con gli altri
membri della Commissione in modo da ottenere un nuovo incarico per i
suoi ragazzi. Durante la sua assenza i giovani ripiombano nei vecchi vizi
delle carte e dell’ozio, la situazione degenera, alcuni mettono a
soqquadro la Comune e i laboratori e uno di loro, Vas’ka, uccide persino
un cane che viveva là.
Un altro gruppo però, capeggiato da Mustafa e Kol’ka, riesce a
tranquillizzare gli animi prima dell’arrivo di Sergeev. Al suo rientro l’educatore, rendendosi conto della situazione e sebbene sia molto
amareggiato per l’accaduto, non si arrabbia con i ragazzi ma mostra a
tutti un trenino elettrico che ha portato come regalo e con l’occasione
Sergeev e Makarenko: due educatori a confronto
43
comunica loro il nuovo compito: avrebbero costruito una ferrovia di
collegamento tra la Comune e la stazione più vicina.
I ragazzi gioiosi per il nuovo obiettivo iniziano a lavorare con grande
fervore ma, nonostante il forte entusiasmo collettivo, alcuni ritornano ai
vecchi vizi, per via del trasferimento nei pressi della Comune di Žigan, il
capo della banda di cui faceva parte anche Mustafa, che attirava i
giovani con l’alcool e le donne. Mustafa, insieme a Kol’ka ed altri,
riescono a sconfiggere quella nuova distrazione catturando i componenti
del covo di Žigan che però riesce a fuggire.
Nel frattempo la linea ferroviera è ormai pronta e Mustafa, il
macchinista del treno, parte su un carrello ferroviario alla volta della
stazione; durante il tragitto il ragazzo, contento per il lavoro svolto,
canta a squarciagola e non si accorge che Žigan sta sabotando le rotaie.
Quando arriva dove i binari sono manomessi, il carrello deraglia e il
ragazzo viene scaraventato per terra. Resosi conto di quello che aveva
fatto il delinquente, lo affronta e nella colluttazione Žigan lo colpisce con
il suo pugnale ferendolo a morte.
Il giorno dopo, i ragazzi partono per l’inaugurazione del treno
nonostante Mustafa non sia tornato dal viaggio di collaudo della linea
ferroviaria e, arrivati nel punto danneggiato, scoprono il suo corpo
senza vita vicino alle rotaie, ancora manomesse, e poco lontano il
pugnale di Žigan, capendo così chi ha commesso l’omicidio.
I giovani rattristati per l’accaduto aggiustano le rotaie, adagiano il
corpo di Mustafa sulla parte anteriore della locomotiva e continuano il
viaggio verso la stazione; una volta arrivati tutti coloro che li stavano
aspettando, compreso Sergeev, si raccolgono attorno al treno per
compiangere la dolorosa morte del loro compagno.
Il film Verso la vita esce nel 1931 ed è stato realizzato nel corso di un
anno dal 1930 al 1931. La prima proiezione avviene a Mosca nel giugno
del 1931 riscuotendo un grande successo. Il film partecipò alla prima
Mostra Cinematografica di Venezia, tenutasi nel 1932, e anche qui fu
molto apprezzato; infatti, in mancanza di una giuria e dell’assegnazione
di premi ufficiali che vennero introdotti solo più tardi, attraverso un
referendum svolto tra il pubblico, vennero conferiti sei riconoscimenti
non ufficiali e, tra questi, Ekk venne dichiarato il miglior regista57.
57
http://it.wikipedia.org/wiki/ [Data di consultazione del sito: 28/01/2010].
44
Capitolo terzo
In una recensione Raffaello Matarazzo, in seguito alla manifestazione
cinematografica, descrive così il film:
[…] È un film bellissimo. Non contiene concessioni né per il gusto
commerciale né per le bravate tecniche, né tanto meno per la retorica e
l’eroismo essenziali alla linea di maniera. Lo stile di Ekk è scarno, limpido,
semplice, per quanto dinamico e nervoso. Quando un artista ha uno scopo tira
dritto a questo senza voltarsi indietro neanche per limare o tornire. Alla fine,
l’opera conserva ancora quella freschezza particolare della cosa creata del genio:
ha la fragranza del pane appena sfornato. Nel 1923, dopo la rivoluzione, le
grandi città russe erano infestate da turbolente masnade di monelli cresciuti
senza padre, né madre, né legge […]. Piccoli selvaggi, privi di ogni disciplina
morale, sporchi, affamati, erano tante belve annidate negli angoli più luridi
delle grandi città. Il nuovo stato sovietico decide di intervenire e di assumersi
l’arduo compito di restituire all’umanità, attraverso il lavoro, queste centinaia
di giovani finora pericolosamente abbandonati a se stessi. […] Il metodo
d’istruzione è chiaro: bontà, comprensione, umanità. Bandita ogni imposizione
od asprezza. […] La conquista della vita, attraverso la disciplina e cosciente
organizzazione avviene a gradi, ma già i piccoli selvaggi di un tempo sono
irriconoscibili. […] L’efficacia della sua opera educatrice si legge sui volti dei
fanciulli a lui affidati, volti tornati sereni, umani, ridenti. Non mancano di tanto
in tanto ribellioni separate o collettive. Simile vita di disciplina e di lavoro,
stratificata su nature ribelli provoca delle reazioni. Ma anche qui l’istruttore
interviene con la dolcezza e lasciando che gli indomabili siano ricondotti alla
ragione dagli stessi elementi presi dalla bontà delle nuova vita […]. Film
eccezionalmente profondo e polposo. Dilungarci sulla tecnica sarebbe inutile
che ogni scena, ogni quadro appaiono belli poiché costituiscono stupendi
capitoli di un’unica opera. Dire che tutti gli interpreti, dal primo all’ultimo,
siano stati dei grandi attori significherebbe offendere la loro naturalezza e
intelligenza. La figura di Mustafa e dell’istruttore prevalgono sulle altre per
lirismo d’interpretazione, non per finzione scenica. Nikolaj Ekk con Verso la vita
ha fatto un capolavoro; russo, sovietico, ma soprattutto universale58.
Il film venne diffuso anche a livello mondiale, a Londra per esempio
uscì con il titolo Road to life dove ebbe un forte consenso.
La vicenda narra la storia di un educatore, Sergeev, che aiuta un
gruppo di besprizorniki, i giovani sbandati della Russia degli anni Venti,
58 R. MATARAZZO, Al festival di Venezia. Cinematografia russa, in «Il Tevere», Roma,
19 agosto 1932.
Sergeev e Makarenko: due educatori a confronto
45
a sfuggire al loro triste destino accogliendoli in una Comune, dove
avrebbe offerto loro lavoro e fiducia per crearsi un futuro migliore.
Nikolaj Ekk (Riga- Lettonia, 1902- Mosca 1976) realizza un’opera
molto importante per quei tempi sia dal punto di vista stilistico che
pedagogico.
Per quanto riguarda lo stile, questo è il primo film sonoro sovietico.
Fino agli anni Venti- Trenta infatti assistiamo alla visione di film muti
con la dimostrazione che anch’essi potevano trasmettere emozioni e
narrare le vicende di un film senza l’uso della parola. Grazie a grandi
registi come, ad esempio, King Vidor e Vsevolod Illarionovič Pudovkin,
che per primi si erano opposti al sonoro, vennero realizzati i primi film
parlati, con grande stupore per gli ottimi risultati ottenuti.
«…Ora che ho finito Il Disertore sono persuaso che il film sonoro è, in
potenza, l’arte dell’avvenire. Non è una creazione orchestrale o teatrale
dominata dall’attore, simile all’opera lirica, ma è una sintesi di elementi vocali,
visivi, filosofici che ci danno la possibilità di trasfigurare il mondo, con tutte le
sue linee d’ombre, in una nuova arte che è succeduta e che sopravvivrà a tutte
le altre, poiché costituisce il mezzo più importante col quale potremo esprimerci
oggi e domani59».
La Macchina da presa prima raccontava tutto senza l’ausilio di alcuna
parola, al massimo si adoperavano le didascalie per spiegare qualche
passaggio; ora con la scoperta del sonoro si veniva a creare un forte
legame tra l’effetto visivo e quello parlato. Il sonoro del film è costituito
da tre elementi: il parlato, la musica, i rumori e gli effetti sonori che
rendono la visione del film estremamente completa e armonica.
Nel film Verso la vita ci sono ancora alcuni momenti in cui la forza
espressiva dei personaggi ha la meglio sui dialoghi ma resta comunque
la prima opera sonora per il cinema sovietico.
Dal punto di vista pedagogico invece Ekk si è occupato di un grave
problema che tormentava la società; i ragazzi abbandonati che
vagabondavano nella città e vivevano derubando chiunque potesse
fornire loro ciò che cercavano, erano una triste realtà difficile da
sconfiggere, il più delle volte, infatti, i besprizorniki sfuggivano alla
polizia per ritornare alla vita di sempre. Ekk, realizzando questo film,
narra una vicenda realmente accaduta: la creazione della Comune
59 V. I. PUDOVKIN, La settima arte, in R. TRITAPEPE, Linguaggio e tecnica
cinematografica, Roma, Edizioni Paoline, 1979, p. 149.
46
Capitolo terzo
Bol’ševo60 e con la sua opera mette in evidenza quella situazione
negativa sia per i ragazzi che per la società.
Per Ekk si trattava […] di creare un’opera che non solo denunciasse in quali
condizioni avevano vissuto migliaia di ragazzi, ma indicasse anche quale via di
soluzione era stata scelta, desse soprattutto il senso nuovo delle affermazioni
pedagogiche di Makarenko, rompesse la solita messe di pregiudizi intorno ai
«giovani criminali», cercando le cause di quel loro stato, ne rilevasse la realtà,
additando la soluzione attraverso il rapporto con la nuova società sovietica
basata sul lavoro di tutti, diretto al benessere di tutta la collettività61.
I personaggi principali della vicenda sono i besprizorniki, ragazzi o
bambini abbandonati e/o senza tutela che vivevano per le strade della
città e i protagonisti nel film lo erano veramente.
Sulla base dell’intervento di John Dewey62 che curò l’introduzione del
film nella versione americana possiamo capire meglio il grande lavoro di
Ekk:
«Dieci anni fa ogni viaggiatore che tornava dalla Russia raccontava storie di
orde di ragazzi selvaggi che vagavano per le campagne e infestavano le strade
delle città. Erano gli orfani dei soldati uccisi durante la guerra, di padri e madri
che morirono durante la carestia del periodo postbellico. Vedrete un film che
descrive il loro vecchio cammino verso la vita, un cammino fatto di
vagabondaggio, di violenza, di furti. Vedrete anche il loro nuovo cammino
verso la loro nuova vita, un cammino costruito da un coraggioso gruppo di
insegnanti russi. Dopo che i metodi della repressione erano falliti, essi riunirono
questi ragazzi in case comuni; insegnarono loro la cooperazione, il lavoro
proficuo, il sano divertimento. Pur se in condizioni di assoluta inferiorità, essi
ebbero successo e oggi in Russia non ci sono più ragazzi selvaggi. Vedrete un
film di notevole bellezza artistica, pervaso di azione e forza drammatica.
Vedrete anche la testimonianza di un importante episodio storico. Questi
ragazzi non sono attori professionisti, essi erano una volta ragazzi selvaggi, essi
una volta vivevano in un vero e proprio collettivo. Vedrete anche una lezione
Parte del film è stata proprio girata all’interno della Comune in questione.
I. CIPRIANI, Verso la vita, «Cinema sovietico», in D. SCALZO, Il “Poema pedagogico”
di Makarenko e “Verso la vita” di Ekk, in «Slavia», a. XV, n. 3, luglio-settembre 2006,
pp. 8-9.
62 John Dewey (Burlington, 20 ottobre 1859- New York, 1° giugno 1952) fu un
filosofo e pedagogista statunitense, ma anche scrittore e professore universitario.
60
61
Sergeev e Makarenko: due educatori a confronto
47
educativa sul potere della libertà, della comprensione, del lavoro e del gioco nel
processo di riscatto del delinquente minorenne; una lezione dalla quale anche
noi possiamo imparare63».
Mustafa, il personaggio interpretato da Yvan Kyrlya, è un ladruncolo
che fa parte della banda di Žigan ma è anche un ragazzo dall’aspetto
simpatico.
Egli rappresenta l’emblema della trasformazione da besprizornye a
“uomo nuovo”, quell’uomo nuovo che Sergeev e tutti gli educatori che
si occupavano dei bambini abbandonati avevano desiderato per la vita
dei loro ragazzi.
Mustafa fin da quando Sergeev gli affida i soldi della colazione per il
viaggio in treno, dimostra un grande rispetto nei confronti dell’educatore e anche d’essere cambiato veramente, nonostante il furto del salame:
l’ultima bravata da besprizornye.
Il ragazzo diventa così uno degli esponenti del gruppo a cui fare
riferimento e un gran lavoratore. Sarà lui, insieme a Kol’ka, che aiuterà
quei ragazzi che erano tornati ai vecchi vizi nel covo di Žigan a
riprendersi dalle cattive abitudini e sarà proprio lui che si sacrificherà
per l’obiettivo comune della linea ferroviaria quando sorprende Žigan a
sabotare le rotaie della ferrovia e lo affronta.
Aveva compiuto il suo percorso verso una nuova vita onesta e ricca
di ogni cosa che poteva venire dall’impegno nel lavoro e nel collettivo;
ora avrebbe compiuto l’ultimo viaggio, adagiato nella parte anteriore di
quel treno che percorre la ferrovia da lui stesso costruita; così come il
treno torna alla stazione così Mustafa ritorna dalla sua famiglia per un
ultimo e doloroso saluto.
Sergeev è l’educatore che per primo si cimenta in quella nuova
avventura della creazione di una Comune di lavoro dove si sarebbe
creato un nuovo metodo pedagogico. L’ispettore era infatti convinto che
i ragazzi non avevano bisogno di violenze per abbandonare le loro vite
disperate ma di una grande dose di fiducia per far capire loro che
potevano farcela e crescere in modo sano e onesto.
L’educatore, che rappresenta in ogni caso il potere statale (visto dai
besprizorniki, almeno fino al quel momento, come repressivo), “scende” allo
Traduzione a cura di Giordana Szpunar sulla base della visione di una copia in
VHS dell’edizione americana del film, curata da Michael Gold e prodotta dalla
Amkino Corporation.
63
48
Capitolo terzo
stesso livello dei ragazzi, li tratta alla pari. Egli dà una fiducia illimitata ai
potenziali “educandi” e, soprattutto, dimostra d’interessarsi a loro non
formalmente ma umanamente64.
L’educatore conquista subito i ragazzi con dei metodi sicuramente
fuori dal comune come, per esempio, quando offre loro le sigarette o
anche quando vengono rubati i cucchiai e obbliga tutti a mangiare con le
mani per far comprendere ai giovani il danno che è stato fatto al
collettivo.
Figura 5. Sergeev circondato dai ragazzi mentre offre loro delle
sigarette.
In un’intervista, l’attore che ha impersonato Sergeev, Nikolaj Batalov,
esprime come è riuscito a interpretare quel difficile ruolo:
«[…] La sceneggiatura, tormentata durante i lavori dalle continue
rielaborazioni del regista, era in un primo momento troppo schematica e vaga.
Mi si chiedeva invece di elaborare un personaggio più complesso. Da questo
punto di vista più che la sceneggiatura mi è stata di grande aiuto la conoscenza
di Červoncev o, come lo chiamavano una volta i ragazzi, “zio Lëša”, il direttore
di una delle comuni per la gioventù. L’ho osservato a lungo e ho imparato i suoi
64
D. SCALZO, op. cit., p. 27.
Sergeev e Makarenko: due educatori a confronto
49
metodi rieducativi. Questo ha influito molto sulla mia recitazione. Basandomi
sull’esempio di Červoncev ho creato il Sergeev che vediamo sullo schermo […].
[…] il soggiorno, durante le riprese estive, in una comune di lavoro a Bol’ševo
mi ha dato una grande carica e mi ha colpito profondamente. Là ho visto ex
banditi e prostitute rinascere completamente grazie all’educazione al lavoro.
Osservando la vita di tutti i giorni nelle comuni si può ricavare un materiale
ricchissimo per lo studio del recupero della psiche umana, una rieducazione che
si raggiunge impiegando i metodi dell’educazione comunista […]65».
Kol’ka è un altro besprizornye che arriva alla Comune in un modo
diverso da tutti gli altri; egli appartiene ad una famiglia di ceto medio
ma, in seguito alla morte della madre, il padre si era dato all’alcool e
spesso, ubriaco, alzava le mani contro il figlio.
Un giorno, per questo motivo, il ragazzo decide di abbandonare il
padre e di vivere come gli altri ragazzi che popolavano per le strade
della città. Quando però si rende conto che la sua vita non può
continuare in quel modo, decide di dare una svolta positiva ad essa e
chiede alla Commissione per la tutela dei bambini abbandonati di poter
entrare a far parte della Comune di lavoro.
Kol’ka fin da subito mostra grande impegno nel lavoro e affiatamento
con Mustafa, i due infatti diventeranno amici e saranno anche quelli che,
con una spedizione nel rifugio di Žigan, aiuteranno gli altri compagni ad
abbandonare quel posto e a tornare alla loro nuova vita.
Il ragazzo poi alla fine del film riprenderà i contatti con il padre al
momento dell’inaugurazione della linea ferroviaria e il loro caloroso
abbraccio ci fa capire che entrambi sono cresciuti e sono pronti ad
affrontare insieme una nuova vita.
3.1.1. Una fonte di prospettiva: il lavoro
Il lavoro ha un’importanza fondamentale nel nuovo progetto
educativo proposto da Sergeev agli altri membri della Commissione.
Attraverso l’impegno nel costruire qualcosa di nuovo e utile, i ragazzi
avrebbero trasformato le loro abilità di ladruncoli in abilità artigianali,
fabbricando per esempio delle scarpe.
65 L’intervista a Nikolaj Batalov a cui ci si riferisce è Obsuždaem Putëvku v žizn’
Slovo aktëru, in «Sovetskoe iskusstvo», 3 giugno 1931.
50
Capitolo terzo
Grazie al lavoro, i ragazzi costruiscono il loro futuro e le loro nuove
vite. Il lavoro viene visto come un modo per rieducare e indirizzare i
ragazzi ad una vita onesta dove per ottenere ciò che vogliono non
bisogna rubare ma guadagnarlo con la fatica e gli sforzi. Inoltre il lavoro
il più delle volte è collettivo e questo aiuta i ragazzi a stare insieme e a
collaborare per raggiungere lo stesso scopo.
[…] il lavoro, sistematico, indefesso e talvolta duro e severo, è preso come
base d’educazione e di rigenerazione di quei bambini che tornano verso una
vita sana. All’infuori del lavoro non esiste rigenerazione. Inoltre, tutto il sistema
deve fondarsi sopra un equilibrio delicato di libertà e di autonomia da una
parte e di costrizione e disciplina dall’altra. […] È necessario che i ragazzi
vedano i risultati del proprio lavoro. La loro partecipazione deve essere
volontaria; nella comunità o nella casa di lavoro non si deve sentire nessuna
costrizione. […] Nello stesso tempo i ragazzi devono prendere parte alla vita
dell’ambiente che li circonda, non sentirsi isolati ed estranei. Tutta la vita della
comunità deve essere creata sul principio dell’autonomia, tutti gli affari sociali
dell’amministrazione devono essere risolti dai fanciulli stessi. E, finalmente, essi
devono essere tutti legati tra di loro, devono essere unificati da un vincolo di
solidarietà66.
Sergeev capisce che è importante per i ragazzi avere degli obiettivi e
soprattutto che sono i padroni delle loro vite, il rapporto tra l’educatore
e i besprizorniki si basa principalmente sulla fiducia: i ragazzi sono liberi
di decidere cosa fare del loro futuro, se continuare sulla strada della
criminalità oppure tentare quella dell’onestà.
I giovani sono molto entusiasti dei loro incarichi e svolgono ogni
mansione con grande impegno; tuttavia legato al concetto di prospettiva
c’è anche quello di regressione e stasi e l’esempio più lampante lo
abbiamo quando la Comune viene inondata e quindi isolata per molti
giorni, costringendo i ragazzi a smettere di lavorare.
In seguito a tale incidente, Sergeev cerca di trovare una soluzione al
problema, fornendo ai comunardi un nuovo incarico, ma per fare questo
è costretto a partire per Mosca dove ha sede la Commissione per la
tutela dei bambini abbandonati. Durante la sua assenza avviene una
forte regressione da parte dei ragazzi che ricadono nei loro vecchi vizi
66 V. ZENZINOV, Besprizornye (1929), trad. it. a cura di N. Romanowski, Infanzia
randagia nella Russia bolscevica, Milano, Bietti, 1930, p. 317.
Sergeev e Makarenko: due educatori a confronto
51
del gioco e dell’alcool, alcuni di loro però tra cui Mustafa e Kol’ka,
riescono a far ordine nella Comune prima del rientro di Sergeev.
Grazie alla spinta della prospettiva, Sergeev non si perde d’animo e
continua ad aiutare i ragazzi a crescere e a migliorarsi fornendo loro un
nuovo stimolo: la costruzione di una linea ferroviaria che avrebbe
collegato la Comune con la stazione più vicina.
Anche dalle pagine del Poema pedagogico di Anton Semënovič
Makarenko possiamo ravvisare l’importanza della prospettiva che aiuta
a non arrendersi, guardando con ottimismo al futuro, e a non darsi per
vinti, offrendo così a quei giovani sbandati una nuova possibilità di
riscattarsi attraverso il lavoro e l’impegno nel collettivo.
La Comune è un’espressione importante del senso della prospettiva:
per i ragazzi che ne fanno parte è il loro passato e presente, dove hanno
trovato una propria collocazione e un gruppo che si aiuta a vicenda ma è
anche il loro futuro, grazie ad essa infatti, mattone dopo mattone, i
giovani formano il loro avvenire.
L’inserimento dei ragazzi in un ambiente sano e dedito al lavoro, è
sicuramente una caratteristica fondamentale per formare l’uomo nuovo
perché li aiuta a rendersi utili per il gruppo contando sulle proprie
capacità e abilità, capendo così che se collaborano tutti insieme possono
raggiungere degli risultati concreti.
Prima di tutto, come fu detto più sopra, i bambini lavorando devono veder
risolti certi problemi pratici cioè: il lavoro deve essere utile e il prodotto deve
essere venduto con profitto (ad esempio i lavori del calzolaio, dell’ebanista, del
fabbro, del legatore, il lavoro di riparazione delle macchine agricole); è
necessario che i ragazzi vedano il risultato del proprio lavoro. La loro
partecipazione deve essere volontaria; nella comunità o nella casa di lavoro non
si deve sentire nessuna costrizione67.
Grazie al collettivo i giovani abbandonati sono cresciuti e hanno
trasformato le loro “abilità delinquenziali” in “abilità artigianali”,
diventando, per esempio, competenti calzolai e artigiani, tanto da
vendere le loro creazioni al mercato, e si sono adoperati per costruire la
linea ferroviaria dalla Comune alla stazione.
Sempre grazie all’intervento delle forze positive del collettivo, alcuni
ragazzi riescono a placare gli animi dei più violenti nel momento in cui
la Comune cade nell’ozio in seguito alla mancanza di lavoro dovuta al
67
Ibidem.
52
Capitolo terzo
disgelo, ad aiutare quelli che erano tornati alle vecchie abitudini nel
covo di Žigan e anche a rimediare al furto dei cucchiai.
Tutti questi episodi fanno capire che se il ragazzo è inserito in un
ambiente sano, lontano dai vizi e dalla criminalità, può crescere in modo
onesto con l’aiuto di un educatore che fa le veci della famiglia e del
gruppo, grazie al quale maturano disciplina e rispetto reciproco.
Attraverso il collettivo, il ragazzo comprende che nel momento in cui
commette un’azione negativa, egli danneggia il gruppo ma in primo luogo sé stesso, ne è un chiaro esempio il già citato furto dei cucchiai: tutti i
comunardi ne subiscono le conseguenze dovendo mangiare con le mani.
Come si vede, per educare alla libertà bisogna trattare gli educandi da
uomini liberi. Ma, si badi bene, in entrambi i testi, non si parla di una libertà
astratta e “romantica” […], ma di una libertà all’interno di un collettivo. Solo
esso può garantire, attraverso la disciplina, e il rispetto delle regole, la libertà
del singolo individuo: non esiste libertà senza disciplina68.
È importante per il collettivo che non ci siano momenti di stasi o
regressione perché questo potrebbe significare la morte per esso, come
quando nella Comune, a causa del disgelo primaverile, avviene un’inondazione che la isola per un paio di giorni costringendo così i ragazzi
a non lavorare; in quel momento la situazione degenera e la maggior
parte di loro torna allo stato brado in cui viveva per le strade.
Alcuni rieducandi invece, compresi Kol’ka e Mustafa, riescono a
fronteggiare il disordine provocato dall’ozio e a sistemare la situazione
prima che degeneri del tutto e che ritorni Sergeev da Mosca.
L’educatore, una volta tornato nella Comune, capisce subito quello
che è successo ma non se la prende con i ragazzi, fa parte del suo nuovo
metodo educativo, anzi regala loro un trenino elettrico e comunica così
la loro nuova prospettiva: la costruzione della linea ferroviaria. Questo
nuovo incarico fa tornare il sereno nel gruppo, la voglia di lavorare e
mettersi in gioco per un obiettivo comune: sono questi poi i veri scopi
del collettivo.
Per l’”uomo nuovo” è fondamentale guardare avanti, fiducioso di
quello che lo aspetta, non può fermarsi di fronte ad un ostacolo, deve
continuare a lottare come ha sempre fatto. La prospettiva sta tutta qui:
staccarsi dal passato per poter inseguire e sognare un futuro sempre
migliore.
68
D. SCALZO, op. cit., p. 28.
Sergeev e Makarenko: due educatori a confronto
53
Il lavoro è componente essenziale della sua concezione pedagogica, rivolta al
recupero dei ragazzi difficili, finalizzata alla formazione dell’uomo nuovo per
contribuire alla costruzione della società socialista e per essere partecipe e
protagonista dello slancio e del processo rivoluzionari. Nella concezione di
Anton Semënovič Makarenko e nell’esperienza delle colonie e delle comuni il
lavoro non è fine a se stesso, strumento per impiegare e fare trascorrere il
tempo, espediente per tenere occupati i ragazzi distogliendoli dall’ozio, ma
assume i caratteri di una vera e propria attività produttiva, di una impresa vera
e propria, con tanto di budget e di controllo di gestione, si direbbe oggi. Il lavoro
come strumento per produrre beni materiali e quindi ricchezza, nel senso
socialista del termine e non come profitto. […] Quindi, il lavoro come strumento
rieducativo e formativo, alla stessa maniera di quanto accade nella società
cooperativa ottocentesca e del Novecento, oltre a quelle odierne a carattere
sociale e pedagogico-formativo. Cos’altro è la scelta dei ragazzi di prendere
parte a un collettivo rispetto ad un altro, se non un diretto e primordiale
esercizio di responsabilità, al pari di quanto accade nella cooperativa, in base al
principio di mutualità, solidarietà, sussidiarietà69.
Il lavoro è visto come una forma di educazione per aiutare questi
ragazzi a rendersi utili e a capire che anche loro hanno delle capacità da
sfruttare per poter diventare degli uomini onesti, veri, insomma degli
uomini nuovi. Attraverso il lavoro capiscono che possono contribuire a
realizzare nuovi progetti, il lavoro del singolo è molto importante ai fini
del gruppo: se ognuno dei ragazzi non si impegnasse nel suo piccolo,
tutto il gruppo non arriverebbe al risultato.
Quando i ragazzi della Comune capiscono questo meccanismo e che è
controproducente recare danno al gruppo o al singolo, in quel momento
inizia la vera vita della colonia fatta di lavoro, sacrifici ma anche di
divertimento e di giochi.
Avere uno scopo, un prodotto da realizzare, sprona i ragazzi a dare
sempre il meglio di loro stessi; impegnarsi per fabbricare delle buone
scarpe o nuove mensole che poi saranno vendute al mercato offre loro
un motivo per essere orgogliosi del lavoro svolto.
69
XIV.
A. BAGNATO, Makarenko e il cooperativismo, in A. S. MAKARENKO, op. cit., p. XIII-
54
Capitolo terzo
Figura 6. I ragazzi diventano abili calzolai.
L’impegno profuso dai ragazzi nel lavoro li aiuta a creare uno stile di
vita sano: attraverso le regole, la scansione degli orari della giornata, la
realizzazione di un nuovo compito da portare a termine, i ragazzi
abbandonati riescono ad allontanarsi sempre di più da una vita
disonesta e priva di obiettivi da realizzare.
Parallelamente alla costruzione di nuovi prodotti assistiamo alla
crescita dei ragazzi: il singolo cresce insieme al gruppo, matura e
attraverso il lavoro e il suo ruolo nella vita della colonia e nelle
fabbriche, riesce a capire quanto sia importante per la sua vita e la sua
salvezza, continuare a far parte di un gruppo del genere. Prendere parte
alla vita della colonia, contribuire nei lavori domestici e nelle fabbriche
aiuta i giovani a responsabilizzarsi e a crescere; ha molta importanza la
vita in comune tra ragazzi di diverse età, dove i più grandi aiutano i più
piccoli creandosi così un collettivo, una grande famiglia, in cui ognuno
dei partecipanti è indispensabile per la vita e la crescita di sé stesso e
dell’altro.
Di più, Makarenko vuol sottolineare nel suo racconto il valore formativo
della dimensione estetica; e dunque rilevare l’inutilità relativa del
“pedagogico”, se staccato dalla concretezza di un coinvolgimento esistenziale
Sergeev e Makarenko: due educatori a confronto
55
dell’individuo nel gruppo. Ciò che per altro consente, quanto allo stare insieme
di bambini e ragazzi nella concretezza della situazione educativa comune, di
abbreviare per il possibile le distanze tra livello di età e livello di età: ed in ogni
caso di prescindere dalle astrattezze della “scienza pedagogica”; e magari di
intravedere, al di là degli “assiomi” e dei “teoremi” di essa, i termini di un’
antipedagogia: nel senso, qui, di un prevalere del fare sul conoscere, della vita reale,
sulle rappresentazioni fittizie di essa, delle complessità e difficoltà del collettivo sulle
semplificazioni edificanti di qualsiasi tipo70.
3.2. Le Comuni di Makarenko e Sergeev: nuove vite da costruire
Il compito pedagogico dei due educatori all’interno delle colonie è
molto complicato, non ci sono dei manuali o delle regole stabilite da
applicare per agevolare il loro incarico; formare l’”uomo nuovo” non è
di certo un’impresa facile.
I due educatori hanno a che fare con dei ragazzi particolari che hanno
avuto un’infanzia diversa da quella degli altri coetanei; la loro vita è
stata caratterizzata dalla dissolutezza, dall’omicidio, dal furto,
dall’abuso di sostanze alcooliche e stupefacenti: sono condizioni che un
bambino nella sua crescita, e nel corso della sua vita, non dovrebbe mai
conoscere.
Makarenko e Sergeev si trovano davanti a delle situazioni difficili da
gestire, lo stesso Makarenko durante i primi tempi di vita nella colonia
afferma che a volte non sa come coordinare la situazione e guidare
quelle giovani vite sulla retta via.
All’inizio in entrambe le Comuni i ragazzi cadono nuovamente nei
vecchi vizi, per loro è difficile fidarsi dei loro maestri perché la maggior
parte degli adulti con cui hanno avuto a che fare prima del loro ingresso
nelle colonie, erano malviventi e gli stessi genitori li hanno abbandonati
ai loro destini. Sono ragazzi che hanno sofferto e che per sopravvivere
alla vita di strada non hanno trovato di meglio che darsi alla
delinquenza; il passo che compiono nell’inserirsi in questi speciali
collettivi è molto importante perché si rendono conto che la loro vita non
può più continuare in quella direzione, devono istruirsi e formarsi.
La caratteristica principale di queste colonie è che nascono sul libero
arbitrio da parte dei besprizorniki di entrare a farne parte o meno: spetta a
70 N. SICILIANI DE CUMIS, I bambini di Makarenko. Il Poema pedagogico come
“romanzo d’infanzia”, cit., p. 100.
56
Capitolo terzo
loro questa decisione così importante per la vita e capire se vogliono
veramente cambiarla in positivo e crescere in modo sano seguendo una
specifica disciplina e delle regole di convivenza.
I ragazzi devono essere consci di ciò: che essi vivono nelle comunità
volontariamente, e non devono assolutamente sentirsi sotto un giogo: «se vuoi
puoi starci sennò vattene». Nello stesso tempo i ragazzi devono prendere parte
alla vita dell’ambiente che li circonda, non sentirsi isolati e estranei. Tutta la vita
della comunità deve essere creata sul principio dell’autonomia, tutti gli affari
sociali dell’amministrazione devono essere risolti dai fanciulli stessi. Essi
devono essere tutti legati tra di loro, devono essere unificati da un vincolo di
solidarietà. Tetto, cibo, vestiario, arnesi, essi ricevono dallo stato in forma di
prestito, con l’obbligo di pagarli gradatamente con il ricavo del proprio lavoro71.
Il rapporto tra i ragazzi e i loro educatori si basa su una fiducia
reciproca da entrambe le parti, è un legame particolare che nasce dalla
speranza dei maestri di riuscire a redimere quelle giovani vite; la crescita
che affrontano i ragazzi è caratterizzata dai loro continui progressi nella
vita di gruppo e dalle responsabilità che ognuno di loro ha al suo
interno. Far parte di un collettivo simile vuol dire in primo luogo non
danneggiarlo in alcun modo: minacciando la sicurezza del gruppo si
danneggia in primo luogo il singolo che compromette, di conseguenza,
la sua vita e quella degli altri.
Nati nelle grandi città o in piccoli paesi, figli di operai e di contadini,
adolescenti corrotti da tutti i vizi e piccini strappati per la loro mala sorte dai
nidi familiari. La vita li ha mutilati, ciascuno in modo diverso […]. E il male
principale è che posseggono una psicologia speciale di ostilità, di sfiducia
profonda e giustificata dalla vita stessa e dall’esperienza per quanto ridotta, ma
efficace, e dalla certezza che sono perseguitati, oppressi e che nessuno, proprio
nessuno, li ama72.
Quei ragazzi che prima sono stati abbandonati senza avere più un
punto di riferimento, ora hanno qualcuno su cui contare: Makarenko,
Sergeev e gli altri ragazzi che fanno parte del gruppo. L’unione e la
collaborazione tra tutti i membri di questi “microcosmi” aiutano i
besprizorniki a rendersi utili all’interno della colonia attraverso il lavoro e
71
72
V. ZENZINOV, op. cit., p. 318.
Ivi, pp. 334-336.
Sergeev e Makarenko: due educatori a confronto
57
a prendersi cura l’uno dell’altro. In questo modo essi crescono e
capiscono che quella vita sana fatta di regole, disciplina, lavoro,
protezione del gruppo e del prossimo è la giusta direzione da seguire
per poter avere un futuro migliore e sicuramente più adatto a dei
giovani.
Tutti i ragazzi seguiti dalle loro guide affrontano un percorso
difficile, pieno di ostacoli e di continue cadute; gli stessi educatori spesso
si ritrovano a non saper gestire quelle complicate situazioni perché non
esistono delle leggi e delle regole scritte: un’educazione del si
contraddistingue per le sue peculiarità quali la fiducia e la prospettiva,
ovvero la capacità di saper guardare al futuro con i migliori propositi e
di dare ai giovani una speranza nel domani.
Solo nuovi problemi, sempre nuovi problemi, a scanso della stasi. L’educazione, anzi, vive delle sue stesse questioni e dei suoi propri rischi. Delle sue
esplosioni e dei suoi scoppi. E l’infanzia, i bambini, nelle situazioni descritte, sono
parte essenziale del “gioco”: perché, con tutte le conseguenze, stanno su una
linea di confine, tra il “vecchio” e il “nuovo”.
Il futuro, la prospettiva, che essi pur rappresentano, naturalmente e
culturalmente, sono tuttavia la vita stessa come possibilità e realtà. La “prima
età” della pedagogia socialista (la “accumulazione originaria” di essa, per dirla
con György Lukács) coincide in questo senso perfettamente con la sua
intrinseca dialetticità. Una pedagogia «della lotta».
Una pedagogia “della lotta”. Al limite, un’”antipedagogia”: che però, come
si accennava più sopra, è pure sempre una pedagogia. Una esperienza educativa
concreta, che tuttavia non si esaurisce in se stessa, e che aspira d’altra parte a
tradursi in una tecnica. Dal “negativo” al “positivo”, insomma; e dalla
“quantità” alla “qualità”, ma pur sempre mediante una lotta e senza alcuna
garanzia a priori di successo, né di qualsivoglia uscita di sicurezza nel farsi
dell’opera e per l’appunto del “poema” (nei suddetti numerosi e diversi
significati del termine), come romanzo di formazione e di infanzia73.
La prospettiva forma l’”uomo nuovo” perché gli fornisce una spinta
verso il futuro aiutandolo così a non regredire, tornando dal punto da
cui è iniziato il suo processo di crescita; questo speciale tipo di
educazione non conosce periodi di smarrimento, rappresenta
un’evoluzione continua del soggetto, perché una stasi vorrebbe dire la
morte del collettivo e dunque del suo sviluppo.
73
N. SICILIANI DE CUMIS, op. cit., p. 109.
58
Capitolo terzo
Entrambi gli educatori partono dal principio che un ragazzo per
crescere secondo uno stile di vita sano e lontano dai vizi, debba essere
inserito in un collettivo così che il singolo possa essere d’aiuto e
d’esempio al gruppo e viceversa. In fondo l’uomo è un animale sociale,
come affermava Aristotele, e ha bisogno di vivere all’interno di una
comunità per crescere ma anche del prossimo: non può stare da solo,
dev’essere inserito in un ambiente sano, dove sentirsi amato e protetto
per poter crescere. In questo modo si forma l’”uomo nuovo” e l’obiettivo
di Makarenko è proprio quello di formare quest’uomo che possa essere
reintegrato onestamente nella società rispettando le regole su cui essa si
fonda.
E occorrerebbe riconoscere che il testo, per l’appunto nel corso del suo farsi
romanzo, riproduce via via un procedimento narrativo che è contestualmente
una sorta di attività formativa in progress: la genesi e la procedura di un
passaggio di competenze, dall’”individuale” al “collettivo”; la nascita e lo
sviluppo di un movimento culturale inedito, dal “prima” al “dopo”; la
trasformazione di un punto di vista ed il consolidarsi di uno spostamento di
'campo' dall’”interno” all’”esterno” dell’opera, tra insegnamenti e
apprendimenti dalla dimensione dello scrittore Makarenko a quella
dell’educatore Makarenko. E viceversa.
Il Poema pedagogico, cioè, andrebbe visto anche come una sorta di viaggio (nel
tempo e nello spazio), che pur svolgendosi senza dubbio secondo un piano
educativo (rivoluzionario), viene tuttavia effettuato senza una mappa degli
spostamenti (pedagogici), in presenza della crescita dell’”uomo nuovo”
(socialista) ma in assenza di certezze (assolute), come prospettiva del
“traguardo” ma senza la visione dell’”arrivo”. […] Sono la filosofia e la
pedagogia della prospettiva, che variamente si impongono nella direzione di un
“dover essere”. tuttavia un siffatto dover essere vuol dire, non solo,
genericamente
“educazione
dell’individuo”,
ma
significa
pure,
specificatamente, educazione del collettivo74.
Anche all’interno della Comune di Sergeev i besprizorniki compiono
questo “cammino verso la vita”, grazie soprattutto all’impegno dell’educatore ma anche alla loro grande forza d’animo nel voler cambiare
vita e, di conseguenza, allo spirito e alla spinta della prospettiva insiti in
loro.
74
Ivi, pp. 169-171.
Sergeev e Makarenko: due educatori a confronto
59
Sergeev aiuta i ragazzi a ritrovare sé stessi e ad apprezzare la vita,
fino ad allora caratterizzata da azioni disoneste e dall’ozio. Attraverso il
lavoro fa capire ai ragazzi che ognuno di loro ha delle capacità che,
sfruttate in modo opportuno, possono portare dei profitti materiali e
non. Avere degli obiettivi sprona i giovani a dare sempre del loro meglio
per soddisfare sé stessi e gli interessi del gruppo; creare delle calzature
da vendere al mercato o realizzare la nuova linea ferroviaria della città,
sono dei compiti che fanno sentire quel piccolo collettivo come parte
integrante di un contesto più grande: si rendono di nuovo utili per la
società, grazie a loro è stato realizzato un nuovo collegamento che
permetterà a tutti di muoversi più facilmente dalla colonia alla città e
viceversa.
Attraverso il lavoro e la vita collettiva, i giovani imparano ad essere
responsabili delle proprie azioni e a rispettarsi: quando avviene il furto
dei cucchiai nella Comune, Sergeev decide di non intervenire per
risolvere la questione e li costringe a mangiare con le mani, lascia che
siano i ragazzi a capire il danno che hanno arrecato al gruppo.
I ragazzi all’interno di un collettivo del genere imparano a collaborare
e a capire quanto sia importante sapere di poter contare l’uno sull’altro,
inoltre non sentendosi più soli ed abbandonati a loro stessi, trovano la
forza per riscattarsi da quel triste passato e a dimostrare che possono
essere dei piccoli grandi uomini che hanno saputo mettere la parola fine
alla loro disperata condizione e da là ricominciare da capo, verso una
nuova vita.
3.2.1. Confronti tra Makarenko ed Ekk
Le opere di Makarenko ed Ekk hanno sicuramente dei punti di
contatto per le tematiche analizzate: la rieducazione di una gioventù
sbandata, dei cosiddetti besprizorniki, l’importanza del collettivo visto
come luogo di crescita del singolo e della prospettiva che aiuta i membri
di tali gruppi a guardare al futuro con la speranza e la convinzione di
poter cambiare i loro destini.
Makarenko scrive il Poema pedagogico tra il 1925 e il 1935 e lo pubblica
definitivamente nel 1937 mentre Ekk gira il suo film negli anni Trenta ed
esce nelle sale nel 1931. Vista la coincidenza dei periodi e l’importanza
dell’opera di Makarenko, si può supporre che Ekk sia stato influenzato
dalla sua opera, principalmente dalla prima parte risalente agli anni
Venti, per la sceneggiatura del film ma anche che lo stesso Makarenko
60
Capitolo terzo
abbia trovato dei validi spunti per il suo romanzo a partire dalla visione
del film, riportando tali suggestioni nelle parti pubblicate nel 1932-1934
e nel 1937, in modo definitivo.
La trama del film descrive un fatto realmente accaduto ed è
ambientata nel 1924, anno in cui è stata fondata la comune Bol’ševo ad
opera di Progribienski che riunì in un monastero abbandonato vicino
Mosca un gruppo di ragazzi che avevano organizzato una banda
criminale nella città. Il film viene proiettato per la prima volta a Mosca
nel 1931 e, pur riscuotendo ampi consensi, la critica ufficiale sovietica
analizzando la pellicola fornisce alcune osservazioni:
[…] Il soggetto è stato ben ideato e realizzato […]. Però nell’opera non
ritroviamo quelle caratteristiche che rendono un film sovietico veramente
importante […]. Il processo di rieducazione dei ragazzi abbandonati, ex
assassini e ladri, così come lo trattano gli autori del film, avviene
automaticamente, soltanto grazie al modo gentile con cui il loro rieducatore li
tratta e grazie al contatto con gli strumenti del loro lavoro. Il poter contare
sull’appoggio di una personalità forte, effettivamente deforma molto la realtà di
quanto avviene nei centri di rieducazione per ragazzi abbandonati nell’Unione
Sovietica. Questo elemento allontana il film dalla realtà sovietica, poiché
vengono smorzati quelle possibilità e quei modi caratteristici della dittatura
proletaria, che servono per la rieducazione di questi ragazzi e che riconducono
tale problema a un semplice fenomeno sociale […]75.
Verso la vita partecipò alla prima Mostra Cinematografica di Venezia e
riscosse molti consensi sia dal pubblico che dalla critica, italiana ed
internazionale, e dagli addetti ai lavori. La proiezione del film
sicuramente influenzò la nascita in Europa e in America di quel filone
dei “ragazzi abbandonati” e il processo della loro rieducazione che
contraddistinse molte altre pellicole a livello internazionale. Anche il
cinema italiano ne restò in qualche modo condizionato, soprattutto il
cosiddetto cinema del neorealismo; Alessandro Blasetti, in un’intervista
pubblicata su “Cinema sovietico”, spiega l’influenza dell’opera di Ekk
sulla sua carriera da regista:
L. R.-SKIJ, ‘Nevrucennaja’ putëvka, in «Pravda», 8 luglio 1931 (ora in AA. VV.,
Prima dei codici. Il cinema sovietico prima del realismo socialista 1929/1935, Venezia,
Edizioni La Biennale di Venezia, 1990, p. 142.).
75
Sergeev e Makarenko: due educatori a confronto
61
[…] Non ammirai soltanto quel film, vi partecipai; non ne fui soltanto
colpito, ne fui convinto; non trovai soltanto robustezza tematica e violenza
spettacolare ma un alito umano nuovo e spontaneo, ispirato così nella
persuasione e nella tenerezza dei dettagli come nella forza della retorica ma
commossa ed esaltante conclusione76.
Tuttavia in tutti i numerosi articoli che trattano del film non viene
mai citata una relazione tra il lavoro di Ekk e quello di Makarenko,
abbiamo una prima attestazione di essa da un articolo di Ivano Cipriani
che risale al 1955.
Sicuramente un valido intermediario tra le due opere può essere stato
Maksim Gor’kij, in contatto epistolare con Makarenko già dal 1925 e al
quale viene dedicata la colonia di lavoro dello stesso Makarenko; l’autore del romanzo lo aveva informato del suo manoscritto e proprio Gor’kij
lo aiuta nella pubblicazione della prima parte su una sua rivista. Inoltre
lo stesso si era già avvicinato al mondo del cinema, non solo
apprezzandolo ma anche vedendo riportati sul grande schermo gran
parte dei suoi lavori scritti: da questo si può supporre che sia stato
proprio Gork’ij il tramite tra il romanzo di Makarenko e il film di Ekk.
Una prova della conoscenza di Makarenko del film Verso la vita, si
può trovare in un discorso tenuto nel 1938 alla Casa di Cultura “S.
Kirov” di Leningrado sulla Colonia Gor’kij:
[…] quando esiste una vera organizzazione della collettività infantile, si
possono realizzare autentici prodigi. Alcuni ci segnalano il film Il cammino verso
la vita e ci dicono: che ragazzi pericolosi e corrotti! Io obietterei: chi trova
condizioni normali ed umane, diventa normale e umano il giorno dopo. Di che
altra felicità c’è bisogno? Questa è la felicità! Così accade sempre in una
collettività infantile ben strutturata. I ragazzi, senza eccezione, amano tutti la
disciplina […]77.
Nonostante non ci sia stato un controllo approfondito di questo
discorso, si può ben capire come il film a cui Makarenko fa riferimento
sia proprio quello di Ekk e pare che lo conosca solo per sentito dire, ma
A. BLASETTI, Note sul cinema sovietico, in «Cinema sovietico», settembre-ottobre
1954, p. 45.
77 Il testo della conversazione è stato pubblicato come introduzione all’edizione
italiana (tradotta a cura di L. Laghezza) del romanzo di A. S. MAKARENKO, Bandiere
sulle torri, Roma, Editori Riuniti, 1955, pp. 5-13. (Il brano citato si trova a p. 8).
76
62
Capitolo terzo
analizzando attentamente le sue parole, è chiaro come la conoscenza
della pellicola sia stata molto più approfondita. Quando afferma :«Chi
trova condizioni normali e umane, diventa normale e umano il giorno
dopo», Makarenko esprime perfettamente il processo evolutivo dei
besprizorniki della colonia Gor’kij e della Comune di Sergeev: un giovane
pur sbandato, pericoloso o corrotto, se inserito in un contesto sano e in
condizioni “normali e umane” diventa, anche il giorno dopo, un “uomo
nuovo”.
Sia nel film che nel Poema troviamo lo stesso progetto educativo per
aiutare questi giovani sbandati a cambiare le loro vite e a migliorarle: si
parte quindi da condizioni estremamente negative e disagiate di
bambini e adolescenti negli anni Venti- Trenta nella Russia bolscevica
che tentano attraverso un percorso scandito dal ritmo del lavoro e dalla
convivenza in un gruppo di riscattarsi dal loro triste passato. Durante la
realizzazione di questo progetto tutti, ragazzi e maestri, affrontano una
crescita personale, spesso difficile da realizzare per i continui ostacoli via
via incontrati ma che, grazie all’ottimismo della prospettiva, riusciranno
a portare a termine con grande soddisfazione.
Entrambi gli educatori decidono di sperimentare su quei giovani un
nuovo metodo educativo, non più repressivo e violento ma basato sulla
fiducia, facendoli sentire importanti all’interno del gruppo, aiutandoli a
capire quanto l’uno sia fondamentale per l’altro e viceversa, sull’importanza del lavoro e quindi di scandire le giornate seguendo uno specifico
schema, dei compiti da realizzare e soprattutto sulla collaborazione tra
ognuno di loro. Sia Makarenko che Sergeev inoltre chiariscono fin da subito che solo i besprizorniki possono decidere se rimanere o meno nelle
colonie: prima di allora non era mai stata data una simile libertà di scelta
ai ragazzi perché in queste speciali Comuni di rieducazione tutti devono
partecipare alle attività quotidiane e non possono isolarsi o sentirsi degli
estranei, perciò è necessario che ne prendano parte volontariamente,
senza essere costretti in alcun modo.
Già! Qui si sta tanto bene! Tanto bene… Eppure c’è di molto meglio. E, sì,
sì… Dunque, vediamo… Non dovrei dirvelo. È ancora un segreto. Ma stiamo
organizzando una nuova fabbrica a Talbut. Chi vuol venire insieme con me?
Volontario, s’intende… Là noi lavoreremo […]. Però tutto è basato sulla fiducia,
chiaro? Tutto sulla fiducia. Voi sarete liberi78!
78
Vd. nota 4.
Sergeev e Makarenko: due educatori a confronto
63
Sia Makarenko che Sergeev si mettono dalla parte dei rieducandi,
impostando il loro metodo educativo su sistemi più umani che formali;
fino ad allora l’educatore rappresentava il potere statale ora invece scende allo stesso livello dei ragazzi abbandonati capendo che ormai le
strategie repressive non sono più applicabili e che bisogna mettere in
pratica un nuovo procedimento, definito sperimentale perché utilizzato
per la prima volta in quel contesto, gli stessi educatori non sanno se
l’esperimento andrà a buon fine, ma è un rischio che devono correre:
hanno dato fiducia a quei giovani e loro, d’altro canto, non hanno tradito
le loro aspettative.
Conclusioni
I protagonisti dell’elaborato sono stati principalmente quattro: i tre
film Ratatouille, Valentin, Verso la vita e il Poema pedagogico di Makarenko.
Tutte le opere sono inserite in contesti molto lontani e diversi l’uno
dall’altro, eccezion fatta per il Poema e il film di Ekk che attraversano lo
stesso periodo cronologico: il Poema e anche il film raccontano le vicende
di due colonie di rieducazione negli anni Venti-Trenta, quando la Russia
è in piena rivoluzione mentre le storie di Remy e del piccolo Valentin
fanno parte dei giorni nostri.
Gli interpreti delle storie sembrano distanti anni luce gli uni dagli
altri ma alla fine lottano per gli stessi obiettivi, pur avendo risorse
differenti; sebbene non sembrino avere punti di contatto, al contrario, ne
hanno molti, come ad esempio, l’idea del gruppo, del collettivo, i
concetti di fiducia, dell’”uomo nuovo” e, nel caso di Ratatouille,
dell’artista che si può trovare in chiunque, anche in un topolino che
vuole diventare chef.
Fondamentale è il concetto di prospettiva, l’andare avanti, il non
arrendersi mai di fronte alle difficoltà e, soprattutto il principio più
importante, la realizzazione dei propri sogni, anche se inseguirli alle
volte può voler dire andare contro tutto e tutti…
Quello che più importa è la realizzazione di sé stessi, non ci potrà mai
essere un reale progresso se continuiamo a guardare ciò che ci lasciamo
alle spalle perché se non si ha piena fiducia nel futuro non possiamo
realizzare i nostri progetti.
L’”uomo nuovo” di cui parliamo può essere sicuramente
rappresentato dal tenero Valentin di soli 8 anni che guarda il mondo dai
suoi grandi occhiali e sogna di fare l’astronauta o magari lo scrittore e, se
avanza tempo chissà, anche di costruirsi una nuova famiglia… Sogna in
grande il piccolo Valentin, ma è proprio questo suo carattere molto
determinato e ottimista che alla fine lo aiuterà a realizzare i suoi piccoli
grandi sogni, anche se sulla Luna non ci arriverà mai, intanto su questo
pianeta ha conquistato ciò che voleva.
Il lavoro di Sergeev all’interno della Comune è stato un impegno
notevole. Egli ha capito subito che quei ragazzi non avevano bisogno di
un metodo repressivo per crescere e maturare ma di uno nuovo, basato
sulla fiducia e sulla libertà: dovevano decidere loro stessi cosa avrebbero
fatto delle proprie vite.
66
Conclusioni
Il suo obiettivo era quello di formare l’”uomo nuovo” da un piccolo
gruppo di ragazzi abbandonati, un’impresa importante ma, con la
continua fiducia nei comunardi e nel futuro, tutte le difficoltà che via via
doveva affrontare contribuivano solo a renderlo più forte.
Il concetto principale che sta alla base della prospettiva consiste
proprio nell’affrontare con gioia il futuro; grazie ad essa l’uomo, se
inserito in un contesto sano e onesto, lontano cioè dai vizi e dalla
criminalità com’era d’altronde la vita dei besprizorniki prima del loro
incontro con Sergeev, può crescere e formarsi, sia pure con la fatica e il
lavoro. Il loro progresso è stato un continuo intreccio tra il passato, dal
quale si dovevano allontanare, e il futuro, che dovevano inseguire per
ricercare sé stessi e quello che la vita aveva in serbo per loro: un vero e
proprio cammino verso la vita.
Anche il lavoro di Makarenko, si è contraddistinto per gli stessi valori
e risultati da raggiungere: per lui e i suoi colleghi è stato un impegno
costante e a lungo raggio d’azione, la loro impresa di formare l’”uomo
nuovo” è stata molto importante ed impegnativa, soprattutto dal punto
di vista pedagogico.
Tutti i ragazzi della colonia Gor’kij sono cresciuti, si sono formati e
sono diventati uomini nuovi, grazie all’insegnamento dei loro maestri,
all’aiuto dei loro compagni e anche grazie alle esperienze di vita che
hanno dovuto sostenere durante la loro permanenza nella colonia.
Queste opere ci mandano un messaggio importante: non importa
quanto siano grandi o difficili da realizzare i nostri sogni, l’importante è
credere sempre i noi stessi perché, grazie alla spinta della prospettiva e
alla fiducia nelle nostre potenzialità, possiamo arrivare dove vogliamo,
anche se la strada a volte sarà in salita, tanto prima o poi arriverà la
discesa.
Appendice
Avatar: il film del futuro
Il film di James Cameron, uscito da pochi mesi nelle sale, è stato
definito come il film dell’anno, che cambierà la storia del cinema.
Il progetto del film è nato circa dieci anni fa quando ancora non
esistevano alcune tecniche di lavorazione come quelle ora a disposizione
per il cinema d’animazione e non. Cameron aveva tutto in mente ma ha
dovuto mettere da parte per un po’ la fantascienza per dedicarsi ad un
altro film, come Titanic, accontentandosi così di vincere “solo” 11 Oscar
e incassando un miliardo e ottocento milioni di dollari, l’incasso più alto
per un film nella storia del cinema, anche se la sua vera passione resta la
fantascienza come afferma in un’intervista79:
[…] Nonostante lo abbia amato moltissimo, non era Titanic il film che ho
sempre sognato di fare, ma Avatar. Ho iniziato a pensarci nel 1995. In pochi
giorni ho riempito più di 100 pagine con tutti gli elementi necessari: la storia, il
mondo fantastico, le creature volanti. Perché la mia vera passione è la
fantascienza.
Il film racconta, nel 2154, la storia dell’ex marine Jake Sully, costretto
su una sedia a rotelle, ma nell’animo ancora un combattente. È stato
reclutato per svolgere una missione importante: viaggiare anni luce
verso il reparto militare posto sul pianeta Pandora, dove verrà estratto
un importante minerale per risolvere la crisi energetica che imperversa
da tempo sulla Terra.
Pandora è un pianeta ricoperto interamente da foreste incantate,
popolato da creature fantastiche ma soprattutto il sottosuolo è ricco di
un minerale molto prezioso per gli esseri umani e assai costoso.
L’atmosfera del pianeta però è diversa da quella terrestre, è tossica, e gli
umani, per poterci sopravvivere, hanno creato il Programma Avatar
grazie ad un team di scienziati.
79 S. MAPELLI, «Avatar» cambia il cinema. Speciale- il film dell’anno, in «Tv, Sorrisi e
canzoni», a. 2010, n. 3, 16-22 gennaio 2010, Roma, Mondadori, pp. 8-9.
68
Appendice
Figura 7. Jake Sully con i tratti di un Na’vi insieme a Neytiri.
Gli Avatar sono degli ibridi ottenuti dalla combinazione del Dna
umano con quello degli abitanti di Pandora, la popolazione Na’vi,
creature alte quasi tre metri, dalla carnagione blu e che vivono in
perfetta armonia e a stretto contatto con la natura che li circonda. Anche
Jake Sully per la sua missione dovrà trasformarsi in un Avatar,
riprovando così la gioia del camminare e scoprendo soprattutto un
nuovo mondo, dove l’uomo convive con la natura, le sole armi a
disposizione sono arco e frecce e non ci sono macchine: il tempo è come
se si fosse fermato ad un’epoca primitiva, il dialogo e l’unione del
popolo sono le doti principali per affrontare i nemici.
La missione del marine è quella di infiltrarsi tra la popolazione Na’vi
per convincerli a lasciare che i militari estraggano il minerale
indispensabile per le riserve d’energia della Terra. Approdato sul
pianeta, Jake Sully incontra la bellissima Neytiri, la figlia del capo dei
Na’vi, che gli salva la vita dall’attacco di un animale. I Na’vi vorrebbero
subito eliminare il marine perché sanno qual è il suo incarico ma
decidono di non uccidere Jake perché vedono in lui uno spirito buono;
quindi viene introdotto nel clan e impara così a diventare uno di loro:
apprendendo le regole del gruppo e affrontando una serie di prove per
poter entrare a far parte di quel mondo speciale.
Il rapporto tra Jake e Neytiri diventa sempre più profondo, Jake ha
assimilato il modo di vivere della popolazione e ormai è diventato parte
Avatar cambia il cinema
69
del gruppo; per lui è sempre più difficile risvegliarsi da quella
dimensione e tornare ad essere un marine sulla sedia a rotelle; a poco a
poco capisce che non può più far parte della squadra che distruggerà
quel pianeta, ormai quella è la sua gente e deve fare di tutto per salvarla
ma soprattutto per restare a fianco della sua amata. Diventerà quindi il
capo della rivolta che combatterà fino all’ultimo per salvare il proprio
mondo dalla distruzione e, alla fine, la sua grande determinazione gli
permetterà di salvare quella fantastica dimensione a cui lui apparteneva
da sempre, doveva solo chiudere gli occhi per raggiungerla.
Il film è realizzato interamente in 3D ma con una tecnica diversa dalle
altre usate precedentemente, in cui le riprese dal vivo, ovvero quelle dei
terrestri, si combinano perfettamente con quelle del mondo alieno create
interamente al computer, fino ad essere indistinguibili tra di loro.
Proprio Cameron afferma la sua volontà di creare qualcosa di nuovo,
che non si era mai visto prima:
[…] Fino ad ora, si è sentita la necessità di esagerare con gli effetti 3D, con
oggetti che sembrano bucare lo schermo o cadere sugli spettatori. Un metodo
che stupisce la prima volta, ma annoia la seconda e soprattutto rischia di
allontanare lo spettatore, ricordandogli costantemente che sta guardando un
prodotto artificiale. Io invece cercavo un effetto di realismo in 3D80.
Per fare ciò, Cameron ha realizzato due innovazioni tecniche: quella
della motion capture, che permette di catturare, con una nitidezza mai
raggiunta prima, le espressioni del volto e i movimenti delle pupille
degli attori mettendo sul loro volto una microcamera che registra tutto e
la seconda rivoluzione riguarda una telecamera virtuale attraverso la
quale il regista può vedere il mondo virtuale ricreato al computer e
quindi muoversi al suo interno come se fosse nel mondo vero.
Il regista con questo film voleva proprio creare un mondo
immaginario e fantastico all’interno del quale lo spettatore si potesse
perdere, dimenticando così di essere al cinema.
I personaggi sono tutti caratterizzati da una grande forza d’animo, la
stessa Neytiri è una donna forte, capace di affrontare continue battaglie
perché il suo animo è quello di una vera combattente; anche Jake Sully, il
marine sulla sedia a rotelle non è da meno: rivoluziona la sua vita
perché quella di prima non era vera; appena arrivato sul pianeta
Pandora crede che sia solo un sogno ma quando capisce che quello è il
80
Ivi, p. 11.
70
Appendice
mondo, a cui appartiene da sempre, si rende conto che fino ad allora
aveva solo sognato, ed è quella la vera realtà.
Questo continuo intreccio tra passato e futuro, tra sogno e realtà, ci
permette di vedere Jake Sully come se fosse mosso dalla spinta della
prospettiva e dalla voglia di scoprire sé stesso nel suo nuovo corpo,
nell’intento di affermarsi superando tutti gli ostacoli che troverà sul suo
cammino, combattendo finalmente per una giusta causa, la sua causa.
«Manderanno un messaggio per dirci che loro possono prendersi tutto
quello che vogliono ma noi manderemo il nostro messaggio… Questa,
questa è la nostra terra!», sono queste le parole di Jake Sully diventato
un Na’vi quando incita l’intera popolazione contro i militari: si è trasformato, ma in realtà quello è sempre stato il suo corpo.
Un film del genere non si era mai visto prima al cinema, si è dovuto
aspettare quindici anni per restare a bocca aperta davanti al grande
schermo, Avatar sa di futuro e di certo rivoluzionerà la storia del cinema
grazie soprattutto alle sue incredibili innovazioni tecnologiche.
Appendice II
Una speciale rappresentazione della prospettiva
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BIRD BRAD, PINKAVA JAN, Ratatouille, Disney-Pixar, USA, 2007.
CAMERON JAMES, Avatar, Twentieth Century-Fox Film Corporation, USA, 2009.
EKK NIKOLAJ VLADIMIROVIČ, Verso la vita, Mežrabpom-fil’m, Mosca, 1931.
Indice dei nomi (*)
AGRESTI ALEJANDRO, XI, XIV, XVI, 17,
19-20, 22-23, 25, 73
AMELIO GIANNI, 16, 71
ARISTOTELE, 56
ARMSTRONG NEIL, XV, 19
BAGNATO AGOSTINO, 51
BATALOV NIKOLAJ, XI, 46-47
BEVILACQUA SIMONETTA, XVI, 71
BIRD BRAD, XI, XVI, 4, 8, 12, 16, 73
BLASETTI ALESSANDRO, 58
CAMERON JAMES, 65, 67, 73
CARDINALI JULIETA, XI, 25
ČERVONCEV, 47
CHAGALL MARC, 16, 71
CIPRIANI IVANO, 44, 59
ČOBOT, 33-34
COLETTE, 4, 7, 12
CONSOLI MARCO, 20
COPPETO CHIARA, XIV, 71
CRABA FRANCESCA, XI, XVI, 71
CUOMO ANTONIO, 8
DEWEY JOHN, 44
DJANGO, 7
DOGLIOTTI MIRO, 3, 71
DŽAGOFAROV MICHAIL, XI
EGO ANTON, XIV, 2, 4, 10-13
EKK NIKOLAJ VLADIMIROVIČ, XI, XVI,
42-44, 57, 59, 63, 73
EMILE, 5, 7
FERRAROTTI FRANCO, XVI, 16, 71
FINN PAOLO, XVI, 71
GOLD MICHAEL, 45
GOR’KIJ MAKSIM, XIII, XV, XVII, 11-12,
31, 59-60, 64
GOULD STEPHEN JAY, 16, 71
GRAMSCI ANTONIO, 16, 71
GUSTEAU AUGUSTE, 1, 5-10, 13
GYÖRGY LUKÁCS, 57
HUPALO ALINA, XI, XVI, 71
JOBS STEVE, 15
KARABANOV, 13
KELLER THOMAS, 9-10
KIROV SERGEJ MIRONOVIČ, 59
KOL’KA, 39-41, 45, 47-48, 50
KONOVALENKO ELENA, XI, XVI, 71
KYRLJA IVAN, XI, 45
LABRIOLA ANTONIO, 16, 71
LAGHEZZA LEONARDO, 59
LASSETER JOHN, 14-16
LAURIA ANGELA, XIV
LËŠA, 47
LESKOVA OLGA, XI, XVI, 71
LETICIA, 18, 22-25, 27-29, 37
LINGUINI, 5-10, 12, 15
MACCHETTO AUGUSTO, 6, 71
MAKARENKO ANTON SEMËNOVIČ, XI,
XIII-XVII, 1-4, 10-11, 13, 16-17, 3033, 35-36, 39, 44, 48, 51, 53, 55-57,
59-60, 63-64, 71
MAPELLI SILVIA, 65, 71
MASIH IQBAL, 16, 71
MATARAZZO RAFFAELLO, 42
MATTIA EMANUELA, XI, XVI, 71
78
Indice dei nomi
MEDINA ROBERTO, 19, 24, 27, 29, 33
MILOUD OUKILI, 16, 71
MINNITI MARCO, 22-23
MIYAZAKI HAYAO, 14
MODUGNO DOMENICO, 16, 71
MORANDINI LAURA, 20, 71
MORANDINI LUISA, 20, 71
MORANDINI MORANDO, 20, 71
MUSTAFA, 40-42, 45, 47-48, 50
NEYTIRI, 66-67
NIOLA GABRIELE, 15
NOHER JEAN PIERRE, XI
NOVIKOV ALEKSANDR, XI
NOYA RODRIGO, XI, 17, 19-20
PATERNÒ BEATRICE, XI, XVI, 71
PINKAVA JAN, XI, 4, 73
POINT FERNAND, 9-10
PROGRIBIENSKI, 58
PUDOVKIN VSEVOLOD ILLARIONOVIČ,
43
REMY, XIV, 1-2, 4-10, 12-13, 15-16, 63
ROMANOWSKI NINA, 47, 71
ROSIELLO LUIGI, 3, 71
RUFO, 18-20, 25, 27-28, 37
RYBČENKO ANNA, XI, XVI, 71
SCALZO DOMENICO, 44, 46, 50, 71
SERGEEV, XV, 39-41, 43, 45, 47-48, 53,
55, 57, 60, 63
SICILIANI DE CUMIS NICOLA, XI, XVIXVII, 1, 14, 16, 53, 55, 71
SIEBBELES CAROLINE, 20
SKINNER, 4-6, 9
SKIJ L. R., 58
SOKOLOVA RAISA, 13
STANTON ANDREW, 15
STARACE ALESSIA, 15
SULLY JAKE, 65-66, 68
SZPUNAR GIORDANA, 45
TRITAPEPE RODOLFO, 43, 71
TRUFFAUT FRANÇOIS, 23
UGAROVA MAŠA, XI, XVI
URTIZBEREA MEX, XI, 25
VALENTIN, XI-XII, XIV, XVII, 17-18, 2022, 24-33, 35, 37, 39, 63, 73
VAS’KA, 40
VIDOR KING, 43
YUNUS MUHAMMAD, 16, 71
ŽAROV MICHAIL, XI
ZAVATTINI CESARE, 16, 71
ZENZINOV VLADIMIR, 47, 54
ŽIGAN, 41, 45, 47, 50
(*) L’indice contiene sia i nomi reali
che quelli dei personaggi dei film
e
del
Poema
pedagogico,
rintracciabili in corsivo, per una
visione d’insieme dell’elaborato.
Indice delle tematiche ricorrenti
Abilità, 48-50, 52
Affetto, 25, 28
Affinità, 18, 22, 27
Amicizia, 7, 12, 18, 25, 27, 32, 37
Amore, 25, 27
Artista, 1-2, 4, 42, 63
Aspirazione, XIII
Astronauta, XV, 17, 20, 24, 28-30, 63
Avvenire, 36, 43, 49
Avventura, XVII, 13
Besprizornye, XIV-XV, 39-40, 43-45, 4748, 54-57, 60, 64
Cambiamento, XII-XIII, 7, 10, 11-13,
16, 33, 54
Cammino, 43, 56-579, 64, 68
Capacità, IX, XIV, 6, 8-9, 22-23, 32, 49,
57
Chef, XIV, 1-2, 4-5, 9, 12-13, 15, 63
Collaborazione, 8, 15, 32, 39, 44, 48,
55, 57
Collettivo, XIII, XVII, 3, 7, 13, 31-33,
35-36, 39, 44-45, 47-51, 53, 56-57,
59, 63
Colonia, XIII, XV, 3, 5, 7-8, 11, 13, 3037, 39-41, 45, 47-50, 52-56, 59-60,
63-64
Colonista, XVII, 33
Compito, XV, 15, 41-42, 53, 57, 66
Comunità, XV
Condizione, XV
Conoscenza, 8, 18, 27, 53, 59
Conquista, 4, 42
Coraggio, XIV-XV, 3, 30, 35, 44
Coscienza, 10
Crescita, XII-XIII, XVI, 7-8, 12, 16, 31,
33, 46, 49-50, 52-54, 56-57, 60, 6364
Destino, XV, 33, 43, 57
Determinazione, XV, 31, 33, 35, 67
Difficoltà, XIV-XV, 3-4, 34-35, 53, 6364
Domani, 2, 31-32, 43, 55
Educando, 35
Educatore, XV, 13, 33, 39-40, 43, 4546, 48, 50, 53-54, 57, 60-61
Educazione, X, 13, 31-32, 39, 45, 47-48,
50-51, 55-58, 60
Emozione, 43
Energia, 23
Entusiasmo, 22, 40-41, 48
Evoluzione, 56, 60
Famiglia, IX, XIV-XVI, 4, 7-9, 11-13,
15-16, 18-21, 24-27, 29-31, 33, 3537, 47, 53, 63
Fatica, 11, 64
Fiducia, XIII, XV, 2-4, 11-12, 22-23, 32,
35-36, 39-40, 43, 46, 48, 60-61, 6364
Figlio, 12
Formazione, XII-XIII, XVI-XVII, 11,
13-14, 32, 36, 49, 51, 53-56, 64
Forza, XIV, XVI, 3, 7, 9, 22, 32, 34, 43,
50, 57, 59, 64, 67
Futuro, XIII-XIV, XVII, 2-3, 7, 15-16,
26-27, 30, 32, 33, 35-37, 43, 48-49,
51, 55, 57, 63-65, 68
Genitori, XIV, 8-9, 12, 16, 19, 25-26,
29, 36-37, 39, 42, 54-55
80
Indice dei nomi
Gruppo, XV-XVII, 7, 12-13, 15, 32-33,
39-40, 43-44, 49, 51-58, 61, 63-64,
66-67
Ideale, XVII
Impegno, XIII, 31, 45, 48, 52, 56, 64
Impulso, XIII, 37
Infanzia, X, XVII, 6, 8, 19, 23, 27, 53,
55, 59
Infinito, XIII
Innovazione, 14-15, 68
Insegnamento, XI, 64
Intreccio, XIII, 16, 26, 64, 68
Istruzione, 26
Lavoro, IX-X, XIII-XV, XVII, 8, 12, 14,
16, 31, 32, 34-35, 39-45, 47-49, 5152, 55, 57-60, 63-64
Legame, 8, 25, 40, 43, 54
Libertà, 48-50, 54, 60, 63
Lotta, 55, 63
Metodo, XV, 31, 39, 42, 44-45, 50, 60,
63
Missione, 64-65
Morale, XI, XVI, 4
Novità, XV
Nuovo, XIII, 1, 4, 9, 11, 14, 16, 30, 33,
35, 37, 40, 44, 48, 50-52, 55, 57-58,
63
Obiettivo, XIV, 16, 18, 24, 32, 35, 41,
45, 48, 51-52, 56-57, 63-64
Ostacolo, 8, 12, 55, 60, 68
Ottimismo, 7, 20, 22, 24, 35, 41, 49, 60,
63
Passato, XIII, 2-3, 9, 16, 26, 32, 35-36,
49, 51, 57, 60, 64, 68
Pedagogia, XIII, XV, XVII, 2, 13, 31,
35-36, 43, 45, 51, 53, 55, 64
Percorso, XV, XVII, 11, 16, 37, 45
Personalità, XV
Potenzialità, 7, 64
Presente, XIII, XVII, 2, 16, 26, 36, 49
Previsione, XIII
Progetto, 7, 28, 30, 39, 41, 48, 50, 63, 65
Progresso, 35, 54, 63-64
Prospettiva, XI-XVII, 1-4, 7, 9, 13-14,
16, 24-27, 30, 32-33, 35-37, 48-49,
51, 55-56, 60, 63-64, 68
Qualità, 10
Ragazzo, XIV-XV, XVII, 2, 3, 7 ,10-13,
16-18, 20-21, 23-25, 29, 31-32, 3436, 39-41, 43-45, 47-51, 53-61, 63-64
Rapporto, 7, 25-26, 29, 54, 66
Realizzazione, 15, 24, 29, 43, 60, 63
Realtà, XIII, XV, 30, 33, 39, 44, 58, 68
Regressione, 35, 40, 48-50
Responsabilità, 13
Rieducazione, XIV-XV, 7, 50, 57-58,
60, 63
Rispetto 11
Risultato, 43, 49
Scelta, 3
Scoperta, XI
Scoppio, 2, 55
Sfida, 14-15
Sforzo, 3, 31, 48
Società, 8, 16, 43-44, 51, 56-57
Sogno, XIV-XV, XVII, 8, 12, 16, 20, 22,
24, 28-31, 33, 51, 63-64, 67-68
Sopravvivenza, XV
Sorriso, 33
Speranza, XIV, 3-4, 12, 21, 24, 27, 33,
54-55, 57
Indice dei nomi
Spinta, 2, 7, 27, 34-35, 41, 49, 55-56, 64,
68
Stasi, 2, 34, 55
Stimolo, 32, 35, 49
Successo, 8, 35, 41, 55
Sviluppo, XIII, XVI-XVII, 56
Topo, XIV, 2, 4, 7-10, 12-13, 15, 63
Traguardo, X, XIII, XV, 56
Trasformazione, 10, 14, 45, 56
Unione, 25, 56-57, 65
Uomo, XIII, XV-XVI, 11, 32, 34, 57, 64
66
Uomo della prospettiva, XIV, 4, 32, 35
Uomo nuovo, XIII, XVII, 2-3, 12, 30,
34-35, 45, 49, 51, 53, 55-56, 60, 6364
Valore, XVI, 64
Vita, XII-XV, 11, 13, 15-16, 18, 21, 23,
29-33, 35-36, 39-42, 44-45, 47-48,
52-57, 60, 63-64, 67
Volontà, 4, 7, 9, 31, 67
81
Finito di stampare nel mese di marzo 2010
dal Centro Stampa Nuova Cultura, Roma