L`attualità di un Poema. La testimonianza pedagogica di An

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L`attualità di un Poema. La testimonianza pedagogica di An
Ricerche di Pedagogia e Didattica (2011), 6, 1 – Recensioni
L’attualità di un Poema. La testimonianza pedagogica di Anton Semenovic Makarenko
Recensione di Federico Zannoni
Alma Mater Studiorum – Università di Bologna
Dipartimento di Scienze dell’educazione
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Abstract
In occasione della nuova edizione del Poema pedagogico di Anton Semenovic Makarenko (a cura di Nicola Siciliani de Cumis, Roma, Albatros, 2009) il presente articolo prova a riferire alcuni spunti che, ricavati dal testo e dai contributi critici che
lo precedono, testimoniano quanto ancora attuale e attualizzabile possa essere la
lezione del grande pedagogista sovietico. Si metteranno particolarmente in evidenza le riflessioni relative all’importanza del collettivo come forma identitaria e di
concezione della socialità, del lavoro come parte del processo educativo e della dignità umana come bene supremo da tutelare e su cui riporre fiducia.
Parole chiave: Anton Semenovic Makarenko; Poema pedagogico
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Il mio primo giorno di vita nella «colonia Gor’kij», così pieno di vergogna e di impotenza, è ormai così lontano che mi pare soltanto
un’immagine piccola piccola che non riesce a imbrattare il vetro di un
contesto festivo. Va già molto meglio. Già in molti luoghi dell’Unione
Sovietica si sono annodati i nodi robusti di un serio lavoro pedagogico, già il partito sferra gli ultimi colpi sui nuclei residui dell’infanzia disgraziata e demoralizzata. E forse molto presto da noi si potrà smettere di scrivere «poemi pedagogici» per scrivere un libro semplice e pratico: «Il metodo dell’educazione sovietica»
(Anton Semenovic Makarenko)
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Dopo una lunga gestazione e dopo una preventiva, entusiastica lettura, Alexei Maximovic Gor’kij riuscì finalmente a convincere l’amico Anton Semenovic Makarenko a pubblicare il suo Poema pedagogico sull’almanacco letterario L’anno diciassettesimo, dividendolo in tre parti, destinate rispettivamente al terzo fascicolo della rivista dell’anno 1934 e al quinto e all’ottavo fascicolo dell’anno 1935. Il successo in
madrepatria fu imponente, seguito da ulteriori riedizioni dell’opera. Soltanto nel
1952, per le Edizioni Rinascita, comparve la prima traduzione in italiano, curata da
Leonardo Larghezza e introdotta da Lucio Lombardo Radice. Nel fermo contesto
di egemonia democristiana nelle politiche educative, col ministro Gonnella ostile al
marxismo e diffidente nei confronti del deweysmo, l’irrompere del Poema rianimò
la sinistra pedagogica di allora con nuovi argomenti da porre in dibattito, ma nello
stesso tempo fu accolto in modo quasi benevolo anche dalla stampa di maggioranza, persino da qualche intellettuale cattolico, estrapolando dalla lettura gli elementi
di lirismo, patriottismo, senso della disciplina e dell’obbedienza all’autorità, rintracciando nell’intreccio sincere manifestazioni di fede, seppur laica: in poco tempo
divenne, nell’editoria pedagogica, un caso come solo Lettera a una professoressa riuscì
a esserlo, diciassette anni dopo.
Anche in Italia, seguirono nuove edizioni e nuove traduzioni, sino a quella del
1982, curata da Vincenzo Sarracino per la casa editrice napoletana Fratelli Ferraro,
dopo di cui i testi di Makarenko divennero di sempre più difficoltosa reperibilità.
Ora, a scongiurare i pericoli dell’oblio, sopravviene questa nuova, preziosa riedizione, curata dalla Prima Cattedra di Pedagogia generale e dal Dipartimento di Ricerche storico filosofiche e pedagogiche dell’Università di Roma “La Sapienza”.
Cominciato nel 1992 e terminato nel 2009, il lavoro di minuziosa rilettura, studio,
analisi contenutistica e lessicale, ri-traduzione, attualizzazione e approfondimento,
coadiuvato dal professor Nicola Siciliani de Cumis, ha coinvolto generazioni di
studenti, dottorandi, ricercatori e docenti, raccolti attorno all’opera con lo spirito,
l’atteggiamento e l’impegno nell’agire in modo collettivo tali da rendere giustizia al
grande pedagogo. La lunga preparazione del nuovo volume è stata accompagnata
da dibattiti e seminari, realizzazione di tesi di laurea e corsi monografici, scrittura
di articoli e partecipazioni a convegni, generando confronti, scontri e suggestioni
capaci di dimostrare quanto ancora siano attuali i messaggi contenuti nel Poema,
rimessi per questo a disposizione del lettore insieme all’antica prefazione di Lucio
Lombardo Radice e agli interventi introduttivi di Tatjana Fedorovna Korableva ed
Emiliano Mettini (presidente e vicepresidente dell’Associazione Internazionale
Makarankiana), del maestro di strada Marco Rossi Doria e degli accademici Agostino Bagnato, Franco Ferrarotti, Vincenzo Orsomarso, Antonio Santoni Rugiu e
Nicola Siciliani de Cumis.
La caratura dell’autore, l’orizzonte a noi distante entro il quale si è mosso, le dimensioni dell’opera, la datazione lontana, gli echi epici della scrittura e i contenuti
raccolti conferiscono al Poema pedagogico una imponenza oggi rara, talmente incon-
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sueta da rasentare reazioni di soggezione. L’avventura del processo di recupero alla
vita e alla società dei besprizorniki, dei giovani delinquenti ospitati presso la Colonia
Gor’kij, le gioie e le fatiche della vita tutti insieme nelle lande di una Unione Sovietica che ora non esiste più, condite dalle riflessioni e dai dubbi del loro maestro,
potrebbero a una prima lettura erigersi a mera documentazione di un preciso momento storico, in un contesto ben determinato, oppure spingersi a porsi come un
grande romanzo di formazione, che assume su di sé le forme e le emozioni
dell’epopea. Si tratterebbe, in entrambi i casa, di letture che recherebbero i rischi di
una percezione di lontananza quando, al contrario, l’attualità del Poema appare poliedrica, complessa e aperta a più interpretazioni.
In questa direzione, il lavoro di approfondimento e revisione critica sull’opera durato anni da parte degli accademici di Roma si pone controcorrente alle più recenti
abitudini e suggerisce, di trapasso, una lettura lenta, analitica, riflessiva anche da
parte del singolo fruitore, che questi sia un insegnante, un educatore, uno studioso,
o anche un semplice curioso. In modo particolare in ambito accademico, è importante notare come, successivamente alle riforme degli ordinamenti, proliferano
corsi brevi, dal programma segmentato e frastagliato, spesso scollegati l’uno
all’altro, finalizzati a un nozionismo sul modello del sussidiario, quando non del
bignami: si tende a trasmettere un po’ di tutto, ma nulla di approfondito. Non ci si
ferma più sulle opere. I grandi classici del pensiero pedagogico assai raramente figurano come testi d’esame, surclassati da collezioni di ritagli. Come conseguenza,
lo studente non ha più la consuetudine a soffermarsi su un testo, su un autore, su
una modalità di pensiero, trovandosi nella impellente necessità di economizzare il
tempo nel migliore dei modi, per potere riuscire a sostenere in modo efficace i tanti, piccoli esami. Parallelamente, in ambito scolastico ed educativo sempre più si
assiste alla richiesta, da parte degli insegnanti e degli operatori, di prontuari funzionali all’utilizzo, di strumenti e strategie applicabili all’evenienza, tralasciando ciò
che sta dietro la loro elaborazione, e cioè i momenti di riflessione, di contestualizzazione, di dubbio, di conflitto, di sperimentazione e di silenzio. Il rischio che si
corre è quello di formare generazioni di studenti, poi insegnanti ed educatori, predisposti a esperire la propria professionalità, e quindi la propria esistenza, con le
modalità ed i vissuti degli esecutori, dei recettori passivi di contenuti imposti da
altri, senza chiedersi il perché, senza lavorarci sopra a sufficienza; strettamente
connessa, potrebbe aleggiare la tentazione di percepire la scuola come un comodo
posto di lavoro e nulla più, oppure come un ambiente la cui frequentazione sia
prettamente finalizzata al conseguimento di un titolo di studio, perdendo di vista
tutte le risorse di crescita e condivisione che solo un contesto scolastico pienamente vissuto saprebbe offrire.
Nell’introduzione al Poema, Nicola Siciliani de Cumis definisce Makarenko autore,
scrittore e al tempo stesso ri-scrittore, protagonista ed eroe della sua stessa opera
letteraria, educatore e rieducatore, pedagogo e antipedagogo, attore agito e attore
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agente: esperto nelle pratiche agricole, zootecniche e nella gestione delle imprese
produttive, così come raffinato intellettuale dalla penna felice e dalla solida conoscenza delle opere e dei pensieri delle eminenze del suo tempo e precedenti, nonché della realtà spesso faticosa del contesto contemporaneo, vive la professione di
educatore di frontiera trovando una felice sintesi tra la riflessione sulle azioni, sui
contenuti e sulle dinamiche, la condivisione quotidiana dell’esperienza educativa
coi propri ragazzi, la disponibilità ad affrontare le emergenze con solida concretezza e spirito da ricercatore, anche spregiudicato, anche a costo di scelte impopolari,
e la necessità di portare il proprio contributo nel dibattito pubblico, anche politico,
affinché possa partecipare alla realizzazione di un progetto di società positivo e futuribile. È un educatore a tutto tondo, criticamente inserito nella società, tenacemente desideroso di impegnarsi in prima persona, solidamente preparato al proprio compito: non un esecutore, non un sovversivo, bensì un critico professionista
e cittadino, convinto di come compito dell’educazione sia anche smuovere le coscienze, produrre dibattito, a partire dalla forza di esperienze effettivamente realizzate.
Col suo maestro Alexei Maximovic Gor’kij, cui dedica Poema e colonia, condivide
l’intento di contribuire alla creazione dell’uomo collettivista. Riprendendo le parole
con cui Tatjana Fedorovna Korableva ed Emiliano Mettini presentano Makarenko
nel loro contributo a questa edizione, egli è colui che «ha creato il collettivo come
unità minima, non soltanto pedagogica, ma anche educativa ed esistenziale nel
senso più alto e onnicomprensivo del concetto». Nella colonia da lui diretta, « la
vita è co-esistenza, com-passione, col-laborazione, ogni tanto con-flitto. Tale prefisso “co, con” rende forse al meglio l’essenza stessa del Poema, ed echeggia
l’ideologia gork’iana che sottende tutta l’opera e che possiamo condensare nella
massima un uomo solo, per quanto grande, è pur sempre solo» (T. F. Korableva, E. Mettini,
Sul Poema pedagogico di A. S. Makarenko, in A. S. Makarenko, Poema pedagogico, a cura
di Nicola Siciliani de Cumis, Roma, Albatros, 2009, p. XI). Nella colonia Gor’kij,
ogni singola personalità contribuisce alla vita del collettivo; in aperto contrasto con
Rousseau, al modello ideale dell’uomo solo come individuo di successo nella società borghese contrappone l’uomo che trova nel collettivo l’ambiente, l’energia e il
corpo necessari alla propria realizzazione. È solo dopo essersi appropriato del senso di rispetto e di responsabilità per il collettivo che l’uomo può finalmente percepire senza alcun pudore la necessaria dignità nei confronti di se stesso.
Consapevole di lavorare in un contesto di relazioni, storicamente determinato e
soggetto alle contingenze, al cui interno le dimensioni della persona e della società
crescono e interagiscono plasmandosi reciprocamente, Makarenko si rende conto
di come i giovani della colonia più o meno espressamente gli chiedono di essere
aiutati a riscoprirsi in una nuova vita, lasciando alle spalle delinquenza e travagliati
ricordi: lui non si sottrae al suo compito, ma letteralmente li prende per mano, li
sprona a uscire temporaneamente da se stessi, per permettere loro di acquisire nel
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gruppo, nell’identità collettiva, gli elementi valoriali, morali e motivazionali necessari per poter intraprendere con maggiore solidità la ricostruzione delle proprie identità individuali.
Il gruppo viene inteso come organismo fatto di persone e regole, emozioni e bisogni materiali, realtà e speranze, presente e futuro, legato al passato dai percorsi di
vita di ciascun componente. Nel suo libro Romanzo e rivoluzione. Il Poema pedagogico di
A. S. Makarenko come nuovo paradigma del racconto (Pisa, ETS, 2007, p. 84), Gianluca
Consoli afferma che «nel Poema pedagogico il collettivo non accompagna mai l’azione
come un semplice corso né si configura come una massa amorfa. Al contrario, è
una comunità con una precisa fisionomia, con un determinato “stile”, e deve la sua
ricca strutturazione interna proprio alle personalità vive che la compongono. Per
di più, superato il tradizionale intreccio individuale, l’evoluzione del collettivo non
è legata a una singola personalità esemplare, ma viene sperimentata nella massa
stessa, in relazione con la vita dei membri che la compongono». In ragione del collettivo, i colonisti non fuggono, nonostante le difficili condizioni di vita; sempre in
ragione del gruppo, l’allontanamento forzato di un singolo individuo dalla colonia,
seppure doloroso, viene accettato e recepito non tanto come condanna verso quel
ragazzo, ma come provvedimento necessario a salvaguardare la salute e la crescita
del collettivo stesso, quindi di tutti; non a caso, sono i comportamenti agiti a danno della colonia, come i furti interni, a essere puniti con una severità ben maggiore
rispetto alle trasgressioni agite nei confronti di entità esterne.
L’uomo nuovo makarenkiano e sovietico, se mai si fosse realizzato, è certamente
diverso rispetto alle utopie di uomini nuovi che oggigiorno i più tenaci continuano
a profetizzare, ma la realtà ci mostra impietosa un tessuto sociale lacerato dalle disuguaglianze e dalle spinte individualistiche, in cui la dimensione del Noi assume
connotazioni per lo più strategiche o pubblicitarie, in cui la competitività e
l’ambizione spesso incanalata verso una indefinita quanto pericolosa vaghezza
spingono allo scontro senza scostarsi dalla superficialità dei più futili egoismi.
Frantumate le istituzioni famigliari, politiche ed educative, la personalizzazione di
ogni campo della vita pubblica e privata mostra oggi le sue voragini più pericolose,
alimentando l’incertezza, la precarietà e la paura come dimensioni del presente e
del futuro. In reazione a tutto questo, laddove il singolo ha fallito, la lezione makarenkiana sulla forza del collettivo si ripropone di urgente attualità, proprio a partire
dagli ambienti scolastici, al cui interno le rare esperienze di avanguardia sono rese
possibili da elementi di difficile costruzione, ma di solida durata, quali la cooperazione tra docenti e tra studenti, un forte senso di appartenenza e di amore verso
l’istituzione in cui si opera, con le sue regole e i suoi oneri, la volontà di spendersi,
mettendo a disposizione risorse proprie affinché il progetto collettivo abbia successo. Elementi di questo tipo sono la forza del lavoro in team e in compresenza,
con uscite anche sul territorio, sempre più impedito dalle direttive ministeriali, del
tempo pieno come esperienza di vita e di comunità, dell’apprendimento cooperati-
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vo come strategia e impostazione didattica, dei momenti collegiali tra insegnanti,
dirigente e genitori, quando vissuti in modo progettuale, e non meramente burocratico. Esperienze di questo tipo ancora sopravvivono nell’extra-scuola, nei gruppi parrocchiali come nei servizi educativi di quartiere, negli scout come
nell’organizzazione di campi estivi per ragazzi dalle più disparate caratterizzazioni,
nei centri ricreativi per le categorie più deboli sino alle esperienze di lavoro cooperativo con finalità sociali.
Di famiglia operaia, il giovane Makarenko crebbe educato ai valori della pulizia
morale, del rispetto e dell’amore per il lavoro e per la dignità che porta appresso. Il
lavoro cooperativo, inteso come categoria morale che sta alla base dei comportamenti dei singoli nel collettivo, diverrà nella colonia Gor’kij uno strumento privilegiato per formare l’uomo nuovo su una solida struttura di solidarietà e coesione
sociale. Ciononostante, al lavoro manuale occorre accompagnare, nel processo educativo, l’istruzione, la promozione dell’attitudine politica e sociale, la spinta verso la creatività: in tempi in cui la tendenza è quella di scindere il lavoro manuale da
quello intellettuale, frammentando la pienezza della dimensione lavorativa in migliaia di particelle precarie, bistrattate, non sempre dignitose e non sempre presenti, ancora una volta risulta riconfermata l’opportunità di rileggere parole, pensieri e
narrazioni del pedagogo sovietico, per riscoprirci lavoratori in quanto uomini, con
pieni diritti e contemplati doveri, riconoscendo così agli altri, in primo luogo ai ragazzi, la stessa dignità che conferiamo a noi stessi.
Come mette bene in evidenza il maestro Marco Rossi Doria nel suo intervento a
corredo del volume, la bellezza e la forza dei ragazzi è nel come riescono a prendere sul serio gli impegni, ragion per cui risulta di grandissima importanza che
l’educatore riesca a dare pieno credito ai propri educandi, ascoltando anche i messaggi più sussurrati, persino quelli non detti. Lo stesso profondo amore per il genere umano accompagna l’azione e le riflessioni di Makarenko, secondo cui la gioventù non può essere altro che bella, quando viene educata, vive, lavora e gioisce
con rettitudine.
Makarenko si propone di conoscere i propri ragazzi nel modo più profondo e
completo possibile, per poi provare a trasformarli; per compiere questa operazione, convinto di quanto un reato non possa sostituirsi a una persona, non imposta il
proprio lavoro sulla base dei precedenti delittuosi dei colonisti, a un certo punto
smette addirittura di leggere le fedine penali, ma si affida alla forza del collettivo e
dell’agire, consapevole di quanto, in ciascuno dei componenti, sia presente un personale patrimonio di qualità da poter mettere a disposizione del gruppo. Da qui, la
necessità di intendere la professionalità dell’educatore non solo come guida e punto di riferimento, ma anche come edificatore di comunità, contesti, ritualità, occasioni identitarie al cui interno possano i ragazzi impegnarsi nelle delicate operazioni di riparazione interiore e ricostruzione dei rispettivi universi simbolici di riferimento. Compito dell’educatore è accompagnare i ragazzi in quella sorta di educa-
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zione alla quotidianità che li mette inesorabilmente a confronto con le fragilità e le
piccole grandi scelte che caratterizzano ogni giornata, conferendo ogni volta un
sapore diverso alle abitudini, e quindi ai sentimenti.
Ancora rivoluzionaria al momento della diffusione del Poema in Italia, se comparata con le grigie case di correzione all’epoca diffuse nel Vecchio Continente, la portata dell’esperienza makarenkiana tuttavia trascende la sola realtà del recupero dei
ragazzini messi ai margini, per arrivare a investire l’intero mondo educativo: partendo dal contesto estremo della colonia, dove le situazioni sono perennemente in
bilico e ogni emergenza richiede di essere risolta nell’immediato, imparando a non
tralasciare nessuna delle cose che rischiano di non funzionare, Makarenko mette in
evidenza l’importanza del ricercare, sperimentare e agire, scegliere attraverso il fare
le strategie più funzionali ai diversi obiettivi e alle evenienze. Il fare, da parte
dell’educatore, ma anche da parte dei ragazzi, arriva ad assumere una connotazione
etica, perché indirizzato al continuo consolidamento e rinnovamento della grande
costruzione sociale della collettività.
Attaccato dai critici per taluni metodi coercitivi e autoritari, per l’indottrinamento
ideologico, per l’apparente abbandono della pedagogia dell’individuo, sacrificato
sull’altare della collettività, Makarenko è certamente figlio del suo tempo e del suo
contesto politico e sociale, ma nello nonostante questo è riuscito ad andare oltre,
consegnando la sua opera ai posteri come una promessa per un futuro sempre attuale, forte di una fiducia verso l’uomo che non potrà altro che appartenere a tutti,
o almeno a chi sceglie di non smettere di crederci.
Nel concludere il suo intervento nel presente volume, Agostino Bagnato scrive che
«il comunismo realizzato e le degenerazioni staliniane sono storia passata. Una storia fatta di tragedie, sangue, lutti, dolore. Ma resta una traccia importante delle attese, della speranza e degli slanci che quella stagione rivoluzionaria ha aperto. Tra
queste, la lezione di Makarenko è tra le più valide, accanto alle voci poetiche, artistiche e scientifiche tra le più alte dell’intero Novecento» (A. Bagnato, Makarenko e
il cooperativismo, in A. S. Makarenko, Op. cit., p. XV).
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