in questo numero: KOOK the artgency SANDRINE BOULET guerilla

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in questo numero: KOOK the artgency SANDRINE BOULET guerilla
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OTTOBRE 2010
in questo numero:
KOOK the artgency
SANDRINE BOULET guerilla art di una non writer
CONTENUTI
Anno IV - Numero 33 del 15 - 10 - 2010
Direttore Responsabile
PIETRO PIERANGELI
[email protected]
Art Direction & Design:
CONSORZIO CREATIVO LIBRARY
www.consorziolibrary.com
Photo Editor:
ANGELO SINDACO
www.angelosindaco.com
BLOG MINIATURES4
SHINE A LIGHT6
di Pietro Pierangeli
L’INCONTRO MANCATO TRA MARKETING E CULTURA.
A COLLOQUIO CON ALESSANDRO BOLLO
7
di Sara Villa
Facce da Marketing
L’EVOLUZIONE DI PUBBLILANDIA E L’ENTRATA IN SCENA
DI KOOK. INTERVISTA AD ANDREA NATELLA
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di Moja
Segreteria di redazione:
FLAVIA FARINA
[email protected]
Comunicati stampa, informazioni o altre richieste:
[email protected]
Mensile iscritto presso il Tribunale di Bologna,
numero 7803 del 16/10/2007
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FACEBOOK e TWITTER
WHO KILLED BARBIE?
STREET MARKETING ALLA SETTIMANA DELLA MODA
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di Alessandro Del Re
Guerrilla Art
DENTRO AL MONDO DI SANDRINE
19
di Flavia Farina
Blob
MARCHÈTTING: IL MARKETING DEL BUON SENSO
23
di Daria Scaglia
LiberaMente
LA PAZIENZA È FINITA, ANDATE IN PACE
di Stefania Boleso
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CONTRIBUTORS
Stefania Boleso
In RedBull Italia per oltre 10 anni, di cui 5 come marketing manager. Dopo la maternità dai piani alti dell’azienda le hanno fatto fare un salto in cantina.
Lei non ci è stata, e con una ormai famosa lettera pubblicata sul Corriere della Sera,
oltre ad aver sollevato un tema caldo in Italia, ha realizzato ancora una volta una forte campagna di comunicazione.
Grande appassionata di marketing, sostiene che “una passione non può esaurirsi semplicemente a causa di una discriminazione professionale o incidente di percorso, chiamatelo come volete”.
Per questo scrive su Subvertising.
Moja
Uno dei componenti del team bolognese G-Com, che ha fondato insieme ad altri nel 2004 abbandonando il mondo dell’advertising classico.
E’ l’ideatore di varie campagne di guerrilla marketing tra cui la storica auto carbonizzata per Kenwood, ed ha lavorato insieme a Guerrigliamarketing.it per realizzare alcune loro idee.
Se non pensa al marketing, è in un mercatino a cercare pezzi d’arredo o materiali militari dismessi per riciclarli in quale modo.
g-com.it
Daria Scaglia
Dal web alla radio, dalla comunicazione tradizionale a Subvertising, Daria è costantemente immersa nella a comunicazione pubblicitaria.
Per lavoro e per passione: si occupa della consulenza dell’immagine per molte aziende, presso l’agenzia di Milano PRP e conduce un programma tutto suo
dedicato alla musica indie-rock presso la radio on line okmusik.com.
Ha sempre una macchina fotografica al collo.
Alessandro Del Re
È nato l’11 settembre, ma non del 2001.
Amante dell’aconvenzionale su tutti i fronti, si definisce soldato del guerrilla marketing.
Autore del blog Guerrilla mktg, collabora con diverse agenzie e gruppi italiani attivi nel marketing alternativo. Porta i rasta dal 1997. guerrillamktg.blogspot.com
Subvertising ottobre 2010
Blog Miniatures
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Subvertising ottobre 2010
Blog Miniatures
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Subvertising ottobre 2010
Editoriale
SHINE A LIGHT
di Pietro Pierangeli
[email protected]
Quando pensavo ai Rolling Stones mi veniva sempre in mente un pezzo
che avevo in un cd, o forse addirittura dentro una ‘musicassetta’, mischiato a molti altri, e che mi faceva impazzire per intensità ed emozioni pur
non sapendo assolutamente non solo il significato del testo, ma nemmeno il titolo e l’album da cui provenisse. Persa la compilation, in qualche
trasloco o pulizia di primavera, mi sono messo a ricercarla scaricando
qualche album o cantando note e parole incomprensibili ad amici esperti. Niente nessuno sembrava conoscerla, o capire che cosa bofonchiassi.
Poi ho comprato il film di Scorsese ‘Shine a light’ che ripercorre la storia
dei RS. Bel film, su un live recente del gruppo mischiato a immagini del
passato strafottente dei protagonisti. Ma tra i pezzi proposti di quello
dimenticato nessuna traccia. Apparentemente. Perchè il ‘mio’ pezzo era
tutto il film, gli dava il titolo, e ogni tanto compare in sottofondo. E in
un solo colpo ho ritrovato quello che cercavo e capito come la sua ‘luce’
aveva ispirato il regista, i protagonisti e probabilmente buona parte del
pubblico.
Ora mi rendo conto che il paragone è blasfemo ma a Subvertising ci è
successa un po’ questa cosa ultimamente. Eravamo alla ricerca di qualcosa, difficilmente identificabile o descrivibile ad altri. Ma sapevamo che
era lì, da qualche parte, forse addirittura in bella evidenza come il titolo
di un film. Poi l’abbiamo ‘visto’ e Subvertising ha iniziato un cammino
che crediamo vada ora nella giusta direzione. Molto dobbiamo a nuovi
membri del gruppo... una bella spinta ci è arrivata all’improvviso, infatti,
dall’incontro con Angelo Sindaco e Antonio Mastrorocco che, oltre
ad unirsi al cuore pulsante di Subvertising, sono diventati la Direzione
artistica della rivista. E il risultato è ora sotto i vostri occhi. E crediamo
possa ‘illuminare’, più di prima, parte dei nostri lettori.
Ma non vorrei oscurare i contenuti...Vi segnalo la rivelazione di SB:
chi è, da dove viene, cosa fa una delle nostre contributor per eccellenza
che questa volta fa a pezzi Bersani e il suo staff di comunicazione?
Ci illumina lei stessa. Andrea Natella, in una calda chiacchierata estiva ci ha
raccontato cosa bolle nella sua pentola facendoci fare il solito balzo in avanti.
Ale finalmente ci svela chi ha ammazzato l’odiatissima Barbie e tanto altro.
Buon ascolto.
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“L’INCONTRO MANCATO
TRA MARKETING
E CULTURA”
A COLLOQUIO CON
ALESSANDRO BOLLO
di: Sara Villa
[email protected]
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Alessandro Bollo da un ventennio si occupa di consumi, marketing e management culturale. Insegna al
Politecnico di Torino ed è il Responsabile Ricerca e
Consulenza della Fondazione Fitzcarraldo che, neanche a dirlo, opera nel campo del management culturale e gestisce l’Osservatorio Culturale del Piemonte.
D
odici anni fa si è inventato la rivista Fizz. Gli abbiamo chiesto di
fare un’analisi della comunicazione culturale in Italia. Il profilo
scaturito non è proprio rose e fiori però i margini di miglioramento ci sono... ma bisogna correre!
maniera innovativa, per coinvolgere operatori e utenti, non solo per comunicare ma anche per coinvolgerli nella promozione e nell’esperienza.
Qual è lo stato di salute della comunicazione culturale italiana?
Malandato: la comunicazione culturale sfrutta solo in parte le potenzialità che hanno le arti nella costruzione di significati e di strumenti. Paradossalmente, un settore che si basa sulla creatività e l’estro non utilizza
queste peculiarità, come se la comunicazione non fosse un mondo da
analizzare o approfondire o al quale approcciarsi con idee innovative.
Un esempio?
Qualche anno fa alcuni cantanti lirici hanno improvvisato una performarce durante il mercato cittadino di Valencia, il tutto per promuovere
un’opera in programma al Teatro d’opera della città. Un successo.
Un’esperienza italiana invece?
Ci sono alcuni segnali che potrebbero far pensare a un inversione di rotta?
Le organizzazioni culturali si stanno rendendo conto che per veicolare in
maniera efficace si può usare il web e il passaparola che facilmente si genera. Sono necessari un cambio di mentalità e di strumenti. Per anni non
hanno prestato attenzione alle logiche di relazione. Ovviamente ci sono
delle eccezioni, alcune organizzazioni hanno iniziato a usare in maniera
integrata il web 2.0, i social networks come Flickr e Facebook. Il tutto in
Il Museo d’Arte Contemporanea Donna Regina di Napoli- Madre- ha
messo in piedi una campagna provocatoria con stickers che ritraevano
un seno nudo di donna al quale era affisso un cartellino museale. Il tutto
per giocare sul nome del museo- Madre- e segnare una rottura con la
logica della comunicazione patinata e tradizionale dei musei. Il Museo
Civico d’Arte Antica di Torino ha invece indetto un concorso su Flickr:
gli utenti potevano fare l’upload delle loro foto scattate nelle sale per
raccontare il loro sguardo e il rapporto con il museo stesso.
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Subvertising ottobre 2010
C’è una differenza di approccio e utilizzo della comunicazione
culturale tra i paesi esteri e l’Italia?
La differenza c’è ed è forte, siamo in ritardo di circa quindici anni. In
Inghilterra, Australia e Stati Uniti la comunicazione culturale è più
avanzata e da tempo si utilizzano anche strumenti e metodologie non
convenzionali.
Quali sono i motivi di questo gap?
Il primo è un fattore culturale relativo alle competenze. La comunicazione non è sentita come strategica quindi è spesso l’ufficio stampa a
doversi occupare anche della comunicazione e della promozione. Inoltre
non ci sono ancora numerose figure che si occupano di comunicazione e marketing non convenzionale. Per di più, le risorse destinate alla
comunicazione sono sempre minori per via dei grandi tagli applicati al
settore della cultura. Il ritardo è dovuto anche alla poca conoscenza delle
pratiche non convenzionali, non vengono diffusi i casi di successo quindi
è difficile innescare un effetto positivo a valanga. Poi non è così chiaro di
quanto siano poco costoso.
Quale settore culturale utilizza ancora un metodo di comunicazione del tutto convenzionale? Quale osa di più?
Ad avere più apertura sono quei soggetti che hanno a che fare con la contemporaneità, con un pubblico giovane e che utilizza in modo massiccio
la tecnologia, i festival di musica elettronica rappresentano un esempio.
Invece, per tutto ciò che riguarda ambiti come l’archeologia e l’arte antica solitamente si predilige una comunicazione tradizionale e impostata.
Questo è dovuto a un fattore culturale, si tende a essere conservativi e a
non utilizzare la categoria dell’ironia che è vista come irrispettosa.
Come si immagina sarà la comunicazione culturale tra 10 anni?
Completamente cambiata. Le organizzazioni si convinceranno che un
cambiamento è necessario, dovranno ripensarsi e trovare nuove vie,
anche tramite la comunicazione. Fino a dieci anni fa era impensabile
credere che il teatro d’opera potesse essere messo in discussione e invece
quello di Genova sta per chiudere. Si dovrà ritrovare il consenso della
società, il sistema culturale dovrà essere meno autoreferenziale e dovrà
rivolgersi a tutti, non solo con un pubblico alto e colto. Questa logica di
recupero del colloquio con la società dovrà utilizzare nuovi strumenti e
modi di comunicare. Io vedo il web come elemento di discussione forte,
uno strumento adatto a fare marketing di nicchia, utilissimo per veicolare il passaparola. Sono convinto che già tra quattro anni si potranno
vedere cambiamenti rilevanti.
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Facce da Marketing
L’ EVOLUZIONE DI PUBBLILANDIA
E L’ENTRATA IN SCENA DI KOOK
di: Moja
[email protected]
INTERVISTA AD ANDREA NATELLA
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Facce da Marketing
Quasi una decade fa, mentre la comunicazione pubblicitaria, come una nazione imbalsamata
nell’istantanea dei suoi anni migliori, metteva sotto tutela i monumenti (le mega agenzie) e lavorava
a gloriose storie per i turisti, Pubblilandia era uno
di quei Paesi in Via di Sviluppo che diventano Economia Emergente e attirano nuovi investitori, gettando le basi per un’epoca d’oro. Tale momento di
espansione (delle idee, del pubblico), visto a priori,
corrisponde all’ingresso del guerriglia marketing
sul mercato del business, dei clienti e tra le mani
dei media. Tra i primi esponenti della rivoluzione
non si può non citare la costola Lutherblissettiana
staccatasi per generare quella creatura straordinaria che era guerrigliamarketing.it. Di questa, per un
po’, il nulla. Chi conosce i soggetti sa che il silenzio difficilmente è per l’ozio, ma per creare. Anzi,
aumenta il mito. Ora però quel progetto è finito, il
mito creato, e dunque, via con una nuova creatura.
Consapevole della sua storia e del suo patrimonio,
ecco Kook. Risponde Andrea Natella.
K
ook: eccentrico e stravagante. E’ corretto? Nel nome si
cela lo spirito dell’agenzia, “artgency”?
Kook è un palindromo pieno di significati. E’ extravaganza ma
anche attitudine nerd. E’ un termine che viene utilizzato dalla comunità
surf per definire il surfista improvvisato e un po’ cafone che ruba le onde
ai professionisti. Nel corso del tempo questo termine in origine denigratorio è diventato un’etichetta che si danno i surfisti più intelligenti,
quelli che sanno che alla fine il surf è soltanto un gioco e non va preso
troppo sul serio. Non si salvano vite umane e non si cambia il mondo
saltando sulle onde, ma può essere molto divertente.
Per l’advertising è la stessa cosa.
Artgency perché vogliamo sottolineare un approccio artistico alla
comunicazione commerciale. Un approccio con una forte vocazione alla
sperimentazione e ai nuovi linguaggi che non è una semplice matemati-
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Facce da Marketing
ca costi-benefici.
Il valore e l’impatto di un opera d’arte è dato dalla sua capacità evocativa
non dal numero di persone che l’ammirano all’interno di un museo.
Abbiamo intenzione di insegnare ai nostri clienti l’arte del mecenatismo.
Non tutti potranno vantarsi di avere un KOOK in casa.
Kook è un team piuttosto articolato, diversificato. Si presenta
con una forma societaria nuova, e con una forte vocazione al
design. Quanto conta il fattore estetico nel marketing aconvenzionale?
Non crediamo nella centralità emotiva dell’immagine. Il design è uno
strumento di narrazione al pari di tutti gli altri, ma per raccontare storie
è indispensabile maneggiare i codici visivi con cura. La presenza in
KOOK di Michele Elia, un art-director proveniente dal mondo dell’arte, rappresenta un valore aggiunto in termini di ricerca e di sperimentazione.
Aconvenzionale, come...
Aconvenzionale come approccio non negativo alle convenzioni.
Per accompagnare i clienti da un punto ad un altro non abbiamo intenzione di proporre tragitti alternativi ma di ragionare come se
non esistessero strade. Creare nuove rotte come fanno i surfisti.
Analizza per favore il percorso del guerrilla marketing dagli
Ufo a Kook. Cosa è cambiato, cosa è migliorato e cosa
peggiorato?
Nel mondo delle aziende c’è un po’ meno entusiasmo e voglia di sperimentare. In tanti si sono improvvisati in questo settore, alcuni senza
grandi competenze, altri puntando ad una nuova convenzionalizzazione
dei mezzi. E’ comprensibile quindi che ci sia stata una parziale delusione.
Oggi rispetto a ieri c’è bisogno di una maggiore serietà nel comunicare ai
clienti il vero valore aggiunto di questo approccio, cercare di anticipare i
risultati e gli scenari, non andare in overpromise. I grandi risultati però,
si raggiungono solo prendendosi un po’ di rischi.
Dal generalista alle nicchie di pubblico, i sistemi di informazione oggi devono coprire una vasta gamma di pubblici.
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Facce da Marketing
Lo fanno spesso con una quantità di informazioni, di notizie,
di proposte di letture che un essere umano normale fatica a
seguire. Non si rischia l’overflood?
Ogni essere umano cerca il proprio orientamento nel suo spazio vitale.
L’informazione è soltanto questo. Ognuno trova il modo di non ascoltare ciò che non ritiene pertinente. L’approccio aconvenzionale consiste
nel proporre alle “nicchie” delle aperture su altri mondi, non nell’intrufolarsi dentro con una nuova lattina in mano.
Quanto è difficile comunicare in un mondo così segmentato?
Il primo assioma della scuola di Palo Alto recita: “E’ impossibile non
comunicare”. Si può farlo bene o male a seconda degli obiettivi che si
vogliono raggiungere. Sinceramente non credo che oggi sia più difficile
di ieri, è semplicemente cambiato il contesto della comunicazione. Oggi
come ieri vince chi crea nuovi segmenti, non chi li insegue.
Perchè secondo te, in questi anni in Italia sono nate così
poche strutture dedicate al guerrilla marketing? Problemi di
rapporto domanda/offerta o cosa?
Francamente non credo che questo debba essere letto come un segnale
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Subvertising ottobre 2010
Facce da Marketing
di qualche tipo. E’ possibile che il marketing di guerriglia sia destinato a
essere incorporato all’interno di agenzie che hanno un approccio strategico più ampio (d’altronde è in qualche modo anche il caso di KOOK).
Il problema semmai è che tutte le agenzie sono convinte di poter fare
guerriglia marketing e questo non sempre è vero. Servirebbe uno sforzo
per fare cultura su questa tipologia di approccio, far viaggiare insieme
teoria e prassi. Invece in Italia sembra che “chi sa fa, chi non sa insegna”. Ci vorrebbe un po’ di umiltà per spingere i primi ad insegnare ed
i secondi a imparare. Nel contesto attuale invece sembra che chiunque
possa improvvisarsi esperto e i risultati sono talvolta scadenti. Il guerriglia marketing non è solo creatività, ma presuppone una grande cura
della produzione e dei dettagli della comunicazione. Un approccio just
in time assai diverso da quello che distingue le agenzie tradizionali.
Chi sono i principali competitors per Kook?
Quelli che arriveranno dopo.
Kook, No!Stage. O meglio, no stage gratuiti. Potete dirlo,
quanto offrite agli stagisti?
Non prevediamo stage di nessun tipo. Lavoriamo con professionisti o
con persone disposte a crescere con noi partendo da attività anche umili
ma sempre retribuite dignitosamente. Crediamo che l’etica nel mondo
della comunicazione dovrebbe partire da qui. Troppe agenzie fanno
dumping grazie a lavoro non retribuito.
Sul sito siete piuttosto aperti in fatto di costi: indicate il
budget dei progetti. Perché? Quale valore pensate possa
conferire?
Solo per evitare perdite di tempo con clienti che pensano di poter fare
campagne alternative con un pugno di noccioline in tasca.
I flash mob, come attività di guerrilla marketing, sono stati
cannibalizzati ed estinti oppure ancora possono dare qualcosa? Sii onesto...
Non ho mai creduto nei flash mob come strumento di marketing. E’ una
coperta troppo corta: o si deludono i partecipanti o si deludono i clienti.
Tu hai Facebook, Kook ha Facebook. (Quasi) tutti hanno Facebook. E’ davvero utile come strumento di comunicazione?
Non necessariamente. Molte aziende percepiscono la presenza su Facebook come un automatismo senza una seria riflessione sulle modalità
con cui essere presenti. Aprire una “fan page” non costa nulla, ma spesso
vale anche meno di quello che costa.
La definizione di “guerrilla marketing” su Wikipedia è come
le onde del mare. Ogni volta che ci vai, la trovi in una posizione diversa, a seconda dell’agenzia che ci è passata di recente. Questo, così come forse tanti altri casi che hai vissuto
personalmente, pone degli interrogativi sulla reale affidabilità di progetti formativi così importanti. Sei d’accordo? Cosa
potrebbe fare per ovviare al problema?
La voce “guerrilla marketing” non ha ancora una dignità enciclopedica
e per questo su Wikipedia il primo che passa può permettersi di modificarla senza che nessuno si preoccupi di vigilare. Credo che il progetto
Wikipedia sia una delle cose migliori nate da Internet. Il problema è semmai di noi operatori che dovremmo impegnarci di più per dare maggiore
solidità a quel termine.
Kook è come LB o guerrigliamarketing, un progetto a tempo,
oppure dobbiamo aspettarci di vedervi a tempo indefinito?
Tutti i progetti avanzati e sperimentali hanno il proprio naturale tempo
di vita. Non credo che il prossimo disco dei Rolling Stones rivoluzionerà
la storia della musica. In ogni caso è inutile fare progetti oltre il 2012.
Benvenuti dunque a Pubblilandia, un paese che ha ancora
molto da raccontare, da innovare e trasformare. Almeno
ancora per un paio d’anni.
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Brand Cannibals
JUST CUT IT
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WHO KILLED BARBIE?
STREET MARKETING
di: Alessandro Del Re
ALLA SETTIMANA DELLA MODA
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“La moda milanese è assopita, sottotono,
spesso piegata alle necessità di altre città che sono o che vogliono diventare punti di riferimento. Difficilmente in Italia si fa
gruppo nell’interesse collettivo di tutto un
indotto che intorno alla moda ruota e crea
lavoro per moltissime persone.
L
o spazio dedicato ai giovani è sempre marginale e così il nuovo non
riesce ad emergere.
Solo a seguito di una scossa destabilizzante come l’attuale crisi di
mercato stanno arrivando pallidi segnali di cambiamento; ci stiamo forse
rendendo conto di quanto stiamo perdendo o quanto abbiamo in realtà
già perso e stiamo comprendendo che bisogna darsi da fare per uscire
dall’immobilità in cui ci troviamo. Speriamo questi segnali diventino più
forti e concreti”.
E’ questo il pensiero di Rosita Cigliola, esperienza pluridecennale in
showroom multibrand e monobrand, e Cristina Cigliola, esperienza anche lei decennale nelle boutique del centro milanese, che a fine febbraio
2006 hanno deciso di mettere insieme capacità ed energie per dare vita
alla loro boutique Suite123.
La loro formula vincente è mescolare brand noti con designer emergenti:
filtrano ciò che gli stilisti propongono creando un mix and match che
rappresenta il loro personale punto di vista. Lontane anni luce dalla
filosofia dei loghi esibiti come anche dei monobrand outfit, prediligono
un gioco libero dove niente deve essere imposto.
Ne deriva una visione alternativa della moda, una visione giocosa, ironica, allegra che esce al di fuori degli schemi rigidi e un po’ tristi tipicamente milanesi.
Le sorelle Cigliola hanno approfittato della Milano Fashion Week per
organizzare un evento presso la loro boutique e, come logica conseguenza del loro pensiero, hanno voluto farlo in modo non convenzionale
dall’inizio alla fine: l’evento “Differente. Unconventinal night” ha saputo far convivere moda, fotografia, video, musica e comunicazione
creativa.
“Who killed Barbie?” è l’interrogativo che è servito a creare awareness
intorno all’evento.
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Street marketing e buzz online le armi utulizzate per questo scopo.
La campagna si è svolta tra le vie più cool di Milano attraverso l’installazione di vari box interattivi: i passanti hanno potuto illuminare
i box tramite una manovella esterna collegata ad una dinamo interna.
Le apposite fessure hanno quindi permesso loro di scoprire la scena di
un delitto: l’omicidio di Barbie! Nel box, accanto alla bambola bionda
insanguinata, era infatti leggibile il quesito who killed Barbie?. Unico indizio: una data ed un indirizzo stampato all’esterno del box, data e luogo
dell’evento Differente durante il quale sarebbe stato svelato l’assassino.
La comunicazione non convenzionale si è parallelamente svolta online:
nell’intento di creare buzz intorno allo stesso evento sono stati pubblicati post e banner su siti e blog fashion trend setter, oltre naturalmente alla
creazione di una Pagina Facebook.
Lo svelamento in una delle vetrine dell’atelier Suite123 è avvento tramite un manichino-donna, allestito come fosse una bambola assassinata,
con accanto una vetrofania rivelatrice:
Barbie is a fashion victim!
Make Your Style.
Suite123 non è solo una boutique,
ma un modo di mixare
stili e tendenze con gusto ed ironia.
Libera espressione della personalità
lontano da schemi imposti.
Le Cigliola spiegano la loro scelta: “Nella moda così come nella comunicazione riteniamo che gli schemi tradizionali abbiamo perso efficacia;
è arrivato il momento di sperimentare nuovi percorsi, idee alternative,
insolite. La comunicazione non convenzionale segue esattamente questo
percorso: è un modo di comunicare fuori dai soliti canoni ma certamente più creativo e più di impatto. La campagna Who killed barbie?, ideata
e realizzata dal gruppo creativo Guerrilla Mktg con la collaborazione di
Valeria Moro (blogger di pleasejudgemebymycover), è stata un successo: abbiamo ricevuto moltissimi apprezzamenti ed una partecipazione
notevole.
Questo evento ha rappresentato per noi un punto di partenza e sicuramente continueremo a percorrere la strada della comunicazione alternativa anche perché crediamo sia molto valida e vicina al nostro mondo”. 18
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di: Flavia Farina
[email protected]
Sandrine vive in un paese imperfetto,
dove la città a volte è grigia,
dove c’è traffico,
dove c’è sempre qualche cantiere aperto
e qualche oggetto abbandonato per strada;
dove sull’autobus c’è fitto e caldo
e fuori invece una temperatura siberiana.
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Eppure Sandrine ha degli occhiali speciali attraverso i quali può vedere il mondo trasformato: se il buco della serratura può diventare una
bambina, una lampada a neon può diventare un’eterna sigaretta e da un
ombrello rovesciato può nascere una gonna sollevata, allora, forse, anche
il grigiore della nostra città può farci sorridere.
Chi dice che per sorridere bisogna evadere dalla realtà sbaglia e Sandrine
ce lo dimostra attraverso la sua arte e la sua fantasia.
Trasforma quella modernità asettica e implacabile che ci circonda, lasciandoci spesso sgomenti.
La sua arte gioca sulle forme e sulla sfera dei colori. Quei colori che
hanno un potere straordinario. Agiscono in modo silenzioso, sussurrato,
quasi subliminale sintonizzandosi sulla sfera del ricordo.
Inguaribile ottimista, spensierata come Alice nel paese delle meraviglie e
buona come Ameliè Poulin, Sandrine ha una missione sociale che ci ha
spiegato in questa intervista.
La tua arte è sicuramente qualcosa di mai visto, tu come la
definiresti?
Non lo so, non mi piace definire, dentro una definizione ci si sente come
un uccello in gabbia, prigionieri di un’opinione collettiva, io amo essere
libera: liiiibera!!!
Ci sono degli artisti ai quali ti piace ispirarti?
Sì, per esempio adoro il dadaismo e il suo spirito senza soluzione di continuità, irrazionale, Marchel Duchamps. Io amo molte cose differenti e
lontane tra loro mi ispirano i disegni dei bambini, Marc Ryden, François
Curlet, Annie POoTOogOOk, Martin PArr, artin PArr, Le design danois, Tim Burton, Matisse, Magritte, i « lampi al ciccolato », i banchi
per sedersi oltre e contemplare il mondo che ci circonda. Ecco qui, ma il
gioco può continuare se volete. :)
Ho letto che ti piacerebbe che le persone vedessero le tue
immagini e cominciassero loro stesse a vedere il mondo quotidiano in modo un po’ più positivo. Ma le tue opere non sono
sparse per la città, le si può ammirare soltanto sul computer.
Hai mai pensato di esporle alla visione dei passanti in città?
Sì, ci ho pensato in occasione della mia prima esposizione in un hotel
in città, era un esperimento sociale, in un luogo, la hall dell’hotel, dove
ogni giorno camminano tonnellate di persone. Io mi ero messa in un
angolo, nascosta e osservavo le reazioni delle persone.
Gli adulti diventavano bambini, alcuni sorridevano e ho detto a me stessa che la reazione dei passanti era più importante dell’esposizione stessa.
Credo che aver visto le persone sorridere mi abbia fatto molto piacere.
Duchamps diceva: “è chi guarda che crea l’opera”.
Secondo te che rapporto c’è tra pubblicità e street art?
A partire dagli anni ‘80 in poi, la pubblicità è diventata un mestiere rigi-
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do, disciplinato. Il tasso di divertismento dello spettatore come di cel crativo che crea la pubblicità in Francia è sempre del...30%. Al contario, la
street art è più libera, fuori dalle convenzioni, senza regole che si esprime
per strada, non in un ufficio o in cattedra!
L’arte può diventare commerciabile?
Sì, no, sì, qualche volta. Non si sa mai con l’arte. L’arte di Warhol è
diventata commerciabile, Ben è un artista commerciabile e Marukami...?
Non lo so, Chi sono io per giudicare? L’importante è mantenere il piacere di creare ed essere dentro la verità. Essere coerenti con ciò che si è e ciò
che si pensa.
la chiave per riuscire ad emergere nella massa degli artisti
non tradizionali?
Non lo so con precisione, non sono realmente calata nel mondo della
street art e non so nemmeno come ho fatto a farmi notare o ad emergere
tra la massa. Basta così? Allora è perfetto!
Tu ami le cose semplici della vita, dici di voler far sorridere,
intravedo un messaggio sociale nella tua arte? Ho visto giusto?
Sì hai visto giusto, sono affascinata dagli essere umani, da come reagiscono, mi piace vederli, osservarli. Quando si vedono le cose sotto una luce
positiva, tutto diventa più facile. Penso che la chiave di volta sia sempre
nel ridere e sorridere, scherzare sognare...questo è il mio messaggio sociale. Il riso è divertente.
E la riqualificazione dello spazio urbano? Pensi che la tua
arte possa aiutare in questo?
Perchè no? Credo che quello che io sto provando a sviluppare potrebbe
essere realizzato in uno spazio urbano o altrove. Adoro vedere gli spazi
urbani cambiati e sotto un’altra prospettiva.
Ami le cose di tutti giorni, i tuoi lavori sono molto vari. Hai mai
utilizzato gli oggetti domestici per dar vita alle tue creature?
Sì, l’ho fatto qualche volta: ho trasformato un radiatore in un bufalo
inferocito, dei caschi da parrucchiere o dei saloni interi in veri personaggi. Il mio sguardo è a 360 gradi, mi piace andare oltre la tela. Mi piace
ritagliare, i collage, la pasta da modellare...ho appena iniziato, mi serve
più tempo.
L’informatica e la fantasia sono apparentemente due mondi
diversi e distanti. Tu sei riuscita ad avvicinarli. Che rapporto si instaura tra creatività e tecnologia all’interno delle tue
opere?
Come viene percepita la street art in Francia? Quale è stata
E’ proprio questo che io amo. Creare dei disequilibri tra le forme, disequilibri anche di senso
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Secondo te quale influenza ha avuto la tecnologia sulla
street art?
Far tintinnare insieme universi che a priori sembrano distanti, con lo scopo di provocare reazioni nuovi sensi. Un esempio: già il mio nome è di
per sé strano: Sandrine Estrade Boulet, un po’ catturato questo universo
gioioso, disinibito, è bizzarro, no?
Disegnare, creare attraverso il computer è come dare la libertà a un universo che di per sé sembra essere guidato soltanto dalle leggi della logica
e della rigidità. Amo i pixel e non i disegni vettoriali, senza umanità ed
emozioni, freddi. E’ proprio perchè disegno che i miei tratti allargati e
visti da vicino sono a volte pieni di imperfezioni. Mi piacciono le imperfezioni, i disegni a volte goffi, tutto come nella realtà umana, come sono
le persone nella vita. Invece le persone perfette sono robot oppure pieni
di botox, non sono reali. Così le mie foto sono spontanee, non cerco la
luce perfetta in un mondo perfetto: ciò che mi smuove è il momento
presente, quello vero, vicino a noi. Non ritocco le foto, lascio anche i
mozziconi e le persone che passano, i dettagli che fanno parte della vita
di tutti i giorni. Non mi piace fingere, mentire e soprattutto le immagini
pulite e gli archi ritoccati.
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GIAN MARIA BREGA:
MARCHÈTTING
IL MARKETING
DEL BUON SENSO
di: Daria Scaglia
[email protected]
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Nello spericolato panorama della comunicazione
convenzionale e non, può esserci spazio per un
marketing con i piedi per terra? La risposta è contenuta nell’intervista di questo mese a Gian Maria
Brega, autore del blog “Marchètting : il marketing
del buon senso”, che con (auto)ironia e senso critico affronta diversi aspetti del fare comunicazione
andando oltre i metodi tradizionali, senza perdere
non solo il buon senso, ma neanche il buon gusto.
N
ella presentazione del tuo blog affermi, tra le altre
cose, che ti piace il “low cost marketing”. Di che si
tratta?
Ho speso alcune ore di brainstorming per creare la definizione …vuol
dire fare marketing senza proclami, senza paroloni, senza forzature. Con
un profilo basso. Con passione e dedizione. “La massima resa con la minima spesa”: fare il marketing che funziona vuol dire spesso non scomodare guru, agenzie milionarie, testi classici, ‘belou de lain’, ecc ecc.. Vuol
dire capire in che modo un’azienda può funzionare meglio, ascoltando
le persone che ci lavorano e che spesso hanno in sé la soluzione e gli strumenti per stare sul mercato in maniera giusta e adeguata. Comunicare
vuol dire prima di tutto ascoltare. Il Low Cost Marketing è il marketing
con il migliore rapporto qualità-prezzo. Ti parlo di NITHO, che produce accessori per le console di gioco. Abbiamo pensato di coinvolgere
gli utilizzatori stessi di questi prodotti per farne di migliori, li abbiamo
coinvolti nella creazione e nel miglioramento del prodotto, formando un
gruppo vero di 40 tester che sono proprio le nostre “orecchie” e i nostri
“occhi” sui vari mercati in cui operano. Torniamo alle persone, a chi
usa veramente i nostri prodotti, ecco, questa potrebbe essere una giusta
filosofia di “low cost (e clever ) marketing”.
Un’altra nozione a cui fai riferimento è quella di “self marketing”, in tempi di social network che possono essere trampolini per grandi carriere o causa di grandi “scivoloni”, ci dai
qualche consiglio per “essere notati” nel senso più positivo
del termine?
In effetti nel blog ho dato qualche consiglio per migliorare la propria posizione professionale sul mercato del lavoro. Per migliorare anche come
persone, che forse è anche più importante. Mi piace molto un decalogo
del noto blogger e imprenditore Loic Le Meur pubblicato circa 3 anni fa
da Nòva. Se abbiamo spazio io lo riporterei tutto:
1. Non attendere l’idea rivoluzionaria.
2. Condividi le idee.
3. Costruisci una community.
4. Ascolta la community.
5. Metti insieme una grande squadra.
6. Riconosci per primo un errore.
7. Non perdere tempo in ricerche di mercato.
8. Non farti ossessionare dai business plan.
9. Non pianificare grandi sforzi di marketing.
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Andiamo a cercarci e coccolarci il nostro target. Facciamo in modo che
la nostra community ami il nostro prodotto.
10. Non pensare a diventare ricco. La ricetta di Le Meur, che condivido,
è quella di puntare sugli utenti: il denaro è conseguenza del lavoro e del
successo, non il fine.
Il modo di fare comunicazione continua ad evolvere e nel
tuo blog prendi in considerazione anche il rapporto un po’
impaurito che le grandi aziende hanno con la comunicazione
non convenzionale. Secondo te questo gap è stato superato
o le realtà più grandi, in fondo, continuano a puntare soprattutto su operazioni di marketing classiche?
Secondo me siamo al passaggio del guado. Le aziende, grandi e piccole, si sono rese conto che non possiamo più ignorare internet e i social
network. Ci sono resistenze, ma il virus della socialità è stato ormai
inoculato. Iniziare una conversazione comporta un lavoro di ascolto e
di esplorazione … non è banale mettersi in gioco in questo modo per
un’azienda… non è facile smantellare concetti comunicazionali radicati
in decenni di approccio monomediale e unidirezionale al mercato… è
un po’ un processo psicoanalitico: prima di costruire bisogna smontare
quello che c’è…
E conoscenza del mezzo, che si realizza anche attraverso l’apprendimento step by step.
Per concludere la domanda precedente, secondo te quali
elementi non devono mancare in una campagna di marketing non convenzionale?
Il coraggio. Il coraggio dell’innovazione e della creatività. Il professor
Carlo Brumat, pioniere di Silicon Valley, ha recentemente dichiarato
che l’innovazione c’è già tutta “disciolta” nel mondo. Ci vuole fantasia, e
coraggio per estrarla.
Il blog non ha un direttore, ma solo un autore che “posta” in
base al suo gusto e alla sua intelligenza. Come definiresti la
posizione dei blogger oggi nel panorama della comunicazione e del marketing?
Prima tutti inneggiavano al blog come lo strumento ideale per il nuovo
marketing 2.0… e tutti a riempirsi la bocca di social networking, tag,
You Tube e Facebook… e ora assistiamo alla chiusura di alcuni blog
corporate. Alcuni anche da aziende importanti e “quotate”. Anche alcuni
blogger sono uccel di bosco o hanno proprio terminato le trasmissioni…
E allora? Non è detto che la conversazione sia adatta a tutte le aziende e a
tutte le persone, non è detto che il seme dell’ascolto e della condivisione
possano attecchire ovunque. Anche qui ci vuole lavoro, pazienza, tempo,
dedizione… nel marketing non c’è nessuna pietra filosofale...
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LiberaMente
di: Stefania Boleso
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LiberaMente
H
o cominciato a studiare marketing ai tempi di Mani Pulite.
Erano i primi anni Novanta, crollava il sistema dei partiti ed io,
che già ai tempi ero specializzata in elucubrazioni mentali, mi
chiedevo spesso quali risultati avrebbe potuto produrre l’applicazione
delle regole di marketing alla politica.
Beh, non ero la sola a fare queste riflessioni... Visto che di lì a poco qualcuno
con molta più esperienza della sottoscritta, molti più quattrini e sicuramente
un maggiore interesse nel voler intraprendere l’esperimento, è sceso in campo,
diventando immediatamente Presidente del Consiglio.
Allora il marketing applicato alla politica funzionava! Eccome se funzionava!
Da quel momento sono diventata un’attenta osservatrice della comunicazione politica.
E nella maggioranza dei casi sono rimasta delusa da ciò che ho visto.
Insomma... Stiamo parlando di partiti, organizzazioni complesse che
gestiscono budget importanti! Eppure quando ci sono di mezzo il marketing e la comunicazione, cioè il modo di presentarsi e di dialogare con
l’elettorato, “toppano” più o meno tutti.
In TV gli spot non esistono più, e la visibilità dei partiti è riconducibile
esclusivamente a risse nei dibattiti televisivi o editoriali alla Minzolini.
La parte da leone la fa quindi l’affissione (stampa e web ci sono, ma
contano poco).
Togliendo gli “obrobri” locali (con cui si è divertito persino il Corriere.
it chiedendo ai lettori di segnalare le peggiori creatività), il problema
sono le campagne nazionali, per le quali ci si aspetterebbe un approccio
strategico strutturato, simile a quello utilizzato dalle multinazionali del
Largo Consumo. Invece i messaggi sono spesso confusi e le iniziative
scollegate tra loro.
Qualche esempio? Il primo che mi viene in mente è la martellante pubblicità
della Lega Nord con l’immagine dell’indiano d’America. Quante volte l’abbiamo vista, nel corso degli anni? Ogni occasione è buona per ritirarla fuori...
Peggio del Pennello Cinghiale.
E poi parliamo del PD, il principale partito di opposizione, che nelle ultime
settimane ci ha regalato delle belle “chicche”.
Innanzitutto il poster per promuovere la Festa Annuale di Milano, col claim
“Effervescente Popolare” ed un visual del tutto simile alla vecchia campagna
dell’acqua Ferrarelle, colori e font (e bollicine) inclusi.
Secondo voi, che ne ha beneficiato in termini di awareness? Italaquae o il PD?
In contemporanea, su varie affissioni in giro per la città, e addirittura sul
programma ufficiale della Festa, appariva un altro messaggio: “Rimbocchiamoci le Maniche”, declinato poi diverse creatività.
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“Rimbocchiamoci le maniche. Cominciamo a sognare.”,
“La disoccupazione è aumentata e la pazienza è finita. Per giorni migliori.
Rimbocchiamoci le maniche”, per citarne solo un paio.
Rimboccarsi le maniche e sognare insieme nella stessa frase stridono, mentre
non mi è ancora chiaro chi deve rimboccarsi le maniche: i politici? Gli italiani? O entrambi?
Tralascerò di dilungarmi sulle immagini utilizzate, sulla mancanza del photoshop, sull’uso dei colori... Tanto avete capito.
“La pazienza è finita” è un messaggio efficace. Ma da lì deve partire una
promessa, un’idea, un sogno verso cui tendere. Obama docet.
Non so chi si occupi del marketing dei partiti politici...
La mia impressione è che ci siano persone di buona volontà, che però spesso ignorano
più o meno volutamente concetti quali posizionamento, brand image, corporate image,
e che non sono abituati a testare le campagne o a fare focus group.
Scusate, ma non può essere. In una democrazia svuotata dagli ideali e basata sull’immagine, sull’apparire e promettere, gli elettori devono essere trattati come consumatori.
Purtroppo.
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E ADESSO PARLA.
ANZI, SCRIVI.
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