nuove policy per nuove forme dell`abitare

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nuove policy per nuove forme dell`abitare
Convivere, condividere e non possedere: le innovazioni nel campo dell’abitare
di Alice S. Boni e Eugenia Montagnini
Abitare (la casa, lo spazio pubblico, i luoghi di socializzazione, il posto di lavoro) è un’azione quotidiana non
però scontata o routinaria. I percorsi di vita sono molteplici e differenziati e rendono l’esperienza dell’abitare
qualcosa di unico, di personale, poco tipizzabile, molto diversificata.
Heidegger ci ricorda che nel tedesco antico costruire e abitare condividevano la stessa radice; questo ci
sollecita nel pensare all’abitare come a un’esperienza in divenire, costruita nel tempo. E, nell’oggi, sempre
meno definibile a priori, avulsa da progettualità ma nonostante ciò ancora depositaria di desideri e
aspettative.
Rispetto all’abitare una casa, ad avere dimora in un contesto (quello di Milano), abbiamo interpellato per 2
anni di seguito (il 2013 e il 2014) 247 trentenni1, un piccolo campione poco rappresentativo di quel 10.6%
della popolazione che nel 2014 aveva un’età compresa fra i 30 e i 39 anni2.
Questo intervento desidera partire dai trentenni e dalle loro storie per aprirsi più ampiamente al tema
dell’abitare, a nuove tendenze ed esperienze che secondo noi raccontano l’abitare a Milano della fascia di
popolazione in oggetto ma non solo; narrano di nuove istanze e di innovative tensioni che sollecitano
politiche differenti e, ancor prima, che ci stimolano a rileggere le progettualità che riguardano i trentenni per
provare a interpretare le domande ma anche le risposte che a esse vengono fornite rispetto al bisogno della
casa.
1. Perché i trentenni?
La domanda è più che legittima: perché partire dai trentenni, che rappresentano solamente poco più di un
decimo della popolazione di Milano? Perché da loro e non dai giovani o dagli anziani? Perché soffermarci sul
loro bisogno di casa, sulle risposte che trovano e su quelle che si inventano?
Non desideriamo enfatizzare questa fascia di popolazione ma la riteniamo particolarmente interessante
proprio perché invisibile, poco tematizzata, sfuggente.
Soprattutto nel nostro Paese, quella dei trentenni è una fase di limbo tra l’essere giovani e il pieno status di
adulto. Si è entrambe le cose ma pienamente nessuna delle due. Del resto mentre in molti altri paesi avanzati
già a 25 anni la maggioranza delle persone conquista l’autonomia dai genitori, da noi questo avviene a 30 e
oltre (Rosina 2013).
I trentenni sono già adulti (definitivamente, dal punto di vista anagrafico, e quindi non più giovani) ma non
ancora sufficientemente adulti e stabilizzati (si pensi per esempio all’esperienza del lavoro) per godere di
garanzie abitative.
1
Di cui 20 attraverso 3 focus group (nel 2013) e 227 attraverso dei questionari online (nel 2013 e nel 2014, secondo un
campione a valanga).
2
Attraverso i questionari online abbiamo indagato non solo il tema dell’abitare una casa ma anche quello dell’abitare
la città di Milano; i risultati più specifici di questo secondo aspetto si trovano sia nel nostro contributo L’abitare e il
vivere insieme dei trentenni a Milano contenuto in Lodigiani, R., Rapporto sulla città, Milano 2013. Trentenni in cerca
d’autore, FrancoAngeli, Milano, 2013, pp.129 - 150 sia nel nostro articolo Le esperienze abitative dei trentenni a Milano
al tempo dell’esodo in Territorio, n. 75, 2015, pp. 129 – 137.
1
A fronte di carriere lavorative discontinue, di stili di vita non standardizzabili, di nuclei famigliari differenti
per composizione, di possibilità economiche di partenza diversificate, l’esperienza abitativa dei trentenni ci
sembra un terreno fertile per indagare le condizioni di accesso all’abitazione, le opzioni abitative percorribili
e quelle escluse, le possibilità offerte dalle politiche pubbliche e quelle concesse dal mercato.
È per questo che la nostra attenzione è ricaduta su di loro, che all’interno di questo nostro intervento
desideriamo considerare come l’osservatorio da cui leggere alcune dinamiche, alcuni interrogativi, alcuni
stimoli innovativi rispetto al tema dell’abitare a Milano.
Parafrasando Bernanos, i trentenni sono il termometro attraverso cui misuriamo la temperatura dell’abitare
a Milano, non solo dal punto di vista dei bisogni e delle risposte istituzionali ma anche da quello della capacità
di generare soluzioni, di sperimentare innovativi percorsi abitativi (proprio perché già e non ancora), che
desideriamo analizzare e leggere in un’ottica più ampia e non solo generazionale.
Sui trentenni ricadono le fatiche della società liquida che non riesce a dare sostanza a un abitare sostenibile
a fronte di limiti tangibili:
Il riconoscimento dei limiti che sia il mercato deregolamentato sia l’intervento pubblico di tipo tecnocratico
hanno dimostrato nel garantire un abitare sostenibile per tutti induce a costruire una nuova politica abitativa
che sappia integrare una pluralità di attori e di strumenti di intervento. Mentre le politiche di largo respiro
latitano, è soprattutto grazie a sperimentazioni locali che si sta premendo per innovare il quadro istituzionale
(Bronzini 2014, 246).
Ed è da questo premere il quadro istituzionale che, secondo una logica bottom up, pensiamo sia strategico
indagare il binomio i trentenni – l’abitare.
Attraverso le storie ascoltate e raccolte, rileggiamo un abitare inconsueto, a tratti nuovo a tratti
semplicemente riproposto con forme inedite rispetto a pratiche precedenti; si tratta di un abitare la casa,
sempre ritenuta spazio imprescindibile di stabilità, di autonomia, di identità, secondo quelle che sono le
fatiche e le opportunità che oggi molte persone vivono (trentenni ma non solo; a Milano ma anche altrove).
All’interrogativo quale abitare emerge dai racconti dei trentenni? rispondiamo con tre sollecitazioni, che
riteniamo trasversali e non solo generazionali: abitare come esperienza di convivenza; abitare come
esperienza di condivisione; abitare ma non possedere.
È su questi tre passaggi che desideriamo soffermarci, sia per leggerne la carica innovativa sia per interpellare
le politiche, in una duplice ottica: quella dell’indagare ciò che c’è già e quella di carpire ciò che potrebbe
esserci, partendo da progettualità abbozzate e in divenire.
2. Abitare una casa: un’esperienza di convivenza
Quando si pensa a un’esperienza di convivenza fra persone non appartenenti allo stesso gruppo famigliare,
la mente corre immediatamente all’abitare degli studenti universitari che, durante gli anni di studio, si
ritrovano a vivere insieme. È questa una convivenza quasi scontata se pensiamo a quella fase della vita. Tanti
i progetti, in Italia e all’estero, dedicati a questa specifica forma di abitare, progetti oramai non più
sperimentali ma consolidati che, affianco ai più classici appartamenti, propongono agli studenti una
convivenza diversa: in famiglia o con persone single (spesso anziane, in un’ottica di convivenza
intergenerazionale).
Tanto quanto appare scontata questa forma di convivenza, quanto ci pare dissonante quella di una persona
adulta, non più universitaria, che convive forzatamente (a causa di logiche non sempre lineari del mercato
immobiliare) con altre persone, non appartenenti alla propria cerchia famigliare. Eppure non era così strano
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nella Milano industriale dove operai e impiegati, giunti da altre regioni, trovavano alloggio in quelle case in
cui c’era una stanza in più e il desiderio di compagnia (ma anche di alleggerire i costi dell’abitazione). Questa
memoria in bianco e nero lascia il posto a esperienze correnti, vissute dai trentenni che desidererebbero altro
ma che sono anche consapevoli che la loro instabilità economica non permette altro.
A livello internazionale si sta rafforzando e consolidando l’esperienza di un network, Homeshare
International3 (presente anche in Italia e a Milano), che promuove la convivenza come esperienza vincente
per chi accoglie (homeholder) e per chi viene accolto (homesharer); in alcuni paesi non si tratta solo di
sperimentazioni ma di pratiche consolidate e diffuse e rivolte non solo a studenti, in un’ottica di convivenza
intergenerazionale, ma anche ad altre fasce di popolazione. Competenze diversificate secondo sia il tipo di
accordo fra homeholder e homesharer sia il supporto che viene offerto da gestori sociali ed enti pubblici nella
gestione e nella regolamentazione dello scambio.
Sicuramente quella della convivenza, in una fase di transito (come quella dei trentenni ma non solo), è una
concreta possibilità di abitare; differente sicuramente dalle aspettative ma efficace rispetto alle tante fatiche
e fragilità che emergono dal confronto fra i trentenni e il mercato immobiliare milanese; una dimostrazione
cogente di diverso abitare che può e deve essere assunto anche dalle politiche.
3. Abitare una casa: un’esperienza di condivisione
Pur essendo termini affini, utilizziamo convivenza e condivisione come distinti; condivisione di spazi (ma non
sotto un medesimo tetto come nella convivenza; più nell’ottica del cohousing) e di relazioni di buon vicinato,
per rispondere a bisogni di socialità e di collaborazione nella quotidianità.
Nell’esperienze raccontateci dai trentenni, infatti, emergono due differenti accezioni di condivisione, spesso
sovrapposte fra loro: sia il desiderio di abitazioni (appartamenti) che prevedano spazi comuni, condivisi con
altre famiglie (per supplire alle mancanza di spazio dettate da case piccole, non predisposte ad accogliere i
figli, gli amici, i parenti) sia case che siano occasione di incontro con il quartiere, con il territorio più prossimo
e con chi lo abita.
Recuperando un’espressione di Ivan Illich (1993), convivialità, i trentenni che abbiamo interpellato hanno
evidenziato una forte tensione ideale verso l’abitare una casa che sia luogo di convivialità.
Questo aspetto dell’abitare non emerge solo dalle parole di coloro che vivono l’esperienza di un condominio
diffuso4 ma anche di coloro che, non sanno cosa sia un cohousing o non aspirano a viverci, semplicemente
desiderano che la casa non sia un’esperienza di chiusura ma l’occasione per aprirsi, moltiplicare le relazioni,
entrare in contatto con la città. Ancor più per coloro per i quali la casa è anche il luogo di lavoro (significato
nuovo e distinto da quello tradizionale di casa come luogo degli affetti e delle relazioni famigliari).
Quello della condivisione è un tratto innovativo in quanto fa emergere una tensione culturale differente,
un’interpretazione dell’abitare inedita ma che fra i trentenni ci è parsa diffusa5.
Tra le esperienze di convivenza e quelle di condivisione abbiamo rintracciato alcuni bisogni comuni, seppure
le forme abitative siano differenti rispetto al coinvolgimento della sfera individuale o famigliare: nel primo
3
Associazione di seconda categoria, http://homeshare.org/
Espressione coniata da un gruppo di trentenni durante un focus group nel 2013.
5
Ragione per cui abbiamo ritenuto necessario, dopo il sondaggio del 2013, interpellare nuovamente quei trentenni
(secondo una modalità di indagine panel) per verificare l’importanza di questo aspetto (la casa come esperienza di
condivisione).
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3
caso è più forte e nel secondo è più leggero. Entrambe ci raccontano della necessità, del bisogno ma anche
del desiderio di crearsi dei punti di riferimento, delle reti di mutuo aiuto, per rendere accessibili alcuni beni,
per condividere rischi, insicurezze (Sampieri 2011) e per sentirsi meno soli nella città, per resistere anche a
una tensione esistenziale che porta all’isolamento, all’atomizzazione, alla competizione.
Sono diverse le esperienze di convivenza/condivisione che abbiamo incrociato e che nascono nella fase di
studio e formazione, che proseguono con il primo ingresso nel mercato del lavoro e che si protraggono nel
tempo per il permanere di una condizione di incertezza che riguarda soprattutto la continuità di reddito.
Sono esperienze in cui la convivenza forzata sotto lo stesso tetto per rendere sostenibili le spese per
l’abitazione, si trasformano in opportunità per rendere accessibili altri beni difficilmente raggiungibili con
risorse proprie. Rispetto alla prima fase di convivenza “forzata”, identificata con il periodo di studio e di
formazione, dove le persone si trovano pressoché casualmente; nella seconda e terza fase, identificate
rispettivamente con l’ingresso nel mercato del lavoro e con la permanenza (seppur discontinua) in esso, le
persone con le quali convivere si scelgono, tendenzialmente all’interno dello stesso ambito lavorativo. La
casa da luogo di convivenza forzata si trasforma in occasione per affrontare la città, il lavoro, la precarietà.
Per esempio come nell’esperienza del condominio diffuso, si scelgono grandi appartamenti dove vivere in
7,8,9 persone (perché proporzionalmente meno costosi dei monolocali e dei bilocali), nei quali ritagliarsi spazi
per lavorare ma anche per coltivare relazioni e momenti di convivialità.
A essere maggiormente sostenibile non è solo la casa (in affitto) e il suo mantenimento nel tempo, ma sia il
lavoro che, seppur discontinuo, grazie a una rete ampia di relazioni coltivata nello stesso settore, consente
di passarsi lavori riducendo, per quanto possibile, le interruzioni tra un contratto e l’altro; sia l’acquisto
collettivo di beni, quali strumenti e materiali di lavoro, che da soli risulterebbero inaccessibili. La casa stessa,
in situazioni di particolare emergenza economica, diventa strategica per subaffittare e accogliere un inquilino
in più, sacrificando eventualmente gli spazi comuni a disposizione.
4. Abitare una casa senza possederla
Nel racconto dei trentenni intervistati, l’acquisto della casa appare come un’esperienza non percorribile,
persino poco interessante ai loro occhi. Studi di psicologia clinica fanno emergere come l’esperienza del
possedere sia comunque intrinsecamente connessa al nostro essere (Astori 2015) e come la condivisione
(secondo l’accezione più diffusa di sharing economy) sia un’esperienza più transitoria che radicale. È
comunque certo che, non solo per i trentenni che abbiamo ascoltato, il possedere una casa non sia
contemplato dai più. Di fronte all’opzione possesso o affitto, il senso del reale dei trentenni affiora
prepotentemente, portandoli a optare in maniera netta per l’affitto.
Nella maggior parte dei casi laddove c’è un trentenne che vive in una casa di proprietà questa gli è stata
trasmessa secondo una prassi intergenerazionale (Poggio 2008), ossia attraverso l’eredità o il dono oppure,
secondo quanto raccontatoci da gestori sociali e rappresentanti della cooperazione edilizia, attraverso
l’acquisto effettuato da un genitore o addirittura dai nonni.
Da quanto raccolto non è possibile affermare che il non acquisto della casa apra ad altri tipi di investimenti
(culturali ed economici) per i trentenni; quello che è certo è che l’abitare una casa di proprietà lascia spazio
ad altre forme di abitazione (affitto e convivenza) che definiscono pratiche e interazioni differenti, non solo
con la casa come spazio e come simbolo ma anche con il contesto territoriale e con chi lo amministra.
4
5. I trentenni e le politiche abitative a Milano
È difficile incrociare i bisogni e la condizione abitativa dei trentenni all’interno delle politiche abitative a
Milano. Soprattutto se riferendosi alle testimonianze raccolte pensiamo ai bisogni e ai profili non standard di
cui sono portatori, che esprimono desideri e necessità abitative differenti e che riguardano: le condizioni
economiche di partenza, la presenza o meno di figli, la convivenza con il proprio partner e con amici, l’essere
sposati o single, la presenza di un lavoro precario, l’essere in affitto o l’abitare una casa di proprietà. Questa
generazione rispecchia gli effetti e i rischi delle trasformazioni avvenute nel corso degli ultimi due decenni
nel mercato del lavoro e dell’abitazione e in quello culturale. Si tratta di trasformazioni che, come si è detto
in precedenza, hanno portato a una progressiva diversificazione e frammentazione dei bisogni e dei desideri.
Le situazioni più fragili paiono proprio quelle che non hanno alle spalle il sostegno delle famiglie sia per
mantenere l’abitazione in affitto, sia soprattutto per accedere alla proprietà tramite il capitale iniziale e le
garanzie patrimoniali dei genitori necessarie per accendere il mutuo.
Le politiche attive oggi sul territorio di Milano (sia proprie del Comune sia derivanti da finanziamenti regionali
o nazionali o realizzate in partnership con il privato) sembrano in difficoltà (Costa, 2013) nell’intercettare i
bisogni di questa fascia di popolazione così come l’abbiamo conosciuta ed abbiamo provato a raccontarla nel
corso di queste pagine. Difficile, in particolare rintracciare politiche che guardino al tema della condivisione,
della convivenza e del non possesso, se non all’interno di programmi abbastanza rigidi. Da una parte si ritiene
che le policy attuali si riferiscano a condizioni standardizzate, dall’altra si rileva come in ambito abitativo non
esistano misure rivolte a specifiche classi di età dei destinatari.
In generale il panorama delle politiche è contraddistinto da misure volte al mantenimento dell’abitazione
(Fondo sostegno affitto, Bonus affitto nell’ambito del Reddito di autonomia, Fondo morosità incolpevole) che
possono potenzialmente intercettare i bisogni dei trentenni, ma si tratta di contributi una tantum utili a
tamponare alcune situazioni di difficoltà ma non a risolverle a livello strutturale.
Vi sono poi misure volte a favorire l’accesso all’abitazione di giovani under 35, o di giovani coppie la cui
somma di età non supera i 70 anni. Il riferimento è in particolare ad Abit@Giovani6 il cui andamento, a
distanza di alcuni anni, non sembra aver confermato il successo riscosso inizialmente e al Fondo di garanzia
per i mutui prima casa7.
Le cosiddette giovani coppie sono anche una delle categorie privilegiate da alcuni programmi di mix abitativo,
volti a favorire la creazione di contesti contraddistinti da coesione sociale. In questo caso si tratta spesso di
interventi che non nascono da esigenze specifiche degli abitanti, come potrebbe accadere a livello locale, ma
si sviluppano avendo in mente dei target tipizzato, scelti dagli enti gestori secondo criteri di sostenibilità
sociale ed economica, dove gli abitanti non possono per l’appunto scegliersi. La parte più attiva a essi rivolta
è quella successiva alla selezione e dedicata alla costruzione della comunità di abitanti.
Come è stato da più parti sottolineato, ciò che pare particolarmente necessario, vista la scarsità di alloggi
pubblici volti a soddisfare la domanda abitativa delle persone in graduatoria (23.898 di cui il 39% sono
rappresentati dai trentenni8) e vista invece la disponibilità di alloggi sul mercato (dagli anni Settanta il numero
6
Il programma è stato sviluppato da Regione Lombardia, A.L.E.R. Milano, Fondazione Cariplo, Fondazione Housing
Sociale e Polaris Real Estate Società di Gestione del Risparmio - S.p.A., quale società di gestione del Fondo Immobiliare
di Lombardia – Comparto Uno (nel 2015 ha intrapreso un’operazione di fusione per incorporazione in InvestiRE SGR
SpA) su impulso di Don Gino Rigoldi. Il motto del programma era 1000 abitazioni per 1000 giovani. Al 2015 le abitazioni
realizzate risultavano il 15% di quelle previste.
7
Fondo istituito con legge 27 dicembre 2013, n.147, art. 1, comma 48, lettera C e rivolto, tra gli altri, a giovani di età
inferiore ai 35 anni titolari di un rapporto di lavoro atipico di cui all’articolo 1 della legge 28 giugno 2012, n. 92.
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Dati riferiti al 18° Bando comunale per l’accesso agli alloggi di Edilizia Residenziale Pubblica (rr 1/2004 e smi) forniti dal
Comune di Milano, Direzione Centrale Casa e Demanio, Settore Assegnazione Alloggi ERP, Servizio Gestione Attività e
Procedure.
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di alloggi ha superato il numero dei nuclei famigliari) sarebbe una politica di calmieramento dei prezzi delle
abitazioni in affitto. In questa direzione si sta muovendo Milano Abitare, l’agenzia per la casa del Comune di
Milano, attraverso la diffusione del nuovo canone concordato e di agevolazioni a tutela dei conduttori e dei
locatari. Una strada in salita, appena intrapresa, che si sta scontrando in questa fase, soprattutto con la
resistenza da parte dei proprietari delle abitazioni9.
6. Qualche conclusione
Le politiche e i programmi sperimentati in questi anni sul territorio di Milano, rispetto alle pratiche
intercettate attraverso la nostra indagine e ad alcuni snodi (la condivisione, la convivenza, il non possesso)
sollevano alcuni elementi di riflessione.
Il primo riguarda la possibilità di intercettare le domande abitative dei trentenni e, in generale, di coloro che
stanno vivendo il problema abitativo, inventando pratiche innovative che rappresentano antidoti alle forme
di esclusione dal mercato abitativo e dall’edilizia pubblica.
La questione è come riconoscere l’alterità di queste pratiche a livello locale, coglierne la carica innovativa,
provando a sostenerle e a valorizzarle, senza snaturarle.
L’obiettivo crediamo non sia quello di assurgere queste pratiche a politiche per tutti, indirizzando
indirettamente comportamenti sociali ma di dialogare con esse per capire quali possono essere le strategie
per rimuovere gli ostacoli all’accesso e al mantenimento dell’abitazione e per individuare quegli elementi
innovativi da eventualmente introdurre nelle politiche.
In primis all’ordine del giorno, come abbiamo visto, non vi è solamente il tema dell’accesso all’abitazione. Più
ampiamente si è trattato del tema dell’accesso alla città; a questo proposito lo sguardo degli intervistati su
di essa e sui quartieri in cui abitano, che ha messo in evidenza alcune fatiche: di relazioni di vicinato, di spazi
pubblici in cui incontrarsi senza consumare, di luoghi di “sosta”. In prevalenza emerge l’immagine di una città
mai ferma, contraddistinta da flussi, dal defluire incessante delle persone e da un orientamento ossessivo al
lavoro.
Un secondo tema riguarda le esperienze messe in campo dai trentenni che intercettano le questioni inerenti
il benessere e la qualità della vita nella città. È necessario valorizzare le pratiche di convivenza e di
condivisione (nonché quelle di appropriazione degli spazi pubblici dal basso), maturate dagli abitanti come
antidoti alla vita frenetica della città. Fra queste quella del condominio diffuso ci pare particolarmente
innovativa e capace di raccontare risposte concrete alle fatiche dell’abitare la città contemporanea.
In generale, con riferimento ai due temi sopracitati, ci sembra utile un rinfrancamento della relazione tra
istituzioni e cittadini, al livello locale, attraverso un approccio leggero, ironico e responsabile (Palermo, 2004,
p. 340). Leggero perché basato sull’ascolto attento e generativo delle pratiche e non sulla impostazione di
politiche calate dall’alto e standardizzate. Ironico perché guarda con sospetto ogni esercizio di ragione che
rischierebbe di diventare arbitrario o eccessivo. Responsabile per la capacità di sviluppare innovazioni delle
soluzioni e dei processi operando su terreni poco conosciuti e di frontiera.
Un ultimo tema riguarda la necessità di politiche abitative che guardino non solo all’età dei destinatari ma,
in particolare, ad alcune fasi del ciclo di vita. Parlare dei trentenni significa riferirsi a una fascia di popolazione
che come abbiamo riferito nelle pagine precedenti, non emerge tra i target delle politiche. D’altra parte la
definizione di politiche su classi di età specifiche riteniamo che siano rischiose e fortemente limitative.
9
Testimonianza raccolta da Rosa Ciofi, Milano Abitare, Fondazione Welfare Ambrosiano.
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Piuttosto crediamo nelle potenzialità contenute in politiche abitative generative e non strettamente
generazionali, attente cioè ai differenti bisogni, desideri e pratiche emergenti nelle diverse generazioni ma
anche trasversali a esse; ovvero più sensibili alle diverse fasi del ciclo di vita delle donne e degli uomini di
questa città, alla loro quotidianità e ai loro riti. Tutto ciò significa dunque guardare alle politiche abitative in
un’ottica territoriale e urbanistica e di reale coesione e integrazione sociale.
Bibliografia
Astori, S., Possesso e utilizzo, due facce della stessa moneta, in Vita e Pensiero, n. 6, 2015, pp.
Boni, A. S., Montagnini, E., L’abitare e il vivere insieme dei trentenni a Milano in Lodigiani, R., Rapporto sulla
città, Milano 2013. Trentenni in cerca d’autore, FrancoAngeli, Milano, 2013, pp.129 – 150
Boni, A. S., Montagnini, E., Le esperienze abitative dei trentenni a Milano al tempo dell’esodo in Territorio, n.
75, 2015, pp. 129 – 137
Bronzini, M., Nuove forme dell’abitare. L’housing sociale in Italia, Carocci, Roma 2014
Costa, G., Politiche locali per adulti giovani, un percorso a ostacoli, in Lodigiani, R., Rapporto sulla città,
Milano 2013. Trentenni in cerca d’autore, FrancoAngeli, Milano, 2013, pp. 205 – 231
Illich, I., La convivialità. Una proposta libertaria per una politica dei limiti allo sviluppo, red edizioni, Como,
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Palermo, P.C., Trasformazioni e governo del territorio. Introduzione critica, FrancoAngeli, Milano, 2004
Poggio, T., La casa in proprietà nella stratificazione sociale, in Meridiana, 62/2008, pp. 53 – 69
Rosina, R., Peso demografico e politico degli adulti giovani a Milano, in Lodigiani, R., Rapporto sulla città,
Milano 2013. Trentenni in cerca d’autore, FrancoAngeli, Milano, 2013, pp. 39 – 52
Sampieri, A., a cura di, L’abitare collettivo, FrancoAngeli, Milano, 2011
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