nuove policy per nuove forme dell`abitare
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nuove policy per nuove forme dell`abitare
Convivere, condividere e non possedere: le innovazioni nel campo dell’abitare di Alice S. Boni e Eugenia Montagnini Abitare (la casa, lo spazio pubblico, i luoghi di socializzazione, il posto di lavoro) è un’azione quotidiana non però scontata o routinaria. I percorsi di vita sono molteplici e differenziati e rendono l’esperienza dell’abitare qualcosa di unico, di personale, poco tipizzabile, molto diversificata. Heidegger ci ricorda che nel tedesco antico costruire e abitare condividevano la stessa radice; questo ci sollecita nel pensare all’abitare come a un’esperienza in divenire, costruita nel tempo. E, nell’oggi, sempre meno definibile a priori, avulsa da progettualità ma nonostante ciò ancora depositaria di desideri e aspettative. Rispetto all’abitare una casa, ad avere dimora in un contesto (quello di Milano), abbiamo interpellato per 2 anni di seguito (il 2013 e il 2014) 247 trentenni1, un piccolo campione poco rappresentativo di quel 10.6% della popolazione che nel 2014 aveva un’età compresa fra i 30 e i 39 anni2. Questo intervento desidera partire dai trentenni e dalle loro storie per aprirsi più ampiamente al tema dell’abitare, a nuove tendenze ed esperienze che secondo noi raccontano l’abitare a Milano della fascia di popolazione in oggetto ma non solo; narrano di nuove istanze e di innovative tensioni che sollecitano politiche differenti e, ancor prima, che ci stimolano a rileggere le progettualità che riguardano i trentenni per provare a interpretare le domande ma anche le risposte che a esse vengono fornite rispetto al bisogno della casa. 1. Perché i trentenni? La domanda è più che legittima: perché partire dai trentenni, che rappresentano solamente poco più di un decimo della popolazione di Milano? Perché da loro e non dai giovani o dagli anziani? Perché soffermarci sul loro bisogno di casa, sulle risposte che trovano e su quelle che si inventano? Non desideriamo enfatizzare questa fascia di popolazione ma la riteniamo particolarmente interessante proprio perché invisibile, poco tematizzata, sfuggente. Soprattutto nel nostro Paese, quella dei trentenni è una fase di limbo tra l’essere giovani e il pieno status di adulto. Si è entrambe le cose ma pienamente nessuna delle due. Del resto mentre in molti altri paesi avanzati già a 25 anni la maggioranza delle persone conquista l’autonomia dai genitori, da noi questo avviene a 30 e oltre (Rosina 2013). I trentenni sono già adulti (definitivamente, dal punto di vista anagrafico, e quindi non più giovani) ma non ancora sufficientemente adulti e stabilizzati (si pensi per esempio all’esperienza del lavoro) per godere di garanzie abitative. 1 Di cui 20 attraverso 3 focus group (nel 2013) e 227 attraverso dei questionari online (nel 2013 e nel 2014, secondo un campione a valanga). 2 Attraverso i questionari online abbiamo indagato non solo il tema dell’abitare una casa ma anche quello dell’abitare la città di Milano; i risultati più specifici di questo secondo aspetto si trovano sia nel nostro contributo L’abitare e il vivere insieme dei trentenni a Milano contenuto in Lodigiani, R., Rapporto sulla città, Milano 2013. Trentenni in cerca d’autore, FrancoAngeli, Milano, 2013, pp.129 - 150 sia nel nostro articolo Le esperienze abitative dei trentenni a Milano al tempo dell’esodo in Territorio, n. 75, 2015, pp. 129 – 137. 1 A fronte di carriere lavorative discontinue, di stili di vita non standardizzabili, di nuclei famigliari differenti per composizione, di possibilità economiche di partenza diversificate, l’esperienza abitativa dei trentenni ci sembra un terreno fertile per indagare le condizioni di accesso all’abitazione, le opzioni abitative percorribili e quelle escluse, le possibilità offerte dalle politiche pubbliche e quelle concesse dal mercato. È per questo che la nostra attenzione è ricaduta su di loro, che all’interno di questo nostro intervento desideriamo considerare come l’osservatorio da cui leggere alcune dinamiche, alcuni interrogativi, alcuni stimoli innovativi rispetto al tema dell’abitare a Milano. Parafrasando Bernanos, i trentenni sono il termometro attraverso cui misuriamo la temperatura dell’abitare a Milano, non solo dal punto di vista dei bisogni e delle risposte istituzionali ma anche da quello della capacità di generare soluzioni, di sperimentare innovativi percorsi abitativi (proprio perché già e non ancora), che desideriamo analizzare e leggere in un’ottica più ampia e non solo generazionale. Sui trentenni ricadono le fatiche della società liquida che non riesce a dare sostanza a un abitare sostenibile a fronte di limiti tangibili: Il riconoscimento dei limiti che sia il mercato deregolamentato sia l’intervento pubblico di tipo tecnocratico hanno dimostrato nel garantire un abitare sostenibile per tutti induce a costruire una nuova politica abitativa che sappia integrare una pluralità di attori e di strumenti di intervento. Mentre le politiche di largo respiro latitano, è soprattutto grazie a sperimentazioni locali che si sta premendo per innovare il quadro istituzionale (Bronzini 2014, 246). Ed è da questo premere il quadro istituzionale che, secondo una logica bottom up, pensiamo sia strategico indagare il binomio i trentenni – l’abitare. Attraverso le storie ascoltate e raccolte, rileggiamo un abitare inconsueto, a tratti nuovo a tratti semplicemente riproposto con forme inedite rispetto a pratiche precedenti; si tratta di un abitare la casa, sempre ritenuta spazio imprescindibile di stabilità, di autonomia, di identità, secondo quelle che sono le fatiche e le opportunità che oggi molte persone vivono (trentenni ma non solo; a Milano ma anche altrove). All’interrogativo quale abitare emerge dai racconti dei trentenni? rispondiamo con tre sollecitazioni, che riteniamo trasversali e non solo generazionali: abitare come esperienza di convivenza; abitare come esperienza di condivisione; abitare ma non possedere. È su questi tre passaggi che desideriamo soffermarci, sia per leggerne la carica innovativa sia per interpellare le politiche, in una duplice ottica: quella dell’indagare ciò che c’è già e quella di carpire ciò che potrebbe esserci, partendo da progettualità abbozzate e in divenire. 2. Abitare una casa: un’esperienza di convivenza Quando si pensa a un’esperienza di convivenza fra persone non appartenenti allo stesso gruppo famigliare, la mente corre immediatamente all’abitare degli studenti universitari che, durante gli anni di studio, si ritrovano a vivere insieme. È questa una convivenza quasi scontata se pensiamo a quella fase della vita. Tanti i progetti, in Italia e all’estero, dedicati a questa specifica forma di abitare, progetti oramai non più sperimentali ma consolidati che, affianco ai più classici appartamenti, propongono agli studenti una convivenza diversa: in famiglia o con persone single (spesso anziane, in un’ottica di convivenza intergenerazionale). Tanto quanto appare scontata questa forma di convivenza, quanto ci pare dissonante quella di una persona adulta, non più universitaria, che convive forzatamente (a causa di logiche non sempre lineari del mercato immobiliare) con altre persone, non appartenenti alla propria cerchia famigliare. Eppure non era così strano 2 nella Milano industriale dove operai e impiegati, giunti da altre regioni, trovavano alloggio in quelle case in cui c’era una stanza in più e il desiderio di compagnia (ma anche di alleggerire i costi dell’abitazione). Questa memoria in bianco e nero lascia il posto a esperienze correnti, vissute dai trentenni che desidererebbero altro ma che sono anche consapevoli che la loro instabilità economica non permette altro. A livello internazionale si sta rafforzando e consolidando l’esperienza di un network, Homeshare International3 (presente anche in Italia e a Milano), che promuove la convivenza come esperienza vincente per chi accoglie (homeholder) e per chi viene accolto (homesharer); in alcuni paesi non si tratta solo di sperimentazioni ma di pratiche consolidate e diffuse e rivolte non solo a studenti, in un’ottica di convivenza intergenerazionale, ma anche ad altre fasce di popolazione. Competenze diversificate secondo sia il tipo di accordo fra homeholder e homesharer sia il supporto che viene offerto da gestori sociali ed enti pubblici nella gestione e nella regolamentazione dello scambio. Sicuramente quella della convivenza, in una fase di transito (come quella dei trentenni ma non solo), è una concreta possibilità di abitare; differente sicuramente dalle aspettative ma efficace rispetto alle tante fatiche e fragilità che emergono dal confronto fra i trentenni e il mercato immobiliare milanese; una dimostrazione cogente di diverso abitare che può e deve essere assunto anche dalle politiche. 3. Abitare una casa: un’esperienza di condivisione Pur essendo termini affini, utilizziamo convivenza e condivisione come distinti; condivisione di spazi (ma non sotto un medesimo tetto come nella convivenza; più nell’ottica del cohousing) e di relazioni di buon vicinato, per rispondere a bisogni di socialità e di collaborazione nella quotidianità. Nell’esperienze raccontateci dai trentenni, infatti, emergono due differenti accezioni di condivisione, spesso sovrapposte fra loro: sia il desiderio di abitazioni (appartamenti) che prevedano spazi comuni, condivisi con altre famiglie (per supplire alle mancanza di spazio dettate da case piccole, non predisposte ad accogliere i figli, gli amici, i parenti) sia case che siano occasione di incontro con il quartiere, con il territorio più prossimo e con chi lo abita. Recuperando un’espressione di Ivan Illich (1993), convivialità, i trentenni che abbiamo interpellato hanno evidenziato una forte tensione ideale verso l’abitare una casa che sia luogo di convivialità. Questo aspetto dell’abitare non emerge solo dalle parole di coloro che vivono l’esperienza di un condominio diffuso4 ma anche di coloro che, non sanno cosa sia un cohousing o non aspirano a viverci, semplicemente desiderano che la casa non sia un’esperienza di chiusura ma l’occasione per aprirsi, moltiplicare le relazioni, entrare in contatto con la città. Ancor più per coloro per i quali la casa è anche il luogo di lavoro (significato nuovo e distinto da quello tradizionale di casa come luogo degli affetti e delle relazioni famigliari). Quello della condivisione è un tratto innovativo in quanto fa emergere una tensione culturale differente, un’interpretazione dell’abitare inedita ma che fra i trentenni ci è parsa diffusa5. Tra le esperienze di convivenza e quelle di condivisione abbiamo rintracciato alcuni bisogni comuni, seppure le forme abitative siano differenti rispetto al coinvolgimento della sfera individuale o famigliare: nel primo 3 Associazione di seconda categoria, http://homeshare.org/ Espressione coniata da un gruppo di trentenni durante un focus group nel 2013. 5 Ragione per cui abbiamo ritenuto necessario, dopo il sondaggio del 2013, interpellare nuovamente quei trentenni (secondo una modalità di indagine panel) per verificare l’importanza di questo aspetto (la casa come esperienza di condivisione). 4 3 caso è più forte e nel secondo è più leggero. Entrambe ci raccontano della necessità, del bisogno ma anche del desiderio di crearsi dei punti di riferimento, delle reti di mutuo aiuto, per rendere accessibili alcuni beni, per condividere rischi, insicurezze (Sampieri 2011) e per sentirsi meno soli nella città, per resistere anche a una tensione esistenziale che porta all’isolamento, all’atomizzazione, alla competizione. Sono diverse le esperienze di convivenza/condivisione che abbiamo incrociato e che nascono nella fase di studio e formazione, che proseguono con il primo ingresso nel mercato del lavoro e che si protraggono nel tempo per il permanere di una condizione di incertezza che riguarda soprattutto la continuità di reddito. Sono esperienze in cui la convivenza forzata sotto lo stesso tetto per rendere sostenibili le spese per l’abitazione, si trasformano in opportunità per rendere accessibili altri beni difficilmente raggiungibili con risorse proprie. Rispetto alla prima fase di convivenza “forzata”, identificata con il periodo di studio e di formazione, dove le persone si trovano pressoché casualmente; nella seconda e terza fase, identificate rispettivamente con l’ingresso nel mercato del lavoro e con la permanenza (seppur discontinua) in esso, le persone con le quali convivere si scelgono, tendenzialmente all’interno dello stesso ambito lavorativo. La casa da luogo di convivenza forzata si trasforma in occasione per affrontare la città, il lavoro, la precarietà. Per esempio come nell’esperienza del condominio diffuso, si scelgono grandi appartamenti dove vivere in 7,8,9 persone (perché proporzionalmente meno costosi dei monolocali e dei bilocali), nei quali ritagliarsi spazi per lavorare ma anche per coltivare relazioni e momenti di convivialità. A essere maggiormente sostenibile non è solo la casa (in affitto) e il suo mantenimento nel tempo, ma sia il lavoro che, seppur discontinuo, grazie a una rete ampia di relazioni coltivata nello stesso settore, consente di passarsi lavori riducendo, per quanto possibile, le interruzioni tra un contratto e l’altro; sia l’acquisto collettivo di beni, quali strumenti e materiali di lavoro, che da soli risulterebbero inaccessibili. La casa stessa, in situazioni di particolare emergenza economica, diventa strategica per subaffittare e accogliere un inquilino in più, sacrificando eventualmente gli spazi comuni a disposizione. 4. Abitare una casa senza possederla Nel racconto dei trentenni intervistati, l’acquisto della casa appare come un’esperienza non percorribile, persino poco interessante ai loro occhi. Studi di psicologia clinica fanno emergere come l’esperienza del possedere sia comunque intrinsecamente connessa al nostro essere (Astori 2015) e come la condivisione (secondo l’accezione più diffusa di sharing economy) sia un’esperienza più transitoria che radicale. È comunque certo che, non solo per i trentenni che abbiamo ascoltato, il possedere una casa non sia contemplato dai più. Di fronte all’opzione possesso o affitto, il senso del reale dei trentenni affiora prepotentemente, portandoli a optare in maniera netta per l’affitto. Nella maggior parte dei casi laddove c’è un trentenne che vive in una casa di proprietà questa gli è stata trasmessa secondo una prassi intergenerazionale (Poggio 2008), ossia attraverso l’eredità o il dono oppure, secondo quanto raccontatoci da gestori sociali e rappresentanti della cooperazione edilizia, attraverso l’acquisto effettuato da un genitore o addirittura dai nonni. Da quanto raccolto non è possibile affermare che il non acquisto della casa apra ad altri tipi di investimenti (culturali ed economici) per i trentenni; quello che è certo è che l’abitare una casa di proprietà lascia spazio ad altre forme di abitazione (affitto e convivenza) che definiscono pratiche e interazioni differenti, non solo con la casa come spazio e come simbolo ma anche con il contesto territoriale e con chi lo amministra. 4 5. I trentenni e le politiche abitative a Milano È difficile incrociare i bisogni e la condizione abitativa dei trentenni all’interno delle politiche abitative a Milano. Soprattutto se riferendosi alle testimonianze raccolte pensiamo ai bisogni e ai profili non standard di cui sono portatori, che esprimono desideri e necessità abitative differenti e che riguardano: le condizioni economiche di partenza, la presenza o meno di figli, la convivenza con il proprio partner e con amici, l’essere sposati o single, la presenza di un lavoro precario, l’essere in affitto o l’abitare una casa di proprietà. Questa generazione rispecchia gli effetti e i rischi delle trasformazioni avvenute nel corso degli ultimi due decenni nel mercato del lavoro e dell’abitazione e in quello culturale. Si tratta di trasformazioni che, come si è detto in precedenza, hanno portato a una progressiva diversificazione e frammentazione dei bisogni e dei desideri. Le situazioni più fragili paiono proprio quelle che non hanno alle spalle il sostegno delle famiglie sia per mantenere l’abitazione in affitto, sia soprattutto per accedere alla proprietà tramite il capitale iniziale e le garanzie patrimoniali dei genitori necessarie per accendere il mutuo. Le politiche attive oggi sul territorio di Milano (sia proprie del Comune sia derivanti da finanziamenti regionali o nazionali o realizzate in partnership con il privato) sembrano in difficoltà (Costa, 2013) nell’intercettare i bisogni di questa fascia di popolazione così come l’abbiamo conosciuta ed abbiamo provato a raccontarla nel corso di queste pagine. Difficile, in particolare rintracciare politiche che guardino al tema della condivisione, della convivenza e del non possesso, se non all’interno di programmi abbastanza rigidi. Da una parte si ritiene che le policy attuali si riferiscano a condizioni standardizzate, dall’altra si rileva come in ambito abitativo non esistano misure rivolte a specifiche classi di età dei destinatari. In generale il panorama delle politiche è contraddistinto da misure volte al mantenimento dell’abitazione (Fondo sostegno affitto, Bonus affitto nell’ambito del Reddito di autonomia, Fondo morosità incolpevole) che possono potenzialmente intercettare i bisogni dei trentenni, ma si tratta di contributi una tantum utili a tamponare alcune situazioni di difficoltà ma non a risolverle a livello strutturale. Vi sono poi misure volte a favorire l’accesso all’abitazione di giovani under 35, o di giovani coppie la cui somma di età non supera i 70 anni. Il riferimento è in particolare ad Abit@Giovani6 il cui andamento, a distanza di alcuni anni, non sembra aver confermato il successo riscosso inizialmente e al Fondo di garanzia per i mutui prima casa7. Le cosiddette giovani coppie sono anche una delle categorie privilegiate da alcuni programmi di mix abitativo, volti a favorire la creazione di contesti contraddistinti da coesione sociale. In questo caso si tratta spesso di interventi che non nascono da esigenze specifiche degli abitanti, come potrebbe accadere a livello locale, ma si sviluppano avendo in mente dei target tipizzato, scelti dagli enti gestori secondo criteri di sostenibilità sociale ed economica, dove gli abitanti non possono per l’appunto scegliersi. La parte più attiva a essi rivolta è quella successiva alla selezione e dedicata alla costruzione della comunità di abitanti. Come è stato da più parti sottolineato, ciò che pare particolarmente necessario, vista la scarsità di alloggi pubblici volti a soddisfare la domanda abitativa delle persone in graduatoria (23.898 di cui il 39% sono rappresentati dai trentenni8) e vista invece la disponibilità di alloggi sul mercato (dagli anni Settanta il numero 6 Il programma è stato sviluppato da Regione Lombardia, A.L.E.R. Milano, Fondazione Cariplo, Fondazione Housing Sociale e Polaris Real Estate Società di Gestione del Risparmio - S.p.A., quale società di gestione del Fondo Immobiliare di Lombardia – Comparto Uno (nel 2015 ha intrapreso un’operazione di fusione per incorporazione in InvestiRE SGR SpA) su impulso di Don Gino Rigoldi. Il motto del programma era 1000 abitazioni per 1000 giovani. Al 2015 le abitazioni realizzate risultavano il 15% di quelle previste. 7 Fondo istituito con legge 27 dicembre 2013, n.147, art. 1, comma 48, lettera C e rivolto, tra gli altri, a giovani di età inferiore ai 35 anni titolari di un rapporto di lavoro atipico di cui all’articolo 1 della legge 28 giugno 2012, n. 92. 8 Dati riferiti al 18° Bando comunale per l’accesso agli alloggi di Edilizia Residenziale Pubblica (rr 1/2004 e smi) forniti dal Comune di Milano, Direzione Centrale Casa e Demanio, Settore Assegnazione Alloggi ERP, Servizio Gestione Attività e Procedure. 5 di alloggi ha superato il numero dei nuclei famigliari) sarebbe una politica di calmieramento dei prezzi delle abitazioni in affitto. In questa direzione si sta muovendo Milano Abitare, l’agenzia per la casa del Comune di Milano, attraverso la diffusione del nuovo canone concordato e di agevolazioni a tutela dei conduttori e dei locatari. Una strada in salita, appena intrapresa, che si sta scontrando in questa fase, soprattutto con la resistenza da parte dei proprietari delle abitazioni9. 6. Qualche conclusione Le politiche e i programmi sperimentati in questi anni sul territorio di Milano, rispetto alle pratiche intercettate attraverso la nostra indagine e ad alcuni snodi (la condivisione, la convivenza, il non possesso) sollevano alcuni elementi di riflessione. Il primo riguarda la possibilità di intercettare le domande abitative dei trentenni e, in generale, di coloro che stanno vivendo il problema abitativo, inventando pratiche innovative che rappresentano antidoti alle forme di esclusione dal mercato abitativo e dall’edilizia pubblica. La questione è come riconoscere l’alterità di queste pratiche a livello locale, coglierne la carica innovativa, provando a sostenerle e a valorizzarle, senza snaturarle. L’obiettivo crediamo non sia quello di assurgere queste pratiche a politiche per tutti, indirizzando indirettamente comportamenti sociali ma di dialogare con esse per capire quali possono essere le strategie per rimuovere gli ostacoli all’accesso e al mantenimento dell’abitazione e per individuare quegli elementi innovativi da eventualmente introdurre nelle politiche. In primis all’ordine del giorno, come abbiamo visto, non vi è solamente il tema dell’accesso all’abitazione. Più ampiamente si è trattato del tema dell’accesso alla città; a questo proposito lo sguardo degli intervistati su di essa e sui quartieri in cui abitano, che ha messo in evidenza alcune fatiche: di relazioni di vicinato, di spazi pubblici in cui incontrarsi senza consumare, di luoghi di “sosta”. In prevalenza emerge l’immagine di una città mai ferma, contraddistinta da flussi, dal defluire incessante delle persone e da un orientamento ossessivo al lavoro. Un secondo tema riguarda le esperienze messe in campo dai trentenni che intercettano le questioni inerenti il benessere e la qualità della vita nella città. È necessario valorizzare le pratiche di convivenza e di condivisione (nonché quelle di appropriazione degli spazi pubblici dal basso), maturate dagli abitanti come antidoti alla vita frenetica della città. Fra queste quella del condominio diffuso ci pare particolarmente innovativa e capace di raccontare risposte concrete alle fatiche dell’abitare la città contemporanea. In generale, con riferimento ai due temi sopracitati, ci sembra utile un rinfrancamento della relazione tra istituzioni e cittadini, al livello locale, attraverso un approccio leggero, ironico e responsabile (Palermo, 2004, p. 340). Leggero perché basato sull’ascolto attento e generativo delle pratiche e non sulla impostazione di politiche calate dall’alto e standardizzate. Ironico perché guarda con sospetto ogni esercizio di ragione che rischierebbe di diventare arbitrario o eccessivo. Responsabile per la capacità di sviluppare innovazioni delle soluzioni e dei processi operando su terreni poco conosciuti e di frontiera. Un ultimo tema riguarda la necessità di politiche abitative che guardino non solo all’età dei destinatari ma, in particolare, ad alcune fasi del ciclo di vita. Parlare dei trentenni significa riferirsi a una fascia di popolazione che come abbiamo riferito nelle pagine precedenti, non emerge tra i target delle politiche. D’altra parte la definizione di politiche su classi di età specifiche riteniamo che siano rischiose e fortemente limitative. 9 Testimonianza raccolta da Rosa Ciofi, Milano Abitare, Fondazione Welfare Ambrosiano. 6 Piuttosto crediamo nelle potenzialità contenute in politiche abitative generative e non strettamente generazionali, attente cioè ai differenti bisogni, desideri e pratiche emergenti nelle diverse generazioni ma anche trasversali a esse; ovvero più sensibili alle diverse fasi del ciclo di vita delle donne e degli uomini di questa città, alla loro quotidianità e ai loro riti. Tutto ciò significa dunque guardare alle politiche abitative in un’ottica territoriale e urbanistica e di reale coesione e integrazione sociale. Bibliografia Astori, S., Possesso e utilizzo, due facce della stessa moneta, in Vita e Pensiero, n. 6, 2015, pp. Boni, A. S., Montagnini, E., L’abitare e il vivere insieme dei trentenni a Milano in Lodigiani, R., Rapporto sulla città, Milano 2013. Trentenni in cerca d’autore, FrancoAngeli, Milano, 2013, pp.129 – 150 Boni, A. S., Montagnini, E., Le esperienze abitative dei trentenni a Milano al tempo dell’esodo in Territorio, n. 75, 2015, pp. 129 – 137 Bronzini, M., Nuove forme dell’abitare. L’housing sociale in Italia, Carocci, Roma 2014 Costa, G., Politiche locali per adulti giovani, un percorso a ostacoli, in Lodigiani, R., Rapporto sulla città, Milano 2013. Trentenni in cerca d’autore, FrancoAngeli, Milano, 2013, pp. 205 – 231 Illich, I., La convivialità. Una proposta libertaria per una politica dei limiti allo sviluppo, red edizioni, Como, 1993 Palermo, P.C., Trasformazioni e governo del territorio. Introduzione critica, FrancoAngeli, Milano, 2004 Poggio, T., La casa in proprietà nella stratificazione sociale, in Meridiana, 62/2008, pp. 53 – 69 Rosina, R., Peso demografico e politico degli adulti giovani a Milano, in Lodigiani, R., Rapporto sulla città, Milano 2013. Trentenni in cerca d’autore, FrancoAngeli, Milano, 2013, pp. 39 – 52 Sampieri, A., a cura di, L’abitare collettivo, FrancoAngeli, Milano, 2011 7