Orario di lavoro: le regole per gli enti locali
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Orario di lavoro: le regole per gli enti locali
Orario di lavoro: le regole per gli enti locali Welfare, circolare n. 8 del 3 marzo 2005 RAPPORTO DI LAVORO ORARIO DI LAVORO Prassi di Luca Vannoni * Il Dicastero del Welfare spiega la riforma dell’orario di lavoro attuata con il Dlgs n. 66/2003, fornendo importanti chiarimenti. L’orario di lavoro è fissato in 40 ore settimanali, a meno di norme contrattuali più favorevoli; non esiste un limite di orario giornaliero ma bisogna assicurare un riposo minimo di 11 ore. La durata massima dell’orario di lavoro è fissata in 48 ore, comprensive dello straordinario. Le ferie e la malattia non rilevano ai fini del computo dell’orario medio di lavoro. Per l’Anci, poi, tutti i riferimenti alla contrattazione collettiva vanno estesi anche alla contrattazione decentrata. Il ministero del Lavoro, con la circolare 3 marzo 2005, n. 8, ha finalmente diramato le istruzioni operative relative alla riforma dell’orario di lavoro, attuata mediante il Dlgs n. 66 dell’8 aprile 2003, integrato e modificato dal Dlgs n. 213 del 19 luglio 2004. Le disposizioni regolamentano in modo uniforme su tutto il territorio nazionale sia per il settore privato che per il personale dipendente delle P.A., la disciplina del rapporto di lavoro relativa all’organizzazione dell’orario di lavoro, nel rispetto del ruolo dell’autonomia negoziale collettiva. Gli aspetti relativi al lavoro nelle P.A., in particolare per quanto riguarda gli enti locali, sono stati redatti d’intesa con il dipartimento della Funzione pubblica, e in essi trovano riscontro alcune richieste espresse dall’Anci. Il Sole 24 ORE Aprile 2005 n. 4 Si ricorda infatti come l’Anci, in una nota diramata ad inizio anno, criticava la nuova normativa in quanto ha costretto le amministrazioni locali a modificare i propri assetti gestionali e operativi, limitando fortemente l’autonomia stessa degli enti condizionati nel portare avanti le scelte organizzative più adeguate. L’Anci riteneva in particolare che i comuni fossero costretti, per non violare le nuove disposizioni sull’orario di lavoro e soprattutto quelle relative al lavoro straordinario, a organizzare sistemi di turnazione fra il personale anche all’interno degli uffici e servizi che spesso si caratterizzano per l’impossibilità intrinseca di una specifica articolazione oraria predeterminabile o misurabile. A seguito dell’emanazione della circolare n. 8/2005, l’Anci ha diramato una nuova nota in cui riepiloga le novità e i chiarimenti applicabili agli enti locali. Ambito di applicazione e ruolo della contrattazione collettiva Nella nota Anci a commento della circolare n. 8/2005 si evidenzia come novità l’esclusione dall’ambito di applicazione del Dlgs n. 66/2003 del personale addetto al servizio di Polizia municipale e provinciale, in relazione alle attività operative specificatamente istituzionali. Tale esclusione, tuttavia, non è una novità contenuta nella circolare ministeriale, in quanto è frutto di una espressa previsione legislativa introdotta dal decreto legislativo correttivo 19 luglio 2004, n. 213, art. 1. Ricordiamo infatti come un provvedimento di prassi, qual è la circolare ministeriale, non ha forza di legge e non può operare modifiche o esclusioni. La nozione di orario di lavoro La nozione di orario di lavoro prima della riforma richiamava il concetto di lavoro “effettivo”, già definito dall’art. 3 del Rdl n. 692/1923 come quel lavoro “che richieda un’applicazione assidua e continuativa”. Il Dlgs n. 66/2003 stabilisce, invece, 27 In breve * Consulente aziendale ORARIO DI LAVORO Prassi 28 RAPPORTO DI LAVORO ¨ Cos’altro dice la nota dell’Anci Il ruolo della contrattazione integrativa La circolare chiarisce il dubbio interpretativo posto dal decreto che, nel rimandare alla contrattazione collettiva, non specifica il livello di riferimento; a tal proposito viene precisato che il rinvio alla contrattazione collettiva deve intendersi come rinvio a tutti i possibili livelli di contrattazione collettiva. Da ciò si desume, dunque, che tutte le volte che il decreto fa riferimento genericamente alla contrattazione si possa intendere, per gli enti locali, la contrattazione decentrata. La disciplina a livello decentrato degli aspetti demandati alla contrattazione, infatti, può essere sicuramente più vicina alle esigenze della realtà organizzativa del singolo ente locale. È chiaro, tuttavia, che la contrattazione collettiva decentrata non può introdurre discipline difformi dalla contrattazione collettiva nazionale. La necessità della deroga deve essere imprescindibile L’indicazione delle figure necessarie allo svolgimento di particolari compiti per i quali sia necessario ricorrere alla deroga spetta all’amministrazione di competenza nell’ambito della propria autonomia organizzativa. Poiché la deroga è prevista al fine di consentire un’organizzazione dell’orario di lavoro compatibile con le esigenze di tutela della salute e sicurezza dei lavoratori, la facoltà di deroga potrà essere esercitata solo qualora non vi sia altra modalità di organizzazione dell’orario di lavoro per sopperire alle esigenze dell’amministrazione. Le deroghe per dirigenti ed apicali La circolare, inoltre, stabilisce che il riferimento ai“dirigenti, al personale direttivo aziendale e ad altre persone aventi poteri di decisione autonomo”, quali figure cui si applicano le deroghe, va inteso in maniera molto ampia, tanto da farvi rientrare anche quelle figure professionali che, sebbene prive di potere gerarchico, conservano, nel disimpegno delle loro attribuzioni, ampia possibilità di iniziativa, di discrezionalità e di determinazione autonoma del proprio tempo di lavoro. Questa interpretazione ampia fa ritenere, dunque, che nell’ambito dei comuni in cui non sono previste figure dirigenziali la deroga vale anche per gli apicali responsabili di servizio. Tali figure, infatti, assolvono funzioni equiparabili per le caratteristiche a quelle svolte dai dirigenti nei comuni con dirigenza. Il computo dello straordinario Per quanto riguarda, poi, il computo del lavoro straordinario e l’obbligo di comunicazione nel caso di superamento delle 48 ore settimanali per gli enti che hanno un numero di addetti superiore alle 10 unità, nel computo del numero di dipendenti utile ai fini della comunicazione, la circolare stabilisce che ai fini del calcolo dei dipendenti non devono essere calcolati i lavoratori con contratto di somministrazione. Il lavoro notturno La circolare, poi, in relazione alla durata della prestazione di lavoro notturno di cui all’art. 13 del decreto, precisa che il periodo di riferimento sul quale calcolare la media delle 8 ore nell’arco delle 24 ore è la settimana lavorativa. che per orario di lavoro si intende “qualsiasi periodo in cui il lavoratore sia al lavoro, a disposizione del datore di lavoro e nell’esercizio della sua attività o delle sue funzioni”. Il ministero del Lavoro, smentendo le interpretazioni riduttive circolate, sottolinea come tale formulazione abbia una portata certamente più ampia e comprenda nell’orario di lavoro i periodi in cui i lavoratori “sono obbligati ad essere fisicamente presenti sul luogo indicato dal datore di lavoro e a tenersi a disposizione di quest’ultimo per poter fornire immediatamente la loro opera in caso di necessità”. Da un punto di vista pratico, gli enti locali dovranno quindi considerare come orario di lavoro, e quindi retribuire, le seguenti casistiche: 1) il tempo necessario per indossare particolari abiti di lavoro; 2) la c.d. disponibilità qualificata, cioè il tempo non lavorato e trascorso presso la sede di lavoro in attesa di un’eventuale chiamata; 3) i tempi di viaggio che intercorrono successivamente all’arrivo nella sede di lavoro abituale. L’orario settimanale normale di lavoro Il decreto legislativo n. 66/2003 fissa in 40 ore settimanali l’orario normale di lavoro, assegnando alla contrattazione collettiva la facoltà sia di stabilire un orario inferiore che di riferire l’orario normale, come media, ad un periodo non superiore all’anno. Proprio quest’ultima modalità di organizzazione dell’orario, il c.d. “orario multiperiodale”, consente di introdurre un orario più intenso nei periodi di maggior lavoro, recuperato da una riduzione nei periodi di scarso lavoro, senza che le ore eccedenti le 40 nei periodi di maggior lavoro siano considerate straordinario. La contrattazione collettiva di comparto (art. 17, Ccnl del 6 luglio 1995) ha fissato come orario normale 36 ore settimanali, facendo salva la facoltà di ricorrere all’organizzazione multiperiodale dell’orario di lavoro. Si sottoliIl Sole 24 ORE Aprile 2005 n. 4 La durata massima dell’orario di lavoro L’orario settimanale non può superare le 48 ore, comprese le ore di lavoro straordinario, per ogni periodo di sette giorni calcolate, come media, su un periodo di riferimento non superiore a 4 mesi. Il limite delle 48 ore medie, nel periodo di riferimento, deve essere rispettato sia nel caso in cui l’ente locale stabilisca un orario rigido e uniforme, sia nel caso in cui l’orario di lavoro venga disciplinato in senso multiperiodale mediante il rispetto del limite come media, per ogni periodo di sette giorni, in un determinato periodo. Non sono vietate, quindi, le prestazioni che superano, nell’arco di sette giorni, le 48 ore, qualora il periodo di riferimento sia un periodo più ampio della settimana e non superiore a quattro mesi, salvi i più ampi periodi che può fissare la contrattazione collettiva. Nella settimana lavorativa si potrà superare il limite delle 48 ore Il Sole 24 ORE Aprile 2005 n. 4 settimanali purché vi siano settimane lavorative di meno di 48 ore in modo da effettuare una compensazione e non superare il limite delle 48 ore medie nel periodo di riferimento. La comunicazione alla Dpl Nelle unità produttive con più di 10 dipendenti, in caso di superamento delle 48 ore di lavoro settimanale (settimane prese singolarmente) attraverso prestazioni di lavoro straordinario, l’amministrazione è tenuta a inviare apposita comunicazione, entro trenta giorni dalla scadenza del periodo di riferimento, alla Direzione provinciale del lavoro - Settore ispezione del lavoro competente per territorio. Ai fini del calcolo dei dipendenti non devono essere computati i lavoratori con contratto di somministrazione, mentre i lavoratori part-time, a differenza dell’impiego privato, devono essere conteggiati come unità. L’arco temporale di riferimento (per la verifica della prestazione di ogni singola settimana), 4 o 6 o 12 mesi massimo, ha natura fissa, vale a dire che non scorre in presenza di assenze per ferie, malattia e periodi equiparati e altre assenze. La comunicazione deve riguardare il numero delle settimane in cui il limite delle 48 ore risulta superato e il numero di lavoratori. Il riposo giornaliero e settimanale In base al Dlgs n. 66/2003 il lavoratore ha diritto a undici ore di riposo consecutive ogni 24 ore, calcolate dall’ora di inizio della prestazione lavorativa. Il periodo di riposo di undici ore è un periodo minimo, salvi i casi di deroghe previste, quindi l’eventuale accordo che diminuisca tale periodo è nullo e sostituito di diritto dalla disposizione normativa. Inoltre il lavoratore ha diritto ad un periodo di riposo di almeno 24 ore consecutive, ogni sette giorni, di re- gola coincidenti con la domenica. Il periodo di riposo settimanale deve essere cumulato con il riposo giornaliero, per un totale di 35 ore consecutive nelle ipotesi in cui il periodo di riposo sia individuato in 11 ore. Il riposo giornaliero deve essere fruito in modo consecutivo salvo che per le attività caratterizzate da periodi di lavoro frazionati durante la giornata. Le ferie L’articolo 10 del decreto legislativo n. 66/2003, come modificato dal decreto legislativo n. 213/2004, stabilisce che “fermo restando quanto previsto dall’articolo 2109 del codice civile, il prestatore di lavoro ha diritto ad un periodo annuale di ferie retribuite non inferiore a quattro settimane. Tale periodo, salvo quanto previsto dalla contrattazione collettiva o dalla specifica disciplina riferita alle categorie di cui all’articolo 2, comma 2, va goduto per almeno due settimane, consecutive in caso di richiesta del lavoratore, nel corso dell’anno di maturazione e, per le restanti due settimane, nei 18 mesi successivi al termine dell’anno di maturazione”. I datori di lavoro sono soggetti ai seguenti obblighi: 1) obbligo di concedere un periodo di ferie di due settimane, consecutive se richieste dal lavoratore, nel corso dell’anno di maturazione; 2) obbligo di fruizione del restante periodo minimo di due settimane nei 18 mesi successivi all’anno di maturazione. A differenza dell’impiego privato, per gli enti locali vige il principio per cui le ferie non sono monetizzabili, con esclusione del caso in cui, all’atto della cessazione dal rapporto di lavoro, le ferie spettanti a tale data non siano state fruite per esigenze di servizio (art. 18, Ccnl del 6 luglio 1995). Lo stesso contratto collettivo prevede che la fruizione delle ferie dovrà assicu- 29 nea come debba essere considerata come straordinario ogni ora di lavoro effettuata oltre l’orario programmato settimanale. Pertanto, qualora in regime di orario multiperiodale in una settimana sia svolto un orario programmato di 44 ore, la quarantacinquesima ora di lavoro, e le successive, saranno imputate a lavoro straordinario. Molto importante e dal contenuto marcatamente innovativo è sicuramente il chiarimento riguardante il ruolo demandato alla contrattazione collettiva. La circolare n. 8/2005 chiarisce infatti che la contrattazione decentrata degli enti locali non può introdurre in materia discipline difformi dalla contrattazione collettiva nazionale. Il Ccnl 6 luglio 1995 stabilisce inoltre come l’osservanza dell’orario di lavoro da parte dei dipendenti sia accertata mediante controlli di tipo automatico (ad es., badge). RAPPORTO DI LAVORO ORARIO DI LAVORO Prassi ORARIO DI LAVORO Prassi RAPPORTO DI LAVORO ¨ Definizione e regole del lavoro notturno Quando si può parlare di lavoro notturno Occorre distinguere il lavoro notturno e il lavoratore notturno, in particolare: n Il lavoro notturno è quello prestato in un periodo di almeno sette ore consecutive comprendenti l’intervallo tra la mezzanotte e le cinque del mattino, conseguentemente il lavoro notturno è quello svolto tra le 24 e le 7, ovvero tra le 23 e le 6, ovvero tra le 22 e le 5. n Il lavoratore notturno è il lavoratore che svolge, durante il periodo notturno, almeno tre ore del suo tempo di lavoro giornaliero impiegato in modo normale; è, inoltre, lavoratore notturno anche colui che svolge durante il periodo notturno almeno una parte del suo orario di lavoro secondo le norme definite dai contratti collettivi di lavoro. Qualora la disciplina collettiva nulla stabilisca sul punto, è considerato lavoratore notturno qualsiasi lavoratore che svolga, durante il periodo notturno, almeno una parte del suo tempo di lavoro giornaliero, per un minimo di 80 giorni lavorativi all'anno (riproporzionato in caso di parttime). Quindi, deve considerarsi lavoratore notturno anche colui che non sia impiegato in modo normale durante il periodo notturno ma che, nell’arco di un anno, svolga almeno 80 giorni di lavoro notturno. Ad esempio, se al lavoratore è richiesto lo svolgimento, per esigenze contingenti, di prestazioni durante il periodo notturno, tale prestatore è considerato lavoratore notturno ai fini della disciplina in oggetto se detto periodo, anche frazionato, abbia durata di almeno 80 giorni lavorativi nell’arco temporale di un anno solare. Ove il limite degli 80 giorni venga superato in ragione del sopravvenire di eventi eccezionali e straordinari (ad esempio, nell’esercizio di particolari servizi, calamità naturali ecc.), non si configura, secondo il ministero, la fattispecie in esame. Il lavoratore, per poter svolgere prestazioni di lavoro notturno, deve esserne ritenuto idoneo mediante accertamento ad opera delle strutture sanitarie pubbliche competenti o per il tramite del medico competente. Devono altresì essere previste visite periodiche. Quali limiti bisogna rispettare Sono previsti i seguenti divieti: n adibire al lavoro dalle 24 alle 6 le donne dall’accertamento dello stato di gravidanza fino al compimento di un anno di età del bambino o, comunque, dal momento in cui il datore di lavoro ha avuto conoscenza della fattispecie generatrice del divieto; n hanno facoltà di non prestare lavoro notturno, i lavoratori stabiliti dai contratti collettivi, dandone comunicazione, in forma scritta, al datore di lavoro entro 24 ore precedenti al previsto inizio della prestazione; n hanno facoltà di rifiutarsi di prestare lavoro notturno: la lavoratrice subordinata, madre di un figlio di età inferiore di tre anni o, qualora la stessa non abbia esercitato la facoltà di rifiutare l’esecuzione di prestazioni di lavoro notturno, il lavoratore padre convivente che sia anch’esso lavoratore subordinato; l’unico genitore affidatario e convivente di un minore di età inferiore a 12 anni; coloro che abbiano a loro carico un soggetto disabile ai sensi della legge quadro per l’assistenza, l’integrazione sociale e i diritti delle persone handicappate. La durata massima del lavoro notturno L’orario non può superare le 8 ore, in media, nell’arco di 24 ore calcolate dal momento di inizio dell’esecuzione della prestazione lavorativa. Tale limite costituisce, secondo il ministero, una media fra ore lavorate e non lavorate pari ad 1/3 (8/24) che, in mancanza di una esplicita previsione normativa, può essere applicata su di un periodo di riferimento pari alla settimana lavorativa. 30 rare comunque al dipendente che ne abbia fatto richiesta il godimento di almeno 2 settimane continuative di ferie nel periodo 1° giugno30 settembre. Le deroghe La circolare n. 8/2005 fornisce importanti chiarimenti in materia di deroghe, previste dall’articolo 17, comma 5, relative agli articoli 3 (Orario normale di lavoro), 4 (Durata massima dell’orario di lavoro), 5 (Straordinario), 7 (Riposo giornaliero), 8 (Pause), 12 (Modalità di organizzazione del lavoro notturno e obblighi di comunicazione) e 13 (Durata del lavoro notturno). Nella categoria di lavoratori la cui durata dell’orario di lavoro, a causa delle caratteristiche dell’attività esercitata, non è misurata o predeterminata o può essere determinata dai lavoratori stessi, e per tale motivo sono interessati dalla deroga prevista dal sopra citato art. 17, comma 5, del Dlgs n. 66/2003, rientrano a titolo esemplificativo gli uffici di supporto agli organi di direzione politica degli enti locali. n Il Sole 24 ORE Aprile 2005 n. 4