Cap Gli impianti - Fondazione Edmund Mach

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Cap Gli impianti - Fondazione Edmund Mach
Elementi per la progettazione di una cantina
Gli impianti di cantina
Sommario 4
4.1
Gli impianti di cantina................................................................................. 214
L’impianto idrico......................................................................................... 220
4.1.1
Fonti di approvvigionamento ............................................................... 224
4.1.2
Trattamento dell’acqua ...................................................................... 237
4.1.3
Rete di distribuzione .......................................................................... 242
4.1.4
Dimensionamento della rete ............................................................... 247
4.2 Impianto termico........................................................................................ 250
4.2.1
I generatori di calore ......................................................................... 256
4.2.2
L’impianto di distribuzione del fluido termovettore ................................. 264
4.2.3
Il dimensionamento dell’impianto ........................................................ 270
4.3 Impianto per la produzione e la distribuzione di acqua calda ..................... 271
4.3.1
Le tipologie impiantistiche .................................................................. 271
4.3.2
Il dimensionamento dell’impianto ........................................................ 275
4.4 Impianto di condizionamento ..................................................................... 275
4.4.1
Sistemi di condizionamento centralizzati ............................................... 280
4.4.2
Sistemi di condizionamento localizzati .................................................. 283
4.5 Impianto elettrico (in collaborazione con l’ing. Rolleri Manuele)................ 286
4.5.1
Gli elementi d’impianto ...................................................................... 290
4.5.2
Rete di messa a terra ........................................................................ 300
4.5.3
Il rifasamento ................................................................................... 302
4.5.4
L’impianto di illuminazione.................................................................. 303
4.6 Impianto per la produzione e la distribuzione del vapore ........................... 311
4.7 Impianto di scarico dei reflui ...................................................................... 316
4.7.1
Reflui di cantina ................................................................................ 321
4.7.2
Acque bianche .................................................................................. 325
4.7.3
Acque grigie e nere ........................................................................... 328
4.8 Impianto per l’allontanamento dei raspi, delle vinacce e delle fecce .......... 332
4.9 Impianto di refrigerazione.......................................................................... 336
4.9.1
Ciclo di funzionamento ed elementi costitutivi ....................................... 337
4.9.2
I sistemi di refrigerazione ................................................................... 342
4.9.3
Il dimensionamento........................................................................... 347
4.10 Impianto per il controllo della temperatura dei serbatoi per la fermentazione
e lo stoccaggio............................................................................................ 348
4.11 Impianto per l’allontanamento della CO2 dal reparto di fermentazione ...... 354
4.12 Impianto per la produzione e la distribuzione dell’aria compressa ............. 356
4.13 Impianto per la generazione e l’erogazione dei gas tecnici ........................ 359
4.13.1
I gas inerti ....................................................................................... 359
4.13.2
Ossigeno.......................................................................................... 362
4.13.3
Elementi impiantistici......................................................................... 364
4.14 Impianto per la movimentazione del vino................................................... 369
4.15 Impianto antincendio ................................................................................. 372
4.15.1
Impianto di rivelazione e di segnalazione .............................................. 373
4.15.2
Apparecchiature mobili di spegnimento................................................. 374
4.15.3
Reti antincendio ................................................................................ 376
4.16 Impianto per la distribuzione del metano e del GPL ................................... 381
4.16.1
Serbatoi per GPL ............................................................................... 382
4.16.2
Contatore......................................................................................... 385
4.16.3
Rete di distribuzione .......................................................................... 386
4.16.4
Dimensionamento dell’impianto........................................................... 389
4.17 Impianto di protezione dalle scariche atmosferiche ed elettriche in genere (in
collaborazione con Alessandro Condini Mosna classe VS a.sc. 2003-2004). 390
4.17.1
Valutazione del rischio ....................................................................... 391
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Elementi per la progettazione di una cantina
Gli impianti di cantina
4.17.2
Sistemi di protezione ......................................................................... 393
4.18 Impianto di sollevamento ........................................................................... 399
4.18.1
Il vano corsa .................................................................................... 401
4.18.2
Il locale macchine ............................................................................. 403
4.18.3
Il sistema di sollevamento a funi ......................................................... 404
4.18.4
Il sistema di sollevamento oleodinamico ............................................... 406
4.18.5
La cabina ......................................................................................... 407
4.18.6
I dispositivi di sicurezza ..................................................................... 409
4.19 Impianti di ricetrasmissione e impianto antintrusione ............................... 411
4.19.1
Impianto telefonico ........................................................................... 411
4.19.2
Sistemi antintrusione ......................................................................... 414
4 Gli impianti di cantina
Negli ultimi decenni la presenza impiantistica in cantina è divenuta sempre più significativa.
Questo ha consentito una maggiore efficienza, condizioni ambientali più corrette, una maggior
capacità di controllo dei processi di trasformazione e migliori condizioni di lavoro per gli
operatori, la cui attività potrà risultare più efficiente e caratterizzata da minori indici di
faticosità nel corso delle diverse fasi produttive. Di contro è aumentato notevolmente l’impatto
economico relativo all’acquisto ed al mantenimento in efficienza degli impianti ed è cresciuta in
modo più che proporzionale la complessità organizzativa necessaria per la gestione dell’intero
sistema. Inoltre sono andate progressivamente aumentando la vulnerabilità nei confronti di
guasti e di malfunzionamenti e la necessità di tutelare la salute e la sicurezza degli operatori.
La dotazione delle cantine comprende diverse tipologie impiantistiche che si possono
suddividere in tre gruppi:
¾ gli impianti di base, essenziali per lo svolgimento delle attività sia nei reparti
operativi che in quelli dell’area tecnico-amministrativa (uffici, laboratorio, sala
degustazione) dove gli impianti presentano caratteristiche, parametri di
funzionamento, standard costruttivi, organizzativi ed ambientali tipici dell’edilizia
residenziale o di quella dedicata ad attività del terziario. Fanno parte di questo
gruppo i seguenti impianti:
o
idrico;
o
termico per il riscaldamento degli ambienti;
o
per la produzione e la distribuzione di acqua calda;
o
condizionamento;
o
elettrico e di illuminamento.
¾
gli impianti di supporto ai processi di trasformazione enologica; interessano
principalmente i reparti operativi della cantina e presentano una spiccata
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Elementi per la progettazione di una cantina
caratterizzazione nel funzionamento e nelle caratteristiche
prenderanno in considerazione gli impianti:
o
per la produzione e la distribuzione di vapore;
o
per la raccolta e lo scarico dei reflui;
o
per l’allontanamento di raspi, delle vinacce e delle fecce;
o
per la refrigerazione;
o
per il controllo della temperatura dei serbatoi;
o
per l’allontanamento della CO2;
o
per la produzione e la distribuzione dell’aria compressa;
o
per la generazione e/o l’erogazione dei gas tecnici;
o
per la movimentazione del vino.
¾
Gli impianti di cantina
costruttive.
Si
impianti in risposta a particolari esigenze oppure a caratteristiche peculiari (di tipo
ambientale, strutturale od organizzativo) della cantina:
o
antincendio;
o
per la distribuzione del metano o del GPL;
o
per la protezione dalle scariche atmosferiche;
o
di sollevamento;
o
di ricetrasmissione ed antintrusione.
Una struttura impiantistica così complessa ed articolata, per essere efficiente ed efficace, è
essenziale che si integri correttamente con il progetto architettonico e con quello strutturale. Ai
progettisti si deve, pertanto, richiedere una adeguata conoscenza dei principi fisici fondanti il
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Elementi per la progettazione di una cantina
Gli impianti di cantina
funzionamento degli impianti, delle diverse soluzioni proposte dal mercato, delle tecniche
costruttive e dei materiali più adatti utilizzati in edilizia e nelle applicazioni impiantistiche.
Essenziale risulta, inoltre, la conoscenza delle normative specifiche che costituiscono un
sistema legislativo piuttosto complesso sottoposto a continua revisione, aggiornamento ed
integrazione. In particolare si devono valutare attentamente le molte implicazioni connesse con
la sicurezza, la spesa energetica e l’impatto ambientale.
***
Al funzionamento di ogni impianto sono generalmente associati rischi per la sicurezza e la
salute degli operatori come la possibilità di elettrocuzione, di ustione a causa di fluidi ad alta
temperatura, di traumi per la presenza di organi in movimento, solo per fare qualche esempio.
Sarà compito del tecnico impiantista, in collaborazione con il responsabile di cantina,
l’individuare già in fase di progettazione tutte le possibili cause di incidente o di malattie
professionali al fine di adottare le migliori strategie per eliminare, o quantomeno per ridurre, i
livelli di rischio. Si devono valutare attentamente anche le potenziali fonti di contaminazione o
le cause di alterazione dei diversi prodotti della catena produttiva (uva, mosto, vino), connesse
con l’utilizzo degli impianti come, ad esempio, l’accidentale fuoriuscita di ammoniaca da un
dispositivo di refrigerazione.
Queste le principali norme relative alla sicurezza degli impianti:
o
Legge 01 marzo 1968 n. 186, “Disposizioni concernenti la produzione di
materiali, apparecchiature, macchinari, installazioni e impianti elettrici ed
elettronici”;
¾ Circ. Min. 25 novembre 1969 n. 68, “Norme di sicurezza per impianti termici a gas di
rete”;
¾ Circ. Min. 19 luglio 1971 n. 73, “Impianti termici a olio combustibile e a gasolio.
Istruzioni per l’applicazione delle norme contro l’inquinamento atmosferico;
disposizioni ai fini della prevenzione incendi”;
¾ Legge 06 dicembre 1971 n. 1083, “Norme tecniche di sicurezza per l’impiego del gas
combustibile”;
¾ Legge 18 ottobre 1977 n. 791, “Attuazione di Direttiva CEE n. 72/73 relativa alle
garanzie che deve possedere il materiale elettrico destinato ad essere utilizzato entro
alcuni limiti di tensione”;
¾ D.P.R.06 dicembre 1991 n. 447, “Regolamento di attuazione della legge 05 marzo
1990 n. 46 in materia di sicurezza degli impianti”;
¾ D.M. 12 aprile 1996 n. 74, “Approvazione della regola tecnica di prevenzione incendi
per la progettazione, la costruzione e l’esercizio degli impianti termici alimentati da
combustibili gassosi”;
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Gli impianti di cantina
D.Lgs. 26 maggio 1997 n. 155, in recepimento della direttiva comunitaria 93/43
(Direttiva Igiene), relativo alla gestione della sicurezza alimentare attraverso il
sistema dell’Analisi del Rischio e dei Punti Critici di Controllo (HACCP);
¾ D.P.R. 12 gennaio 1998 n. 37, “Regolamento per la disciplina dei procedimenti
relativi alla prevenzione incendi”;
¾ D.M. 10 marzo 1998 che riguarda i criteri generali di sicurezza antincendio e per la
gestione delle emergenze nei luoghi di lavoro in attuazione dell’art. 1 del D.Lgs. n.
626/1994;
¾ D.M. 22 gennaio 2008, n. 37 (ex legge 46/90): “Regolamento concernente … riordino
delle disposizioni in materia di attività di installazione degli impianti all’interno degli
edifici”;, “Norme per la sicurezza degli impianti”.
La maggior parte di queste norme sono state ora riunite nel L.Lgs. 9 aprile 2008 , n. 81.
¾
***
Quasi tutti gli impianti, per il loro funzionamento, necessitano di un apporto di energia
meccanica e/o di energia termica associato generalmente ad un consumo di energia elettrica
o di combustibili. Nel nostro paese tali fabbisogni sono soddisfatti in grandissima parte da fonti
connesse, direttamente o indirettamente, al petrolio ed al gas naturale per il cui
approvvigionamento siamo quasi completamente dipendenti dall’estero (paesi del Golfo
Persico, Russia, Tunisia, …). L’instabilità e l’estrema variabilità del mercato dei combustibili
fossili, determinate da fattori difficilmente prevedibili e controllabili, pongono l’Italia in una
posizione difficile e molto vulnerabile, aggravata dalla situazione internazionale sempre più
scossa da contrasti (politici, religiosi ed economici) e da conflitti. A questo, si deve aggiungere
la crescente difficoltà di soddisfare la sempre maggiore domanda di energia. Infatti le riserve
attualmente accertate di petrolio e di gas, per quanto consistenti, si trovano a profondità
sempre maggiori ed in luoghi della terra sempre più inospitali e difficili da raggiungere. Tutti
questi fattori, secondo molti analisti, indurranno un aumento sempre più accentuato dei costi
delle energie di tipo tradizionale (derivati del petrolio, gas metano) e dell’energia
termoelettrica. Si deve pertanto prevedere, per i prossimi decenni, un sempre maggior peso
della spesa energetica nella gestione economica di qualunque attività produttiva. Le cantine
non faranno eccezione.
Una prima soluzione a questo importante problema, troppo spesso ancora oggi ignorato, è
la riduzione della dipendenza dai combustibili fossili, attraverso lo sviluppo e la diffusione delle
fonti rinnovabili (energia geotermica, energia solare, energia eolica, combustione delle
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Elementi per la progettazione di una cantina
Gli impianti di cantina
biomasse, energia delle acque, …) attualmente ancora in fase di studio o relegate al ruolo di
fonti integrative, in attesa dello sviluppo di fonti alternative (idrogeno, fusione nucleare, …).
Un ulteriore contributo è dato dall’individuazione e l’adozione di strategie per ridurre i livelli
dei consumi, connessi all’utilizzo degli impianti, attraverso le seguenti linee guida:
¾ l’eliminazione o, quantomeno, la consistente riduzione degli sprechi e degli usi
impropri o scorretti degli impianti (funzionamenti a vuoto, a basso carico, …);
¾ la scelta di impianti basati su nuove tecnologie in grado di operare con elevati
rendimenti e minori consumi;
¾ l’adozione delle corrette metodologie nell’organizzazione delle attività produttive,
nella realizzazione della struttura della cantina e nell’installazione degli impianti, al
fine di massimizzare l’efficienza e l’efficacia dell’intero processo produttivo;
¾ l’installazione di appropriati sistemi di regolazione dei parametri di funzionamento
degli impianti e di sistemi per il monitoraggio delle prestazioni e dei consumi;
¾ l’esecuzione accurata e tempestiva delle operazioni di manutenzione ordinaria e
straordinaria per poter assicurare costantemente la massima efficienza degli
impianti.
Su questi principi si fonda la specifica normativa (nazionale e dell’UE) come il D.Lgs 19
agosto 2005, n. 192 (e successive modifiche) in attuazione della direttiva 2002/91/CE relativa
al rendimento energetico nell’edilizia ed il relativo regolamento di attuazione (D.P.R. del 2
aprile 2009 n. 59) per il contenimento dei consumi degli impianti termici degli edifici.
***
Significativo è anche il contributo degli impianti all’impatto ambientale indotto da una
cantina: le emissioni nell’atmosfera dei residui gassosi delle combustioni, la produzione di reflui
inquinanti e la possibile emissione di rumori e di cattivi odori. Si deve inoltre considerare quei
materiali, come i fluidi lubrificanti o i fluidi frigorigeni, caratterizzati da un elevato potere
inquinante se immessi accidentalmente nell’ambiente o se non opportunamente trattati e
correttamente smaltiti. La rilevanza di queste problematiche è testimoniata dal gran numero di
norme relative all’impatto ambientale indotto dalle diverse attività umane (produttive e non),
come si può rilevare dal seguente elenco:
¾
¾
¾
legge 13 luglio 1966 n. 615, “Provvedimenti contro l’inquinamento atmosferico” e
suo regolamento di esecuzione, contenuto nel D.P.R. 22 dicembre 1970 n. 1391;
legge 10 maggio 1976 n. 319, “Norme per la tutela delle acque dall’inquinamento”;
D.P.C. 28 marzo 1983, “Limiti massimi di accettabilità delle concentrazioni e di
esposizione relativi a inquinamenti dell’aria nell’ambiente esterno”;
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Elementi per la progettazione di una cantina
Gli impianti di cantina
D.P.R. 24 maggio 1988 n. 203, “Attuazione delle direttive CEE nn. 779/80, 884/84,
360/84 e 203/85 concernenti norme in materia di qualità dell’aria relativamente a
specifici agenti inquinanti e di inquinamento prodotto dagli impianti industriali;
¾ legge 09 novembre 1988 n. 475, “Disposizioni urgenti in materia di smaltimento dei
rifiuti industriali”;
¾ D.M. 12 luglio 1990, “Linee giuda per il contenimento delle emissioni inquinanti degli
impianti industriali e la fissazione dei valori minimi di emissione”;
¾ legge 30 dicembre 1993 n. 549, ”Misure a tutela dell’ozono stratosferico e
dell’ambiente, riguardante l’uso dei clorofluorocarburi”;
¾ D.Lgs. 05 febbraio 1997 n. 22, “Attuazione delle direttive 91/56/CEE sui rifiuti,
91/698/CEE sui rifiuti pericolosi e 94/62 sugli imballaggi e sui rifiuti da imballaggio”
(Decreto Ronchi), integrato da D.Lgs. 08 novembre 1997 n. 389;
¾ D.M. 01 aprile 1998, “Regolamento recante approvazione del modello dei registri di
carico e scarico rifiuti”;
¾ D.Lgs. 11 maggio 1999 n. 152, “Disposizioni sulla tutela delle acque
dall’inquinamento e recepimento della direttiva 91/271/CEE concernente il
trattamento delle acque reflue urbane e della direttiva 91/676/CEE relativa alla
protezione delle acque dall’inquinamento provocato dai nitrati provenienti da fonti
agricole”.
¾ D.Lgs. 3 aprile 2006, n. 152, “Norme in materia ambientale”. Questo decreto ha
come obiettivo primario la promozione dei livelli di qualità della vita umana, da
realizzare attraverso la salvaguardia ed il miglioramento delle condizioni
dell´ambiente e l´utilizzazione accorta e razionale delle risorse naturali. A tale scopo
provvede al riordino, al coordinamento e all´integrazione delle disposizioni legislative
in materia di:
o
Via, Vas, Ippc;
o
difesa del suolo e lotta alla desertificazione, tutela delle acque e gestione
delle acque;
o
gestione dei rifiuti e bonifica dei siti contaminati;
o
tutela dell´aria e riduzione delle emissioni in atmosfera;
o
danni all´ambiente.
Per quanto talune norme (ed i relativi regolamenti) si dimostrano di difficile applicazione, di
ancor più difficile controllo e possano sembrare all’imprenditore eccessivamente onerose in
termini economici ed organizzativi, non è più possibile rimandare i necessari interventi in
difesa dell’aria, delle acque e del terreno se vogliamo garantire alle generazioni future un
ambiente quanto meno accettabile.
¾
Pertanto ai progettisti degli impianti si richiede una particolare attenzione nell’individuare le
migliori soluzioni e le strategie più efficaci per contenere il consumo dell’acqua, la produzione
di reflui e di rifiuti, l’emissione di CO2 e di altri inquinanti derivanti dall’uso di combustibili
(tradizionali o meno), ma anche il controllo dell’eventuale inquinamento acustico.
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Elementi per la progettazione di una cantina
Gli impianti di cantina
Tali obiettivi assumono un significato particolare nelle produzioni enologiche in quanto il
vino è un prodotto con una fortissima caratterizzazione territoriale e con strettissimi legami
con l’ambiente naturale da cui trae origine l’uva. Sempre più si sta diffondendo fra i
consumatori (in particolare del Nord Europa) l’interesse per i vini prodotti da cantine che
garantiscono l’utilizzo di uve coltivate secondo i principi dell’agricoltura biologica e che
adottano processi di trasformazione, di produzione e di gestione della cantina a ridotto impatto
ambientale, come è dimostrato dal crescente interesse dei produttori per il raggiungimento
della certificazione di “qualità ambientale” secondo le norme ISO 14000.
4.1 L’impianto idrico
Per impianto idrico si intende il complesso di dispositivi finalizzati al trasporto dell’acqua
all’interno di edifici, fino alle utenze terminali negli ambienti ove ne è richiesta la disponibilità.
L’obiettivo è quello di assicurare un’erogazione d’acqua nella quantità più opportuna e con un
valore di pressione residua che consenta al getto di configurarsi adeguatamente in base alle
modalità di utilizzo.
L’impianto è generalmente costituito da un collegamento al sistema di approvvigionamento,
da un’eventuale sistema di pressurizzazione, da un sistema di smorzamento delle oscillazione
di pressione, da sfiati dell’aria, da apparecchiature di intercettazione e di regolazione, da
tubazioni di distribuzione ed da erogatori.
Il costante aumento dei consumi pro capite d’acqua che caratterizza le società avanzate
ormai da diversi decenni, il progressivo peggioramento della qualità delle acque a causa
dell’inquinamento indotto dalle diverse attività umane e le prospettive di accentuati
cambiamenti nell’andamento climatico, hanno messo in evidenza come l’acqua non sia una
risorsa illimitata e la conseguente necessità di proteggere e di gestire correttamente le risorse
idriche, così come è sottolineato dai seguenti principi tratti dalla “Carta europea dell’acqua”:
¾ le disponibilità di acqua dolce non sono inesauribili: è indispensabile preservarle,
controllarle e se possibile accrescerle;
¾ l’acqua utilizzata deve essere restituita all’ambiente naturale in condizioni tali da non
comprometterne i possibili usi successivi, sia privati sia pubblici;
¾ la buona gestione dell’acqua deve essere materia di pianificazione da parte delle
autorità competenti;
¾ l’acqua non ha frontiere. Essa è risorsa comune la cui tutela richiede la cooperazione
internazionale.
In accordo con questi principi e con la consapevolezza del ruolo strategico che l’acqua
sempre più assumerà nello sviluppo dell’economia e nel mantenimento di elevati livelli
ing. Maines Fernando
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Elementi per la progettazione di una cantina
Gli impianti di cantina
qualitativi di vita, si è evoluta la legislazione di riferimento, di cui riportiamo le principali
norme:
¾ R.D. del 11 dinembre 1933 n. 1775: “Testo unico delle disposizioni di legge sulle
acque e impianti elettrici” e successive modificazioni (D.L. del 12 luglio 1993 n. 275);
¾ D.P.R. del 03 luglio 1982 n. 515: “Attuazione della direttiva CEE n. 75/440
concernente la qualità delle acque superficiali destinate alla produzione di acqua
potabile”;
¾ D.P.R. del 24 maggio 1988 n. 236: “Attuazione della direttiva CEE n. 788/1980
concernente la qualità delle acque destinate al consumo umano”;
¾ legge del 05 gennaio 1994 n. 36: “Disposizioni in materia di risorse idriche” e relativo
decreto attuativo n. 238/1999;
¾ Dec.Lgs. del 11 maggio 1999 n. 152 (Capo II): “Disposizioni sulla tutela della acque
dall’inquinamento”ed in particolare:
o
art. 22: “Pianificazione del bilancio idrico”;
o
art. 23: “Modifiche al D.R. 11 dicembre 1933 n. 1775”;
o
art. 25: “Risparmio idrico”;
o
art. 26: “Riutilizzo dell’acqua”.
¾ D.Lgs. 2 febbraio 2001, n. 31 in attuazione della direttiva 98/83/CE relativa alla
qualità delle acque destinate al consumo umano;
¾ D. Lgs. 3 aprile 2006, n. 152, “Norme in materia ambientale”, Sezione III Gestione
delle risorse idriche.
In particolare nel Dec. Lgs. 152/99 si evidenzia l’importanza dei provvedimenti in grado di
aumentare l’efficienza del sistema di gestione della risorsa idrica e di contenere i consumi
d’acqua, (si stima che in Italia venga disperso dal 27 al 33% dell’acqua potabile) e di riduzione
degli sprechi. Questi risultati possono essere favoriti adottando in fase di progettazione e di
gestione della cantina le seguenti strategie:
¾ una adeguata manutenzione delle reti di adduzione e distribuzione dell’acqua. Infatti
riparazioni corrette e tempestive riducono l’incidenza degli sprechi: a titolo
d’esempio, da un rubinetto che perde fuoriescono da 10 (nel caso di semplice
gocciolamento) a 100 litri al giorno;
¾ lo sdoppiamento delle reti di adduzione (reti duali) in modo da separare l’acqua
potabile (possibilmente addolcita) utilizzata per i risciacqui, dalle acque meno
pregiate (non potabili) utilizzate per i lavaggi grossolani (pavimenti, serbatoi, …), per
i circuiti di raffreddamento, antincendio, … . Una terza rete indipendente potrebbe
ing. Maines Fernando
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Elementi per la progettazione di una cantina
Gli impianti di cantina
essere dedicata per la preparazione delle soluzioni di lavaggio. Per ciascuna rete si
devono adottare sistemi di riconoscimento utilizzando, ad esempio, specifici colori;
¾ la realizzazione di sistemi per l’utilizzo delle acque meteoriche per l’irrigazione dei
giardini, gli scarichi dei WC o l’alimentazione delle caldaie;
¾ il riutilizzo di acque reflue per usi compatibili con il loro livello qualitativo come la
pulizia di piazzali, l’alimentazione di apparati antincendio o i primi risciacqui di
macchine enologiche e dei vasi vinari. Il D.M. dell’Ambiente del 2 maggio 2006 n. 93
(che stabilisce le norme tecniche per il riutilizzo delle acque reflue domestiche,
urbane ed industriali), non fissa requisiti di qualità per il reimpiego all’interno della
stessa cantina produttrice; pertanto si dovrà fare riferimento alla letteratura tecnica
in base alle specifiche considerazioni che si presenteranno di volta in volta. In ogni
caso si dovrà prevedere la presenza di dispositivi di filtrazione (per separare la
frazione solida più grossolana), un appropriato numero di serbatoi o vasche per lo
stoccaggio temporaneo ed un sistema di pompe per fornire la necessaria pressione di
esercizio;
¾ il ricorso a tecniche e metodi idonei in grado di ridurre i consumi, come gli
acceleratori di flusso o altri dispositivi in grado di aumentare la pressione di
erogazione da utilizzarsi in particolare per le operazioni di pulizia, come gli ugelli di
polverizzazione a flusso variabile e arresto automatico. Una soluzione razionale
prevede la presenza di un sistema centralizzato (con pompa e bruciatore) confinato
in apposito locale insonorizzato in grado di alimentare gli erogatori posti nei diversi
reparti (idropulitori);
¾ l’installazione di contatori differenziati per quantificare i diversi fabbisogni;
¾ una accurata scelta dei prodotti usati per la pulizia e la disinfezione ed una
particolare attenzione nell’attenersi scrupolosamente alle indicazione di utilizzo e di
dosaggio fornite dal produttore;
¾ l’adozione di idonee strategie nell’organizzazione del processo operativo, nella scelta
delle macchine, delle attrezzature e degli impianti e nella preparazione professionale
degli operatori con l’obbiettivo di ridurre i consumi e di eliminare gli sprechi.
Anche il processo di razionalizzazione dei consumi1 richiede l’adozione di un appropriata
analisi sin dalle prime fasi di progettazione per poter individuare le soluzioni tecniche ed
organizzative ottimali e i corretti parametri di dimensionamento in grado di assicurare
all’impianto un’elevata efficienza di funzionamento.
Il primo passo riguarda l’individuazione dei diversi fabbisogni da analizzare sia da un punto
di vista quantitativo che qualitativo. Nel primo caso si prendono in considerazione tutti i
possibili impieghi in ogni fase del processo funzionale. I parametri da analizzare sono: portata
minima indispensabile (l/s), pressione di esercizio (bar) e modalità di utilizzo. In particolare
per portata e pressione si devono estrapolare i fabbisogni nei momenti contraddistinti da
consumi di punta, sia nel corso della singola giornata che nell’arco dell’anno. Questo aspetto è
particolarmente significativo nei casi in cui le fonti di approvvigionamento rendono necessario
una forma di accumulo (vasche di raccolta delle acque).
Da un punto di vista qualitativo si possono distinguere fabbisogni di acqua potabile e
fabbisogni di acqua non potabile. L’acqua, per poter esser destinata al contatto diretto o
1
La riduzione dei consumi di acqua, specialmente di quella potabile, rappresenta, oltre ad un doveroso contributo
per la salvaguardia di un bene sempre meno disponibile, anche un vantaggio economico per la diminuzione del “peso”
della bolletta e per la corrispondente contrazione dei costi di depurazione dei reflui prodotti.
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Elementi per la progettazione di una cantina
Gli impianti di cantina
indiretto con l’uva, il mosto o il vino, deve avere caratteristiche fisiche, chimiche e
batteriologiche contenute entro limiti indicati da uno specifico decreto del Presidente del
Consiglio (08 febbraio 1985) e successive modifiche. Deve, inoltre, essere limpida, incolore,
inodore, di gusto gradevole, fresca. Infine determinate sostanze non devono essere presenti ed
altre non devono superare determinati limiti fissati dalla normativa (D.Lgs. 2 febbraio 2001, n.
31). Un corretto controllo necessita di accorte analisi idrogeologiche (per definire le
caratteristiche dei terreni attraversati ed i possibili inquinamenti naturali o antropici), fisiche
(caratteristiche organolettiche, variazione della temperatura, contenuto di residui solidi,
conducibilità, durezza, ...), chimiche (elementi tossici come le sostanze azotate, ...) e
batteriologiche (per accertare la presenza di microbi patogeni ed eventuali parassiti, ...).
Per taluni usi è invece sufficiente assicurare l’assenza di inquinanti organici ed inorganici. Si
possono pertanto utilizzare acque non potabili, che non rispettano perciò i limiti
precedentemente visti, che non devono comunque contenere nulla che risulti inquinante o
pericolosa per le persone che con essa vengono a contatto. Possono pertanto essere utilizzate
per impianti di riscaldamento, impianti antincendio, alimentazione dei servizi igienici, lavaggio
di pavimentazioni o di macchine ed attrezzature che non vengono a contatto con il vino, usi
irrigui o per vasche ornamentali.
Un aspetto particolare relativo alla qualità delle acque è dato dalla durezza, caratterisitica
legata alla presenza, in quantità variabile, di sali di calcio e di magnesio, principalmente di
solfati, di bicarbonati, e più raramente di cloruri e di nitrati. Oltre i 60 °C i bicarbonati
precipitano (determinando, pertanto, la così detta durezza temporanea), sottoforma di
CaCO3 + CO2 + H2O); i sali rimasti in sospensione, invece,
carbonati insolubili (Ca(HCO3)2
determinano la durezza permanente. La durezza, inoltre, determina una riduzione del potere
detergente dei saponi e la formazione di depositi ed incrostazioni sulla superfici delle tubazioni
e dei dispositivi degli impianti idrici, soprattutto se utilizzati per l’erogazione di acqua calda. La
durezza viene misurata in gradi francesi (°F) che rappresentano i grammi di carbonato di calcio
corrispondenti stecchiometricamente alla quantità di sali di calcio e magnesio contenenti in 100
litri di acqua. Valori di 20 °F sono indice di acque moderatamente dure.
In cantina si deve valutare la durezza delle acque utilizzate per la pulizia delle macchine
enologiche e dei vasi vinari al fine di evitare la presenza di consistenti residui che potrebbero
venire a contatto con il vino oppure delle acque usate per il risciacquo delle bottiglie che
possono causare depositi antiestetici. Nel caso, invece, di impianti per la produzione di vapore
la durezza temporanea deve essere abbattuta completamente. In base alle diverse esigenze e
alla durezza dell’acqua di approvvigionamento, si renderanno necessari semplici trattamenti di
filtrazione ed di parziale neutralizzazione, oppure interventi più consistenti mediante un
sistema di addolcimento di cui si parlerà successivamente.
I risultati di tutte le precedenti valutazioni (raccolti in uno schema riassuntivo dei fabbisogni
riportante tipologia e modalità di utilizzo, periodo di utilizzo, caratteristiche qualitative, fonte di
ing. Maines Fernando
223
Elementi per la progettazione di una cantina
Gli impianti di cantina
approvvigionamento, pressione e portata) dovranno essere confrontati con la consistenza e le
caratteristiche delle possibili fonti di approvvigionamento.
4.1.1 Fonti di approvvigionamento
La principale fonte di approvvigionamento per l’acqua potabile è rappresentata dagli
acquedotti. A fronte del pagamento di un canone fisso e di una quota variabile in ragione del
consumo (eventualmente comprendente la tariffa per l’immissione in fognatura ed i costi di
depurazione), il gestore assicura la fornitura di acqua con idonei livelli qualitativi (definiti per
legge) ed adeguati valori di portata e pressione. Questo almeno in teoria. Purtroppo nel nostro
paese circa il 15 % degli utenti, con punte che giungono al 40 % in certe regioni, sono serviti
da reti idriche che si caratterizzano per le erogazioni irregolari, a causa della vetustà dei
sistemi, della mancanza di corretta manutenzione, dell’uso di materiali scadenti, della presenza
di allacciamenti abusivi, della scarsa attenzione agli sprechi e delle scelte progettuali non
rigorose. In tali condizioni il punto di presa che alimenta l’impianto idrico di una cantina
difficilmente potrà essere diretto; al contrario, per sopperire ad una pressione dell’acquedotto
insufficiente o ad una portata scostante, si dovrà necessariamente far ricorso ad un
collegamento indiretto completato da uno o più serbatoi di accumulo e da un sistema di
pressurizzazione, qualora non fosse possibile far lavorare la gravità.
Da queste prime considerazioni risulta quanto sia necessario che il progettista effettui, nel
corso dell’analisi preliminare, la valutazione dell’effettiva capacità dell’acquedotto di assicurare
una efficace fornitura in ogni situazione. E’ importante, ad esempio, verificare la presenza di
diverse fonti di alimentazione dell’acquedotto, diversificate per quanto concerne l’origine
(acque profonde in alternativa a quelle di superficie, acqua naturalmente potabile alternate a
quelle derivate da potabilizzazione, pozzi profondi e superficiali, …), per l’ubicazione e per la
tipologia. Significativa risulta anche la capacità di affrontare eventuali situazioni di emergenza
(presenza di gruppi elettrogeni autonomi ed automatici in grado di intervenire in caso di
mancanza di corrente elettrica, …).
Un altro elemento fondamentale da prendere in considerazione è la pressione di esercizio
nel punto di presa. Il normale funzionamento di un acquedotto richiede, in genere, un valore
superiore a quella atmosferica per evitare possibili infiltrazioni inquinanti in caso di rotture ed
inferiore ad un massimo di circa 50 m di colonna d’acqua misurata dall’asse tubo (circa 5 atm),
mentre il valore da considerare ottimale può essere fissato in 3,5 atm. La condizione ideale,
che spesso coincide con quella più razionale ed economica, è quella che consente di regolare
automaticamente la pressione di esercizio in funzione del fabbisogno istantaneo dell’intera
utenza. Nella realtà la pressione e, conseguentemente, la portata dell’acqua variano
notevolmente in dipendenza di molti altri fattori, come l’andamento stagionale e i diversi fattori
di inefficienza, cosicché sovente la pressione di esercizio risulta inversamente proporzionale ai
livelli di consumo dell’utenza nel corso della giornata.
Un acquedotto è essenzialmente costituito da un sistema di tubazioni disposte secondo uno
schema che può essere a maglie chiuse (detti anelli) o a maglie aperte. La prima tipologia si
caratterizza per la possibilità di eseguire interventi di manutenzione su singoli tratti senza
interrompere l’erogazione nel resto della rete, mentre nel secondo caso si ottiene uno schema
ing. Maines Fernando
224
Elementi per la progettazione di una cantina
Gli impianti di cantina
più semplice, detto anche a rete, costituito da tubi di diametro progressivamente minori
derivanti a partire da collettori principali.
In entrambi i casi si utilizzano tubazioni con diametri variabili fino a 1200 mm per i grandi
collettori, posate in trincee scavate, generalmente, lungo le strade, in un letto di sabbia ad una
profondità di 70 ÷ 150 cm, in funzione delle temperature minime invernali che caratterizzano
la zona e comunque ad una quota superiore rispetto al piano di posa della rete fognaria. I
materiali e gli spessori adottati devono assicurare buona resistenza meccanica, bassi
coefficienti di attrito allo scorrimento, una elevata tenuta idraulica, una buona resistenza alle
aggressioni chimiche ed alle correnti elettriche vaganti. In particolare si utilizzano la ghisa,
l’acciaio con protezione esterna (catramatura, rivestimento in polietilene), l’acciaio zincato,
poliestere rinforzato o il polietilene ad alta densità. I singoli elementi sono uniti fra loro
mediante giunzioni a manicotto, con raccordi a vite o con flange imbullonate.
Alla rete di condutture si devono aggiungere i dispositivi per il prelievo dell’acqua, per la sua
eventuale messa in pressione, per l’attenuazione degli effetti deleteri dei colpi d’ariete (casse
d’aria, casse d’acqua, alimentazione mediante by-pass, …), i sistemi per la compensazione
delle portate ed i dispositivi per la regolazione della pressione. Questi ultimi possono
caratterizzarsi per il funzionamento in automatico grazie alla presenza di un sistema per il
telecontrollo che agisce sui sistemi di sollevamento o sui riduttori, in funzione dei valori rilevati
nei nodi di monitoraggio dell’intera rete.
Ciascun componente dell’acquedotto deve essere scelto, dimensionato e verificato per
garantire un funzionamento sicuro e costante nel tempo, ridotte perdite occulte di acqua ed il
contenimento della spesa energetica.
Lo schema organizzativo di ciascun acquedotto si diversifica in base alle peculiarità di ogni
singolo territorio, soprattutto per quanto riguarda le caratteristiche plano-altimetriche. In
generale possiamo distinguere tre tipologie:
¾ rete funzionante a gravità: tipica dei territori montani nei quali è possibile captare
acqua potabile, in quantità e qualità adeguate, ad una quota altimetrica in grado di
assicurare l’adduzione diretta ad ogni utenza senza ricorrere all’uso di pompe. I
vantaggi indotti dall’assenza di spesa energetica e dalla possibilità di utilizzare
tubazioni di piccoli diametri sono controbilanciati dagli alti valori di pressione che
determinano cospicue perdite di rete (soprattutto nei periodi di basso consumo),
contrastabili solo con una continua azione di verifica, di manutenzione e mediante
l’adozione di materiali e di apparecchiature idrauliche appropriate. Tali inconvenienti
possono essere ridotti anche con particolari soluzioni progettuali che prevedono la
suddivisione della tubazione di rete in due diverse categorie. Alla prima
appartengono le condotte, chiamate di adduzione, che corrono all’incirca lungo le
linee di massima pendenza del suolo. Si tratta di condotte totalmente prive di
allacciamenti alle utenze, costruite con materiali e apparecchiature atte a sopportare
le elevate pressioni di esercizio cui sono sottoposte, allo scopo di possedere
costantemente un elevato carico idraulico atto ad alimentare le condotte secondarie
con buon margine di sicurezza anche in caso di richieste d’acqua eccezionali. Ogni
qualvolta la pressione assume valori eccessivi è possibile ridurla tramite pozzetti di
ing. Maines Fernando
225
Elementi per la progettazione di una cantina
Gli impianti di cantina
interruzione oppure mediante valvole di riduzione munite di servocomando e di
asservimento all’impianto di telecomando centralizzato. Le condotte di distribuzione
sono invece quelle in derivazione da quelle principali e che corrono grosso modo
parallelamente alle curve di livello del terreno collegando trasversalmente tra loro le
adduttrici. Queste condotte funzionano essenzialmente alla pressione normale di
esercizio e, a tale scopo, sono dotate in tutti i punti di collegamento con le adduttrici
di valvola di riduzione e, possibilmente, di apparecchiatura per il rilevamento e la
trasmissione in automatico delle pressioni di funzionamento. In tal modo, oltre a
contenere le perdite occulte entro valori decisamente limitati, è possibile una
fornitura d’acqua a pressioni sempre adeguate alle necessità dell’utenza e con la
necessaria elasticità d’esercizio per far fronte a qualunque situazione imprevista;
¾ rete a sollevamento meccanico: in questo caso è presente
una centrale di sollevamento, possibilmente con pompaggio
diretto in rete, contrariamente a quanto generalmente accade.
Infatti con tale sistema si ottengono i migliori risultati in quanto
sono in grado di assicurare portate e pressioni variabili (grazie
all’adozione di pompe a regime di rotazione variabile)
corrispondenti ai valori prefissati (più elevati per i fabbisogni di
punta, medi per i consumi standard e minimi per le ore
notturne). Devono inoltre essere presenti dei serbatoi di
compensazione, meglio se a terra per evitare il pessimo impatto
visivo dei serbatoi a torre, ubicati presso le centrali di
produzione e di sollevamento ed in altre posizioni più
baricentriche, alimentati dalla stessa rete nei periodi a bassa
richiesta da parte dell’utenza e muniti di proprio impianto di
risollevamento a pressioni e portate variabili;
¾ rete mista (a gravità ed a sollevamento meccanico): quando le
fonti a quote significative non presentano una capacità
produttiva sufficiente per far fronte alle punte di consumo
dell’utenza, si deve per forza ricorrere all’integrazione di portata
con fonti poste a quote inferiori o comunque con acqua di altra
origine che deve essere sollevata meccanicamente per essere
immessa nella rete. Presupposto di base, in tali casi, è quello di
privilegiare l’utilizzazione dell’acqua prodotta dalle fonti in quota
al fine di ridurre il dispendio energetico.
Un’altra fonte importante di approvvigionamento d’acqua, fondamentale
nel caso di cantine ubicate in aree isolate e pertanto difficilmente collegabili ad un acquedotto
pubblico, è rappresentata dai pozzi, intendendo con tale termine tutti i manufatti ottenuti
mediante scavo che consentono l’estrazione di acqua dal sottosuolo. Tali acque si
contraddistinguono per la buona qualità, le portate poco sensibili alle variazioni stagionali, la
ridotta presenza di sostanze estranee in sospensione e la costanza della temperatura, il cui
valore dipende in particolare dalla profondità della falda.
I pozzi si possono distinguere, innanzi tutto, in artesiani e freatici. Nei primi la falda,
racchiusa fra due strati impermeabili, presenta una pressione tale da far fuoriesce l’acqua in
superficie autonomamente mentre i secondi penetrano nella falda con la funzione di attingere,
filtrare e portare l’acqua in superficie mediante pompa.
Un’altra fondamentale classificazione deriva dal tipo di perforazione utilizzato. Si possono
distinguere:
¾ pozzi scavati a secco: presentano profondità fino a 10 m e diametri fino ad 1 m, con
rivestimenti formati da anelli prefabbricati di cemento dello spessore di 10 cm, calati
dall’alto dopo aver scavato progressivamente il terreno all’interno di una tubazione di
rivestimento provvisoria (colonna di manovra), utilizzando una sonda o una cucchiaia
munita di scarpa e di valvola a sportello. Il perforo ultimato presenta una struttura a
“cannocchiale” a diametro decrescente. La superficie filtrante di solito è data da uno
strato di ghiaia in corrispondenza del fondo del pozzo;
¾ pozzi a percussione: profondi fino a 10 metri, sono realizzati con tubi di acciaio di
diametro di pochi centimetri e lunghezza di qualche metro, posti in opera mediante
ing. Maines Fernando
226
Elementi per la progettazione di una cantina
¾
Gli impianti di cantina
battitura e/o rotazione2; il primo è munito di punta e di superficie forata per il
passaggio dell’acqua. Una sonda, munita di una cucchiaia per ritenere il materiale
asportato è collegata tramite un cavo in acciaio ad un verricello meccanico che
permette la caduta ritmica sul fondo foro. I diametri di perforazione variano da 200
a 600 mm. Questa lavorazione viene eseguita su depositi ghiaiosi. Il materiale di
scavo ottenuto (cutting) permette un’analisi generica del litotipo e della stratigrafia;
pozzi a rotazione o trivellati: possono giungere a profondità elevata e presentano
diametri di 0,15 ÷ 0,80 m uniformi fino a fine foro. Si utilizzano strumenti di scavo
diversi (tricorni a rulli, scalpelli a lame, …) posti in veloce rotazione e muniti di
estremità in materiale duro o di corone dentate in grado di raggiungere falde
profonde e di perforare anche materiali molto duri. Tali sistemi necessitano di fluidi di
perforazione (fanghi bentonitici), a circolazione diretta o indiretta, necessari per il
raffreddamento degli organi di scavo, per l’evacuazione del materiale scavato e, nel
caso di attraversamento di strati incoerenti, per il sostegno delle pareti del perforo.
Nella realizzazione di tali opere, alle difficoltà tecniche intrinseche alle attività di scavo si
aggiunge la necessità di preservare le risorse idriche del sottosuolo. Gli eventuali rischi sono
rappresentati principalmente dalla possibile contaminazione da parte di acque superficiali o da
uno sfruttamento troppo spinto che può determinare un eccessivo abbassamento della falda. Si
devono evitare anche emungimenti modesti poiché possono causare ristagni in falda dell’acqua
con aumento della possibilità di inquinamento. Pertanto l’esecuzione di un pozzo richiede una
corretta progettazione basata su adeguate indagini di natura idrogeologica, biologica e
chimica. Si tratta comunque di una progettazione “sui generis” in quanto al momento della
realizzazione permangono ancora degli elementi di incertezza che impediscono di valutare a
priori quale sia la soluzione tecnica più adatta da utilizzare. Si devono pertanto prevedere una
serie di verifiche in corso d’opera per consentire una scelta corretta fra le diverse tecniche di
scavo e le metodologie di costruzione.
Da un punto di vista esecutivo un pozzo è generalmente costituito dai seguenti elementi:
¾ un avampozzo inteso come l’insieme degli elementi strutturali in grado di garantire
l’isolamento degli acquiferi dalle acque di superficie;
¾ la colonna di rivestimento necessaria nel caso di terreni soggetti ad instabilità che
tendono ad ostruire il foro. Si utilizzano diversi materiali (acciaio inossidabile, acciaio
zincato o materiali plastici) in funzione delle caratteristiche chimiche dell’acqua di
falda. Il rivestimento, in corrispondenza degli acquiferi da sfruttare presenta dei filtri
per consentire il passaggio dell’acqua. Tale parte filtrante deve avere un adeguato
2
Questo metodo associa alla rotazione delle aste una percussione ritmica dovuta ad un dispositivo alloggiato alla
base della colonna (martello a fondo foro), indotta da un circuito ad aria compressa. Questa lavorazione viene eseguita
su rocce più o meno tenere.
ing. Maines Fernando
227
Elementi per la progettazione di una cantina
¾
¾
Gli impianti di cantina
rapporto fra la superficie aperta e quella totale per assicurare una sufficiente
resistenza meccanica allo schiacciamento. Deve avere inoltre aperture sagomate per
evitare intasamenti e per impedire il passaggio della parte solida in sospensione.
Infatti l’insabbiamento, soprattutto per pozzi che prelevano da terreni sabbiosi, è un
possibile rischio da tenere in costante considerazione. Le particelle di sabbia vengono
trascinate all’interno della colonna, con possibili danni alle pareti del pozzo, agli
organi della pompa e conseguente intasamento degli elementi drenanti soprattutto
nel caso di emungimenti spinti;
i dreni, generalmente costituiti con materiali a composizione granulare, sono
posizionati tra la parete naturale del foro e la colonna e devono avere uno spessore
di almeno 15 cm; possono assumere anche la funzione di contenimento;
il sistema per l’estrazione dell’acqua. Il prelievo può essere effettuato con pompe
emerse (solo per pozzi poco profondi) o più frequentemente, per la praticità e la
facilità di installazione, con pompe aventi gli organi rotanti immersi nel liquido da
sollevare. In entrambi i casi i parametri caratteristici di funzionamento (portata e
prevalenza) dipendono dalla profondità del pozzo e dalla quantità d’acqua da
prelevare.
La progettazione del pozzo è influenzata da molti elementi fra i quali spiccano la geologia
del sito (la giacitura degli strati da perforare, la posizione e le caratteristiche idrauliche
dell’acquifero da intercettare), la qualità e la quantità d’acqua richiesta, le problematiche
ambientali specifiche della zona, l’accessibilità del sito, le fonti di approvvigionamento idrico da
utilizzare nel corso della perforazione e il quadro normativo locale.
In generale si possono distinguere le seguenti fasi di progettazione:
¾ fase preliminare in cui si definiscono le richieste della committenza da un punto di
vista qualitativo e quantitativo, si analizzano le procedure amministrative per
l’ottenimento dei permessi ed il quadro normativo e vincolistico locale; si esegue
inoltre una valutazione speditiva preliminare della fattibilità e si effettua una ricerca
geologica ed idrogeologica relativamente all’individuazione dell’acquifero da
intercettare, alla natura dei terreni da attraversare, alle caratteristiche idrauliche
dell’acquifero e alla vulnerabilità ambientale;
¾ progetto della perforazione: in particolare si deve effettuare la scelta del metodo di
perforazione e si deve valutare la necessità o meno di eseguire (quando è possibile)
campionamenti delle acque di falda e/o di prove di strato in corrispondenza degli
acquiferi intercettati. Si deve tener presente che non esiste un metodo di
perforazione migliore in assoluto, ma che ciascuna tecnica è adatta ad un particolare
contesto e ad un determinato insieme di condizioni;
ing. Maines Fernando
228
Elementi per la progettazione di una cantina
¾
¾
¾
Gli impianti di cantina
progetto di completamento del pozzo in particolare relativamente alle caratteristiche
della tubazione definitiva del pozzo (diametro, materiale, spessore, tipologia delle
giunzioni tra le barre di tubo, …), scelta dei filtri (quota di posizionamento e altezza
delle barre filtranti, tipologia e ampiezza delle aperture, …), presenza e
caratteristiche degli eventuali sistemi di condizionamento dell’intercapedine presente
tra la parete del perforo e la tubazione definitiva. In particolare si possono
predisporre dei dreni per impedire il trascinamento di materiali fini, setti
impermeabili per la separazione degli acquiferi, stabilizzatori di formazione (ghiaia
non calibrata) o cementazioni. Infine si devono valutare le modalità di esecuzione e
la durata delle operazioni di spurgo del pozzo e la predisposizione delle operazioni di
smaltimento dei materiali di perforazione residui secondo quanto previsto dalla
normativa;
collaudo del pozzo: si devono fissare i criteri di accettabilità dell’opera, i criteri per
l’esecuzione delle prove di portata, i parametri per valutare la quantità di acqua che
può essere emunta nell’unità di tempo (in funzione dalla depressione che si forma tra
il livello idrostatico della falda a pompe ferme ed il livello di funzionamento a regime
del pozzo) e per il dimensionamento dell’impianto definitivo di sollevamento;
verifica della compatibilità ambientale: si deve stabilire l’influenza del prelievo
sull’equilibrio idrogeologico locale mediante la predisposizione di punti di
monitoraggio (piezometri) per stabilire eventuali fenomeni di interferenza
relativamente ad altri pozzi presenti nelle aree limitrofe.
Particolare attenzione va posta nella scelta dell’ubicazione del pozzo. La protezione delle
risorse idriche, in particolare se destinate al consumo umano, comporta l’istituzione di aree di
salvaguardia secondo quanto disciplinato del D.Lgs. dell’11 maggio 1999 n. 152 (art. 3 comma
7) al fine di tutelare i corpi idrici secondo principi di prevenzione dai rischi di inquinamento e di
perseguimento degli usi sostenibili e durevoli delle risorse idriche, con priorità per quelle
potabili.
Le aree di salvaguardia delle acque si suddividono in zone di tutela assoluta, zone di rispetto
e zone di protezione da stabilirsi in funzione della caratteristiche geologiche, idrogeologiche e
idrochimiche. In particolare la zona di tutela assoluta deve avere una estensione di almeno 10
metri di raggio dal punto di captazione, opportunamente recintata e protetta dalle esondazioni
dei corpi idrici limitrofi e provvista di canalizzazioni per il deflusso delle acque meteoriche.
ing. Maines Fernando
229
Elementi per la progettazione di una cantina
Gli impianti di cantina
La zona di rispetto prevede invece prescrizioni relativamente all’edilizia residenziale (la
tenuta e la messa in sicurezza dei sistemi di callettamento delle acque nere, miste e bianche,
la tipologia delle fondazioni in relazione al pericolo di inquinamento delle acque sotterranee),
alle opere varie e alle infrastrutture in genere (reti di drenaggio superficiale, il controllo della
vegetazione infestante, …) e alle pratiche agronomiche (colture compatibili, tecniche
agronomiche, …).
L’importanza della risorsa acqua si riflette anche nella consistenza della normativa che ne
regola lo sfruttamento a partire fin dalla richiesta di autorizzazione per lo scavo di pozzi.
Per eseguire ricerche di acque sotterranee o perforazioni di pozzi, così come dispone il R.D.
del 11 dicembre 1933 n. 1775 (Titolo II – disposizioni speciali sulle acque sotterranee – art. 95
- autorizzazione all’utilizzo di acque di pozzo), si deve darne comunicazione all’organo
competente (Servizio Acque Pubbliche ed Opere Idrauliche, Ufficio Derivazioni e Dighe di
Sbarramento nel caso della Provincia Autonoma di Trento) corredando la domanda di
autorizzazione allo scavo di pozzo (in duplice copia di cui una in carta legale) con il piano di
massima di estrazione (si deve specificare l’utilizzo e la portata preventiva) e di utilizzazione,
comprendente una relazione tecnica illustrativa firmata da professionista abilitato e completata
dalla sezione del pozzo, da una corografia (1:10000) e da una planimetria (1:2880 o 1:1000)
con localizzazione della perforazione. Va eventualmente allegata la dichiarazione del
proprietario di acconsentire alla perforazione. Si deve inoltre specificare l’esecutore delle
perforazioni, il quale è obbligato a verificare l’effettivo ottenimento dell’autorizzazione.
L’ufficio competente, dopo aver provveduto alla pubblicazione sulla Gazzetta Ufficiale (spesa
di circa € 750) dell’avvenuta presentazione della domanda, ha tempo un anno per dare il
parere. In Trentino mediamente risponde dopo 4 ÷ 5 mesi, necessari per ottenere il parere
favorevole dei diversi Servizi (Minerario, Geologico, Agenzia Provinciale per la Protezione
dell’Ambiente, Urbanistica, …).
In caso di parere favorevole, dopo l’affissione per 15 giorni di un avviso all’albo dell’Ufficio e
all’Albo del Comune in cui avverrà lo scavo e in assenza di opposizione viene effettuata una
visita istruttoria di sopralluogo a cui potrà seguire l’autorizzazione allo scavo.
Nel momento dell’individuazione di acque sotterranee captabili dovrà essere data
comunicazione all’ufficio competente mediante denuncia di rinvenimento di falda sotterranea
(in duplice copia di cui una in carta legale) per la successiva determinazione della qualità, per il
controllo dei limiti degli acquiferi, dei limiti della portata istantanea e della portata media
annua e dei limiti piezometrici entro cui può avvenire il prelievo. Si devono allegare:
¾ un estratto mappa ed una corografia (1:10.000) con l’ubicazione del pozzo;
¾ la stratigrafia;
¾ un’apposita scheda informativa che riporta i seguenti dati relativi alla falda:
ing. Maines Fernando
230
Elementi per la progettazione di una cantina
Gli impianti di cantina
la quota assoluta e la posizione riferita ad una base topografica ufficiale;
la profondità degli acquiferi;
le caratteristiche litologiche ed idrogeologiche dei terreni attraversati ed i
risultati delle prove di portata riportati in una relazione, redatta da un tecnici
abilitato, dove vengono descritte le modalità di conduzione delle prove, la
risposta dell’acquifero e del manufatto, le caratteristiche del pozzo (portata e
portata specifica) e dell’acquifero (livello statico, livello dinamico e
conducibilità idraulica);
o
le caratteristiche idrochimiche dell’acquifero;
o
le strumentazioni inserite nel pozzo.
A questo punto si può richiedere la concessione allo sfruttamento dell’acqua, mediante
domanda di concessione di piccola derivazione3 di acqua pubblica (in duplice copia di cui una in
carta legale) specificando l’uso e la portata utilizzata (media e massima), apportando gli
eventuali aggiornamenti al piano di massima presentato al momento della richiesta di ricerca.
E’ una pratica piuttosto lunga4 (circa due anni) secondo quanto previsto dal R.D. del 11
dicembre 1933 n. 1775 (Titolo I – norme sulle derivazioni e sulle utilizzazioni delle acque
pubbliche -, Capo I – concessioni e riconoscimenti di utenze, artt. 7, 8, …); nel frattempo si
può presentare domanda di attingimento provvisorio. Si deve inoltre presentare due copie del
progetto a firma di un tecnico abilitato allegando i seguenti documenti:
¾ relazione tecnica particolareggiata;
¾ descrizione delle opere necessarie;
¾ dimostrazione di compatibilità del prelievo con la ricarica della falda mediante i
risultati delle prove di pompaggio e curve di durata;
¾ relazione geotecnica per eventuali bacini di accumulo o serbatoi;
¾ adeguata analisi del ciclo produttivo per giustificare le portate richieste;
¾ elaborati grafici;
¾ disegni particolareggiati delle opere di presa, raccolta e scarico (piante, sezioni,
prospetti, particolari esecutivi);
¾ profilo longitudinale quotato delle condotte di adduzione e di scarico;
¾ stratigrafia del pozzo;
¾ eventuale parere di idoneità all’uso potabile espresso dall’Azienda Provinciale per i
Servizi Sanitari – Unità Operativa Igiene Pubblica;
¾ documentazione fotografica in caso di pozzo già in esistente.
In caso di esito favorevole, che può comunque prevedere limitazioni o disporre la
preservazione di particolari condizioni, l’amministrazione provvede ad installare i necessari
dispositivi di controllo (contatori, piezometri e misuratori di portata) a spese del richiedente, a
verificare la corrispondenza delle opere alle prescrizioni inerenti alla costruzione del pozzo e a
controllare l’osservanza dei limiti di gestione previsti dalla concessione. E’ necessario
sottolineare che la concessione non costituisce garanzia della disponibilità della risorsa
concessa e che, in qualsiasi momento, l’amministrazione ha la facoltà di rivedere i quantitativi
prefissati qualora si evidenziassero nuovi elementi di conoscenza. Inoltre si osserva che le
concessioni sono rilasciate con sempre crescente difficoltà.
E’ possibile anche richiedere l’autorizzazione allo sfruttamento di un pozzo esistente. Anche
in questo caso viene autorizzato il prelievo di una determinata portata, da verificare con
l’esecuzione di prove di portata, per quanto la riapertura di un pozzo precedentemente
abbandonato sia un caso piuttosto raro in quanto antieconomico per la complessità delle
o
o
o
3
Si definisce piccola derivazione quando le portate sono inferiori a 100 l/s (art. 1 D.L del 12 luglio 1993 n. 275) sia
nel caso di acqua potabile, di acque per usi industriali che per costituzione di scorte a fini di uso antincendio, valori che
generalmente sono sufficienti per soddisfare i fabbisogni di cantina.
4
In Provincia di Trento si è cercato di semplificare la procedura nel caso di piccole derivazioni, in particolare di
acque da pozzo. Diversamente da quanto avveniva precedentemente, il canone sarà richiesto solo in caso di
rinvenimento dell’acqua, con decorrenza dall’inizio dell’effettivo utilizzo. L’attività di prelievo può incominciare dopo
aver comunicato il rinvenimento al Servizio Utilizzazione delle Acque Pubbliche (S.U.A.P.) e aver dimomostrato di aver
effettuato tutte le verifiche necessarie per tutelare l’integrità della falda. Si è pertanto esonerati dall’obbligo di allegare
alla domanda la perizia idrogeologica, salva la possibilità del S.U.A.P. di richiederne successivamente l’integrazione.
Spesso, infatti il Servizio dispone già delle informazioni utili ad esprimere il parere di merito. Sono state inoltre ridotte
notevolmente le spese di istruttoria.
ing. Maines Fernando
231
Elementi per la progettazione di una cantina
Gli impianti di cantina
operazioni e pericoloso per la falda. Pertanto risulta preferibile lo scavo di un nuovo pozzo sulla
stessa particella fondiaria.
La concessione di piccole derivazioni non possono eccedere i trenta anni (R.D. dell’11
dicembre 1933 n.1775 art. 21) e sono sottoposte al pagamento di un canone annuo secondo
quanto dettato degli artt. 35, 36, 37, 38, … dello stesso decreto. Opportune disposizioni
normative (in Provincia di Trento emesse mediante Decreto della Giunta Provinciale) apportano
modifiche al canone mediante coefficienti di aggiornamento. La normativa prevede riduzioni
del 50% in caso di attuazione di metodologie di ricircolo o di restituzione. Inoltre ogni anno il
concessionario o l’utilizzatore è tenuto a comunicare le letture mensili del contatore
volumetrico il cui funzionamento corretto, così come lo stato di conservazione del pozzo ed il
rispetto delle norme d’uso, saranno controllati nel corso di sopralluoghi dell’ufficio tecnico
dell’amministrazione competente.
Un aspetto particolare è quello rappresentato dall’obbligo di chiusura dei pozzi destinati ad
essere abbandonati (e non semplicemente inattivi per un certo periodo). La normativa prevede
appropriate e ben definite metodologie per la demolizione, per il completo riempimento con
idonei materiali (argille, limi, sabbie, ghiaie, misti di frantoio e loro mescolanze) e la sigillatura
con iniezioni cementizie, malte con sabbia, calcestruzzo realizzato con aggregati di
granulometria opportuna o terreni naturali inorganici.
Meno frequente è lo sfruttamento di sorgenti cioè di punti o aree più o meno ristrette in
corrispondenza delle quali si determina la venuta a giorno d’acqua sotterranea. Generalmente
forniscono acqua con elevati livelli qualitativi a cui si aggiunge il vantaggio di una temperatura
piuttosto costante nel corso dell’anno. Maggiore, in genere, è invece la variabilità della portata
rispetto ai pozzi.
L’opera di presa può essere progettata in modo razionale solo se è ben conosciuta la
situazione idrogeologica, in particolare delle strutture che determinano l’emersione delle acque
sotterranee. Anche il dimensionamento delle opere necessita la conoscenza dei valori delle
portate nel lungo periodo e delle caratteristiche specifiche della sorgente che possono variare
notevolmente da caso a caso.
In primo luogo sono necessari quasi sempre degli sbancamenti del versante, soprattutto nel
caso di circolazione in roccia con punti di emergenza ricoperti da materiali sciolti, detritici o di
alterazione, da svolgere in modo da non modificare il sistema di circolazione delle acque nella
zona di emergenza (si deve, ad esempio, evitare l’uso di esplosivi). E’ cosi possibile raccogliere
la maggior quantità di acqua possibile, garantendo nel contempo la protezione dei livelli
qualitativi.
La presa dell’acqua viene effettuata di preferenza ad una certa profondità dentro il versante
(almeno 2 ÷ 3 metri), per ridurre i possibili effetti negativi provenienti dall’esterno e per
evitare brusche variazioni di temperatura. Si riduce in tal modo il rischio di mescolamento con
acque superficiali o possibili contaminazioni.
ing. Maines Fernando
232
Elementi per la progettazione di una cantina
Gli impianti di cantina
Per questo la normativa prevede, così come si è visto per i pozzi, delle zone di protezione.
In particolare la zona di tutela assoluta, dimensionata e strutturata in funzione della tipologia
delle opere di captazione adottate, delle caratteristiche dell’acquifero, dei livelli di rischio di
inquinamento e delle rilevanza della captazione, deve assicurare un’efficace protezione da
frane, da fenomeni erosivi e da alluvione. In ogni caso è obbligatoria una recinzione
opportunamente dimensionata. La zona di rispetto, invece, si estende generalmente per un
raggio di almeno 200 metri attorno al punto di captazione a monte dello stesso; qualora le
condizioni idrodinamiche dell’acquifero lo richiedano tale limite può essere aumentato. Infine
per la zona di protezione è opportuno considerare l’intera area di alimentazione della sorgente,
comprese eventuali strutture acquifere limitrofe dalle quali sia attivo un significativo fenomeno
di travaso idrico sotterraneo.
Lo sfruttamento di acque sorgive richiede la presenza di idonee opere di presa
generalmente costituite da un manufatto in muratura addossato alla sorgente, impermeabile
ed accessibile. In esso troviamo una camera di captazione costituita da due vasche separate da
un setto detto parete di sfioro utilizzato anche per la misura delle portate. La prima è detta
vasca di decantazione o sedimentazione con la funzione di chiarificare l’acqua da eventuali
sostanze in sospensione; è munita, inoltre, di scarico di troppo pieno e di scarico di fondo per il
periodico svuotamento e per il lavaggio. La seconda (vasca di carico) ha il compito di
alimentare le tubazioni di derivazione. Infine l’opera di presa è completata da una camera di
manovra munita di porta verso l’esterno, dove si possono eseguire le operazioni di controllo
ing. Maines Fernando
233
Elementi per la progettazione di una cantina
Gli impianti di cantina
delle vasche e delle tubazioni di presa e di distribuzione o dove possono trovare posto i
dispositivi per gli interventi sui livelli qualitativi dell’acqua (filtrazione, disinfezione, …). Infatti
per una corretta gestione della sorgente sono necessari periodici controlli della qualità e un
continuo monitoraggio delle portate per poterne verificare le variazioni durante i periodi
dell’anno.
Le opere di presa possono essere di due tipi:
¾ opere di presa diretta: captano la sorgente all’emergenza o in profondità, limitandosi
a raggiungere le fessure mediante il bottino di presa direttamente collegato alla
vasca di decantazione. Pertanto si usano soprattutto per sorgenti in roccia. Nel caso
di sorgenti in materiali sciolti il bottino di presa è sostituito da una trincea o da una
galleria artificiale di drenaggio che consente una intercettazione della sorgente lungo
un fronte più ampio. La trincea a monte è rivestita da un vespaio di materiali sciolti o
di muratura finestrata, mentre sul fondo viene disposta una canaletta dove si
raccoglie l’acqua drenata;
¾
opere di presa nell’acquifero: la captazione avviene entro l’acquifero che alimenta la
sorgente mediante gallerie drenanti, trincee drenanti, pozzi drenanti o gallerie
drenanti con pozzi.
Anche per le sorgenti, relativamente alla richiesta di concessione, vale, con le dovute
differenze, quanto si è detto per i pozzi. Il progetto deve inoltre comprendere indicazione della
localizzazione (su cartografia al 10000 ed estratti mappa catastali), disegni particolareggiati
ing. Maines Fernando
234
Elementi per la progettazione di una cantina
Gli impianti di cantina
delle opere di presa, raccolta e scarico (piante, sezioni, prospetti, particolari esecutivi) e un
profilo longitudinale quotato delle condotte di adduzione e di scarico.
Decisamente più raro è il prelievo di acque superficiali. Si tratta, infatti, di una soluzione
estrema in quanto queste acque, per la presenza di materiali in sospensione e di inquinanti di
origine chimica o biologica, raramente sono in grado di rispettare i limiti di legge. Diventano
pertanto necessari complessi e onerosi trattamenti di depurazione. Possono comunque
rappresentare una possibile fonte di approvvigionamento di acqua non potabile da utilizzarsi
per operazioni di pulizia o per altri scopi dove non ci sia contatto diretto o indiretto con l’uva, il
mosto o il vino.
Il prelievo avviene mediante pompe, sommerse o meno, e relative tubazioni pescanti. Il
punto di presa nel caso di laghi, bacini naturali o artificiali deve trovarsi ad almeno 200 m dalla
ing. Maines Fernando
235
Elementi per la progettazione di una cantina
Gli impianti di cantina
riva ad una profondità superiore ai 10 m mentre per corsi d’acqua naturali e canali artificiali si
devono predisporre vasche alimentate da apposite opere di derivazione.
Nel primo caso la zona di tutela assoluta e la zona di rispetto devono interessare una
porzione di bacino delimitata da una circonferenza di raggio non inferiore a 200 m con centro
nell’opera di presa e devono estendersi verso la costa più vicina interessando un tratto di
lunghezza non inferiore a quello della proiezione del diametro della circonferenza stessa. Per
quanto riguarda, invece, i corsi d’acqua, la zona di tutela assoluta deve avere un estensione di
almeno 10 metri di raggio e comprendere tutti i manufatti utilizzati per la derivazione e la
presa, mentre la zona di rispetto deve interessare il corso d’acqua e le relative sponde per un
tratto a monte del punto di presa in funzione della portata d’acqua derivata, della velocità e
della portata del corpo idrico e comunque non inferiore a 200 metri. Le zone di protezione, in
entrambi i casi, si estendono a tutti i corpi idrici del bacino a monte del punto di presa.
Anche in questo caso la domanda di concessione deve essere corredata da un progetto a
firma di un tecnico abilitato. Alla documentazione richiesta nel caso di pozzi si devono
aggiungere:
¾ notizie idrologiche del corpo idrico da derivare;
¾ carta in scala 1:10.000 (C.T.R.) ed estratto mappa con indicazione delle opere di
presa, del canale di derivazione, …;
¾ disegni particolareggiati delle opere di presa, raccolta e scarico (piante, sezioni,
prospetti, particolari esecutivi);
¾ profilo longitudinale quotato delle condotte di adduzione e di scarico;
¾ documentazione fotografica in caso di derivazione già in atto.
Un ultima fonte di approvvigionamento, per quanto marginale, è rappresentata dalla
raccolta delle acque piovane, captate dalla copertura degli edifici o da piazzali e destinate
prevalentemente per usi irrigui. Il principale inconveniente di tale sistema è legato alla estrema
variabilità ed aleatorietà delle precipitazione e della loro distribuzione nel tempo che non
necessariamente coincide con i fabbisogni di cantina.
Un impianto base per lo sfruttamento dell’acqua piovana consiste di:
¾ superficie di raccolta (tetto, terrazze, cortili);
¾ conduttura di riempimento del serbatoio munita di filtro;
¾ serbatoio dell’acqua piovana in cemento, metallo o materiale plastico, munito di
apertura d’ispezione;
¾ scarico dell’acqua in eccesso (tubazione per troppo pieno) e valvola di riempimento
con galleggiante;
¾ pompa;
ing. Maines Fernando
236
Elementi per la progettazione di una cantina
Gli impianti di cantina
serbatoio di accumulo in pressione (se sono previsti utilizzi che richiedono prevalenze
significative);
¾ rete di derivazione verso i punti di utilizzo.
I serbatoi dell’acqua piovana, a perfetta tenuta, possono essere disposti quasi ovunque,
grazie alla presenza sul mercato di impianti compatti (gran parte delle componenti sono
premontate), per quanto sia preferibile un’installazione interrata, sia all’esterno che all’interno
dell’edificio, e una localizzazione che consenta un’alimentazione per gravità.
La raccolta dell’acqua piovana va effettuata preferibilmente utilizzando le superfici del tetto.
Coperture quali tegole in laterizio o in cemento, lastre di ardesia, lastre metalliche o in resine
sintetiche e impermeabilizzazioni bituminose sono tutte adatte alla funzione. Le tegole di
cemento tendono tuttavia a subire sulla superficie gli effetti del tempo, cosa che può causare
accumuli di polvere e crescita di licheni e muschio. Per questo sono da preferire i materiali lisci
posti su falde con pendenza non troppo ridotta poiché maggiore è la quantità di detriti che si
accumula su tetti poco inclinati.
¾
Prima di giungere nel serbatoio l’acqua piovana deve essere filtrata. Per tetti di ridotta
superficie ciò avviene inserendo un filtro nel pluviale. Per impianti più grandi o per la raccolta
di acqua proveniente da più pluviali, il filtro viene di regola interrato.
Il serbatoio dell’acqua piovana deve essere dimensionato in base alla precipitazione media
annuale locale (approssimativamente 20 ÷ 30 litri per ogni m2 di superficie captante) ed al tipo
di utilizzo previsto, in quanto risulta indispensabile che l’acqua piovana raccolta nel serbatoio
sia in continuo movimento, per evitare la formazione di depositi (in particolare dei materiali
presenti in sospensione nell’aria catturati dalla pioggia) e la crescita di alghe. Dimensioni
eccessive aumentano in modo non necessario gli investimenti e possono condurre a frequenti
guasti nell’impianto.
Per garantire un funzionamento affidabile nel tempo degli impianti per l’acqua piovana è
necessaria una installazione corretta (è pertanto importante rivolgersi a personale competente
in materia) ed una manutenzione regolare. Per ciò che concerne i materiali delle condutture,
per ragioni di protezione dalla corrosione, si devono preferire i materiali sintetici ed in
particolare il polietilene con l’accortezza di diversificare le tubazioni rispetto a quelle
dell’impianto idrico per evitare una connessione involontaria con la rete dell’acqua potabile
(utilizzo non consentito).
4.1.2 Trattamento dell’acqua
In base all’origine, al grado di purezza e al tipo di utilizzo previsto, le acque possono essere
sottoposte a diversi trattamenti per assicurare i livelli qualitativi richiesti. Tali trattamenti, in
casi particolarmaete favorevoli (sorgenti o pozzi profondi), possono limitarsi a semplici
operazioni di filtrazione per le quali è sufficiente predisporre le apparecchiature (anche in
ing. Maines Fernando
237
Elementi per la progettazione di una cantina
Gli impianti di cantina
apposito locale) nei pressi del punto di prelievo, di captazione o di presa; al contrario acque
superficiali particolarmente compromesse richiedono complessi processi di potabilizzazione per
i quali si rendono necessari veri e propri impianti ad alta specializzazione. Per quanto riguarda
le cantine, nella maggior parte dei casi si deve operare in situazioni intermedie fra questi due
casi limite e, per poter operare una scelta corretta dei trattamenti più appropriati, è bene
chiedere consiglio ad esperti. Tali interventi, infatti, inducono talvolta variazioni qualitative
(tenore dei sali minerali, ..) che possono avere conseguenze significative sullo sviluppo del
processo enologico.
I principali interventi sono:
1. sedimentazione: si utilizzano apposite vasche (come quella di decantazione delle
sorgenti) dove l’acqua si libera dalle sostanze solide in sospensione con un efficienza
che dipende dalla capacità e dal tempo di permanenza. Il fenomeno della
sedimentazione può essere favorita dall’aggiunta di microsabbie destinate ad
appesantire le sostanze in sospensione, oppure dall’utilizzo di flocculanti e
coagulanti. Queste sostanze, scelte in base alla natura dell’acqua da trattare (molto
frequente è l’utilizzo di solfato di alluminio), danno origine a precipitati gelatinosi e
flocculenti in grado di agglomerare, grazie all’azione di coagulazione, i solidi sospesi
molto fini e le sostanze colloidali presenti. Eventuali gas estranei, invece, possono
essere allontanati con l’insuflaggio di aria dal fondo della vasca di raccolta. Questa
tecnica può essere utilizzata anche per favorire la risalita della sostanze in
sospensione in superficie, dove vengono raccolte ed asportate da un organo
meccanico (flottatore).
2. filtrazione: questo trattamento può sostituire o affiancare la sedimentazione per
completare l’operazione di separazione delle sostanze estranee presenti nell’acqua.
La tecnica da adottare dipende dalla natura e dalle dimensioni delle presenze da
eliminare. I filtri più utilizzati sono:
¾
idrociclone: l’acqua viene immessa nella parte superiore di un serbatoio cilindrico
secondo una direzione tangenziale, in modo da far assumere al flusso un movimento
rotatorio, prima di uscire sempre dalla parte alta del serbatoio. In tal modo si
favorisce la caduta dei corpi estranei verso la parte inferiore del serbatoio (che
presenta una forma troncoconica rovesciata), dove si depositano dopo un tempo
inversamente proporzionale alla loro dimensione. Gli idrocicloni si caratterizzano per
una minore efficienza di separazione rispetto alle vasche di sedimentazione statiche
(sono in grado, infatti, di separare in modo veloce solo le particelle più grossolane),
compensata però dalla semplicità di funzionamento e dagli ingombri decisamente più
ridotti. Rappresentano pertanto un ottima soluzione per acque di buona qualità con
presenze estranee di tipo inorganico (acque di pozzo o di sorgente);
ing. Maines Fernando
238
Elementi per la progettazione di una cantina
Gli impianti di cantina
¾
a rete (o a cartuccia): si tratta di filtri muniti di griglie in tessuto metallico o tele
porose in materiale plastico termoretrattile con fori dell’ordine di 30 ÷ 100
micrometri, in grado di trattare grandi masse di acqua e di operare autonomamente
la pulizia delle griglie in controcorrente. Rispetto agli idrocicloni manifestano una
struttura più complessa ed una maggiore efficienza;
¾
a graniglia: l’effetto filtrante è ottenuto facendo passare l’acqua in pressione
attraverso una serie di strati di 10 ÷ 20 cm (fino ad un totale di circa un metro)
costituito di materiali a granulometria progressivamente decrescente (ghiaia, sabbie
grossolane, sabbie fine, …) contenuti in vasche o in serbatoi metallici. Non si tratta,
pertanto, di una filtrazione di tipo superficiale, come nel caso dei filtri a rete, e ciò
rende i filtri a graniglia più efficaci e meno soggetti ad un rapido intasamento.
Anch’essi devono, comunque, essere rigenerati con la sostituzione degli strati
filtranti, operazione che risulta piuttosto onerosa in termini di tempo. Per questo
attualmente sono molto utilizzati filtri che operano con uno unico strato di sabbie
quarzifere a granulometria controllata che consente efficaci lavaggi in controcorrente,
eseguiti in automatico secondo programmi prefissati o al superamento di un valore
soglia per le perdite di carico. Sistemi ancora più recenti sono in grado di operare un
lavaggio in continuo senza la necessità di interrompere l’azione di filtrazione. Si
possono utilizzare anche filtri a carboni attivi costituiti da antracite o altri carboni di
tipo vegetale o minerale, di diversa granulometria, che operano per adsorbimento e
sono in grado di eliminare sgradevoli sapori (come quelli connessi alla presenza di
cloro o dei suoi derivati) e alcuni microinquinanti difficilmente intercettabili da altri
filtri. Infine al filtro a graniglia può essere associato uno strato gelatinoso (filtri a
struttura composita) in grado di bloccare la frazione biologica presente, al prezzo,
però, di una considerevole riduzione della velocità di attraversamento che dai 3 ÷ 15
m/h della filtrazione normale può raggiungere valori inferiori a 0,1 m/h.
3.
abbattimento della durezza: la riduzione della durezza è un processo di
demineralizzazione che prende il nome di decarbonatizzazione o più comunemente di
ing. Maines Fernando
239
Elementi per la progettazione di una cantina
¾
¾
¾
¾
Gli impianti di cantina
addolcimento. La soglia di intervento varia molto in funzione dell’utilizzo. Ad esempio
la specifica normativa ha reso obbligatorio l’addolcimento delle acque per gli impianti
di condizionamento, per gli impianti di acqua calda sanitaria e di riscaldamento.
Essenziale diventa l’abbattimento della durezza negli impianti per la produzione di
vapore. Invece per l’acqua potabile destinata al consumo umano si interviene per
durezze superiori a 25 °F in modo però da assicurare una durezza residua non
inferiore a 15 °F, come previsto dal D.M. della Sanità del 21 dicembre 1990 n. 443
che detta anche le regole da rispettare nella realizzazione, montaggio e utilizzo degli
addolcitori che si possono così classificare:
a scambio ionico: utilizzano particolari resine in grado di attuare un interscambio
reversibile di ioni di sodio con i sali di calcio e magnesio presenti nell’acqua; la
conseguente produzione dei corrispondenti sali di sodio elimina la possibilità di
formazione di incrostazione senza causare un radicale cambiamento delle
caratteristiche fisiche della resina che può essere pertanto rigenerata. L’impianto
necessita di un contenitore per i sali di trattamento, di una centralina per il corretto
dosaggio e di un dispositivo automatico per la rigenerazione e per la autodisifezione
della resina. I costi di impianto e di esercizio di tale apparecchio sono ampiamente
ripagati, ad esempio, dalla riduzione dei costi di manutenzione dei generatori di
calore e dal loro conseguente maggior rendimento;
dosatori di reagenti chimici che operano per precipitazione: in un apposito serbatoio
il flusso d’acqua si mescola con una piccola corrente addizionata con calce (Ca(OH)2)
e con soda (Na2CO3). La prima interviene sulla durezza temporanea, la seconda su
quella permanente dando origine alla formazione di sali insolubili di Ca e Mg, che
precipitano e che possono essere rimossi, in modo continuo o periodicamente,
mediante filtrazione o sedimentazione;
sistemi ad osmosi inversa: funzionano grazie a particolari membrane
semimpermeabili in grado di separare completamente, oltre i sali disciolti, anche le
sostanze organiche, fino a batteri e virus, a tal punto che per taluni utilizzi (come il
consumo umano) è necessario reintegrare il necessario contenuto di sali. Si tratta di
un trattamento molto lento e pertanto si rende necessaria la presenza di un
serbatoio di accumulo con sistema di disinfezione continua;
acceleratori ionici: intervengono sulla capacità di formare incrostazioni senza influire
sulla composizione chimica dell’acqua. Mediante un opportuno campo magnetico si
determina la formazione di germi di cristallizzazione che non solo evita la formazione
di depositi ma è anche in grado di eliminare le incrostazioni presenti. Rimane solo un
leggero strato di carbonato di calcio che svolge una funzione protettiva.
ing. Maines Fernando
240
Elementi per la progettazione di una cantina
Gli impianti di cantina
4.
demineralizzazione: è un trattamento utilizzato per le acque di lavaggio delle
resine impiegate per la preparazione del mosto concentrato e rettificato;
5.
microfiltrazione: usata per l’acqua destinata alle operazioni di lavaggio dei filtri
impiegati per la stabilizzazione microbiologica dei vini nel corso del processo di
imbottigliamento a freddo;
6.
trattamenti complementari: in base alle esigenze ed alla caratteristiche delle
acque a disposizione possono rendersi necessari anche interventi di deferrizzazione e
demanganizzazione mediante trattamenti di aerazione o con clorazioni spinte, di
eliminazione dell’anidride carbonica per via chimica o meccanica (aerazione), di
fluorazione o di aggiunta di reagenti chimici in grado di evitare corrosioni,
incrostazioni e depositi;
ing. Maines Fernando
241
Elementi per la progettazione di una cantina
Gli impianti di cantina
7.
disinfezione: è essenziale per eliminare la presenza di eventuale contenuto
batterico e generalmente viene effettuato alla sorgente o all’opera di presa dei pozzi
o in un punto opportuno della rete di distribuzione. I sistemi più diffusi sono:
¾ la clorazione con ipoclorito di sodio, ipoclorito di calcio o cloro gassoso con dosaggi
calcolati in modo da assicurare una clorazione residua di 0,1 ÷ 0,3 ppm;
¾ ozonizzazione: più costoso dei composti a base cloro, l’ozono assicura un’ottima
azione disinfettante, anche per il minor impatto sul sapore dell’acqua. L’aria ozonata
viene immessa nell’acqua mediante apposite tubazioni in ceramica porosa poste sul
fondo di vasche o serbatoi. Le bollicine nel corso della risalita effettuano la loro
azione battericida, l’azione di ossidazione delle sostanze organiche e la distruzione di
possibili microinquinanti. Si deve comunque associare con una disinfezione di
mantenimento con cloro gassoso. Tale tecnica si sta diffondendo anche per le
operazioni di pulizia e disinfezione in particolare nei reparti di affinamento nel legno e
per gli impianti di imbottigliamento dove l’ozono può sviluppare la sua azione senza il
pericolo di inibire l’attività dei lieviti;
¾ irraggiamento con radiazioni ultraviolette: si usano lampade a vapori di mercurio con
buone capacità battericide.
Tutto ciò mette in evidenza la complessità del processo necessario per la potabilizzazione di
acque caratterizzate da livelli qualitativi compromessi che richiede la successione di numerosi
interventi fra i quali spiccano una predecantazione, una preozonazione, eventuale riduzione
della durezza, una clorazione intermedia, una chiarificazione, una filtrazione seguita da una
postozonazione ed infine una disinfezione di mantenimento con cloro gassoso.
4.1.3 Rete di distribuzione
E’ costituita da un insieme di tubazioni e di dispositivi di controllo, di intercettazione e di
sicurezza necessari per il trasferimento dell’acqua dall’alimentazione agli utilizzatori.
Se la fonte di approvvigionamento garantisce valori costanti e sufficienti per la portata e per
la pressione, (è questo il caso degli acquedotti gestiti con efficienza e responsabilità), il punto
di presa (o di alimentazione) può essere diretto. Successivamente alla stipula di un contratto
di utenza, che fissa fra le altre cose il limite di erogazione per gli usi previsti, vengono
eseguite, a spese dell’utente, le opera necessarie per l’allacciamento: la derivazione di una
tubazione dalla condotta principale, l’installazione di una saracinesca (valvola di
intercettazione) posta in apposito pozzetto che consente l’esclusione dall’erogazione dall’intero
impianto e di un contatore sigillato.
ing. Maines Fernando
242
Elementi per la progettazione di una cantina
Gli impianti di cantina
In tutti gli altri casi (sorgente, prelievo da pozzo, acquedotti caratterizzati da erogazioni
insufficienti e/o discontinue, …) risulta necessaria la presenza di un serbatoio per assicurare la
necessaria prevalenza ed una maggiore uniformità alla portata e alla pressione di mandata. Si
tratta di vasche di cemento armato (interrate o seminterrate) o di serbatoi metallici fuori terra.
L’alimentazione della rete di distribuzione può avvenire in due modi:
¾ per gravità: si adottano nel caso di alimentazioni caratterizzate da dislivelli rispetto
alla quota di utilizzo, sufficienti a garantire corrette pressioni di esercizio. In caso
contrario per assicurare la necessaria prevalenza, il serbatoio deve essere posto su
una apposita incastellatura o sulla sommità dell’edificio. L’alimentazione del serbatoio
avviene mediante una pompa installata su di una idonea fondazione con un piano di
appoggio regolare e munito di uno strato in materiale in grado di assorbire le
vibrazioni. E’ importante assicurare un efficace protezione contro il gelo ed una
adeguata impermeabilizzazione. Si utilizzano serbatoi in acciaio, vetroresina o
cemento, con fondo sagomato per garantire il completo svuotamento, muniti di uno
sfioratore di troppo pieno e dotati di coperchio per offrire maggiori garanzie
igieniche, diversamente dai serbatoi aperti ormai non più utilizzati;
¾ con gruppo di pressurizzazione: il sistema prevede la presenza di una pompa
centrifuga pilota (per mantenere l’impianto in pressione) e di una o più pompe
(generalmente centrifughe) di servizio che alimentano un serbatoio di accumulo in
pressione (autoclave) che funge da volano, in termini di pressione e di portata per il
sistema di alimentazione. Si tratta di un serbatoio metallico non interamente
occupato dall’acqua a causa della presenza di aria a contatto con il liquido (autoclave
a cuscino d’aria) o separata da esso (autoclave a membrana). L’alimentazione dalla
pompa pilota continua fino a quando l’aria non raggiunge un valore prefissato di
pressione e riprende quando i prelievi da parte dell’impianto idrico fa scendere la
pressione nell’autoclave al di sotto di una prima soglia prefissata. Le pompe di
servizio, invece, entrano in funzione, secondo una successione prestabilita da
appositi pressostati, in seguito a prelievi più consistenti. Sono inoltre presenti gli
indicatori di livello, la valvola di sicurezza, la valvola di scarico e di ritegno. Tale
sistema è da preferirsi ai serbatoi a gravità per la maggior efficienza e la possibilità
di posizionare il serbatoio anche alla base degli edifici.
Immediatamente a valle del punto di presa e a monte dell’eventuale serbatoio di
alimentazione, viene posto il contatore generalmente del tipo a turbina. Deve essere posto in
un luogo protetto e accessibile. La sua presenza è essenziale per quantificare i consumi, non
solamente nei casi di servizio fornito da terzi per il calcolo della bolletta, ma anche nel caso di
fonti di approvvigionamento proprie al fine di mantenere monitorati nel tempo i consumi di
acqua, premessa necessaria per una efficace analisi finalizzata al loro contenimento.
Di seguito al contatore vengono installati vari dispositivi di controllo e di sicurezza:
¾ un rubinetto di intercettazione generale con il duplice scopo di regolatore di
portata e di esclusione dell’alimentazione;
ing. Maines Fernando
243
Elementi per la progettazione di una cantina
Gli impianti di cantina
un
riduttore
di
pressione
per
rendere
indipendente la pressione dell’impianto da quella del
sistema di alimentazione;
¾ una valvola di ritegno o di non ritorno per
impedire rientri in acquedotto o nel serbatoio a
causa di eccessive diminuzioni delle pressioni di
alimentazione;
¾ gli organi di sicurezza per proteggere le parti più
delicate dell’impianto dall’azione di pressioni
eccessive, sia indotte della rete esterna o da un
aumento di temperatura dell’acqua ad erogazione
chiusa;
¾ un filtro di protezione, generalmente a maglia metallica o con cartucce in materiale
sintetico, per bloccare sabbie o altre particelle provenienti dall’alimentazione o
prodottesi durante il percorso (depositi di calcare,
frammenti di ruggine, …);
¾ eventuali sistemi di depurazione, in particolare per
correggere la durezza e/o per deodorizzare con sistemi a
carboni attivi.
La rete distributiva, costituita dalla rete di distribuzione, dalle
colonne e dalle diramazioni terminali, deve essere proporzionata in
modo da assicurare agli utilizzatori valori corretti per le portate e
per le pressioni residue; un altro aspetto fondamentale riguarda la
scelta dei percorsi per le tubazioni, che risulta condizionata da
ragioni di ingombro, di costo, di gestione dei livelli di igiene,
compatibilmente con gli elementi architettonici, l’organizzazione e la strutturazione degli spazi.
In taluni casi, come nella bottaia, non si devono dimenticare anche le implicazioni estetiche
connesse alla presenza o meno di tubazioni a vista.
La rete di distribuzione o rete principale comprende l’insieme delle tubazioni che dal
punto di presa principale giunge fino al piano più basso dove si dipartono le colonne di
alimentazione dei piani superiori. E’ costituita principalmente da tratti ad andamento
orizzontale (installati con una pendenza di almeno 5% per consentire all’aria di liberarsi verso
l’alto) strutturati in diversi modi:
¾ rete in linea: la tubazione principale sub-orizzontale è costituita dallo sviluppo lineare
di un solo tubo che congiunge le basi delle diverse colonne montanti che devono
essere in numero limitato; alla base di ogni colonna si devono installare dei regolatori
di pressione per la regolazione delle perdite di carico;
¾ rete a zampa d’oca o a pettine: è costituita da un collettore principale suborizzontale, scelto secondo il percorso più breve tra il punto di presa ed la montante
più lontana, da cui si dipartono dei tratti secondari (ogni diramazione è munita di un
rubinetto di intercettazione) per alimentare ogni singola colonna;
¾ rete ad anello: è il sistema più costoso ma che consente di intervenire su un settore
di rete garantendo l’alimentazione alla parte rimanente dell’anello. La struttura può
divenire ancora più complessa (rete a maglie), se i percorsi per arrivare ad ogni
punto di diramazione sono più di due. Indipendentemente dal tipo di struttura la
distribuzione può avvenire dalla base (a sorgente) o dalla sommità (a pioggia); se i
due sistemi coesistono si parla di rete a gabbia.
¾ Le colonne sono costituite da tubazioni verticali alimentate dalla rete di distribuzione
orizzontale. Nel tratto iniziale sono munite di sistemi di intercettazione (rubinetti di
arresto a vite, rubinetti a sfera o valvole a saracinesca) e di un rubinetto di scarico
per consentire gli interventi di manutenzione e di riparazione in assenza di acqua.
Vengono generalmente poste in appositi cavedi opportunamente ventilati mediante
griglie.
¾ Infine si hanno le diramazioni che collegano le colonne con un gruppo significativo,
ma limitato, di punti di utilizzo, che in una cantina generalmente corrispondono con
quelli di uno o più reparti. E’ importante che ciascuna diramazione, costituita da una
tubazione sub-orizzontale, sia intercettata, mediante apposito rubinetto (di
¾
ing. Maines Fernando
244
Elementi per la progettazione di una cantina
intercettazione o di arresto),
dall’erogazione dell’acqua.
Gli impianti di cantina
per
escludere
il
relativo
settore
di
impianto
La strutturazione delle singole diramazioni si deve basare sul principio che i percorsi che
portano ai diversi reparti non devono risultare eccessivamente disomogenei fra loro, dal punto
di vista delle perdite di carico, sempre che non si utilizzino reti ad anello.
I tratti terminali possono raggiungere i diversi erogatori mediante collegamenti in serie o in
parallelo. In quest’ultimo caso si utilizzano appositi collettori costituiti da un elemento
tubolare in bronzo con un punto di collegamento alla tubazione di alimentazione ed una serie di
manicotti filettati ai quali si collegano i tubi per alimentare ogni utenza in modo indipendente.
In ogni caso le tubazioni vanno installate in modo di evitare sacche o cuscini di aria che
diminuiscono la sezione di flusso dell’acqua o ne impediscono il passaggio; si devono
assicurare pendenze costanti verso i punti di erogazione o i montanti, i quali devono terminare
con ammortizzatori dei colpi d’ariete e punti di sfiato d’aria. Gli attraversamenti di pareti e
solai saranno realizzati in controtubo o mediante avvolgimenti con materiali anti-aderenza ed
appositi staffaggi nei tratti orizzontali.
Le tubazioni principalmente utilizzate per la rete di distribuzione, le colonne e le diramazioni
possono essere in:
¾ acciaio zincato trafilato (senza saldature) o saldati di diametro da ¾’’ a 2”, uniti per
saldatura autogena o mediante raccordi filettati e ricoperti da guaina protettiva di
materiale plastico;
ing. Maines Fernando
245
Elementi per la progettazione di una cantina
¾
¾
Gli impianti di cantina
rame del tipo ricotto (per le tubazioni sotto traccia): con diametri compresi fra 15 e
28 mm, si caratterizzano per la buona resistenza alla corrosione e per i ridotti tempi
di messa in opera grazie ai collegamenti con pezzi speciali (giunti a compressione,
raccorderia in teflon che danno tenuta in seguito al serraggio) o mediante saldatura a
caldo. Generalmente sono ricoperti da guaina protettiva di materiale plastico;
materiali plastici (PVC, PEAD, polipropilene): le tubazioni, caratterizzate da un’alta
resistenza alla corrosione, una limitata dispersione termica, una bassa resistenza
idraulica e da una minore rumorosità dell’impianto, vengono unite mediante
saldatura a solvente o giunti a compressione. Nuove soluzioni, opportunamente
strutturate per assicurare resistenza e flessibilità, utilizzano tubazioni retinate
(rinforzo in filato di poliestere) oppure tubazioni multistrato che associano ai
materiali plastici (polietilene reticolato) anche un’anima metallica in alluminio in
grado di operare da barriera alla diffusione dell’ossigeno all’interno dell’impianto
(causa di indesiderati effetti corrosivi dei componenti metallici ferrosi). Lo stesso
risultato viene ottenuto sostituendo l’alluminio con particolari resine che conferiscono
alla tubazione una flessibilità tale da consentire il loro inserimento in apposite guaine
inglobate nel sottofondo dei pavimenti o in apposite tracce nei muri assicurando in
tal modo minori tempi di posa in opera, la possibilità di sostituire i tubi sfilandoli dalla
guaina di messa in opera e la possibilità di variare la portata verso ciascuna utenza
regolando i rubinetti incorporati nei collettori che sono posti in cassette a parete (e
perciò ispezionabili).
In particolare per le cantine, bisogna distinguere fra due tipi di utilizzazioni dell’acqua: gli
usi sanitari o comunque tradizionali (docce, servizi igienici, laboratorio, lavabicchieri,…) e usi
collegati ai reparti produttivi. Nel primo caso si adottano soluzioni tipiche dell’edilizia abitativa
caratterizzate da tubazioni poste sotto traccia o inglobate nel sottofondo dei pavimenti, munite
di rivestimento protettivo o posate in controtubi che consentono una facile sostituibilità. Sono
inoltre corredate dai classici dispositivi di controllo e di sicurezza (rubinetti di intercettazione
per regolare la portata e per escludere parti dell’impianto, valvola di non ritorno, …) e
alimentano singoli rubinetti, gruppi di erogazione o gruppi di miscelazione con acqua calda.
ing. Maines Fernando
246
Elementi per la progettazione di una cantina
Gli impianti di cantina
Nel caso, invece, dei reparti produttivi si utilizzano quasi esclusivamente tubazioni
(generalmente con collegamenti in serie), in acciaio zincato di diametro da 1” a 3”, in
polietilene ad alta densità o in PVC con diametri da 22 a 40 mm, posate a vista su pilastri o
pareti mediante apposite staffe. Le tubazioni vengono inserite in coppelle di materiale
termoisolante, protetto da una guaina in plastica rigida, per evitare fenomeni di condensazione
sulla superficie esterna, indotti dalla contemporanea presenza di elevata umidità relativa
ambientale e di basse temperature dell’acqua (fra i 5 e i 10 °C). Si può in tal modo evitare il
gocciolamento sui pavimenti, le infiltrazioni negli intonaci ed i conseguenti processi di degrado
superficiale delle pareti.
I reparti operativi si contraddistinguono anche per un maggiore fabbisogno di pressione di
esercizio agli utilizzatori, in particolare per l’esecuzione delle operazioni di pulizia. La richiesta
di una maggiore efficienza esecutiva e di una riduzione dei consumi d’acqua, rendono sempre
più conveniente la predisposizione di due impianti idrici indipendenti, uno ad alta pressione (3
÷ 5 bar) ed uno a media pressione (1 ÷ 2) bar. Questo risultato può essere ottenuto anche
operando su un singolo impianto, attraverso l’opportuna disposizione di regolatori di pressione
(in presenza di un’alimentazione con sufficiente prevalenza) o con l’ausilio di apposite pompe
disposte in corrispondenza degli utilizzatori, soluzione che si contraddistingue per la semplicità
ma anche per gli inevitabili ingombri e per la rumorosità non trascurabile.
L’erogazione, comandata mediante valvola a sfera, avviene attraverso attacchi rapidi posti
ad altezza di 1 ÷ 1,5 m dal pavimento per l’innesto delle tubazioni mobili in materiale flessibile
(gomme sintetiche) o attraverso attacchi con collegamento permanente per le macchine
enologiche e le attrezzature fisse che necessitano di un alimentazione idrica per il loro
funzionamento. La loro distribuzione (uno almeno ogni 10 m in punti facilmente accessibili ed
in sicurezza rispetto alla rete elettrica) deve assicurare una completa copertura del reparto.
4.1.4 Dimensionamento della rete
Come si è già più volte sottolineato, per un efficace e corretto dimensionamento è
necessaria innanzi tutto una precisa conoscenza dei fabbisogni di acqua in termini qualitativi e
quantitativi e l’individuazione del fattore di contemporaneità di esercizio. La progettazione,
infatti, richiede metodologie di calcolo sufficientemente rigorose per evitare fenomeni dinamici
in grado di determinare depressione nella rete distributiva, errori di dimensionamento dei
diametri delle tubazioni e oscillazioni di pressione eccessive in fase di chiusura dei rubinetti
(colpi d’ariete).
Inizialmente si esegue un proporzionamento di massima mediante la realizzazione di uno
schema rappresentativo dell’intero sviluppo della rete con tutti i punti di erogazione da
alimentare. Questi i principali passaggi operativi:
¾ per ogni utilizzatore si individua la pressione residua necessaria in funzione del tipo
di utilizzo previsto;
ing. Maines Fernando
247
Elementi per la progettazione di una cantina
Gli impianti di cantina
partendo dall’utilizzatore più lontano e procedendo progressivamente fino al punto di
presa, si suddivide il percorso in tratti caratterizzati dalla costanza della portanta il
cui valore (portata ridotta) viene segnato assieme alla lunghezza del relativo tratto di
tubazione. Nel calcolo della portata totale si ipotizza che non tutte le utenze risultano
contemporaneamente attivate; a tale scopo si introduce un coefficiente di
contemporaneità (di norma 0,5 mentre per piccoli impianti con pochi utilizzatori e
pochi rami in parallelo si utilizza 1,0) da utilizzare anche in caso di presenza di più
rami in parallelo;
¾ per ciascun tratto di tubazione si individuano le perdite di carico localizzate dovute
alle discontinuità presenti nella geometria della tubazione (allargamento o
restringimento di sezione, curva, …) o dovute alla presenza di pezzi speciali (valvole,
raccordi, …). Tali perdite si possono calcolare con la relazione y = Kc2/2g dove il
coefficiente K, che dipende dal tipo di discontinuità, viene individuato
sperimentalmente dai produttori e riportato in apposite tabelle o abachi. Il valore
ottenuto viene trasformato, per ciascun tipo di discontinuità e di diametro del tubo,
in “lunghezza equivalente5 di tubazione” da sommarsi alla lunghezza reale di ciascun
tratto, ottenendo in tal modo la lunghezza totale);
¾ calcolo delle perdite di carico distribuite mediante la relazione y = kQ2/D5 o più
comunemente mediante apposite tabelle ed abachi realizzati dai produttori per i
diversi tipi di materiale in funzione della portata, della rifinitura superficiale dei tubi e
della velocità dell’acqua. Dato che le perdite di carico aumentano più che
proporzionalmente all’aumentare della velocità dell’acqua, è bene non superare mai i
2 m/s nelle tubazioni principali e 1 m/s nelle diramazioni. Valori ancora più bassi (0,8
÷ 1 m/s) consentono di contenere anche la rumorosità dell’impianto.
Il dimensionamento si effettua procedendo dal punto di attacco fino all’utenza più sfavorita,
determinando i diametri di massima mediante apposite tabelle di calcolo in funzione delle
grandezze precedentemente individuate (lunghezze totali, portare ridotte e perdite di carico
distribuite).
¾
A questo punto, essendo note tutte le grandezze in gioco (velocità, portate, diametro e tipo
di tubazione) è possibile determinare esattamente le perdite di carico e verificare che:
¾ le perdite di carico totali dal punto di presa fino all’utilizzatore più sfavorevole devono
differire dal valore della pressione di rete di una quantità almeno pari alla pressione
residua prefissata. In caso contrario occorre fornire al liquido ulteriore energia
5
Rappresenta la lunghezza del tratto di tubazione che darebbe origine a perdite di carico distribuite (determinate
dall’azione del moto dell’acqua sulle pareti della tubazione) pari alle perdite di carico localizzate indotte dalla
discontinuità in esame.
ing. Maines Fernando
248
Elementi per la progettazione di una cantina
Gli impianti di cantina
aumentando la prevalenza del sistema di alimentazione6 oppure si riducono le perdite
di carico aumentando i diametri delle tubazioni (diminuendo pertanto la velocità
dell’acqua). E’ possibile anche intervenire per aumentare, se necessario, le perdite di
carico riducendo i diametri delle tubazioni oppure con l’interposizione nella rete di
eventuali perdite locali addizionali;
¾ le predite di carico riferite a due diversi utilizzatori non devono differire del 20%.
E’ ora possibile la determinazione definitiva dei diametri delle tubazioni.
Nel caso di piccoli impianti si può ricorrere a criteri empirici (semplificati) di
dimensionamento che consentono in breve tempo, mediante apposite tabelle di ottenere un
soddisfacente dimensionamento (per quanto comunque approssimativo) delle tubazioni.
Si ricordano in fine alcuni aspetti peculiari degli impianti idrici:
¾ l’acqua può diventare corrosiva nei confronti dei materiali metallici a causa di
fenomeni chimici per la presenza di acidi o per l’azione dell’ossigeno disciolto, di
fenomeni elettrochimici a causa della presenza di due metalli (in particolare in
prossimità di saldature dove un materiale può comportarsi da anodo e l’altro da
catodo secondo un processo che non raggiunge mai l’equilibrio) oppure a causa di
correnti vaganti nel caso di tubazioni interrate in presenza di umidità e di dispersioni
elettriche;
¾ diversi fenomeni possono essere causa di rumorosità: velocità eccessive dell’acqua,
presenza di discontinuità nella rete, apertura incompleta ed impropria dei rubinetti,
fenomeni di cavitazione, dilatazione delle tubazioni al passaggio di acqua calda ed il
loro conseguente scorrimento sulle murature, colpi d’ariete, l’azione di pompe e di
altri sistemi di pressurizzazione. L’emissione può essere ridotta grazie all’utilizzo di
tubazioni in materiale plastico, l’uso di discontinuità fonoassorbenti nelle tubazioni
metalliche, l’utilizzo di discontinuità che evitino il contatto rigido fra tubazioni e
murature, il mantenimento della velocità dell’acqua sotto i 2 m/s, il contenimento
delle pressioni statiche sotto i 4 bar, la cura nel limitare al massimo curve e
discontinuità e l’utilizzo di materiale fonoassorbente nei cavedi predisposti per
alloggiare le tubazioni dell’impianto idrico. Per quanto riguarda il rischio di dispersioni
elettriche lungo le tubazioni (se metalliche) e la conseguente possibilità di
elettrocuzione per gli operatori, si ricorda l’obbligo di collegare tutta la rete idrica
all’impianto di messa a terra (questo aspetto, valido per tutte le reti di distribuzione
mediante tubazioni metalliche presenti in cantina, verrà approfondito nel paragrafo
dedicato all’impianto elettrico).
6
Nel caso, invece, l’impianto di approvvigionamento fosse caratterizzato da pressioni di esercizio eccessive diventa
necessario inserire all’inizio della rete di distribuzione opportuni riduttori di pressione.
ing. Maines Fernando
249
Elementi per la progettazione di una cantina
Gli impianti di cantina
4.2 Impianto termico
E’ un impianto in grado di trasformare l’energia potenziale chimica di un combustibile
(generalmente si utilizza gasolio, metano o G.P.L., ma anche legna o altri residui vegetali) in
energia termica e di trasferirla ad un fluido termovettore. Un sistema di distribuzione costituito
da tubazioni provvede ad alimentare i dispositivi predisposti per trasferire il calore all’ambiente
nella quantità e con le modalità prefissate, in modo da assicurare corretti livelli di benessere
prefissati per gli operatori e per i prodotti della vinificazione.
La scelta della tipologia impiantistica più idonea ed il corretto dimensionamento dell’intero
sistema richiede un’attenta analisi dei requisiti ambientali e delle caratteristiche dell’edificio. Le
prestazioni, la durata ed i costi di gestione dell’impianto termici sono infatti strettamente
correlati con le caratteristiche degli elementi costruttivi ed in particolare con la loro capacità di
proteggere l’ambiente interno dalle variazioni di temperatura.
In una cantina il dimensionamento dell’impianto termico è ulteriormente complicato dal
fatto che il generatore di calore si inserisce in un quadro articolato e complesso connesso con
altri utilizzi di energia termica diversi dal riscaldamento ambientale7, necessari per soddisfare
ulteriori fabbisogni di vapore e di acqua calda. L’impianto termico pertanto può risultare
strettamente correlato con altri impianti. Il livello e le modalità di integrazione devono essere
attentamente valutate caso per caso, prendendo in considerazione i diversi fabbisogni termici
(quantità di calore necessarie, tipologia e temperature dei fluidi utilizzati, …) e la loro
distribuzione nel corso dell’anno in modo da evidenziare la contemporaneità o meno delle
richieste.
Gli impianti termici si possono classificare secondo diversi aspetti:
¾ la potenza termica: bisogna innanzi tutto distinguere fra potenza termica al
focolare (quantità di calore sviluppata, per ogni ora, nella camera di combustione) e
la potenza termica utile (quantità di calore effettivamente trasferita, per ogni ora, al
fluido termovettore). La normativa distingue grandi generatori (con potenze termica
al focolare superiore ai 35 kW) e piccoli generatori (Wf < 35 kW) e fissa per i primi
un rendimento minimo (η=Wu/ Wf in corrispondenza della massima potenza utile),
maggiore di 87,3 ÷ 89,2 % e maggiore di 86,5 ÷ 87,0 % per i secondi (questi valori
si riferiscono a caldaie ad acqua). Si ricorda, inoltre, che nel caso di potenze termiche
installate superiori a 116 kW, è necessario il Certificato di Prevenzione Incendi
rilasciato dai Vigili del Fuoco;
¾ la strutturazione del sistema di generazione rispetto ai fabbisogni termici: si può
adottare un unico impianto centralizzato per il riscaldamento di più reparti, di un
edificio o di più edifici, installato in un apposito locale (centrale termica), oppure si
possono installare più generatori di limitata potenzialità, localizzati in modo da
servire uno o al più alcuni reparti, ciascuno con la propria rete di distribuzione.
Questo tipo di soluzione ben si adatta a cantine medio-piccole con ridotte esigenze di
termalizzazione dei reparti operativi in confronto agli altri fabbisogni di energia
termica. Consente inoltre di regolare la potenza termica ed il funzionamento dei
generatori in base ai requisiti termici ed ai periodi di attività di singoli reparti o di
entità operative più complesse. Generalmente questi generatori sono alimentati a
gas, con potenza termica non superiore a 35 kW e pertanto regolamentati dalle
norme UNI-CIG 7129/1992. Questi sistemi possono comportare un rilevante
risparmio di combustibile, per quanto non siano in grado di assicurare gli elevati
rendimenti che caratterizzano gli impianti di maggiore dimensione. Le due soluzioni
ora presentate possono essere variamente combinate per individuare e realizzare il
sistema di generazione termica in grado di rispondere in modo ottimale alle
specifiche esigenze di ciascuna realtà produttiva;
¾ la sorgente di energia: principalmente si utilizzano il gasolio, il gas metano o il
G.P.L.(gas di petrolio liquefatto), per la maggiore semplicità di gestione del
7
Controllo della temperatura dei serbatoi per la fermentazione dei mosti e per lo stoccaggio del vino, operazioni di
pulizia e di sanitizzazione dei reparti e delle attrezzature, alimentazione di macchine enologiche (segmenti della linea
di imbottigliamento, filtri, …), alimentazione delle batterie di pre- e post-riscaldamento delle unità di trattamento aria
(UTA), reidratazione dei lieviti, ecc.
ing. Maines Fernando
250
Elementi per la progettazione di una cantina
Gli impianti di cantina
rifornimento (soprattutto nel caso del metano fornito attraverso rete di
distribuzione). In questi ultimi anni si sta dimostrando sempre più interessante
l’utilizzo delle biomasse derivanti dalla gestione del vigneto o dal recupero dei raspi o
di sottoprodotti dei processi di trasformazione dell’industria del legno o di quella
manifatturiera. Decisamente poco opportuno risulta l’utilizzo dell’energia elettrica,
visto il suo alto valore energetico, se si esclude la produzione occasionale di piccole
quantità di acqua calda come, ad esempio, nel laboratorio o nella sala di
degustazione oppure nel caso di localizzazioni caratterizzate da uno sfavorevole
collegamento ad un sistema di produzione centralizzato. Da ricordare anche il
significativo apporto che può dare l’uso dell’energia solare a supporto dei sistemi di
produzione termica tradizionali. In tutti i casi si sottolinea l’opportunità di installare
sistemi di contabilizzazione dei consumi (scontata la presenza dei contatori per gli
impianti collegati alla rete del gas mentano) per poter monitorare l’entità e
l’andamento nel tempo dei fabbisogni termici, al fine di adottare eventuali strategie
per il loro contenimento;
¾ il fluido termovettore utilizzato: si tratta generalmente di acqua o di vapore (nel
caso che il fluido termovettore debba essere trasferito a grande distanza e richieda
pertanto elevate temperature di partenza). In entrambi i casi è fondamentale
assicurare un alimentazione della caldaia con acqua di reintegro priva di sostanze in
sospensione ed in soluzione per evitare pericolosi depositi ed incrostazioni che
causano riduzione delle sezioni utili nette nelle tubazioni e determinano pericolosi
surriscaldamenti sulle pareti in prossimità del focolare. Si devono inoltre verificare le
caratteristiche chimiche che possono dare origine a possibili fenomeni di corrosione.
Si rende pertanto necessario un eventuale condizionamento chimico, a monte delle
tubazioni di carico e reintegro e della pompa di circolazione, mediante un filtro di
sicurezza ed un sistema addolcitore nel caso che la temperatura dell’acqua superi i
60 °C. Qualora al controllo della temperatura si debba associare un’azione di
climatizzazione più intensa, come fluido termovettore si può utilizzare l’aria. In tal
modo è possibile ottenere consistenti cambi d’aria ed interventi sull’umidità relativa
ambientale, in particolare nei reparti operativi;
¾ il principio di diffusione del calore nell’ambiente che può avvenire con utilizzatori
a conduzione (radiatori), a convezione (termoconvettori e ventilconvettori) o a
radianza (termostrisce o tubi radianti).
La scelta del sistema di generazione più idoneo dipende da molti fattori fra i quali spiccano
le condizioni ambientali locali, il numero e la reciproca disposizione degli edifici, le loro
caratteristiche strutturali e architettoniche (materiali usati, tipologie e modalità costruttive), la
strutturazione dei diversi reparti, la potenza termica necessaria per soddisfare i diversi
fabbisogni nel corso delle varie fasi che contraddistinguono il processo di produzione enologica,
la reperibilità e i costi dei diversi combustibili. La valutazione di tutti questi aspetti consentirà
di verificare la fattibilità, tecnica ed economica, dell’introduzione di tecnologie e/o di energie
alternative rispetto a quelle tradizionali, come la cogenerazione o i collettori solari.
Per poter determinare il reale fabbisogno termico della cantina per il solo riscaldamento dei
diversi reparti, è necessario effettuare una gran mole di calcoli e di verifiche per la
determinazione della potenza termica che il sistema di generazione deve essere in grado di
erogare. Deve essere eseguito il bilancio energetico dell’intero sistema racchiuso dall’involucro
edilizio (di cui si deve attentamente valutare il grado di isolamento termico) e dell’impianto
termico, in modo da mettere in confronto il sistema di produzione dell’energia termica con le
prestazioni di tutte le parti dell’edificio suscettibili di disperdere calore verso l’ambiente esterno
e verso locali non riscaldati o riscaldati a temperature più basse.
L’intero processo viene condotto secondo i criteri fissati dalla norma UNI TS 11300/2008, in
attuazione dei principi definiti dal D.Lgs. del 19 agosto 2005 n. 192 in attuazione della direttiva
2002/91/CE, dal D.Lgs. del 29 dicembre 2006 n. 311, dal D.Lgs. del 30 maggio 2008 n. 115 e
integrati dal D.P.R. n. 59/2009 per quanto riguarda il calcolo estivo. A tale quadro normativo si
devono aggiungere le eventuali disposizioni emanate dalle Regioni o delle Provincie Autonome.
In tal modo il legislatore ha inteso regolare i consumi di energia negli edifici (le cantine
rientrano nella categoria E.8 – Edifici adibiti ad attività industriali e artigianali e assimilabili),
per contenere la spesa energetica e ridurre l’impatto ambientale derivante, grazie ad un uso
ing. Maines Fernando
251
Elementi per la progettazione di una cantina
Gli impianti di cantina
razionale dell’energia, al perseguimento del risparmio energetico ed all’utilizzo delle fonti
rinnovabili di energia. I requisiti di legge sono da applicare nel caso di nuova costruzione o in
occasione di consistenti ristrutturazioni (rifacimento dell’impianto termico, rifacimento della
coibentazione, rifacimento del tetto in misura superiore al 25 %, …) mediante l’adozione di
idonei sistemi di termoregolazione e di contabilizzazione del calore.
Il processo di progettazione si concretizza in una relazione sul contenimento dei consumi
energetici (comunemente indicata come “relazione legge 192” e fino a poco tempo fa come
“relazione legge 10”), da presentare obbligatoriamente in sede di richiesta di concessione
edilizia e che deve essere redatta da un tecnico abilitato8. La complessità dei calcoli previsti
dalla normativa ha richiesto lo sviluppo di una figura professionale specifica e di specifici
prodotti software. La normativa, inoltre, ha introdotto la figura del responsabile di impianto (il
proprietario, il responsabile delle produzioni o una terza persona) in possesso di idonei requisiti
se la potenza termica supera i 350 kW.
L’obiettivo è la determinazione del valore dell’Indice di prestazione energetica (espresso in
kWh/m2anno per gli edifici residenziali e in kWh/m3anno per gli edifici industriali) che
rappresenta l’energia primaria9 consumata necessaria per riscaldare di 1 m2 o 1 m3 di
ambiente riscaldato. Il valore ottenuto per l’indice di prestazione energetica deve risultare
inferiore ad un valore limite definito in base al concetto di grado-giorno10. Ciò è possibile
operando opportunamente sull’isolamento termico dell’edificio, sul rendimento medio
stagionale del generatore (anch’esso deve risultare maggiore di un valore limite), sul
rendimento dei sistemi di distribuzione, di regolazione e di emissione del calore, sul recupero
termico dell’aria scambiata, sull’esposizione ed il dimensionamento delle superfici vetrate.
Il valore dell’indice di prestazione energetica deriva dal bilancio fra tutti i diversi apporti e
tutte le possibili perdite e consente di definire il fabbisogno annuale di energia primaria che il
sistema di produzione e di distribuzione deve assicurare per soddisfare i fabbisogni energetici
8
La relazione sul contenimento dei consumi energetici non deve essere confusa con l’Attestato di certificazione
energetica richiesta per i nuovi edifici all’atto del rogito, introdotta in Provincia di Trento dall’1 novembre 2009. La
qualificazione energetica viene svolta, da tecnico qualificato ed abilitato, secondo parametri più restrittivi rispetto alla
verifica della legge 192.
9
Per energia primaria di intende l’energia effettivamente consumata considerando gli eventuali rendimenti in sede
di produzione, trasferimento e utilizzo.
10
Il grado-giorno è dato dalla differenza positiva fra la temperatura da garantire all’ambiente interno e la
temperatura media giornaliera. Ogni comune è stato inserito in una zona climatica e si caratterizza per l’altitudine sul
livello del mare, per il valore complessivo di gradi-giorno relativi ad un periodo convenzionale di riscaldamento e per la
temperatura esterna invernale di progetto (ad esempio per Trento questi valori ammontano rispettivamente a 194 m,
a 2567 gradi-giorno e a –12 °C). La temperatura di riferimento va inoltre aumentato di 1°C per ogni 200 m di
altitudine in meno, diminuito di 1°C per ogni 200 m in più e lasciato inalterato per una variazione di altitudine entro i
200 m. Di deve inoltre aggiungere una riduzione da 0,5 a 1 °C per piccoli agglomerati e da 1 a 2 °C per edifici isolati.
ing. Maines Fernando
252
Elementi per la progettazione di una cantina
Gli impianti di cantina
di riscaldamento dell’edificio. Nel calcolo, eseguito sommando i valori medi dei contributi
energetici di ciascun mese11, si devono considerare le seguenti quantità energetiche:
¾ energia termica scambiata per trasmissione e ventilazione attraverso l’involucro
dell’edificio: questa grandezza dipende prima di tutto dal valore della temperatura da
assicurare all’interno dell’edificio e dai parametri climatici locali. Si devono pertanto
conoscere, per tutti i mesi relativi al periodo di riscaldamento, i valori medi mensili
della temperatura dell’aria esterna, della velocità e della direzione prevalente del
vento ed il valore globale giornaliero medio mensile della radiazione totale incidente
sulle diverse esposizioni.
Il calcolo delle dispersioni deve essere effettuato per ciascuna zona omogenea in cui è
suddivisa la cantina, zone cioè caratterizzate dallo stesso livello di temperatura. Per ciascuna di
esse si devono individuare i confini costituiti dalle pareti e dai solai che le separano
dall’esterno, da ambienti non riscaldati o da ambienti riscaldati posti a temperatura diversa.
Verranno ora esaminati, in modo schematico, gli elementi da prendere in considerazione per la
determinazione dei diversi apporti energetici.
¾
energia scambiata per trasmissione con l’ambiente esterno (QT):
o
attraverso superfici opache: il comportamento di una parete relativamente
allo scambio di calore viene definito mediante la trasmittanza termica12, che
dipende dallo spessore e dalle caratteristiche di ciascun materiale che forma
la parete stessa. In particolare ogni materiale utilizzato in edilizia si
caratterizza per il valore della conduttività termica (λ) e viene classificato
come isolante termico se il λ è inferiore a 0,1 W/(m·K);
o
attraverso superfici vetrate: valgono le stesse considerazioni fatte per i
materiali opachi, con la differenza che le quantità di calore scambiato sono
generalmente molto superiori viste le caratteristiche del vetro ed i ridotti
spessori. Per contenere gli scambi termici è necessario pertanto adottare le
soluzioni più idonee fra quelle proposte dal mercato (vetri bassoemissivi, le
lastre a vetri doppi o tripli separate da sottili camere sotto vuoto oppure
riempite con aria o con gas a bassa trasmittanza, …);
o
attraverso ponti termici: si tratta di zone particolari caratterizzate da una
elevata concentrazione del flusso di calore che sfugge verso l’esterno. I ponti
più frequenti sono rappresentati dai diedri d’intersezione tra due pareti
verticali oppure tra una parete ed un solaio (superiore o inferiore), dalle
zone d’intersezione tra pareti perimetrali e solai intermedi dell’edificio,
11
Si valuta il bilancio giornaliero effettuato nel giorno di caratteristiche medie mensili e si considerano i contributi
energetici costanti nel corso di ciascun mese.
12
La trasmittanza termica è data dall’inverso della sommatoria delle resistenze termiche dei vari strati costituenti
l’elemento edilizio (direttamente proporzionale agli spessori e inversamente proporzionali alle conduttività termiche dei
materiali utilizzati), delle conduttanze di eventuali intercapedini d’aria e delle adduttanze (interna ed esterna) che
quantificano il calore disperso lungo le superfici dalla parete, a causa dei moti convettivi dell’aria.
s
1 1
1
= +∑ i +
k α1
λi α 2
ing. Maines Fernando
253
Elementi per la progettazione di una cantina
¾
¾
¾
¾
¾
¾
¾
¾
Gli impianti di cantina
oppure tra pareti perimetrali e pareti interne, dalle aree delle pareti
perimetrali in cui sono inseriti i pilastri di calcestruzzo armato e dagli
elementi di contorno dei serramenti (davanzali, stipiti ed architravi).
energia scambiata per trasmissione con il terreno (QG) che dipende da:
o
l’estensione delle superfici (pareti e pavimenti) a contatto con il terreno e le
loro caratteristiche geometriche (area disperdente e perimetro esterno);
o
le caratteristiche di isolamento del pavimento e delle murature interrate
(tipo, spessore e localizzazione dell’isolamento);
o
le caratteristiche fisiche del terreno;
o
le caratteristiche della falda (quota rispetto al pavimento, portata volumica e
pendenza del moto del fluido di falda).
energia scambiata per trasmissione con ambienti adiacenti non riscaldati (QUt): la
temperatura di tali ambienti è compresa fra quella esterna e quella delle aree
riscaldate e dipende dall’equilibrio tra i flussi termici scambiati per differenza di
temperatura e quelli dovuti a sorgenti di energia, quali gli apporti solari e quelli
interni;
energia scambiata per trasmissione con zone a temperatura prefissata (QAt);
energia scambiata per ventilazione naturale con l’esterno attraverso l’apertura di
porte e finestre e per infiltrazione attraverso i serramenti chiusi (QV): dipendono
principalmente dalla differenza di pressione tra l’interno e l’esterno (che si crea per
effetto della velocità e della direzione del vento), dalla differenza tra temperatura
interna ed esterna e dal tipo di schermatura dell’edificio rispetto alle condizioni
esterne. Si deve considerare inoltre l’eventuale presenza di ventilazione forzata il cui
apporto dipende dalle caratteristiche del relativo impianto (la portata dell’aria del
sistema di ventilazione, la portata d’aria del sistema di espulsione ed il numero di ore
di funzionamento);
energia scambiata per ventilazione con ambienti adiacenti non riscaldati (QUv):
energia scambiata per ventilazione con zone a temperatura prefissata (QAv).
La somma di tutti i precedenti contributi (indicata con QL) rappresenta l’energia
termica scambiata per trasmissione e ventilazione. I soli contributi dovuti alla
trasmissione (QT, QG, QUt e QAt) consentono di calcolare il coefficiente di dispersione
termica effettiva Cd(eff). Tale valore deve risultare inferiore al valore del coefficiente di
dispersione termica massima ammissibile Cd(max) da calcolare in base alla categoria
dell’edificio, al rapporto di forma tra la superficie disperdente ed il volume riscaldato,
ai gradi-giorno del comune ed alla zona climatica di appartenenza.
Infine si devono considerare i flussi termici connessi al moto di fluidi entranti (acqua,
gas, mosto, vino, …) e al moto di fluidi uscenti (aria di ricircolo e soprattutto, nel
caso delle cantine gli abbondanti reflui), le cui quantità e caratteristiche sono state
individuate nel corso dell’analisi preliminare;
ing. Maines Fernando
254
Elementi per la progettazione di una cantina
Gli impianti di cantina
energia termica dovuta alle sorgenti interne ed alle radiazioni solari: sono
rappresentati da tutti quei contributi energetici non legati all’impianto di
riscaldamento. Quelli interni (Qi) sono dovuti a:
o
funzionamento di apparecchiature e macchine alimentate da motori (elettrici
ed endotermici) o che utilizzano fluidi caldi (pastorizzatori, linee di
imbottigliamento, …);
o
l’utilizzo di acqua sanitaria, di acqua calda, di vapore o di aria compressa nel
corso delle attività di cantina;
o
presenza di masse di mosto o di vino in fermentazione;
o
accensione di corpi illuminanti;
o
presenza di persone che emettono calore metabolico in misura variabile con
la corporatura e, soprattutto, con l’intensità dell’attività lavorativa.
A questi si deve aggiungere il contributo dovuto alla radiazione solare (Qsol) che si trasmette
attraverso gli elementi opachi e quelli trasparenti dell’involucro dell’edificio. Tali apporti
dipendono da:
o
entità della radiazione solare incidente su ciascuna parete;
o
caratteristiche geometriche dei diversi componenti edilizi (opachi e
trasparenti);
o
proprietà termofisiche dei componenti.
¾ energia termica richiesta dell’edificio per mantenere le temperature prefissate:
deriva dal fabbisogno energetico utile teorico (Qh), ottenuto dalla somma di tutti i
precedenti contributi considerati con il segno appropriato. Il risultato dovrà essere
corretto per riportarlo in condizioni di funzionamento reale a causa del
funzionamento discontinuo dell’impianto di riscaldamento, dalla presenza di
oscillazioni e di disuniformità delle temperature interne (il sistema di regolazione ed i
corpi scaldanti non hanno un funzionamento perfetto). A tale scopo si utilizzano dei
coefficienti, detti fattori, che tengano conto del rendimento effettivo del sistema:
o
fattore di emissione ηe: caratterizza l’influenza sulla quantità di energia che il
terminale di erogazione deve fornire, dovuta al tipo di scambio termico tra il
terminale di erogazione e l’ambiente interno. Tiene conto in particolare delle
disuniformità di temperatura che vengono indotte all’interno delle zone e
dell’incremento delle dispersioni termiche per trasmissione e ventilazione
dovute al tipo di terminale di erogazione;
o
fattore di regolazione ηr: riguarda il livello di efficienza del sistema di
regolazione dell’impianto, la cui funzione principale è quella di mantenere
costante la temperatura nell’ambiente, indipendentemente dalla temperatura
esterna. Un intervento lento o scorretto del sistema di regolazione causa un
incremento di scambi termici per trasmissione e ventilazione con l’esterno.
¾
¾
energia termica ed elettrica richiesta dall’impianto di riscaldamento per mantenere la
temperatura interna prefissata: è l’energia erogata dal generatore (Qp). Deriva dalla
ing. Maines Fernando
255
Elementi per la progettazione di una cantina
Gli impianti di cantina
precedente energia termica richiesta dell’edificio per mantenere le temperature
prefissate attraverso l’introduzione di ulteriori due fattori:
o
fattore di distribuzione ηd: caratterizza l’influenza della rete di distribuzione
(dalla caldaia ai terminali di erogazione) sulle perdite di calore non
direttamente cedute agli ambienti da riscaldare;
o
fattore di produzione ηp: tiene conto delle perdite che dipendono dalle
caratteristiche del sistema di produzione, dalle modalità di consumo e dalle
correttezza con cui vengono eseguite le operazioni di manutenzione.
Il prodotto dei quattro fattori precedentemente introdotti (ηe, ηd, ηr e ηp) è detto
rendimento globale stagionale ηg definito dalla norma come il rapporto tra il fabbisogno di
energia termica per la climatizzazione invernale e l’energia primaria delle fonti energetiche,
compresa l’energia elettrica. Per la normativa ηg deve risultare maggiore o uguale ad un valore
di riferimento che dipende dalla potenza utile del generatore.
4.2.1 I generatori di calore
La caldaia è l’elemento dove avviene la combustione ed il trasferimento al fluido
termovettore del calore ottenuto.
I generatori di calore per impianti centralizzati si caratterizzano per le elevate potenze e
per la possibilità di produrre fluidi ad alta temperatura. I diversi modelli di differenziano per:
¾ il genere di servizio:
o
per solo riscaldamento;
o
per sola produzione di acqua calda (acqua sanitaria e/o per gli utilizzi
specifici relativi alle attività produttive della cantina);
o
per entrambi (caldaia per il riscaldamento combinata con scambiatore di
calore per acqua calda sanitaria, …).
¾ il materiale di costruzione: si utilizzano la ghisa e l’acciaio. Nel primo caso le caldaie
risultano piuttosto pesanti; di contro le caldaie in acciaio si caratterizzano per un
ottimo rendimento, una buona tenuta alla pressione idrostatica, ma anche una
maggior sensibilità alla corrosione e da un maggior fabbisogno di manutenzione;
¾ il tipo costruttivo: monoblocco o ad elementi scomponibili (forniti separati da
assemblare in loco);
¾ il tipo di scambiatore di calore: può essere a tubi di acqua oppure a tubi di fumo nei
quali i prodotti della combustione attraversano un fascio di tubi immersi in acqua
(per una descrizione più dettagliata vedere il paragrafo dedicato all’impianto per la
produzione del vapore);
¾
¾
il tipo di combustibile bruciato: gasolio, metano o GPL, biomasse (legno, residui
vegetali, raspi, …);
il tipo di combustione: in depressione, a tiraggio naturale, a tiraggio meccanico.
Attualmente le più utilizzate sono le caldaie pressurizzate dove la combustione,
ing. Maines Fernando
256
Elementi per la progettazione di una cantina
Gli impianti di cantina
grazie a particolari bruciatori, avviene ad una pressione superiore di quella
atmosferica. Ne risulta un migliore rendimento, la possibilità di utilizzare camini con
sezioni minori ed una riduzione dei depositi nei canali dei fumi;
il tipo di fluido termovettore: aria, acqua e vapore;
la temperatura di esercizio del fluido termovettore:
o
fino a 40 °C nel caso di aria;
o
fino a 100 °C per l’acqua;
o
oltre i 100 °C per l’acqua surriscaldata o per il vapore.
Alla caldaia si affiancano diversi dispositivi necessari per il funzionamento, il controllo e la
regolazione dell’intero sistema:
¾ il bruciatore: riceve il combustibile, lo miscela con aria e ne provoca l’accensione in
camera di combustione. Deve essere munito di dispositivo di sicurezza costituito da
una fotocellula collegata ad una elettrovalvola che interrompe il flusso del
combustibile in caso di spegnimento accidentale della fiamma. In funzione al tipo di
combustibile si distinguono in:
¾
¾
o
o
ing. Maines Fernando
bruciatori a polverizzazione meccanica per combustibili liquidi;
bruciatori a gas che possono essere atmosferici o ad aria soffiata. I primi
sono utilizzati per caldaie con ridotte potenze e sono generalmente collocati
all’interno del corpo caldaia. L’aria di combustione, richiamata per effetto
Venturi, in quantità variabile in funzione del tiraggio del camino e delle
resistenze presenti in camera di combustione, non assicura rendimenti
costanti. Quelli ad aria soffiata (mediante apposito ventilatore che aspira
l’aria, la miscela con il gas e spinge il tutto a pressione nella camera di
combustione) sono invece posti esternamente al corpo caldaia e vengono
utilizzati soprattutto per caldaie pressurizzate. Garantiscono un alto
rendimento ed una elevata affidabilità;
257
Elementi per la progettazione di una cantina
Gli impianti di cantina
bruciatori misti: possono usare indifferentemente gas o gasolio. Tale
versatilità è controbilanciata da una riduzione dei rendimenti.
le pompe di circolazione: negli impianti a circolazione forzata hanno il compito di
vincere le resistenze incontrate dal fluido, dovute agli attriti interni al fluido stesso ed
a quelli con le pareti del circuito. Si utilizzano pompe centrifughe comandate da un
termostato ambiente e/o da un orologio. Nei grossi impianti vengono montate a
coppie per assicurare la continuità di funzionamento anche in caso di avaria di una di
esse. Sono dimensionate, utilizzando appositi diagrammi forniti dai produttori, in
base alla prevalenza, misurata in metri di colonna d’acqua, necessaria per vincere le
perdite di carico ed alla portata (il volume di fluido trattato nell’unità di tempo).
Quest’ultima viene scelta in base alla potenza dell’impianto e alla differenza di
temperatura fra la mandata ed il ritorno in caldaia (in genere di 10 ÷ 15 °C nel caso
dell’acqua);
le valvole di miscelazione: sono poste in prossimità dell’uscita dalla caldaia sul
tubo di mandata e miscelano (mediante una struttura a 3 o a 4 vie) l’acqua di
mandata con quella di ritorno, in modo da mantenere costante la temperatura
dell’acqua nella caldaia indipendentemente dalla temperatura dell’acqua richiesta
dell’impianto; in tal modo si evita l’usura del bruciatore e si riduce la formazione di
condensa all’interno della caldaia.
o
¾
¾
¾
¾
¾
i sistemi di espansione: si utilizzano per compensare le variazioni di volume
dell’acqua dovute all’aumento o alla diminuzione di temperatura. Si tratta
normalmente di vasi chiusi costituiti da un serbatoio a tenuta, dimensionati
(mediante apposite tabelle) in base al contenuto in acqua dell’impianto. Vengono
posti nel locale caldaia e contengono del gas inerte o dell’aria sotto pressione, in
grado di contrastare la pressione idrostatica dell’acqua nell’impianto e di compensare
le variazioni di pressione. Il gas e l’acqua possono essere separati da una membrana
(vaso con diaframma) o meno (vaso autopressurizzato). L’impianto essendo
completamente sigillato, consente un maggior rendimento di combustione e una
riduzione del diametro delle tubazioni; si evitano, inoltre, le perdite per evaporazione
e le relative dissipazioni di energia che si avevano con i vasi di tipo aperto13. Di
contro con i vasi chiusi aumentano i problemi per la sicurezza a causa della presenza
in centrale termica di un serbatoio in pressione (4 ÷ 5 atm).
il separatore d’aria: raccoglie e sfiata all’esterno l’aria disciolta nell’acqua;
le apparecchiature di sicurezza: la normativa vigente prevede che tutti gli
impianti di riscaldamento ad acqua calda o a vapore, di potenzialità superiore a 35
kW, debbano essere provvisti di determinati apparecchi per la regolazione ed il
controllo della temperatura e della pressione ed in particolare di:
o
dispositivo indicatore della pressione esistente nel generatore;
13
I vasi di tipo aperto, ormai in disuso, richiedevano anche una installazione ad una quota superiore a quella del
punto più alto dell’intero impianto.
ing. Maines Fernando
258
Elementi per la progettazione di una cantina
Gli impianti di cantina
dispositivo indicatore della temperatura del liquido all’uscita del generatore;
mezzo di alimentazione per assicurare l’integrazione della perdita di liquido;
vaso di espansione collegato con il generatore;
dispositivo di intercettazione automatica dell’afflusso di combustibile che
intervenga in caso di arresto della circolazione del liquido negli impianti a
circolazione forzata, di raggiungimento della temperatura massima all’uscita
dal generatore e di abbassamento del livello del vaso di espansione al di
sotto del livello di minimo.
Il generatore deve inoltre essere provvisto dei seguenti dispositivi:
o
limitatori di temperatura o termostati di regolazione che agiscono sulla
mandata del combustibile al raggiungimento di una temperatura soglia;
o
limitatori di sicurezza o termostati a riarmo manuale: agiscono come i
precedenti ma richiedono una riattivazione manuale da parte di un
operatore;
o
limitatori di flusso o flussometri che spengono il bruciatore in assenza di
circolazione nell’impianto;
o
valvole di sicurezza che agiscono qualora la pressione superi un valore
prefissato;
o
valvole di scarico termico che intervengono se la temperatura del fluido
supera un valore soglia.
¾ i dispositivi di regolazione: sono dispositivi automatici (di tipo elettrico, elettronico
o pneumatico) che regolano il funzionamento del sistema al fine di migliorare
l’efficienza (economica e gestionale) del sistema. Sono utilizzati per i seguenti
obiettivi:
o
automatizzare l’avvio e lo spegnimento;
o
garantire che le caratteristiche termoigrometriche di un impianto siano
costantemente adeguate alle necessità;
o
assicurare il rispetto delle leggi in materia di risparmio energetico;
o
garantire la sicurezza degli impianti e regolare la temperatura dei fluidi
scaldanti.
La regolazione viene effettuata mediante apposite sonde poste all’esterno in posizione
climaticamente sfavorevole che invia i segnali ad una centralina di controllo; questa, a sua
volta, agisce sulla valvola di miscelazione motorizzata in modo che il funzionamento
dell’impianto vari in funzione della temperatura esterna.
o
o
o
o
ing. Maines Fernando
259
Elementi per la progettazione di una cantina
Gli impianti di cantina
Si ricorda che il D.M del 1984 n. 524 prescrive per le centrali termiche l’installazione
dell’apposita segnaletica di sicurezza (di pericolo e di ammonimento) e la presenza nei pressi
dell’ingresso un estintore di tipo polivalente di capacità minima 6 kg collocato a circa 1,70 m
dal suolo.
Le caldaie dei sistemi localizzati sono caratterizzate, invece, da potenze più ridotte. Si
tratta generalmente di generatori alimentati a gas utilizzati per la produzione di aria calda o di
acqua a temperature non troppo elevate. Per potenze inferiori a 35 kW i criteri di
progettazione, di installazione e di gestione sono fissati dalle norme UNI-CIG 7129/1992 e dal
D.P.R. n. 447/91. Il progetto e l’installazione deve essere eseguita da tecnici abilitati e
l’impianto deve essere provvisto di libretto d’impianto ed essere sottoposto a periodiche
operazioni di controllo e manutenzione. Dal punto di vista strutturale si distinguono per il
posizionamento (a basamento o murali) e per la camera di combustione che può essere
aperta, quando l’aria viene prelevata dall’ambiente (deve essere pertanto presente un
dispositivo di blocco in caso di funzionamento anomalo del sistema di scarico dei fumi) o chiusa
se l’aria proviene dall’esterno e viene immessa in un focolare a tenuta stagna.
Esistono oggi caldaie, definite caldaie ad alto rendimento energetico (caldaie 4 stelle14),
caratterizzate da rendimenti superiori al 90%15 (riferiti alla percentuale dell’energia derivante
dalla combustione trasferita al fluido termovettore); richiedono un maggior investimento
iniziale, ma il maggior risparmio nel medio-lungo termine consente brevi tempi di
ammortizzamento. Le principali tecnologie disponibili sul mercato sono:
¾ caldaie a premiscelazione dotate di un particolare bruciatore in cui la combustione
avviene in condizioni ottimali grazie al perfetto bilanciamento fra il combustibile e
l’aria comburente in modo da mantenere costante il rendimento anche con
funzionamento a carico parziale, cioè in corrispondenza di una richiesta di calore
inferiore alla massima potenzialità dell’impianto;
¾ caldaie modulari: in tutti quei casi nei quali il fabbisogno
termico è molto variabile nel tempo, è possibile adottare
gruppi termici costituiti da due o più caldaie comandate “in
cascata” da centraline elettroniche, in grado di determinare le
accensioni e gli spegnimenti dei moduli in cascata secondo
l’effettiva richiesta energetica dell’impianto, in funzione dei
parametri impostati (curva di compensazione climatica) e di
quelli rilevati dalle sonde (temperatura esterna e temperatura
acqua in mandata all’impianto). Nel caso in cui si lavori a
carico ridotto il sistema attiverà solo alcune delle caldaie
modulari che lavoreranno così a pieno carico mentre le altre
rimarranno in stand-by pronte ad attivarsi non appena
l’edificio necessiti di un maggior apporto calorico;
¾ caldaie modulanti: un apposito sistema agendo sul flusso
del gas regola la fiamma in base alla richiesta termica e ad altri parametri in modo
da non mandare la fiamma sempre al massimo. In questa maniera avremo a
disposizione la potenza desiderata evitando dispendiosi accendi/spegni della caldaia;
¾ caldaie a temperatura scorrevole: questi generatori sono caratterizzati da una
temperatura di mandata variabile, in funzione della richiesta del carico dell’impianto
e quindi rapportata alle condizioni climatiche. Essi consentono il raggiungimento di
elevati valori del rendimento a carico parziale e dunque del rendimento medio
stagionale. Nel caso di bassa temperatura di mandata si riducono anche le perdite di
distribuzione ed di emissione;
¾ caldaie a condensazione in grado di recuperare parte del calore16 posseduto dei
gas di scarico sotto forma di vapore acqueo (i gas di scarico escono ad una
temperatura di circa 40°C invece che di 110°C). Questo, però, può comportare la
formazione di diversi composti a base di zolfo in grado di svolgere un’azione
14
Le caldaie sono classificate secondo la loro efficienza energetica calcolata sulla potenza nominale (classificazione
definita nel Decreto del Presidente della Repubblica del 15 novembre 1996, n. 660), in quattro classi di rendimento, da
1 a 4 stelle.
15
Una caldaia tradizionale ha un rendimento dell’85%.
16
La quota di energia recuperabile tramite la condensazione è nell’ ordine del 16 ÷ 17%.
ing. Maines Fernando
260
Elementi per la progettazione di una cantina
Gli impianti di cantina
corrosiva. Al maggior rendimento si associa pertanto la necessità di adottare
materiali a maggiore inerzia chimica (corpi caldaia in acciaio inox e tubazioni di
scarico in particolari plastiche) che determinano perciò maggiori costi ed una
manutenzione più attenta e frequente per evitare rapide usure. Queste caldaie
esprimono il massimo delle prestazioni quando vengono utilizzate con impianti
funzionanti a basse temperature (30 ÷ 50°C).
In alternativa alle caldaie tradizionali a combustione si possono adottare le pompe di calore
o i sistemi di cogenerazione i quali, tuttavia, non sono in grado di assicurare la produzione di
acqua ad alte temperature.
L’adozione invece di collettori solari o di sistemi di recupero del calore dal mosto o dal vino
mediante scambiatori, possono rappresentare per le cantine un importante contributo per la
riduzione della dipendenza dai combustibili tradizionali.
Particolarmente interessanti si dimostrano le celle termiche multienergia, costituite da
appositi serbatoi (di capacità compresa fra 350 e 2000 litri) muniti di un isolamento esterno in
poliuretano morbido a celle chiuse (spessore di 10 ÷ 15 cm) ricoperto da un rivestimento in
PVC rigido. Al suo interno, a diverse altezze, sono posti diversi scambiatori di forma elicoidale,
costituiti da un tubo di rame alettato per estrusione e corrugato internamente, percorsi dai
fluidi, di diversa natura e di diversa provenienza (caldaia tradizionale, collettori solari,
recuperatori di calore da impianti di refrigerazione, impianti di condizionamento, …), dai quali
si intende recuperare il calore. L’acqua presente all’interno del serbatoio non subisce
miscelazione ma, per stratificazione naturale, va a formare alcune zone omogenee a differenti
temperature in corrispondenza delle quali sono disposti appositi attacchi per il prelievo e
l’immissione del fluido primario.
In generale l’installazione dei generatori richiede l’utilizzo di locali con particolari requisiti.
Per potenze superiori a 35 kW il locale che accoglie il sistema di generazione, le pompe e tutti i
dispositivi di regolazione e controllo (chiamato centrale termica o locale caldaia) deve
soddisfare i dettami delle specifiche normative come diffusamente descritto nello specifico
paragrafo del capitolo precedente.
Per potenze inferiori a 35 kW, invece, possono essere utilizzati locali non specifici purché
non presentino rischio di incendio (presenza di materiali combustibili come cartoni, film
plastici, …). Si deve inoltre assicurare che i processi di combustione non alterino la qualità
dell’aria ambientale.
In primo luogo si devono garantire l’immissione di aria esterna in misura sufficiente ad
assicurare la corretta combustione, senza causare una riduzione del livello d’ossigeno presente
nell’ambiente. L’aria deve essere prelevata dall’esterno per via diretta, lontano da fonti di
inquinamento, attraverso condotti di ventilazione ad andamento verticale o attraverso aperture
di ventilazione permanente sulle pareti esterne. Tali aperture, protette con griglie o reti,
devono essere poste ad una quota prossima al pavimento e devono avere sezione libera di
ing. Maines Fernando
261
Elementi per la progettazione di una cantina
Gli impianti di cantina
almeno 6 cm2 per ogni kW di potenza. La ventilazione può avvenire anche per via indiretta,
attraverso un locale adiacente (esente da rischio di incendio), purché a sua volta ventilato
direttamente.
Un secondo aspetto fondamentale riguarda il corretto allontanamento dei prodotti di
combustione e/o dell’aria viziata dalla combustione, in modo da non creare rischi di
inquinamento nel locale stesso o in altri ambienti, mediante tubazione a tiraggio naturale
oppure mediante ventilatore (nel qual caso si deve aggiungere una superficie aggiuntiva per
l’immissione di aria dall’esterno).
Una specifica norma UNI-CIG classifica i generatori di calore a gas in base al criterio di
evacuazione dei prodotti di combustione nel seguente modo:
¾ tipo A, per i quali non è previsto il collegamento ad un condotto o ad un dispositivo
speciale di evacuazione dei prodotti della combustione verso l’esterno del locale in
cui sono installati. Si tratta di apparecchi di piccola potenza (fino a 3,5 kW se
utilizzati per il riscaldamento e fino a 4,65 kW nel caso di scaldacqua istantanei) che
raramente trovano applicazione nelle cantine. L’assenza di condotto per lo scarico dei
fumi è consentita se i dispositivi sono muniti di sistema di sicurezza per l’accensione
e contro lo spegnimento e di controllo dell’atmosfera ambiente; inoltre nel locale
devono essere presenti due aperture di ventilazione di non meno di 100 cm2
ciascuna, di cui una per l’afflusso dell’aria e l’altra situata nella parte alta della parete
per lo scarico dei prodotti di combustione all’esterno;
¾ tipo B: sono apparecchi per il riscaldamento e/o per la produzione di acqua sanitaria
che devono sempre essere muniti di tubo di scarico dei fumi. Questo può essere a
tiraggio naturale (con collegamento diretto a camini di sicura efficienza a mezzo di
canale di fumo o, in mancanza di questo, con uno scarico diretto dei fumi all’esterno)
o a tiraggio forzato (con ventilatore a valle o a monte della camera di combustione);
¾ tipo C: non sono soggetti ad alcun vincolo per quanto concerne la loro ubicazione (ad
eccezione dei locali a rischio di incendio) e non richiedono apporto di aria comburente
dall’ambiente in cui sono installati, avendo la camera di combustione a tenuta
stagna. Anche in questo caso possono essere a tiraggio naturale (con scarico dei
fumi direttamente all’esterno tramite due orifizi concentrici o, se distinti, sulla stessa
parete contenuti in un quadrato di 50 cm di lato) o a tiraggio forzato (con
collegamento ad una canna fumaria) mediante ventilatore incorporato a monte o a
valle della camera di combustione.
Il collegamento degli apparecchi al camino o alla canna fumaria deve avvenire nello stesso
locale o tutt’al più nel locale contiguo per mezzo di canali da fumo. Solo nel caso degli
apparecchi di tipo B lo scarico dei fumi all’esterno, tramite appositi canali di scarico e terminale
di scarico, può avvenire direttamente all’esterno.
ing. Maines Fernando
262
Elementi per la progettazione di una cantina
Gli impianti di cantina
Gli aspetti costruttivi del sistema di evacuazione dei fumi sono già stati descritti nel capitolo
precedente (vedere “La centrale termica”), in particolare nel caso di impianti di potenza
superiore ai 35 kW. In questa sede ci si soffermerà maggiormente sul caso dei generatori a
gas di potenza inferiore.
L’importanza dei sistemi di evacuazione dei prodotti di combustione, costituiti da canali da
fumo, canali di scarico, canne fumarie e comignoli, è testimoniata dalla normativa che
prevede, fra l’altro, ben precise caratteristiche dimensionali, geometriche ed esecutive per
assicurare un corretto funzionamento. Queste le principali norme di riferimento:
¾ artt. 6, 7, 8 del D.P.R. del 22 dicembre 1970 n. 1391 – Regolamento per l’esecuzione
della legge 13 luglio 1966 n. 615 recante provvedimenti contro l’inquinamento
atmosferico;
¾ art. 9 del D.P.R. del 26 agosto 1993 n. 412 – Regolamento recante norme per la
progettazione, …. degli impianti termici degli edifici ai fini del contenimento dei
consumi di energia;
¾ artt. 1 e 4 del D.P.R. del 6 dicembre 1991 n. 447 – Regolamento di attuazione della
legge n.46/90 in materia di sicurezza degli impianti;
¾ norma UNI 9731 giugno 1990 – Camini: classificazioni in base alla resistenza
termica. Misure e prove;
¾ norma UNI 9615 dicembre 1990 – Calcolo della dimensione dei camini;
¾ norma UNI 7129 gennaio 1992 – Impianti a gas per uso domestico alimentati da rete
di distribuzione.
In particolare i canali da fumo e i condotti di scarico devono rispettare, fra l’altro, i seguenti
requisiti:
¾ resistere nel tempo alle sollecitazioni meccaniche, al calore, all’azione dei prodotti di
combustione e delle loro condense;
¾ in ogni punto la temperatura dei fumi deve essere superiore alla temperatura di
rugiada;
¾ i collegamenti devono essere a tenuta, in vista e facilmente ispezionabili;
¾ la sezione non deve essere inferiore a quella dell’attacco dell’apparecchio senza
dispositivi di intercettazione;
¾ il tratto terminale di imbocco deve essere perpendicolare alla parete opposta del
camino, al quale deve essere saldamente fissato senza sporgere all’interno;
¾ il canale deve essere distante almeno 50 cm da materiali infiammabili, ovvero essere
protetto dal calore;
¾ il canale deve rispettare specifiche condizioni per quanto riguarda la pendenza
minima (5% per le caldaie a gasolio e 3% per quelle a gas), il numero massimo di
cambi di direzione maggiori di 90°, le dimensioni, ecc.
Anche le canne fumarie e i camini devono rispettare molti requisiti ed in particolare:
¾ avere andamento verticale privo di strozzature;
¾ essere distanziati o essere separati da intercapedini o essere opportunamente isolati
da eventuali materiali facilmente infiammabili;
¾ avere al di sotto dell’imbocco del primo canale da fumo una camera di raccolta dei
materiali solidi e di eventuali condense, alta almeno 50 cm ed accessibile mediante
sportello metallico a tenuta d’aria;
ing. Maines Fernando
263
Elementi per la progettazione di una cantina
Gli impianti di cantina
essere dotati di comignolo superiore (privo di mezzi meccanici di aspirazione alla
sommità del condotto nel caso di caldaia a gas);
¾ non essere in sovrappressione (la pressione all’interno del camino deve essere
minore o uguale a quella atmosferica) qualora siano interni o addossati a locali in
presenza di operatori;
¾ avere adeguate dimensioni in funzione della potenza del generatore e dell’altezza
della canna fumaria.
Infine il comignolo deve presentare una conformazione per evitare ritorni d’aria verso il
basso (aspiratori statici) e possedere una quota di sbocco minima che varia in funzione della
pendenza del tetto, della presenza di ostacoli e della loro distanza, in modo da evitare la
formazioni di contropressini capaci di ostacolare il corretto scarico dei fumi.
¾
Anche il dimensionamento del camino prevede la determinazione di corretti parametri
dimensionali (altezza, sezione, diametro equivalente, …) e dei materiali; particolare attenzione
va posta nella scelta, nella posa in opera (è richiesta la dichiarazione di conformità) e
nell’esecuzione della manutenzione obbligatoria dei giunti e degli accessori in modo da
assicurare l’impermeabilità ai gas ed alle condense, la resistenza ai fumi ed al calore, una
sufficiente resistenza meccanica ed una debole conducibilità termica.
In conclusione si ricorda che si può fare riferimento al già sopraccitato paragrafo dedicato
alle centrale termica del precedente capitolo, anche per quanto riguarda le caratteristiche
specifiche che deve possedere l’impianto elettrico di una centrale termica e per una corretta
installazione dei serbatoi di stoccaggio del gasolio o del gas.
4.2.2 L’impianto di distribuzione del fluido termovettore
E’ il complesso dei dispositivi costituito dalle tubazioni di collegamento, dagli organi
utilizzatori e dagli eventuali apparecchi e dispositivi di sicurezza e regolazione, mediante i quali
il calore prodotto in caldaia viene distribuito ai locali da riscaldare sfruttando il flusso di un
fluido termovettore.
Questo può essere:
ing. Maines Fernando
264
Elementi per la progettazione di una cantina
Gli impianti di cantina
acqua: è il fluido più utilizzato, anche in cantina dove trova applicazione sia nei
reparti che richiedono standard abitativi equivalenti a quelli caratteristici degli edifici
residenziali (laboratorio, la sala di degustazione, gli uffici e i servizi, …), sia nei
reparti operativi dove l’acqua può essere utilizzata per fornire calore direttamente ai
corpi scaldanti oppure per alimentare le batterie di pre e post riscaldamento dei
sistemi di condizionamento;
¾ vapore: lo si preferisce all’acqua nel caso di grandi richieste termiche e nel caso di
edifici particolarmente grandi per i quali è necessaria una rete di distribuzione molto
estesa;
¾ aria: è molto utilizzata negli impianti per edifici produttivi e pertanto possono trovare
applicazione nei reparti operativi delle cantine dove è richiesto solo il controllo della
temperatura. Infatti qualora risultasse necessario anche il controllo dell’umidità
relativa è preferibile intervenire con un impianto di condizionamento.
I sistemi ad acqua si differenziano prima di tutto per la modalità di circolazione del fluido.
Nei sistemi a circolazione naturale (ormai praticamente in disuso) viene sfruttato il moto
convettivo che tende a spostare verso l’alto il fluido riscaldato, fintanto che la caldaia è in
funzione. Sono necessarie una serie di tubazioni di mandata per il moto ascensionale ed una
corrispondente serie di tubazioni di ritorno nelle quali l’acqua è sospinta da altra acqua calda
ascendente. Per avere un buon funzionamento la differenza di temperatura fra andata e ritorno
deve essere superiore a 25 °C ed il dislivello tra il baricentro del radiatore e il baricentro della
caldaia deve essere superiore a 1 m.
Molto più utilizzata è la circolazione forzata dove il movimento dell’acqua viene assicurato
mediante un sistema di pompe. I rendimenti risultano superiori e si ha un ottimo
funzionamento anche con differenze di temperatura di soli 10 °C. Inoltre si possono adottare
tubazioni di minor diametro, corpi scaldanti di dimensioni più contenute e si riesce a scaldare
ambienti anche a notevole distanza dalla caldaia o posti ad un livello inferiore rispetto alla
centrale termica.
Gli impianti a circolazione forzata, a loro volta, possono essere suddivisi in:
¾ impianto a circolazione a due tubi (sistema tradizionale): la struttura generale
prevede la presenza di un tubo di mandata dalla caldaia, di un tubo di ritorno alla
caldaia e di colonne di andata e di ritorno, che dipartono dalle tubazioni principali,
alle quali sono collegati i singoli apparecchi;
¾
¾
impianti monotubo: utilizzano in prevalenza singole tubazioni di rame che
consentono una maggiore facilità di esecuzione, minori dispersioni di calore, una
distribuzione composta da una sola colonna montante (sia per l’andata che per il
ritorno) dalla quale si derivano, attraverso un collettore, le reti a pavimento per
servire le varie zone da riscaldare (con conseguenti minori dispersioni termiche) e la
possibilità di regolazione della temperatura di ciascuna zona servita installando una
valvola di zona sull’attacco all’anello di mandata. I possibili schemi sono quattro:
ing. Maines Fernando
265
Elementi per la progettazione di una cantina
Gli impianti di cantina
a collettore complanare (tipo modul) con ogni radiatore indipendente: dalla
colonna montante, mediante due collettori (uno per la mandata ed un per il
ritorno) si diparte una coppia di tubazioni per ogni corpo scaldante
allacciato;
o
con corpi scaldanti in derivazione da un anello che si diparte dalle colonne
montanti mediante un raccordo speciale, detto eiettore. E’ un sistema poco
usato per la precisione che richiede in fase di progetto;
o
in serie: un certo numero di corpi scaldanti posti in serie sulla stessa
tubazione in modo che la portata dell’anello attraversi ogni elemento. Il
sistema risulta semplice ma non è possibile isolare un radiatore o regolarlo
senza influenzare gli altri corpi scaldanti;
o
in serie con valvola a 3 o 4 vie: il sistema è come quello in serie, ma
consente la regolazione o l’esclusione di uno o più corpi scaldanti intermedi.
Per il dimensionamento della rete di distribuzione principale si suddivide l’impianto in vari
tronchi determinando per ciascuno la portata d’acqua (Q = P/Δt dove P rappresenta la
potenzialità in W e Δt la differenza in °C fra la temperatura dell’acqua all’uscita e al ritorno in
caldaia) ed il diametro più opportuno (mediante apposite tabelle) fissando la perdita di carico
unitaria fra 14 e 34 mm di c.a.. Le tubazioni sono generalmente in acciaio inox o acciaio
zincato senza saldature (Mannesmann) rivestiti con guaine in materiale isolante o, qualora la
pressione lo consenta (più frequentemente per i singoli anelli), in polietilene multistrato o in
rame, rivestite di materiale plastico, per evitare le corrosioni chimiche del calcestruzzo qualora
fossero poste sotto traccia, con diametri a partire da 16 mm. Si determina infine il numero di
corpi scaldanti per ogni anello in modo da non superare un valore prefissato della potenza
termica assorbita.
Tutte le tubazioni vanno coibentate soprattutto se inserite nelle murature esterne, se a vista
o se poste in ambienti non riscaldati.
Il sistema di distribuzione è completato dai corpi scaldanti. Sono elementi alimentati
attraverso la rete di distribuzione, atti a trasferire l’energia termica posseduta dal fluido
vettore all’ambiente da riscaldare.
Diverse sono le tipologie (di tipo tradizionale o meno) utilizzate:
¾ radiatori detti anche termosifoni;
¾ termoconvettori (a convezione naturale);
¾ ventilconvettori (a convezione forzata);
¾ aerotermi;
¾ strisce radianti;
¾ pannelli radianti a pavimento e a soffitto.
I radiatori sono costituiti da una serie di elementi (minimo tre) combinabili modularmente
formati da una serie di piastre o di colonne (da 1 a 6) di varia altezza nei quali circola acqua
con temperatura d’entrata di 80 °C ed una temperatura d’uscita di 70 °C; in tal modo riescono
a cedere calore all’ambiente per irraggiamento e, soprattutto, per convezione creando una
circolazione naturale dell’aria ambientale. I radiatori si caratterizzano per l’ampia superficie di
scambio termico (di recente introduzione sono i radiatori con superfici di emissione piana e
continua), per il riscaldamento uniforme e per gli ingombri abbastanza contenuti. Sono
diffusissimi in edilizia abitativa e in cantina trovano una naturale applicazione nei reparti del
polo amministrativo e nei servizi igienici.
I materiali più utilizzati sono:
¾ la ghisa che, grazie all’elevata inerzia termica, si caratterizza per il bisogno di un
maggior tempo per portarsi a regime e per la capacità di mantenere più a lungo la
temperatura anche a caldaia spenta;
¾ l’acciaio che manifesta una maggiore resistenza meccanica ma anche una inerzia
termica molto bassa ed una minore resistenza alla corrosione;
¾ l’alluminio, preferito per la leggerezza, l’elevato coefficiente di conduzione e la
possibilità di ottenere prodotti con maggior variabilità di forme, di dimensioni e di
colori.
o
ing. Maines Fernando
266
Elementi per la progettazione di una cantina
Gli impianti di cantina
Il collegamento alla rete può avvenire mediante una valvola superiore di regolazione sulla
mandata ed una inferiore, detta detentore, all’uscita. Questo è il sistema tradizionale che
consente la rimozione del radiatore senza che si debba scaricare l’acqua dell’impianto. Il
sistema più recente prevede l’utilizzo di una unica valvola a 4 vie posta in basso. In ogni caso
una valvola di sfiato dell’aria è posta nella parte superiore del radiatore.
Per un corretto dimensionamento si determina, utilizzando opportune tabelle fornite dal
produttore, il numero di elementi necessari per scaldare l’ambiente partendo dalla potenza
termica Q necessaria per il riscaldamento (che dipende dal volume del reparto e dalle
temperature che si vogliono assicurare) e dalla potenza q del singolo elemento in funzione del
Δt del fluido scaldante.
Il posizionamento, invece, risulta condizionato dalle caratteristiche dimensionali e
costruttive del locale, dalle caratteristiche funzionali dell’ambiente e dalle condizioni
termotecniche dei locali attigui. La posizione più utilizzata è contro una parete esterna in
quanto garantisce una distribuzione del calore più uniforme.
I sistemi convettivi comprendono i termoconvettori ed i ventilconvettori (o fan-coil) che
fanno passare aria in modo naturale (i primi) o in modo forzato (i secondi) attraverso una
batteria formata da alette metalliche, generalmente di rame o alluminio, di cui sono muniti i
tubi che portano l’acqua calda dell’impianto. Entrambi i sistemi evidenziano una facile
regolazione della temperatura (si agisce sulle valvole di taratura o sulla velocità del
ventilatore) ed ottimi rendimenti anche utilizzando fluidi a temperatura fra i 50 e i 60 °C.
Assicurano, inoltre, un apporto di calore quasi immediato e la possibilità di essere utilizzati
anche d’estate come impianto di raffreddamento (immettendo acqua fredda prodotta da un
impianto di refrigerazione). Il dimensionamento viene effettuato mediante tabelle che
forniscono la resa termica senza il bisogno di alcun calcolo.
Anche gli aerotermi sono scambiatori di calore a tubi alettati percorsi dal fluido
termovettore, attraverso i quali passa una corrente d’aria prodotta da un potente ventilatore
ing. Maines Fernando
267
Elementi per la progettazione di una cantina
Gli impianti di cantina
assiale. Per evitare la presenza di correnti d’aria eccessive in corrispondenza degli operatori, è
opportuno posizionare gli aerotermi in alto (a soffitto o a parete); è possibile inoltre intervenire
sulla direzione d’uscita dell’aria agendo su apposite alette deflettrici orientabili. Si differenziano
dai ventilconvettori per le caratteristiche costruttive e le modalità di funzionemento (maggiore
rumorosità, …) che li rendono più adatti a volumi molto grandi destinati ad attività non
abitative. La presenza di intense correnti possono causare la formazione di un’eccessiva
polverosità nell’aria, che in taluni reparti della cantina, come la sala di imbottigliamento, non
può essere tollerata.
Le strisce radianti funzionano come i radiatori e sono costituite da tubi percorsi da acqua
calda, posti in “sandwich di lamiere” protette superiormente da un materassino di lana
minerale che impedisce l’irraggiamento verso l’alto. Vanno montate orizzontalmente ad un
altezza compresa tra 4,5 e 7 metri e risultano adatte per ambienti dove l’utilizzo di aerotermi
potrebbe dare origine a correnti d’aria fastidiose per gli operatori. Esistono modelli con
larghezze prefissate (30, 60 e 90 cm), ciascuno con una determinata emissione termica per
metro di lunghezza; pertanto si dimensionano calcolando la lunghezza di striscia necessaria.
I pannelli radianti sono formati da pannelli preformati e modulari, predisposti per
l’assemblaggio di tubi a serpentina, annegati nei solai o nei pavimenti predisposti con uno
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Elementi per la progettazione di una cantina
Gli impianti di cantina
strato di materiale isolante termico (di 2 cm se i locali sottostanti sono riscaldati o di 4 cm se i
locali sottostanti non sono riscaldati). Si tratta di fogli di materiale sintetico anticorrosione e
antincrostazione, conformato per facilitare il posizionamento dei tubi in polietilene reticolati
(disposti a formare delle “chiocciole” con passo da 8 a 20 cm da dimensionare mediante
apposite tabelle) ed un massetto di materiale termoconduttore di circa 4 ÷ 6 cm nel quale
annegare i tubi. Il tutto può essere completato con un pavimento di qualsiasi materiale. Tutte
le serpentine sono collegate ad un collettore con valvole miscelatrici, comandate da una
centralina elettronica di regolazione e di controllo. Questo sistema assicura un miglioramento
del comfort ambientale (la temperatura del fluido che non supera i 40 °C per evitare fastidi agli
utenti e danni al rivestimento della pavimentazione), una grande inerzia termica ed una
riduzione dei consumi di energia (grazie alle sensibile riduzione delle perdite). Grazie alla
grande superficie di scambio, infatti, ed alle basse temperature del fluido vettore, i moti
convettivi sono praticamente assenti e più contenuta risulta la riduzione dell’umidità relativa
dell’aria. Di contro temperature così basse comportano una maggiore difficoltà di regolazione
che si effettua variando il passo con cui viene posato il tubo. Viene utilizzato in particolare in
ambienti con fabbisogni termici caratteristici dell’edilizia residenziale (uffici, laboratori, sala di
degustazione, punto vendita) o per reparti dove occorre una temperatura ambientale poco
elevata.
Per quanto riguarda gli impianti di distribuzione a vapore, questi si suddividono in:
¾ impianti a bassa pressione, fino a 0,5 bar;
¾ impianti a media pressione, da 0,5 a 3 bar;
¾ impianti ad alta pressione, oltre 3 bar;
Sono costituiti da una tubazione di mandata percorsa da vapore e da una tubazione di
ritorno percorsa da acqua di condensa, che si forma nei corpi scaldanti in seguito alla cessione
del calore all’ambiente. La regolazione avviene mediante scaricatori di condensa, valvole e vari
automatismi.
Hanno il vantaggio di un maggior rendimento e di un minor fabbisogno di superficie dei
corpi scaldanti. Nel contempo si caratterizzano per una più lenta messa a regime, per una
maggior dispersione lungo le tubazioni, per una certa difficoltà nella regolazione del vapore alle
basse temperature e per una potenziale corrosione dei materiali.
ing. Maines Fernando
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Elementi per la progettazione di una cantina
Gli impianti di cantina
Il vapore può essere anche utilizzato per produrre, mediante appositi scambiatori, acqua
calda.
Gli impianti di distribuzione ad aria consentono di mantenere la temperatura di un ambiente
al valore prefissato utilizzando un flusso di aria calda (circa 30 ÷ 35 °C) trasportata mediante
canali, generalmente in lamiera zincata a sezione rettangolare, disposti in cavedi sotto
pavimento o in controsoffitto (viste le non trascurabili dimensioni). La velocità nelle condotte
non deve superare gli 8 m/s, per non indurre una eccessiva rumorosità. L’aria deve essere
immessa nell’ambiente a velocità ancora più bassa (inferiore a 3 m/s) attraverso bocchette di
immissione munite di alette per regolare e dirigere il flusso e collocate nelle parti alte delle
pareti, in numero e in posizione tale da garantire le portate necessarie ed una diffusione
uniforme dell’aria nell’ambiente. Per eliminare la possibilità di creare sovrappressioni, devono
essere presenti le bocchette di passaggio, poste nella parte inferiore delle pareti e/o delle
porte.
4.2.3 Il dimensionamento dell’impianto
La progettazione di un impianto termico rappresenta un processo particolarmente
complesso che richiede conoscenze specifiche molto approfondite come è dimostrato dalla
presenza di una specifica figura professionale con una spiccata specializzazione e dall’ampia
produzione di appropriati software appositamente dedicati. Un ulteriore elemento di
complessità è dato dal fatto che l’impianto termico è strettamente legato, per il suo corretto
funzionamento, alla rete di alimentazione idrica, all’eventuale rete di alimentazione del gas o al
sistema di stoccaggio del combustibile ed all’impianto antincendio.
La descrizione del dimensionamento dell’impianto richiederebbe un eccessivo
appesantimento della trattazione, non compatibile con gli scopi di questo testo. Ci limiteremo,
pertanto, ad una semplice schematizzazione dei principali passaggi:
¾ studio preliminare dei fabbisogni per la determinazione delle quantità riferite al fluido
attivo: produzione annua (hl/anno), portata massima richiesta (l/s) e pressioni di
esercizio (bar);
¾ scelta della tipologia del generatore di calore e determinazione della sua potenzialità
termica, in funzione del tipo di fluido vettore utilizzato, del tipo di corpi scaldanti
adottati, del loro numero e delle loro dimensioni e delle perdite di calore presenti
lungo la rete di distribuzione;
¾ dimensionamento del sistema di evacuazione dei fumi;
¾ determinazione delle caratteristiche della rete di distribuzione (tipologia di tubazione
o di condotta, lunghezza dei diversi tratti, calcolo dei diametri, velocità del fluido,
valutazione delle perdite di carico distribuite e concentrate) in base alle quali sarà
possibile determinare la portata e la prevalenza delle pompe di circolazione e/o dei
ventilatori;
¾ scelta e dimensionamento dei diversi elementi accessori per il controllo e la
regolazione dell’intero sistema (vaso di espansione, valvole, …).
ing. Maines Fernando
270
Elementi per la progettazione di una cantina
Gli impianti di cantina
Tutti i risultati di tale processo verranno rappresentati in appositi schemi grafici (schema
planimetrico e schema assonometrico dell’impianto termico) e riassunti negli elenchi di
capitolato che, assieme ad una relazione tecnico-descrittiva e alla relazione di verifica della
Legge 10, costituiranno la necessaria documentazione di progetto.
4.3 Impianto per la produzione e la distribuzione di acqua calda
Le modalità e le attrezzature utilizzate per la produzione e la distribuzione dell’acqua calda
si possono diversificare, anche notevolmente, in funzione delle specifiche caratteristiche del
processo operativo e delle peculiarità funzionali di ciascuna cantina, e questo si traduce nella
necessità di identificare preventivamente, sia in termini quantitativi che qualitativi, ciascuna
richiesta di acqua calda. Fra queste spiccano quelle per le diverse operazioni di pulizia (nei
reparti operativi, nel laboratorio, nella sala di degustazione e nel punto vendita), per il
controllo della temperatura dei serbatoi di fermentazione dei mosti e di stoccaggio del vino,
per i fabbisogni di talune macchine ed attrezzature enologiche (un esempio per tutte la linea di
imbottigliamento), per l’alimentazione delle eventuali batterie di riscaldamento degli impianti di
climatizzazione, per gli utilizzi sanitari (docce, bagni) ed infine per particolari operazioni
funzionali come, ad esempio, la reidratazione dei lieviti.
Per ciascun utilizzo si dovrà definire, con sufficiente precisione, le portate massime, la
pressione di esercizio, la temperatura, le caratteristiche fisiche e chimiche (limite di durezza, il
grado di potabilità, …) e le modalità di utilizzo. In tal modo sarà possibile valutare i fabbisogni
complessivi nel corso dei diversi periodi del processo produttivo e le corrispondenti richieste di
punta, ricordando di considerare l’eventuale presenza di contemporaneità degli utilizzi.
Nel corso di tale analisi preliminare si devono inoltre valutare i costi di impianto e di
gestione delle diverse tipologie impiantistiche in funzione soprattutto dell’entità e della
distribuzione nel tempo dei consumi; si dovrà inoltre analizzare quali possibili strategie è
possibile adottare per il contenimento dei consumi energetici. Fra questi ricordiamo i collettori
solari o il recupero di calore, mediante scambiatori, generato nel corso dei diversi passaggi
operativi di cantina (refrigerazione, …). E’ possibile, inoltre, ridurre il fabbisogno di combustibili
tradizionali adottando tecnologie ad alto rendimento come le caldaie che adottano sofisticati
sistemi di recupero del calore dei gas di scarico, le pompe di calore e gli impianti di
cogenerazione, o le caldaie in grado di bruciare biomasse (come, ad esempio, i raspi o i residui
delle pratiche agronomiche nei vigneti). L’applicabilità di tali metodiche, come è stato già
detto, dovrà essere attentamente ed oggettivamente valutata in funzione della specificità delle
produzioni enologiche ed, in particolare, dell’accentuata variabilità nel corso dell’anno dei
fabbisogni di acqua calda.
4.3.1 Le tipologie impiantistiche
ing. Maines Fernando
271
Elementi per la progettazione di una cantina
Gli impianti di cantina
Gli impianti per la produzione di acqua calda si distinguono, in funzione dello schema di
distribuzione, in localizzati e centralizzati.
Gli impianti localizzati forniscono acqua calda ad un singolo reparto o ad un ridotto numero
di ambienti adiacenti fra loro. Sono impianti generalmente alimentati con gas e possono essere
a produzione istantanea o ad accumulo. I primi erogano immediatamente la quantità di acqua
calda necessaria in quanto presentano un tubo di rame, sagomato a serpentina, posto nella
camera di combustione dove la fiamma si accende solo quando la pressione e la portata
d’acqua che attraversa la serpentina sono tali da assicurare che la temperatura in uscita non
superi determinati valori. Sono sistemi idonei per portate basse ed è importante assicurarne un
accurato posizionamento rispetto alle diverse utenze per uniformare le temperature di uscita.
Devono inoltre avere una potenza massima erogabile di 34,8 kW e, se installati secondo
quanto previsto dalle norme specifiche (UNI-CIG 7129/1992), presentano un buon grado di
sicurezza.
Nei sistemi localizzati con accumulo, invece, la caldaia riscalda l’acqua in modo diretto
oppure, indirettamente mediante una serpentina immersa in un boiler percorsa da un fluido
primario a temperatura superiore ad 80 °C. Il serbatoio di accumulo, dalla capacità variabile da
10 a 100 l, può essere incorporato (se di volume ridotto) o separato dal corpo scaldante e
rivestito con materiale termoisolante.
Non sono invece consigliati gli impianti alimentati ad energia elettrica, in primo luogo per i
maggiori costi rispetto al gas (metano o G.P.L.) ed al gasolio. Unica eccezione è rappresentata
dai piccoli scaldacqua in grado di soddisfare richieste di portate piccole e discontinue in reparti
o ambienti sfavorevolmente localizzati rispetto agli impianti di produzione e/o di accumulo
dell’acqua calda (un tipico esempio è la sala di degustazione o il punto vendita quando collocati
in un edificio a sé stante). Se si escludono i piccoli generatori istantanei utilizzati solo per
erogazione inferiori a 0,1 l/s, si tratta di sistemi ad accumulo che si caratterizzano per una
facile installazione (basta il collegamento all’impianto elettrico ed a quello idrico) ed un
funzionamento sicuro; di contro, è necessario un intervallo di tempo non trascurabile per
raggiungere il livello richiesto di temperatura. Sono costituiti da un serbatoio metallico di forma
cilindrica, omologato a resistere a pressione e coibentato, contenente al suo interno uno o più
resistenze che riscaldano l’acqua fino alla temperatura prefissata dal termostato. In caso di
malfunzionamento di quest’ultimo interviene una apposita valvola di sicurezza. Il serbatoio
viene alimentato in modo da assicurare costantemente il suo completo riempimento.
Gli impianti di tipo centralizzato sono costituiti da un grosso apparecchio per la produzione
di acqua calda, installato nella centrale termica o in prossimità di essa, in grado di distribuire
l’acqua mediante una apposita rete. Questi impianti hanno rendimenti termici maggiori e
garantiscono una maggiore sicurezza. L’acqua calda viene ottenuta, nella maggioranza dei
casi, per produzione indiretta attraverso la cessione, mediante scambiatore, di calore
posseduto da un fluido primario (acqua surriscaldata o vapore) prodotto da un apposito
generatore, all’acqua sanitaria. Normalmente il compito di generare il calore è svolto da una
caldaia che si distingue, oltre che per la potenzialità termica, per il fluido primario utilizzato:
ing. Maines Fernando
272
Elementi per la progettazione di una cantina
Gli impianti di cantina
acqua calda a temperatura attorno ai 90°C o vapore (a bassa pressione o ad alta pressione)
alla temperatura di 120 ÷ 130°C.
Per quanto riguarda le caratteristiche dell’acqua di alimentazione delle caldaie e/o dei
serbatoi di accumulo, si deve assicurare l’assenza di sostanze in sospensione ed in soluzione
che possono determinare depositi ed incrostazioni. Queste limitano le sezioni utili nette e
possono determinare pericolosi surriscaldamenti sulle pareti in prossimità del focolare.
Poco usata è la produzione diretta dove la caldaia scalda direttamente l’acqua da immettere
nel circuito di utilizzo; infatti tale sistema, non idoneo già con acque che presentano una
durezza media, è anche suscettibile di mettere in circolazione eventuale ruggine liberata in
caldaia. Per assicurare l’assenza di tali presenze e di altri composti di origine chimica che
possano rendere l’acqua aggressiva (e responsabile di possibili fenomeni di corrosione), si
possono posizionare, a monte del produttore di acqua calda oppure a monte della pompa di
circolazione, filtri di sicurezza, un impianto addolcitore (obbligatorio se la durezza supera i 25
°F) o un eventuale impianto di dosaggio automatico di condizionanti chimici (anticorrosivi e/o
stabilizzatori).
Più frequenti sono gli impianti ad accumulo, costituiti da un boiler che si caratterizza per la
capacità (da 100 a 3000 l) e per la temperatura di accumulo (da non confondere con la
temperatura di utilizzo che deriva dalla successiva miscelazione con acqua fredda), da
dimensionare in base alle esigenze dei diversi reparti. All’interno del boiler è posto un tubo a
serpentina nel quale scorre il fluido primario ad alta temperatura prodotta dalla caldaia.
L’apporto termico della caldaia può essere affiancato da altri contributi (pannelli solari, sistemi
di recupero del calore, …); particolarmente idonee si dimostrano le celle termiche multienergia
descritte nel precedente paragrafo.
I sistemi a produzione istantanea, invece, utilizzano scambiatori (o accumulatori di
calore) a serpentina immersa in un recipiente a tenuta di pressione, contenente vapore o
acqua surriscaldata (circa 130 °C) oppure scambiatori a piastre nei quali l’acqua viene fatta
passare attraverso una serie di piastre d’acciaio mantenute ad una elevata temperatura
dell’acqua di caldaia. La dimensione ed il numero delle piastre si determina in base al volume
di acqua da trattare ed alla temperatura di esercizio richiesta.
Qualunque sia la tipologia di impianto adottata, si deve valutare attentamente il problema
della regolazione, in particolare nel caso in cui il fluido primario sia il vapore, mediante la
verifica della temperatura nel boiler attraverso un termoregolatore. In ogni caso è
fondamentale rispettare l’obbligo di erogare acqua calda alle utenze ad una temperatura
massima compatibile con gli utilizzi, secondo quanto previsto della normativa del risparmio
energetico.
Un alternativa ai sistemi ora descritti è data dall’adozione di miscelatori acqua-vapore in
grado di fornire consistenti volumi di acqua calda a bassa pressione in modo economico ed
istantaneo, eliminando la necessità di installare serbatoi e scambiatori di calore. Sono costituiti
da gruppi di miscelazione muniti di due attacchi filettati con valvola di alimentazione, uno per
l’acqua fredda ed uno per il vapore proveniente da apposita caldaia. All’uscita il gruppo
ing. Maines Fernando
273
Elementi per la progettazione di una cantina
Gli impianti di cantina
alimenta un tubo di erogazione mobile e flessibile (in gomma o in resina) collegato mediante
attacco rapido munito di valvola e di pistola nebulizzatrice. Il sistema è completato da un
termometro per la visualizzazione della temperatura di miscelazione e da un dispositivo di
sicurezza che consente l’erogazione solo se viene verificato il flusso dell’acqua calda. E’
comunque possibile escludere tale dispositivo per effettuare l’erogazione di solo vapore.
L’impianto per l’erogazione di acqua calda necessita di una rete di distribuzione per la
quale si possono utilizzare tubazioni in acciaio zincato trafilato (tipo Mannemann senza
saldature) con giunzioni filettate, in rame per uso alimentare (in particolare per le singole
utenze di tipo tradizionale) oppure in polietilene reticolato, utilizzabile per pressioni fino a 10
atm e per temperature fino a 95 °C. In tutti i casi le tubazioni vengono installate munite di
coppella isolante in poliuretano, mentre per lunghi tratti di tubazione si devono inserire
appositi giunti di dilatazione. Nei reparti operativi si preferisce fissare le tubazioni al soffitto e
alle pareti, inserite in un guscio protettivo in polietilene, mentre per i reparti non operativi
(come la sala di degustazione, il laboratorio, …), si preferisce una installazione sotto traccia
con l’ausilio di guaine o di cartone ondulato e catramato per consentire ai tubi scostamenti
longitudinali e trasversali.
Negli impianti localizzati la rete di distribuzione si limita ad una tubazione per collegare il
generatore di acqua calda alla rete interna di acqua fredda ed una tubazione singola che parte
dal generatore o dalla parte superiore dell’accumulatore e porta l’acqua alle diverse prese di
erogazione.
Nel caso di impianti più complessi (impianti centralizzati) è necessaria una doppia
tubazione: la prima per la mandata dimensionata secondo i parametri visti per la distribuzione
dell’acqua fredda; la seconda, detta tubo di ricircolo o di ritorno in centrale, con diametri
inferiori a quelli della corrispondente rete di mandata, assicura una costante circolazione
dell’acqua calda ed evita il raffreddamento dell’acqua nelle tubazioni di distribuzione. Il
collegamento al ricircolo avviene con un rubinetto per consentire di intercettare il tratto a valle
in caso di riparazioni; un collettore infine alimenta i collegamenti ai singoli distributori.
Completano il sistema un dispositivo per assicurare che la rete risulti costantemente drenata
dell’aria disciolta, una valvola di non ritorno ed una valvola miscelatrice (a funzionamento
elettrico o elettronico o pneumatico) per miscelare l’acqua proveniente del boiler (65 ÷ 75 °C)
con quella fredda di rete.
Gli erogatori sono costituiti, nei reparti operativi, da attacchi rapidi e da collegamenti fissi
comandati da rubinetti manuali o da valvole a comando automatico (elettrovalvole o a
comando pneumatico) mentre nei bagni, nel laboratorio e nella sala di degustazione si
utilizzano i tradizionali miscelatori mutuati dall’edilizia abitativa.
Per garantire all’impianto un funzionamento corretto in base ai fabbisogni effettivi (risultato
ottenibile, ad esempio, utilizzando caldaie modulanti in grado di garantire la regolazione della
fiamma secondo le reali necessità) è necessaria la presenza di termostati facilmente accessibili
ing. Maines Fernando
274
Elementi per la progettazione di una cantina
Gli impianti di cantina
e regolabili e la riduzione delle distanze fra il generatore di acqua calda o del serbatoio di
accumulo ed i punti di erogazione, così come è importante la presenza di sistemi di
contabilizzazione (contatori) che consentono di quantificare e di monitorare nel tempo i
consumi.
4.3.2 Il dimensionamento dell’impianto
Il processo di dimensionamento dell’impianto è costituito da tre passaggi (esistono
peraltro metodi di calcolo empirici che fanno uso di diagrammi, tabelle e formule semplificate):
¾ definizione dei fabbisogni di acqua calda per giungere alla valutazione dei consumi
annui (hl/anno), della portata massima richiesta (l/s) e delle pressioni di esercizio
(bar);
¾ definizione delle portate e dei volumi di stoccaggio:
o
nel caso di un impianto ad accumulo, per determinare il volume del boiler è
necessario determinare la durata del periodo di punta ed il consumo medio
orario in tale periodo e definire la quantità d’acqua calda (alla temperatura
prefissata) che occorre accumulare per essere certi di poter tener fronte ai
fabbisogni evidenziati;
o
per un impianto a produzione istantanea è necessario determinare il valore
della portata massima istantanea richiesta dalla rete, con il previsto
coefficiente di contemporaneità, limitando l’accumulo alla quantità (stoccata
in un piccolo serbatoio) strettamente necessaria per soddisfare solo le
richieste relative al fabbisogno di non più di una decina di minuti;
¾ definizione della potenzialità termica: il calcolo del fabbisogno di energia termica può
essere eseguito in funzione del fabbisogno di accumulo (generalmente pari alla
richiesta dell’intero periodo di punta), alla temperatura di accumulo e al tempo nel
quale si intende ricostruire il carico oppure, in caso di produzione istantanea, in
funzione della temperatura di esercizio e della portata massima richiesta.
Quest’ultimo è il caso con un maggiore fabbisogno di energia termica anche se ciò,
teoricamente, non significa maggiori consumi di energia.
La potenzialità termica reale del generatore di acqua calda si ottiene dalla potenzialità
termica teorica maggiorata del 20% per tener conto dei rendimenti effettivi,
dell’invecchiamento dell’impianto e per assicurare una certa flessibilità di funzionamento; è
possibile, inoltre, limitare il volume del boiler, accettando in esso una temperatura dell’acqua
maggiore di quello di erogazione per miscelare poi l’acqua con acqua fredda.
Per quanto riguarda, infine, il dimensionamento della rete di distribuzione (scelta del
materiale per le tubazioni, calcolo dei diametri e verifica delle perdite di carico, …) si rimanda a
quanto specificato per l’impianto idrico.
4.4 Impianto di condizionamento
L’impianto di condizionamento (o di climatizzazione)
svolge il complesso compito di mantenere in un reparto
determinate condizioni di temperatura, umidità e
purezza dell’aria, indipendentemente dalle variazioni
delle condizioni esterne. Questo obiettivo è raggiunto
attraverso la distribuzione di una certa quantità di aria
prelevata dall’esterno o sottratta agli ambienti stessi
(impianti
ad
aria
ricircolata),
dopo
averla
opportunamente trattata (filtrazione, somministrazione o
asportazione di calore e/o di vapore acqueo). In tal
modo
è
possibile
garantire
condizioni
termoigrometriche ideali per i prodotti enologici e/o i necessari
ing. Maines Fernando
275
Elementi per la progettazione di una cantina
Gli impianti di cantina
requisiti per il benessere degli operatori e per la salvaguardia della loro salute.
In base alle diverse esigenze emerse nell’analisi ambientale preliminare, alle caratteristiche
strutturali degli edifici, all’organizzazione operativa dei reparti ed alla verifica dei costi (di
acquisto, di installazione, di esercizio e di manutenzione), si dovranno adottare idonei modelli
impiantistici, scegliendo innanzitutto fra una soluzione a controllo integrale oppure a controllo
parziale.
Nel primo caso l’impianto di condizionamento è in grado di svolgere gli interventi di
riscaldamento o di raffrescamento, di deumidificazione o di umidificazione e di ventilazione per
il ricambio e la movimentazione dell’aria. Nel caso, invece, di interventi parziali, si adotteranno
di volta in volta, impianti in grado di controllare solo una o, al più, alcune delle variabili
ambientali del reparto, così come richiesto dalla specifica attività in esso svolta. La scelta di
adottare sistemi impiantistici separati rende la progettazione e la realizzazione degli impianti
più semplice a scapito però dell’efficienza.
La notevole consistenza degli investimenti richiesti e delle spese di gestione connesse
consigliano di verificare la fattibilità di ogni possibile soluzione progettuale, costruttiva o
impiantistica in grado di ridurre l’intensità di intervento dell’impianto di condizionamento. Fra
queste si ricordano:
¾
¾
¾
tutti i possibili accorgimenti strutturali volti ad aumentare l’inerzia termica degli
edifici ed il loro grado di isolamento termico;
appropriato dimensionamento e collocazione delle aperture verso l’esterno (porte,
portoni e finestrature) per favorire, dove è possibile, la ventilazione naturale;
una corretta e razionale disposizione delle sale tecniche, compatibilmente con le
esigenze di tipo operativo, rispetto ai reparti con maggiori esigenze di controllo
ambientale, al fine di ottimizzare l’efficienza delle reti di distribuzione;
ing. Maines Fernando
276
Elementi per la progettazione di una cantina
Gli impianti di cantina
l’adozione di impianti ad alta efficienza e di eventuali sistemi per il recupero di calore
atti a favorire il risparmio energetico (pompe di calore, scambiatori, …).
In cantina sono presenti esigenze di intervento piuttosto diversificate che richiedono una
corretta procedura di progettazione. E’ necessario assicurare, in primo luogo, le esigenze di
carattere ambientale (in particolare per quanto riguarda la temperatura e l’umidità relativa), in
grado di favorire una corretta esecuzione dei passaggi produttivi. Si deve, nel contempo, tener
conto del benessere degli operatori valutando attentamente tutti i parametri significativi, come
la temperatura dell’aria ambiente, la temperatura media radiante delle pareti, l’umidità
relativa, la movimentazione dell’aria indotta dal sistema di distribuzione, la potenza metabolica
degli individui (variabile con il tipo di attività svolta) e la resistenza termica dell’abbigliamento
indossato.
¾
Ne consegue che nei reparti operativi sono da preferirsi impianti di tipo industriale, in grado
di realizzare le condizioni necessarie per la lavorazione o per la conservazione dei prodotti. Nei
reparti destinati invece ad attività amministrative (uffici, laboratorio) o destinate a visitatori
esterni (sala di degustazione o punto vendita), meglio si adattano soluzioni impiantistiche
tipiche dell’edilizia abitativa, al fine di garantire le condizioni più idonee per il soggiorno e lo
svolgimento di mansioni che si caratterizzano per un ridotto livello di attività fisica.
ing. Maines Fernando
277
Elementi per la progettazione di una cantina
Gli impianti di cantina
Per una rapida valutazione e verifica degli effetti sulla qualità ambientale di ciascuna
variabile e per la comprensione delle reciproche influenze, compatibilmente con i diversi tipi di
attività svolte, molto utile risulta l’utilizzo del grafico di Mollier e del diagramma psicrometrico
(che dal primo deriva), in particolare per il calcolo del carico termico da abbattere nel corso del
processo di raffrescamento estivo e da reintegrare nel corso del processo di riscaldamento
invernale. Consentono infatti di ricavare tutte le grandezze significative per la valutazione delle
prestazioni dell’impianto mediante una efficace rappresentazione grafica delle trasformazioni
subite dalle masse di aria in seguito ai diversi trattamenti.
L’esecuzione del progetto richiede lo svolgimento delle seguenti fasi:
¾ raccolta dei dati tecnici significativi;
¾ calcolo dei carichi termici;
¾ individuazione del tipo di impianto più idoneo per le esigenze individuate;
¾ dimensionamento delle macchine e dei componenti dell’impianto.
Per la determinazione delle condizioni termo-igrometriche interne è necessario definire
l’attività che si svolge in ogni reparto, le caratteristiche delle macchine e delle apparecchiature
eventualmente presenti, il livello di illuminazione e la caratteristiche costruttive dell’edificio.
Per le condizioni esterne, invece, si deve fare riferimento ai valori medio/massimi delle variabili
termo-igrometriche esterne, estive ed invernali, registrate nel corso di un congruo numero di
anni precedenti, mentre sono da evitare le punte assolute perché di durata limitata a poche
ore e, quindi, assorbibili dall’inerzia termica degli edifici.
Per la temperatura, inoltre, interviene la specifica normativa che ha fissato i valori delle
temperature esterne (estive ed invernali) di progetto relative ad ogni singolo comune (ad
esempio il valore per il comune di Trento è di -12 °C) con le relative correzioni per tener conto
delle variazioni di altitudine e del differente indice di agglomerazione. Pertanto i dati da
raccogliere sono:
¾ l’altitudine;
¾ l’orientamento dell’edificio;
¾ la direzione e l’intensità dei venti dominanti;
¾ l’irraggiamento indiretto dalle vetrate e dalle pareti degli eventuali edifici adiacenti;
¾ le ombre create da edifici adiacenti o da vegetazione;
¾ le caratteristiche e le dimensione dei serramenti;
¾ la composizione, lo spessore ed il colore delle pareti e dei pavimenti;
¾ le caratteristiche dimensionali dei diversi reparti e la destinazione di ciascun locale;
¾ l’entità delle presenze (operatori e visitatori);
¾ la potenza elettrica installata per l’illuminazione;
¾ la potenza elettrica assorbita dalle diverse apparecchiature.
L’analisi preventiva è completata da ulteriori dati significativi per il successivo
dimensionamento come, ad esempio:
¾ i volumi a disposizione per l’installazione delle macchine costituenti l’impianto di
condizionamento (sale tecniche);
¾ i passaggi e gli ostacoli per i canali e le tubazioni;
¾ il tipo di energia (elettrica e termica) disponibile.
ing. Maines Fernando
278
Elementi per la progettazione di una cantina
Gli impianti di cantina
Il secondo passaggio è rappresentato dalla determinazione del carico termico totale,
definito come la quantità di calore presente nell’ambiente che l’impianto di climatizzazione
deve neutralizzare nel corso del funzionamento estivo o che deve reintegrare nel corso del
funzionamento invernale; tale determinazione viene effettuata tenendo conto dei valori
climatici ed in particolare della temperatura dell’aria esterna nelle condizioni climatiche più
gravose.
In particolare per gli impianti di raffrescamento estivo, grande importanza assume la
valutazione delle entrate termiche dalle pareti e dalle vetrate che rappresentano una delle
principali fonti di calore sensibile, e del calore latente dovuto alla presenza del vapore d’acqua
nell’aria e che, differentemente dal calore sensibile, non dà contributo all’innalzamento della
temperatura ambientale.
Il carico termico è dato dalla somma di diversi contributi:
¾ carico esterno per trasmissione, ottenuto mediante un calcolo analogo a quello per
il bilancio termico invernale (si veda il paragrafo relativo all’impianto termico)
facendo riferimento ai valori della temperatura esterna di riferimento (invernale od
estiva), ricavabili da apposite tabelle ed ai valori di temperatura ambientale che sono
stati prefissati per i singoli reparti;
¾ carico esterno per irraggiamento, che rappresenta il calore introdotto nell’ambiente
attraverso i serramenti esterni in funzione della radiazione solare incidente massima
mensile, del fattore di riduzione dovuto all’adozione di vetri speciali o di particolari
dispositivi di oscuramento e del fattore di accumulo, cioè del calore accumulato dal
pavimento, ricavabili da apposite tabelle;
¾ carico termico dovuto alla ventilazione ed alle infiltrazioni, connesse con il
necessario rinnovo dell’aria, da quantificare a seconda delle dimensioni e della
destinazione del locale, nonché della presenza di fattori inquinanti; si ricorda che nel
funzionamento invernale, per le destinazioni che richiedono notevoli apporti di aria
esterna è imposta l’adozione di sistemi di recupero termico;
¾ carico termico dovuto a cause interne all’ambiente, in particolare connesse a
sorgenti di calore sensibile e/o latente presenti nei diversi reparti, il cui apporto è da
valutarsi in funzione della tipologia del livello di utilizzo e del grado di
contemporaneità delle varie attrezzature. I contributi principali sono costituiti
dall’utilizzo di macchine elettriche e di corpi illuminanti; gli utilizzatori elettrici e i
motori elettrici in particolare dissipano calore in funzione della potenza assorbita e
del rendimento (ad 1kW corrispondono 860 kcal/h).
Lo sviluppo del processo progettuale è completato dalla scelta della tipologia
impiantistica (impianto centralizzato o insieme di dispositivi di tipo localizzato, impianti ad
aria o ad acqua, …) e dal relativo dimensionamento.
Molte sono le possibili strategie che si possono adottare e che si differenziano per il grado di
complessità, per l’efficienza ed per i costi (di acquisto e di gestione): ventilazione forzata,
ventilazione e miscelazione (per eliminare la presenza di stratificazioni delle temperature
soprattutto in reparti come quelli di vinificazione, di stoccaggio e di affinamento), trattamento
termico dell’aria mediante gruppi di riscaldamento e/o gruppi frigoriferi, interventi sul livello
igrometrico ambientale, trattamento microbiologico (da adottare nel reparto di
imbottigliamento), … . Moltissime le soluzioni impiantistiche a disposizione del tecnico per
raggiungere questi risultati in funzione del livello di efficienza17 richiesta:
¾ miscelatori-omogeneizzatori (pale a soffitto, soffiatori d’aria ,manichette in film
plastico con aperture regolabili, …);
¾ estrattori d’aria mediante ventilatori elicoidali a soffitto o a parete;
¾ aerotermi;
¾ barriere d’aria per limitare scambi con l’esterno in corrispondenza degli accessi;
¾ deumidificatori e umidificatori (ugelli polverizzatori, vaporizzatori ad alta pressione,
iniettori di vapore, micronizza tori a ultrasuoni, …).
17
Tutte le soluzioni citate possono, mediante l’elettronica, gestire in automatico il controllo ambientale.
ing. Maines Fernando
279
Elementi per la progettazione di una cantina
Gli impianti di cantina
4.4.1 Sistemi di condizionamento centralizzati
In generale l’impianto è composto da una batteria per il trattamento dell’aria costituita da
filtri, umidificatore e/o deumidificatore, ventilatore per la movimentazione dell’aria e le batterie
per gli scambi termici. Tali batterie sono utilizzate per il preriscaldamento, il postriscaldamento e per il raffreddamento del fluido vettore18 (generalmente aria). Particolarmente
appropriata risulta l’adozione delle pompe di calore, in quanto macchine reversibili e pertanto
in grado di operare sia il riscaldamento che il raffreddamento oppure i sistemi di refrigerazione
ad assorbimento per la loro efficienza.
Completano l’impianto i sistemi di monitoraggio delle condizioni ambientali interne ed
esterne mediante apposite sonde (termometri e igrometri) in modo da consentire al sistema di
funzionare in modo automatico secondo modalità e cicli di lavoro prestabiliti.
Una classificazione, valida per tutti gli impianti di condizionamento, può essere fatta in base
al fluido o ai fluidi impiegati per annullare o integrare il carico termico: si parla infatti di
impianti a sola aria, sola acqua o misti ad aria-acqua.
Per i sistemi a sola acqua (detti ad acqua-acqua) i singoli ambienti vengono condizionati
mediante ventilconvettori (fan-coil), con i quali però non è possibile ottenere un efficace
controllo dell’umidità. L’aria ambientale viene aspirata dalla parte bassa da un ventilatore,
fatta passare attraverso una batteria per lo scambio termico, per essere immessa in ambiente
dalla parte alta del ventilconvettore dopo gli opportuni trattamenti. L’impianto di distribuzione
può essere a due tubi (utilizzati sia in inverno per l’acqua calda che in estate per l’acqua
fredda), oppure a quattro tubi, di cui due per il funzionamento estivo e due per quello
invernale, in modo da formare due circuiti separati.
Nel caso, invece, di sistemi a sola aria, che rappresentano la soluzione migliore per i reparti
operativi di una cantina, questa viene estratta e/o immessa dai singoli locali mediante una rete
di canali di lamiera zincata attraverso apposite aperture. I canali sono costituiti da tronchi di
limitata dimensione uniti fra loro mediante flange (per le condotte di dimensione maggiore) o
attacchi a baionetta. Tali condotte vengono generalmente fatte correre a soffitto per
semplificare le operazioni di manutenzione (soprattutto nei reparti oparativi), ma possono
trovare posto anche in apposite intercapedini o nelle pareti, nelle pavimentazioni o, più
raramente all’esterno. In ogni caso è necessario munire le condotte di una efficace isolazione
termica (con benefici effetti anche sull’isolamento acustico) sotto forma di feltri o di pannelli di
rivestimento oppure di schiume iniettate in intercapedini (poliuretano espanso, …).
18
Si utilizza un fluido (acqua calda o vapore) prodotto da apposita caldaia o prelevato da un sistema di accumulo
(vedere il paragrafo dedicato all’impianto termico).
ing. Maines Fernando
280
Elementi per la progettazione di una cantina
Gli impianti di cantina
Per particolari situazioni operative si possono adottare soluzioni impiantistiche semplificate
che utilizzano tubazioni in film plastico poste a soffitto che si caratterizzano per il minor costo e
il ridotto ingombro a impianto fermo.
La forma migliore per le condotte è quella circolare o quella quadrata, per quanto si utilizzi
più frequentemente la sezione rettangolare, per motivi di ingombro, con rapporto fra i due lati
superiore a 1/4 in modo da evitare eccessive turbolenze, mentre lo spessore delle lamiera
varia da 0,8 a 1,2 mm. La velocità media dell’aria nei canali è di 6-10 m/s (per mantenere
sufficientemente bassi i livelli di rumorosità), mentre la velocità d’uscita dalle aperture di
immissione non deve superare i 2,5 m/s. Come già osservato è importante che le uscite d’aria
vengano posizionate in modo da non sottoporre gli operatori a correnti d’aria dirette con
velocità superiori a 0,15 – 1 m/s nel caso di attività sedentarie oppure a 1,75 – 5 m/s nel caso
di lavori manuali attivi19. La temperatura di esercizio è compresa tra i 35 e i 45 °C in inverno e
tra i 15 e i 20 °C in estate. Sempre più frequentemente si assiste all’introduzione di sistemi
informatizzati in grado di gestire automaticamente portate e temperature ambientali.
19
Il valore inferiore dell’intervallo si riferisce al periodo invernale e quello superiore al periodo estivo.
ing. Maines Fernando
281
Elementi per la progettazione di una cantina
Gli impianti di cantina
Molto importante risulta la posizione delle bocchette o anemostati (elementi grigliati montati
sul lato verticale delle condotte) e dei diffusori (elementi montati a soffitto) che costituiscono il
sistema di distribuzione dell’aria. La scelta del tipo e delle dimensioni dipendono della portata
d’aria, dalla superficie da servire, dall’altezza di installazione rispetto al pavimento, dalla
differenza di temperatura, dal numero di ricambi all’ora, dalla velocità di uscita, dalla pressione
statica disponibile e dal livello di rumorosità ammesso. In particolare le bocchette presentano
una griglia ad alette fisse, nel caso di aperture per la ripresa e per l’immissione qualora non si
presentano limitazioni di lancio e/o di direzione di flusso. Nel caso, invece, in cui siano
necessari interventi di aggiustamento sulle caratteristiche del flusso, si devono adottare
bocchette ad alette orientabili a semplice o doppio ordine. I diffusori possono essere circolari,
quadrati o lineari, in base a criteri sia di natura pratica che di natura estetica e possono
caratterizzarsi per la formazione di flussi a direzione lineare, tangenziale o tridimensionale.
Per gli impianti ad aria il dimensionamento delle condotte, viene eseguito in modo analogo
al caso delle tubazioni per l’impianto idrico o per l’impianto dell’acqua calda, con le differenze
indotte dalla comprimibilità dell’aria e dalla minore incidenza della pressione che negli impianti
di condizionamento assume valori solitamente modesti.
Il diametro delle condotte convoglianti l’aeriforme è determinato da diversi fattori:
¾ il valore massimo istantaneo della portata massica (o volumica) riferito alle
condizioni normali di 1 bar e 20°C;
¾ il valore della temperatura a cui l’aeriforme deve essere erogato nei punti terminali di
utenza;
ing. Maines Fernando
282
Elementi per la progettazione di una cantina
Gli impianti di cantina
la pressione da avere alle utenze;
la velocità dell’aeriforme in m/s nei tubi, data dal rapporto tra la portata volumetrica
in m3/s (alla pressione di esercizio) e la sezione utile del tubo;
¾ la lunghezza in metri del tubo; nel caso di erogazione lungo il percorso, occorrerà
conoscere la lunghezza di ciascun tratto tra una erogazione e la successiva e le
corrispondenti portate;
¾ la natura del tubo, in particolare la rugosità delle sue parti interne in funzione delle
quali si determinano le perdite di carico continue mediante apposite tabelle e abachi
realizzati per diversi tipi di materiale e per il livello di rifinitura superficiale;
¾ i particolari costruttivi (strozzature, variazioni di sezione, curve, raccordi,
saracinesche, intercettazioni, derivazioni, …) causa di perdite concentrate il cui
valore, variabile con il tipo di discontinuità, è riportato su apposite tabelle o abachi.
Tale valore, per ogni tipo di discontinuità e di diametro del tubo, può essere espresso
in “lunghezza equivalente di tubazione”, ed essere così trasformato nel
corrispondente valore di perdita di carico distribuita;
il valore massimo delle perdite di carico (Δp) che si intende accettare, tenendo conto che
maggiore è il valore di Δp, maggiore sarà l’energia di pressione da spendere e, di contro, tanto
è più basso risulta il Δp tanto maggiore saranno i diametri, e quindi i costi, delle tubazioni.
¾
¾
Il dimensionamento potrebbe essere condotto rigorosamente con formule di notevole
complessità, ma in pratica si preferisce utilizzare collaudati abachi e diagrammi sperimentali.
In conclusione è bene ricordare che le canalizzazioni di immissione e di estrazione dell’aria
dagli ambienti rappresentano un possibile veicolo di propagazione e di sviluppo di un eventuale
incendio dall’ambiente in cui esso si manifesta agli ambienti attigui, ed una possibile fonte di
alimentazione delle fiamme per gli apporti di ossigeno. Inoltre rappresentano un possibile
veicolo di diffusione di fumi tossici ed asfissianti. Occorre, perciò, prevedere degli automatismi
che impediscano apporti di aria fresca agli incendi e il passaggio di fumi o di fiamme ad aree
adiacenti e dei dispositivi che possano rendere possibile l’estrazione diretta del fumo verso
l’esterno dal locale interessato dalle fiamme. A tale scopo si possono installare apposite
serrande, a prova di fumo, che saranno controllate automaticamente in modo da lasciare attive
le canalizzazione di aspirazione e la corrispondente ventilazione di evacuazione per gli ambienti
coinvolti dall’incendio, mentre dovranno essere chiuse quelle di immissione. Queste ultime
invece dovranno continuare a funzionare immettendo aria in tutti gli ambienti non interessati
dall’incendio.
4.4.2 Sistemi di condizionamento localizzati
In alternativa agli impianti centralizzati, si può optare per dispositivi di condizionamento
dedicati a singoli reparti o ad un gruppo ristretto di ambienti omogenei.
ing. Maines Fernando
283
Elementi per la progettazione di una cantina
Gli impianti di cantina
Qualora venga richiesta anche la verifica dell’umidità relativa, oltre al controllo della
temperatura, si utilizzano le U.T.A. (unità di trattamento aria). In tali dispositivi, l’aria da
trattare segue un percorso, lungo il quale incontra i seguenti dispositivi:
la batteria ventilante di ripresa: è costituita da un ventilatore per il prelievo dell’aria
e da un espulsore-miscelatore. In tal modo si può prelevare aria direttamente
dall’ambiente stesso per riciclarla o per espellerla, totalmente o solo in parte,
reintegrandola nel contempo con una corrispondente quantità d’aria proveniente
dall’esterno;
¾ una batteria filtrante (di tipo elettrostatico e, in casi particolari, a carboni attivi) per
intercettare le polveri ed eventuali elementi estranei presenti nell’aria;
¾ la batteria calda per il pre-riscaldamento (mediante acqua calda) dell’aria;
¾ un sistema di umidificazione mediante immissione di acqua micronizzata o di vapore
nella corrente d’aria;
¾ una batteria di raffrescamento solitamente ad acqua refrigerata (da apposito
impianto frigorifero) per il raffreddamento dell’aria (e conseguente riduzione
dell’umidità assoluta per condensazione);
¾ la batteria calda di post-riscaldamento dell’aria (con conseguente riduzione
dell’umidità relativa);
¾ il separatore di gocce;
¾ la batteria ventilante di mandata.
Qualora, invece, venga richiesto solo l’intervento di raffrescamento estivo, si utilizza un
apparecchio, posto nello stesso reparto o in prossimità di esso, composto da una macchina a
ciclo frigorifero (con motocompressore incorporato). Per il raffreddamento del fluido nel
condensatore si utilizza aria o acqua: nel primo caso l’aria viene prelevata dall’esterno
mediante un’apposita canalizzazione, oppure è possibile adottare una collocazione all’esterno
dello stesso condizionatore (soluzione da preferire). Lo stesso non può essere fatto nel caso di
condensazione del fluido frigorigeno mediante l’utilizzo di acqua (essendo questa soggetta al
gelo). Tale sistema, oltre richiedere un collegamento con l’impianto idrico, si caratterizza per
gli elevati consumi d’acqua; questi possono essere ridotti con un collegamento, mediante
sistema a ricircolo, ad una torre evaporativa (eventualmente in parallelo nel caso di più
dispositivi localizzati presenti in cantina).
I condizionatori localizzati più idonei per l’applicazione nei reparti operativi sono quelli
monoblocco, dove il gruppo refrigerante (costituito dal condensatore raffreddato ad aria e dal
compressore) ed il sistema di diffusione dell’aria raffrescata nell’ambiente (batteria evaporante
e ventilatore) sono posti in un unico involucro. Per questo è preferibile, soprattutto nel caso di
impianti destinati a servire più ambienti, un’installazione all’esterno in modo da semplificare
l’espulsione all’esterno dell’aria di raffreddamento del condensatore, mentre l’aria trattata
viene inviata all’utilizzazione mediante una serie di canalizzazioni.
¾
ing. Maines Fernando
284
Elementi per la progettazione di una cantina
Gli impianti di cantina
Per i reparti non operativi come l’area amministrativa ed i laboratori possono trovare una
adeguata applicazione i sistemi misti acqua-aria che consentono condizioni ambientali più
bilanciate grazie all’immissione nell’ambiente di aria, che fornisce i ricambi necessari, controlla
l’umidità relativa ed assicura corretti valori della temperatura regolando il carico termico in
eccesso o in difetto. In alternativa si possono utilizzare anche piccoli dispositivi che si
caratterizzano per la semplicità di installazione e di funzionamento, la limitata potenza e la
possibilità di eseguire il raffrescamento estivo o il riscaldamento invernale. Le dimensioni sono
ridotte, tanto da poterli classificare come elettrodomestici. Si tratta di condizionatori da
finestra (fissi o trasportabili) ed di climatizzatori split, costituiti da due sezioni, di cui una posta
all’interno del locale (la sezione ventilante e la batteria di scambio) e la seconda posta
all’esterno (l’unità motocondensante) collegate con tubo flessibile. In questo modo la parte più
ingombrante e rumorosa risulta esterna ai locali da climatizzare mentre le unità interne, per le
ridotte dimensioni, possono essere collocate a parete o a soffitto.
Un caso molto particolare di condizionamento ambientale è quello relativo al reparto di
appassimento (l’argomento è stato trattato da un punto costruttivo nello specifico paragrafo
del capitolo dedicato ai reparti). Fra le molte tecniche utilizzabili per ridurre il contenuto in
acqua delle uve, i migliori risultati da un punto di vista qualitativo sono assicurati
dall’appassimento naturale assistito con ventilazione e deumidificazione d’aria. L’appassimento
naturale si ottiene predisponendo appositi locali con grandi finestrature che sfruttano la
naturale ventosità (qualora le caratteristiche climatiche locali lo consentano). In assenza di una
sufficiente intensità delle correnti d’aria, si fanno intervenire dei ventilatori assiali posti alla
base delle pareti (aspiranti su di un lato e spingenti sul lato opposto) in modo da creare una
ventilazione artificiale. Per assicurare una ottimale uniformità di appassimento vengono posti a
livello del pavimento, all’interno del reparto, altri ventilatori assiali (di dimensioni da 60 x 60
fino a 200 x 200 cm)20, eventualmente assistiti da ventole a pale poste a soffitto per
contrastare la formazione di correnti verticali.
20
Vengono solitamente usati ventilatori 140 X 140 cm, fatti funzionare a 500 giri/min con portate di 30.000 m3/h,
caratterizzati da pale conformate in modo da poter funzionare in entrambe le direzioni.
ing. Maines Fernando
285
Elementi per la progettazione di una cantina
Gli impianti di cantina
Nei casi, invece, in cui le condizioni metereologiche esterne non consentano nemmeno la
ventilazione artificiale (umidità relativa dell’aria esterna troppo elevata o temperature troppo
basse), si interviene con un impianto di deumidificazione. Si tratta generalmente di una pompa
di calore che preleva l’aria interna al reparto, la deumidifica (portandola a valori compresi fra
55 e 75 %), eventualmente ne aumenta la temperatura (fino a 20°C) e la distribuisce
mediante una serie di tubazioni in film plastico poste a soffitto con velocità di 1 – 2,5 m/s.
Il deumidificatore può essere installato sia all’interno della fruttaia (è allora necessario
predisporre una condotta verso l’esterno per espellere il calore in eccesso) oppure all’esterno
del reparto (in tal caso devono essere presenti i fori per il passaggio della condotta di ripresa
dell’aria interna e di quella per l’immissione dell’aria deumidificata. Si tratta di macchine
piuttosto efficienti, con un alto livello di automatizzazione (sono necessarie una serie di sonde
per la verifica delle temperature e delle umidità relative interne ed esterne), ma anche
caratterizzate da costi significativi. A titolo di riferimento un impianto per l’appassimento di
100000 kg di uva assorbe circa 20 – 25 kW elettrici; tali valori rappresentano anche il limite
per la singola macchina, al di sopra del quale è consigliabile lo sdoppiamento dell’impianto.
4.5 Impianto elettrico
(in collaborazione con l’ing. Rolleri Manuele)
E’ senza dubbio l’impianto di cantina per antonomasia, in quanto rappresenta la principale
fonte di alimentazione energetica per la stragrande maggioranza delle macchine enologiche e
per molti degli altri impianti della cantina, grazie alla grande semplicità ed immediatezza con la
quale l’energia elettrica può essere trasformata in luce, in calore o in energia meccanica.
L’utilizzo dell’energia elettrica si caratterizza, inoltre, per l’assenza di emissioni inquinanti negli
ambienti di lavoro), per la facilità di alimentazione in ogni punto della cantina e per la
semplicità di approvvigionamento, garantito (a meno di interruzioni accidentali) dall’Ente
gestore della rete di distribuzione.
L’utilizzo dell’energia elettrica richiede la presenza di un circuito conduttore con ai capi una
tensione o differenza di potenziale V (prodotta da un generatore e misurata in Volt); tale
tensione se applicata ad un carico (motore, apparecchio di illuminazione ecc.) determina la
presenza di una corrente elettrica I (misurata in Ampere) la cui intensità dipende dalla
resistenza R (misurata in Ohm) che incontra nel circuito e, in particolare, nei dispositivi
utilizzatori. Mediante queste grandezze, legate fra loro dalla legge di Ohm (V = I * R), è
possibile valutare la caduta di tensione, definita come la differenza tra la tensione di
alimentazione a vuoto, cioè senza carichi, e la tensione che si stabilisce in ogni punto
dell’impianto quando sono inseriti gli apparecchi utilizzatori. Un importante vincolo è dato dal
fatto che la caduta massima di tensione, valutata in base alla situazione di contemporaneità di
funzionamento dei diversi dispositivi, non deve superare un valore prefissato in funzione del
ing. Maines Fernando
286
Elementi per la progettazione di una cantina
Gli impianti di cantina
tipo di circuito e degli utilizzatori collegati; in generale si richiede che per i circuiti utilizzatori
tale valore sia inferiore al 4%, mentre per i circuiti di illuminazione sia inferiore al 5%.
Gli impianti elettrici sono di esecuzione relativamente semplice, se confrontati con altri
impianti presenti in cantina; si caratterizzano, tuttavia, per oneri progettuali e costruttivi non
indifferenti per conferire all’impianto le necessarie caratteristiche di sicurezza, in particolare
per quanto riguarda il pericolo di incendio e di folgorazione per contatto diretto o indiretto. Tali
rischi non sono uguali in tutti i reparti, cosicché la cantina, o il singolo ambiente, deve essere
suddiviso in zone con diverso livello di rischio. In particolare possono essere presenti aree dove
è vietata l’installazione di qualsiasi dispositivo, altre che richiedono particolari soluzioni
impiantistiche in grado di garantire alti livelli di protezione (parti attive poste in appositi
contenitori in grado di evitare qualsiasi contatto diretto, spine protette a monte da differenziale
ad alta sensibilità, …).
Tale complessità rispecchia quella della normativa specifica, in taluni casi recepita a livello
legislativo, costantemente aggiornata a cura del CEI (Comitato Elettrotecnico Italiano –
www.ceiweb.it) al quale il Legislatore ha affidato il controllo di tutte le parti che costituiscono
un impianto elettrico.
In particolare la norma CEI 64-8 del 1992, relativa ad impianti elettrici utilizzatori a
tensione nominale non superiore a 1000 V in corrente alternata e a 1500 V in corrente
continua, definisce gli elementi che costituiscono un impianto elettrico e le relative
caratteristiche, i criteri per la progettazione dell’impianto (anche per gli ambienti a più elevato
rischio), i criteri e i dispositivi di sicurezza da adottare per la protezione contro i contatti e le
modalità di scelta e di installazione dei componenti.
Anche il D.M. 22 gennaio 2008, n. 37 ed il relativo decreto attuativo (D.P.R. n° 447 del
1991) intervengono a riguardo, specificatamente nei seguenti articoli:
ing. Maines Fernando
287
Elementi per la progettazione di una cantina
¾
¾
¾
¾
¾
¾
¾
Gli impianti di cantina
ambito di applicazione: tutti gli impianti elettrici relativi agli immobili adibiti ad
attività produttive, al commercio, …;
soggetti abilitati e requisiti tecnico professionali: sono abilitate all’installazione,
all’ampliamento e alla manutenzione le imprese singole o associate, regolarmente
iscritte nel registro delle ditte o nell’albo provinciale delle imprese artigiane ed in
possesso dei necessari requisiti tecnico-professionali;
progettazione degli impianti: la redazione del progetto è obbligatoria per
l’installazione, la trasformazione e l’ampliamento di impianti elettrici relativi ad
immobili adibiti ad attività produttive quando le utenze sono alimentate a tensione
superiore a 1000 V, inclusa la parte a bassa tensione, o quando le utenze sono
alimentate in bassa tensione qualora la superficie superi i 200 m2. Il progetto è
comunque obbligatorio per gli impianti elettrici con potenza impegnata superiore o
uguale a 1,5 kW per tutta l’unità immobiliare provvista o per i quali sussista pericolo
di esplosione o maggior rischio di incendio. I progetti debbono contenere gli schemi
dell’impianto e i disegni planimetrici, nonché una relazione tecnica sulla consistenza e
sulla tipologia dell’installazione della trasformazione o dell’ampliamento dell’impianto
stesso, con particolare riguardo ai materiali ed ai componenti da utilizzare e alle
misure di prevenzione e di sicurezza da adottare.
installazione degli impianti: si intendono costruiti a regola d’arte gli impianti realizzati
in conformità dell’UNI e del CEI, nonché della legislazione tecnica vigente e che
utilizzano i materiali e i componenti costruiti secondo le norme tecniche per la
salvaguardia della sicurezza dell’UNI e del CEI;
dichiarazione di conformità: al termine dei lavori l’impresa installatrice è tenuta a
rilasciare al committente la dichiarazione di conformità degli impianti realizzati nel
rispetto delle norme. Di tale dichiarazione, sottoscritta dal titolare dell’impresa
installatrice e recante i numeri di partita IVA e di iscrizione alla Camera di
Commercio, Industria, Artigianato ed Agricoltura, faranno parte integrante la
relazione contenente la tipologia dei materiali impiegati nonché, ove previsto, il
progetto;
certificato di abitabilità e di agibilità: il Sindaco rilascia il certificato di abitabilità o di
agibilità dopo aver acquisito anche le dichiarazioni di conformità o il certificato di
collaudo degli impianti installati;
possibilità da parte di Comuni, ASL, Vigili del Fuoco, ISPESL di avvalersi di liberi
professionisti iscritti in appositi elenchi conservati presso le Camere di Commercio
per eseguire operazioni di collaudo e per accertare la conformità degli impianti alle
disposizioni di legge.
L’impianto elettrico di una cantina è costituito da tutti gli elementi che stanno “a valle” del
contatore e che costituiscono l’impianto di distribuzione, composto generalmente dai
seguenti elementi:
¾ sistema di alimentazione (da rete pubblica esterna o mediante sistemi aziendali di
autoproduzione di energia elettrica);
¾ contatore;
¾ quadro elettrico generale;
¾ quadri elettrici di zona o di reparto;
¾ linee elettriche di collegamento dei quadri con tutte le utenze;
ing. Maines Fernando
288
Elementi per la progettazione di una cantina
¾
¾
¾
Gli impianti di cantina
punti di utilizzazione e di comando;
dispositivi di rifasamento;
impianto di terra.
Il progetto deve essere redatto da un tecnico abilitato e deve contenere i seguenti dati:
¾ dettagliata relazione illustrativa per mettere in relazione i carichi che si intendono
alimentare e le loro caratteristiche. Deve riportare i seguenti elementi:
o
calcolo del fabbisogno di energia elettrica e di potenza elettrica;
o
tipo di allacciamento alla rete di distribuzione esterna;
o
tipo di fornitura (civile o industriale);
o
modalità di allacciamento dell’alimentazione e tracciato dei conduttori;
o
posizionamento del contatore e del quadro;
o
schema generale della distribuzione interna con la posizione dei punti di
utilizzo nei diversi reparti. Tale schema consente di verificare la loro corretta
localizzazione per poter verificare che rispondano adeguatamente alle
esigenze individuate nel corso dell’analisi preliminare, in funzione della
caratterizzazione funzionale di ciascun reparto in seno al processo
produttivo;
o
tipi di utilizzatori.
¾ relazione di calcolo dell’impianto. Il dimensionamento dell’impianto viene eseguito
secondo i seguenti passaggi:
o
determinazione del tracciato: nota la configurazione planovolumetrica dei
reparti e le relative caratteristiche funzionali, si definiscono i punti di attacco
delle varie utenze, si determinano le potenze che ciascun punto terminale
richiede, si disegnano i percorsi individuando le lunghezze e le discontinuità.
Ne risulta lo schema di massima su cui si definiscono le apparecchiature di
comando, di controllo e i dispositivi di sicurezza;
o
determinazione delle correnti di impiego e dei carichi elettrici su ogni tratto
di conduttura;
o
determinazione della tipologia di cavi elettrici e calcolo delle relative
dimensioni (sezioni);
o
scelta degli apparecchi di protezione, di sezionamento, di comando e di
derivazione;
o
dimensionamento dei tubi protettivi e/o dei condotti di alloggiamento.
ing. Maines Fernando
289
Elementi per la progettazione di una cantina
Gli impianti di cantina
¾
schema dell’impianto su cui siano riportate le sezioni dei cavi e le cadute di tensione
dei singoli tratti, considerando il tutto a pieno carico e tenendo conto del fattore di
contemporaneità. Si possono utilizzare due diversi schemi:
o
lo schema di principio, usato per schematizzare impianti complessi data la
sua capacità di individuare, in fase progettuale, le derivazioni e gli
allacciamenti dei circuiti elettrici e di favorire una maggior comprensione del
funzionamento del circuito. Si tratta, pertanto di un elaborato che
schematizza le caratteristiche elettriche dell’impianto dal punto di
alimentazione fino agli utilizzatori, astraendo dal riferimento del progetto
architettonico;
o
lo schema di montaggio che evidenzia i diversi componenti degli impianti,
consente all’installatore di rilevare con precisione il percorso dei conduttori o
l’ubicazione di ogni elemento dell’impianto e permette di effettuare un
completo computo metrico.
¾
disegni in pianta (redatti in scala 1:50 utilizzando particolari segni grafici secondo le
vigenti norme CEI) con riferimento alla tipologia e alla posizione degli utilizzatori, dei
comandi e dei quadri. Si utilizza un terzo tipo di schema, detto unifilare, dove tutti i
conduttori vengono indicati con una sola linea e da simboli (2x, 3x, …) per indicare il
numero di cavi. Il minore fabbisogno di spazio lo rende particolarmente comodo per
un utilizzo diretto sulle planimetrie;
schemi dei quadri elettrici con le caratteristiche degli interruttori magnetotermici e/o
differenziali a protezione delle apparecchiature di alimentazione, delle linee elettriche
di alimentazione; in particolare su tali schemi sono riportati il coordinamento degli
interruttori con le apparecchiature alimentate e con le sezioni dei cavi al fine della
loro protezione e della protezione contro i contatti diretti o indiretti delle persone;
computo metrico con la descrizione dei componenti dell’impianto e relative quantità;
elenco dei prezzi unitari dei materiali e costo della mano d’opera.
¾
¾
¾
4.5.1 Gli elementi d’impianto
L’impianto deve presentate in primo luogo un sistema di allacciamento alla rete di
distribuzione esterna che fornisce, attraverso una rete di connessione, la tensione elettrica
ing. Maines Fernando
290
Elementi per la progettazione di una cantina
Gli impianti di cantina
alternata con frequenza 50 Hz proveniente dalle centrali di produzione. Nel corso delle fasi di
trasporto, la tensione viene progressivamente ridotta, mediante apposite centrali o cabine di
trasformazione, a partire da 380 kV (linee ad altissima tensione) fino a raggiungere il valore di
utilizzo da parte dell’utente, che varia in base alla modalità di utilizzo ed ai livelli di consumo.
Le cantine mediamente si collocano nella fascia di consumo medio e pertanto possono
utilizzare un allacciamento in media tensione (da 5 a 25 kV) o un allacciamento in bassa
tensione (400 o 230 V). La media tensione (MT) si caratterizza per i minori costi al kWh
rispetto alla bassa tensione (BT), anche se tale differenza tariffaria negli ultimi anni è andata
riducendosi; ricordiamo anche che in caso di fornitura in media tensione vi sarà la necessità di
installare (e gestire) una apposita cabina di trasformazione così come descritta nell’apposito
paragrafo del precedente capitolo relativo ai reparti21. La scelta tra fornitura in media tensione
o in bassa tensione dipende sia da considerazioni economiche che da elementi di carattere
tecnico. Indicativamente risulta più conveniente l’adozione della bassa tensione fino a 80 ÷
100 kW di potenza assorbita.
Si deve sempre tenere in debito conto la possibilità di subire interruzioni dell’erogazione di
energia elettrica a causa di incidenti, guasti, operazioni di manutenzione e disservizi sulla rete
dell’azienda elettrica fornitrice. Il livello di rischio dipende dalla durata e dalla frequenza delle
interruzioni, ma soprattutto dal periodo dell’anno in cui si presentano, dato che la vulnerabilità
del processo produttivo aumenta notevolmente nel corso dei mesi in cui l’attività di cantina è
più concitata (settembre – novembre). La soluzione più idonea prevede l’installazione di un
gruppo elettrogeno (motore termico collegato ad un alternatore) da localizzare e da installare
in modo da contenere il livello di inquinamento acustico ed assicurare un corretto
allontanamento dei gas di scarico.
Si è già accennato alla possibilità di autoprodurre energia elettrica in cantina utilizzando
diverse tecnologie: celle fotovoltaiche, alternatori mossi da turbine che sfruttano piccoli salti
d’acqua, impianti di cogenerazione o piccoli generatori eolici. L’elevato indice di discontinuità in
tali metodologie produttive, la spiccata variabilità nel tempo dei fabbisogni elettrici di una
cantina e gli elevati costi di investimento rendono comunque necessaria una attenta analisi di
fattibilità tecnica e di convenienza economica. In particolare è importante accertare la
possibilità di sottoscrivere con l’Ente Erogante contratti che consentano di operare a conguaglio
fra l’energia che la cantina preleva dalla rete esterna e l’energia autoprodotta immessa in rete.
Il confine fra la rete di alimentazione esterna e l’impianto elettrico di cantina è dato dal
contatore (più correttamente chiamato gruppo di misura e di consegna) che ha il compito di
effettuare la misurazione della energia assorbita dall’impianto. Va collocato entro un apposito
contenitore di protezione munito di portine con chiave, posto in un vano accessibile per poter
effettuare il controllo del contatore, la manutenzione o la riattivazione manuale dell’interruttore
generale automatico (o limitatore). Tale dispositivo, installato subito a valle del contatore
dell’Ente Erogatore, ha lo scopo di assicurare la possibilità di interrompere manualmente il
21
Si ricorda la necessità di assicurare la presenza, all’interno della cabina, dello schema dell’impianto elettrico e
l’esposizione sulla porta, in posizione ben visibile, di un cartello indicante pericolo e divieto di ingresso; infine
all’interno della cabina dovrà essere presente un mezzo di illuminazione sussidiario indipendente.
ing. Maines Fernando
291
Elementi per la progettazione di una cantina
Gli impianti di cantina
flusso di corrente elettrica nell’impianto. Inoltre se nel contratto di allacciamento è previsto un
limite al valore della potenza prelevabile, interviene automaticamente per interrompere
l’erogazione con una tolleranza del 10 %.
Primo elemento dell’impianto di distribuzione interna è il quadro generale posto
generalmente in un armadio componibile in metallo verniciato o in materiale plastico, installato
in posizione ben visibile ed accessibile solo al personale autorizzato. Viene utilizzato per
accogliere i necessari dispositivi di sicurezza e di distribuzione, montati su elementi profilati
normalizzati. Il quadro generale deve essere protetto dal rischio di incendio e deve assicurare
un grado di protezione contro possibili contatti accidentali o infiltrazioni di acqua, mediante
l’utilizzo di armadi posti su una base isolante o costruiti con materiali e componenti stagni
caratterizzati da un grado di protezione uguale o maggiore a IP55 (torneremo più avanti sul
significato di tale sigla).
Il quadro elettrico generale è alimentato attraverso il contatore dell’azienda fornitrice con
due tipologie di collegamento in funzione della tipologia dell’impianto collegato e delle potenze
in gioco. Nel caso di potenza totale (intesa come somma di tutte le utenze dell’impianto)
inferiore a 10 ÷ 12 kW l’allacciamento è di tipo monofase a due conduttori (fase e neutro) con
tensione di 230 V. In tale caso naturalmente tutti i carichi dell’impianto dovranno essere di tipo
monofase.
Nel caso invece in cui la potenza totale sia superiore a 12 ÷ 15 kW oppure vi siano dei
carichi trifasi l’allacciamento sarà di tipo trifase (a prescindere dal valore della potenza) a
quattro conduttori (tre di fase, R-S-T ed uno di neutro N). Le tensioni disponibili in questo caso
saranno di 400 V tra i conduttori di fase R, S e T e di 230 V tra ogni conduttore di fase e il
conduttore di neutro.
Oltre alle strumentazioni per il controllo della tensione e dell’intensità di corrente, è
presente l’interruttore generale automatico e tutti i dispositivi di protezione contro le
sovracorrenti ed i contatti diretti ed indiretti. Tali dispositivi devono assicurare un
funzionamento sicuro e tempestivo, in funzione del tipo di impianto, degli apparecchi installati
e delle condizioni di esercizio. In particolare si utilizzano:
sganciatori elettromagnetici fissi per proteggere l’interruttore e l’impianto dai corto
circuiti. Per impianti con potenze elevate è consigliabile chiedere all’ente erogatore il valore
della corrente di corto circuito di quella zona per stabilire il potere nominale di corto circuito
degli interruttori. Generalmente il potere di interruzione non deve essere inferiore a 4,5 kA e a
6 kA, rispettivamente nei punti di consegna monofase e nei punti di consegna trifase;
¾
¾
¾
¾
fusibili costituiti da elementi di circuito a sezione ridotta che fondono per
surriscaldamento;
relè in grado di rilevare le variazioni di tensione, di corrente e di temperatura,
prodotte in caso di guasto;
sezionatori per isolare una certa parte di impianto;
interruttore magnetotermico per proteggere l’impianto da eventuale sovraccarichi di
corrente (di intensità 4 o 5 volte superiore a quella nominale) che si presentassero in
qualsiasi punto dell’impianto a lui sotteso, per sovraccarico (troppi utilizzatori
ing. Maines Fernando
292
Elementi per la progettazione di una cantina
¾
Gli impianti di cantina
inseriti) o per corto circuito (due conduttori della linea vengono accidentalmente in
contatto); in tali casi può essere superata la massima temperatura sopportabile dal
conduttore isolato (circa 70 °C) senza subire danni alla guaina del conduttore.
L’interruttore magnetotermico risulta pertanto fondamentale come testimonia
l’obbligo di installazione previsto dalla normativa specifica, in particolare per tutte le
attività soggette all’obbligo di prevenzione incendi. Il tempo di intervento dovrà
essere inversamente proporzionale alla sovracorrente;
interruttore automatico differenziale (detto anche salvavita). Questo dispositivo
protegge l’uomo dal contatto diretto con una parte conduttrice e dal contatto
indiretto attraverso corpi che normalmente non sono in tensione, mediante
l’interruzione della corrente elettrica in un tempo tale da evitare danni al corpo
umano. Questi interruttori devono essere posti a monte dell’impianto interno o, nel
caso di impianti molto estesi, in più punti e deve essere sempre coordinato con
l’impianto di messa a terra (di cui si parlerà fra poco). L’interruttore differenziale è
tarato in modo da intervenire (mediante un comando automatico indotto da
un’elettrocalamita) quando risente di una corrente differenziale di 30 mA, valore
caratteristico della dispersione a terra del corpo umano.
Dal quadro elettrico generale si dipartono i collegamenti ai vari quadri di zona (relativi a
diversi edifici, a diversi reparti, all’area produttiva, a diverse aree funzionali o a singoli reparti),
ciascuno munito di eventuale contatore per il monitoraggio dei diversi consumi. I quadri
devono essere collocati secondo criteri per minimizzare il rischio di subire danneggiamenti
accidentali e sempre ad una distanza minima di 1 metro da qualsiasi presa d’acqua e mai deve
risultare ad essa sottostante. I collegamenti, detti dorsali, sono costituiti da un cavo
multipolare in guaina o da più cavi unipolari, di sezione calcolata in base alla potenza
impiegata, alloggiati possibilmente in cavedi appositamente predisposti. Vengono predisposti
dorsali a 4 conduttori (3 fasi ed il neutro) dai quali si dipartono i collegamenti ai sottoimpianti
(sia monofasi che trifasi). Il quadro di zona (o quadro secondario), realizzato con una scatola
in materiale isolante con opportuno grado di protezione e munita di sportello, contiene
elementi normalizzati per il fissaggio dei diversi apparecchi di controllo e di sicurezza
(interruttori magnetotermici differenziali e gli indicatori di tensione e di intensità di corrente)
opportunamente corredati delle indicazioni descrittive. Da ciascun quadro di zona si dipartono
le linee elettriche di distribuzione interna alle singole unità d’impianto, costituite generalmente
da almeno due circuiti (uno per l’illuminazione ed uno per la forza motrice), singolarmente
protetti dalle sovracorrenti e dai contatti diretti ed indiretti.
I conduttori utilizzati per l’impianto elettrico sono costituiti da fili metallici, generalmente di
rame, isolati e di diversa sezione. Possono essere unipolari, formati cioè da un unico filo o
ing. Maines Fernando
293
Elementi per la progettazione di una cantina
Gli impianti di cantina
riuniti in cavi multipolari. Vengono classificati in base a molteplici aspetti, mediante apposite
sigle:
¾ tipologia: cavo armonizzato alle norme internazionali (H), per tensioni nominali fra
300 e 500 V (05), per tensioni nominali fra 450 e 750 V (07),…;
¾ configurazione di assemblaggio: rigido a fili unico (U), rigido a corde (R), flessibile
per installazioni fisse (K), a treccia, a corda;
¾ materiale costituente l’isolante: gomma (G), PVC di buona qualità (R); PVC di
comune qualità (V);
¾ materiale costituente l’eventuale guaina: gomma (G); policloroprene (K), treccia
tessile (T), anime riunite dalla guaina in modo da formare un cavo rotondo (O).
Le sezioni minime per i conduttori (compresi anche il neutro e il conduttore di protezione),
sono fissate in funzione all’utilizzo. Ecco alcun valori di riferimento dettati dalla normativa e
rilevabili da apposite tabelle:
¾ 0,75 mm2 per circuiti di segnalazione e di comando;
¾ 1,5 mm2 per gli apparecchi di illuminazione;
¾ 2,5 mm2 o superiori per utilizzatori di forza motrice (motori, impianti, ...).
I conduttori, infatti, devono avere una sezione tale da non assumere temperature
inaccettabili se sottoposti alla massima intensità di corrente che li attraversa e non
determinare cadute di tensione troppo elevate a fine linea; a quest’ultimo riguardo si indica
come accettabile una caduta di tensione inferiore al 4%.
Per il dimensionamento di una linea si dovrà tener conto delle potenze (W) di tutti gli
utilizzatori ad essa attestati, per ciascuno dei quali si calcola l’intensità di corrente (I)
corrispondente mediante la formula W=V*I*cosφ. La somma di tali valori deve essere ridotta
attraverso un coefficiente di contemporaneità (solitamente compreso fra 0,5 e 0,8) da valutarsi
in base alla modalità di utilizzo dei dispositivi elettrici alimentati dalla linea in esame. Dal
valore ottenuto è possibile risalire alla sezione necessaria per il filo conduttore.
Sono fissate anche le colorazioni obbligatorie previste per contraddistinguere i fili (blu chiaro
per il neutro e giallo-verde per il conduttore di protezione) e l’obbligo di riportare il marchio di
qualità dell’organismo indipendente senza scopo di lucro che ha il compito di verificare e di
certificare la conformità alle norme di buona tecnica dei materiali e degli apparecchi elettrici
(IMQ per l’Italia, VDE in Germania, UTE in Francia, BSI in Gran Bretagna e ÖVE in Austria).
Anche le caratteristiche dell’isolante e delle guaine devono essere idonee alla corrente, alla
tensione ed ai rischi connessi alle modalità di utilizzo.
Le linee conduttrici possono essere poste in opera a vista o sotto traccia, all’interno di appositi
tubi o canaline, posizionate e dimensionate in modo che si possa venire a contatto con i
conduttori solo in maniera intenzionale. Tali operazioni, inoltre, consentono al calore prodotto
per effetto Joule di venir facilmente smaltito all’esterno, in relazione al limite termico
corrispondente alle caratteristiche del materiale isolante ed alle condizioni di posa.
Negli impianti sotto traccia i conduttori (posti i tubi protettivi) e gli elementi accessori
sono incorporati nella muratura entro apposite tracce in modo da rendere visibili solo le prese,
i comandi ed i coperchi delle scatole e delle cassette di derivazione. Le modalità di posa
ing. Maines Fernando
294
Elementi per la progettazione di una cantina
Gli impianti di cantina
devono comunque consentire, con una certa facilità, il controllo dell’isolamento,
l’individuazione dei guasti e gli interventi di manutenzione. I maggiori costi risultano
compensati da un risultato estetico decisamente migliore. Per questo in cantina, solitamente, si
adotta tale tipologia di impianto solo per gli ambienti dell’area tecnico-amministrativa o per i
reparti operativi ad alto impatto coreografico come la sala di degustazione e la bottaia e per i
servizi.
Molta attenzione e cura va destinata all’individuazione dei punti di installazione a soffitto e a
parete dei corpi illuminanti, degli interruttori, delle prese, ed alla definizione del percorso dei
conduttori che deve risultare possibilmente rettilineo (sia in verticale che in orizzontale) con
cambiamenti di direzione compatibili con il tipo di tubazione utilizzata per accogliere i fili
conduttori.
I tubi protettivi utilizzati sono generalmente in materiale termoplastico pesante
autoestinguente con marchio IMQ. Molto utilizzati sono i tubi corrugati per la loro ottima
flessibilità. Il diametro esterno, scelto in modo da consentire anche una sicura sfilabilità dei
cavi, varia da 16 a 32 mm, in funzione del numero e dalla sezione dei conduttori unipolari
contenuti; il diametro infatti deve risultare almeno 1,3 volte maggiore del cerchio circoscritto ai
cavi, per tenere conto dell’eventualità di una estensione dell’impianto o della sostituzione di
macchinari e quindi dei conduttori di alimentazione.
Negli impianti a vista i cavi conduttori sono posati lungo le pareti o il soffitto per evitare le
complesse operazioni necessarie per la realizzare delle tracce. In cantina si utilizzano
generalmente nei reparti operativi specialmente laddove occorre una rete molto diffusa o dove
è difficile prevedere la localizzazione dei punti di utilizzo. Ovviamente diventa estremamente
importante verificare che non vi sia pericolo per i conduttori di subire deterioramenti meccanici
o danneggiamenti dovuti ad agenti chimici. Per questo i cavi elettrici, isolati da una guaina di
materiale termoplastico o gomma, vengono posizionati entro tubi protettivi o in canaline
fissate alle pareti.
Si possono utilizzare anche appositi canali in lamiera zincata, in alluminio, in materiale
termoplastico o in acciaio inox, munite o meno di copertura e divise in comparti per ospitare
servizi elettrici diversi. Le applicazioni più frequenti si hanno nel caso di rifacimento di impianti
dove non è possibile porre sotto traccia o quando si presenta la necessità di disporre un gran
numero di cavi conduttori di notevoli dimensioni. Possono essere posizionate lungo lo zoccolo
dei pavimenti, sospese con staffe al soffitto o alle pareti, poste al di sopra dei controsoffitti
oppure posate sotto un pavimento galleggiante. In quest’ultimo caso le canaline sono
predisposte all’inserimento di torrette elettriche per l’alimentazione che conferiscono una
elevata elasticità nel posizionamento degli utilizzatori (una tipica applicazione sono le aree
amministrative realizzate con soluzioni tipo open space).
ing. Maines Fernando
295
Elementi per la progettazione di una cantina
Gli impianti di cantina
In cantina esistono ambienti speciali che richiedono particolari cautele nella realizzazione
dell’impianto elettrico (ambienti particolarmente umidi o bagnati, ambienti particolarmente
freddi come le celle frigorifere, ambienti con particolari esigenze funzionali come la centrale
termica o ambienti con pericolo di incendio (distilleria, magazzino alcool, magazzino cartoni,
...) e che, pertanto, richiedono l’utilizzo di tubazioni con un appropriato grado di protezione. Ad
esempio nei locali della cantina dove si fa un consistente uso di acqua, si devono utilizzare
tubazioni a tenuta stagna realizzati con elementi rigidi in PVC o in acciaio zincato, fissati alle
pareti o al soffitto mediante apposite staffe; negli ambienti, invece, con comprovato pericolo di
incendio o di scoppio, è preferibile usare tubi in acciaio zincato con giunzioni filettate (sono
vietati i tubi in acciaio a bordi avvicinati). Infine per condutture interrate si devono usare tubi
di materiale non corrodibile e di adeguata resistenza meccanica. Per tutte le parti che non sono
sotto traccia si devono utilizzare materiali e accorgimenti tali da garantire il previsto livello di
sicurezza e si devono adottare specifiche modalità di installazione; gli involucri posti a
protezione dei cavi, degli interruttori, delle prese, delle lampade e di ogni altra parte elettrica
devono assicurare l’integrità dell’impianto anche in presenza degli specifici elementi aggressivi
che caratterizzano l’ambiente.
Per le centrali termiche, ad esempio, si utilizzano cavi dotati di particolari proprietà, come
ad esempio, la capacità di non propagare la fiamma e l’incendio e la bassa emissione di gas
nocivi. Si tratta perciò di conduttori di tipo autoestinguente posti in tubazioni in PVC. Queste
devono essere posizionate ad un’altezza tale da non subire danneggiamenti meccanici e ad
un’altezza dal pavimento che dipende dal tipo di combustibile utilizzato22. Gli involucri devono
avere un grado minimo di protezione IP 44. Infine tutte le apparecchiature devono essere
22
L’altezza deve essere superiore a 50 cm dal pavimento per impianti a gasolio, ad una quota inferiore a 50 cm dal
soffitto per impianti a metano oppure a quota compresa tra 50 cm sopra il pavimento e 50 cm sotto il soffitto per
impianti a G.P.L..
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Elementi per la progettazione di una cantina
Gli impianti di cantina
protette da cortocircuiti e dalle sovracorrenti, mentre sull’alimentazione principale deve essere
posto un sezionatore, in un’apposita custodia all’esterno del locale caldaia, in grado di
interrompere l’energia di tutta la centrale; anche i quadri elettrici, le spie e gli interruttori
saranno alloggiati possibilmente nell’antilocale.
Dalle linee elettriche principali si dipartono le linee secondarie che portano ai singoli
utilizzatori, a partire da apposite cassette di derivazione (sono utilizzate anche per le
connessioni fra tratti contigui), in robusto materiale plastico isolante autoestinguente o in
lamiera verniciata oppure in acciaio inox (per poter resistere alle sollecitazioni meccaniche).
Tali cassette devono inoltre essere munite di coperchio con un idoneo sistema di chiusura (non
a semplice pressione) per rendere impossibile l’introduzione di corpi estranei. Esistono cassette
da murare per gli impianti sotto traccia oppure da installare esternamente, comunque
predisposte per l’apertura sui fianchi di fori che consentono l’innesto dei conduttori o dei tubi
portacavo. I collegamenti interni vanno effettuati con morsetti di giunzione e/o di derivazione
dotati di viti di serraggio e mantello isolante colorato, con idoneo grado di protezione. Le
cassette di derivazione incassate vanno collocate sulla parete lungo la verticale passante per
l’interruttore e poste in opera in modo che il coperchio risulti a filo dell’intonaco.
Gli utilizzatori presenti in cantina sono costituiti dalle macchine collegate alle prese, dai
sistemi di illuminazione fissi e mobili, dalle varie utenze di laboratori, uffici, bagni, spogliatoi e
dagli impianti di produzione. L’impianto è completato, pertanto, da scatole murate o meno,
poste lungo le linee o alla loro estremità e destinate a contenere gruppi modulari di dispositivi
di comando detti frutti (prese a spina, comandi di intercettazione o dispositivi per funzioni
speciali), installati sulle pareti alle quote consigliate dalla norma CEI 64/50, UNI 9620, che
fissa anche i valori limite per ottenere ambienti privi di barriere architettoniche.
ing. Maines Fernando
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Elementi per la progettazione di una cantina
Gli impianti di cantina
Le prese, in particolare, sono le uscite elettriche a cui si collegano le apparecchiature o i
corpi illuminanti portatili mediante dispositivi detti spine, a tre fori (alveoli di fase, neutro e
terra) per utilizzatori monofasi (generalmente con correnti fino a 16 A) oppure a quattro o
cinque fori per utilizzatori trifasi; le prese monofasi sono disposte in basso a parete, ad
un’altezza non inferiore a 17,5 cm rispetto al pavimento per tutti i locali assimilabili ad
abitazioni, mentre quelle trifasi o monofasi poste negli ambienti operativi dovranno essere
installate ad altezze non inferiori a 1,5 m. I punti di comando, invece, possono essere di
diverso tipo: interruttori che aprono e chiudono un circuito (anche per l’accensione e lo
spegnimento delle luci di un locale) da un solo punto, commutatori che consentono di
intervenire solo su parte degli utilizzatori ad esso collegato, i deviatori che consentono di
comandare gli stessi utilizzatori da due punti, gli invertitori che consentono di comandare
l’utilizzatore da tre punti, mentre se i punti sono più di tre è consigliabile utilizzare relè e
pulsanti che consentono l’accensione mediante l’azione di pressione sul pulsante stesso.
Nei reparti operativi, per l’alimentazione degli utilizzatori, si utilizzano quadretti prese di
tipologia CEE 17. Si tratta di quadri in resina autoestinguente resistente alle correnti
superficiali ed agli agenti chimici, con grado di protezione almeno IP44, dotati di interruttori
magentotermici differenziali. Questi quadretti possono essere a vista, oppure chiusi in
armadietti di acciaio inox, in resina autoestinguente o in lamiera verniciata, tutti materiali
resistenti alle sostanze chimiche presenti o utilizzate in cantina.
Le prese che vengono montate sui quadri CEE sono:
¾ presa 2P + T, per tensione 230 V, di colore azzurro-blu, contraddistinta da
due fori piccoli (fasi) ed uno grande (terra) disposti a triangolo;
¾ presa 3P + T, per tensione 400 V, di colore rosso, contraddistinta da tre
fori piccoli (fasi) ed uno grande (terra) disposti a rombo. Le dimensioni
della presa variano in funzione della quantità di corrente che deve passare
(piccole da 16 A, medie da 32 A e grandi da 64 A);
¾ presa 3P + N + T, per tensioni da 400 V, di colore rosso, contraddistinta da
4 fori piccoli (fasi più neutro) ed uno grande (terra) disposti a pentagono;
¾ presa 2P per la bassissima tensione (24 V) di colore rosa-viola,
caratterizzata da due fori piccoli (fasi) più un piccolo pulsante per inserire la
corrente nel circuito dell’utilizzatore. Questa presa è preceduta da un
trasformatore.
Queste prese sono chiuse da coperchi a molla o a vite dotati di guarnizione che
stanno aperti solo quando la spina è inserita. Le prese possono essere dotate di un dispositivo
ing. Maines Fernando
298
Elementi per la progettazione di una cantina
Gli impianti di cantina
per il blocco meccanico che impedisce la chiusura dell’interruttore con spina non inserita,
l’estrazione della spina e l’apertura del coperchio con interruttore chiuso. Possono, inoltre,
essere predisposte per un eventuale blocco elettrico tramite contatti pilota, da installarsi sulle
prese caratterizzate da una tensione maggiore di 50 V che agisce sugli organi di alimentazione.
Tutte le prese sono protette da fusibili, uno per ogni fase o interruttori magnetotermici o
magnetotermici differenziali.
Per collegare gli utilizzatori alle prese CEE si usano cavi isolati di adeguata sezione e le
eventuali prolunghe (costituite da un cavo flessibile terminante da un lato con una presa
mobile e dall’altro con una spina mobile) presentano prese e spine di aggancio con dispositivi
di blocco e di isolazione.
L’impianto degli ambienti non operativi (uffici, laboratori, sala di degustazione, punto
vendita, …), invece, presenta classici utilizzatori domestici con spine a pettine da 10 o da 16 A,
spine Shuko (tipo “tedesche”). Qualora siano presenti macchine che necessitano di una
alimentaizone trifase a 400 V (gruppi di continuità, condizionatori, ecc.), si dovranno
predisporre prese idonee.
E’ stato più volte accennato alla necessità che i materiali elettrici debbano possedere
determinate caratteristiche di sicurezza, così come previsto dalla normativa, per garantire la
sicurezza delle persone e dei beni nel corso dell’installazione, della manutenzione e dell’utilizzo.
La norma CEI 70-1 del 1980 e le successive modifiche ha introdotto il codice IP (International
Protection) per definire i gradi di protezione degli involucri delle apparecchiature elettriche la
cui tensione nominale non supera i 72,5 kV. Il codice è composto da due cifre e da eventuali
lettere addizionali (es. IP67B) con i seguenti significati:
¾ la prima cifra (da 1 a 6) rappresenta il grado di protezione contro il contatto con parti
pericolose e la protezione dei materiali contro l’ingresso dei corpi solidi estranei. Il
valore 1 indica una protezione contro corpi solidi di dimensione superiore a 50 mm
(contatti involontari con la mano) mente il 6 assicura una protezione totale in grado
di bloccare le polveri;
¾ la seconda cifra (da 1 a 8) codifica la protezione contro l’ingresso dannoso dell’acqua.
Il valore 1 indica la protezione contro eventuali gocce d’acqua cadenti dall’alto,
mentre il valore 8 rappresenta la protezione in caso di immersione continuata e da
proiezioni d’acqua molto intense in tutte le direzioni;
¾ le lettere A, B,C e D indicano la protezione contro il contatto diretto con parti
pericolose da parte di persone, mentre le lettere H, M, S e W forniscono ulteriori
informazioni relative al materiale.
Ad esempio, per le spine e le prese, il parametro IP44 indica la protezione contro gli spruzzi
d’acqua, mediante la presenza di un coperchio a molla, da utilizzarsi in zone coperte o in
ambienti interni adibiti a magazzinaggio e manutenzione. IP67, invece, indica spine e prese
ing. Maines Fernando
299
Elementi per la progettazione di una cantina
Gli impianti di cantina
stagne anche in caso di immersione temporanea, dotate di ghiera con chiusura a baionetta
adatte per ambienti soggetti a lavaggi con getti d’acqua e dove le connessioni sono soggette
ad un impiego gravoso. Il grado di protezione per le prese viene verificato quando i coperchi
sono chiusi o con spina completamente inserita.
4.5.2 Rete di messa a terra
Per limitare il rischio di incendi, di danni agli impianti e di folgorazione a causa di scariche
elettriche indotte da guasti dell’impianto o da scariche atmosferiche, tutte le parti metalliche
degli apparecchi elettrici (e non solo) con le quali le persone possono venire a contatto, devono
essere dotate di impianto di protezione e di messa a terra, in modo tale da non assumere
tensioni pericolose per il corpo umano. A tale scopo si realizzano collegamenti equipotenziali
fra le masse metalliche accessibili (impianto elettrico, compresi gli apparecchi di illuminazione
con parti metalliche, tutte le tubazioni metalliche degli impianti presenti in cantina imputabili di
contatto diretto) mediante un insieme di dispositivi (secondo le prescrizioni dalla norma CEI
64/8 e della norma CEI 64-12 - Guida per l’esecuzione dell’impianto di terra negli edifici per
uso residenziale e terziario) collegati a tutte le prese e direttamente alle masse di tutti gli
apparecchi da proteggere.
L’impianto di dispersione a terra è costituito da:
ing. Maines Fernando
300
Elementi per la progettazione di una cantina
¾
Gli impianti di cantina
dispersori di terra costituiti da corpi metallici posti in intimo contatto con il terreno
in modo da poter disperdervi la corrente elettrica. Si possono utilizzare dispersori ad
anello (corde in rame di almeno 25 mm2 o in acciaio zincato interrate alla profondità
di almeno mezzo metro lungo il perimetro del fabbricato, integrate da picchetti)
oppure tubi di ferro zincato lunghi 1,5 ÷ 3 m di sezione circolare, tubolare o piena a
croce, muniti di punta per poterli piantare nel terreno ad una profondità minima di
0,5 m e di foro in testa per il collegamento con il conduttore di collegamento con gli
altri elementi disperdenti. Per consentirne l’ispezione si possono predisporre dei
pozzetti in c.l.s., muniti di coperchio e contrassegnati con il simbolo di terra. Negli
edifici nuovi i dispersori vengono posti in opera nel corso delle fasi di scavo e
vengono collegati anche con i ferri delle fondazioni;
conduttore di terra: collega i dispersori al collettore di terra mediante una corda di
rame o acciaio zincato di adeguato spessore;
¾ collettore di terra: è costituito da una piastra o da una barra con morsetti per il
collegamento dei conduttori di protezione e dei conduttori equipotenziali;
¾ conduttori di protezione principale costituiti da cavi di rame, collegati ad un
collettore, a cui fanno capo i collegamenti delle diverse unità di impianto; sono
dimensionati in funzione delle caratteristiche dell’impianto di alimentazione elettrica;
¾ conduttori di protezione costituiti da un cavo unipolare (giallo–verde) per
collegare l’involucro metallico di ogni dispositivo al conduttore di protezione
principale;
¾ conduttori equipotenziali per collegare tra loro tutte le masse metalliche
accessibili di notevoli estensione (macchinari elettrici, vasi vinari, tubazioni
dell’impianto idrico, condotte dell’impianto dell’aria compressa, tubazioni
dell’impianto per la movimentazione del vino, …) presenti nei reparti, nelle strutture
edili o connesse (direttamente o indirettamente) all’impianto elettrico. In tal modo si
assicura, mediante il collegamento a terra, l’assenza di differenze di potenziale. I
collegamenti equipotenziali sono installati contemporaneamente alle reti degli
impianti elettrici.
L’efficienza del sistema è commisurata alla capacità di disperdere le correnti di maggiore
intensità mantenendo le tensioni più basse possibili. Tale capacità varia in funzione delle
dimensioni e della disposizione dei picchetti e della corda di collegamento fra i picchetti (se
interrate e non isolate si comportano anch’essa da dispersore) e della resistività media del
terreno. Quest’ultima rappresenta la maggior incognita; pertanto si deve accertare l’esistenza
¾
ing. Maines Fernando
301
Elementi per la progettazione di una cantina
Gli impianti di cantina
di una resistenza di terra totale dell’impianto coordinata con le correnti di intervento degli
interruttori differenziali (salvavita).
4.5.3 Il rifasamento
Abbiamo già accennato, nel paragrafo relativo all’Analisi dei fabbisogni energetici,
all’importanza del fattore di potenza cosφ, che quantifica lo scostamento fra la potenza
effettivamente trasformata da un utilizzatore in lavoro e la potenza che lo stesso utilizzatore
assorbe dalla rete. La maggior parte degli utilizzatori presenta, già in condizioni di normale
funzionamento, un basso fattore di potenza e richiede dalla linea una potenza apparente, e
quindi più corrente, di quanta ne richiederebbe con un cos φ maggiore. Ulteriori drastiche
riduzioni si hanno qualora si utilizzassero motori e trasformatori non correttamente
dimensionati, difettosi o che funzionano per tempi troppo lunghi a carico ridotto o, peggio
ancora, senza carico.
Particolarmente negative risultano le conseguenze economiche legate in primo luogo alle
penali applicate dall’ente distributore a coloro che utilizzano l’energia elettrica con un fattore di
potenza medio mensile inferiore a 0,9 (si ricorda che per potenze impegnate superiori a 15 kW
vige il divieto di abbassare il fattore di potenza al di sotto del valore di 0,7). Ulteriori aggravi
economici sono dovuti alla necessità di installare conduttori di sezione maggiore e
trasformatori di potenza maggiore, ai consumi di energia più elevati e alle maggiori perdite
corrispondenti, poiché il dimensionamento di un impianto elettrico deve essere realizzato in
funzione della potenza apparente complessiva.
Per evitare tutto ciò si deve operare un corretto rifasamento mediante l’inserimento
nell’impianto di una batteria di condensatori costituiti da un doppio film sintetico in
polipropilene metallizzato (con un sottilissimo strato di alluminio o di zinco), avvolti a formare
un cilindro molto compatto. Più condensatori, poi, possono venir collegati in serie o in parallelo
a formare la batteria di rifasamento vera e propria.
Esistono rifasatori con potenze che variano da qualche decina di Watt, per il rifasamento
localizzato delle lampade, fino a potenze di centinaia di kW) per il rifasamento dell’intero
impianto di bassa tensione.
Un aspetto fondamentale da risolvere è la corretta scelta per la localizzazione delle batterie
nell’impianto, che può essere fatta secondo uno dei seguenti metodi:
¾ rifasamento distribuito: consiste nel rifasare localmente ciascun carico installando
una batteria di condensatori dedicata. Rappresenta la soluzione migliore in quanto
permette non solo di ridurre la potenza reattiva richiesta alla rete di alimentazione
ma anche di migliorare lo sfruttamento dell’impianto, riducendo le correnti e
conseguentemente anche le perdite e le cadute di tensione. E però una soluzione
piuttosto costosa, conveniente solo nel caso di grossi carichi concentrati;
ing. Maines Fernando
302
Elementi per la progettazione di una cantina
Gli impianti di cantina
rifasamento per gruppi: si utilizza quando è possibile suddividere l’impianto in gruppi
di utilizzatori con caratteristiche di funzionamento omogenee;
¾ rifasamento centralizzato: è il metodo in assoluto più economico in quanto utilizza
una sola batteria di condensatori a monte di tutto l’impianto al quale non
corrisponde, però, uno sfruttamento ottimale dell’impianto. E’ da preferirsi per gli
impianti in cui si ha un assorbimento pressoché costante di potenza reattiva
(certamente non il caso di una cantina);
¾ rifasamento centralizzato con batterie ad inserimento e disinserimento automatico:
l’inserzione e la disinserzione automatica di diverse batterie di condensatori rendono
questo sistema ottimale per gli impianti con condizioni di carico piuttosto variabili;
¾ rifasamento misto: si utilizzano tutti o in parte i sistemi precedenti.
Per quanto riguarda i criteri di installazione si ricorda che i condensatori soffrono soprattutto
delle sovratemperature causate da una non adeguata ventilazione o da eccessivo
irraggiamento solare. Pertanto il locale destinato alla loro installazione deve essere ubicato in
un luogo fresco e ben ventilato.
¾
4.5.4
L’impianto di illuminazione
La presenza dell’impianto di illuminazione è talmente scontata che spesso si rischia di
affrontare in modo approssimativo la scelta, il dimensionamento e la disposizione dei corpi
illuminanti, con la possibilità di incorrere in gravi errori e pesanti ripercussioni sul piano
economico, sulla qualità del lavoro eseguito, sulla salute degli operatori, sulla sicurezza (la
stanchezza visiva aumenta il rischio di incidenti), nonché sull’efficacia estetica di taluni
ambienti.
E’ necessario, invece, adottare una corretta procedura di progettazione a partire dalla
valutazione e l’analisi di diversi elementi: caratteristiche dei diversi locali e delle attività che vi
si svolgono (tempi di esecuzione, presenza di elementi in movimento, …), i campi visivi ed i
livelli di attenzione e di precisione richiesti nel corso di ciascuna operazione. Sarà così possibile
individuare correttamente il numero, i tipi, e la posizione degli apparecchi illuminati da
installare, e calcolare il flusso luminoso (misurato in lumen) che le lampade devono emettere
per conferire all’ambiente l’illuminamento (espresso in lux) necessario ad assicurare adeguati
livelli di confort visivo ad operatori e visitatori secondo i fabbisogni individuati nell’apposita
analisi preliminare.
ing. Maines Fernando
303
Elementi per la progettazione di una cantina
Gli impianti di cantina
La prima fase di progettazione riguarda la scelta del valore di illuminamento medio da
assicurare per ciascun ambiente nel rispetto delle raccomandazioni e delle norme nazionali ed
internazionali. Nella seguente tabella sono riportati alcuni valori di riferimento ripresi dalla
norma UNI EN 12464 che prende in considerazione il valore di illuminamento che deve essere
garantito nei luoghi di lavoro, in sostituzione delle prescrizioni minime stabilite dall’art. 10 del
D.P.R. n° 303 del 1956 relativo alle norme generali per l’igiene del lavoro.
tipo di attività
intensità luminosa
(lumen)
attività e circolazione pedonale all’esterno
aree di circolazione esterna con mezzi
meccanici,
aree
di
circolazione
interne,
magazzini e depositi
reparti con semplice necessità visiva
reparto di imbottigliamento, uffici
laboratori
20 ÷ 30
20 ÷ 40
livello di
illuminamento
(lux)
100 ÷ 150
150 ÷ 200 ÷ 300
60 ÷ 120
200 ÷ 500
500
200 ÷ 300
300 ÷ 500 ÷ 750
500 ÷ 750 ÷ 1000
In realtà i fabbisogni di luce artificiale in ciascun ambiente possono variare, anche
notevolmente, nel corso della giornata (al variare della quantità di luce eventualmente
proveniente dall’esterno) o dell’anno, in particolare nel caso dei reparti operativi di una cantina
i quali si caratterizzano per l’elevata variabilità di utilizzo nelle diverse fasi del ciclo produttivo.
L’introduzione di dispositivi elettronici e di sistemi computerizzati per il controllo e per la
modulazione del flusso luminoso emesso dai corpi illuminanti, consente di dimensionare
l’impianto in base al massimo livello di illuminamento previsto e di affidare al sistema di
controllo il compito di modificare i livelli in base alle reali esigenze contingenti mediante
potenziometri elettronici e/o variatori di intensità luminosa eventualmente collegati a timer o a
cellule fotoelettriche che intervengono in funzione della quantità di luce proveniente
dall’esterno.
E’ importante ricordare che il livello di illuminamento è influenzato notevolmente anche dal
potere di assorbimento e di riflessione del flusso luminoso da parte delle pareti, del soffitto, del
pavimento e di tutto quanto è presente (attrezzature, dispositivi impiantistici, arredamento,
…), in funzione dei materiali utilizzati e, soprattutto, del loro colore. Notevoli sono anche le
implicazione di ordine estetico, se si pensa, a titolo di esempio, che un soffitto colorato con
tinte scure in un reparto operativo consente di mettere molto meno in evidenza la presenza
ing. Maines Fernando
304
Elementi per la progettazione di una cantina
Gli impianti di cantina
della fitte rete di tubazioni, mentre una colorazione chiara rende più facilmente visibili anche
dei semplici depositi di polvere o la classica ed inevitabile ragnatela.
Un altro importante parametro è la tonalità di colore della luce. Ogni sorgente luminosa
artificiale si caratterizza per un caratteristico spettro luminoso diverso da quello, pressoché
uniforme, della luce solare diurna. Un parametro per valutare il colore di una fonte luminosa è
dato dalla temperatura di colore Tc (espressa in gradi K) individuata sperimentalmente. La
grandezza di riferimento è data dalla luce solare che si caratterizza per un valore pari a 6000 K
ed un illuminamento maggiore di 100000 lux (per la fiamma di una candela la temperatura di
colore ammonta a 1900 K e l’illuminamento risulta < di 5 lux).
In generale le tonalità calde sono preferibili per bassi valori di illuminamento, mentre le
tonalità fredde sono preferibili per quelli più elevati; per determinare la tonalità più adatta per
le specifiche caratteristiche di un ambiente è utile utilizzare questi parametri:
¾ fonti a tonalità diurna: Tc > 5000 K;
¾ fonti a tonalità bianca: 3300 K < Tc < 5000 K;
¾ fonti a tonalità calda: Tc < 3300 K.
Tutte le fonti luminose artificiali, infine, alterano il reale colore degli oggetti, con effetti
particolarmente negativi in quegli ambienti dove si svolgono attività che richiedono la corretta
percezione dei colori (del vino, di un viraggio nel corso di una reazione chimica, …). Tale
fenomeno viene misurato mediante l’indice di resa cromatica effettiva (Ra) in rapporto ad un
indice convenzionale di assoluta fedeltà (relativa alla luce solare e pari a 100). Nella seguente
tabella sono riportati alcuni valori di riferimento per i diversi reparti della cantina:
locale
sala degustazione, laboratorio, punto vendita
uffici, imbottigliamento
rimanenti reparti
indice di resa generale dei colori
Ra > 85
70< Ra < 85
40< Ra < 70
Nella sala di degustazione, nel punto vendita e nella barricaia è necessaria una particolare
cura per coordinare ed armonizzare le qualità cromatiche delle sorgenti luminose con i colori
degli arredi, delle pareti, del soffitto, per poter creare l’atmosfera più adatta e, nel contempo,
garantire una buona qualità visiva. Si deve trovare il giusto equilibrio fra gli effetti che il colore
produce sullo stato psicofisico dell’osservatore e le influenze sulle sensazioni di temperatura e
di distanza. Pertanto si utilizzeranno luci più chiare per creare ambienti più luminosi (con
fabbisogni maggiori di 500 lux) e confortevoli con una nitida percezione visiva dei diversi
elementi che compongono l’ambiente oppure luci più calde per indurre sensazioni più intense e
creare una giusta atmosfera, ma che rendono più opprimenti e faticose lunghe permanenze.
ing. Maines Fernando
305
Elementi per la progettazione di una cantina
Gli impianti di cantina
Il secondo passo nella progettazione dell’impianto di illuminazione, fondamentale per le
molteplici implicazioni funzionali, economiche ed estetiche, è dato dalla scelta e dal
posizionamento delle luci. Solitamente i corpi illuminanti sono posti a parete o a soffitto (anche
se non mancano esempi di luci poste a pavimento) in funzione del tipo di illuminazione si vuole
ottenere. Le tipologie principali di illuminazione sono:
¾ diretta, quando il flusso risulta diretto verso il pavimento;
¾ semidiretta, quando il flusso viene prevalentemente diretto verso il basso;
¾ diffusa (o mista), qualora il flusso rivolto verso il basso risulta sostanzialmente pari a
quello rivolto verso il soffitto;
¾ semindiretta, se il flusso risulta prevalentemente diretto verso l’alto;
¾ indiretta, qualora il flusso è diretto verso il soffitto.
La scelta dipende dal risultato ricercato e dalle caratteristiche funzionali dell’ambiente; in
generale quanto maggiore è la percentuale di flusso diretto verso il pavimento tanto maggiore
è il rendimento ma anche tanto più nette sono le ombre e maggiore risulta l’abbagliamento.
Il numero, l’ubicazione e le potenze delle lampade saranno determinate in funzione della
superficie in pianta del singolo ambiente e della relativa altezza, del tipo di apparecchio
illuminante prescelto, del potere riflettente delle pareti, del soffitto e del pavimento e del grado
di manutenzione che si pensa possa essere riservato all’impianto. Si deve infatti tener conto
del rapporto tra l’illuminamento prodotto da un apparecchio dopo un certo periodo e quello
dello stesso apparecchio nuovo, a causa dell’invecchiamento e dell’insudiciamento che per le
cantine si può fissare attorno allo 0,80 per gli ambienti più puliti e allo 0,55 per gli ambienti più
imbrattanti. A questi parametri, utilizzati anche per il dimensionamento delle aperture
utilizzate per l’illuminazione naturale, bisogna aggiungere l’illuminamento medio necessario a
livello del piano di lavoro, definito mediante il fattore di utilizzazione, dato dal rapporto tra il
flusso luminoso che incide sul piano di lavoro ed il flusso totale emesso dalla fonte luminosa. I
valori di questi parametri vengono solitamente forniti dalle case costruttrici mediante
particolari diagrammi.
Altri importanti fattori per la valutazione delle lampade sono il consumo di energia
elettrica e l’efficienza. Il primo parametro si misura in kilowattora (kWh) ed è dato dal
prodotto della potenza assorbita dalla lampada per il tempo di accensione, mentre l’efficienza,
misurata in lumem/W, dà indicazione della quantità di luce prodotta in rapporto al consumo.
Il dimensionamento dell’impianto viene infine completato con il calcolo del flusso luminoso
complessivo da installare, senza dimenticare il sistema di illuminazione di sicurezza e di
segnalazione delle vie di esodo da utilizzarsi in caso di incendio o di calamità naturale.
Pertanto i criteri generali da seguire nell’impostazione del calcolo dell’impianto di
illuminazione artificiale possono essere così riassunti:
¾ assicurare un illuminamento soddisfacente ad altezza del piano di lavoro ove, in
condizioni normali, l’occhio umano deve percepire con rapidità, sicurezza e senza
ing. Maines Fernando
306
Elementi per la progettazione di una cantina
Gli impianti di cantina
fatica, i particolari che riguardano l’attività adottando un’illuminazione localizzata per
lavori critici o di precisione;
¾ garantire un giusto rapporto dell’intensità luminosa (o luminanza) tra la zona di
lavoro, quella circostante e quella di fondo;
¾ verificare l’assenza di cause che possono determinare sensazioni di fastidio, quali
abbagliamento, riflessi sgraditi, …;
¾ evitare le zone d’ombra e, ove inevitabilmente presenti oppure se ricercate,
assicurare che non determinino contrasti eccessivi;
¾ verificare che le rese cromatiche e le tonalità di luce siano adeguate all’ambiente ed
alle funzioni che gli occupanti svolgono;
¾ valutare la facilità di manutenzione e di sostituzione;
¾ utilizzare il più possibile la luce naturale e privilegiare le apparecchiature a basso
consumo energetico.
Le lampade o sorgenti luminose si possono classificare, secondo il principio di generazione
della luce, in:
¾ a filamento (ad incandescenza o alogene);
¾ a scarica in gas;
¾ fluorescenti;
¾ a induzione elettromagnetica.
Le lampade ad incandescenza sono costituite da un’ampolla
esterna (o bulbo) in vetro riempita con miscele di gas inerte, da un
filamento di tungsteno a spirale reso incandescente dal passaggio
della corrente e da un bicchiere filettato per l’avvitamento al
portalampada, di diametro proporzionale alla dimensione e alla
potenza della lampadina. Queste lampade irradiano energia a spettro
continuo con prevalenza di tonalità calde e raggi infrarossi, con una
ottima resa del colore (l’indice di resa cromatica è massimo);
forniscono istantaneamente il flusso luminoso e, se spente, si
riaccendono immediatamente. Modesta è l’efficienza luminosa e con
l’invecchiamento emettono sempre meno luce; si caratterizzano
inoltre per la breve durata (vita media di circa 1000 ore) e l’elevato
sviluppo di calore. Vengono commercializzate anche nella versione
con riflettore incorporato, costituito da uno strato di sostanze speciali,
che riflette la luce emessa dal filamento incandescente consentendo,
a parità di potenza, una maggiore durata (1500 ÷ 2000 ore).
Le lampade ad incandescenza alogene contengono una miscela di gas alogeni (iodio,
bromo) in grado di attuare un processo protettivo nei confronti del filamento di tungsteno, con
il risultato di aumentare di molto l’efficienza luminosa e la durata e di ridurre il processo di
invecchiamento. Producono una luce molto intensa e brillante con un’ottima resa cromatica.
Possono essere alimentate a tensione di rete o a bassa tensione, in particolare nelle versioni
ing. Maines Fernando
307
Elementi per la progettazione di una cantina
Gli impianti di cantina
miniaturizzate e dotate di specchio dicroico utilizzate nei casi si presenti la necessità di una
elevata concentrazione della luce (faretti con porta lampada ad incasso).
Le lampade a scarica sono costituite da due elettrodi immersi in un gas o nei vapori di
metallo e ai quali viene applicata una differenza di potenziale opportuna che genera una
scarica a cui è associata l’emissione di radiazioni luminose. Rispetto alle lampade ad
incandescenza emettono meno calore, hanno costi di esercizio molto minori (consumano un
quinto di energia elettrica), hanno una durata di molto superiore (circa 10000 ore) ed una
maggiore efficienza (attorno ai 90 lumen/W). Di contro non possono essere collegate
direttamente alla rete di alimentazione, in quanto necessitano di un alimentatore (reattore) per
limitare il valore della corrente, di un condensatore e di uno starter (dispositivo di innesco);
tale struttura richiede portalampade speciali, determina una accensione lenta e le condizioni di
regime sono raggiunte solo dopo diversi minuti. Le lampade a scarica possono essere a vapori
di mercurio, a ioduri metallici o al sodio a bassa o ad alta pressione. Queste ultime si
caratterizzano per l’alta efficienza e per l’emissione di luce gialla di scarsa resa cromatica dei
colori.
Le lampade a scarica più utilizzate sono quelle fluorescenti (a vapori di mercurio) costituite
da un elemento a forma tubolare contenente gas a bassissima pressione emettente radiazioni
e ricoperto da uno strato di polveri fluorescenti che trasforma la radiazioni in luce. Le lampade
tubolari fluorescenti alimentate a mezzo di reattori elettronici ad alta frequenza, si
caratterizzano per le dimensione ed il peso contenuti e assicurano una accensione istantanea
senza starter, l’assenza di sfarfallio e di annerimento alle estremità e la possibilità di
regolazione (anche automatica) del flusso luminoso. La durata è molto elevata (circa 12000
ore), così come l’efficienza (100 lumen/W) e garantiscono un risparmio del 25% rispetto alle
fluorescenti tradizionali. Il mercato propone anche lampade fluorescenti compatte e lampade a
ing. Maines Fernando
308
Elementi per la progettazione di una cantina
Gli impianti di cantina
risparmio energetico, con dimensioni, sistema di collegamento al portalampada e tonalità di
luce simile alle lampade ad incandescenza ma con durata ed un’efficienza notevolmente
superiori (da 40 a 60 lm/W) ed una riduzione dei consumi dell’80 %.
Le lampade ad induzione elettromagnetica sono lampade fluorescenti a bassa pressione
in cui la scarica viene prodotta da un campo elettromagnetico che assicura una durata di
funzionamento particolarmente lunga, nell’ordine dei 20 anni con accensioni di 8 ore al giorno,
oltre ai bassi consumi, alla buona resa cromatica ed alla ridotta emissione di calore.
Infine ricordiamo le fibre ottiche le quali, sfruttando le proprietà della riflessione totale di
piccole barrette cilindriche costituite da due diversi vetri speciali, sono in grado di trasportare
la luce prodotta da un particolare generatore (illuminatore), senza trasmettere calore
(risultano bloccate sia le radiazioni infrarosse che quelle ultraviolette).
Nella seguente tabella riassumiamo diversi elementi precedentemente descritti per le
diverse tipologie di lampada.
tipo di lampada
ad incandescenza
normale - chiare
ad incandescenza
normale – con
riflettori
ad incandescenza con
alogeni – Iodine
ad incandescenza con
alogeni – Halo stars
ad incandescenza con
alogeni – Bispina
ad incandescenza con
alogeni – Dicroiche
fluorescenza
tubi luorescenti
fluorescenza
compatte
fluorescenza
circolux
ioduri metallici – HQI
TS
ing. Maines Fernando
potenza
(W)
tension
e [V]
flusso
luminoso
[ln]
25 ÷ 150
230
230 ÷ 2220
9,2 ÷ 14,8
100
2700
25 ÷ 150
230
180 ÷ 1520
7,2 ÷ 10
100
2700
150 ÷ 500
230
3200 ÷ 9500
≤ 19
100
3000
150 ÷ 250
230
2500 ÷ 4200
≤ 17
100
3000
50 ÷ 150
12 / 24
950 ÷ 3200
≤ 21
100
3100
35 ÷ 75
12
-
-
100
3100
18 ÷ 58
230
1450 ÷ 5400
≤ 95
≤ 95
varie
5 ÷ 55
230
250 ÷ 2900
≈ 80
≤ 86
3000
12 ÷ 32
230
700 ÷ 2200
≈ 80
86
3000
70 ÷ 400
230
5500 ÷ 7500
≈ 80
90
varie
efficienza resa dei
temperatura
luminosa colori Ra
di colore [K]
[%]
(ln/W)
309
Elementi per la progettazione di una cantina
ioduri metallici – HQI
T
sodio alta pressione a
luce corretta
a induzione
elettomagnetica
Gli impianti di cantina
35 ÷ 150
230
2400 ÷ 12000
≈ 80
90
3000
35 ÷ 150
230
1300 ÷ 4500
≈ 50
≤ 85
2700
55 ÷ 85
230
6000
≈ 80
≥ 80
3000
In conclusione elenchiamo gli organi illuminanti più idonei per essere utilizzati nelle cantine:
¾ lampade ai vapori di sodio a bassa pressione per l’illuminazione delle strade di
accesso e delle aree all’aperto (parcheggi, depositi, …);
¾ tubi fluorescenti ad alta resa cromatica ed alta efficienza per l’illuminazione di reparti
operativi dove è richiesta una tonalità naturale ed una elevata resa cromatica;
¾ lampade alogene caratterizzate da un’elevata capacità illuminante, di colore bianco,
in tutti gli ambienti di lavoro che richiedono elevati livelli di illuminamento (uffici,
laboratori) o che necessitano di una resa cromatica molto elevata come nel caso
della sala di degustazione. Queste tipologie di lampade sono poste in un apparato
illuminante, solitamente a plafoniera, a tenuta stagna (grado IP 65) e in materiale
anticorrosione, dotato di riflettore a parabola o semicilindrico, protette da uno
schermo di policarbonato o di vetro temprato. Possono possedere un reattore
elettronico con filtro antidisturbo e condensatore di rifasamento;
¾ lampade ad incandescenza classiche negli ambienti che richiedono una tonalità calda
o che, per necessità coreografiche (bottaia), richiedono l’uso di corpi illuminanti
tradizionali;
¾ tubi fluorescenti al neon, utilizzati generalmente nei reparti operativi, portati in un
corpo in resina autoestinguente e coperto da uno schermo in materiale acrilico
antiurto, dotate di doppia isolazione che assicura un grado di protezione IP 65.
La tensione nominale di funzionamento è, generalmente, di 230 V. Durante le operazioni di
pulizia e manutenzione nelle vasche, si usano lampade a filo, composte da uno schermo in
materiale acrilico e dotate di lampadina ad incandescenza; hanno un grado di protezione
elevato (IP 68) e funzionano a tensioni di 24 V, al fine di evitare folgorazioni. Queste vanno
collegate alle apposite prese viola-rosa.
In conclusione si ricorda ancora una volta l’obbligo di predisporre un sistema di
illuminazione di emergenza per segnalare le uscite in caso di mancanza di alimentazione a
causa di guasto o per eventi pericolosi (incendio, calamità, …).
ing. Maines Fernando
310
Elementi per la progettazione di una cantina
Gli impianti di cantina
4.6 Impianto per la produzione e la distribuzione del vapore
Il vapore si ottiene dall’ebollizione dell’acqua e viene chiamato vapore saturo finché si trova
in presenza del liquido che lo ha prodotto. Continuando a somministrare calore a pressione
costante, dopo che tutta l’acqua si è trasformata in vapore (vapore saturo secco), la
temperatura riprende a salire e si ottiene vapore surriscaldato.
In una cantina gli utilizzi del vapore riguardano soprattutto le operazioni di igienizzazione e
di sanitizzazione dei vasi vinari e di molte altre attrezzature enologiche come i filtri oppure
alcuni segmenti della linea di imbottigliamento. Può essere utilizzato, inoltre, per assicurare
l’alimentazione di apparecchiature che richiedono fonti di calore come l’impianto di
pastorizzazione o il concentratore di mosto.
Per cantine di dimensioni medio-piccole e comunque per fabbisogni non rilevanti, può essere
sufficiente l’impiego di generatori di vapore mobili, in base alle diverse esigenze ed al tipo di
operazione da svolgere. Producono 15 ÷ 30 l/min di vapore alla temperatura di 120 ÷ 190 °C,
con una pressione da 5 bar fino a 120 ÷ 200 bar. E’ questo il caso delle idropulitrici che
presentano una caldaia in acciaio inox, alimentata a gasolio o a gas, con sistema anticalcare e
con dispositivo di arresto automatico del bruciatore in caso di mancanza di combustibile o di
acqua; la pressurizzazione del vapore avviene mediante pompe a pistoni alimentate con motori
elettrici monofase o trifase23. Possono presentare anche un serbatoio per l’aggiunta di apposito
detergente. Di queste attrezzature esistono versioni in grado di rifornire più reparti, mediante
una apposita rete di distribuzione, comandati mediante dispositivi di accensione e spegnimento
a distanza. Tuttavia un vero e proprio impianto di produzione centralizzata e di distribuzione
del vapore in ogni reparto operativo trova giustificazione economica, vista la complessità
impiantistica ed organizzativa, solo per cantine con un utilizzo elevato e continuo oppure
laddove il generatore di vapore è già presente come elemento dell’impianto termico.
Un tale impianto è generalmente composto da:
¾ una tubazione di approvvigionamento dell’acqua;
¾ un sistema automatico di addolcimento delle acque. E’ particolarmente importante,
infatti, che l’acqua utilizzata presenti una durezza praticamente nulla; deve inoltre
rispettare alcuni altri parametri qualitativi come l’assenza di ossigeno disciolto, un pH
compreso fra 9 e 11, una presenza di olio e di grassi minore di 0,5 ppm e l’assenza
di additivi schiumeggianti;
¾ una tubazione di rifornimento del generatore di vapore;
23
A titolo di esempio un’idropulitrice che assicura una produzione di circa 20 L/min di vapore a 140 °C e ad una
pressione di 150 – 190 bar, assorbe circa 7 kW di potenza elettrica e richiede 70 – 80 kW di potenza termica al
bruciatore.
ing. Maines Fernando
311
Elementi per la progettazione di una cantina
Gli impianti di cantina
¾ un generatore di vapore;
¾ una serie di tubazioni di distribuzione del vapore.
La tubazione di approvvigionamento dell’acqua, collegata direttamente alla rete idrica
della cantina attraverso normali tubature in acciaio zincato trafilato, deve rifornire il
generatore, con la quantità d’acqua che viene consumata sottoforma di vapore e solo in parte
compensata dall’acqua ricavata dalla condensazione del vapore di ricircolo. L’alimentazione è
assicurata dalla pressione presente in rete, se sufficiente, o mediante pompe centrifughe con
una prevalenza dimensionata in funzione della pressione esistente all’interno del generatore,
delle perdite di carico e dell’eventuale dislivello fra il serbatoio di accumulo e la caldaia. A
monte del generatore di vapore devono essere presenti, inoltre, una valvola di intercettazione
a funzionamento manuale ed una valvola di ritegno a funzionamento automatico per impedire
il ritorno dell’acqua dal generatore.
Qualora l’acqua di alimentazione non dovesse presentare le caratteristiche desiderate, prima
di giungere alla caldaia, deve passare attraverso il sistema di addolcimento per eliminare i
fattori responsabili della durezza. I costi di impianto e di esercizio di tale sistema sono
ampiamente ripagati dalla riduzione dei costi di manutenzione del generatore e dal suo
maggior rendimento. Infatti l’eventuale precipitazione dei carbonati determina la formazione di
depositi incrostanti sul focolare e sui tubi, che, oltre a ridurre il rendimento termico della
caldaia, determinano la diminuzione della resistenza meccanica delle parti metalliche
interessate e la formazione di grosse bolle che scoppiando possono provocare pericolose
rotture.
Un ulteriore problema è rappresentato dal fenomeno della corrente elettrochimica (detta
anche corrente galvanica) dovuta alla presenza di elementi della caldaia, a contatto con
l’acqua, costituiti da due metalli con diverso potere elettrochimico. Fra questi, comportandosi
come due elettrodi, si genera una differenza di potenziale in grado di produrre correnti
elettriche (dovute agli elettroni nel metallo ed a ioni nell’acqua) con conseguenti fenomeni di
corrosione sulla superficie del metallo che si comporta da anodo.
Obiettivo primario dei generatori di vapore è l’innalzamento della temperatura dell’acqua
mediante il calore fornito dalla combustione di un combustibile tradizionale (gasolio, gas
metano o GPL) o di biomassa, all’interno di un focolare. La caldaia propriamente detta, intesa
come il recipiente contenente il liquido, è spesso unita ad altri apparecchi che preriscaldano
l’acqua (preriscaldatori d’acqua o economizzatori) o l’aria di combustione
(preriscaldatori d’aria), oppure surriscaldano il vapore (surriscaldatori) sempre sfruttando
il calore dei prodotti della combustione; l’insieme è chiamato gruppo evaporatore mentre la
parte del gruppo dove si produce l’evaporazione è detta vaporizzatore o fascio
vaporizzatore.
I generatori di vapore si possono suddividere in caldaie a tubi (bollitori) d’acqua e caldaia
a tubi di fumo. Le prime sono costituite da un corpo cilindrico principale al quale, mediante
collettori, sono collegati dei tubi di diametro relativamente piccolo, nei quali circola l’acqua o la
miscela d’acqua e vapore. I tubi, riuniti in fasci orizzontali con piccole pendenze oppure in fasci
ing. Maines Fernando
312
Elementi per la progettazione di una cantina
Gli impianti di cantina
quasi verticali, sono riscaldati esternamente per convezione dai gas caldi e, solo in parte, per
irraggiamento.
Nelle caldaie a tubi di fumo, il focolare è interno alla caldaia, ed è collegato con un fascio
di tubi attraversati dai prodotti della combustione, che offrono una grande superficie di
riscaldamento con un minimo ingombro. Le versioni a focolare interno (tipo Cornovaglia)
costituiscono gli apparecchi più usati in campo enologico e sono essenzialmente costituiti dai
seguenti elementi:
¾ un basamento di sostegno in robusti profilati in acciaio;
¾ un cilindro esterno di grosso diametro (fasciame), disposto orizzontalmente, in
grado di resistere alle alte pressioni di esercizio (fino a 10 ÷ 15 bar) e con le
estremità chiuse da due robusti fondi. Esternamente è rivestito da un mantello
isolante (materassini di lana di vetro, ...) e ricoperto con un sottile lamierino di
protezione;
¾
¾
un focolare in lamiera di acciaio, di forma cilindrica, posto centralmente o in
posizione eccentrica rispetto al fasciame, avente funzione di camera di combustione;
un bruciatore che effettua l’accensione del combustibile; se alimentato con olii
combustibili densi deve essere dotato di preriscaldatore (elettrico o, più
comunemente, a vapore) per ridurre la viscosità a valori adatti per una completa
polverizzazione, mentre nel caso di combustibili gassosi si deve provvedere alla
formazione di un’intima miscela del gas combustibile con l’aria comburente operando
o all’interno del bruciatore (bruciatori a premiscelazione) o all’esterno (bruciatori a
fiamma di diffusione). Si evita, in tal modo, la presenza di residui incombusti che
danno origine alla formazione di fuliggine e a bassi rendimenti termici. I bruciatori
sono dotati, inoltre, di una serie di dispositivi di accensione, di regolazione, di
stabilità e di controllo della dimensione della fiamma. I generatori di vapore di grandi
dimensioni sono generalmente provvisti di più bruciatori;
ing. Maines Fernando
313
Elementi per la progettazione di una cantina
¾
¾
¾
¾
¾
¾
¾
Gli impianti di cantina
due piastre tubiere, poste alle due estremità del focolare e fissate a breve distanza
(25 ÷ 30 cm) da ciascuna estremità della caldaia, munite di numerosi fori per
l’inserimento dei tubi di fumo e con un ampio foro centrale o eccentrico per il
focolare;
numerosi tubi di fumo (tubi bollitori) con diametro interno di 50 ÷ 90 mm, fissati ai
fori delle fasce tubiere; al loro interno possono essere sistemati degli elementi di
forma elicoidale per imprimere ai fumi un moto a spirale ad alta turbolenza che ne
aumenta la trasmissione del calore;
due camere d’inversione dei fumi poste alle due estremità del generatore di
vapore, ognuna chiusa da apposito portellone per permettere l’ispezione e le
operazioni di manutenzione. Queste camere consentono ai fumi, mediante una o due
inversioni di direzione, di compiere due o tre passaggi in caldaia prima di venir
espulsi in atmosfera. Si assicura in tal modo un più efficace scambio di calore;
un camino costituito da un condotto cilindrico di diametro adeguato, in genere
fissato sul dorso superiore del fasciame, in corrispondenza di una delle due camere di
inversione dei fumi. Lo scarico attraverso il camino può avvenire per tiraggio
naturale, oppure mediante ventilatore centrifugo, azionato da motore elettrico
(tiraggio forzato). Nelle caldaie cosiddette pressurizzate, un apposito ventilatore
premente spinge l’aria all’interno della caldaia a una pressione superiore a quella
atmosferica in modo da vincere tutte le perdite di carico per il movimento dell’aria
stessa e dei fumi. Secondo le disposizioni vigenti in materia di prevenzione e tutela
dell’atmosfera, i generatori di vapore devono adottare misure e dispositivi idonei a
mantenere la qualità dei fumi entro i limiti previsti;
il duomo di vapore (eventuale) costruito da un’appendice cilindrica verticale
sistemata in alto sul dorso del fasciame dove viene a raccogliersi il vapore meno
umido, prodotto dal generatore, che per gravità si è liberato delle goccioline d’acqua
presenti per effetto dell’ebollizione (si parla, in tal caso, di vapore saturo secco). Su
di esso sono sistemati la presa di vapore, la valvola di sicurezza, il manometro e altra
eventuale strumentazione. In assenza del duomo di vapore tali elementi sono fissati
direttamente sul dorso superiore del fasciame;
la colonna d’alimentazione dell’acqua sistemata in alto sul dorso del fasciame,
posteriormente al duomo, nella quale è inserito il tubo d’alimentazione che si
prolunga all’interno della caldaia, poco oltre il livello minimo dell’acqua.
almeno due pompe centrifughe per la circolazione dell’acqua e del vapore (ciascuna
deve assicurare la continuità e la costanza del flusso anche in caso di avaria
dell’altra); l’adozione della circolazione forzata, per quanto accompagnata da una
maggior complessità del sistema, garantisce un funzionamento decisamente più
ing. Maines Fernando
314
Elementi per la progettazione di una cantina
Gli impianti di cantina
regolare e sicuro rispetto alla circolazione naturale, peraltro consentita dalle elevate
differenze fra le temperatura dei fluidi in entrata ed in uscita dalla caldaia.
Per legge la progettazione, la costruzione e l’esercizio dei generatori di vapore (i quali
devono essere dimensionati per resistere con alto grado di sicurezza alle notevoli pressioni
d’esercizio) sono soggetti al controllo e alla prevenzione da parte dell’ISPESL (Istituto
Superiore per la Prevenzione e Sicurezza del Lavoro), il quale provvede a collaudare
preventivamente i materiale impiegati nella costruzione della caldaia nonché a effettuare il
collaudo iniziale dell’apparecchio (punzonandovi la data, il numero di matricola e la pressione
di esercizio), mentre le verifiche periodiche della caldaia sono di competenza delle Aziende
Sanitarie Locali.
Per assicurare un funzionamento corretto e sicuro del generatore, è necessaria la presenza
dei seguenti accessori e dispositivi di controllo e di regolazione automatica:
¾ una valvola di sicurezza che protegga la caldaia da innalzamenti anomali di
pressione e che provveda a ridurre l’eccesso di vapore, aprendosi a un determinato
livello di taratura per scaricarne all’esterno il sovrappiù;
¾ un manometro per misurare ed indicare la pressione all’interno del generatore;
¾ un indicatore di livello per segnalare il livello dell’acqua all’interno del generatore;
è costituito da un tubo graduato di vetro sul quale è evidenziato, con un apposito
indice, il livello minimo dell’acqua che bisogna mantenere all’interno della caldaia;
¾ una valvola di scarico per lo svuotamento periodico (parziale o totale) dell’acqua;
¾ pressostati di regolazione che provvedono a mantenere la pressione all’interno del
generatore entro determinati valori minimi e massimi, spegnendo e accendendo
automaticamente il bruciatore;
¾ un pressostato di sicurezza, a riavvio manuale, che interviene per interrompere
automaticamente il funzionamento del bruciatore quando la pressione interna della
caldaia, in caso di avaria del pressostato di regolazione, dovesse superare il livello
massimo stabilito;
¾ regolatori di livello che comandano automaticamente l’avviamento e l’arresto delle
pompe di alimentazione del generatore, al fine di mantenere il livello dell’acqua
all’interno della caldaia compreso entro un determinato intervallo;
¾ regolatori di livello di sicurezza, a riavvio manuale, che interrompono
automaticamente il flusso del combustibile al bruciatore quando il livello dell’acqua
all’interno della caldaia scende al di sotto del livello minimo.
Il generatore è collegato con gli apparecchi utilizzatori di vapore mediante una linea di
distribuzione munita di valvola di presa sistemata nel duomo della caldaia o direttamente sul
dorso superiore del fasciame. Tale sistema di distribuzione si diversifica dal caso delle tubazioni
viste per l’impianto idrico, per l’impianto termico e per l’impianto dell’acqua calda, per gli
effetti dovuti alla comprimibilità del vapore ed alla notevole variazione del volume in seguito ai
processi di evaporazione e di condensazione.
La linea è costituita da una serie di tubazioni in ferro zincato trafilato o in acciaio inox,
rivestite esternamente da un isolante termico ad elevato potere coibente (come ad esempio il
poliuretano). L’acciaio inox consente di avere minori dilatazioni termiche indotte dalle alte
temperature del vapore, ma presenta un costo di mercato elevato. Le tubazioni devono
presentare una adeguata pendenza con punti di drenaggio per lo scarico delle condense ed
eventuali riduzioni di diametro in funzione della distribuzione dei punti di prelievo.
Per poter ricondurre entro la caldaia, alla massima temperatura possibile, i vapori
condensati provenienti dai punti di erogazione, il generatore è collegato mediante una
tubazione di recupero, simile a quella di distribuzione, ad un apposito recipiente di raccolta del
condensato il quale, a mezzo di una elettropompa centrifuga, viene immesso in caldaia.
Entrambe le linee devono essere staffate con particolari guide che ne permettono lo
scorrimento dovuto alla dilatazione termica, da assorbirsi con l’inserimento di tratti di
tubazione in materiale elastico.
Per determinare la sezione dei tubi è necessario conoscere innanzitutto i massimi valori
istantanei di pressione, di temperatura e di portata massica (o volumica in condizioni normali)
da garantire al flusso del vapore nei diversi punti di erogazione e valutare le perdite di carico
distribuite e quelle concentrate in funzione della velocità di flusso, secondo le stesse modalità
viste per le tubazioni idriche. Nel caso di erogazione lungo il percorso, occorrerà conoscere la
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315
Elementi per la progettazione di una cantina
Gli impianti di cantina
lunghezza di ciascun tratto tra una erogazione e la successiva, con le corrispondenti variazioni
di portata.
Nei reparti operativi dove si fa uso del vapore nel corso delle operazioni di pulizia, saranno
posti a parete, ad un’altezza di circa 1,5 m, appositi punti di erogazione, costituiti da attacchi
rapidi e rubinetti a sfera per il collegamento delle tubazioni mobili di erogazione munite di
lancia di erogazione. Queste sono in gomma con sottostrato nero liscio, studiato per resistere
al calore, inserti tessili e copertura in gomma nera liscia ad impressione tela, resistente al
calore, all’azione abrasiva del trascinamento, all’invecchiamento ed agli agenti atmosferici,
mentre per aumentare la resistenza meccanica possono essere presenti inserti composti di fili
d’acciaio. I componenti utilizzati per realizzare le mescole ed i relativi procedimenti di
lavorazione consentono, inoltre, di ridurre la necessità di vulcanizzare eliminando così i
fenomeni di cristallizzazione delle mescole ed il conseguente irrigidimento o screpolatura. Il
diametro interno varia da 10 a 102 mm, quello esterno da 21 a 122 mm. Gli inserti tessili
consentono al tubo di sopportare anche le pressioni d’esercizio più elevate (generalmente
compresa fra 5 e 17 bar), in funzione della temperatura del vapore che può raggiungere i 200
°C. Per le pressioni più alte si possono utilizzare tubi rivestiti esternamente in rete metallica.
4.7 Impianto di scarico dei reflui
Le cantine si contraddistinguono per gli elevati consumi di acqua che si traducono in
consistenti flussi di reflui che devono essere raccolti, convogliati e smaltiti secondo quanto
previsto dalle specifiche normative (il D.L. 258/00 equipara i reflui di cantina a scarichi
industriali). Rappresentano l’insieme delle acque di scarico originate o prodotte in particolare
durante le operazioni di raffreddamento dei serbatoi e di pulizia delle macchine, delle
attrezzature, degli impianti e delle strutture (reparti e cortili) nel corso della vinificazione, dei
travasi e dell’imbottigliamento.
A questi reflui si devono aggiungere altri tipi di scarichi, anche se molto meno significativi
dal punto di vista quantitativo e della complessità di trattamento, e che si possono classificare
nel seguente modo:
¾ acque bianche dovute alle piogge o al disgelo di neve intercettate da superfici
impermeabili (coperture, dei cortili, …;
¾ acque nere provenienti dai servizi igienici;
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316
Elementi per la progettazione di una cantina
Gli impianti di cantina
acque grigie provenienti dalle docce, dai lavandini dei servizi, degli spogliatoi, della
sala di degustazione e/o dal punto vendita, dalle lavabicchieri e dal laboratorio.
La raccolta, o collettamento, delle acque di scarico avviene mediante tubazioni corredate di
vari elementi accessori, organizzate in modo da formare reti differenziate per i diversi tipi di
acque in funzione del sistema di smaltimento utilizzato. Questo può essere un sistema fognario
(si ricorda che le acque bianche devono essere separate dall’insieme delle nere e delle grigie)
oppure un sistema di autodepurazione prima dell’immissione in un ricettore (suolo, sottosuolo
o acqua superficiale). In questo caso i trattamenti di depurazione e i relativi controlli, dovranno
essere tanto più spinti quanto più sensibile risulta il ricettore. Un’altra opzione è rappresentata
dallo stoccaggio in apposite vasche dalle quali i reflui vengono periodicamente prelevati da
ditte specializzate per il conferimento in specifici impianti di depurazione.
¾
L’impianto di scarico deve essere strutturato e dimensionato ponendo una particolare
attenzione alla configurazione costruttiva delle reti per evitare i molti problemi legati ad
eventuali sacche di ristagno, sifoni impropri, aspirazioni indesiderate, otturazioni e rumorosità.
In particolare i sistemi di scarico devono possedere le seguenti capacità:
¾ consentire la rapida evacuazione delle acque reflue, secondo la via più breve;
¾ impedire il passaggio di odori, di aria e di microrganismi dalle tubazioni all’ambiente;
¾ garantire la perfetta ermeticità per impedire la fuoriuscita di acqua o di gas;
¾ non consentire che eventuali movimenti degli elementi costitutivi l’edificio diano
luogo a rottura delle tubazioni;
¾ resistere ai fenomeni di corrosione da parte di sostanze chimicamente aggressive
(vino, soda, …) o da parte di correnti vaganti.
I materiali più utilizzati per la realizzazione di elementi costituenti gli impianti di scarico
sono:
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317
Elementi per la progettazione di una cantina
¾
¾
¾
Gli impianti di cantina
il gres: si caratterizza per le sue spiccate caratteristiche di resistenza meccanica, di
impermeabilità e di resistenza agli agenti chimici. E’ utilizzato soprattutto per
tubazioni di grosso diametro (diametri nominali da 100 ad 800 mm) e nelle reti
fognarie, ma anche per tubi e canalette per gli impianti di scarico degli edifici
produttivi. Le tubazioni sono costituite da diversi elementi (tubi, curve a 45° e 90°,
raccordi a 45° e 90° e sifoni orizzontali). Tutti questi elementi presentano un giunto
a bicchiere per il collegamento, dotato di anello in resina poliuretanica che consente
una giunzione elastica a tenuta idraulica anche con un moderato disassamento;
le materie plastiche: grandissima diffusione hanno avuto il polietilene (PE) ad alta
densità, il policloruro di vinile (PVC) ed il propilene grazie ai pesi relativamente
modesti, ai costi contenuti, alla maggior facilità di messa in opera, al buon
comportamento rispetto ai rumori, alla possibilità di effettuare giunzioni abbastanza
flessibili ed all’ottima inerzia agli acidi. Buono anche il comportamento relativamente
all’invecchiamento ed agli urti anche se la resistenza meccanica e quella termica sia
minore rispetto ad altri materiali. Preferibilmente sono da utilizzarsi nei tratti murati,
interrati o comunque non accessibili alla luce solare e non soggetti a sensibili
variazioni di temperatura; in particolare le tipologie leggere si adottano nelle
diramazioni interne, nelle colonne pluviali e nelle reti di ventilazione mentre i
materiali più pregiati si utilizzano per le reti di scarico. I singoli elementi si collegano
attraverso giunti del tipo a bicchiere o a manicotto con sigillature mediante collanti
oppure del tipo testa a testa accostando le estremità dopo averle riscaldate con
un’apposita apparecchiatura;
il fibrocemento: si utilizza per ottenere elementi di tubazione e relativi pezzi
speciali (secondo la norma UNI 6159) per lo scarico di liquami e di acque bianche. Si
tratta di elementi molto maneggevoli ma relativamente poco resistenti all’usura e
con caratteristiche meccaniche limitate; pertanto sono utilizzati fino al raccordo con il
collettore principale. Presentano un apposito rivestimento interno ed un’estremità a
bicchiere per giunzioni con anello di gomma o di corda catramata da sigillare con
ing. Maines Fernando
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Elementi per la progettazione di una cantina
Gli impianti di cantina
malta. I diametri variano da 100 a 300 mm e presentano una marcatura che riporta
il marchio di fabbrica, la data di produzione, il diametro nominale e la sigla SE
(scarichi edilizi);
¾ il calcestruzzo: è utilizzato sia per tubazioni circolari e ovoidali (tubi, canali,
collettori, pozzetti, …) che per fosse biologiche, fosse settiche, pozzi neri e vasche.
Sono elementi prodotti mediante centrifugazione dell’impasto cementizio in apposite
forme, nel caso di elementi a sezione circolare, oppure mediante macchine a
vibrocompressione oleodinamica. Si ottengono in tal modo prodotti molto compatti,
scarsamente permeabili e dotati di buona resistenza meccanica. I tubi circolari, con
diametri interni che possono variare da 10 a 150 cm, vengono uniti mediante innesto
ad incastro a mezzo spessore e possono presentare rivestimento interno in gres
ottenuto con mattonelle o piastre curve.
Tutti i sistemi di scarico sono costituiti da una serie di diramazioni, dalle colonne e dai
collettori.
Le diramazioni (singole o a collettore se collegate a più scarichi) sono tratti di tubazione
posti tra il solaio e la pavimentazione o a soffitto, come spesso accade nei reparti operativi,
allo scopo di collegare alla colonna di scarico ogni apparecchio sanitario o ogni pozzetto di
raccolta dei reflui a pavimento, mediante apposito pezzo speciale a forma di Y detto braga. Le
diramazioni, generalmente in polietilene ad alta densità, devono essere installate con una
pendenza minima dell’1 %, per garantire un regolare deflusso ponendo particolare attenzione
per prevenire gli inconvenienti legati alle dilatazioni termiche indotte dall’immissione di acque
calde.
Ogni scarico deve essere munito di sifone per evitare l’immissione negli ambienti di
emanazioni maleodoranti provenienti dalle rete di scarico. Si tratta di un dispositivo in grado di
creare nella tubazione, un tratto di tubo costantemente pieno d’acqua con funzione di tappo
idraulico. Possono far parte dello stesso scarico (sifoni interni di tipo a P, a S e a bottiglia)
oppure essere posti subito a valle dello scarico in corrispondenza dell’allacciamento alla
diramazione (sifone esterno orizzontale tipo Firenze, ad ispezione doppia, orizzontale normale
o verticale tipo Torino).
Il dimensionamento delle diramazioni viene fatto utilizzando apposite tabelle ottenute per
via sperimentale o con criteri statistici che forniscono i diametri in funzione della pendenza e
della somma delle singole portate che per le acque grigie e quelle nere sono espresse in unità
di scarico equivalente a 28 litri al minuto.
Le colonne costituiscono i tratti verticali dell’impianto. Sono generalmente in polietilene ad
alta densità e devono essere prolungate oltre la braga più alta fin sopra alla copertura. Questo
tratto, detto tronco di esalazione, deve essere munito di cappellotto posto ad almeno 4 m, in
orizzontale, da porte o finestre e almeno 1 m al di sopra dall’apertura più vicina. Il
ing. Maines Fernando
319
Elementi per la progettazione di una cantina
Gli impianti di cantina
dimensionamento delle colonne viene effettuato mediante apposite tabelle che forniscono il
valore del diametro in base alla sua altezza, al numero degli scarichi (totale e per ciascun
piano), alla loro tipologia e ai loro diametri. Al piede di ciascuna colonna, inoltre, sono
normalmente installati un sifone ed un pozzetto di ispezione allo scopo di consentire le
operazioni di controllo e di pulizia e per creare una camera d’aria che neutralizza le
sovrapressioni date dalla caduta della massa liquida, finché l’aria non viene scaricata
attraverso la canna di ventilazione.
Le colonne, infine, necessitano di ventilazione a causa del flusso intermittente che le
caratterizza, poiché la caduta dei reflui provoca un azione di compressione dell’aria nel tratto
sottostante ed una depressione in quello sovrastante. Tale effetto può causare lo svuotamento
dei sifoni con tutti gli effetti negativi connessi. Per questo si utilizzano specifiche colonne
(montanti di ventilazione) in materiale plastico o in acciaio zincato, comunicanti alla base con
le colonne di scarico, attraverso il pozzetto di ispezione mentre in sommità devono essere
portate al di sopra dell’ultimo solaio con gli stessi criteri visti per il tronco di esalazione.
Ogni diramazione singola o connessa con più scarichi in batteria, viene collegata (con
modalità definita a gancio) ad una colonna di ventilazione ad una altezza superiore a quella
degli scarichi serviti in modo da mettere in collegamento con l’atmosfera i punti terminali di
tutti i tratti di diramazione. I diametri delle colonne di ventilazione saranno scelti in rapporto ai
diametri delle relative reti di scarico e si dovranno evitare il più possibile i cambiamenti di
direzione.
I collettori, infine, rappresentano il tratto terminale dell’impianto di scarico per collegare le
colonne alla fognatura esterna o al sistema di stoccaggio oppure al sistema di trattamento e di
smaltimento (depuratore, vasche Imhoff, …). Preceduti generalmente da un pozzetto di
ispezione (tipo Firenze) possono essere realizzati con elementi di tubazione in calcestruzzo o in
gres o in fibrocemento oppure, solo nel caso di diametri non consistenti, in polietilene, ed
avranno pendenza variabile in funzione del materiale (0,5% per gres e polietilene, 1,5% per
ing. Maines Fernando
320
Elementi per la progettazione di una cantina
Gli impianti di cantina
fibrocemento e 2% per il calcestruzzo). Il dimensionamento si effettua mediante tabelle in
funzione dell’entità degli scarichi, dei materiali adottati e delle relative pendenze.
4.7.1 Reflui di cantina
Nei reparti operativi delle cantine, risulta essenziale predisporre idonei sistemi per
l’allontanamento delle acque utilizzate nel corso del processo produttivo.
In primo luogo è necessario dotare le pavimentazioni dei reparti o dei piazzali di
un’adeguata pendenza con valori che variano fra l’1 e l’1,5 %, in funzione del materiale
utilizzato per il rivestimento, della lunghezza delle linee di massima pendenza, della
configurazione data al sistema di raccolta delle acque e dalla loro tipologia. Ciò consente
all’acqua di venir indirizzata verso i sistemi di intercettazione, predisposti per far confluire tutti
i reflui nell’impianto di scarico, che possono essere costituiti da:
¾ canaline aperte a sezione circolare da adottare per ambienti non interessati dal
passaggio di mezzi meccanici o, in caso contrario, da posizionate lungo le pareti di
ambienti con spiccato sviluppo longitudinale e con pavimentazioni a schiena d’asino;
¾
canaline disposte in corrispondenza delle linee di compluvio. Possono essere a
sezione rettangolare o semicircolare chiuse da griglie in acciaio o ghisa, di larghezza
variabile da 10 a 20 cm, oppure a fessura, con sezione trapezia. In quest’ultimo
caso, le ridotte dimensioni dell’apertura (12 ÷ 20 mm) riduce notevolmente gli effetti
negativi di una elevata discontinuità, soprattutto nel caso di ambienti con frequenti
passaggi di mezzi per la movimentazione, pur mantenendo una buona capacità
drenante (130 ÷ 250 l/min) ed una elevata resistenza meccanica, dovuta ai tondini
saldati ai due bordi della fessura alla distanza di circa 50 cm l’uno dall’altro;
ing. Maines Fernando
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Elementi per la progettazione di una cantina
¾
Gli impianti di cantina
pozzetti in acciaio inox, ispezionabili, sifonati, a scarico verticale o laterale e munite
di filtro antiratto e di cestello estraibile, per bloccare l’immissione di corpi estranei
nell’impianto di scarico. Possono essere utilizzati da soli, con griglia in acciaio o in
ghisa, disposti nei punti di intersezione delle linee di compluvio della pavimentazione
oppure associati alle canaline e pertanto muniti di chiusino (bloccabile o meno). Il
loro numero, la forma (generalmente quadrata) e la dimensione (fino a 30 x 30 cm)
devono risultare congruenti alla superficie del reparto, alla geometria dell’ambiente,
al tipo di attività svolta, alla tipologia ed alla disposizione delle attrezzature presenti
e all’entità della pendenza.
In tutti i casi i materiali utilizzati devono garantire elevate resistenze meccaniche e inerzia
all’aggressione chimica; pertanto si deve preferire l’utilizzo dell’acciaio inox (AISI 304 o 316)
passivato. Inoltre le canaline devono assicurare superfici con ridotto coefficiente d’attrito e
ridotta presenza di spigoli vivi, per contrastare i fenomeni di deposito; inoltre, si deve cercare
di non utilizzare tratti di lunghezza superiori a 25 m.
Sul mercato sono disponibili canaline con sistemi di montaggio semplificato, con scarichi e
con fondo a pendenza incorporati (0,4 ÷ 1,2%), la cui adozione consente di semplificare
notevolmente le operazioni di posa in opera. Il sistema si completa con vari elementi accessori
(sigilli di ispezione con superficie pavimentabile o in piastra, terminali di contenimento per
pavimenti, …).
Dai pozzetti di raccolta, i reflui vengono incanalati per essere allontanati verso il sistema di
stoccaggio temporaneo o verso lo scarico in fognatura (se consentito) oppure verso il sistema
di depurazione. A tale scopo si utilizzano tubazioni in materiali plastici, in particolare PEAD per
la particolare resistenza al gelo, all’acqua calda, all’aggressione chimica sia di tipo acido
ing. Maines Fernando
322
Elementi per la progettazione di una cantina
Gli impianti di cantina
(dovuta al mosto, alle fecce e al vino) sia di tipo basico indotta dai detergenti utilizzati per le
operazioni di pulizia.
Nel caso di stoccaggio temporaneo prima del conferimento in idoneo impianto di
depurazione o nel caso di vasche di prima sedimentazione qualora fosse presente in cantina un
impianto di depurazione, le tubazioni convogliano i reflui in serbatoi o in cisterne interrate. Si
devono realizzare sistemi di contenimento realizzati in lamiera metallica protetta dalla
corrosione (ad esempio con resine epossidiche) o in resine plastiche, se di volume ridotto,
oppure in cemento armato nel caso di maggiori capacità. Le vasche devono presentare chiusini
di ispezione, tubazione di troppo pieno e possono essere munite di sistema di svuotamento
mediante pompa centrifuga (sommersa o meno) o, più raramente, per gravità se in presenza
di una favorevole condizione plano-altimetriche. Devono essere dislocate in un punto che
favorisca sia l’afflusso dei reflui da tutti i reparti operativi e dai piazzali della cantina sia le
eventuali operazioni di prelievo da parte delle autocisterne deputate al conferimento al
depuratore.
Qualora, invece, è stata scelta l’immissione in fognatura, generalmente è necessario
l’obbligo di predisporre una vasche di omogeneizzazione ed equalizzazione dove raccogliere i
reflui prodotti nel corso della giornata, preceduta da un sistema di pre-depurazione meccanica
con stacci (fissi o vibranti) oppure vagli rotanti, a maglia 2 mm24. In alternativa è possibile
installare un impianto di flottazione in grado di separare dai reflui tutta la parte solida in
sospensione che verrà raccolta e smaltita come rifiuto solido (discarica speciale o sistema di
compostaggio).
Per la realizzazione dei collettori finali e relativi accessori (pozzetti di ispezione, tratti
terminali delle tubazioni di alimentazione delle vasche, tubazioni di collegamento con la
fognatura o con l’impianto di depurazione), si utilizzano elementi in gres ceramico, in
calcestruzzo o, più raramente in fibrocemento.
Per gli scarichi dei reflui di cantina non esistono tabelle da utilizzarsi in fase di
dimensionamento. Pertanto si devono adottare alcuni criteri di calcolo che prevedono in primo
luogo la determinazione dei quantitativi massimi di acque scaricabili dai singoli reparti e la
determinazione delle contemporaneità di scarico, valori che si devono mettere in relazione con
la capacità di ricevimento del sistema fognario o della capacità operativa del sistema di
depurazione. Si deve pertanto prendere in considerazione:
¾ ogni singola diramazione di scarico o le diramazioni collettive corrispondenti all’unità
operativa di cantina mediante la somma dei singoli valori d’allacciamento e la relativa
riduzione del totale in base al coefficiente di contemporaneità;
¾ ogni colonna di scarico, mediante la somma dei valori totali d’allacciamento di tutti i
reparti collegati alla colonna e la relativa riduzione del totale in base al coefficiente di
contemporaneità;
¾ il collettore di scarico mediante la somma dei contributi di tutte le colonne e la
relativa riduzione del totale in base al coefficiente di contemporaneità.
Un altro elemento importante per il dimensionamento è la scelta delle pendenze minime da
assicurare alle diramazioni ed ai collettori per garantire l’autopulizia delle condotte. Per le
prime possibilmente non si deve scendere sotto all’1%, mentre per i collettori deve essere il
24
Per assicurare la continuità di funzionamento al sistema è opportuno disporre di un doppio organo di vagliatura
in modo da poter alternare le fasi di attività alle fasi di pulizia e di manutenzione.
ing. Maines Fernando
323
Elementi per la progettazione di una cantina
Gli impianti di cantina
più uniforme possibile e compresa fra il 1,5 ed il 4,0 %. Nel corso delle verifiche delle portate
si deve tener conto anche della presenza di eventuali materiali solidi e di sostanze schiumose e
del rispetto dei livelli di silenziosità dell’impianto conformemente alle norme, in particolare in
quei reparti in cui sono richiesti elevati standard di confort ambientale (sala di degustazione,
punto vendita, laboratori, uffici, sale di rappresentanza, …). Infine si deve effettuare la scelta
del sistema di ventilazione più idoneo in base all’andamento delle condotte e alle
caratteristiche strutturali dell’impianto.
Nel reparto di vinificazione, al sistema di allontanamento dei reflui può essere associato un
sistema di aspirazione, collegato ad apposito ventilatore in grado di allontanare la CO2 prodotta
nel corso della fermentazione attraverso i pozzetti di raccolta delle acque. Da qui la CO2 viene
portata all’esterno della cantina arttraverso un sistema di condotte appositamente predisposto.
In alternativa la massa d’aria aspirata può condividere con il sistema di scarico delle acque
parte del percorso fino ad appositi collettori, dove avviene al separazione della massa di aria
dalla componente liquida.
l’esigenza sempre più sentita di ridurre la produzione di reflui ed i conseguenti consumi di
acqua, a causa del progressivo aumento degli oneri (economici ed organizzativi) ad essi
connessi, sta aumentando l’interesse (e sempre più lo sarà nel prossimo futuro) verso soluzioni
che consentono la separazione dei reflui di cantina in base al livello di inquinamento raggiunto
per un loro riutilizzo.
Un semplice esempio è dato dall’applicazione ai serbatoi di fermentazione e di stoccaggio di
una canaletta in lamiera ad “L” saldata sulla circonferenza periferica di base, in modo da
intercettare il velo d’acqua di raffreddamento fatto percolare sulla superficie esterna del vaso.
In tal modo quest’acqua può essere raccolta da un sistema di tubazioni appositamente
predisposto ed essendo ancora in possesso di elevati livelli qualitativi, può essere immessa
direttamente in un corpo idrico o venir destinata all’uso irriguo senza la necessità di alcun tipo
di trattamento, oppure temporaneamente stoccata in apposita vasca e riutilizzata in cantina
per altri scopi come le operazioni di prelavaggio di attrezzature o dei serbatoi nel corso dei
travasi.
Un altro sistema molto efficiente di gestione dei reflui è quello ideato e realizzato nella
cantina Bolognani di Lavis (TN), dove nei reparti operativi è presente una tubazione in acciaio
inox di diametro 60 mm, fissate alle pareti con fascette e tasselli ad un’altezza di circa 1 m da
terra. Appositi attacchi rapidi consentono il collegamento delle tubazioni mobili in polietilene
spiralato utilizzate per allontanare, con l’ausilio di pompe, i reflui derivanti delle operazioni di
travaso e di pulizia dei vasi vinari. Ogni punto di attacco rapido è munito di pulsantiera per il
comando di un deviatore di flusso ad aria compressa che consente all’operatore di selezionare
e visualizzare (mediante un sistema di spie luminore) a quale linea (delle tre predisposte)
collegarsi per allontanare il refluo, in base al livello di inquinamento dello stesso. Questo
sistema consente pertanto di allontanare in modo differenziato le fecce (destinate ad una
ing. Maines Fernando
324
Elementi per la progettazione di una cantina
Gli impianti di cantina
apposita vasca di raccolta per il successivo prelievo al momento del conferimento in distilleria),
le acque di prelavaggio ricche di feccia e le acque di lavaggio e di risciacquo caratterizzate da
bassi contenuti inquinanti che possono così essere immesse direttamente in fognatura o essere
raccolte e riutilizzate per quelle operazioni di pulizia che richiedono ridotti livelli di qualità,
come il lavaggio delle pavimentazioni, prelavaggi di attrezzature e serbatoi, ecc. Il sistema è
completato da un sistema automatico di pulizia della rete mediante l’immissione di acqua per il
risciacquo in successione delle tre tubazioni.
4.7.2 Acque bianche
Si tratta dell’impianto dedicato alla raccolta delle acque piovane ed al loro convogliamento
verso un ricettore che può essere una rete fognaria per le acque bianche o un apposito sistema
di dispersione in falda oppure un bacino o un corso d’acqua. In alternativa è possibile
accumularle in un serbatoio e recuperarle per i più diversi utilizzi (irrigazione , scarichi dei
servizi , …).
Il sistema di raccolta delle acque bianche interessa tutti i piazzali ed i cortili con superficie
impermeabilizzata o pavimentata ad eccezione delle aree operative esterne, come l’area di
conferimento o di stoccaggio, dove si producono reflui equiparati a quelli di cantina. Le
superfici devono essere provviste di pendenze adeguate al tipo di pavimentazione (maggiori
comunque dello 0,5 %), di cunette, di pozzetti e di tubazioni di convogliamento. Anche le
coperture degli edifici intercettano acque meteoriche che devono essere raccolte ed allontanate
mediante un sistema costituito da:
¾ canali di gronda (solo per tetti a falde inclinate), che possono essere realizzati in
lamiera zincata, acciaio inossidabile, rame (che si caratterizza per la grande
resistenza alla corrosione ma anche per il costo elevato) o in materie plastiche. In
particolare si utilizza il PVC rigido reso più resistente agli urti, agli sbalzi termici ed
agli agenti atmosferici mediante l’adozione di profili di gronda semicircolari oppure
trapezoidali. La sezione deve essere proporzionale alla superficie di copertura servita
ed alle pendenze (comunque non inferiori allo 0,5 %);
¾ colonne di scarico o pluviali, contenuti in vani nella muratura o posti all’esterno, con
il compito di portare a terra le acque intercettate dal tetto. Possono essere in lamiera
zincata o di acciaio inossidabile o di rame oppure in materie plastiche. La sezione
circolare o quadrata deve essere almeno di 1 cm2 ogni 3 m2 di superficie del tetto in
proiezione orizzontale. La parte terminale inferiore (detto stivale) è generalmente
realizzata con un elemento di 1,5 ÷ 2,5 m in ghisa collegato al collettore mediante
un pozzetto d’ispezione con funzione di sifonaggio e di ammortizzatore idraulico. Il
montaggio delle colonne sulle pareti richiede l’utilizzo di staffe che consentono il
libero scorrimento e la presenza di elementi in grado di assorbire la dilatazione.
ing. Maines Fernando
325
Elementi per la progettazione di una cantina
¾
Gli impianti di cantina
L’imbocco nel canale di gronda (attraverso un elemento tronco conico detto
messicano) deve essere corredato di griglia di evacuazione con funzione parafoglie e
nel caso di terrazzi praticabili di sifone per evitare la fuoriuscita di cattivi odori;
collettori di scarico generalmente realizzati in polietilene rigido con pendenze minime
dell’1% e diametro in funzione del numero di pluviali che in esso cadono e delle
relative portate. Deve inoltre essere posto ad una quota superiore a quella del pelo
libero della rete di raccolta oppure diventa necessario un idoneo impianto di
sollevamento.
Nel caso di edifici con copertura piana o di ampie terrazze il sistema di allontanamento
corrisponde con quanto visto per le coperture a falde inclinate, con l’esclusione dei canali di
gronda. Infatti le colonne di scarico sono alimentate attraverso pozzetti protetti con apposite
griglie ferma foglie. Si ricorda che tali pozzetti rappresentano punti critici per la possibilità di
infiltrazioni nel solaio, se l’esecuzione dell’impermeabilizzazione non è particolarmente attenta
e curata.
1.
PRIMER BITUMINOSO: dato a spruzzo o
a spazzolone sui verticali e sulle zone
perimetrali;
2. MEMBRANA BITUMINOSA: 4 mm posata
in indipendenza in accostamento alla
parete e saldata a fiamma sui verticali,
sulle zone perimetrali e sui sormonti;
3. LISTELLO a sezione triangolare in legno o
plastica appoggiato in corrispondenza dei
risvolti verticali;
4. MEMBRANA BITUMINOSA: fascia di
rinforzo 4 mm saldata a fiamma risalente
sui verticali per cm 20;
5. MEMBRANA BITUMINOSA: 4 mm,
saldata a fiamma in aderenza totale ed in
accostamento alla parete;
6. MEMBRANA BITUMINOSA: fascia di
rinforzo in 4mm, saldata a fiamma e
risalente sui verticali per almeno cm 20 al
di sopra del livello massimo delle acque;
7. STRATO
DRENANTE/SEPARATORE:
TESSUTO NON TESSUTO in poliestere (200
gr/m2) posato a secco.
8. ELEMENTO
DI
PROTEZIONE
PERIMETRALE: pannello isorene da 3 cm
di spessore.
9. PAVIMENTAZIONE o letto di ghiaia di
almeno 4 cm di spessore (granulometria
mm 15/30);
10. SCOSSALINA
METALLICA
fissata
meccanicamente.
ing. Maines Fernando
326
Elementi per la progettazione di una cantina
Gli impianti di cantina
Il D. Lgs. 18 agosto 2000 n. 258 demanda alle Regioni ed alle Provincie Autonome la
disciplina relativa alla regolamentazione dello scarico delle acque meteoriche di dilavamento.
Tali normative inoltre si intersecano con quanto stabilito dalle prescrizioni urbanistiche (Piani
Territoriali di Coordinamento, P.R.G. comunale, …), in particolare per tutte le aree sottoposte a
vincoli idrogeologici (aree di rispetto di pozzi e sorgenti, aree di protezione dei corpi idrici di
particolare importanza, …). Ad esempio, in Provincia di Trento, non è possibile in tali aree
smaltire nel sottosuolo le acque provenienti dai piazzali e dalle strade, se non preventivamente
depurate (a differenza delle acque provenienti dai pluviali). Diventa pertanto importante
adottare soluzioni in grado di intervenire sulle caratteristiche delle acque piovane che
raccolgono gli inquinanti determinati dallo stazionamento e dalla circolazione dei veicoli. Si
tratta delle così dette acque di prima pioggia, corrispondenti, per ogni evento meteorico, ad
una precipitazione uniforme di 15 minuti.
Prima di tutto è necessario determinare la portata d’acqua da portare a smaltimento
mediante formule e valori tabellati fondati su criteri sperimentali e statistici che consentono di
definire l’apporto idrico meteorico unitario (pioggia che cade su una superficie di 1 m2 al
secondo), in funzione dei parametri locali (intensità pluviometrica di riferimento cioè della
quantità massima di acqua che cade durante i periodi più significativi in corrispondenza di
piogge brevi ma intense), corretto da specifico coefficiente25. La portata idrica totale da
disperdere è ora facilmente calcolabile moltiplicando il valore ottenuto per le superfici da
drenare (in proiezione orizzontale) espressa in m2.
La separazione delle acque di prima pioggia dovrà avvenire realizzando opere di
convogliamento indipendenti ed una o più vasche di accumulo atte a raccoglierle ed a stoccarle
grazie alla presenza di una valvola antiflusso che impedirà la miscelazione delle acque di prima
pioggia con le successive acque meteoriche di dilavamento. La vasca dovrà essere dotata
anche di scarico di troppo pieno collegata direttamente alla rete di smaltimento superficiale. A
monte della vasca di raccolta, inoltre, dovrà essere installato un pozzetto di selezione idraulica,
dotato di griglia statica e sfioratore laterale.
Le acque eccedenti la prima pioggia (acque meteoriche di dilavamento) defluiranno assieme
alle acque intercettate dalle coperture nelle rete fognaria, se presente, specificatamente
destinata alle sole acque bianche oppure direttamente sul suolo o negli strati superficiali anidri
del sottosuolo (che devono presentare un “franco idrogeologico”, sopra il livello di massima
risalita della falda, non minore a 0,5 m). Un tipo idoneo di dispersore è formato da un pozzo
costituito da anelli in cls (preceduto da pozzetto di decantazione) posto nel terreno in apposito
scavo riempito di meteriale ghiaioso ad alta permeabilità e coperto con materiale argilloso. La
capacità di smaltimeto di tale sistema è ricavabile da formula empirica che tengono conto della
permeabilità del terreno e delle caratteristiche geometriche del pozzetto (diametro, profondità,
…).
25
Coefficiente udometrico di deflusso dipendente dalle condizioni climatiche e dalla natura della superficie da
drenare. Ad esempio per la zona di Trento si può adottare un valore pari a 1 per le coperture e 0,8 per piazzali
asfaltati.
ing. Maines Fernando
327
Elementi per la progettazione di una cantina
Gli impianti di cantina
Esistono in commercio impianti di separazione-disoleazione in grado di trattare portate fino
a 30 L/s26. Il refluo derivante dovrà essere avviato ad idonei impianti di trattamentodepurazione, in base alle sostanze inquinanti contenute. L’inizio dell’evento meteorico può
essere segnalato automaticamente mediante una sonda collegata ad un quadro elettrico,
mentre un dispositivo elettronico di temporizzazione collegato alla sonda e dotato di memoria
(in caso di black-out) dovrà dare, dopo 24 ore dalla cessazione delle piogge, un impulso ad
un’elettropompa per scaricare le acque stoccate, inviandole nella rete fognaria oppure allo
specifico impianto di trattamento locale. L’elettropompa sarà dunque dimensionata e regolata
in modo che lo scarico delle acque reflue stoccate nelle vasche avvenga in 24 ÷ 48 ore per non
sovraccaricare le condotte fognarie o l’impianto di trattamento depurativo.
4.7.3 Acque grigie e nere
Si caratterizzano per regimi molto irregolari e, nelle cantine, per una consistenza
quantitativa decisamente marginale rispetto ai reflui provenienti dai reparti operativi. Da un
punto di vista dei criteri esecutivi e dei materiali utilizzati, l’impianto di scarico delle acque
grigie e nere non si discosta da quello dei reflui di cantina e, pertanto comprende diramazioni
(a pavimento), colonne e collettori, costruiti e strutturati secondo standard propri dell’edilizia
abitativa.
Per un corretto calcolo di dimensionamento è necessario rappresentare graficamente lo
schema dell’impianto e attribuire a ciascun apparecchio di scarico un appropriato numero di
unità di scarico. Per ciascun tratto di rete si fissano le pendenze e si determinano le intensità di
scarico reale a partire dalle intensità di scarico teoriche corrette dal fattore di contemporaneità.
Si attribuisce ad ogni tratto di rete il diametro interno più opportuno prendendo in
26
In base alla portata massima individuata sarà possibile determinare il numero di impianti di trattamento
necessari.
ing. Maines Fernando
328
Elementi per la progettazione di una cantina
Gli impianti di cantina
considerazione per i tratti orizzontali un riempimento del 50% e del 70 ÷ 80% per i collettori
fognari.
Si possono anche utilizzare criteri di dimensionamento di tipo empirico, sufficienti per non
commettere grossolani errori nella scelta dei diametri; questi non devono essere troppo
ristretti da determinare rallentamenti e successivi intasamenti nei tratti orizzontali, rumorosità
eccessiva, usura e pericoli di rottura sui tratti verticali; di contro dimensioni esuberanti
possono causare flussi a sezione parzialmente vuota che possono portare alla formazione di
depositi nei tratti orizzontali e possibilità di incrostazioni nei tratti verticali.
Nel caso di collettori che si trovano al di sotto del livello della fognatura, risulta necessario
un sistema di sollevamento dei liquami, costituita da una vasca di raccolta dei reflui e da un
sistema di aspirazione comprendente due pompe in parallelo (una di funzionamento ed una di
riserva che si alternano) direttamente accoppiate con un motore elettrico, il tutto dimensionato
per evitare uno stazionamento eccessivo dei reflui o un’attivazione della pompa troppo
frequente.
Qualora non fosse possibile il collegamento diretto ad una rete fognaria dinamica si deve
ricorrere alle fosse settiche (o biologiche). Si tratta di grosse vasche in calcestruzzo
(costruite in loco o prefabbricate) o in materiale plastico, di forma e dimensioni diverse,
collegati con il collettore delle acque nere ed interrati nei pressi dell’edificio e ad almeno 10
metri da qualsiasi manufatto per il rifornimento dell’acqua potabile (pozzi, condotte o
serbatoi). Devono inoltre essere accessibili attraverso un pozzetto d’ispezione utilizzato anche
per i periodici svuotamenti. La legislazione vigente richiede che le vasche siano munite di setti
(vasche Imhoff) che determinano la presenza di due compartimenti distinti. Nel primo, detta
anche camera di sedimentazione o di decantazione, il refluo giunge attraverso una tubazione
posta ad una quota di circa 80 ÷ 90 cm inferiore al piano di campagna e qui trova le condizioni
per liberarsi delle parti solide e più pesanti che si depositano sul fondo della camera dei fanghi
(o di fermentazione) sottostante. La separazione avviene per gravità, favorita dalle condizioni
di calma in cui i reflui giungono grazie al consistente volume della fossa che, a partire da 250
÷ 300 litri, deve assicurare anche alle portate di punta una detenzione di almeno 4 ÷ 6 ore. La
camera dei fanghi in particolare avrà una capacità che dipende dalla frequenza con cui si
effettua lo svuotamento del deposito formatosi: ad esempio nel caso di un unico intervento
all’anno la capacità dovrà essere di quattro volte superiore a quella di sedimentazione. Le
tabelle normalmente fornite dai produttori consigliano il valore di 40 ÷ 50 l complessivi per
utente; questi valori, utilizzati per le abitazioni, possono essere almeno dimezzati nel caso
delle cantine, poiché la permanenza al giorno di ogni addetto in cantina non si prolunga,
normalmente, oltre le 8 ÷ 10 ore.
Al momento dell’attivazione la camera di separazione, e pertanto l’intera vasca, deve essere
completamente riempita d’acqua. Successivamente, nei fanghi formatesi, si sviluppa l’attività
di microrganismi anaerobici in grado di disgregare le sostanze organiche solide, ricavandone
l’energia di sostentamento, fino a renderle completamente liquide. Si determina così una
ing. Maines Fernando
329
Elementi per la progettazione di una cantina
Gli impianti di cantina
riduzione dei livelli di inquinamento organico piuttosto decisa, ma non ancora sufficiente per
poter immettere lo scarico direttamente nell’ambiente.
Pertanto il chiarificato, fatto uscire attraverso una tubazione posta a circa 10 cm più in
basso di quella di immissione e ad essa diametralmente opposta, deve subire un ulteriori
trattamenti di chiarificazione mediante uno dei seguenti sistemi:
¾ sub-irrigazione con dispersione diretta: le acque chiarificate passano in una
vaschetta in calcestruzzo, a tenuta e munita di sifone, con il compito di alimentare le
condotte disperdenti. Questa è costituita di elementi tubolari in gres o calcestruzzo o
fibrocemento di 10 ÷ 12 cm di diametro e lunghe 30 ÷ 50 cm disposte in successione
ma distanziate di 1 ÷ 2 cm in modo da consentire la dispersione del chiarificato nel
terreno. Le giunzioni sono protette da piccoli elementi di copertura per evitare
l’intasamento da parte del terreno. Le tubazioni sono poste in trincee alla profondità
di circa 60 cm, in un letto di pietrisco protetto superiormente da uno strato di tessuto
non tessuto per mantenere la permeabilità nel tempo. La rete disperdente deve
avere un estensione proporzionale alle quantità di reflui prodotti ed alla permeabilità
del terreno e deve essere posta a debita distanza dai fabbricati e da qualsiasi opera
inerente la presa o lo stoccaggio di acqua potabile (almeno 30 m). Perciò
l’applicabilità del sistema richiede la presenza di terreni sufficientemente drenanti e
di una falda poco superficiale e comunque non utilizzata a valle per uso potabile. Le
necessarie prove e periodiche verifiche devono essere eseguite da parte di tecnici
qualificati;
¾
sub-irrigazione con drenaggio: si distingue dal precedente sistema per la presenza di
un secondo tubo forato posto ad una quota inferiore che raccoglie il percolato
risultante dall’azione filtrante e depurante del terreno e lo riversa in un corso d’acqua
ricettore;
ing. Maines Fernando
330
Elementi per la progettazione di una cantina
Gli impianti di cantina
¾
pozzi filtranti: il chiarificato proveniente dalla vasca Imhoff viene immesso in un
pozzo in calcestruzzo riempito di pietrisco e dotato nella parte inferiore di aperture
per la dispersione nel terreno. Tale sistema può essere adottato solo se il terreno
possiede una sufficiente capacità naturale di drenaggio e la falda sia sufficientemente
profonda;
¾
letti assorbenti: si tratta di vasconi riempiti da terreno a granulometria
progressivamente crescente con la profondità a partire da uno stato superficiale
composto di torba e terreno vegetale con il compito di accogliere la vegetazione
opportunamente scelta in funzione delle condizioni climatiche locali e del ciclo
vegetativo. Il chiarificato immesso, attraverso un pozzetto nello strato inferiore
costituito da ghiaia, subirà un processo di chiarificazione progressiva nel percorrere i
diversi strati, mentre la sostanza organica depositata potrà essere assorbita dalla
vegetazione. Il flusso residuo verrà raccolto all’estremità opposta rispetto a quella di
immissione e fatto affluire in un corso ricettore;
ing. Maines Fernando
331
Elementi per la progettazione di una cantina
¾
Gli impianti di cantina
filtri batterici: il chiarificato passa dalla vasca Imhoff in un ulteriore serbatoio
parzialmente riempito di ciottoli e ghiaia e strutturato per consentire l’instaurarsi di
ulteriori processi batterici di tipo aerobico (per ossidare la sostanza organica residua)
o anaerobici. Anche in questo caso il flusso residuo viene successivamente raccolto
ed immesso in un corso ricettore.
In conclusione si ricorda che l’efficienza depurativa di questi sistemi si riduce all’aumentare
della presenza di detersivi; pertanto è preferibile, se la loro quantità è significativa, non inviare
le acque grigie nella vasca Imhoff ma dedicare ad esse una semplice vasca di decantazione.
4.8 Impianto per l’allontanamento dei raspi, delle vinacce e delle fecce
Raspi, vinacce e fecce rappresentano i sottoprodotti più significativi del processo produttivo
enologico, in primo luogo per le elevate quantità che li contraddistinguono ma anche perchè la
loro produzione è concentrata in periodi particolarmente limitati, gli stessi nei quali l’attività di
ing. Maines Fernando
332
Elementi per la progettazione di una cantina
Gli impianti di cantina
cantina è molto intensa. Dal punto di vista qualitativo gli scarti delle produzioni enologiche
sono considerati rifiuti speciali, come specificato nell’art. 7 del decreto Ronchi (D.Lgs. n. 22 del
5 febbraio 1997) e perciò da smaltirsi in apposite discariche o idonei impianti.
Pertanto le modalità da adottare per l’allontanamento di questi rifiuti dai reparti produttivi,
per il loro stoccaggio temporaneo ed il corretto smaltimento devono essere attentamente
valutate ed organizzate secondo criteri di efficienza e di funzionalità, per individuare la
strategia che meglio si adattano alle peculiarità produttive ed operative di ciascuna cantina.
Tutto ciò si dovrà tradurre in un insieme di procedure e di interventi compatibili con le
contemporanee attività di vinificazione e supportati da idonee attrezzature e da macchine
specifiche. Ne consegue la necessità di considerare i relativi fabbisogni di spazio e le
connessioni fra le diverse aree operative interessate dalla formazione e dallo stoccaggio
temporaneo dei diversi sottoprodotti.
Diversi sono i fattori da prendere in considerazione:
¾ le quantità di materiale da stoccare e la loro consistenza;
¾ la disponibilità di aree dove effettuare lo stoccaggio (su platea, in silos orizzontali, in
container o, se consentito, direttamente su terreno agricolo), localizzate e
organizzate con modalità che consentono un facile accesso ai mezzi per la
movimentazione ed un corretto svolgimento delle operazioni di carico;
¾ le distanze da coprire e gli eventuali dislivelli da superare lungo il percorso che dai
reparti di origine porta alle aree utilizzate per lo stoccaggio;
¾ la durata del periodo di stoccaggio temporaneo. A tal riguardo si ricorda la necessità
di rispettare i regolamenti comunali secondo i quali i depositi all’aperto non devono,
di norma, superare la dimensione di 20 m3 e permanere per un periodo superiore ai
tre mesi; dovranno, inoltre, essere organizzati in modo da evitare fenomeni di
dispersione nell’ambiente dei rifiuti stessi o di eventuali acque di percolazione;
¾ la destinazione finale dei sottoprodotti (spandimento in campo, smaltimento in
discarica, …). Nel caso siano previsti trattamenti di valorizzazione e recupero (come il
compostaggio, la combustione o la distillazione) bisogna effettuare lo stoccaggio in
modo da garantire i necessari livelli qualitativi come nel caso della produzione di
distillati di qualità che richiedono modalità di stoccaggio differenziate, non prolungate
nel tempo e protette per evitare ossidazioni indesiderate.
Una soluzione può essere data dall’uso di cassoni o altri piccoli recipienti movimentati con
carrelli sollevatori o transpallet per la raccolta dei diversi sottoprodotti.
ing. Maines Fernando
333
Elementi per la progettazione di una cantina
Gli impianti di cantina
Diversamente si possono predisporre veri e propri impianti costituiti da attrezzature e
dispositivi in grado di gestire la raccolta, l’allontanamento e lo stoccaggio in modo automatico.
I raspi, ad esempio, vengono direttamente prelevati all’uscita della diraspatrice e allontanati
mediante un nastro trasportatore in gomma alimentare oppure una coclea in acciaio inox posta
sul fondo di un canale dello stesso materiale con sezione ad U, alimentati da una tramoggia
direttamente posta sotto alla diraspa-pigiatrice. Entrambi questi sistemi di allontanamento
possono essere muniti, nella parte terminale, di un dispositivo per sminuzzare i raspi, in grado
di ridurre il volume di stoccaggio fino all’80 %, costituito da un tamburo frantumatore a coltelli
mobili e da uno scivolo mobile per lo scarico. Coclee e nastri trasportatori sono da utilizzarsi
quando il percorso per raggiungere il luogo adibito allo stoccaggio temporaneo è relativamente
breve.
In caso contrario si può adottare un trasportatore pneumatico costituito da un ventilatore
centrifugo ad alta velocità in grado di produrre un’intensa corrente d’aria che aspira i raspi;
tale ventilatore, posto al termine di una tubazione in acciaio inox o in materiale plastico
(generalmente polietilene), va dimensionato in base alla capacità operativa del reparto di
diraspa-pigiatura. L’alimentazione si effettua direttamente all’uscita del dispositivo diraspante o
attraverso una tramoggia di raccolta dei raspi prodotti da più diraspatrici; in entrambi i casi
sarà presente una coclea munita nella parte terminale di un’appendice a paletta per facilitare
l’ingresso dei raspi nella tubazione. Questa dovrà seguire il percorso più breve possibile per
ing. Maines Fernando
334
Elementi per la progettazione di una cantina
Gli impianti di cantina
giungere in prossimità del luogo di stoccaggio, evitando bruschi cambi di direzione, causa di
perdite di carico e di possibili intasamenti. Inoltre per eliminare i problemi di ingombro è
preferibile alloggiare la tubazione in cavedi nelle pareti, nel pavimento o fissarle al soffitto,
tenendo in considerazione la necessità di poter effettuare le operazioni di manutenzione e di
controllo in modo semplice ed efficace.
In generale questo sistema si caratterizza per la non trascurabile rumorosità, i consistenti
consumi elettrici e l’alto assorbimento di potenza, necessario per vincere tutte le perdite di
carico, per superare gli eventuali dislivelli e per effettuare una corretta distribuzione sul cumulo
con un lancio che può arrivare fino a diversi metri.
Anche la produzione delle vinacce è concentrata nei periodi di conferimento delle uve per i
vini bianchi e di svinatura dei vini rossi. I sistemi di allontanamento sono strutturati in
considerazione del fatto che le vinacce generalmente sono inviate alla distillazione: si possono
utilizzare coclee o nastri trasportatori disposti e dimensionati in funzione del tipo di pressa e
del livello di pressatura utilizzato poiché quest’ultimo influisce sulla quantità di vinacce
prodotte e sulla loro consistenza. Nel caso delle presse che utilizzano elevate pressioni (ad
esempio le presse continue) è necessario disporre sulla bocca di scarico un dispositivo
sgretolatore per scompattare il tampone e consentire un più facile trasporto delle vinacce. La
strutturazione del sistema deve inoltre tenere in considerazione le modalità di stoccaggio
temporaneo adottate, la destinazione finale ed il tempo di permanenza.
La gestione dello stoccaggio temporaneo può essere ottimizzato, in particolare, nel caso di
grandi quantità con l’adozione di contenitori modulari in acciaio posti in posizione sopraelevata
mediante una struttura portante che consente lo scarico direttamente per caduta su camion o
su bilico. Il caricamento avviene automaticamente con elevatori a coclea o a tazze mentre
coclee orizzontali poste superiormente sono utilizzate per operare una distribuzione uniforme
delle vinacce. Lo scarico invece avviene con l’aiuto di una coclea di fondo attraverso un
portellone incernierato superiormente ad apertura latrale.
ing. Maines Fernando
335
Elementi per la progettazione di una cantina
Gli impianti di cantina
Anche le fecce, derivanti dalla sedimentazione dei mosti e dei vini, vengono generalmente
inviate alla distillazione come alternativa allo smaltimento in discarica. Si può razionalizzare e
ottimizzare l’allontanamento mediante tubazioni (fisse in acciaio inox e/o mobili in materiale
plastico spiralato) con l’ausilio di pompe o della gravità, verso serbatoi a tenuta stagna (in
acciaio inox o in resine rinforzate con fibre di vetro) o vasche in cemento armato interrate o
poste all’esterno della cantina, in modo da ridurre l’impatto sull’ambiente esterno e sullo
svolgimento delle attività di cantina; tali sistemi di stoccaggio temporaneo devono essere
opportunamente dimensionati e predisposti per il caricamento delle fecce in funzione, del
sistema e delle modalità utilizzate per l’allontanamento dalla cantina.
4.9 Impianto di refrigerazione
Sempre più frequentemente l’enologo si avvale di tecnologie che utilizzano il freddo allo
scopo di aumentare l’efficienza del processo produttivo e di migliorare le caratteristiche del
prodotto finale. Le principali applicazioni sono:
¾ la criomacerazione delle uve da vinificare in bianco;
¾ la decantazione dei mosti mediante chiarifica a freddo;
¾ il controllo della temperatura del vino nel corso della fermentazione e dello
stoccaggio; le medesime tecnologie vengono utilizzate anche per le autoclavi
utilizzate per produrre lo spumante secondo il metodo Charmant;
¾ il “degorgement à la glace” per ghiacciare ed estrarre il deposito di feccia dalle
bottiglie di spumante prodotto secondo il metodo Champenois;
¾ il controllo della temperatura ambientale nel caso di particolari esigenze produttive o
per il raffrescamento estivo;
¾ la stabilizzazione tartarica dei vini mediante la refrigerazione del vino ad una
temperatura prossima a quella di congelamento.
ing. Maines Fernando
336
Elementi per la progettazione di una cantina
Gli impianti di cantina
4.9.1 Ciclo di funzionamento ed elementi costitutivi
Le tecnologie del freddo richiedono l’intervento di apposite macchine frigorifere in grado di
trasferire calore da un ambiente o da una sostanza a bassa temperatura, ad un fluido
(solitamente aria o acqua) avente una temperatura maggiore. Tale capacità, in aperto
contrasto con quanto avviene nei fenomeni naturali, dipende dalle particolari proprietà fisiche
di alcuni fluidi, per questo detti frigorigeni, e da un significativo apporto di energia
(generalmente elettrica) che consente al fluido frigorigeno di svolgere ciclicamente una serie di
trasformazioni. Queste possono essere descritte secondo il seguente schema:
ing. Maines Fernando
337
Elementi per la progettazione di una cantina
Gli impianti di cantina
circuito ad alta pressione: un compressore (unico destinatario dell’apporto energetico
esterno) aspira il fluido frigorigeno allo stato gassoso e lo comprime aumentandone
la temperatura, anche grazie al calore prodotto dalla trasformazione dell’energia
meccanica in energia termica; successivamente il fluido frigorigeno passa in un
condensatore dove trova le condizioni per passare allo stato liquido cedendo la
corrispondente quantità di calore ad un flusso di aria o di acqua;
¾ circuito a bassa pressione: una valvola di laminazione consente al fluido frigorigeno
di dissipare la pressione fornita dal compressore; a questo punto il fluido frigorigeno
ha l’opportunità di acquisire, in un evaporatore, il calore necessario per ritornare allo
stato gassoso, a scapito del contenuto termico dell’ambiente o del prodotto da
refrigerare. In uscita dall’evaporatore il fluido frigorigeno viene aspirato nel
compressione per ricominciare un nuovo ciclo.
Un fluido frigorigeno deve avere, pertanto, una bassa temperatura di evaporazione (-40 ÷ 30 °C); deve inoltre possedere stabilità ed inerzia chimica, alta conduttività termica, bassa
viscosità, basso calore specifico del vapore, temperatura critica superiore a 50 °C, elevato
effetto frigorifero (numero di kcal assorbite per ogni kg di fluido evaporato), ridotta pericolosità
(non deve essere tossico, corrosivo ed infiammabile), buona compatibilità con l’ambiente e con
i comuni materiali utilizzati nelle costruzioni meccaniche, basso punto di congelamento
(inferiore a –40 °C), solubilità nell’olio lubrificante e basso costo.
Ifluido frigorigeno che meglio corrisponde a queste caratteristiche è l’ammoniaca (R717). E’
un gas che congela a –77,9 °C ed evapora a –33,4 °C (a pressione atmosferica); si distingue
per l’alta affidabilità, l’alta stabilità, la biodegradabilità, l’elevatissimo calore di vaporizzazione,
il buon effetto frigorifero (che si traduce in un ridotto fabbisogno di volume) e l’alto
rendimento. Inoltre è innocuo per l’ambiente e si caratterizza per l’abbondante disponibilità,
per il basso costo di utilizzo e per il risparmio di energia (anche superiore al 30%) rispetto ad
altri gas. Purtroppo è acre, irritante (in particolare per gli occhi e le mucose), ha una
infiammabilità non trascurabile (in particolari condizioni può infiammarsi ed esplodere) ed è
altamente tossico. Fortunatamente risulta molto facile rilevare eventuali fughe a causa del suo
caratteristico odore pungente; rimane buona norma, comunque, installare nel locale macchine
un rivelatore di fughe ed un ventilatore per il ricambio dell’aria, dimensionato in funzione della
carica di ammoniaca presente nell’impianto. Infine è incompatibile con il rame e le relative
leghe e allo stato liquido ha una densità inferiore a quella dell’olio lubrificante, con il quale è
poco miscibile.
Negli anni passati sono stati molto utilizzati i cloro-fluoro-carburi (CFC), ed in particolare il
freon (R22). Dal 01 gennaio 2001, a causa della loro azione distruttiva sull’ozono stratosferico
e per l’elevato effetto serra, non è più consentita la vendita di questi derivati gassosi fluorurati
e clorurati del metano e dell’etano ed il loro utilizzo per il rabbocco in impianti esistenti. Anche
gli idro-cloro-fluoro-carburi (HCFC) hanno subito una progressiva riduzione delle produzioni ed
arriveranno ad una totale messa al bando nel 2025.
La ricerca sta lavorando per mettere a punto nuove miscele esenti da cloro come quelle
indicate dalle sigle R-404A, R-407C, R-410A, R-507A, o per ottimizzare l’utilizzo di gas già noti
(R-134A) o di gas naturali come la CO2 (R-744). In generale queste miscele evidenziano
prestazioni e consumi paragonabili a quelli dei CFC e dei HCFC ma si riscontrano maggiori
difficoltà di ordine tecnologico nel loro utilizzo (necessità di dover essere caricate in fase
liquida, variazioni di composizione in caso di fughe, …).
¾
*****
Negli impianti di refrigerazione utilizzati in applicazioni enologiche si adottano compressori
volumetrici alternativi (monocilindrici o pluricilindrici) oppure, in particolare per elevate
potenze, volumetrici rotativi a viti. Sono generalmente alimentati con un motore elettrico e, in
base al tipo di collegamento, si distinguono in compressori di tipo aperto (il motore elettrico è
nettamente distinto dal gruppo di compressione), o semiermetico (compressore e motore sono
contenuti entrambi nello stesso involucro di protezione).
ing. Maines Fernando
338
Elementi per la progettazione di una cantina
Gli impianti di cantina
Il condensatore svolge il compito di desurriscaldare i vapori del fluido frigorigeno, di
condensarli e di sottoraffreddarli mediante un fluido refrigerante (acqua o aria) ad una
temperatura di almeno 7 ÷ 10 °C inferiore rispetto alla temperatura di condensazione del
fluido frigorigeno. Deve, inoltre, essere presente un apposito serbatoio per la raccolta del
liquido condensato con il compito di ammortizzare le ampie oscillazioni di livello conseguenti al
variare dei carichi termici del sistema di refrigerazione.
I condensatori ad aria hanno una struttura semplice e utilizzano aria atmosferica,
disponibile gratuitamente e in grande quantità. Di contro l’aria presenta un basso calore
specifico (0,2375 kcal/m3) ed un basso coefficiente globale di trasmissione termica con i fluidi
frigorigeni. Da ciò consegue la necessità di disporre di elevate superfici di scambio e di
movimentare grandi masse di aria, mediante sistemi a circolazione forzata. Sono necessari
ventilatori assiali con pale di grande diametro convogliano l’aria su una batteria di tubi alettati
in rame o in acciaio inox. Le portate d’aria sono regolate da pressostati che modificano la
velocità degli elettroventilatori o li escludono, in relazione della temperatura dell’aria esterna e
dei carichi termici dell’impianto. Per ridurre il problema della rumorosità, si adottano ventilatori
rotanti a basso numero di giri, dotati di motori e ventole bilanciati dinamicamente e
staticamente e posti in un ambiente ben areato e isolato con materiale fonoassorbente.
I condensatori ad acqua utilizzati in campo enologico, invece, sono principalmente del
tipo a fascio tubiero orizzontale, nei quali l’acqua percorre una serie di tubazioni contenute in
un cilindro in cui viene fatto circolare il fluido frigorigeno. Sono da preferirsi per la bassa
ing. Maines Fernando
339
Elementi per la progettazione di una cantina
Gli impianti di cantina
potenza assorbita, l’elevato rendimento termico e i ridotti ingombri. Per contro necessitano di
notevoli quantità di acqua e di periodiche manutenzioni per rimuovere le eventuali incrostazioni
nel caso di utilizzo di acqua con eccessiva durezza. I consistenti consumi di acqua possono
essere ridotti (fino al 95 %) attuando il riciclo mediante apposita torre di raffreddamento,
costituita da una struttura in metallo o in PRFV collocata all’esterno e posta sopra ad una vasca
di raccolta. Un ventilatore, radiale o assiale, produce la corrente d’aria necessaria per
raffreddare l’acqua immessa nella torre finemente nebulizzata.
La valvola di laminazione è costituita essenzialmente da uno strozzamento atto a
produrre una perdita di carico in modo da consentire l’espansione del fluido frigorigeno. Inoltre
variando la sezione di passaggio si riesce a regolare il flusso del fluido frigorigeno
ing. Maines Fernando
340
Elementi per la progettazione di una cantina
Gli impianti di cantina
nell’evaporatore, in modo da assicurare che la sua portata sia proporzionale alla quantità e alla
temperatura del prodotto da refrigerare. Tale intervento avviene in modo automatico in
funzione della pressione presente nell’evaporatore (valvola regolatrice automatica
d’espansione), o in funzione della temperatura che il fluido raggiunge al termine
dell’evaporazione (valvola regolatrice termostatica) oppure in funzione della variazione di
livello del fluido frigorigeno presente nell’evaporatore (valvola regolatrice a galleggiante o a
elettrolivelli).
L’evaporatore è essenzialmente uno scambiatore nel quale il fluido frigorigeno assorbe
calore dal liquido che si vuole raffreddare (refrigerazione diretta) o da una soluzione
incongelabile con il compito di fluido vettore intermedio (refrigerazione indiretta).
L’alimentazione può avvenire ad espansione secca (la valvola di laminazione è di tipo
termostatico) o ad allagamento. In quest’ultimo caso il fluido frigorigeno viene introdotto in
quantità superiore rispetto a quella che evapora, in modo che i 2/3 del volume sono occupati
della frazione liquida. Sono utilizzati prevalentemente con ammoniaca immessa mediante
valvola di laminazione a galleggiante o a elettrolivelli.
In cantina si utilizzano evaporatori di tre tipologie diverse:
¾ a fascio tubiero nei quali il fluido da refrigerare percorre una serie di tubi posti in una
camera dove avviene l’espansione e la vaporizzazione del fluido frigorigeno. Tale
camera è coibentata esternamente con uno strato di isolante (poliuretano espanso)
protetto da un lamierino metallico. Questa tipologia viene utilizzata soprattutto per la
refrigerazione indiretta di pigiato, di mosto o di vino ogniqualvolta la refrigerazione
diretta presenti il rischio di dare origine ad incrostazioni di ghiaccio;
¾ a corpo raschiato, costituito da due cilindri (quello esterno è opportunamente
coibentato) concentrici o leggermente eccentrici. L’intercapedine costituisce la
camera di espansione e di vaporizzazione del fluido frigorigeno mentre nel cilindro
interno, dove circola il liquido da refrigerare, un apposito albero rotante con palette
raschianti assicura l’eliminazione di eventuali incrostazioni consentendo, pertanto,
l’utilizzo della refrigerazione diretta; il movimento continuo, inoltre, determina un
miglioramento del coefficiente globale di scambio termico;
di tipo misto, costituiti cioè da uno scambiatore che in un unico apparecchio riunisce
uno elemento a fascio tubero ed uno o più elementi a corpo raschiato.
Completano il sistema tutti gli accessori necessari per assicurare un funzionamento sicuro
ed efficace: una valvola di limitazione del carico del compressore, un pressostato che provvede
al controllo della pressione di aspirazione e di condensazione del condensatore, un termostato
¾
ing. Maines Fernando
341
Elementi per la progettazione di una cantina
Gli impianti di cantina
per interrompere il funzionamento del compressore in funzione di determinate condizioni di
temperatura, un relais termico per interrompere l’alimentazione elettrica in caso di
surriscaldamento del motore.
4.9.2 I sistemi di refrigerazione
Come è già stato anticipato precedentemente, la refrigerazione può avvenire secondo due
metodologie.
La refrigerazione indiretta è la più utilizzata nelle applicazioni enologiche nonostante si
caratterizzi per maggiori costi, sia d’impianto che d’esercizio, e presenti un minore coefficiente
di prestazione (calore sottratto/energia totale spesa). Il fluido frigorigeno effettua il
raffreddamento di un liquido intermedio (indicato anche come soluzione incongelabile o
criogenica), inviato poi in un successivo scambiatore di calore dove provvederà a refrigerare il
prodotto di sistema (acqua, aria, pigiato, mosto, vino, …).
Come fluido intermedio si utilizza soprattutto una soluzione acquosa di etilenglicole (C2H6O2)
neutralizzata (è una soluzione con una leggera acidità) con concentrazioni fino al 57 % e punto
di congelamento fino a –52 °C. All’etilen glicole si dovrebbe preferire il propilen glicole
(C2H8O2) per la minor tossicità, sebbene presenti una maggior densità (che si traduce in una
minor efficienza nel trasporto) ed una minor resa frigorigena. Altre sostanze utilizzabili sono le
soluzioni acquose di acetato di potassio o il cloruro di calcio.
Gli impianti di refrigerazione indiretta sono costituiti dai seguenti elementi:
¾ una centrale frigorifera (con eventuale torre di raffreddamento) per la refrigerazione
della soluzione incongelabile ad una temperatura prefissata, in funzione degli utilizzi
previsti e dei livelli di freddo richiesti;
¾ un serbatoio coibentato per l’accumulo della soluzione incongelabile munito di
elettropompa e di relativo circuito di ricircolo con la centrale frigorifera;
¾ un circuito di mandata e di ritorno fra serbatoio e ciascun dispositivo utilizzatore della
soluzione incongelabile, costituito da tubazioni, opportunamente coibentate e
alimentate per mezzo di una pompa di circolazione a pistoni o centrifuga. In funzione
delle caratteristiche del fluido refrigerante (temperatura di esercizio e pressione
massima) e del materiale (generalmente acciaio inox) si determina il diametro delle
tubazioni, la pendenza di installazione e il tipo di coibentazione, da cui dipende il
corretto posizionamento ed il sistema di pulizia da adottare;
¾ un eventuale polmone di espansione inserito nel circuito di ritorno, per consentire
alla soluzione incongelabile di variare il volume in funzione della sua temperatura e
del carico termico;
¾ diversi accessori: sfiati, filtri, valvole di non ritorno, …;
¾ un quadro elettrico di comando e automatismi vari per il controllo, il comando e la
sicurezza.
ing. Maines Fernando
342
Elementi per la progettazione di una cantina
Gli impianti di cantina
Questi sistemi si caratterizzano per la grande flessibilità ed offrono la possibilità di utilizzare
un unico gruppo frigorifero in grado di gestire tutti i fabbisogni di freddo della cantina mediante
apposita rete di distribuzione. Si configurano pertanto come delle centrali frigorifere per il
raffreddamento di soluzioni glicolate da inviare, al pari di un comune fluido di servizio, ai vari
utilizzatori, che possono essere di diversa tipologia:
¾ scambiatori a fascio tubero che presentano la stessa struttura vista per gli
evaporatori;
¾
scambiatori a piastre in cui il prodotto da refrigerare (mosto o vino) circola in
controcorrente con la soluzione incongelabile. Sono costituiti da un pacco di piastre
disposte verticalmente e dotate di guarnizioni perimetrali in modo da formare delle
camere dove, alternativamente, circolano i due fluidi che possono così scambiarsi il
calore senza mai venire a contatto. Sono sistemi che funzionano in modo automatico
(sono muniti, infatti, di dispositivi di controllo agenti sui circuiti dei due fluidi), e si
caratterizzano per la grande flessibilità di funzionamento, per l’elevato coefficiente di
scambio globale (1800 ÷ 2100 kcal/h °C m2) e per i ridotti ingombri;
ing. Maines Fernando
343
Elementi per la progettazione di una cantina
Gli impianti di cantina
¾
scambiatore a tubi concentrici: sono costituiti da una serie di tubi orizzontali
collegati in serie e avvolti da tubi concentrici di diametro maggiore. Nei tubi interni
circola il fluido da refrigerare (vino, mosto ma anche pigiato-diraspato), in
controcorrente con la soluzione incongelabile che circola nell’intercapedine. Il
coefficiente globale di scambio di questi impianti è di 800 ÷ 1500 kcal/h °C m2;
¾
scambiatori posti in apposite intercapedini dei recipienti in acciaio o in PRFV oppure
scambiatori a serpentina o a piastra immersi (applicabili anche alle vasche di
cemento armato), per il controllo e la regolazione della temperatura del vino nel
corso della fermentazione e dello stoccaggio. Questi sistemi verranno descritti
approfonditamente in un prossimo paragrafo;
ing. Maines Fernando
344
Elementi per la progettazione di una cantina
¾
Gli impianti di cantina
batterie refrigeranti delle unità di trattamento aria mediante le quali si interviene
direttamente sulle condizioni ambientali dell’intero reparto, in particolare per quelli
destinati allo stoccaggio del vino, all’affinamento nel legno o in bottiglia e alla
conservazione del prodotto confezionato, oppure per i locali adibiti ad attività
amministrative o destinati all’accoglienza dei visitatori. L’ambiente viene condizionato
mediante canali per la diffusione dell’aria condizionata oppure frigodiffusori o
termoconvettori, costituiti da appositi scambiatori a serpentina provvisti di estesa
alettatura e racchiusi entro una carenatura metallica con relativo convogliatore.
Ventilatori elicoidali garantiscono il flusso di aria attraverso la serpentina.
ing. Maines Fernando
345
Elementi per la progettazione di una cantina
Gli impianti di cantina
Nel caso di realtà produttive medio-piccole, gli impianti per la refrigerazione indiretta sono
costituite da unità frigorifere compatte appositamente concepite e progettate per le
esigenze delle cantine. Si caratterizzano per la facilità di utilizzo, per un investimento iniziale
non proibitivo e per costi di gestione relativamente bassi, sebbene la potenza elettrica
assorbita rimanga comunque elevata (sempre più rappresenta la voce più significativa fra tutti
i fabbisogni elettrici della cantina). Queste unità consentono comunque un sensibile risparmio
nei costi di produzione ed una grande flessibilità di impiego che permette, oltre al controllo
della temperatura di fermentazione e di stoccaggio, la criomacerazione delle uve e del mosto,
la stabilizzazione tartarica oppure il condizionamento estivo di taluni reparti. Inoltre questi
sistemi si contraddistinguono per il risparmio di spazio grazie all’utilizzo di una struttura
compatta, per la totale autonomia assicurata dall’integrazione in un’unica unità di tutti i
componenti e per la possibilità, non infrequente, di funzionare in modo reversibile (pompa di
calore) in modo da assicurare anche la produzione di un fluido caldo per l’avviamento della
fermentazione.
Le versioni più utilizzate sono costituite da:
¾ un telaio in acciaio inox che rende questi sistemi idonei anche per l’installazione
all’aperto, grazie all’elevata resistenza agli agenti atmosferici;
¾ un compressore (generalmente di tipo semiermetico) progettato per contenere i
livelli di rumore;
¾ un condensatore a fascio di tubi raffreddato ad aria mediante ventilatori assiali ad
alta efficienza, protetti da griglia metallica e progettati per ridurre il livello delle
emissioni di rumore;
¾ un evaporatore a tubi coassiali o a piastra ad espansione secca in acciaio inox (molto
utilizzato come fluido frigorigeno è l’R-404A), coibentato con schiuma di poliuretano
ad alta densità;
¾ una valvola di espansione termostatica;
¾ un serbatoio (in acciaio inox coibentato) di accumulo per l’acqua o la soluzione
glicolata;
¾ una serie di pompe per la circolazione dei fluidi;
¾ una serie di valvole motorizzate, una per ciascun utilizzatore, per inviare i fluidi
termocondizionati e tutte le apparecchiature di controllo e di comando.
Nella refrigerazione diretta, invece, lo scambio
termico fra il prodotto da raffreddare (uva, mosto o
vino) ed il fluido frigorigeno avviene nello stesso
evaporatore, assicurando in tal modo rendimenti
frigoriferi molto alti.
E’ normalmente adottata per la refrigerazione
delle celle frigorifere utilizzate per la conservazione
o il trattamento di uva, di mosto o di vino, o per la
stabilizzazione
tartarica
che
prevede
la
refrigerazione del vino ad una temperatura prossima
a quella di congelamento (-6 ÷ -4 °C). Si può
ottenere questo risultato con ripetuti passaggi del
vino da un serbatoio di stoccaggio opportunamente
coibentato (dove successivamente il vino deve
sostare per un periodo di 8 ÷ 10 giorni) all’evaporatore e viceversa (ciclo di refrigerazione
chiuso), oppure sottoponendo il vino a refrigerazione in continuo, in un unico passaggio (ciclo
di refrigerazione aperto). Quest’ultima metodologia offre vantaggi tecnologici non indifferenti,
quali la protezione dall’ossidazione per assenza di sacche d’aria, l’igienicità del circuito e la
facilità di detergenza e la riduzione dei tempi di stabilizzazione per effetto dello shock termico.
L’impianto comprende un gruppo compressore-condensatore, un gruppo automatico di
miscelazione e di dosaggio di microcristalli di bitartrato di potassio (KHT), un evaporatore a
corpo raschiato con espansione secca o ad allagamento, un cristallizzatore, un filtro, uno
scambiatore a piastre per il recupero di frigorie dal vino freddo in uscita per preraffreddare il
vino in entrata nell’impianto e diversi accessori (le pompe di circolazione della miscela, la
vasca del vino da stabilizzare, la pompa circolazione vino, il sedimentatore a ciclone, la vasca
del vino stabilizzato).
ing. Maines Fernando
346
Elementi per la progettazione di una cantina
Gli impianti di cantina
4.9.3 Il dimensionamento
Il dimensionamento dei sistemi di refrigerazione richiede la conoscenza di una serie di
parametri tecnici, operativi ed economici sia di pertinenza della fisica tecnica e della meccanica
applicata che del processo produttivo. Questi ultimi, in particolare, sono necessari per
determinare l’effettivo fabbisogno di frigorie della cantina (picchi giornalieri e picchi orari) e la
sua distribuzione nel corso dell’anno. In tal modo sarà possibile effettuare la scelta della
tipologia di impianto (impianto centralizzato o più impianti localizzati di piccola taglia, impianto
fisso o impianto mobile) e le relative capacità operative, il sistema di distribuzione più idoneo
ed il sistema di regolazione.
Si deve, inoltre, individuare una corretta localizzazione dell’impianto di refrigerazione; in
particolare sono da preferire soluzioni che prevedono un posizionamento all’esterno, in
apposita costruzione di protezione oppure in un piccolo piazzale, meglio se appositamente
dedicato per ridurre l’impatto ambientale dovuto all’inquinamento acustico, soprattutto nel
caso di vicinanza con altri fabbricati o abitazioni. Per lo stesso motivo è utile prevedere un
certo sovradimensionamento del condensatore e dei relativi ventilatori.
I calcoli necessari per il dimensionamento dell’intero impianto (caratteristiche e capacità
operative del condensatore, dimensione, portata e regime di rotazione dei ventilatori per il
flusso d’aria o per il raffreddamento dell’acqua, dimensioni e capacità dell’evaporatore, calcolo
delle perdite di carico e dei diametri delle tubazioni per il trasporto del fluido intermedio, …)
sono piuttosto complessi e richiedono competenze professionali molto specifiche.
Più semplice risulta il calcolo per il dimensionamento di massima di uno scambiatore di
calore. Infatti per il calcolo del calore q da sottrarre ad una data quantità di mosto o di vino in
un ora, si può utilizzare la formula q = Q* d * Cp * (tve – tvu), dove:
¾ Q = portata di mosto o di vino (m3/h);
¾ d = massa volumica (in kg/m3) del mosto (circa 1050) o del vino (circa 1000);
¾ Cp = calore specifico (in kcal/kg * K) del mosto (circa 0,855) o del vino (circa
0,955);
¾ tve = temperatura vino in entrata;
¾ tvu = temperatura vino in uscita.
Successivamente è possibile calcolare la superficie di scambio dello scambiatore con la
formula A = q/(k * Δtm), dove:
ing. Maines Fernando
347
Elementi per la progettazione di una cantina
¾
¾
¾
¾
Gli impianti di cantina
A = superficie totale di scambio (m2);
k = coefficiente globale di scambio (kcal/m2Kh)
tfr = temperatura del fluido refrigerante (5 ÷ 8 °C);
Δtm = differenza logaritmica media tra le due temperature dei due fluidi di processo
data da ((tve - tfr) - (tvu - tfr))/log ((tve - tfr)/(tvu - tfr)).
4.10 Impianto per il controllo della temperatura dei serbatoi per la
fermentazione e lo stoccaggio
E’ ormai appurato che un accurato controllo della temperatura nel corso della vinificazione,
in particolare se abbinato alla verifica degli altri parametri significativi per il processo (densità,
ossigeno disciolto, …), aumenta notevolmente le possibilità di ottenere un vino
qualitativamente migliore. La scelta corretta dei livelli termici da adottare dipende da molti
fattori fra loro interconnessi (tenore zuccherino, presenza di SO2, stato sanitario dell’uva, tipo
di lieviti inoculati, …) e dal controllo dei quali deriva la capacità di influire sull’innesco della
fermentazione, sul suo andamento, sulle trasformazioni dei fondamentali componenti del
mosto e, nel caso di macerazione sulle vinacce, sull’intensità di estrazione del colore, dei
tannini e delle componenti aromatiche.
In pratica si devono predisporre sistemi di riscaldamento e, più frequentemente, di
raffreddamento delle masse in fermentazione, che intervengono automaticamente in risposta
ai segnali inviati dalle sonde impiegate per il monitoraggio della temperature nei serbatoi. Così,
per attivare le fermentazioni può essere necessario un apporto esterno di calore, soprattutto
nel caso di mosti o di pigiati provenienti da trattamenti di criomacerazione, in modo da
assicurare una temperatura compresa fra i 16 ed i 20 °C, per un sufficiente periodo di tempo
che varia in funzione dell’andamento meteorologico, delle caratteristiche del mosto, del tipo di
lieviti inoculati, ecc. Successivamente, con il procedere della fermentazione, si determina un
innalzamento della temperatura fino a valori non sempre compatibili con i livelli qualitativi
prefissati per il futuro vino. Si deve allora intervenire con una refrigerazione per asportare il
calore in eccesso e mantenere la temperatura su valori di 16 ÷ 18 °C per una vinificazione in
bianco e di 25 ÷ 28 °C (fino a 30 ÷ 32 °C nelle fasi finali) per una vinificazione in rosso.
ing. Maines Fernando
348
Elementi per la progettazione di una cantina
Gli impianti di cantina
Ulteriori interventi, specialmente di raffreddamento, vengono adottati in fase di stoccaggio
per il controllo della fermentazione malolattica o per facilitare la stabilizzazione tartarica e,
comunque, per mantenere la temperatura del vino su valori indipendenti da quella ambientale,
in particolare per il raffrescamento estivo.
In tutti i casi è possibile assicurare controlli anche molto sofisticati attraverso interventi in
grado di modulare la variazione della temperatura in modo regolare nel tempo, secondo un
gradiente ed un andamento prefissato.
Gli aumenti di temperatura si ottengono, generalmente, mediante l’utilizzo di acqua calda
(con temperature fino a 40 °C)proveniente da un serbatoio di accumulo collegato all’impianto
termico centralizzato o, più raramente, ad una caldaia appositamente dedicata. Per la
refrigerazione, invece, si utilizza acqua fredda proveniente da pozzo (10 ÷ 15 °C) o raffreddata
mediante specifico impianto, oppure, più frequentemente, una soluzione incongelabile
elaborata da una centrale di refrigerazione (con temperature, che variano in funzione delle
pratiche enologiche adottate, fino ad un minimo di -10 °C).
A titolo di esempio prendiamo in considerazione il dimensionamento di massima
dell’impianto per il raffreddamento dei serbatoi nel corso della fermentazione. Preliminarmente
è necessario fissare i seguenti dati:
¾ la quantità di uva vendemmiata al giorno (in kg);
¾ la durata del periodo di sviluppo della massima temperatura (in giorni);
¾ il calore sviluppato in fermentazione (in calorie per kg di mosto al giorno);
¾ il rendimento del frigorifero (dovuto a dispersioni dell’impianto, all’innalzamento della
temperatura dell’aria di raffreddamento, all’utilizzo discontinuo dell’impianto, …);
¾ la temperatura del fluido di raffreddamento (indicativamente 7°C per i vini rossi e
5°C per i vini bianchi), valori che garantiscono una differenza fra la temperatura di
entrata e quella di uscita dal sistema di scambio termico di circa 10 °C.
Da questi dati è possibile ricavare:
¾ la quantità massima di mosto in fermentazione alla massima temperatura;
¾ la quantità massima di calore sviluppato in 24 ore;
¾ il calore da asportare dall’impianto di raffreddamento;
¾ l’effettiva potenzialità dell’impianto di refrigerazione, in base al rendimento.
Se, ad esempio, si hanno 30000 kg di uva vendemmiata al giorno, 5 giorni di sviluppo della
massima temperatura e 5 cal sviluppate in 24 ore di fermentazione per kg di mosto, si
ottengono 150.000 kg di mosto in fermentazione alla massima temperatura e 750 kcal
sviluppate in 24 ore a cui corrisponde una quantità di calore da asportare pari a 31,250 kcal/h.
L’impianto di refrigerazione, fissato un rendimento del 50 %, dovrà avere una capacità di
62500 frigorie/h.
ing. Maines Fernando
349
Elementi per la progettazione di una cantina
Gli impianti di cantina
Per quanto riguarda il sistema di distribuzione, è buona norma utilizzare pompe funzionanti
con portate al 30% della potenzialità, mentre i diametri delle tubazioni devono essere scelti in
modo da assicurare velocità del fluido inferiori ai 3 m/s ed un riempimento del tubo del 50%.
La portata di fluido refrigerante, invece, si ottiene dal rapporto fra le frigorie da asportare
all’ora ed il salto termico da assicurare.
Nel nostro esempio la portata ammonta pertanto a 6250 l/h o 6,25 m3/h, avendo preso in
considerazione un salto termico di 10 °C; da ciò deriva che la pompa deve assicurare una
portata di 18 m3/h (5 l/s) ed una pressione di 3 bar. E’ possibile a questo punto individuare il
diametro interno delle tubazioni (51 mm a cui corrisponde un diametro esterno di 54 mm), le
quali devono essere di facile e veloce posizionamento. Questi risultati sono possibili adottando
tubi in acciaio inox senza saldature fissate alla parete e coibentate, non tanto per contrastare
la perdita di frigorie (si utilizza acqua a 5 ÷ 8 °C), ma per evitare i problemi di gocciolamento
dovuto alla formazione di condensa.
La soluzione impiantistica più frequentemente utilizzata prevede la presenza di 4 tubazioni
(due per il freddo e due per il caldo) ed una serie di valvole, generalmente pneumatiche per
comandare i flussi in funzione della richiesta termica di ciascun serbatoio. Una soluzione
strutturalmente più semplice, ma meno efficiente e flessibile, utilizza due sole tubazioni per
ciascun serbatoio, utilizzate sia per la gestione del freddo che del caldo mediante la medesima
soluzione glicolata. In tal modo non sarà possibile intervenire per raffreddare taluni serbatoi e,
contemporaneamente, riscaldarne altri.
freddo - mandata
freddo - ritorno
caldo - mandata
caldo - ritorno
valvole
filtro
serbatoio
Le elettropompe (di tipo centrifugo), poste a valle del serbatoio di accumulo del fluido
termocondizionante, alimentano ciascun serbatoio tramite una serie di tubazioni in parallelo
per la mandata, ed una corrispondente serie, sempre in parallelo, per il ritorno. Per le
connessioni con ciascun serbatoio si possono utilizzare anche tubi flessibili, ad esempio in PTFE
(politetrafluoroetilene) convoluto rivestito con maglia in acciaio inox.
La centrale di distribuzione sarà posta in un apposito locale o in una sala tecnica condivisa
con altri impianti, dove vengono posti uno o più serbatoi di accumulo della soluzione glicolata
(nel nostro esempio 2 da 1,5 m3 in acciaio inox), le pompe centrifughe in acciaio inox del tipo a
portata variabile e pressione costante con i relativi dispositivi per il comando ed il controllo
(inverter, valvole di intercettazione e di ritegno) e il quadro elettrico.
*****
Consideriamo ora i diversi sistemi che consentono la regolazione della temperatura delle
masse di mosto o di vino poste nei serbatoi di fermentazione o di stoccaggio.
La tecnica più diffusa prevede l’utilizzo di intercapedini e mantelli spiralati o corrugati
collocati in apposite tasche ricavate sulla superficie laterale dei serbatoi, dove viene fatta
ing. Maines Fernando
350
Elementi per la progettazione di una cantina
Gli impianti di cantina
circolare la soluzione incongelabile o l’acqua calda. L’intercapedine è ottenuta mediante una
doppia lamiera di acciaio inox gonfiata, saldata a punti o al laser e collaudate fino a 12 bar (le
pressioni di esercizio si aggirano sui 3 bar), allo scopo di ottenere una serie di vie obbligate per
il ricircolo del fluido di raffreddamento e/o di riscaldamento. Le intercapedini sono
opportunamente coibentate all’esterno per limitare le dispersioni termiche, con uno strato di 3
÷ 5 cm di poliuretano espanso protetto esternamente con un lamierino in acciaio inox. Per
quanto il coefficiente globale di scambio termico sia relativamente basso (80 ÷ 200
kcal/h°Cm2), questa tipologia è molto utilizzata nella termoregolazione della fermentazione dei
mosti per la sua flessibilità e la facilità di conduzione, nonostante comporti elevati consumi
specifici di energia per il funzionamento del gruppo frigorifero. Esistono, comunque, diverse
soluzioni per aumentare la resa termica, come l’adozione di sistemi caratterizzati da flussi del
fluido ad alta velocità e con elevata turbolenza.
La zona di scambio interessa da un minimo del 30% della superficie laterale, fino al 100 %
come, ad esempio, per i serbatoi utilizzati per la stabilizzazione tartarica. Se la tasca è
posizionata in posizione centrale può essere utilizzata sia per il raffreddamento che per il
riscaldamento, purché entrambi i fluidi condizionanti siano acqua (calda e fredda) in modo da
poter utilizzare i medesimi collegamenti per l’entrata e l’uscita; l’impianto risulterà così
semplificato, ma a scapito dell’efficienza di circolazione. E’ perciò preferibile utilizzare due
diverse tasche, una posta in alto per la circolazione del liquido refrigerante ed una posta in
basso (meglio se proprio in corrispondenza del fondo) per il fluido di riscaldamento. Ciascuna
tasca è munita di due collegamenti, uno per l’entrata ed una per l’uscita del fluido, posti in
prossimità del bordo superiore e di quello inferiore della tasca (per il fluido di raffreddamento
l’entrata sarà in basso e l’uscita in alto, viceversa per il fluido riscaldante).
ing. Maines Fernando
351
Elementi per la progettazione di una cantina
Gli impianti di cantina
Le intercapedini sono ampiamente applicate anche per il controllo della temperatura del vino
contenuto nelle autoclavi utilizzate per la spumantizzazione secondo il metodo Charmat. Si
tratta di serbatoi, verticali od orizzontali, costruiti e conformati (hanno entrambi i fondi
bombati) per resistere ad almeno 10 bar. Presentano un’intercapedine esterna coibentata con
poliuretano espanso protetta da un lamierino metallico, alimentata mediante una pompa
comandata da un termostato. Generalmente sono muniti anche di sistema per il riscaldamento
della massa all’avvio della fermentazione, mediante resistenza elettrica.
Lo stesso principio delle intercapedini, utilizzate soprattutto per i serbatoi in acciaio inox di
capacità non superiore ai 1000 hl, sta alla base dei mantelli spiralati, utilizzati, ad esempio, per
i serbatoi in PRFV. Si tratta di apposite serpentine inserite nella parete multistrato del
serbatoio nel momento in cui si amalgamano le resine e le fibre di vetro.
n altri casi, in particolare per le vasche in cemento armato, si possono utilizzare dispositivi
immersi costituiti da serpentine o piastre. Queste ultime sono costituite da due lamine di
acciaio inox AISI 304 o 316 (entrambe corrugate oppure una corrugata e l’altra liscia) unite
mediante saldatura a punti in modo da formare una serie di stretti canali percorsi dal fluido
condizionante. Entrambi i sistemi devono essere collaudati a 8 ÷ 15 bar, visto che il loro
contatto diretto con il vino determina un maggiore rischio di inquinamento, soprattutto nel
caso di raffreddamento con soluzione incongelabile. Si devono inoltre valutare i problemi legati
al disturbo che determinano nel corso della pulizia dei serbatoi ed alla possibile riduzione nel tempo
della conducibilità termica a causa di eventuali depositi ed incrostazioni. Per evitare questi
inconvenienti, le serpentine e le piastre possono essere rese facilmente asportabili, ma così
facendo si aumentano le possibilità di contaminazione a causa di perdite localizzate proprio nei
punti di collegamento.
Il raffrescamento dei serbatoi in acciaio inox di capacità contenuta (non superiore a 400 hl)
può essere effettuato anche mediante lo scorrimento sulla superficie esterna di un sottile velo
di acqua, con una temperatura dai 5 ai 15 °C, proveniente da pozzo o da un impianto di
refrigerazione. Il raffreddamento avviene per conduzione attraverso la parete del serbatoio,
per convezione e soprattutto, se il tasso di umidità relativa dell’aria ambientale lo permette,
per evaporazione. L’efficienza di tale sistema, piuttosto ridotta, aumenta all’aumentare della
differenza di temperatura fra l’acqua ed il vino (meglio pertanto utilizzarlo per il controllo delle
fermentazioni in rosso) e dipende dalla superficie del recipiente, dal volume e dalla forma dello
stesso, dal materiale e dallo spessore delle pareti, dal grado di umidità dell’aria e dall’intensità
dell’eventuale movimentazione dell’aria (naturale o forzata).
I costi di investimento richiesti da tale metodologia sono decisamente ridotti se confrontati
con le due tecniche precedenti. Sono infatti sufficienti una semplice tubazione correlata da una
valvola a comando automatico (pneumatico, elettrico, …) e di una valvola manuale per
regolare la quantità di acqua da distribuire. E’ molto importante che il sistema di distribuzione
adottato assicuri una perfetta ripartizione dell’acqua su tutta la superficie del serbatoio ed una
distribuzione sotto forma di lamina molto sottile. Una soluzione piuttosto efficiente prevede che
la condotta venga fissata verticalmente in corrispondenza del centro del serbatoio, al di sopra
di un piccolo piattino orizzontale di forma circolare di circa 5 cm di diametro, contro il quale
viene diretto il getto, allo scopo di formare una corona d’acqua regolare nella forma e nella
portata lungo tutta la sua circonferenza. Tubazione e piattino soni resi solidali, per assicurare
ing. Maines Fernando
352
Elementi per la progettazione di una cantina
Gli impianti di cantina
stabilità al getto, mediante un piccolo braccio metallico ricurvo, disposto in modo che la
discontinuità che si viene a determinare nel getto sia in corrispondenza dell’eventuale duomo
del serbatoio.
Il raffreddamento con velo d’acqua si contraddistingue anche per alcuni aspetti negativi
come la limitata capacità di scambio termico, il deposito sulle pareti dei serbatoi di una patina
di calcare (proporzionalmente alla durezza delle acque utilizzate), gli elevati consumi di acqua,
l’insorgenza di muffe e di incrostazioni e di depositi sul pavimento a causa della continua
azione di bagnatura. Quest’ultimo problema può essere risolto addizionando le acque con
prodotti disinfettanti a base di cloro o, meglio ancora, con l’adozione delle “minigonne”
(lamierino a forma di “L” posto sul bordo inferiore del serbatoio) in grado di intercettare
l’acqua per indirizzarla, mediante un apposito sistema di tubazioni, ad un pozzo disperdente o
ad un sistema di stoccaggio in previsioni di ulteriore utilizzo.
In tutti i sistemi descritti sono presenti delle valvole automatiche di intercettazione che
consentono di escludere dal trattamento uno o più recipienti. E’ inoltre possibile variare in
modo automatico la portata del fluido condizionante verso i singoli contenitori, adottando
sistemi per la programmazione, l’esecuzione e la verifica dei cicli di vinificazione per ciascun
serbatoio, per mezzo di appositi sensori che rilevano continuamente e simultaneamente la
temperatura. I dati raccolti vengono inviati ad una centralina elettronica di controllo con
quadro sinottico (per la visualizzazione e la regolazione) che comanda l’apertura o la chiusura
delle valvole di entrata dei fluidi condizionanti, mantenendo così la temperatura di
fermentazione del mosto o di stoccaggio del vino al livello impostato. Le temperature sono
visualizzate costantemente e in tempo reale su appositi quadri di controllo (per la verifica e
l’eventuale modifica), oppure su PC mediante apposito software che consente oltre alla
programmazione, alla gestione ed al controllo automatico di tutto il processo per ogni singolo
serbatoio, anche la memorizzazione dei dati relativi a ciascun vino prodotto in appositi archivi
storici.
ing. Maines Fernando
353
Elementi per la progettazione di una cantina
4.11 Impianto per
fermentazione
l’allontanamento
Gli impianti di cantina
della
CO2
dal
reparto
di
Nel corso della fase tumultuosa della fermentazione alcolica il reparto di vinificazione può
essere interessato da una eccessiva presenza di CO2 che, essendo più pesante dell’aria, si
concentra, soprattutto in condizioni di aria quieta, negli strati prossimi al pavimento.
I rischi riguardano in primo luogo la salute degli operatori. La legislazione specifica fissa
diversi limiti per la concentrazione massima di anidride carbonica nell’aria che dipendono dal
tempo di esposizione: 5000 ppm calcolato come media ponderata su un periodo di 8 ore e
30000 ppm calcolato come media ponderata su un periodo di 15 minuti27. Esposizioni superiori
determinano per gli operatori il rischio di asfissia.
Decisamente secondario il rischio che l’eccesso di CO2 combinato ad un alto tasso di umidità
relativa possa dare origine a presenza di H2CO3 (acido carbonico) con effetti corrosivi sulle
parti metalliche di serbatoi, delle macchine enologiche, delle attrezzature e degli impianti
presenti.
In condizioni particolarmente favorevoli è possibile risolvere il problema semplicemente con
una adeguata ventilazione naturale in grado di assicurare almeno 30 rinnovi/ora. Nei reparti
collocati fuori terra può risultare sufficiente disporre opportunamente portoni e finestre
(valutandone le dimensioni, la disposizione in pianta ed il posizionamento in altezza) in modo
da favorire l’instaurarsi di correnti d’aria per effetto camino, sfruttando, se possibile, l’azione
dei venti. Rimane tuttavia il rischio che si creino accumuli di CO2 in particolari zone dove
l’effetto schermante di macchinari, serbatoi o pareti divisorie non consentono alla circolazione
dell’aria di ripristinare un naturale tasso di CO2. Un altro possibile rischio è legato alla presenza
di collegamenti mediante scale con reparti sottostanti. La tendenza della CO2 a saturate gli
strati bassi potrebbe portare alla concentrazione di tale gas nella tromba delle scale o nel
reparto sottostante ogni qualvolta le condizioni climatiche esterne non consentono la presenza
di un ricambio d’aria sufficientemente efficace.
In ogni caso risulta essenziale installare appositi dispositivi di rilevamento per la
misurazione della CO2 presente e per l’eventuale segnalazione del pericolo con allarme acustico
e luminoso in caso di superamento delle soglie di rischio. Si tratta di rivelatori che
generalmente utilizzano sensori basati sull’interazione della luce nel campo infrarosso con
l’anidride carbonica, alimentati da batterie a 12 o 24 V oppure collegati alla rete elettrica (230
V) attraverso apposito trasformatore. Sono inoltre forniti di microprocessore in grado di variare
il funzionamento dello strumento mediante l’impostazione, il controllo e la verifica di diversi
paramentri (soglia di attivazione, altitudine, temperatura ambientale, …), consentendo, in tal
modo, la regolazione automatica dello zero di funzionamento. I rivelatori devono possedere
una adeguata resistenza meccanica (IP 65) e alla corrosione, la capacità di non risentire delle
variazioni della temperatura e dell’umidità relativa ambientale e di sopportare alte
concentrazioni di CO2.
Fondamentale risulta anche il corretto posizionamento dei rivelatori che richiede
l’individuazione dei punti critici dove maggiore è il rischio di accumulo di tale gas.
La dotazione di sicurezza deve essere completata da interruttori posti in diversi punti del
reparto, facilmente raggiungibili anche in condizioni di emergenza, per poter comandare
manualmente l’accensione dell’allarme (e dell’eventuale sistema di ventilazione)
indipendentemente dal valore rilevato dai sensori o in caso di malfunzionamento di
quest’ultimo e consentire così agli operatori di allontanarsi fino a quando non venga ripristinato
una sufficiente qualità dell’aria.
Nel caso di reparti posti sotto il livello del terreno oppure laddove non è possibile ventilare
in modo naturale o comunque per assicurare maggiori livelli di sicurezza, è necessario adottare
un sistema di ventilazione forzata. Si possono adottare diverse soluzioni impiantistiche:
¾ una serie di ventilatori vengono installati lungo una parete perimetrale ad un’altezza
prossima al pavimento che operano estraendo l’aria interna (ventilazione generale).
27
Il tasso naturale di CO2 nell’aria è, mediamente, di 380 ppm circa.
ing. Maines Fernando
354
Elementi per la progettazione di una cantina
Gli impianti di cantina
Sulla parete opposta, in modo da favorire un efficace effetto di lavaggio, devono
essere previste delle finestrature per l’entrata dell’aria esterna di reintegro oppure,
più raramente, delle aperture con ventilatori elicoidali che spingono aria in pressione.
E’ importante verificare che l’azione dei ventilatori non sia disturbato dalla presenza
di ostacoli, anche temporanei (attrezzature, macchine, vasi vinari, stoccaggio di
materiali, …) che ne potrebbero ridurre l’efficienza. L’accensione dei ventilatori e
l’apertura delle finestre viene comandato direttamente dal sistema di rilevamento ed
è segnalata da un allarme acustico e sonoro; è opportuno, come si è già detto,
predisporre anche degli interruttori manuali di emergenza. I ventilatori utilizzati sono
di tipo assiale installati a muro mediante apposito telaio, con eliche di diametro da 35
a 100 cm ed in grado di sviluppare una portata da 3500 a 30000 m3/h. Sono
generalmente dotati di regolatori di velocità28 e di giunti antivibrazione applicati alla
struttura ed agli elementi porta-motore. Sono completati da una rete di protezione
lato girante e da serranda a gravità posta verso l’esterno per consentire la chiusura
nei periodi di non funzionamento ed evitare così l’entrata del vento, della pioggia o di
animali;
¾
¾
la CO2 viene aspirata attraverso i pozzetti di scarico dei reflui, posti in comunicazione
mediante apposite tubazioni in materiale plastico poste sotto il pavimento, con uno o
più ventilatori di aspirazione (anche in questo caso si utilizzano ventilatori assiali) in
grado di creare una depressone sufficiente anche per vincere tutte le perdite di
carico. L’aria viene aspirata attraverso una apertura laterale nei pozzetti posta al di
sotto del cestello e poco al di sopra del pelo libero del liquido presente oppure l’aria
può condividere parte del percorso con le acque reflue, fino ad appositi collettori di
separazione per l’allontanamento della CO2 all’esterno, da posizionarsi comunque
prima del sistema di sifonamento dei pozzetti;
cappe aspiranti poste al di sopra del duomo dei serbatoi chiusi o dei tini aperti di
fermentazione (ventilazione localizzata), collegate mediante tubazioni in plastica
poste a soffitto, ad uno o più ventilatori che aspirano, prima che possa disperdersi, la
CO2 emessa, in modo da allontanarla all’esterno mediante un apposito sistema di
condotte. Questo sistema necessita di un funzionamento in continuo in particolare
nel periodo di maggior intensità di fermentazione. Il posizionamento delle cappe e le
loro dimensioni dipendono dalle caratteristiche dei serbatoi e devono tener conto
della presenza di particolari dotazioni come i follatori a pistone o di particolari sistemi
di rimontaggio. Il ventilatore è collegato anche con un certo numero di bocche di
28
La corrente d’aria prodotta dai ventilatori assiali subisce una rapida riduzione della velocità. Ad una distanza dalla
girante pari al diametro della girante stessa la velocità è solo il 10 % di quella iniziale.
ing. Maines Fernando
355
Elementi per la progettazione di una cantina
Gli impianti di cantina
aspirazione poste a terra per allontanare la CO2 eventualmente sfuggita all’azione
delle cappe.
Qualunque sia la soluzione adottata, è importante ricordare che l’efficienza del sistema è
condizionata da moltissimi fattori ambientali (elementi climatici, geometria e dimensioni del
reparto, strutturazione e disposizione delle attrezzature, …) che interagiscono in modo molto
complesso in modo da rendere ogni cantina un caso a sé stante. Ciò non consente l’utilizzo di
soluzioni standardizzate e rende necessario l’affidarsi a tecnici di comprovata esperienza in
grado di determinare le soluzioni più appropriate e di apportare le necessarie correzioni ai
parametri di funzionamento da individuare dopo una attenta osservazione dei risultati.
4.12 Impianto per la produzione e la distribuzione dell’aria compressa
Negli ultimi anni si è assistito ad una crescente presenza in cantina di macchine ed
attrezzature con organi a funzionamento pneumatico o che utilizzano significative quantità di
aria in pressione (presse pneumatiche, macrossigenatori, flottatori, etichettatrici, soffiatrici,
incassettatrici). L’aria compressa viene utilizzata anche per lo svuotamento delle condotte fisse
adottate per la movimentazione del mosto o del vino, per i travasi, per effettuare operazioni di
pulizia o per il funzionamento di valvole elettro-pneumatiche (impianto di controllo della
temperatura dei serbatoi, tubazioni per il carico delle presse, vinodotto, …).
Se per piccole cantine o per fabbisogni ridotti e discontinui, può essere sufficiente dotarsi di
piccoli compressori carrellati da spostare di volta in volta nel reparto d’utilizzo, nel caso di
strutture più complesse, invece, diventa necessario adottare un impianto per la produzione
dell’aria compressa di tipo centralizzato, che richiede la presenza dei seguenti elementi:
¾ un compressore: tradizionalmente di tipo alternativo mono o bicilindrico, sempre
più frequentemente ora si utilizzano soprattutto compressori rotativi a vite a portata
variabile, alimentati con motori elettrici in grado di operare ad alta efficienza anche a
bassi regimi. Quest’ultima tipologia assicura un funzionamento più silenzioso, senza
pulsazione, un raffreddamento costante e più omogeneo ed un valore costante di
pressione (generalmente compreso fra 5 e 13 bar). Le prestazioni del compressore
devono garantire una portata massima oraria (compresa fra 20 e 120 l/s) definita in
base al totale dei fabbisogni delle diverse utenze moltiplicato per un coefficiente di
contemporaneità. Il valore di tale parametro deve risultare da una attenta analisi del
processo produttivo e dell’organizzazione funzionale dei reparti. In questo modo è
possibile garantire un rendimento ottimale. Poiché il rendimento del sistema dipende
anche, in modo inversamente proporzionale, dalla temperatura dell’aria, il
compressore è generalmente affiancato da un dispositivo di post-refrigerazione,
cosicché l’aria esce ad una temperatura di soli 8 ÷ 10 °C superiore a quella di
entrata, dopo aver eliminato fino al 70 % delle condense. Tutto il sistema è posto in
un armadio compatto, di facile installazione munito di appositi sistemi di controllo e
di diagnostica basati su microprocessore;
ing. Maines Fernando
356
Elementi per la progettazione di una cantina
¾
Gli impianti di cantina
un serbatoio di accumulo: assicura una sufficiente riserva di aria in modo da
regolare la portata del compressore o per soddisfare richieste che per brevi periodi
possono superare la capacità del compressore; consente, inoltre, di separare,
raccogliere e scaricare attraverso una apposita valvola di fondo, le eventuali gocce di
olio provenienti dal compressore e di vapore acqueo condensato. Sono serbatoi di
forma cilindrica con fondi bombati per meglio resistere alla pressione (generalmente
di 7 ÷ 12 bar); possono essere disposti verticalmente o orizzontalmente, costruiti in
acciaio verniciato o zincato a caldo oppure in acciaio inox e di capacità scelta
proporzionalmente alla potenzialità oraria del compressore. Presentano, infine,
diversi strumenti per il controllo e per il comando: manometri, valvole di sicurezza,
valvola di erogazione, pressostato che comanda l’accensione e lo spegnimento del
compressore. Come tutti i serbatoi in pressione richiedono la verifica da parte
dell’ISPESEL o di soggetti privati abilitati;
un essiccatore: ha il compito di eliminare le rimanenti condense non
intercettate dal sistema post-refrigerante. Può essere a ciclo
frigorifero ad accumulo di energia o, meno frequentemente per le
applicazioni in cantina, ad assorbimento (utilizzano granuli di
materiale igroscopico);
¾ i filtri: consentono di eliminare le impurità residue (condense, sporco
e goccioline di olio in forma di aerosol); questo passaggio diventa
fondamentale nel caso di aria compressa utilizzata per le operazioni di
imbottigliamento e per la microssigenazione per le quali il filtro deve
essere in grado di fermare le impurità fino a 0,01 ηm. In generale si
tratta di filtri autopulenti di tipo a cartuccia posti a valle del serbatoio
e/o dell’essiccatore.
L’insieme di questi dispositivi per la produzione dell’aria compressa deve
trovare una collocazione corretta, scelta secondo criteri di funzionalità e di efficienza. Nel caso
di impianti silenziati è possibile individuare un locale apposito generalmente condiviso con altri
impianti (generatore di azoto, impianto di refrigerazione, impianto di addolcimento dell’acqua)
da collocarsi possibilmente in posizione baricentrica rispetto ai reparti utilizzatori. In alternativa
il sistema di generazione dell’aria compressa può essere collocato all’esterno, opportunamente
protetto dagli agenti atmosferici (sotto tettoia, in un container, …).
L’impianto per la distribuzione dell’aria compressa è costituito dai condotti fissi e da
ramificazioni secondarie di tipo mobile o semifisse. Le prime, dirette ad ogni reparto che
utilizza aria compressa, sono costituite da tubazioni in acciaio inox o zincato, poste a parete, a
¾
ing. Maines Fernando
357
Elementi per la progettazione di una cantina
Gli impianti di cantina
soffitto o agganciate alle attrezzature (vasi vinari, passerelle, …), per evitare inutili ingombri e
limitare eventuali urti accidentali. Il diametro dei tubi convoglianti l’aria viene dimensionato
utilizzando apposite tabelle, generalmente elaborate dagli stessi produttori delle tubazioni, che
tengono conto di tutti i seguenti parametri:
¾ valore della portata massica (o volumica in condizioni normali) riferita al valore
massimo istantaneo;
¾ lunghezza in metri del tubo. Nel caso di erogazione lungo il percorso, occorrerà
conoscere la lunghezza di ciascun tratto tra una erogazione e la successiva, con le
corrispondenti portate;
¾ natura del tubo, nonché rugosità delle sue parti interne (in funzione delle quali si
determinano le perdite di carico continue);
¾ particolari costruttivi causa di perdite localizzate (strozzature, variazioni di sezione,
curve, raccordi, saracinesche, intercettazioni, derivazioni; …), da tradursi in metri di
“lunghezza equivalente”;
¾ pressione da avere alle utenze (e corrispondente temperatura);
¾ valore massimo delle perdite di carico “Δp” che si intende accettare, in base a
specifiche scelte progettuali. Maggiore è il “Δp”, maggiore sarà l’energia di pressione
da spendere mentre tanto è più basso è il “Δp” tanto maggiore saranno i diametri, e
quindi i costi, delle tubazioni;
¾ la velocità dell’aeriforme nei tubi che dipende dal rapporto tra la portata volumetrica
in m3/s (alla pressione di esercizio) e la sezione utile del tubo. In generale si evita di
superare i 10 m/s, per contenere la rumorosità dell’impianto.
Nei reparti di utilizzo le tubazioni principali sono munite di attacchi di tipo rapido (ad
innesto) con valvola d’apertura, posti ad altezza di sicurezza (1,5 metri), ai quali allacciare le
tubazioni mobili. Queste servono per gli utilizzi diretti o per l’allacciamento delle attrezzature e
delle macchine che necessitano di aria compressa per il loro funzionamento. Si tratta di
tubazioni più o meno flessibili, in materiale plastico liscio o spiralato (gomma, poliuretano,
moplen, PVC, resine poliammidiche) collaudate allo scoppio fino a 50 ÷ 60 bar e di diametro
variabile da 6 a 30 mm. Molto utilizzate sono le tubazioni con sottostrato liscio in gomma con
alta impermeabilità all’aria, rinforzato con inserti tessili ad alta resistenza e copertura in
gomme (lisce o rigate) resistenti all’abrasione, agli agenti atmosferici ed all’aggressione
chimica. Molto pratiche anche le tubazioni flessibili installate su bobine (fisse o mobile) con
sistema autoavvolgente. L’erogatore è munito di dispositivo con attacco rapido e sistema di
interruzione automatica del flusso.
Per il dimensionamento delle tubazioni mobili ci si riferisce alla richiesta di aria da parte
delle attrezzature collegate, in termini di portata massima istantanea, temperatura e pressione
all’utilizzo. Nel calcolo, anche in questo caso, si deve tener conto delle perdite di carico da
calcolarsi in base alla lunghezza dei diversi tratti, alla natura della superficie interna, alle
caratteristiche dei particolari costruttivi e alla velocità dell’aria.
Per assicurare all’intero impianto un funzionamento efficiente è importante evitare
funzionamenti a carico parziale (per questo sono da preferire i motori a velocità variabile e ad
ing. Maines Fernando
358
Elementi per la progettazione di una cantina
Gli impianti di cantina
alta efficienza), verificare la presenza di perdite sulla rete di distribuzione a causa di fori o di
tenute non perfette, evitare gli usi impropri ed evitare pressioni più elevate di quelle richieste.
Nel caso l’analisi preventiva avesse evidenziato fabbisogni piuttosto differenziati in termini di
pressione, diventa opportuno, per assicurare rendimenti più elevati, suddividere l’impianto di
distribuzione in due o più sottoreti a pressioni diverse. In cantine, invece, con consistenti
fabbisogni di aria compressa localizzati in reparti fra loro lontani, si può evitare di installare
una rete eccessivamente complessa ed estesa, prevedendo più di un generatore (e relativo
serbatoio di accumulo) localizzati in luoghi diversi.
4.13 Impianto per la generazione e l’erogazione dei gas tecnici
I gas tecnici rappresentano l’insieme delle sostanze gassose che, con un grado di purezza
non estremo, intervengono nei processi produttivi con il compito di migliorarne
significativamente l’efficienza. Anche in campo enologico ormai da qualche anno si assiste ad
un uso sempre più intenso di alcuni gas inerti (azoto, anidride carbonica e argon) e di
ossigeno.
Nella progettazione e nella realizzazione dei relativi impianti per la produzione e/o la
distribuzione si devono considerare diversi aspetti specifici, in particolare legati
all’organizzazione del processo produttivo ed alla sicurezza degli operatori. E’ importante,
inoltre, assicurare una elevata efficienza e flessibilità di utilizzo; questo richiede, in primo luogo
una valutazione attenta dei fabbisogni e delle modalità di utilizzo per poter determinare
correttamente gli spazi necessari per l’installazione dei dispositivi di produzione dei gas o per la
presa in consegna delle bombole, il loro stoccaggio e la movimentazione ed attuare nel
contempo un continuo monitoraggio dei parametri di funzionamento degli impianti e dei livelli
di sicurezza.
4.13.1 I gas inerti
L’azoto (N2) è un gas biatomico che costituisce circa il 78% dell’atmosfera terrestre.
Incolore, inodore, insapore, atossico, l’azoto alle condizioni atmosferiche è un gas non
infiammabile con una densità relativa pari a 0,9669 che rende l’azoto un po’ più leggero
dell’aria; liquefa a -195,79 °C, condensa a -209,86 °C in un solido cristallino incolore mentre la
temperatura critica29 è di –147 °C.
L’azoto è caratterizzato da una buona inerzia chimica (si combina con altri elementi solo ad
alte temperature) e da una ridotta solubilità nel vino (1,8 UhL), decisamente inferiore rispetto
a quella della anidride carbonica (107,2 UhL). Per questo l’azoto è il gas più utilizzato (da solo
o in miscela con anidride carbonica) per operare in riduzione pressature, lo stoccaggio di vino e
i trasferimenti in rete fissa. In particolare si utilizza la qualità indicata con “R” che contiene,
29
La temperatura critica (specifica per ciascun gas) è la temperatura al di sopra della quale non è più possibile la
liquefazione del gas stesso.
ing. Maines Fernando
359
Elementi per la progettazione di una cantina
Gli impianti di cantina
come impurità, quantità di ossigeno sufficientemente piccole da non determinare alcuna
influenza sul vino.
L’anidride carbonica (CO2) è, a temperatura e pressione ambiente, un gas insapore,
incolore, inodore, non infiammabile e relativamente inerte dal punto di vista chimico. Presente
a basse concentrazioni (379 ppm) nell’atmosfera, non è tossica in sé, ma non è respirabile e
quindi può provocare la morte per asfissia.
La densità relativa in condizioni normali è di 1,529; tende quindi a stratificare sul fondo
degli ambienti chiusi e non ventilati. A temperatura ambiente, inoltre, non liquefa se non
sottoponendola ad alte pressioni (la temperatura critica è di 31 °C), ma sublima passando allo
stato gassoso direttamente da quello stato solido, noto anche come ghiaccio secco (o neve
carbonica), disponibile in polvere, in pelletts o in blocchi.
L’argon (Ar) è un gas nobile che costituisce circa lo 0,93% dell’atmosfera terrestre ed è un
elemento estremamente stabile, inodore e insapore sia nella sua forma liquida che in quella
gassosa, con temperatura di ebollizione di –150,2 °C; è un gas ideale per operare in riduzione,
grazie alla sua elevata inerzia chimica ed alla massa volumica, superiore a quella dell’aria (la
densità relativa è di 1,38), che contrasta il contatto tra l’ossigeno atmosferico ed il vino. Una
non trascurabile solubilità (4 UhL) nel vino, ma soprattutto i costi più elevati rispetto all’azoto
ne rallentano, per ora, la diffusione a livelli significativi nell’industria enologica.
*****
I principali utilizzi dei gas inerti in cantina interessano i seguenti passaggi operativi:
¾
il raffreddamento di uva intera, pigiata e/o diraspata mediante CO2 in forma solida
(neve carbonica)30, mediante iniezione di CO2 liquida in apposito scambiatore oppure
30
A titolo di esempio serve circa 1 kg di neve carbonica per abbassare di 1 °C la temperatura di 100 kg di mosto,
(corrispondente a circa 150 kcal). L’espansione di 1 litro di CO2 liquida a pressione costante, invece, forma neve
ing. Maines Fernando
360
Elementi per la progettazione di una cantina
Gli impianti di cantina
con circolazione forzata di CO2 gassosa a bassa temperatura (in appositi convogliatori
per l’uva).Gli obiettivi enologici possono essere diversi: evitare le ossidazioni
premature, ridurre il rischio di fermentazioni non desiderate e di perdite d’aromi,
effettuare una macerazione a freddo (pellicolare per uve bianche o pre-fermentativa
per uve rosse) oppure la crioestrazione;
¾
¾
¾
la macerazione carbonica effettuata mediante saturazione preventiva delle vasche di
fermentazione con CO2 per favorire la fermentazione intracellulare nella produzione
dei vini rossi novelli;
il rimontaggio dei mosti con N2 durante la fermentazione per la produzione dei vini
rossi;
la saturazione di diverse attrezzature (serbatoi, tubazioni, ….) con N2 o Ar, da soli o
in miscela con CO2, per proteggere il mosto o il vino da possibili fenomeni ossidativi
nel corso delle seguenti operazioni:
o
la pressatura delle uve per la vinificazione in bianco;
o
le decantazioni;
o
il trasporto di pigiato, mosto o vino mediante tubazioni fisse; queste devono
essere preventivamente saturate con gas per allontanare completamente
l’ossigeno presente nell’aria. La stessa tecnica viene utilizzata per lo spurgo
delle medesime tubazioni al termine delle operazioni di movimentazione;
o
la colmatura dei serbatoi di stoccaggio in fase di riempimento, di travaso o di
prelievo parziale al fine di mantenere il prodotto
sotto costante protezione e al riparo da qualsiasi
contatto con l’ossigeno dell’aria. I serbatoi devono
essere dotati di dispositivi per l’erogazione del gas
inerte proveniente da bombole o da altro sistema
di stoccaggio e di un affidabile sistema di
regolazione e riduzione della pressione per evitare
fenomeni di esplosione o implosione del recipiente
nel caso dei contenitori in vetroresina e/o in
acciaio;
o
alcuni passaggi nel corso delle diverse fasi
dell’imbottigliamento (asciugatura delle bottiglie, il
riempimento in atmosfera protetta, la rasatura dei
livelli). Si possono utilizzare sia l’azoto che
l’anidride carbonica31;
o
il riempimento di fusti in pressione.
carbonica e gas in proporzioni uguali: la prima, però, è responsabile del 90 % della cessione di frigorie (circa 72000
frigorie), mentre il gas è responsabile solo del rimanente 10 % (8000 frigorie).
31
Si sconsiglia comunque l’uso dell’anidride carbonica allo stato puro in tutti i casi in cui si presenta il rischio di
determinare un significativo aumento della sua presenza nel vino a causa dell’elevata solubilità in esso.
ing. Maines Fernando
361
Elementi per la progettazione di una cantina
Gli impianti di cantina
insuflaggio di N2 per il controllo di quantità non corrette di CO2 o di O2 disciolti nel
vino oppure insuflaggio di CO2 quando è necessario operare la carbonicazione di un
vino; nel caso di vini che contengono quantità apprezzabile di CO2, la saturazione
viene fatta utilizzando miscele CO2-N2 (ad esempio al 15 e 85 %) per evitare il
degasaggio. Per queste operazioni vengono usate apposite apparecchiature (da
applicare in entrata alle vasche o alle linee di trasporto del vino) per il dosaggio e la
micronizzazione del gas, costruite interamente con materiali idonei al contatto con gli
alimenti (acciaio inox, vetro e plastica) e dotate di specola per poter controllare
l’effetto di gorgogliamento delle microbolle;
¾ la chiarifica per flottazione e l’omogeneizzazione mediante insufflazione di N2 da solo
o in miscela con CO2.
Qualunque sia l’utilizzo, bisogna tener conto che nei gas tecnici possono essere presenti
impurità legate alle materie prime o causate da contaminazioni esterne nel corso del processo
di preparazione oppure da cessioni durante la fase di stoccaggio. La loro presenza può essere
anche indotta dal sistema di erogazione a causa di connessioni a linee già inquinate, per
l’impiego di tubazioni non idonee, per adsorbimento o cessione da parte di altri materiali, ecc.
L’utilizzo di questi gas determinano inoltre diversi pericoli. In seguito alla sublimazione o alla
vaporizzazione di CO2 allo stato solido o liquido si possono avere ustioni dovute alle basse
temperature, danneggiamento dei polmoni o lesioni oculari in seguito all’inalazione o a
contatto con vapori a basse temperature e lacerazioni della cute in seguito a contatto con
superfici molto fredde. Inoltre se quantità sufficienti di azoto, anidride carbonica o argon si
miscelano con l’aria di un ambiente confinato, possono determinare una diminuzione della
concentrazione di ossigeno, con conseguente pericolo di asfissia per sottossigenazione. Si
tratta di eventi accidentali quali fughe da tubi non controllati, emissioni accidentali da bombole
o da serbatoi, travasi in prossimità di punti di ventilazione o nel corso di operazioni di bonifica
di impianti o serbatoi per lavori di manutenzione.
Le misure preventive di sicurezza riguardano una corretta ventilazione gli ambienti, la
realizzazione di scarichi di messa all’aria in modo che gli effluenti non siano in prossimità di
postazioni di lavoro e la dotazione di apparecchi respiratori (e non di maschere antigas a filtro
utilizzate per i gas tossici) per intervenire in zone sospette o in caso di accertamento di
situazioni critiche. Particolare attenzione deve essere posta nel caso di gas pesanti (CO2) o
molto freddi che tendono ad accumularsi sul fondo di fosse o nei reparti interrati.
¾
4.13.2 Ossigeno
A temperatura e pressione standard, l’ossigeno si trova in forma di gas (la sua temperatura
critica è –119 °C) costituito da molecole biatomiche (O2). E’ un gas comburente e pertanto se
ne deve valutare la pericolosità per quanto riguarda i rischi di incendio; evidentemente non è
tossico (rappresenta il 21 % circa dell’aria atmosferica), sebbene un’esposizione prolungata
all’ossigeno puro ad alta pressione può avere gravi conseguenze a livello polmonare (perdita di
capacità e danno ai tessuti) e a livello neurologico (cecità, convulsioni e coma).
Essenziale è il ruolo dell’ossigeno in enologia, in quanto grazie ad esso i lieviti che operano
la trasformazione degli zuccheri in alcol etilico si sviluppano e si moltiplicano nel mosto;
purtroppo può anche contribuire a degradare e a modificare irreparabilmente il vino in quanto
l’ossigeno può ossidare i componenti polifenolici e aromatici che costituiscono la struttura
organolettica e conferiscono personalità al prodotto finale.
Recenti acquisizioni scientifiche sui meccanismi che regolano l’azione dell’ossigeno hanno
portato ad un impiego di questo gas in maniera sistematica con l’ausilio di opportune
apparecchiature, per effettuare una appropriata ossigenazione del mosto o del vino. Questo
processo è ben diverso dalle ossidazioni incontrollate conseguenti ad eccessivi arieggiamenti
causati da contatti diretti e prolungati con l’aria atmosferica.
Una pratica usata prevalentemente durante la fase finale della fermentazione per favorire
l’attività dei lieviti, in sostituzione dei tradizionali metodi di arieggiamento, consiste
nell’insuflaggio nella massa di ossigeno puro o di aria compressa in modo da assicurare un
dosaggio di O2 di 30 ÷ 50 mg/L per ciascun intervento della durata di 1 ÷ 6 ore.
ing. Maines Fernando
362
Elementi per la progettazione di una cantina
Gli impianti di cantina
La tecnica della micro-ossigenazione, invece, nasce da molteplici esigenze di
conservazione e di maturazione dei vini, di stabilizzazione del colore nella vinificazione in rosso
e consiste in un dosaggio continuo di ossigeno nel corso di 30 giorni per un totale di 2 ÷ 5
mg/L, paragonabili agli scambi naturali che avvengono durante l’affinamento in barrique.
Per effettuare entrambe le ossigenazioni si possono utilizzare gli stessi apparecchi
(ossigenatori) grazie alla presenza di un microprocessore, di un software specifico e di un
sistema elettronico appositamente progettato che consente di impostare in modo semplice i
dosaggi e la durata e la frequenza di intervento e di controllare la presenza di eventuali
anomalie interne e di errori nella pressione in entrata, mediante un sistema di autodiagnosi. Il
dosaggio e l’erogazione continua dell’ossigeno viene assicurata da un sistema meccanico
mediante candele porose (in grado di operare anche in presenza di vinacce). Utilizzate anche
per la carbonicazione ed il lavaggio gassoso del vino, le candele porose sono dotate di
minutissimi fori per frazionare intensamente il gas da erogare. Possono essere in porcellana
(che si caratterizza per l’elevata porosità ma anche per la fragilità) o in acciaio sinterizzato
(sotto forma di lamiera spugnosa o di piccolissime sfere). Le candele porose sono
generalmente dotate, inoltre, di specola visiva, di flussometro, di riduttore di pressione, di
manometro, di valvola antiritorno e di preriscaldatori elettrico per evitare la formazione di
ghiaccio sull’erogatore; il numero ed il relativo posizionamento delle candele porose devono
assicurare una elevata uniformità di distribuzione nella massa.
Tutto ciò permette di tenere sotto controllo tutti i parametri in gioco (pressione,
temperatura, dimensioni del serbatoio, pressione in entrata, ... ) e quindi di verificare in modo
puntuale la dose di ossigeno rilasciata. Tutti i materiali utilizzati devono consentire un utilizzo
sicuro dell’ossigenatore (almeno con protezione IP65) anche in condizioni critiche.
Sempre più frequentemente l’ossigeno viene utilizzato in cortina anche nella forma O3
(ozono). Si tratta di un gas dall’odore caratteristico, presente negli strati alti dell’atmosfera
che si forma da molecole di ossigeno biatomico in prossimità di scariche elettriche, scintille,
fulmini. Tale origine ne fa una molecola estremamente reattiva con un elevato potere
disinfettante, analogo a quello del cloro, utilizzato per la disinfezione dell’acqua per l’impianto
idrico, per le operazioni di sanitizzazione di attrezzature e ambienti, per la disinfezione delle
bottiglie prima dell’imbottigliamento, per la disinfezione dell’aria utilizzata per asciugare le
bottiglie e nel processo di depurazione delle reflui di cantina (flocculazione di fanghi attivi, …).
L’ozono non è stabile sul lungo periodo e non viene pertanto prodotto e commercializzato in
bombole come gli altri gas tecnici. Viene generalmente preparato al momento dell’utilizzo
attraverso apparecchi (ozonizzatori) che convertono l’ossigeno atmosferico in ozono tramite
scariche elettriche dopo un pretrattamento dell’aria mediante sistema di essiccazione ad
assorbimento con rigenerazione automatica. E’ importante che questi ossigenatori operino in
depressione per evitare emissioni nell’ambiente della cantina. Sono inoltre in grado di
ing. Maines Fernando
363
Elementi per la progettazione di una cantina
Gli impianti di cantina
adeguare con continuità la produzione di ozono in base al fabbisogno mediante un
trasformatore a rapporto variabile. Il sistema è completato da un miscelatore per addizionare
di ozono un flusso di acqua.
4.13.3 Elementi impiantistici
Le modalità di approvvigionamento dei gas tecnici per una cantina possono avvenire
attraverso la fornitura di bombole, il caricamento di serbatoi fissi (bomboloni) o la produzione
on-site tramite appositi generatori.
Le bombole per gas compresso (singole o in pacco), da stoccare in idoneo deposito recintato
(così come descritto precedentemente nello specifico paragrafo del capitolo relativo ai reparti)
sono fornite da parte di ditte specializzate che generalmente producono i gas mediante
ing. Maines Fernando
364
Elementi per la progettazione di una cantina
Gli impianti di cantina
specifici processi industriali32. Si utilizzano bombole con capacità di 14 o 40 L (si possono
avere, a richiesta, anche capacità diverse), movimentate singolarmente o in pacchi
generalmente da 12, 16, 20 o 25, contenenti gas compresso a 200 bar, ad eccezione della CO2
che, per la sua elevata temperatura critica, viene posta nelle bombole allo stato liquido, alla
pressione corrispondente alla sua tensione di vapore. Dal 30 giugno 2006 è diventato definitivo
l’obbligo di applicare la norma UNI EN 1089-9 che prevede un sistema di identificazione delle
bombole, individuata con la lettera maiuscola "N", con specifiche colorazioni delle ogive (verde
scuro per l’argon, nero per l’azoto, grigio per l’anidride carbonica e bianco per l’ossigeno)
mentre il corpo della bombola può essere dipinto di qualsiasi colore che non comporti il
pericolo di erronee interpretazioni. Inoltre il nome commerciale del gas deve essere punzonato
sull’ogiva o riportato con scritte indelebili oppure stampato su etichetta autoadesiva. La
bombola deve essere munita di raccordo di uscita della valvola con caratteristiche specifiche
per ciascun gas, al fine di impedire la commistione di gas di tipo diverso.
Il rifornimento invece dei bomboloni (serbatoi in pressione criogenici a -20°C nel caso della
CO2) avviene mediante apposite cisterne attrezzate per il trasporto ed il riempimento del
serbatoio. Per motivi di sicurezza questi bomboloni (di capacità che può variare da 1400 a
50000 litri) devono possedere particolari requisiti di resistenza alle alte pressioni (20 bar), di
coibentazione termica e di inerzia chimica dei materiali (acciaio inox, acciaio zincato e/o
verniciato, materiali plastici ad alta resistenza). Per quanto riguarda, invece, la loro corretta
collocazione si rimanda al paragrafo di questo capitolo relativo all’impianto del gas (serbatoi
per il G.P.L.).
La produzione on-site tramite impianti VPSA (Vacuum Pressure Swing Adsorption) si basa su
una tecnologia non criogenica che produce azoto o ossigeno a partire dall’aria, utilizzando un
adsorbente per rimuovere le componenti non utilizzate. Il generatore viene alimentato con aria
compressa (ad almeno 3 bar) proveniente da apposito compressore posto a monte del
generatore.
La separazione continua dei singoli gas dall’aria atmosferica avviene per differenza del peso
molecolare dei diversi componenti, mediante setacci molecolari a carbone attivo sinterizzato
per i generatori di azoto e a zeoliti (tettoalluminosilicati microporosi, naturali o di sintesi) per i
32
Nel caso dell’azoto, dell’ossigeno e dell’argon si utilizzano impianti di separazione criogenica dell’aria che
sfruttano i diversi punti di ebollizione dei vari componenti che vengono separati in una colonna di distillazione
frazionata. Per quanto riguarda, invece, la CO2 si utilizza un processo basato sulla reazione tra metano e vapore
d’acqua a 800 °C.
ing. Maines Fernando
365
Elementi per la progettazione di una cantina
Gli impianti di cantina
generatori di ossigeno. I gas ottenuti tramite questo metodo hanno una purezza inferiore
rispetto a quelli prodotti criogenicamente ma possono raggiungere comunque valori molto alti:
99,9995% per l’azoto e 95% per l’ossigeno. L’aria preventivamente essiccata, filtrata
(mediante prefiltri e filtri a membrana da 0,01 μm), disoleata e compressa a 8,5 bar, viene
inviata entro due torri di adsorbimento (o due serie di torri) in alluminio estruso, contenenti
membrane a permeabilità selettiva. Le due torri funzionano in modo alternato: dopo un tempo
prestabilito (nell’ordine del minuto), quando il letto essiccante della prima colonna è saturo, il
sistema commuta automaticamente sulla seconda colonna l’ingresso dell’aria, iniziando
contemporaneamente la depressurizzazione e la rigenerazione della prima colonna. Questa
alternanza assicura, pertanto, una produzione continua con una purezza continuamente
monitorata da un analizzatore di residuo con soglia di allarme regolabile.
La componente gassosa non adsorbita dal setaccio è convogliata in un sistema di accumulo.
Questo è costituito da uno o due serbatoi nei quali il gas viene accumulato in pressione. Il
relativo valore (attorno ai 10 bar) determina l’entrata in funzione o lo spegnimento del
generatore. La presenza di due serbatoi, la dimensione dei quali dipende dall’entità dei
fabbisogni e delle richieste di punta, deriva dalla necessità di garantire il più possibile una
pressione di erogazione costante, prestazione, difficile da ottenere nel caso di un solo
serbatoio.
ing. Maines Fernando
366
Elementi per la progettazione di una cantina
Gli impianti di cantina
Molti sono i vantaggi che derivano dall’adozione dei generatori on-site: l’eliminazione delle
bombole e dei relativi problemi di sicurezza e di stoccaggio, l’erogazione continua di gas con la
portata e la purezza desiderate; la semplicità costruttiva (le dimensioni sono decisamente
compatte), l’elevata affidabilità del sistema e la flessibilità d’impiego per quanto riguarda le
purezze, ed il funzionamento completamente automatico (l’utente deve solo impostare i valori
desiderati), tutte caratteristiche che rendono questo impianto estremamente interessante. I
costi di produzione, se si escludono quelli per la manutenzione che risulta decisamente ridotta,
sono unicamente dovuti al consumo di energia elettrica per la produzione dell’aria compressa
necessaria a soddisfare il fabbisogno del generatore con l’eliminazione di tutti i costi aggiuntivi
(vengono a cadere i costi del trasporto e del noleggio delle bombole).
Se si escludono i casi di piccoli fabbisogni, normalmente soddisfatti mediante bombole
portate direttamente in reparto (in particolare nelle cantine medio-piccole) utilizzando appositi
carrelli per facilitare la movimentazione, è opportuno adottare appositi impianti per
l’erogazione e la distribuzione dei gas costituiti essenzialmente dai seguenti elementi:
¾ collegamento al sistema di stoccaggio (deposito bombole, serbatoio di accumulo di
impianto di generazione on-site);
¾ filtri;
¾ gruppo di prelievo con riduttore di pressione: all’uscita dal sistema di stoccaggio il
gas subisce una singola o una doppia espansione. Dopo il gruppo di riduzione di
primo stadio che riduce la pressione ad un valore compreso tra 2 e 8 bar (nel caso di
erogazione da bombole), il gas circola in una tubazione di rame (linea di distribuzione
in media pressione) dotata di una serie di dispositivi di sicurezza; successivamente il
gas subisce una seconda espansione passando ad una pressione (quella di esercizio)
compresa fra 15 e 200 millibar (gruppo di riduzione di secondo stadio). Questa
strutturazione consente di controllare la buona tenuta dei circuiti ed degli utilizzatori
grazie anche al controllo fornito da una serie di pressostati, flussometri, ed
analizzatori vari;
¾
circuito di erogazione attraverso tubazioni in acciaio o in materiali plastici ad alta
densità, con ottima resistenza alla permeazione ed idonea inerzia chimica,
dimensionate in base alla portata ed alla pressione, muniti di rubinetti di
distribuzione manuali od automatici in base all’utilizzo. Le singole tubazioni, costituite
da spezzoni di 3 ÷ 6 metri uniti mediante saldatura (sistema da preferirsi per
ing. Maines Fernando
367
Elementi per la progettazione di una cantina
¾
¾
¾
Gli impianti di cantina
l’acciaio inox) o con raccordi filettati, sono installate a vista a parete o a soffitto
mediante reggistaffe in grado di assicurare un adeguato sostegno e una sufficiente
libertà di movimento per assorbire le dilatazioni termiche e le sollecitazioni dovute a
brusche variazioni di pressione. Inoltre le tubazioni devono poter essere scollegate
attraverso appositi raccordi posti all’inizio ed alla fine delle linee per consentire
l’ispezione e le operazioni di sanitizzazione da effettuarsi periodicamente al fine di
eliminare tutte le possibili fonti di contaminazione biologica, in particolare per le linee
collegate ai vasi vinari. Per favorire tali operazioni è opportuno che i tratti orizzontali
delle linee vengano installati con una leggera pendenza sufficiente ad assicurare uno
sgrondo completo. Nel caso dell’azoto prodotto con generatore on-site, per un
corretto funzionamento del sistema è opportuno strutturare la rete di erogazione in
due linee. La prima ad alta pressione, collegata direttamente al serbatoio, fornisce il
gas utilizzato per saturare i serbatoi; la seconda linea, collegata alla prima mediante
un riduttore di pressione, fornisce l’azoto a bassa pressione (0,1 ÷ 0,3 bar) da
utilizzarsi nelle fasi di movimentazione del vino (saturazione e scolatura delle
tubazioni) o per i rimontaggi. Per questa linea si utilizzano tubi di diametro minore
(sempre in acciaio inox), muniti nella parte terminale di appositi raccordi per il
collegamento alle tubazioni mobili in PVC spiralato;
valvole di sicurezza idraulica del circuito;
valvola d’intercettazione sull’utilizzatore. Nel caso dei serbatoi per lo stoccaggio del
vino, essendo collegati tra di loro attraverso il sistema di tubazioni del gas, le valvole
consentono di isolare e mantenere il singolo serbatoio sotto una leggera
sovrappressione (da 100 a 200 millibar) che rende possibile la verifica della tenuta
attraverso la lettura di un manometro; una valvola di sovrappressione ed una valvola
di depressione consentono di evitare conseguenze nefaste per l’integrità meccanica
del serbatoio in seguito ad errori di manipolazione;
dispositivo per l’eventuale riscaldamento del gas inerte.
Il sistema, per essere efficiente, deve avere ogni elemento del circuito e degli utilizzatori a
perfetta tenuta, poiché anche la più piccola perdita provoca in breve tempo lo svuotamento
delle bombole e l’ingresso dell’aria nell’impianto; si raccomanda pertanto di mantenere
l’impianto sotto una leggera sovrappressione al fine di riuscire ad individuare eventuali fughe.
A margine di quanto detto si ricorda che in cantina possono essere presenti sistemi per
l’erogazione nel mosto o nel vino di anidride solforosa (SO2) gassosa o liquido. Si possono
utilizzare apposite attrezzature portatili oppure stazioni e centraline di solfitazione a dosaggio
ing. Maines Fernando
368
Elementi per la progettazione di una cantina
Gli impianti di cantina
automatico, alimentate mediante bombole. Vista la pericolosità e la tossicità della SO2 si deve
porre particolare attenzione e cura nello stoccaggio (all’esterno) e nella manipolazione dei
relativi contenitori e nella verifica delle condizioni di sicurezza.
4.14 Impianto per la movimentazione del vino
Questo impianto consente di movimentare in modo razionale, efficiente, veloce e protetto il
vino. E’ possibile estendere la stessa metodologia anche al trasporto di alti prodotti quali il
diraspato, il pigiato, il mosto o le fecce. Si tratta di impianti ormai presenti in molte cantine,
dove però si possono riscontrare complessità strutturali molto diversificate in funzione del
numero di reparti posti in collegamento, della possibilità o meno di sfruttare la gravità, della
consistenza quantitativa delle produzioni e dei relativi livelli qualitativi.
I dispositivi utilizzati per il trasporto del vino sono spesso affiancati, nel loro funzionamento,
da altri impianti: la rete di distribuzione dell’aria compressa (ad esempio per il funzionamento
delle valvole), la rete di distribuzione dell’azoto per assicurare un trasporto protetto nei
confronto delle ossidazioni, l’impianto idrico (dell’acqua fredda e dell’acqua calda) o l’impianto
di distribuzione del vapore per le operazioni di pulizia della rete.
Gli elementi che costituiscono il sistema di movimentazione sono:
¾ la rete di tubazioni fisse;
¾ eventuali pompe fisse;
¾ accessori vari: valvole, raccordi, rubinetti, specole, … .
Le tubazioni fisse devono essere in acciaio inox (tipo AISI 304 o 316), per assicurare
sufficiente resistenza meccanica, durata nel tempo, assenza di cessioni, inerzia chimica e
facilità di pulizia. Devono inoltre rispettare le norme di fabbricazione ASTM A269 e A270
relative alle dimensioni, allo spessore delle pareti, alla rifinitura della superficie interna, …). La
lunghezza dei singoli elementi può giungere fino a 12 metri, da unire mediante saldatura33,
eseguita con molta cura per ridurre la presenza di turbolenze (e relative perdite di carico) e la
possibilità di determinare punti di accumulo di residui e formazione di fonti di contaminazioni
biologiche. Altri materiali utilizzati per le tubazioni sono il polietilene ad alta densità (PEAD) ed
il PTFE (teflon), che si differenziano dall’acciaio inox principalmente per le proprietà termiche,
la resistenza meccanica e per il costo.
L’installazione è generalmente a vista (per ridurre la problematicità nel caso di eventuali
interventi di manutenzione), con collocazione a parete o a soffitto, mediante appositi reggitubo
in acciaio inox per assicurare un sostegno solido e che, nel contempo, consentano le dilatazioni
33
E’ estremamente importante che il vino non venga a contatto con punti ad alta criticità come le filettature.
ing. Maines Fernando
369
Elementi per la progettazione di una cantina
Gli impianti di cantina
termiche. E’ essenziale, inoltre, che tutta la rete sia collegata al sistema di messa a terra per
eliminare il rischio di correnti elettriche indotte a seguito di guasti dell’impianto elettrico o in
caso di scariche atmosferiche.
In ogni reparto si deve individuare per le diverse linee una collocazione che garantisca il
massimo grado di efficienza nelle operazioni di movimentazione, in quelle di manutenzione e
per ridurre, nel contempo, gli impedimenti nello svolgimento delle altre operazioni di cantina,
in particolare nell’utilizzo di attrezzature e di macchinari mobili. I percorsi, inoltre, devono
essere scelti in modo da rendere minimo il numero di curve e di cambi di direzione (da
eseguirsi con un ampio raggio di curvatura per ridurre al minimo le turbolenze e gli sbattimenti
del vino), mentre per i tratti in orizzontale si deve adottare una sufficiente pendenza (0,2 ÷
0,4 %) per favorire uno sgrondo completo delle tubazione al termine delle operazioni di
movimentazione e di lavaggio. Il dimensionamento, infine, deve assicurare portate con velocità
non superiori a 1,5 m/s.
Le linee fisse presentano alle loro estremità appositi raccordi, muniti di sistemi di fissaggio
filettati e di rubinetti, per il collegamento delle tubazioni mobili essenziali per collegare alla rete
i vasi vinari, le pompe o altre macchine enologiche. Si utilizzano in particolare tubi di 50 ÷ 80
mm di diametro (nel caso di pigiato i diametri arrivano fino a 100 ÷ 120 mm), in materiale
plastico (PVC) rinforzato con spirale in acciaio che si contraddistinguono per la resistenza
meccanica, la trasparenza, la maneggevolezza e la flessibilità34. Hanno inoltre una elevata
inerzia chimica, una superficie interna molto liscia ed una buona durata nel tempo.
Al termine delle operazioni di movimentazione e di scolatura, le tubazioni fisse devono
essere sottoposte ad una accurata pulizia. Tali operazioni possono essere condotte
manualmente o mediante sistemi automatici che in ogni caso utilizzano diversi passaggi con
sola acqua fredda (risciacquo iniziale e finale), con acqua calda e con acqua addizionata con
detergenti e/o disinfettanti a base di cloro o ozono, secondo criteri e mediante attrezzature da
scegliersi dopo attenta analisi delle condizioni operative specifiche di ogni reparto e dei relativi
punti critici.
Le unità centralizzate, fisse o mobili, per la pulizia possono operare a circuito aperto
(l’acqua utilizzata viene inviata al sistema di raccolta dei reflui di cantina) oppure a ciclo chiuso
(l’acqua viene riciclata). Tali centrali, alimentate con acqua fredda e calda in pressione (circa 3
bar), controllano in modo automatico il flusso, la temperatura e la pressione di esercizio.
Frequente è anche l’uso di aria compressa a 1 – 1.5 bar fornita da apposito sistema (come
descritto nello specifico paragrafo), attraverso tubazioni munite di valvole elettro-pneumatiche
34
In cantina, di tali tubazioni mobili, è bene siano presenti elementi di una certa lunghezza per effettuare
trasferimenti fra i vari reparti, tratti di lunghezza media per i travasi dai serbatoi e pezzi corti per i collegamenti alle
pompe.
ing. Maines Fernando
370
Elementi per la progettazione di una cantina
Gli impianti di cantina
a comando manuale o a comando automatico (con temporizzatore elettronico). Le stazioni di
pulizia sono completate da ulteriori dispositivi per lo svolgimento di specifici interventi:
¾ centraline per il dosaggio e l’iniezione nell’acqua di disinfettanti o altri additivi per la
sanitizzazione;
¾ stazioni per la disincrostazione meccanica, attraverso getti d’acqua, oppure chimica
con immissione a circuito chiuso di soluzione acqua e soda.
Per favorire l’eliminazione di eventuali residui si può utilizzare anche l’azione meccanica del
vapore in pressione, di vinaccioli addizionati al flusso d’acqua o attraverso apposite palline di
gommapiuma da inserire nelle tubazioni per assicurare uno sgrondo completo e l’eliminazione
totale degli agenti pulenti.
Nelle piccole realtà operative le operazioni di pulizia possono essere svolte utilizzando
semplici idropulitrici munite di specifici accessori per il collegamento alle linee del vinodotto.
Particolarmente interessante risulta l’utilizzo dell’azoto per eliminare il contatto con
l’ossigeno atmosferico, sia in fase di movimentazione (le tubazioni vengono preventivamente
saturate con il gas inerte spiazzando in tal modo tutta l’aria presente), sia per effettuare lo
spurgo delle tubazioni alla fine delle operazioni di movimentazione e assicurarne il completo
svuotamento.
La movimentazione delle masse, se si esclude i casi in cui si agisce per gravità, viene
garantita dall’utilizzo di pompe. Queste possono essere di tipo mobile oppure, negli impianti
particolarmente grandi e complessi (ad esempio le linee di alimentazione di grandi impianti di
imbottigliamento), da pompe fisse a controllo automatico e centralizzato. Si possono utilizzare
pompe di diversa tipologia da scegliersi in base al tipo di prodotto da movimentare, alle
portate da assicurare ed alle prevalenze necessarie. In genere per il trasporto e la
movimentazione del vino sono da preferirsi le pompe a pistoni (in particolare per i travasi), le
ing. Maines Fernando
371
Elementi per la progettazione di una cantina
Gli impianti di cantina
pompe a lobi, le pompe a vite eccentrica e le pompe centrifughe con pale in materiale plastico.
Naturalmente è essenziale utilizzare modelli nei quali tutte le parti a contatto con il vino siano
in acciaio inox o in gomma alimentare.
L’impianto è completato da una serie di accessori:
¾ valvole direzionali realizzate in acciaio inox per comandare e regolare il flusso, con
pressioni di esercizio fino a 4 ÷ 10 bar. Possono essere del tipo a farfalla (ora le più
usate in quanto non vi sono possibilità di ristagni come nel caso delle valvole a sfera)
con comando manuale e/o con comando automatico (di tipo elettrico o pneumatico, a
semplice o a doppio effetto, …) e realizzate con materiali idonei anche per assicurare
un funzionamento sicuro (almeno IP 67 con resistenza fino a 10 ÷ 16 bar). Il loro
numero, la loro costituzione (a 2 o più vie) e la relativa collocazione dipendono dalla
complessità della rete che può giungere a livelli talmente elevati da rendere
necessario un sistema di controllo centrale comandato da un software specifico
installati su PC dedicato.
¾ rubinetti realizzati in acciaio inox per evitare cessioni ed eccessive usure, in grado di
resistere a pressioni di una decina di bar;
¾ le specole: sono porzioni di tubo in vetro pyrex e acciaio che consente la
visualizzazione del flusso;
¾ rubinetti o tappi per lo svuotamento totale, collocati in modo da essere facilmente
accessibili e facilmente manovrati;
¾ i contalitri che possono essere meccanici o elettronici, con portate fino a 20 ÷ 80
l/m, pressioni di esercizio inferiori a 3 bar, sia in versione fissa sulle linee in acciaio
sia in versione da collegare al bisogno alle tubazioni mobili mediante raccordi a
morsetto (tipo garolla) o a vite (per le linee di alimentazione degli impianti di
imbottigliamento).
4.15 Impianto antincendio
La descrizione di questo impianto richiede una trattazione preventiva piuttosto complessa
relativa al rischio di incendio ed ai molti aspetti ad esso collegati (di tipo normativo, costruttivo
ed organizzativo). Infatti l’analisi e la progettazione dell’impianto antincendio, inteso come
insieme di sistemi di intervento attivo, non può prescindere anche dallo studio di tutte le
soluzioni e le strategie in grado di assicurare elementi di protezione passiva all’insorgenza e/o
agli effetti di un incendio. Le principali norme con implicazione di carattere costruttivo e
progettuale, appartenenti alla consistente normativa specifica, sono:
¾ gli artt. 36 e 37 del D.P.R. del 27 aprile 1955 n. 547 – relativamente ad aziende e
lavorazioni di particolare pericolosità –;
ing. Maines Fernando
372
Elementi per la progettazione di una cantina
¾
¾
¾
¾
¾
¾
¾
¾
Gli impianti di cantina
la Circolare del Ministero degli Interni del 14 settembre 1961 n. 91 – norme di
sicurezza contro il fuoco dei fabbricati civili –;
l’ art.1 della Legge del 02 aprile 1974 n. 64 – relativamente alle costruzioni in genere
–;
il D.M. del 16 febbraio 1982 – elenco delle aziende e lavorazioni di particolare
pericolosità –;
il D.P.R. del 29 luglio 1982 n. 577 – regolamentazione dei servizi di prevenzione
incendi al fine di salvaguardare la vita umana e tutelare i beni e l’ambiente –;
il D.M. del 30 novembre 1983 allegato A: termini, definizioni generali e simboli grafici
di prevenzione incendi;
il D. Lgs. del 9 aprile 2008 n. 81 – Testo unico sulla sicurezza nei posti di lavoro –;
il D.M. (degli Interni) del 18 maggio 1995 – approvazione della regola tecnica di
prevenzione incendi per la progettazione, costruzione ed esercizio dei depositi di
soluzioni idroalcoliche –;
il D.M. (degli Interni) del 10 marzo 1998 – criteri generali di sicurezza antincendio e
per la gestione dell’emergenza nei luoghi di lavoro –.
L’elemento cardine, come definito nel D.P.R. n. 577/82, è il Certificato di Prevenzione
Incendi (CPI), emesso dai Vigili del Fuoco e obbligatorio nel caso di 97 attività elencate nel
D.M. del 16 febbraio 1982. Quattro sono i possibili casi inerenti le cantine:
¾ 22) depositi e/o rivendite di alcoli a concentrazione superiore al 60% in volume;
¾ 43) depositi di carte, cartoni e prodotti cartotecnici, film plastici (…) con quantitativi
superiori a 5000 kg;
¾ 87) locali adibiti ad esposizione e/o vendita all’ingrosso o al dettaglio con superficie
lorda superiore a 400 m2 comprensiva di servizi e depositi;
¾ 88) locali adibiti a depositi di merci e materiali vari con superficie lorda superiore a
1000 m2 comprensiva di servizi e depositi.
Inoltre si devono prendere in considerazione i depositi di liquidi infiammabili e/o combustibili
superiore ai 25 m3 e gli impianti per la produzione di calore che superano le 100000 kcal/h
(impianti a rischio medio).
Sebbene nella norma una cantina venga considerata un luogo di lavoro a rischio di incendio
medio-basso (un’unica eccezione è data dai depositi di soluzioni acquose di alcole etilico con
concentrazioni superiori al 60% per i quali la normativa prevede specifici prescrizioni inerenti la
progettazione), rimane fondamentale effettuare preliminarmente una attenta valutazione dei
rischi, così come descritto nello specifico paragrafo del capitolo 6.
4.15.1 Impianto di rivelazione e di segnalazione
Il primo elemento per poter intervenire adeguatamente in caso di incendio è dato dalla
capacità di accertarne la presenza mediante un sistema affidabile di rivelazione e di
ing. Maines Fernando
373
Elementi per la progettazione di una cantina
Gli impianti di cantina
allertamento, in grado di far intervenire il personale di sorveglianza o di attivare
immediatamente sistemi automatici di spegnimento.
Fondamentali risultano la tempestività di segnalazione e la possibilità di localizzare con una
buona approssimazione la zona del sinistro e, se possibile, le cause che hanno determinato
l’eventuale incendio. Per questo è necessario un corretto dimensionamento ed una appropriata
scelta del sistema di rilevamento possibile solo dopo una accurata analisi preliminare della
configurazione geometrica dei reparti da proteggere, delle apparecchiature e dei materiali
presenti.
Gli elementi fondamentali dell’impianto di rilevamento comprendono un quadro centrale di
controllo contenente i relè di gruppo e le luci (verdi in condizioni normali e rosse in situazione
di allarme), il circuito dei rivelatori e il circuito degli avvisatori di allarme (pulsanti sotto vetro,
le luci di emergenza e gli avvisatori acustici).
I rivelatori misurano la variazione (oppure la velocità di variazione) nel tempo dei fenomeni
associati ad una combustione: calore, fiamme o fumi. Nel primo caso possono essere a
funzionamento termostatico o termovelocimetrico, sensibili, cioè, ad un determinato gradiente
di temperatura che si manifesta con brusche variazioni. I rivelatori di fiamma, invece, sono
caratterizzati dalla presenza di una lamina bimetallica che deformandosi determina la chiusura
di un circuito, mentre più recenti sono i rivelatori sensibili alle radiazioni elettromagnetiche
emesse dalle fiamme. Nel caso del fumo, infine, si tratta di sensori a camera di ionizzazione
oppure ottici (a estinzione o a diffusione), utilizzati in particolare per locali in cui sono
immagazzinati materiali suscettibili di lenta combustione (cartoni imballati, …).
Per quanto riguarda il posizionamento dei rivelatori viene indicata per ogni tipologia la
superficie di sorveglianza (Am) da cui si possono ricavare le distanze dalle pareti e dagli altri
rivelatori. Normalmente vengono sospesi al soffitto ed in tal caso bisogna porre attenzione alla
presenza di ostacoli (travi sporgenti, …) in grado di contrastare la propagazione del fumo o del
calore.
I sistemi di rivelazione e di segnalazione normalmente vengono alimentati in corrente
continua attraverso un raddrizzatore collegato all’impianto elettrico della cantina, mentre nel
caso di mancanza di energia elettrica entra in funzione una apposita batteria di accumulatori.
4.15.2 Apparecchiature mobili di spegnimento
Nonostante non rappresentino un vero e proprio impianto antincendio, una descrizione
esaustiva dei sistemi di intervento attivo in caso di incendio, necessita di considerare anche gli
estintori portatili. Essi rappresentano, infatti, una valida alternativa ai sistemi di spegnimento
fissi (automatici e non), in particolare in quei reparti in cui non è stato ravvisato un elevato
livello di rischio.
ing. Maines Fernando
374
Elementi per la progettazione di una cantina
Gli impianti di cantina
Gli estintori, in primo luogo, si diversificano in base alla sostanza estinguente utilizzata (a
liquido, a schiuma, ad anidride carbonica, a polvere, a polvere pressurizzata e a gas inerte)
che varia a seconda delle tipologie di incendi in cui possono essere impiegati. Anche le
dimensioni sono differenti in base al tipo e al peso di estinguente contenuto, che può variare
da pochi litri (5, 6, 9) fino ai 50 ÷ 100 litri delle versioni carrellate.
In generale sono costituiti da un serbatoio in cui è collocato il prodotto estinguente, da una
bombola con il propellente che espelle l’estinguente, da una valvola di apertura e da un
dispositivo di erogazione.
Molte sono le raccomandazioni e le regolamentazioni per l’utilizzo degli estintori (UNI
9994i), da quelle relative alla sorveglianza, a quelle riguardanti il controllo (obbligatorio ogni 6
mesi) e la revisione (si deve effettuare la ricarica subito dopo l’utilizzo) da effettuarsi con
l’intervento di ditte e di personale specializzato.
Gli estintori portatili, utilizzati in particolare per incendi di classe A e B35, devono essere
ubicati preferibilmente lungo le vie di uscita, in prossimità delle uscite e fissati al muro,
posizionati in modo da essere facilmente individuati ed evidenziati con opportuna segnaletica a
sfondo rosso.
35
Diversi sono i tipi di incendio che possono interessare una cantina: quelli di classe A possono interessare
materiali solidi, normalmente di natura organica, che portano alla formazione di braci (legno, carta,…) ma anche di
tipo plastico (film da avvolgimento, cappucci termoretraibili, interfalde per bancali, cassette e/o cassoni per il
conferimento dell’uva, …). La sostanza estinguente più comunemente usata è l’acqua, anche se è possibile utilizzare
specifiche schiume o polveri; incendi di classe B, invece, sono dovuti a materiali liquidi come le soluzioni idroalcoliche o
il gasolio. Le sostanze estinguenti più comunemente usate sono le schiume, le polveri e l’anidride carbonica.
ing. Maines Fernando
375
Elementi per la progettazione di una cantina
Gli impianti di cantina
Il loro numero e la loro capacità estinguente dipendono dal numero dei piani (non meno di
un estintore per piano), dalla superficie in pianta (vedere la successiva tabella), dalla classe di
incendio e dalla distanza che una persona deve percorrere per raggiungere un estintore (non
superiore a 30 m).
tipo di estintore
13A – 89B
21A – 113B
34A – 144B
55A – 233B
superficie protetta da un estintore
rischio basso
rischio medio
rischio alto
100 m2
2
2
150 m
100 m
200 m2
150 m2
100 m2
250 m2
200 m2
200 m2
Anche la scelta del tipo e del numero degli estintori carrellati deve essere fatta in funzione
della classe di incendio, del livello di rischio e del personale addetto al loro uso.
4.15.3 Reti antincendio
Sono questi i veri e propri impianti antincendio, strutturati in modo da poter contrastare lo
sviluppo dell’incendio attraverso un flusso sufficiente di estinguente che per le cantine è
generalmente costituito dall’acqua. Le relative reti devono soddisfare precisi requisiti costruttivi
e prestazionali previsti dalla specifica norma UNI 10779, per combattere, tramite gli erogatori
ad esse collegati, l’incendio di maggiore entità ragionevolmente prevedibile in base al livello di
rischio definito in sede di valutazione. Tali reti sono costituite dai seguenti componenti:
¾ alimentazione idrica;
¾ rete di tubazioni fisse, permanentemente in pressione, ad uso esclusivo antincendio;
¾ attacchi di mandata per autopompe;
¾ valvole di intercettazione;
¾ erogatori.
L’alimentazione idrica, da realizzarsi secondo le disposizioni della norma UNI 9490, può
essere dedicata (adibita ad esclusivo uso antincendio) oppure promiscua (adibita anche per
l’approvvigionamento dell’acqua utilizzata nel corso del processo produttivo e per gli usi idricosanitari).
ing. Maines Fernando
376
Elementi per la progettazione di una cantina
Gli impianti di cantina
In tutti i casi è fondamentale garantire che non venga mai a mancare all’impianto il
rifornimento e la necessaria pressione per assicurare l’erogazione a getto pieno in tutti i punti
ove si può manifestare un incendio.
Si può ottenere ciò mediante un collegamento alla rete idrica urbana se questa offre la
certezza di continuità di erogazione e costanza di pressione; in caso contrario è necessario
predisporre pompe automatiche di sovrappressione o una centrale idrica (costruita secondo la
norma UNI 9490) comprendente uno o più serbatoi di accumulo di capacità tale da garantire il
funzionamento di un numero minimo di idranti con una portata di 120 l/min e prevalenza mai
inferiore a 1,5 bar all’erogazione.
L’accumulo e la relativa messa in pressione si può ottenere in modi diversi:
¾ con vasca o con serbatoio a gravità in posizione elevata rispetto alla cantina;
¾ con vasca o con serbatoio di accumulo con almeno 2 pompe fisse di ripresa ad
avviamento automatico (una delle quali di riserva). L’installazione deve trovarsi sulla
stessa proprietà della cantina o su terreno sotto controllo permanente del
proprietario della cantina;
¾ con serbatoio fisso a pressione: deve essere installato in un locale destinato
esclusivamente all’impianto antincendio, con tubazioni e recipiente opportunamente
protetti dal gelo.
Le tubazioni di alimentazione possono essere interrate oppure installate fuori terra e sono
quasi sempre in acciaio zincato con giunzioni saldate o filettate. Devono essere protette dal
gelo, dagli urti e dal fuoco ed essere dimensionate in modo da assicurare una velocità
dell’acqua non superiore ai 10 m/s.
Per edifici che si sviluppano molto in orizzontale oppure per un massimo di uno o due piani
in verticale, diventa opportuno adottare un circuito ad anello in modo da dare all’acqua la
possibilità di accedere da due lati (a tutto vantaggio della sicurezza di funzionamento) a
ciascuna colonna montante. Queste possono essere esterne o incassate nei vani scala entro
appositi cavedi con caratteristiche REI 60, con almeno un attacco per ogni piano e con
possibilità di collegamento per almeno un erogatore in grado di garantire una portata di
almeno 360 l/min.
Un corretto dimensionamento richiede in primo luogo l’individuazione delle utenze
contemporaneamente funzionanti e per ciascun montante si utilizza un coefficiente di
contemporaneità del 50%; si fissano inoltre il valore della pressione residua alla lancia di
erogazione (di solito 1,5 bar), e le perdite di carico di circa 4,5 m.c.a. per ogni erogatore.
Quando si hanno più colonne montanti deve essere garantito il funzionamento
contemporaneo di due di esse ed il dimensionamento deve essere tale da garantire ai tre
idranti più sfavoriti una portata di 120 l/min ciascuno con una pressione residua di 1,5 bar per
60 min. E’ buona norma adottare anche un anello superiore per unire le colonne.
Gli erogatori rappresentano i sistemi di lancio dell’acqua (nelle portate e con le
configurazioni volute); devono essere ubicati in punti visibili ed accessibili lungo le vie di
uscita, con esclusione delle scale, distribuiti in modo da consentire di raggiungere ogni punto
della superficie protetta almeno con il getto di una lancia.
ing. Maines Fernando
377
Elementi per la progettazione di una cantina
Gli impianti di cantina
Sono idranti ad apertura manuale collegati alla rete antincendio attraverso un attacco
filettato per tubazioni flessibili. Si possono adottare due tipologie di attacchi: l’UNI 45 con
attacco da 1½”, portata minima di 3 l/s e l’UNI 70 con attacco da 2” portata minima di 8 L/s
(usati più raramente). Sono adatti a pressioni di esercizio fino a 16 bar. Se posti all’esterno
sono muniti di dispositivo automatico antigelo. Possono essere di diversa tipologia:
¾ naspi (conformi alla norma UNI EN 671-1), permanentemente collegati alla rete di
alimentazione idrica, costituiti da una bobina mobile su cui è avvolta una tubazione
semirigida collegata ad un’estremità ad una lancia erogatrice;
¾
idranti a muro (conformi alla norma UNI EN 671-2) posti in cassetta con portina di
vetro o con un semplice portello di protezione, costituito da un supporto della
tubazione, da una valvola manuale di intercettazione ed una tubazione flessibile
(manichetta) in calza di fibre naturali o sintetiche oppure in plastica semirigida,
rivestite internamente di gomma, arrotolata su se stessa o disposta su rack. Le lance
erogatrici, poste al termine della tubazione, sono ugelli convergenti di tipo fisso o a
getto regolabile oppure di tipo nebulizzatici, provviste di attacco e di bocchello con
sezioni unificate. Le cassette devono essere opportunamente distribuite nell’edificio
in numero da coprire tutta l’area da proteggere (ogni manichetta copre un’area
circolare di raggio pari alla lunghezza della manichetta più 5 metri); il sistema deve
essere dimensionato in modo che la manichetta più sfavorita abbia una portata
minima di 120 l/min con 2 bar di pressione dinamica a monte e con metà
dell’impianto in funzione;
ing. Maines Fernando
378
Elementi per la progettazione di una cantina
Gli impianti di cantina
¾
idranti a colonna soprasuolo (conformi alla norma UNI 9485) permanentemente
collegati alla rete di alimentazione idrica, costituiti da una valvola alloggiata nella
porzione interrata dell’apparecchio, manovrati attraverso un albero verticale che
ruota nel corpo cilindrico nel quale sono anche ricavati uno o più attacchi con
filettatura unificata (UNI 70); sono posti nelle immediate vicinanze dell’edificio (circa
4-5 metri), in luoghi di facile accesso e disposti su ogni lato, ad una distanza
reciproca di 40 metri circa. Sono collegati da una tubazione ad anello interrata con
diametro di 100 mm e alimentati con una tubazione di raccordo da 80 mm;
¾
idranti sottosuolo (conformi alla norma UNI 9486) permanentemente collegati alla
rete di alimentazione idrica; sono costituiti da una valvola provvista di attacco
unificato e vengono alloggiati in una custodia con chiusino installato a piano di
calpestio.
Si possono prevedere due tipologie di protezione. La prima (protezione interna) è
rappresentata da idranti a muro o da naspi, installati all’interno ed all’esterno dell’edificio, in
modo da consentire il primo intervento sull’incendio da distanza ravvicinata e soprattutto tali
da essere utilizzabili dalle persone che operano in cantina. La protezione esterna, invece,
prevede la presenza di idranti soprasuolo e/o sottosuolo destinati ad essere utilizzati da
ing. Maines Fernando
379
Elementi per la progettazione di una cantina
Gli impianti di cantina
personale specificatamente addestrato. La protezione interna e quella esterna, quando
contemporaneamente presenti, sono da considerarsi come indipendenti tra loro, sebbene
collegate alla stessa rete di alimentazione.
I sistemi di spegnimento vanno dimensionati in base al livello di rischio e al tipo di
protezione, secondo i parametri illustrati nella seguente tabella:
Livello di
rischio
1
2
Protezione interna
Protezione esterna
(apparecchi contemporaneamente
operativi)
(apparecchi contemporaneamente
operativi)
2 idranti con 120 l/min ciascuno
oppure
4 naspi con 35 l/min ciascuno
3 idranti con 120 l/min ciascuno
oppure
4 naspi con 60 l/min ciascuno
generalmente non prevista
Durata
(min)
≥ 30
4 attacchi DN 70 con 300 l/min ≥ 60
ciascuno
(N.B.: per edifici a più piani e compartimenti maggiori di 4000 m2, il numero di idranti o di naspi
contemporaneamente operativi devono essere doppi di quelli riportati in tabella)
Gli impianti a sprinkler sono impianti fissi di spegnimento automatici (conformi alla norma
UNI 9489) adottati quando esistono particolari rischi di incendio che non possono essere
rimossi o ridotti e che comunque non devono comportare ritardi per quanto concerne l’allarme
(in particolare per depositi e magazzini); non sono invece da utilizzare in caso di locali o di
materiali che possono essere danneggiati se irrorati da acqua. L’erogazione è semplicemente
determinata dall’aumento della temperatura ambiente ed avviene attraverso apparecchiature
in grado di investire a pioggia una determinata superficie. E’ necessaria, pertanto, una rete
idrica in grado di rendere disponibili elevati valori di portata e di prevalenza. L’intensità di
scarica dipende dal rischi d’incendio. Nel caso di reparti a rischio medio sono previsti 5 L/min
per ogni m2 di superficie mentre per il deposito di una distilleria (rischio grave) si va da 7,5
fino a 15 L/min per m2 di superficie.
Quando è assente il pericolo di congelamento o di pressurizzazione anomala della rete, gli
impianti possono essere ad umido (le tubazioni risultano costantemente piene di acqua); in
caso contrario si devono adottare impianti a secco nei quali le tubazione a monte delle valvole
automatiche d’intercettazione sono piene d’acqua mentre quelle a valle sono normalmente
piede di aria compressa.
La rete di tubi di distribuzione viene posta a soffitto (a vista o nascosti da controsoffitto)
muniti di diramazioni per alimentare gli sprinkler che possono essere convenzionali (a getto
sferico), spray (a forma parabolica verso il basso) o a getto piatto. L’elemento otturante del
singolo erogatore può essere un fusibile o un bulbo a vetro contenente un liquido sensibile al
calore e la temperatura di intervento deve essere di 30 °C maggiore di quella di esercizio
massima prevedibile nell’ambiente.
ing. Maines Fernando
380
Elementi per la progettazione di una cantina
Gli impianti di cantina
Ogni getto deve servire circa 20 m2 (16 per quelli a getto laterale) e sono posti ad una
distanza non superiore a 4 ÷ 6 m secondo una disposizione determinata in fase di
dimensionamento.
Esistono anche sistemi centralizzati per l’erogazione di estinguenti diversi dall’acqua
(schiume, polveri o anidride carbonica) non consigliati in cantina a causa della complessità di
progettazione, di esecuzione e di gestione dei relativi impianti, e per i notevoli rischi legati
all’instaurarsi di condizioni di sott’ossigenazione.
4.16 Impianto per la distribuzione del metano e del GPL
I combustibili gassosi eventualmente utilizzati in cantina per la produzione di energia
termica e, in minima parte, per le esigenze di laboratorio sono il metano (CH4) ed il G.P.L. (gas
di petrolio liquefatto).
Il primo è un gas più leggero dell’aria, incolore, inodore (di densità relativa pari a 0,56) che
viene fornito attraverso una rete di distribuzione costituita da condotte sotterranee
opportunamente isolate o, più raramente, mediante bombole in pressione a 250 bar. Il metano
proviene principalmente da giacimenti di idrocarburi (gas naturale e/o petrolio), ma è
ottenibile anche dalla digestione anaerobica di sostanze organiche animali e vegetali
(sottoprodotti agricoli, liquami, …).
Nel caso di fornitura mediante gasdotto, il metano, prima di giungere all’utente, subisce una
riduzione di pressione in apposite cabine di decompressione dove passa da 5 bar (rete primaria
ad alta pressione) a non oltre i 0,04 bar (rete di distribuzione secondaria a media e a bassa
pressione). Inoltre subisce una odorizzazione mediante l’aggiunta di specifiche sostanze per
conferire un odore caratteristico facilmente individuabile. La realizzazione e la manutenzione
del tratto di tubazione dalla presa stradale al contatore sono di competenza dell’Azienda
distributrice del gas, mentre la realizzazione e la manutenzione del tratto di impianto a valle
del contatore è di competenza dell’utente.
Il G.P.L., invece, deriva soprattutto dalla distillazione frazionata del petrolio ed è una
miscela gassosa composta da propano per il 95 % ed il resto da propilene e butano. Ne risulta
un gas più pesante dell’aria (la densità relativa è di 1,4) che passa allo stato gassoso con
molta facilità anche alle basse temperature; per questo viene immagazzinato allo stato liquido
sotto pressione in appositi serbatoi.
In questa sede verrà focalizzata l’attenzione sull’impianto di distribuzione comprendendo in
esso il sistema di alimentazione (rete del metano) o sistema di stoccaggio (bombole o
serbatoio), l’eventuale contatore e le tubazioni (di adduzione e di distribuzione). Per quanto
ing. Maines Fernando
381
Elementi per la progettazione di una cantina
Gli impianti di cantina
riguarda invece gli apparecchi utilizzatori, il sistema di scarico dei fumi ed il sistema per la
ventilazione dei relativi locali si rimanda a quanto descritto nel paragrafo di questo capitolo
relativo all’impianto termico.
4.16.1 Serbatoi per GPL
Si tratta generalmente di serbatoi in acciaio, collaudati alla pressione di 230 N/cm2 (22,54
bar) e provvisti di certificato di approvazione e di collaudo ISPESL (Istituto Superiore di
Prevenzione E Sicurezza sul Lavoro).
I serbatoi possono essere installati all’esterno della cantina (la normativa di riferimento per
una loro corretta localizzazione è data dal D.M. del 21/05/74 e dal D.M. del 31/03/84),
preferibilmente interrati, o collocati fuori terra su di un basamento in calcestruzzo
dimensionato in funzione della loro capacità.
La normativa prescrive la presenza di una targa di identificazione e di diversi dispositivi di
sicurezza: la valvola di riempimento, un indicatore di livello (con l’eventuale raccordo per
l’uscita del cavo di collegamento del trasmettitore), una valvola di sicurezza, un tubicino di
troppo pieno, la messa a terra, un gruppo di prelievo della fase liquida ed un gruppo di servizio
di prelievo del gas comprendente il raccordo per il passaggio della tubazione e una valvola ed
un manometro. Il gruppo di prelievo ha il compito di ridurre la pressione dal valore di
stoccaggio a quello di erogazione mediante un sistema a membrana (riduttore di 1° stadio). Un
secondo riduttore (con valvola a sfera di intercettazione gas e raccorderia in rame), per
portare la pressione ai valori di utilizzo, deve essere posto vicino all’edificio (riduttore di 2°
stadio). I serbatoi, infine, devono essere corredati da una piattina in acciaio inox, per l’attacco
equipotenziale della pinza di collegamento all’autobotte al momento del rifornimento (la
piattina deve essere collegata al basamento che funge da dispersore di terra).
ing. Maines Fernando
382
Elementi per la progettazione di una cantina
Gli impianti di cantina
La collocazione all’aperto, riservata ai serbatoi cilindrici ad asse orizzontale, necessita la
presenza di una recinzione, generalmente in rete metallica, alta almeno 1,8 m. Per quanto
riguarda, invece, i serbatoi interrati è necessaria una cassa di contenimento paraschegge in
c.l.s., c.a. o in muratura intonacata (a seconda della natura del terreno) riempita di sabbia
asciutta costipata e sporgente dal terreno di 10 ÷ 40 cm; la generatrice superiore del serbatoio
deve essere al di sotto del terreno circostante mentre la generatrice inferiore deve essere
posta ad almeno 20 cm dal fondo. Si deve predisporre anche una protezione dalle intemperie
mediante ripari costituiti di materiali incombustibili estesi all’intera superficie occupata.
Le dimensioni dei serbatoi più frequentemente utilizzati sono riportate nella seguente
tabella:
capacità serbatoio
(m3)
1,00
1,75
3,00
5,00
lunghezza
(mm)
2200
2500
2900
4700
diametro
(mm)
800
1000
1200
1200
altezza
(mm)
1100
1100
1400
1400
Sempre più diffuso è l’utilizzo di sistemi di stoccaggio ad asse verticale a doppia parete
costituiti da un serbatoio cilindrico metallico posto all’interno di un contenitore stagno
ing. Maines Fernando
383
Elementi per la progettazione di una cantina
Gli impianti di cantina
autoportante in polietilene ad alta densità (HDPE) collocato direttamente in uno scavo nel
terreno ed ancorato ad un basamento prefabbricato in cemento armato. Il serbatoio metallico,
oltre ad avere le caratteristiche e le dotazioni di sicurezza delle versioni precedentemente
viste, deve essere trattato esternamente per resistere a eventuali fenomeni di corrosione
(sabbiatura, zincatura, finitura con resine epossidiche, …). L’involucro in HDPE invece deve
resistere alla spinta del terreno e alla pressione dell’eventuale falda, resistere alle aggressioni
chimiche ed ai microrganismi del terreno, ai danneggiamenti da radici e roditori, isolare il
serbatoio metallico dalle correnti elettriche vaganti, impedire le infiltrazioni di acqua
nell’intercapedine e, grazie alla doppia parete, permettere il monitoraggio del serbatoio
metallico mediante endoscopia e l’intercettazione di eventuali fughe di gas, salvaguardando
così il terreno e le falde da inquinamento.
Il sistema di chiusura munito di coperchio di ispezione deve assicurare il mantenimento, in
condizioni di normale esercizio, della pressione atmosferica (pertanto non deve essere a
tenuta) ed una sufficienti capacità di resistenza meccanica (efficaci sono gli involucri in
polietilene riempiti di cemento alleggerito). L’installazione deve essere eseguita in modo che il
coperchio sia posto ad una quota superiore di 4 ÷ 5 cm rispetto al terreno circostante, fino ad
una distanza di almeno 1,5 m. In prossimità del serbatoio, infine, deve essere rispettato il
divieto di fumo, di parcheggio di piantumazione, di transito di veicoli, di deposito di materiali
combustibili e di utilizzo di fiamme libere.
In tutti i casi, nella scelta del luogo di installazione si dovrà tenere in considerazione
l’assenza di scorrimento e di ristagno di acqua superficiale e, soprattutto, le distanze di
sicurezza che determinano la corretta dislocazione rispetto ad edifici o manufatti circostanti. Le
distanze minime (dimezzate nel caso di serbatoi interrati o in presenza di muro in c.l.s. avente
altezza di almeno 0,5 m superiore a quelle del serbatoio) variano in funzione della capacità di
stoccaggio. Ad esempio per serbatoi fino a 5 m3 si devono adottare 10 m da scuole, edifici
pubblici e luoghi di culto, 15 m da ferrovie e linee elettriche, 5 m da fabbricati industriali e 3 m
dal confine di proprietà. Il rispetto di queste norme risulta fondamentale per poter ottenere la
prevista certificazione di prevenzione incendi da parte dei VVFF.
Per quanto riguarda le bombole, il loro utilizzo è regolamentato dalla norma UNI 7131
secondo la quale possono essere installate all’interno o, se opportunamente protette
dall’eccessivo riscaldamento per irraggiamento solare diretto, all’esterno.
ing. Maines Fernando
384
Elementi per la progettazione di una cantina
Gli impianti di cantina
4.16.2 Contatore
E’ obbligatorio solo nel caso di gas metano fornito attraverso rete per la determinazione
dell’ammontare della bolletta; tuttavia risulta opportuno installarlo anche negli altri casi, dato
che qualsiasi strategia aziendale di contenimento della spesa energetica necessita di un
continuo monitoraggio dei consumi.
ing. Maines Fernando
385
Elementi per la progettazione di una cantina
Gli impianti di cantina
Il contatore deve essere posto preferibilmente all’esterno per semplificare la lettura
periodica o, in alternativa, in un locale ben ventilato e separato da qualsiasi ambiente in cui sia
presente un utilizzatore. La posa, di competenza dell’Ente erogatore, richiede una nicchia di
alloggiamento realizzata dall’utente, di opportune dimensioni (altezza 130 cm, larghezza 100
cm, profondità 60 cm per i contatori da 40 a 65 m3/h).
Subito a valle del contatore (o immediatamente all’interno dell’edificio nel caso di contatore
esterno) è necessario predisporre una valvola di intercettazione (generalmente a sfera) a
comando manuale per isolare la rete di distribuzione nel corso dell’attività di manutenzione ed
in caso di emergenza; è inoltre presente la centralina di decompressione o il riduttore di 2°
stadio per assicurare o completare, la riduzione della pressione ai valori d’utilizzo (20 ÷ 40
mbar).
4.16.3 Rete di distribuzione
Le tubazioni utilizzate per portare il gas in cantina (tubazioni di adduzione) e per distribuirlo
ai diversi utilizzatori (rete di distribuzione) si distinguono in base al materiale utilizzato ed alle
modalità di installazione. Le norme di riferimento sono la UNI-CIG 7129/1992 nel caso di
impianti con potenza termica non superiore a 35 kW e, nel caso di potenze termiche superiori,
il D.M del 12 aprile 1996 n. 74. Si possono utilizzare le seguenti tipologie:
ing. Maines Fernando
386
Elementi per la progettazione di una cantina
Gli impianti di cantina
¾
tubazioni interrate: adottate soprattutto per la tubazione di adduzione, sono
generalmente in acciaio zincato, senza saldatura (tipo Mannesmann) o con saldatura
longitudinale, protette con un opportuno rivestimento. Vengono appoggiate su sabbia
o su terreno uniforme ad una profondità di 90 cm, (riducibile a soli 50 cm se non è
previsto il passaggio di veicoli) evitando il contatto con altre tubazioni o la posa al di
sotto di condotte per l’acqua; inoltre alle due estremità vengono munite di giunti
dielettrici per proteggere le tubazioni dalle corrosioni dovute a correnti vaganti. I
singoli tratti vengono uniti mediante saldatura a testa oppure, solo per pressioni
minori di 500 mbar, mediante filettatura, assicurando la tenuta con canapa o con
teflon (obbligatorio per il G.P.L). Le curve possono venir eseguite a freddo solo per
angoli maggiori di 90°. Attualmente sono sempre più utilizzate tubazioni in
polietilene, di spessore non inferiore a 3 mm, con giunzioni saldate di testa o per
elettrofusione, posate su letto di sabbia lavata di spessore minimo di 10 cm e
ricoperte da altri 10 cm in modo che la generatrice superiore si trovi ad almeno 60
cm di profondità; per evitare rotture accidentali in caso di scavi, il loro percorso deve
essere facilmente individuato ed opportunamente segnalato con appositi nastri posti
30 cm sopra la tubazione. Le tubazioni in polietilene devono essere comunque
collegate con tubazioni metalliche prima della fuoriuscita dal terreno e prima del loro
ingresso nel fabbricato;
¾
tubazioni fuori terra: il materiale più comunemente utilizzato è l’acciaio zincato
sebbene sia consentito anche il rame rivestito con spessore superiore a 2 mm, nel
caso di pressioni fino a 5 bar e di utilizzatori con potenzialità inferiori a 30000 kcal/h;
per entrambi i materiali si possono eseguire le giunzioni mediante saldatura a testa
oppure, solo in locali areati, mediante filettatura. Una corretta installazione richiede
percorsi ad andamento rettilineo (verticale o orizzontale) con tubazioni posate ben
diritte e a squadro, con tratti orizzontali dotati di leggera pendenza (minore o uguale
ing. Maines Fernando
387
Elementi per la progettazione di una cantina
Gli impianti di cantina
a 0,5%) per consentire, mediante dispositivi di scarico posti nei punti più bassi,
l’eliminazione della condensa. Si devono utilizzare dispositivi adeguati per assicurare
un sicuro ancoraggio, distanziati non più di 2,5 m per diametri fino a 1” e di 3 m per
diametri maggiori, e si deve avere cura di individuare percorsi non soggetti a possibili
urti e danneggiamenti; in caso contrario è opportuno predisporre idonee protezioni.
In presenza di più tubazioni in parallelo si dovrà adottare una distanza fra le singole
linee maggiore del loro diametro esterno. La normativa, infine prevede l’adozione di
una colorazione gialla;
¾
tubazioni sotto traccia: questa modalità, poco utilizzata in cantina, è consentita solo
per tubazioni di diametro superiore a ½”, annegate in almeno 2 cm di malta di
cemento (1:3) purché non si tratti del lato esterno dei muri perimetrali e di
intercapedini; è consentita anche la posa a pavimento, direttamente sulla caldana del
solaio, e copertura con almeno 20 cm di malta di cemento. Le tubazioni devono
avere un andamento rettilineo verticale od orizzontale con riferimenti atti a
permetterne una facile individuazione, poste a distanza non maggiore di 200 mm
dagli spigoli della parete paralleli alla tubazione, con tutti i rubinetti e le giunzioni
filettate a vista od inseriti in scatole ispezionabili non a tenuta;
¾
tubazioni in canaletta: si devono utilizzare appositi vani ricavati nella parete esterna,
resi stagni verso l’interno, oppure controtubi, ma solo se muniti di almeno due
aperture di ventilazione verso l’esterno di 100 cm2 ciascuna poste una in basso ed
una in alto;
ing. Maines Fernando
388
Elementi per la progettazione di una cantina
¾
Gli impianti di cantina
tubazioni in alloggiamento: si tratta di appositi cavedi permanentemente areati verso
l’esterno, realizzati con materiale incombustibile, almeno REI 30 ed impermeabile al
gas. Devono essere alloggiamenti ad uso esclusivo e, in particolare non è consentito
l’utilizzo di canne fumarie, dei vani per ascensori o di cavedi per il contenimento di
altre tubazioni.
Particolare cura deve essere posta, in tutti i casi, nella realizzazione dei punti di
attraversamento delle pareti. E’ necessario utilizzare tratti di tubazione senza giunzioni o
saldature poste in guaine metalliche o plastiche autoestinguenti aperte alle estremità se
comunicanti con ambienti areati, oppure murate con malta di cemento e sigillate dalla parte
interna nel caso di muri esterni. Nel caso di attraversamento di intercapedini chiuse, la guaina
passante (di diametro di 10 mm maggiore di quello della tubazione) avrà estremità aperta
verso l’esterno e sigillata verso l’interno. Nel caso, invece, di attraversamento di solette, la
guaina deve essere sporgente di almeno 20 mm dal pavimento e sigillata con materiali adatti
(cementi plastici, asfalto, …) ad esclusione del gesso. Infine per attraversare vani con pericolo
d’incendio la tubazione deve essere protetta con materiali di classe 0 (materiali non
combustibili).
Infine si ricorda il divieto di utilizzare i tubi del gas per la messa a terra di apparecchiature
elettriche compreso il telefono.
Nel caso di apparecchi non collegati con raccordi rigidi, è possibile utilizzare tubi flessibili
messi in opera in modo che in nessun punto raggiungano la temperatura di 50 °C, abbiano una
lunghezza minore di 1 m, siano fissati al portagomma con fascette di sicurezza, non presentino
strozzature, siano facilmente ispezionabili e non vengano a contatto con corpi taglienti, angoli,
spigoli e simili.
A monte di ogni utilizzatore o di un flessibile deve essere inserito un rubinetto di
intercettazione, mentre i tratti terminali dell’impianto, compreso quello per i quali è previsto il
collegamento con apparecchi di utilizzazione, devono essere chiusi con tappi filettati.
Prima dell’allacciamento al contatore e della copertura di eventuali tratti di tubazione non a
vista è necessario eseguire una verifica accurata della tenuta di tutto il sistema. Si utilizza aria
o gas inerte da immettersi nell’impianto alla pressione di 100 mbar e si dovrà accertare
l’assenza di cadute di pressione tra due letture di un manometro (ad acqua o equivalenti),
dopo 15 e 30 minuti; eventuali perdite devono essere ricercate con l’ausilio di soluzione
saponosa. E’ necessario anche seguire precise procedure per la messa in servizio e per le
periodiche operazioni di pulizia.
4.16.4 Dimensionamento dell’impianto
E’ analogo al caso delle tubazioni idriche con la sola differenza che si deve tener conto
dell’effetto della comprimibilità.
Il dimensionamento viene effettuato determinando in primo luogo il fabbisogno di tutti gli
apparecchi installati, considerati contemporaneamente in funzione al massimo delle loro
ing. Maines Fernando
389
Elementi per la progettazione di una cantina
Gli impianti di cantina
potenzialità. Successivamente, utilizzando uno schema dell’impianto, si possono individuare le
lunghezze di ciascun tratto di tubazione tra una erogazione e la successiva e le lunghezze
equivalenti dovute alle perdite di carico distribuite e a quelle localizzate o concentrate
(mediamente di circa 0,5 m per ciascuna discontinuità) riscontrabili su apposite tabelle o
abachi (diversi per il CH4 e per il G.P.L.) realizzati per diversi tipi di materiale, di rifinitura
superficiale interna (rugosità) e per ciascun particolare costruttivo causa di perdite localizzate
(strozzature, variazioni di sezione, curve, raccordi, saracinesche, intercettazioni, derivazioni,
…) note la portata massica massima istantanea in L/s, le pressioni da avere alle utenze e la
velocità del gas.
A questo punto, procedendo per tentativi, si ricava il diametro dei tubi di ciascun tratto,
verificando che il totale delle perdite di carico non superi un valore prefissato (indicativamente
di 0,5 bar), scelto secondo una accorta strategia progettuale.
In conclusione ricordiamo gli aspetti, già visti e approfonditi nello specifico paragrafo,
relativi alla prevenzione degli incendi ed all’eventuale impianto antincendio (generalmente ad
acqua nebulizzata) da porre nei pressi del serbatoio di stoccaggio del gas.
4.17 Impianto di protezione dalle scariche atmosferiche ed elettriche
in genere (in collaborazione con Alessandro Condini Mosna classe VS a.sc.
2003-2004)
I fulmini si originano in seguito ad una
separazione di cariche elettriche all’interno di
cumulonembi distanti da 300 a 1000 m dal
suolo, fra la loro parte sommitale carica
positivamente e la parte inferiore carica
negativamente, con una modalità non ancora
del tutto chiara.
Se la conseguente differenza di potenziale
supera un valore compreso tra gli 80 milioni e il
miliardo di Volt, l’aria viene perforata, lungo il
percorso più breve o comunque quello che offre
minore resistenza, da una corrente di cariche
elettriche di alcuni coulomb. Questo accade,
però, in un tempo così breve (generalmente
pochi millisecondi e comunque sempre minore di
0,50 s) che la corrispondente intensità di corrente ha un valore medio di 10.000 Ampère e un
valore limite pari a 200.000 Ampère. Al suo interno, inoltre, il fulmine può sviluppare una
temperatura di 50.000 °C.
ing. Maines Fernando
390
Elementi per la progettazione di una cantina
Gli impianti di cantina
La maggior parte delle scariche avviene all’interno della nube stessa, mentre i fulmini che
noi vediamo avvengono tra nubi diverse oppure tra una nube ed il terreno (che presenta carica
positiva). E’ proprio su questi ultimi che focalizzeremo la nostra attenzione, in quanto
potenzialmente possono essere pericolosi per le persone e per gli edifici a causa delle
sovratensioni, di intensità elevatissima nonostante la brevissima durata, che possono essere
indotte negli impianti (interni od esterni), nelle apparecchiature elettriche e in tutte le masse
metalliche presenti in cantina (macchine enologiche, serbatoi in acciaio, …).
Tali sovratensioni possono essere generate da scariche che colpiscono in pieno l’edificio o il
suo impianto di protezione (fulminazione diretta) o da fulmini che colpiscono il suolo in
prossimità della struttura oppure i cavi delle linee elettriche o delle linee telefoniche collegate
all’edificio (fulminazione indiretta). In entrambi i casi si possono innescare incendi all’interno e
all’esterno della struttura oppure causare folgorazioni dovute a tensioni di contatto o di passo.
Nonostante ciò, all’impianto di protezione dalle scariche atmosferiche (Lighting Protection
System) viene spesso assegnato un ruolo di secondo ordine rispetto ad altri impianti
direttamente connessi con le operazioni di cantina. Al contrario l’enotecnico deve essere
consapevole dei rischi connessi a tali eventi e della necessità di acquisire una competenza
sufficiente per seguire con consapevolezza e cognizione l’analisi preliminare alla progettazione
dell’impianto di protezione.
4.17.1 Valutazione del rischio
Le fonti legislative che trattano in modo esplicito la protezione contro i fulmini sono
molteplici. In questa sede ci limitiamo alle norme vigenti in diretta relazione con la
progettazione dell’LPS.
In base alla attuale normativa anche le cantine, in quanto immobili adibiti ad attività
produttive, sono soggette all’applicazione di quanto previsto per gli impianti di protezione da
scariche atmosferiche, soprattutto se in presenza di depositi consistenti di materiali
infiammabili (cartoni, cassette, cassoni, pallettes, film plastici per il confezionamento delle
bottiglie e/o per il trasporto dell’uva, … ). Le imprese installatrici, inoltre, sono tenute ad
eseguire gli impianti a regola d’arte utilizzando allo scopo procedure e materiali realizzati nel
rispetto di quanto prescritto dalla legislazione tecnica vigente in materia, dalle norme tecniche
di sicurezza dell’Ente italiano di unificazione (UNI) ed in particolare dalle seguenti norme CEI
(Comitato elettrotecnico italiano):
¾ CEI 81-1: protezione di strutture contro i fulmini;
¾ CEI 81-3: valori medi del numero dei fulmini a terra per anno e per chilometro
quadrato dei Comuni d’Italia, in ordine alfabetico;
¾ CEI 81-4: protezione delle strutture contro i fulmini - Valutazione del rischio dovuto
al fulmine. Questa norma assieme alla CEI 81-1, IIIa edizione del 1996 con relativa
variante V1 costituiscono la base per progettare e costruire a “regola d’arte”;
¾ CEI 81-5: componenti per la protezione contro i fulmini (LPC);
¾ CEI 81-6: protezione delle strutture contro i fulmini - Linee di telecomunicazione –
sezione relativa agli impianti di protezione dalle scariche atmosferiche in edifici di
volume superiore a 200 m3.
La valutazione del rischio che la cantina venga interessata direttamente o indirettamente
da un fulmine, secondo quanto previsto nella norma CEI 81-4 e relativa variante CEI 81-1 V1,
consente al progettista di stabilire se sia necessaria la protezione della struttura ed
eventualmente di individuare la misure di protezione più idonee da adottare, in funzione dei
possibili danni causati alla struttura, all’ambiente circostante ed alle persone presenti in
cantina a vario titolo. L’entità di tali danni dipendono dal tipo di costruzione, dalla sua
destinazione, dall’organizzazione del lavoro, dall’addestramento degli operatori, dalle reti
entranti nella struttura e delle misure per limitare il danno medesimo.
Secondo quanto previsto dalla normativa, tutti gli edifici debbono essere protetti dalle
scariche atmosferiche. Questo però non significa che deve essere installato necessariamente
un LPS. La decisione di adottare misure di protezione può essere lasciata alla libera scelta del
progettista qualora venga accertata la presenza di solo rischio economico; in tal caso è
sufficiente una valutazione di confronto fra il costo annuale delle eventuali misure di protezione
ing. Maines Fernando
391
Elementi per la progettazione di una cantina
Gli impianti di cantina
con il costo annuale delle probabili perdite dovute alla fulminazione. Diversamente, in presenza
di possibili perdite di vite umane diventano necessarie valutazioni più rigorose.
Per questo la norma CEI 81 prevede l’utilizzo di un procedimento di calcolo probabilistico
(metodo completo) allo scopo di valutare (in base a considerazioni tecnico-economiche) il
rischio R di una struttura, dovuto a fulmini diretti ed indiretti, da confrontare con un valore
limite di rischio massimo accettabile Ra il cui valore viene dedotto dalle normative in base al
livello di rischio concordato e sottofirmato dal committente con il progettista. Se il rischio
calcolato supera il valore del rischio accettabile, l’edificio deve essere obbligatoriamente
protetto con un LPS. Se, invece, il rischio calcolato è inferiore al rischio accettabile, l’edificio
viene definito “autoprotetto”36.
Questo metodo, adottabile per qualsiasi tipologia di edificio, richiede un procedimento
piuttosto lungo e laborioso e pertanto non sarà proposto nel dettaglio in questa sede. I
parametri che il tecnico deve utilizzare sono molteplici e tra questi ricordiamo:
¾ i diversi tipi di rischio, che per una cantina sono la perdita di vite umane (rischio di
tipo 1), le perdite economiche (rischio di tipo 4) e, nel caso di edifici di interesse
storico, artistico o archeologico, la perdita di patrimonio culturale (rischio di tipo 3);
¾ il più probabile numero annuo di fulmini che possono interessare la struttura, desunti
a partire dal numero medio di fulmini a terra per km2 nel comune interessato;
¾ le caratteristiche dell’edificio (l’ubicazione, le dimensioni, la tipologia costruttiva, il
rischio di incendio, la presenza di impianti interni sensibili, …), della zona circostante
e del terreno, comprese tutte le circostanze peculiari che possono facilitare l’impatto
del fulmine.
La normativa prevede anche un metodo semplificato (riportato nell’appendice F della norma
CEI 81-1) che viene adottato per effettuare una stima di massima circa la necessità di
installare un LPS, oppure quando i parametri necessari per effettuare la valutazione del rischio
con il metodo completo non siano tutti noti o siano noti con incertezza oppure sia difficoltosa la
loro definizione. Questo metodo è applicabile solo a strutture ordinarie cioè a quegli edifici
destinati ai comuni impieghi civili, produttivi e commerciali, non costituiti da strutture di
notevole altezza, che non presentano rischi di esplosione e che non rilasciano sostanze
particolarmente pericolose.
Schematicamente la procedura semplificata in caso di fulminazione diretta prevede le
seguenti fasi:
¾ determinazione della frequenza media di fulmini (R) che colpiscono direttamente la
struttura, espressa in numero di fulmini/anno. Tale valore dipende dai seguenti
elementi:
o
densità annuale di fulmini al suolo relativa al Comune ove è sita la struttura
da proteggere (espressa in numero di fulmini/km2). Tali valori sono riportati
nella pubblicazione CEI 81-3 (per Trento è di 2,5 fulmini annui al suolo/
km2);
o
l’area di raccolta dell’edificio isolato definita come la misura della superficie
del terreno racchiusa tra la linea ottenuta dall’intersezione con la superficie
del terreno, con una retta di pendenza 1:3 che tocca le parti superiori della
struttura e ruota attorno alla medesima;
o
un coefficiente ambientale C che assume un valore minimo di 0,25 se
l’edificio è sito in un’area con presenza prevalente di strutture di altezza
uguale o maggiore al medesimo mentre assume valore massimo di 2 se la
struttura giace isolata sulla cima di una collina o di una montagna;
¾ scelta del livello di protezione: il valore della frequenza media di fulminazione diretta
della struttura deve essere confrontato con il valore della frequenza di fulminazione
tollerabile; quest’ultima è definita per legge e varia a seconda della tipologia di
edificio considerato. Per una cantina di medie dimensioni con ridotto rischio di
incendio tale valore vale 0,51 fulmini/anno. Se la frequenza media di fulmini che
colpiscono direttamente la struttura (R) è maggiore della frequenza di fulminazione
tollerabile (Ra), allora deve essere installato un sistema di protezione. La
classificazione del grado di protezione prevede 4 livelli (di valore decrescente) definiti
36
Questo non significa assolutamente, come invece spesso viene interpretato, che l’edificio non sia esposto alle
scariche atmosferiche.
ing. Maines Fernando
392
Elementi per la progettazione di una cantina
Gli impianti di cantina
in base all’efficienza dell’LPS, espressa dal rapporto fra il numero medio annuo di
fulminazioni dirette che non possono provocare danno alla struttura protetta
dall’impianto e il numero medio annuo di fulminazioni dirette sulla struttura.
Quanto riportato fino ad ora, in riferimento al pericolo di fulminazione diretta, può essere
esteso alle scariche indirette le quali si caratterizzano per livelli di rischio minori in quanto più
facilmente intercettate ed assorbite dai sistemi di protezione.
Si conclude questa premessa affermando che se la struttura è protetta da un efficiente LPS,
possiamo tranquillamente continuare a svolgere le nostre attività di cantina anche durante un
temporale, avendo la precauzione di non portarsi in prossimità degli elementi costitutivi
l’impianto di protezione (calate soprattutto) e di non salire sul tetto per alcun motivo. Tutt’altro
discorso si deve fare se l’edificio è stato dichiarato “autoprotetto”. In questo caso la prudenza
non è mai troppa in quanto solo la statistica vieta al fulmine di abbattersi sulla cantina. Sarà
pertanto buona norma evitare di usare telefoni collegati alla rete esterna o ad eventuali linee
interne poiché il fulmine potrebbe correre lungo i fili sino all’apparecchio; staccare tutti i
dispositivi elettronici, inclusi i modem dei computer; stare lontano dai lavandini e dai tubi
dell’acqua in genere. Ricordiamoci inoltre che i fulmini possono colpire sia prima che dopo la
pioggia ed anche sino a 15 km dal temporale.
4.17.2 Sistemi di protezione
Secondo le direttive della norma CEI 81-1, l’LPS è composto dall’impianto di protezione
esterno ed dall’impianto di protezione interno.
L’LPS esterno, se costruito a regola d’arte, è costituito da dispositivi in grado di intercettare
il fulmine diretto e di condurre la corrente dal punto di impatto sull’edificio sino al suolo e di
disperderla in esso. Tali organi (di captazione, di discesa e di dispersione) devono sopportare
gli effetti prodotti dalla corrente di fulmine, proporzionalmente al livello di protezione
prefissato, e devono evitare che si verifichino danni di tipo termico (dovuti a surriscaldamenti o
incendi) e di tipo meccanico alla struttura protetta, oppure tensioni di passo e di contatto
pericolose per le persone.
Se i dispositivi di captazione e di discesa sono installati in modo che il percorso della
corrente del fulmine non venga a contatto con la struttura da proteggere grazie ad un
opportuno distanziamento e/o ad un rivestimento con materiale isolante delle parti interessate,
allora l’LPS viene definito isolato. E’ opportuno utilizzare un tale sistema quando viene
verificata la possibilità di danneggiamenti alle superfici della struttura per le alte temperature
che si possono raggiungere. Al contrario l’LPS esterno viene definito non isolato se i captatori e
le calate sono installati in modo da non evitare il contatto elettrico con la struttura da
proteggere.
I captatori o organi di captazione possono essere costituiti da aste, da funi o da una
maglia di conduttori disposti a formare una rete, in modo che la corrente di fulmine possa
seguire almeno due percorsi distinti fino al dispersore. Sono realizzati con corde o piattine
metalliche di spessore variabile a seconda del materiale adottato.
Sfruttando il principio che le cariche elettriche si distribuiscono sulla superficie esterna di un
conduttore, addensandosi in particolare in prossimità delle punte, i captatori sono in grado di
intercettare i fulmini in modo che la scarica non interessi le strutture dell’edificio. Risulta
trascurabile, invece, la proverbiale capacità di attirare i fulmini da parte dei captatori e questo
lo si può verificare facilmente ogniqualvolta un fulmine cade anche solamente a 100 m di
distanza da strutture completamente metalliche oppure da campanili di chiese protetti con asta
di captazione. Infatti il concetto dell’attirare i fulmini è valido solo in misura molto limitata in
quanto dobbiamo tener presente che i fulmini hanno una lunghezza verticale di circa 5 ÷ 7 km;
un’asta di captazione che si trovasse anche su di un traliccio metallico alto 150 m, si
troverebbe “in vantaggio” rispetto al terreno circostante di solo un 2% circa.
Un captatore ad asta consiste in una o più aste metalliche, impropriamente chiamate
parafulmine (termine da riferirsi all’intero impianto), posizionate sulla sommità dell’edificio da
proteggere in corrispondenza delle linee di gronda del tetto, di sporgenze del tetto, di spigoli
perimetrali e, se l’inclinazione del medesimo supera il 10%, delle linee di colmo sul tetto. Tale
soluzione viene adottata in particolare per edifici con sviluppo prevalente in altezza e quindi
ing. Maines Fernando
393
Elementi per la progettazione di una cantina
Gli impianti di cantina
raramente applicata alle cantine, per le quali si utilizzano prevalentemente edifici che si
estendano in orizzontale e se a più piani, solo alcuni sono fuori terra.
Il posizionamento corretto dei captatori ad asta viene determinato utilizzando solitamente il
metodo della “sfera rotolante”. Tale metodo si fonda sul postulato che il volume protetto da
un’asta verticale ha la forma di una sfera il cui raggio (da calcolare con apposita formula)
dipende dal livello di protezione (più questo deve essere alto più il raggio della sfera sarà
minore). Il posizionamento del captatore risulta corretto se nessun punto della struttura da
proteggere viene a contatto con la sfera che rotola intorno e sulla struttura in tutte le possibili
direzioni, toccando sempre terreno e captatore. È facile intuire che più il livello di protezione
deve essere alto (e la sfera è piccola) maggiore risulta il numero di captatori ad asta da
installare, e che dall’altezza del captatore dipende l’entità del volume protetto.
I captatori a fune rappresentano una variazione di quelli ad asta in quanto si utilizzano
una o più funi metalliche tese tra supporti ad asta.
I captatori a maglia sono utilizzati soprattutto nel caso di strutture estese orizzontalmente
e consistono in una gabbia metallica, meglio conosciuta come gabbia di Faraday, installata
attorno all’edificio mediante una rete di tondini metallici. Il percorso dei tondini deve essere
quanto più possibile rettilineo ed i cambi di direzione debbono avvenire senza spigoli e senza
curve a piccolo raggio. La protezione è tanto più efficace quanto più strette sono le maglie e
ing. Maines Fernando
394
Elementi per la progettazione di una cantina
Gli impianti di cantina
quanto più sono distanziate dal fabbricato: infatti per il livello I si devono utilizzare maglie di
lato pari a 5 m mentre per il livello IV il lato raggiunge i 20 m.
Le calate o organi di discesa, rappresentano la componente dell’LPS incaricata di
condurre la corrente di fulmine dai captatori sino al terreno ove sarà dispersa. Tale compito
viene assolto installando una serie di tondini metallici, collegati ai captatori, lungo il percorso
più breve e più diretto fino a terra in modo che la scarica non possa andare a provocare danno
prendendo altri percorsi lungo l’edificio. Per assicurare una maggior sicurezza all’esterno della
struttura si può adottare l’isolamento delle calate e, se ritenuto necessario, anche del suolo,
per eliminare la possibilità di avere tensioni di contatto e di passo.
Per i captatori costituiti da aste su singoli sostegni, è necessaria almeno una calata per
sostegno, con un numero di calate non inferiore a due, per superfici da proteggere fino a 300
m2, più una calata per ogni incremento di 200 m2. Gli stessi minimi sono previsti per gli
impianti a fune per i quali deve essere presente una calata in corrispondenza di entrambe le
estremità di ciascuna fune; se invece i captatori sono costituiti da una maglia sono necessarie,
nel caso di LPS isolato, almeno una calata per ogni sostegno perimetrale della maglia (poste
equidistanti fra di loro a non più di 25 m lungo il perimetro dell’edificio e, per quanto possibile,
ing. Maines Fernando
395
Elementi per la progettazione di una cantina
Gli impianti di cantina
vicino a ciascun angolo dell’edificio); nel caso, invece, di LPS non isolato sono necessarie
almeno due calate, distribuite attorno al perimetro della struttura da proteggere.
Le calate devono essere sistemate in modo da costituire, per quanto possibile, la
continuazione diretta dei captatori evitando la formazione di “cappi” lungo il loro percorso. Si
consiglia inoltre di posizionare le calate distanti da porte e finestre e, se possibile, all’interno di
gronde o pluviali.
La disposizione delle calate è completata dall’anello di interconnessione rappresentato da un
conduttore che forma un anello attorno alla struttura e che interconnette le calate con un
collegamento equipotenziale, per favorire un’equa ripartizione della corrente di fulmine fra
esse.
Il dispersore, oltre a trasportare e a disperdere nel terreno la corrente dovuta a scariche
dirette, intercetta le correnti di fulmine che circolano attraverso il suolo provocate da
fulminazioni indiretta nel terreno circostante. Per poter fare ciò senza provocare sovratensioni
pericolose, sono molto importanti la forma, le dimensioni di un dispersore e la corretta
interconnessione con gli eventuali dispersori di altri impianti (protezione impianti telefonici, …).
I dispersori possono essere di tre tipi:
¾ tipo A: sono costituiti da elementi orizzontali o verticali (di lunghezza variabile in
funzione del tipo di terreno) collegati a ciascuna calata in numero non inferiore a
quattro; l’eventuale anello di interconnessione inoltre non è in contatto col suolo per
più dell’80 % della sua lunghezza;
¾ tipo B: sono costituiti da un elemento ad anello chiuso che circonda la struttura (con
un raggio che varia a seconda del livello di protezione) e che assume
contemporaneamente il compito di dispersore e di anello di interconnessione; esso
va interrato di preferenza ad una profondità di almeno 0,5 m e possibilmente ad 1 m
dai muri. Tali dispersori sono particolarmente consigliati se la struttura poggia sulla
nuda roccia;
ing. Maines Fernando
396
Elementi per la progettazione di una cantina
Gli impianti di cantina
tipo C: è un dispersore di tipo B integrato da conduttori radiali esterni o da picchetti.
Si adotta quando la lunghezza dell’anello non è sufficiente per disperdere la corrente
di fulmine.
Gli ancoraggi e giunzioni, infine, sono elementi accessori che completano l’installazione
dell’LPS esterno. I primi, solitamente rappresentati da zoccoli in cemento, fissano saldamente
captatori e calate in modo che gli sforzi meccanici elettrodinamici o accidentali (vibrazioni,
slittamento di placche di neve, dilatazione termica…) non possano provocare la rottura o
l’allentamento dei conduttori.
Le giunzioni, il cui numero lungo i conduttori deve essere mantenuta al minimo, servono per
unire i vari segmenti di conduttori che costituiscono l’LPS esterno; devono essere eseguite
mediante saldatura, avvitamento, bullonatura, chiodatura, morsetti a compressione con 20
mm di sovrapposizione. In questo modo si contrasta l’allentamento e si garantisce la continuità
elettrica e quella meccanica. Inoltre si devono evitare possibili accoppiamenti fra metalli diversi
che possono causare l’insorgenza di corrosione.
Tutti i componenti dell’LPS esterno sono realizzati in metallo per assicurare sufficiente
resistenza meccanica ed elevata conduttività, per quanto qualsiasi materiale diventa un
conduttore elettrico quando i valori di tensione e corrente sono sufficientemente elevati (basta
vedere quanti alberi vengono colpiti dai fulmini ed il legno è classificato come materiale
isolante). I metalli usati, inoltre, sono in grado di resistere alle elevate temperature
determinate da una scarica di fulmine per quanto solo la brevissima durata che caratterizza le
scariche evita che tutti gli elementi metallici dell’LPS arrivino a fusione. In generale si
utilizzano:
¾ il rame: è usato sia per i dispositivi posti all’aria aperta che in terra, mentre si
sconsiglia il suo uso a diretto contatto con il cemento armato. È inoltre corroso
dall’anidride solforosa;
¾ l’acciaio zincato a caldo: il suo uso è praticamente universale, per la sua elevata
resistenza alla corrosione;
¾ l’acciaio inossidabile: può essere usato ovunque ma non a contatto con il cemento
armato.
¾ l’alluminio: teme il contatto con il terreno e con il cemento armato; inoltre è
facilmente corrodibile da agenti basici.
Per i captatori, ad esempio, si utilizzano elementi in acciaio con uno spessore minimo di 4
mm o in rame con spessore minimo di 5 mm oppure in alluminio con spessore minimo di 7
mm.
¾
Concludiamo la descrizione dell’LPS esterno, ricordando che nelle strutture dell’edificio
esistono diversi elementi, non installati appositamente per la protezione contro il fulmine, che
possono essere utilizzate in aggiunta all’LPS o che possono svolgere la funzione di captatori, di
calate o di dispersori naturali. In particolare possono comportarsi da captatori naturali diverse
parti metalliche presenti sul tetto (gronde, ornamenti, ringhiere, …) oppure le coperture
metalliche dei tetti a patto che tali elementi siano resi continui tramite apposite giunzioni, che
lo spessore delle lastre metalliche non sia inferiore a valori fissati per legge (0,5 mm per
ing. Maines Fernando
397
Elementi per la progettazione di una cantina
Gli impianti di cantina
l’acciaio zincato, 0,3 mm per il rame), che non siano presenti materiali combustibili sottostanti
alla copertura e che non vi siano rivestimenti in materiale isolante.
Possono invece svolgere il compito delle calate eventuali elementi della facciata in metallo
oppure i ferri di armatura delle strutture perimetrali esterne in cemento armato, a patto che i
vari elementi verticali ed orizzontali dell’armatura in ferro siano tra loro connessi.
Possono infine fungere da dispersori naturali le armature del cemento armato delle
fondazioni o le reti metalliche annegate nelle pavimentazioni in calcestruzzo comunicanti con il
terreno.
*****
Quando l’LPS esterno viene colpito da un fulmine, per un brevissimo istante l’impianto
parafulmine si porta ad un potenziale molto elevato con altrettanto elevate intensità di
corrente in gioco. Questo crea una considerevole differenza di potenziale tra l’LPS esterno e la
struttura protetta, accompagnata da fenomeni di induzione elettromagnetica. Pertanto, anche
se la cantina non è stata colpita direttamente dal fulmine si possono avere al suo interno, se in
presenza di una differenza di potenziale sufficientemente alta, sovratensioni significative e
scariche elettriche tra l’LPS esterno da una parte ed i corpi metallici e/o le strutture interne
dall’altra; lo stesso può accadere quando il fulmine interessa una linea (elettrica o telefonica)
entrante nell’edificio o cade nelle sue immediate vicinanze.
Per evitare ciò si possono adottare cavi schermanti o in fibra ottica, si può procedere
all’ottimizzazione dei percorsi delle condutture o adottare la continuità dei ferri dell’armatura e
delle strutture metalliche; in tutti i casi, comunque, risulta fondamentale la presenza di un LPS
interno (detto anche impianto integrativo), costituito da limitatori di sovratensione o da
collegamenti equipotenziali fra gli impianti interni e quelli esterni e fra l’LPS esterno e i corpi
metallici (interni ed esterni), in modo da ridurre al minimo le differenze di potenziale.
ing. Maines Fernando
398
Elementi per la progettazione di una cantina
Gli impianti di cantina
Per corpi metallici esterni s’intendono tutti quei corpi che penetrano nella struttura da
proteggere dall’esterno (tubazioni, canalizzazioni, …) e che possono condurre all’interno una
parte della corrente di fulmine. I corpi metallici interni, invece, sono quelli presenti nei diversi
locali della cantina e che possono entrare a far parte, per le loro notevoli dimensioni, del
percorso della corrente di fulmine, come ad esempio tutte le tubazioni metalliche, le scale, le
guide di ascensori, le canalizzazioni di ventilazione, di riscaldamento e di condizionamento, i
serbatoi metallici, le passerelle, le macchine enologiche di grandi dimensioni (presse
pneumatiche, criomaceratori, fermentini, ecc…) e gli stessi ferri di armatura.
Per eseguire i collegamenti equipotenziali si utilizzano appositi conduttori. Nel caso di corpi
metallici interni, sono solitamente realizzati a livello del suolo e fanno capo ad una sbarra o ad
un morsetto di sufficiente robustezza meccanica; per corpi metallici esterni, invece, devono
essere effettuati quanto più vicino possibile al loro punto di ingresso nella struttura da
proteggere. I collegamenti equipotenziali vanno inoltre collegati al dispersore mediante tondini
o fascette in rame, in alluminio o in acciaio.
Nel caso invece di impianti (esterni o interni), se le linee sono schermate o sono poste in
canalizzazioni metalliche, è sufficiente collegare gli schermi e le canalizzazioni ad entrambe le
estremità; in caso contrario i conduttori attivi debbono essere collegati, se possibile,
direttamente con i dispersori.
4.18 Impianto di sollevamento
Gli impianti di sollevamento utilizzati negli edifici sono piuttosto diversificati dal punto di
vista delle tipologie (la normativa prevede 5 categorie: A, B, C, D ed E) e in generale possono
essere classificati in base a diversi aspetti (come la velocità o gli organi di sollevamento
adottati, …), anche se la differenziazione più significativa riguarda le modalità di utilizzo.
Più precisamente con il termine ascensore si definisce un apparecchio a motore che collega
diversi piani mediante una cabina che si sposta, lungo guide rigide, in senso verticale (o
eventualmente inclinato di non più di 15° rispetto alla verticale), destinata al trasporto di
persone, di persone e cose o di sole cose e munita di comandi al suo interno o comunque alla
portata di una persona che si trova al suo interno. Diversamente si definiscono montacarichi i
sistemi destinati al trasporto di sole cose, inaccessibili alle persone o, se accessibili, non muniti
di comandi posti all’interno.
La normativa di riferimento è piuttosto corposa; in particolare le norme che regolano i criteri
di progettazione, di collaudo, di controllo e di impiego secondo criteri di sicurezza e di
eliminazione delle barriere architettoniche sono:
¾ D.P.R. 24 dicembre 1951 n. 1767 – Regolamento di esecuzione della Legge
1415/1942 per ascensori ad uso pubblico –;
¾ D.P.R. 29 maggio 1963 n. 1497 – Regolamento di esecuzione della Legge 1415/1942
per ascensori ad uso privato –;
¾ D.M. (Coordinamento delle Politiche Comunitarie) 9 dicembre 1987 n. 587 in
attuazione delle direttive CEE n. 84/529 e n. 86/312 relative agli ascensori elettrici;
¾ D.M. 14 giugno 1989 n. 236 in attuazione della Legge 9 gennaio 1989 n. 13 –
Disposizioni per favorire il superamento e l’eliminazione delle barriere architettoniche
–;
¾ D.P.R. 30 aprile 1999 n. 162 in attuazione della 95/16/CE del 29 giugno 1995 per il
riavvicinamento delle legislazioni degli Stati membri e per la semplificazione dei
procedimenti per la concessione e la relativa licenza d’esercizio;
¾ EN 81: euro norma, messa a punto dal CEN/TC 10, relativa alle regole di sicurezza
per la costruzione, l’installazione e l’utilizzo degli ascensori e montacarichi (parte 1
per ascensori elettrici e parte 2 per ascensori idraulici).
Per quanto riguarda le cantine i sistemi più utilizzati sono:
¾ ascensori adibiti al trasporto di sole persone (categoria A) normalmente a servizio
delle aree tecnico-amministrative se poste oltre il 2° piano o su più piani;
¾ ascensori adibiti al trasporto di cose accompagnate da persone (categoria B) e
montacarichi per trasporto di sole cose ma di dimensioni e capacità tali da consentire
ing. Maines Fernando
399
Elementi per la progettazione di una cantina
Gli impianti di cantina
anche la presenza di persone (categoria C): sono i sistemi decisamente più utilizzati
in presenza di reparti operativi posti su più piani (è questo il caso, ad esempio, delle
cantine strutturate secondo lo schema della torre di vinificazione) per la
movimentazione dei materiali e dei prodotti nel corso delle diverse fasi operative.
Tradizionalmente il sistema di sollevamento più utilizzato è quello a funi, costituito da alcuni
cavi di sospensione collegati alla cabina il cui peso viene controbilanciato da un contrappeso,
anch’esso collegato al sistema di funi. Il movimento è determinato dall’avvolgimento delle funi
su un argano mosso da un motore elettrico. Sempre più diffusi sono ora i sistemi oleodinamici
nei quali la cabina viene sollevata grazie all’azione di un pistone mosso da olio messo in
pressione da un apposito gruppo motore-pompa. Particolarmente efficaci si dimostrano nelle
applicazioni in cantina per le ottime prestazioni operative ma soprattutto perché in questo
ambito risultano ininfluenti i principali limiti che li caratterizzano: velocità non elevate
(generalmente comprese fra 0,63 e 1,00 m/s) e l’applicabilità solo per dislivelli non superiori a
25 ÷ 30 metri.
A completamento di questo quadro preliminare si possono aggiungere le piattaforme
elevatrici con sistema a pantografo comandato da cilindri oleodinamici, generalmente destinate
a movimentare solo cose, in grado di sollevare carichi anche molto elevati; si caratterizzano,
però, per la ridotta altezza di sollevamento (massimo 2 metri).
ing. Maines Fernando
400
Elementi per la progettazione di una cantina
Gli impianti di cantina
La scelta di quale sistema adottare dipende dalle esigenze funzionali e dalle caratteristiche
strutturali ed organizzative della cantina: la dimensione della cantina e la distribuzione spaziale
dei reparti, i processi operativi e le relative modalità di svolgimento, le caratteristiche
(qualitative e quantitative) dei materiali da movimentare o l’indice di affollamento
(considerando operatori di cantina, ospiti e visitatori), la frequenza degli spostamenti, l’entità
dei dislivelli da superare, le velocità richieste, le caratteristiche dei macchinari e dei contenitori
(dimensioni, peso, …) presenti in cantina e, infine, le caratteristiche operative dei mezzi di
trasporto (carrelli elevatori, …) utilizzati per gli spostamenti e per le operazioni di carico e
scarico degli ascensori e dei montacarichi. Dall’analisi di tutti questi elementi è possibile
determinare anche il numero e il corretto posizionamento dei sistemi di sollevamento.
4.18.1 Il vano corsa
Rappresenta
un
elemento
costruttivo
fondamentale in quanto delimita lo spazio in cui
si muove la cabina. Si tratta di un vano
generalmente
chiuso
e
posto
all’interno
dell’edificio anche se, soprattutto per gli
ascensori
destinati
esclusivamente
per
il
trasporto di persone, si possono utilizzare vani
aperti e posti all’esterno.
E’ costituito dalla corsa vera e propria, intesa
come la distanza fra le soglie dei pianerottoli
dell’ultima e della prima fermata e da due
prolungamenti posti alle estremità (extracorse)
necessari per contenere i dispositivi di sicurezza
che consentono di interrompere il moto della
cabina in caso di avaria, evitando eventuali urti
con le strutture dell’edificio. In particolare
l’extracorsa inferiore (o fossa) si prolunga di 1,5
m al di sotto della prima fermata, mentre
l’extracorsa superiore (o testata) si prolunga di
3,7 m oltre la fermata più alta.
Il vano corsa deve essere completamente
chiuso con pareti, pavimento di base e soffitto
ciechi Le strutture murarie (generalmente in c.a.)
devono essere di spessore maggiore di 15 cm ed
internamente intonacate; in alternativa si
possono
usare
altri
materiali,
come
il
vetrocemento, sempre che i VVFF non esprimano
parere contrario (si devono rispettare le
specifiche norme antincendio previste dal D.M.
16 maggio 1987). Se posto all’esterno, non sono
necessarie le strutture murarie ma basta il sostegno di una struttura in acciaio chiusa mediante
una robusta rete metallica con maglie inferiori a 1 cm. In ogni caso i materiali da utilizzare
devono presentare sufficiente resistenza meccanica e risultare incombustibili, durevoli e tali da
non favorire la formazione di polvere.
Per il dimensionamento bisogna tener conto, oltre delle misure della cabine, anche della
presenza del contrappeso (nel caso di impianti di sollevamento a fune) che deve muoversi
nello stesso vano della cabina, e di uno spazio di 15 ÷ 20 cm lungo i fianchi per accogliere le
guide utilizzate per equilibrare il moto della cabina. Infine anteriormente bisogna prevedere
uno spazio, inferiore a 10 cm, per le apparecchiature di comando e di interruzione.
Altre prescrizioni previste dalle normative sono:
ing. Maines Fernando
401
Elementi per la progettazione di una cantina
¾
¾
¾
¾
¾
¾
¾
Gli impianti di cantina
nel caso il vano corsa sia comune a più impianti, la fossa di ciascun ascensore deve
essere separata dalle altre mediante solidi elementi di protezione in materiale
incombustibile di altezza superire a 2 metri;
presenza di un sistema di illuminazione costituito da una lampada in testata ed una
nella fossa, oltre ad una serie intermedia di lampade a distanza di almeno 7 metri
una dall’altra;
il vano corsa non deve contenere canne fumarie, condutture o tubazioni che non
siano a servizio dell’impianto;
le aperture delle fermate devono avere un altezza non inferiore ai 2 metri;
eventuali riseghe nelle pareti devono essere raccordate verso l’alto con uno smusso
inclinato rispetto alla verticale di un angolo inferiore a 45°;
nel caso di vani corsa di lunghezza superiore ai 20 metri, è necessario predisporre
alla sommità un’apertura di aerazione, per lo smaltimento dei fumi in caso di
incendio, non inferiore al 3 % della sezione orizzontale del vano e comunque non
inferiore a 0,2 m2. E’ possibile utilizzare camini per attraversare l’eventuale locale
macchine, purché eseguiti con materiali di resistenza al fuoco pari a quella del vano
corsa;
presenza di porte di soccorso (con luce non inferiore a 1,8 x 0,35 m) se la distanza
tra due soglie di piano consecutive supera gli 11 m.
ing. Maines Fernando
402
Elementi per la progettazione di una cantina
Gli impianti di cantina
4.18.2 Il locale macchine
E’ destinato ad accogliere in modo appropriato ed esclusivo le apparecchiature appartenenti
all’impianto elevatore.
L’accesso, consentito alle sole persone autorizzate attraverso una porta di dimensioni di
almeno 0,60 x 1,80 m, con apertura verso l’interno e munita di serratura a chiave, deve
avvenire in condizioni di sicurezza attraverso vie perfettamente illuminate e senza richiedere il
passaggio attraverso luoghi privati.
Il locale va dimensionato in modo da consentire un’agevole manutenzione e l’ispezione di
tutte le sue parti: l’altezza non deve essere inferiore ai 2 m e si deve assicurare uno spazio
non inferiore a 0,6 m attorno al motore. Per lo stesso motivo si deve predisporre un impianto
di illuminazione efficiente (in modo da avere almeno 200 lux a livello del pavimento) munito
anche di prese per lampada portatile e di un interruttore di accensione in prossimità della porta
di accesso. L’interruttore generale manuale deve essere facilmente accessibile e protetto
contro contatti occasionali.
Anche in questo caso non devono essere presenti canne fumarie, condutture o tubazioni che
non siano pertinenti e le strutture devono possedere una resistenza al fuoco equivalente a
quelle del vano corsa; il locale deve presentare, inoltre, un buon isolamento termico (la
temperatura all’interno del locale deve essere in qualsiasi periodo dell’anno compresa tra i 5 e i
ing. Maines Fernando
403
Elementi per la progettazione di una cantina
Gli impianti di cantina
40 °C) ed una superficie di areazione (realizzata con finestre o camini) non inferiore al 3 %
della superficie del pavimento e comunque non minore di 0,05 m2.
Nel caso degli impianti a fune il locale macchine viene
utilizzato per alloggiare l’argano elettrico, l’argano
supplementare, il gruppo motore fissato ad un basamento
in calcestruzzo o in putrelle di acciaio, opportunamente
dimensionato, e i quadri di manovra chiusi in armadi ben
visibili e facilmente ispezionabili e posti il più possibile
lontano dagli organi in movimento. Generalmente si
preferisce posizionare il locale macchine al di sopra
dell’extracorsa superiore in quanto questa soluzione
consente operazioni di manutenzione più agevoli, una
minore lunghezza delle funi, una struttura più semplice e
maggiori rendimenti. Di contro diventa necessario
fuoriuscire dal tetto a causa di un ingombro di almeno 5,7
m; inoltre si ha la formazione di rumori indotti da
vibrazione che richiedono idonei interventi di isolazione
delle strutture e dei macchinari mediante materiali
fonoisolanti a celle aperte e fonoassorbenti (panelli in fibra
di vetro, in lana di roccia o in fibra di legno). In alternativa
si può posizionare il locale in basso al di sotto della fossa,
soluzione che si caratterizza per una maggiore silenziosità
ma anche per le maggiori difficoltà di manutenzione in
quanto si deve operare in un ambiente di solito angusto;
inoltre si rende necessaria l’installazione di un argano di
rinvio al di sopra all’extracorsa superiore.
Le strutture portanti le macchine e le pulegge di rinvio
devono essere calcolate37 per assicurare elevati livelli di
sicurezza.
Per gli elevatori oleodinamici, invece, si può utilizzare
anche un locale non adiacente al vano corsa,
caratterizzato anche da un ridotto fabbisogno di spazio per
la presenza di un sistema più semplice (serbatoio e gruppo
motore-pompa racchiuso in apposito armadio con accanto
il quadro contenente le apparecchiature elettroniche di
comando).
4.18.3 Il sistema di sollevamento a funi
Per edifici non eccessivamente alti (5 piani)
e per velocità di corsa fino a 0,7 m/s, il
motore di sollevamento (o motore principale),
che regola l’avvolgimento delle funi su un
argano, è generalmente di tipo asincrono
trifase alimentato con tensione a 400 V,
associato ad un riduttore a vite con puleggia di
trazione e da freno elettromagnetico; ad esso
viene affiancato un motore livellante che entra
in funzione all’atto dell’arresto per rallentare e
portare dolcemente la cabina a livello. Per
velocità maggiori si adottano motori a doppia
37
Le strutture vanno dimensionate per sostenere carichi 1,5 volte superiori al carico statico massimo trasmesso da
funi o catene, compreso il peso proprio, con un coefficiente di sicurezza non inferiore a 6, mentre la freccia elastica
deve essere inferiore a 1/1500 della lunghezza libera.
ing. Maines Fernando
404
Elementi per la progettazione di una cantina
Gli impianti di cantina
velocità oppure corredati di dispositivo elettronico per il controllo della velocità, in grado di
variare sia la tensione sia la frequenza di alimentazione del motore. La potenza assorbita varia
a partire da 3,5 kW.
Le funi, in numero non inferiore a 2, sono costituite da trefoli di acciaio al cromo (di classe
A secondo UNI 1478 e UNI 1482 con carico di rottura compreso fra 1200 e 1800 N/mm2), con
struttura spiroidale a basso numero di fili avvolti attorno all’anima centrale; il diametro
nominale non è mai inferiore a 8 mm (0,5 mm per i singoli fili) mentre il diametro delle
pulegge deve essere eguale o maggiore a 40 volte quello delle funi; queste vengono
dimensionate e verificate a trazione per il carico statico massimo di esercizio con coefficiente di
sicurezza non minore di 12.
Le funi devono essere sottoposte ad una accorta manutenzione periodica (buon lavaggio con
olio e nafta e accurata lubrificazione due volte all’anno) e devono essere sostituite quando nel
tratto più deteriorato, in una lunghezza pari a 10 diametri nelle funi a 6 trefoli e a 8 diametri in
quelle a 8 trefoli, i fili rotti visibili hanno sezione complessiva maggiore del 10 % di quella della
fune.
ing. Maines Fernando
405
Elementi per la progettazione di una cantina
Gli impianti di cantina
E’ presente anche un contrappeso per bilanciare il peso della cabina (incrementato del 50
% del carico utile), costituito di elementi di ghisa di 40 cm x 10 cm, di lunghezza non superiore
all’altezza della cabina, che corre entro guide metalliche costituite da tondini di ferro o cavi di
acciaio e sostenuto da due funi che fanno capo al tamburo.
Per evitare le oscillazioni nel moto di scorrimento della cabina e per garantire l’arresto in
caso di guasto, sono presenti gli elementi di guida (a pattini o a ruote), costituiti da profilati
a T rigidamente fissati alla struttura portante, di lunghezza sufficiente a garantire anche il
movimento nell’extracorsa. Vengono dimensionate come una trave semplicemente appoggiata
a due ancoraggi successivi con coefficiente di sicurezza non inferiore a 4 e freccia elastica non
maggiore di 7 mm; è fondamentale assicurare un’elevata accuratezza nella loro messa in
opera (perfetta verticalità).
Completano il sistema un argano ausiliario (di tipo manuale o elettrico, in funzione dello
sforzo richiesto) ed un quadro elettrico di comando e di controllo, posto in luogo asciutto e ben
aerato, montato su profilati in acciaio e racchiuso in una idonea protezione.
4.18.4 Il sistema di sollevamento oleodinamico
La cabina e il suo sostegno (arcata) vengono sollevate da
uno o più pistoni che scorrono ciascuno entro un cilindro,
grazie all’energia fornita da olio. Questo, prelevato da un
serbatoio, viene messo in pressione mediante un apposito
gruppo costituito da un motore elettrico asincrono trifase e da
una pompa a vite ad alto numero di giri ed elevate portate,
che assorbe una potenza a partire da 12 kW. Inoltre è
presente una serie di valvole per assicurare un funzionamento
regolare e corretto.
I sistemi di sollevamento oleodinamico vengono classificati
in base alle modalità di collegamento dei pistoni alla cabina. In
caso di corse di lunghezza rilevante (comunque inferiore ai 30
metri) e di velocità elevate, si utilizzano sistemi in cui il
pistone agisce indirettamente sulla cabina a mezzo di funi; in
tal modo è possibile variare il valore della taglia definito come
rapporto fra la corsa del cilindro e quella della cabina. I sistemi
ad azione diretta, invece si adottano per carichi elevati e corse
relativamente brevi; il cilindro è collegato direttamente alla
cabina, lateralmente ad essa (nel caso di corse di 3 ÷ 4 metri)
oppure centralmente ad di sotto la cabina; in questo caso è
necessario l’interramento del cilindro (per una profondità pari
alla corsa della cabina) o l’uso di cilindri telescopici.
Il movimento di discesa avviene a motore elettrico
disinserito in quanto è sufficiente il peso proprio della cabina
per spingere l’olio verso il serbatoio, attraverso la valvola di
regolazione della pressione (tarata in modo che la velocità
rimanga costante), garantendo il funzionamento anche in
assenza di corrente elettrica.
Questo sistema si caratterizza per un funzionamento molto
silenzioso, con partenze ed arrivi molto dolci, livellamenti ai
pianti molto precisi (nell’ordine dei 5 mm). La manutenzione è
molto limitata e il fabbisogno di spazio si riduce a quello della cabina, per l’assenza del
contrappeso (in particolare nel caso di sistema con pistone diretto centrale). Inoltre tutto il
sistema è stabilmente appoggiato a terra dove si scarica tutto il peso senza dover sollecitare le
pareti del vano. Questo determina una maggiore facilità di inserimento dell’impianto nella
struttura della cantina, non essendo richieste murature portanti e grazie alla maggior libertà
nel collocare il locale macchine, che, in questo caso, si contraddistingue per il ridotto
fabbisogno di spazio e per la possibilità di trovare posto in un locale non necessariamente
sopra o sotto il vano corsa.
ing. Maines Fernando
406
Elementi per la progettazione di una cantina
Gli impianti di cantina
4.18.5 La cabina
La cabina, di altezza sempre superiore a 2 m, deve assicurare una portata P (espressa in N)
che dipende dalla sua superficie, calcolabile mediante la seguente formula:
P = (600 A − 400 A + 150) ⋅ 9,8
Le EN 81, invece, propone la seguente tabella valida indipendentemente dalla destinazione:
portata
(kg)
300
375
400
450
525
600
630
675
750
800
825
900
1100
1125
1200
1350
1425
1500
1600
1800
2100
2500
ing. Maines Fernando
superficie utile
max
(m2)
0,90
1,10
1,17
1,30
1,45
1,60
1,66
1,75
1,90
2,00
2,05
2,20
2,40
2,65
2,80
3,10
3,25
3,40
3,56
3,88
4,36
5,00
numero max
persone
4
5
5
6
7
8
8
9
10
10
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Gli impianti di cantina
Per portate superiori ai 2500 kg si deve aggiungere 0,16 m2 per ogni 100 kg.
Nel caso particolare di ascensori riservati a persone, la normativa relativa all’eliminazione
delle barriere architettoniche prevede dimensioni minime di 1,40 x 1,10 m con una piattaforma
di attesa di almeno 1,40 x 1,40 m.
Altri vincoli dimensionali sono:
¾ l’autolivellamento non deve essere superiore a 20 mm;
¾ la distanza tra soglia della porta di piano ed il bordo esterno della cabina non deve
superare i 30 mm;
¾ la distanza tra esterno della cabina e pareti verticali del vano non deve essere
inferiore a 5 cm;
¾ la distanza tra le porte della cabina (chiusa) e le porte ai piani non deve essere
superiore a 12 cm.
Per quanto riguarda gli elementi costitutivi (pavimento, pareti e tetto) si devono adottare
materiali pieni, di sufficiente resistenza meccanica e non pericolosi del punto di vista della
sicurezza incendi. Per le rifiniture interne si utilizzano materiali come il laminato plastico,
l’acciaio o l’alluminio anodizzato per assicurare elevati standard estetici per gli ascensori
riservati alle persone o resistenza meccanica e facilita di pulizia per gli ascensori utilizzati per
la movimentazione di materiali. In particolare nel caso di utilizzo di carrelli elevatori o altri
mezzi meccanici per il carico e lo scarico di materiali, è importante curare la pavimentazione ed
il rinforzo delle soglie. Infine al disotto della soglia si deve predisporre una robusta protezione
verticale, alta almeno 75 cm e con bordo inferiore inclinato.
Per assicurare una abbondante aerazione la cabina deve presentare aperture poste sia nella
parte alta che nella parte bassa, pari almeno al 2 % della superficie utile; inoltre deve essere
presente un sistema di illuminazione (obbligatorio e permanente) caratterizzato da una
maggiore intensità luminosa con cabina occupata (almeno 50 lux al suolo ed in prossimità dei
comandi). Completa la dotazione una luce di emergenza con autonomia di almeno 3 ore.
Le porte della cabina, così come quelle di piano, devono essere metalliche e a parete
continua, se in vano chiuso, altrimenti a griglie metalliche, dotate comunque di una robusta
intelaiatura indeformabile di spessore non inferiore a 40 mm. Sono ormai quasi esclusivamente
di tipo scorrevole con movimenti opposti o telescopici a comando automatico, dotate di
contatto in grado di rilevare un eventuale impedimento corrispondente ad uno sforzo superiore
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Elementi per la progettazione di una cantina
Gli impianti di cantina
a 10 kg, oppure di un dispositivo a fotocellula, posta ad un’altezza di 50 cm, atto a garantire la
riapertura delle porte nel caso di interruzione del fascio di luce. Se all’interno è presente una
pulsantiera, questa deve essere posta su parete laterale ad almeno 35 cm dalla porta, ad un
altezza compresa tra 1,1 e 1,4 m e comprendere anche i pulsanti di arresto e di allarme. In
particolare gli ascensori destinati al trasporto di sole persone devono presentare tasti con
numerazioni in rilievo e scritte in alfabeto Braille, di una placca di riconoscimento del piano
sempre in Braille, di un citofono posto ad un’altezza compresa fra 1,1 m e 1,3 m, di un
avvisatore acustico per segnalare l’arrivo al piano e di sistemi per garantire aperture della
porte per almeno 8 secondi e tempi di chiusura di almeno 4 secondi.
4.18.6 I dispositivi di sicurezza
Il D.M. 587/1987, così come successivamente la EN 81, al fine di assicurare elevati livelli di
sicurezza prescrive la presenza di diversi dispositivi:
¾ luci o indicazioni luminose per verificare la presenza e l’arresto ai vari piani, pulsante
di arresto durante la corsa in cabina e pulsante apri porta in casi di avaria;
¾ citofono bidirezionale installato in cabina e collegato permanentemente con un centro
di pronto intervento;
¾ numerosi contatti di sicurezza per interrompere il funzionamento del macchinario
nelle diverse situazioni di intervento dei sistemi di sicurezza;
¾ segnale di allarme con alimentazione indipendente da quella del macchinario;
¾ luce di emergenza;
¾ porte di piano e di cabina con dispositivi che ne consentano l’apertura solo quando la
cabine è al piano; per lo stesso motivo le porte di piano non devono potersi aprire se
la cabina è in movimento;
¾ congegno di arresto che blocca la cabina alle guide in caso di rottura delle funi o di
velocità eccessiva. Si tratta di un limitatore di velocità, detto paracadute, che entra
in funzione (sia in salita che in discesa) quando la velocità supera del 15 % quella
nominale, coni tempi di intervento molto brevi; sono a presa progressiva per velocità
maggiori di 1 m/s oppure a presa istantanea, con o senza effetto ammortizzato, per
velocità minori;
¾ ammortizzatori (a molla o a fluido) che entrano in funzione in caso di urti contro le
solette che limitano le extracorse in caso di tempi non sufficienti per far intervenire il
paracadute; possono essere ad accumulo di energia, con movimento di ritorno
ammortizzato oppure a dissipazione di energia;
ing. Maines Fernando
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Elementi per la progettazione di una cantina
Gli impianti di cantina
dispositivo di manovra di emergenza (di tipo manuale o elettrico, in funzione dello
sforzo richiesto), per portare la cabina in corrispondenza del piano più vicino in caso
di avaria con fermata in posizione interpiano;
¾ grembiule di almeno 75 cm sotto la soglia;
¾ pulsantiera ed interruttori nei locali di rinvio e nella fossa;
¾ blocco della cabina in caso di presenza di sovraccarico;
¾ balaustra e pulsantiera di comando sul tetto della cabina.
La certificazione dei sistemi per la sicurezza è un elemento fondamentale nella procedura
per ottenere l’autorizzazione all’installazione di un sistema di sollevamento (il relativo iter
burocratico sarà descritto nello specifico paragrafo del capitolo 6). Infatti il D.P.R. 162/99
prescrive l’obbligo per gli installatori di apporre la marcatura CE per i singoli componenti di
sicurezza e per l’intero sistema di sollevamento, a seguito di prove e verifiche svolte
autonomamente, se in possesso di un sistema qualità certificato, oppure a seguito di collaudo
svolto da uno degli organismi autorizzati.
¾
Sono previsti, inoltre, un collaudo precedente all’attivazione da parte degli ispettori delle
ASL preposti ed una serie di controlli e di prove periodiche relative a diversi componenti (funi,
interruttori di extracorsa, paracadute e limitatore di velocità, ammortizzatori, …), durante i
quali il responsabile dell’impianto deve mettere a disposizione del tecnico manutentore il
libretto con le caratteristiche dell’impianto (data di messa in esercizio, le caratteristiche delle
funi, le modifiche effettuate e le eventuali sostituzioni di funi o di parti principali, la copia della
dichiarazione di conformità, la copia della comunicazione al competente ufficio comunale e
numero di matricola assegnato, le copie datate dei verbali di controllo e delle visite di
sopralluogo, …).
Va sottolineato che le verifiche biennali, quelle straordinarie e gli interventi immediati in
caso di emergenza, rappresentano la principale voce delle spese di gestione, decisamente più
significativa di quella relativa al consumo di energia elettrica.
Il collaudo e i controlli dovrebbero anche verificare il rispetto della normativa relativa alle
disposizioni per favorire il superamento e l’eliminazione delle barriere architettoniche, il quale
prescrive che l’uso della cabina non deve essere ostacolato alle persone disabili.
ing. Maines Fernando
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Elementi per la progettazione di una cantina
Gli impianti di cantina
4.19 Impianti di ricetrasmissione e impianto antintrusione
Si tratta apparentemente di due impianti privi di elementi comuni visto che i dispositivi di
ricetrasmissione (impianto telefonico e di trasmissione dati) hanno il compito di migliorare e
rendere più efficiente il sistema di comunicazione con l’esterno e fra i diversi reparti, mentre
l’impianto antintrusione ha come obiettivo quello di migliorare il livello di protezione e di
sicurezza nei confronti di furti o di atti di vandalismo.
Entrambi gli impianti, però, sono accomunati dal tipo di struttura, costituita da una rete di
cavi (conduttori elettrici a bassa tensione) utilizzati per la trasmissione di segnali fino ai diversi
utilizzatori (apparecchi telefonici, personal computer, centraline, …) in grado di trasformare i
segnali in informazioni direttamente utilizzabili (suoni, immagini, documenti, …).
Le informazioni da trasferire possono essere molto diversificate da un punto di vista
tipologico. Si devono gestire, infatti, dispositivi di uso generale (telefono, internet, video
conferenze, telefax), trasferire i segnali provenienti dai sensori di diversi impianti
(antintrusione, antincendio, condizionamento ambientale, …), monitorare e controllare il
funzionamento di impianti specifici del processo di vinificazione (allontanamento dell’anidride
carbonica, regolazione delle temperature di fermentazione, sistemi di refrigerazione e linee per
il trasferimento del pigiato e del vino, …). Nelle situazioni più complesse può risultare
necessario adottare un sistema di trasmissione integrato
ottenuto mediante cablaggio dell’intera cantina (per alcuni
servizi si possono adottare, in alternativa, sistemi di
trasmissione via antenna (wireless). Anche l’adozione di rete a
fibre ottiche consente di gestire strutture operative molto
complesse e con elevati scambi di informazioni. Diventa
possibile, in questo modo, trasmettere con ingombri molto
ridotti tutti i segnali prodotti dai diversi impianti, ed effettuare
in modo veloce la modifica o il potenziamento dell’intero
sistema. L’obiettivo è quello di strutturare la cantina in modo
che gli elementi architettonici, i diversi impianti, i processi
produttivi ed il sistema di gestione formino un sistema
integrato, al fine di migliorare l’efficienza operativa, di ridurre i
consumi energetici ed di aumentare i livelli di sicurezza.
4.19.1 Impianto telefonico
ing. Maines Fernando
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Elementi per la progettazione di una cantina
Gli impianti di cantina
Le caratteristiche dell’impianto, in termini di complessità strutturale (numero di apparecchi
collegati, il loro tipo e le modalità di allacciamento), dipendono dalle caratteristiche della
cantina ed in particolare dal numero di operatori e dalla complessità strutturale ed
organizzativa. Nelle piccole cantine sono sufficienti alcuni telefoni (nell’ufficio e/o nel
laboratorio) collegati direttamente alla linea telefonica, mentre nelle grandi cantine viene
installato un elevato numero di apparecchi (sia di tipo fisso che di tipo cordless) soprattutto nei
locali dell’area tecnico-amministativa. La gestione dei collegamenti con la rete esterna e fra gli
apparecchi della rete interna viene assicurata da un’unità centrale (centralino) in grado anche
di fornire diversi servizi particolari (segreteria telefonica, rinvio della chiamata al centralino,
…).
L’impianto telefonico è generalmente costituito dalle seguenti parti:
¾ i cavi di raccordo per collegare l’impianto interno con la rete esterna. Vengono
installati entro tubazioni in materiale plastico (PVC) di adeguato spessore e di
diametro in base al numero di utilizzatori, in modo che il percorso dei cavi possa
essere facilmente ispezionabile ed accessibile in qualsiasi momento ed in ogni punto.
Generalmente i tubi sono disposti sotto traccia oppure vengono fissati con graffe ai
muri, secondo percorsi rettilinei raccordati con tratti curvi con raggio di circa 50 cm;
¾ un armadio, munito di sportello e serratura e fornito dal gestore del servizio, per
l’ispezione e la protezione dei terminali della rete telefonica esterna. Viene installato
in una nicchia predisposta durante l’esecuzione delle opere edili assieme alle
eventuali tracce per i tubi di collegamento;
¾
¾
le colonne montanti per collegare l’armadio dei terminali, mediante cordoncini
bipolari costituiti generalmente da doppini semplici o doppi, i diversi piani
dell’edificio. Si utilizzano tubazioni in materiale plastico, prive di rugosità interna e di
strozzature, con curve di raggio pari ad almeno 10 volte il diametro del tubo, poste
generalmente sotto traccia o fissate a muro entro apposite canalette. Spesso
condividono il percorso con altri impianti (rete informatica, sistemi di sicurezza, ...)
purché le tubazioni risultino separate e comunque sempre distinte da quelle utilizzate
per la rete elettrica. I cavi che corrono nelle colonne montanti fanno capo alle scatole
di derivazione di ciascun piano interessato dall’impianto; si tratta di appositi
contenitori in materiale plastico muniti di coperchio, di dimensione 20 x 14 x 7 cm,
incassate nella parete in prossimità del pavimento ad un altezza di 20 ÷ 25 cm;
le diramazioni per raggiungere i singoli punti di utilizzo di ogni reparto, a partire dalle
scatole di derivazione, poste all’interno di tubi in materiale plastico di diametro
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Elementi per la progettazione di una cantina
Gli impianti di cantina
inferiore ai 16 mm; ciascun punto-telefono è costituito da una o più scatole unificate,
incassate nella muratura oppure esterne, che contengono i dispositivi (frutti
telefonici) scelti a seconda delle necessità del reparto (presa telefonica, soneria
terminale, …).
La grande diffusione dei telefoni cellulari ha in parte modificato la struttura dell’impianto
telefonico così come appena descritta, in particolare per quei reparti dove operano persone che
non hanno postazioni di lavoro fisse nel tempo (enologo, operatori di cantina, …). Molti gestori
telefonici propongono per le utenze aziendali appositi contratti con tariffe e condizioni
particolari, che prevedono l’utilizzo di telefoni cellulari abilitati a contattare solo apparecchi
interni (altri telefoni cellulari in dotazione a personale interno o telefoni fissi dei reparti tecnico
amministrativi) e/o un numero limitato di utenti esterni.
L’impianto telefonico è anche utilizzato per il collegamento a Internet. In funzione del
numero di personal computer presenti in cantina e delle necessità organizzative si possono
predisporre collegamenti alla rete più o meno veloci ed efficienti (ASDL). Sistemi equivalenti di
trasmissione sono utilizzati per creare un eventuale rete interna fra i supporti informatici
(server, elaboratori centrali, terminali, personal computer, stampanti, …) presenti in reparti
diversi. Tali sistemi di connessione possono variare in modo significativo, in termini di
complessità e di prestazioni, in funzione delle dimensioni della struttura organizzativa e delle
relative esigenze, del livello di automazione e di informatizzazione dei processi produttivi e di
gestione amministrativa. Rete di trasmissione e sistemi di connessione variano, inoltre, in
funzione dei componenti hardware utilizzati, del software scelto per la gestione e del protocollo
di trasmissione adottato. Queste sono scelte che richiedono l’intervento di specifiche figure
professionali per la progettazione e la successiva gestione del sistema.
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Elementi per la progettazione di una cantina
Gli impianti di cantina
Connesso all’impianto di comunicazione si può predisporre anche un sistema citofonico o
videocitofonico (semplice sistema di televisione a circuito chiuso costituito da una piccola
telecamera posta all’entrata e da un piccolo monitor) integrato con un sistema di telecomando
per l’apertura automatica di eventuali cancelli di ingresso. A tale scopo si utilizzano sistemi a
funzionamento elettromeccanico (generalmente a scorrimento su cremagliera) o a
funzionamento elettro-oleodinamico (con martinetto idraulico interrato o a bracci telescopici).
Per garantire sicurezza allo schiacciamento i primi utilizzano fotocellule o radar mentre i
secondi sono dotati di sistemi di sicurezza intrinseca. L’adozione di tali sistemi richiede la
predisposizione di idonee opere di carattere edile per conferire al cancello la necessaria
resistenza meccanica alle sollecitazioni del meccanismo di apertura (pilastrini e trave) e per
assicurare il collegamento dei cavi di alimentazione elettrica e di trasmissione dei segnali.
4.19.2 Sistemi antintrusione
Purtroppo anche le cantine non sono immuni dal rischio di subire furti soprattutto nel caso
di produzioni particolarmente pregiate o in presenza di punti vendita con significativi volumi di
vendita. Non mancano nemmeno le possibilità di subire atti di vandalismo (in particolare nel
caso di cantine localizzate in luoghi isolati lontano da centri abitati) con conseguenze
economiche che si aggravano proporzionalmente al contenuto tecnologico degli impianti e delle
attrezzature, al livello qualitativo delle produzioni e al valore degli arredi e delle soluzioni
architettoniche adottate.
La protezione della cantina può essere affidata a sistemi passivi, intendendo con ciò tutti gli
accorgimenti costruttivi che possono ostacolare i tentativi di effrazione (porte blindate, finestre
antisfondamento, serrature di sicurezza, muri di cinta, ringhiere e cancellate...) oppure a
sistemi attivi, sistemi cioè che intervengono in presenza di pericolo mediante dispositivi di
segnalazione, di dissuasione, di prevenzione o di difesa.
In generale un impianto antifurto è composto da una centralina di controllo costantemente
in stato di allerta e da un certo numero di sensori (rilevatori di presenza) che in condizioni di
funzionamento normale mantengono attivi dei circuiti elettrici. In presenza di un tentativo di
intrusione viene inviato un segnale anomalo alla centralina che provvederà ad effettuare le
azioni programmate: attivare segnalatori sonori e luminosi, trasmettere l’allarme a distanza
(alle forze dell’ordine, al proprietario o ad una agenzia di sicurity) mediante un combinatore
telefonico.
Trattandosi di componenti elettrici ed elettronici sparsi in diversi punti della cantina, la
comunicazione tra la centralina ed i sensori può avvenire in due modi: tramite cavi elettrici
(impianti cablati) o per mezzo di onde radio (impianti senza fili o wireless). I due metodi di
comunicazione comportano, ovviamente, una diversa tipologia costruttiva dei componenti e
dell’impianto stesso.
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Elementi per la progettazione di una cantina
Gli impianti di cantina
I primi hanno il vantaggio di essere più economici e, spesso, più sicuri, ma nel contempo
richiedono la predisposizione di una rete di cavi che rende più lunga e difficoltosa
l’installazione.
Gli impianti wireless, invece, sono molto facili da installare (soprattutto nel caso di interventi
in cantine già esistenti senza condotte predisposte all’alloggiamento dei cavi), ma i loro
componenti sono più costosi e, se di bassa qualità, più facilmente neutralizzabili.
Risulta evidente che per poter operare una corretta scelta del sistema da adottare sia
necessaria una attenta valutazione dei rischi (da mettere a confronto con i costi di acquisto e
di installazione dell’impianto antintrusione) e delle specificità della cantina in relazione alle
caratteristiche degli ambienti da sottoporre a protezione (che normalmente si limitano agli
uffici, al punto vendita e ai magazzini del prodotto finito e pronto per la commercializzazione).
Le centraline per impianti cablati sono le più sicure, soprattutto se gestite da
microcontrollore e più efficaci delle tradizionali centraline a integrati digitali. Si caratterizzano
in base ad numero di linee di comunicazione con i sensori (ingressi d’allarme) e al metodo di
gestione.
Le centraline wireless, invece, comunicano con i sensori tramite segnali radio codificati;
l’affidabilità dell’intero sistema dipende dal livello di sofisticatezza del sistema di codifica e di
trasmissione dei segnali.
In entrambi i casi le centraline hanno la possibilità di funzionare in modo differenziato e
parzializzato in diverse aree dell’edificio da proteggere (qualche modello è anche in grado di
funzionare senza alimentazione di rete) ed è possibile l’attivazione e la programmazione via
telefono. Tuttavia il sistema più diffuso per attivare e disattivare l’impianto è dato dagli
inseritori che possono essere dei seguenti tipi:
chiave meccanica;
chiave Dallas che comunica con una scheda a microprocessore installata
internamente od esternamente all’ambiente da proteggere (se interna il sistema si
attiverà con qualche secondo di ritardo per consentire l’uscita e la chiusura delle
porte);
¾ radiocomando a codifica fissa o del tipo rolling code (il tipo di codifica viene variato
ad ogni attivazione secondo algoritmi complessi e diversi per ogni esemplare;
¾ smart card (tessera) contenete un microcontrollore appositamente programmato che
scambia informazioni con una apposita scheda collegata alla centralina;
¾ trasponder contenente un chip che dialoga con un dispositivo omologo presente nella
centralina.
Per quanto riguarda i sensori, questi possono essere perimetrali (proteggono determinate
parti che costituiscono l’involucro dell’edificio) oppure volumetrici (proteggono lo spazio
interno).
I primi agiscono contro i tentativi di apertura di porte e finestre o l’effrazione violenta di
serramenti in modo che la centralina possa agire prima dell’entrata dell’intruso all’interno
dell’edificio. Ne esistono differenti versioni in base all’applicazione: contatti magnetici di
diverso tipo (ad esempio a sigaretta incassati nel legno delle finestre) costituiti da due
elementi metallici collocati sulla parte fissa e su quella mobile del serramento, a corda per
tapparelle, contatti ad alta tolleranza per porte basculanti e portoni metallici, ultrapiatti per
avvolgibili, piezoelettrici contro la rottura dei vetri, inerziali contro i tentativi di sfondamento,
¾
¾
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Elementi per la progettazione di una cantina
Gli impianti di cantina
sensori a peso (da inserire sotto i tappeti o da interrare) che si attivano quando vengono
calpestati.
I sensori volumetrici, invece, possono essere a infrarossi passivi (individuano le variazioni
termiche prodotte dal movimento dell’intruso) oppure a microonde o radar, adatti per
installazioni in grandi ambienti. Per ridurre il problema dei falsi allarmi risultano molto efficaci i
sensori a doppia tecnologia, ottenuti dalla combinazione dei due tipi di sensori volumetrici, in
quanto l’allarme scatta solo se entrambi i sistemi segnalano una presenza estranea.
Meno utilizzati per le cantine sono i sistemi di rivelazione per esterni. Si basano su
tecnologie più complesse: sensori a infrarossi attivi o a microonde dotati di apparato
trasmettitore e apparato ricevente, oppure sistemi interrati che si caratterizzano per l’elevata
immunità alle condizioni atmosferiche e per la difficoltà di individuazione.
Infine i sistemi di risposta all’effrazione più adottati sono:
¾ le sirena da interno e/o da esterno, installate per resistere ai tentativi di
manomissione e in modo di scattare anche se viene tagliato il cavo di collegamento.
Devono essere munite di temporizzatore (è vietato lasciarle suonare
ininterrottamente) e si caratterizzano per un livello di circa 110 dB ad una distanza di
un metro. Sono generalmente associate con un sistema di segnalazione luminosa
(lampeggianti) o ad un comando di accensione automatica dell’impianto di
illuminazione interno e/o esterno dell’edificio;
¾ i combinatori telefonici che compongono una serie di numeri di telefono impostati
dell’utente, fino a quando uno di essi non risponde, e trasmettono un messaggio
registrato o una nota di allarme.
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