carne di selvaggina riscoperta da chef e nutrizionisti il

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carne di selvaggina riscoperta da chef e nutrizionisti il
L’iniziativa presentata nella giornata conclusiva della 26ª edizione di Eurocarne, a Veronafiere
CARNE DI SELVAGGINA RISCOPERTA DA CHEF E NUTRIZIONISTI
IL PROGETTO DI FILIERA DELL’APPENNINO BOLOGNESE
Verona, 13 maggio 2015 – L’attività di caccia per il controllo faunistico diventa opportunità per la creazione
di una filiera della cacciagione per ristorazione e consumatori. È questo l’obiettivo del progetto di cui è
capofila l’Emilia-Romagna, presentato questa mattina a Veronafiere nella giornata conclusiva della 26ª
edizione di Eurocarne, il salone internazionale dedicato al comparto delle carni (www.eurocarne.it).
Il presupposto è che l’attività venatoria, gestita come strumento di gestione del territorio, oggi è
imprescindibile, come spiega Maria Luisa Zanni, responsabile pianificazione faunistica dell’Emilia-Romagna:
«Dagli anni ’50 in Italia gli animali selvatici hanno iniziato a ri-colonizzare l’ecosistema e, se da un lato questo
è positivo per la ricchezza della biodiversità, dall’altro può causare problemi alle colture agricole. Nel solo
2014, la Regione ha stanziato quasi 300mila euro di risarcimenti agli agricoltori per i danni causati dagli
ungulati».
In mancanza di predatori naturali, serve un programma di “prelievo tecnico” per riportare la densità ottimale
di animali allo stato brado, compatibile con l’ambito territoriale. Nel 2014, in Emilia-Romagna, ciò si è
tradotto in circa 40mila abbattimenti autorizzati su una popolazione di 100mila caprioli, almeno 80mila
cinghiali, 7mila cervi e 6mila daini.
Come non sprecare, quindi, e valorizzare la carne di questa selvaggina? La risposta arriva dalla Macelleria
Zivieri di Monzuno (Bologna) che ha sviluppato una serie di collaborazioni con la Provincia e la Auls di Bologna
e l’Unione dei Comuni dell’Appennino Bolognese per la realizzazione di una filiera dedicata alle carni degli
ungulati selvatici. «L’idea – racconta Aldo Zivieri – è quella di mettere a disposizione di ristoranti e privati
una carne cresciuta, macellata e lavorata esclusivamente sull’Appennino Bolognese, certificata ed autorizzata
alla vendita secondo le direttive comunitarie, sia come prodotto fresco, stagionato o insaccato».
Oggi la selvaggina rappresenta un prodotto normalmente estraneo ai gusti e alla cucina moderna e si ritrova
principalmente in sughi e insaccati, nonostante sia una carne dagli aspetti nutrizionali eccellenti e
completamente naturale. Il cinghiale, ad esempio, ha un perfetto rapporto tra grassi saturi e polinsaturi e tra
Omega 3 e Omega 6. Ristoratori e consumatori stanno riscoprendo piatti come carpacci, roast beef e tartare
di selvaggina. Preparazioni a volte molto raffinate quali alcune ricette consigliate da Zivieri: ravioli di
ossobuco di cervo, melograno, rosmarino e salsa di cottura, oppure il polpettone di selvaggina in salsa di uva,
fichi e cipolla di Medicina, o ancora la battuta di coltello di cervo, sale di Cervia, finocchio selvatico di Badolo
e olio di Brisighella.
Il progetto di filiera della selvaggina dell’Appennino Bolognese dedica particolare attenzione alla sicurezza
alimentare, trattandosi di un tipo di carne che andrebbe consumata poco cotta, o anche cruda. «Per questo
– fa sapere Roberto Barbani, dirigente dell’Auls di Bologna – è necessario un preciso controllo sanitario e il
rispetto di una serie di buone pratiche che iniziano nei momenti successivi all’abbattimento dell’animale. Per
avere carni microbiologicamente sicure servono, infatti, centri di raccolta, conservazione e lavorazione a
norma, oltre ad una corretta formazione del personale che parte dal ruolo dei cacciatori autorizzati».
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Eurocarne - 26th International Exhibition for the Meat Chain
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