testo relazione/i - Consiglio Regionale del Friuli Venezia Giulia

Transcript

testo relazione/i - Consiglio Regionale del Friuli Venezia Giulia
Regione Autonoma Friuli Venezia Giulia
_______________________________________________________________________
VIII LEGISLATURA - ATTI CONSILIARI - PROGETTI DI LEGGE E RELAZIONI
_______________________________________________________________________
CONSIGLIO REGIONALE
AV/GO/lt
N. 205-A
RELAZIONI DELLA IV COMMISSIONE PERMANENTE
(Casa, ambiente, territorio: urbanistica, edilizia, ambiente, opere pubbliche, viabilità, porti, trasporti,
traffici, protezione civile, bellezze naturali, caccia e pesca nelle acque interne)
(Relatori di maggioranza STEFANONI, PUIATTI)
sulla
PROPOSTA DI LEGGE
<<Tutela delle risorse genetiche autoctone di interesse agrario e forestale>>
Presentata dal Consigliere Puiatti il 2 maggio 2001
-----
Presentate alla Presidenza il 14 febbraio 2002
-----
205_A.doc
2
Signor Presidente, Signori Consiglieri,
questa proposta di legge persegue alcuni obiettivi molto importanti che sono
diventati negli ultimi anni, a nostro giudizio, una necessità ambientale ed etica non più
procrastinabile.
Dal 1992, con la Convenzione sulla Diversità Biologica sottoscritta a Rio de
Janeiro, l'Italia ha espresso l’esigenza di salvaguardare la diversità biologica sia del
patrimonio vegetale sia di quello animale presenti su tutto il territorio nazionale. Va
rimarcato, per esempio, che il nostro Paese dispone di uno fra i più ricchi patrimoni di
biodiversità faunistica del bacino del Mediterraneo che costituisce, da solo, un terzo
dell’intera fauna europea, mentre la flora nazionale è la più ricca a livello europeo.
L'obiettivo di conservare queste differenze biologiche si impone per il fatto che
fino ad una ventina di anni fa il miglioramento genetico mirava all'ottenimento di
genotipi capaci di utilizzare in modo ottimale la produzione, l'energia e i prodotti
chimici impiegati tentando di svincolare la produzione dal contesto ambientale. Questo
ha portato ad una riduzione drastica del numero di genotipi coltivati sul territorio, vale a
dire ad una vera e propria erosione genetica. D'altra parte le profonde innovazioni
determinatesi nell’attività agricola di pianura e di collina e le condizioni oggettive
attuali della nostra montagna con l’esodo della popolazione e le modificazioni
intervenute in diversi comportamenti e negli stessi sistemi utilizzati a scopo energetico
reclamano nuovi criteri ed una attenzione particolare per la biodiversità animale e
vegetale.
Recentemente, con il Piano di sviluppo rurale, la nostra Regione ha promosso e
finanziato, con l'individuazione di un'apposita sottomisura dell'Asse 3, la tutela della
biodiversità, affermando il principio fondamentale di sostenibilità dell'agricoltura
rispetto all'ecosistema e quindi dell'importanza di salvaguardare le differenze biologiche
sia attraverso l'allevamento di specie animali locali minacciate di estinzione, sia
attraverso la creazione, il ripristino, la manutenzione e la conservazione degli elementi
portanti dell'agroecosistema e del paesaggio rurale, con ambienti riservati alla fauna e
alla flora selvatica.
Questa legge, rimarcando il valore dei provvedimenti già adottati, intende
fornire ulteriori garanzie per la salvaguardia della biodiversità senza compromettere gli
obiettivi primari del territorio. Facendo proprie alcune finalità individuate nel Piano
Nazionale sulla Biodiversità redatto nel 1998 dal Comitato di consulenza per la
Biodiversità e la Bioetica del Ministero dell'Ambiente, il presente testo focalizza la sua
attenzione sugli aspetti di conoscenza del patrimonio biologico esistente, sul
monitoraggio dei parametri di valutazione dello stesso, sull'accesso, la fruizione e la
moltiplicazione del materiale genetico conservato ex-situ, sull'educazione e la
sensibilizzazione alla biodiversità e sull'uso e la valorizzazione dei prodotti derivanti dal
materiale biologico, promuovendo finanziariamente queste iniziative.
Il primo passo per un'azione consapevole di conservazione consiste nella
conoscenza delle specie, razze, varietà, popolazioni, cultivar, ecotipi e cloni per i quali
esistono interessi dal punto di vista economico, scientifico, ambientale, culturale e che
205_A.doc
3
sono minacciati di estinzione. Con questa proposta di legge viene istituito a questo
scopo il Registro volontario regionale, con una sezione animale e una vegetale, che
permette l'iscrizione sistematica di genotipi animali e vegetali. Il valore di questa sorta
di "enciclopedia della biodiversità", tenuta presso l'ERSA, è naturalmente scientifico,
culturale, economico ma segna anche un tracciato storico delle differenze genetiche:
l'interesse verso le iscrizioni ivi apportate, acquisite previo parere favorevole delle
Commissioni tecnico-scientifiche, può mutare nel tempo fino a decadere se l'ecosistema
non ne viene turbato.
L'istituzione delle Commissioni tecnico-scientifiche per il settore animale e per
quello vegetale, costituite ognuna da quattro esperti del mondo scientifico nominati
dalla Giunta regionale, sono la risposta ad una richiesta di monitoraggio sistematico e
continuo dei parametri della biodiversità.
Va rimarcata a questo punto l'importanza di proteggere e rendere però anche
fruibile questo "server centrale " di dati fisici e biologici. Nasce così la Rete di
conservazione e sicurezza, che come la "rete globale" si pone l'obiettivo di far accedere
tutti i soggetti interessati al materiale genetico anche per la sua coltivazione: enti
pubblici e privati, produttori singoli e associati.
Il Piano di sviluppo rurale, come abbiamo già ricordato, promuove la
conservazione “in situ” di alcune biodiversità attraverso la salvaguardia di alcune razze
animali e vegetali nel loro ambiente e con la creazione, il ripristino e la manutenzione di
condizioni originarie dell'agro-ecosistema. Questa legge ha inteso promuovere anche la
conservazione ex-situ delle biodiversità, con l'istituzione della Banca del germoplasma
autoctono vegetale regionale presso l'Università degli Studi di Udine.
Si è imposta inoltre all'attenzione anche la tutela della biodiversità forestale
regionale: una ricchezza che rischia di essere persa per la commercializzazione in loco
di piante forestali di origine sconosciuta soprattutto a partire dagli anni '90. Con questa
legge l'Azienda dei parchi e delle foreste regionali individua le essenze forestali e le
iscrive in un registro regionale dei boschi da seme, tenuto dall'Azienda stessa, che si
adopera anche per promuovere e diffondere questo materiale biologico.
L’informazione e la divulgazione costituiscono strumenti fondamentali per
incentivare e sostenere, con il consenso più ampio possibile, cambiamenti a volte anche
radicali nei comportamenti individuali e collettivi nell’utilizzo e nella gestione del
patrimonio naturale. Ad essi viene attribuito un ruolo importante per coniugare sviluppo
e tutela ambientale perché l’azione antropica determina, in genere, una semplificazione
dei sistemi ecologici ed una riduzione della biodiversità.
L'Ersa, ente di riferimento regionale per la gestione di questi programmi
d'intervento, ha censito per anni il quadro biologico esistente nel Friuli Venezia Giulia:
ricordiamo che sono state catalogate e descritte 123 varietà di melo, 36 di pero, 17 di
castagno e 13 di susino, e la ricerca sul fagiolo della Carnia ha portato alla descrizione
di 144 tipi e alla registrazione di 6 nuove varietà. Sono già state avviate azioni
specifiche per la tutela di alcune razze animali, come la vacca Pezzata Rossa Friulana, la
Resiana, la capra Istriana solo per ricordarne alcune. Ma già altre specie e razze vegetali
205_A.doc
4
ed animali, come l'erba medica di Premariacco, il radicchio di Gorizia o il maiale nero
di Fagagna devono essere studiate e conservate.
Altri Paesi e altre Regioni si sono mossi prima di noi. Non possiamo perdere
quindi la possibilità, che ci viene dall'approvazione della presente proposta di legge, di
tutelare e diffondere preziose "colture" e "culture" originarie della nostra terra.
STEFANONI
205_A.doc
5
Signor Presidente, Signori Consiglieri,
la presente proposta di legge, approvata a larga maggioranza dalla competente
Commissione, rappresenta lo strumento di livello regionale che vuole concretizzare
impegni ed obiettivi di carattere mondiale assunti dagli Stati e sottoscritti dalla
Repubblica italiana.
Nel 1998 infatti è stato pubblicato il “Piano nazionale sulla biodiversità”,
predisposto dallo specifico Comitato di consulenza per la biodiversità e la bioetica del
Ministero dell’ambiente. Nella premessa, fra l’altro, si dice: “Tra le varie forme di
ricchezza di un Paese (materiale, culturale, biologica), quella biologica (biodiversità) è
stata finora sottovalutata. Tale ricchezza consiste nell’enorme numero di informazioni
genetiche possedute da ciascuna specie, anche la più piccola. Sebbene l’estinzione delle
specie sia un fenomeno naturale, in quanto legato alla evoluzione di nuove specie,
l’intervento dell’uomo, in particolare con deforestazione, urbanizzazione selvaggia e
tecnologie non appropriate, ha amplificato questo fenomeno di migliaia di volte. Le
conseguenze di questa erosione della biodiversità saranno certamente gravissime in
quanto le numerose specie di animali, di piante e di microrganismi, in gran parte ancora
da scoprire, sono fonte potenziale di una ricchezza da utilizzare sotto forma di sostanze
medicinali, alimenti e altri prodotti di importanza sociale ed economica.
La conservazione della biodiversità è dunque un imperativo etico.
Per conservare la biodiversità e garantire una equa distribuzione dei vantaggi
derivanti dalla biodiversità stessa tra Paesi sviluppati e quelli in via di sviluppo, nel
corso della Conferenza di Rio de Janeiro del 1992 è stato steso il testo della
Convenzione sulla Diversità Biologica, che il nostro Paese ha sottoscritto nel 1993 e a
cui hanno aderito finora circa 170 Paesi.
Nonostante che il regolamento comunitario 2078/92 preveda il finanziamento di
chi conserva la biodiversità, l’accesso a questi fondi è difficile per i singoli coltivatori, i
quali conservano sempre meno non avendone quasi mai la convenienza economica. I
motivi di interesse, invece, per la conservazione della biodiversità sono molteplici:
provvede generi alimentari, materiali da costruzione, materie prime per le industrie e per
la medicina; fornisce la base di diversità genetica che consente il miglioramento delle
specie domestiche, animali e vegetali, utili all’uomo; mette a disposizione dei
consumatori una varietà allargata di prodotti alimentari, tra cui quelli tipici e
tradizionali; mantiene la funzione degli ecosistemi, inclusi i processi energetici ed
evolutivi; è essenziale per il ciclo vitale dei nutrienti (carbonio, azoto, ossigeno);
assorbe e abbatte gli inquinanti, compresi i rifiuti organici, i fitofarmaci, i metalli
pesanti; tampona situazioni estreme (ad esempio nella siccità); protegge il terreno
dall’erosione; cattura, trattiene e trasforma l’energia solare.
Una volta distrutta, questa antica eredità non può più essere ricreata o ricostruita
in laboratorio, è persa per sempre.
Questa proposta di legge non cade nel vuoto: nella nostra regione, per fortuna,
non siamo all’anno zero. Dalla fine degli anni 70 il Centro di sperimentazione agraria
prima e l’Ersa poi, hanno setacciato il territorio regionale alla ricerca del materiale
vegetale autoctono da salvare. Fino a ora sono state censite: 122 varietà di melo, 34 di
pero, 13 di susino, 16 di ciliegio, 22 di castagno, 200 di vite e 22 di olivo che sono
conservate in cinque campi-catalogo istituiti in altrettante località regionali: Polcenigo,
Enemonzo, Pantianicco, Gorizia e Cividale del Friuli. Nel volume “Pomologia
205_A.doc
6
friulana”, pubblicato dall’Ersa nell’ottobre del 2000, sono catalogate e descritte 123
varietà di melo; 36 di pero; 17 di castagno e 13 di susino.
Da questo lavoro sono già state tratte le prime indicazioni operative
individuando le varietà autoctone di pero più adatte alla produzione del sidro e quelle di
susino più adatte al consumo fresco o alla distillazione. Ci si è anche impegnati sullo
studio dei ceppi nostrani dei lieviti che si sviluppano durante i processi enologici e che
caratterizzano fortemente, rendendolo tipico, il gusto del vino (sono una trentina le
cantine regionali che partecipano a una specifica sperimentazione).
Riguardo alle piante erbacee, fino a ora si è lavorato sul fagiolo, sul mais da
polenta e su alcune erbe spontanee di interesse gastronomico (sclopìt, radicchio di
monte, asparago nero). La ricerca sui fagioli della Carnia, iniziata nel 1977, ha portato
alla descrizione di 144 tipi e alla registrazione di 6 nuove varietà dalle buone
caratteristiche, sia come qualità organolettiche che come produttività, ed anche
relativamente alla resistenza alle malattie.
Una recente ricerca dell’Ersa, ha messo a confronto 15 varietà di mele: 12
autoctone e 3 tra le più diffuse a livello commerciale. Ebbene, dal punto di vista delle
caratteristiche organolettiche, in due gruppi su tre nei quali erano stati suddivisi i
campioni, hanno prevalso le varietà locali; nel terzo gruppo, una varietà locale è
risultata seconda. Confrontando tutti i punteggi, la migliore mela in assoluto è risultata
la “Rossa invernale”, varietà autoctona.
Il Piano di sviluppo rurale di recente approvazione, prevede specifici interventi
per la tutela di alcune razze animali di interesse agrario. Sono state infatti avviate azioni
specifiche per la tutela della vacca Pezzata Rossa Friulana e della Resiana; della capra
Istriana, della pecora Carsolina, la Plezzana e l’Alpagota; del cavallo da Tiro Pesante
Rapido, del Lipizzano e del Norico.
Ma tutto questo lavoro deve essere considerato solo un punto di partenza e non
di arrivo. Che ne è del maiale nero di Fagagna, antico “padre” dei prosciutti di San
Daniele? Si è estinto? E’ presente in altre regioni europee? La razza, può essere
ricostruita? Le sue carni devono essere valorizzate?
E l’erba medica di Premariacco, una delle migliore erbe mediche locali italiane?
Numerosi altri esempi e citazioni si potrebbero fare.
Riguardo alle essenze forestali, molti specialisti esprimono preoccupazione
relativamente alla perdita della variabilità genetica locale a causa del massiccio utilizzo
di piante forestali di origine sconosciuta commercializzate in Italia, soprattutto a partire
dagli anni ‘90. La presenza di ecotipi non indigeni darà luogo a fenomeni di incrocio
con gli ecotipi locali, generando in massa nuovi genomi e nuovi individui, spesso del
tutto inadatti al clima e al suolo locali. La conseguenza può essere rovinosa: l’estinzione
della popolazione di quelle specie nel territorio dove prima esisteva un ecotipo “adatto”;
inoltre, in un periodo di rapido cambiamento di alcuni fattori ecologici quali il clima, la
perdita di popolazioni locali o della loro identità genetica attraverso la contaminazione
con polline estraneo ha, come probabile effetto, la diminuzione della possibilità di
adattamento delle popolazioni ai continui cambiamenti climatici.
Conservare la biodiversità significa non solamente mantenere la diversità delle
forme di vita presenti nel territorio, ma anche i patrimoni culturali unici che, con il
pretesto dello sviluppo, vengono distrutti con allarmante velocità e troppa superficialità
e noncuranza.
205_A.doc
7
Che fare, dunque, per dare un punto di svolta alla situazione e favorire interventi
sinora isolati, come per altro già fatto nell’ultima legge finanziaria regionale con
finanziamenti puntuali?
Innanzitutto, le banche del germoplasma possono offrire un ottimo contributo
alla raccolta e protezione della diversità genetica. Per la conservazione ex situ viene
dunque proposta l’attivazione della Banca del Germoplasma Autoctono Vegetale anche
nella nostra regione. Di converso, però, è di importanza vitale mettere in cantiere un
sistema agricolo realmente moderno, che permetta di promuovere e migliorare l’opera
di conservazione degli agroecosistemi e, al loro interno, delle risorse genetiche
autoctone. La diversità (ed i saperi e le tecniche a essa legati) non si conserva solamente
creando le banche del germoplasma o attivando nuovi musei della vita contadina locale
(che hanno comunque una loro ragion d’essere significativa), ma fondamentalmente si
conserva perché gli agricoltori utilizzano, gestiscono, valorizzano e convivono con le
risorse genetiche che hanno ricevuto in eredità. Le risorse genetiche hanno evidente
interesse pubblico e non possono essere trattate come fossero proprietà privata; i pochi
agricoltori che le conservano non ne traggono grossi benefici e la società, nel suo
complesso, tende ad abbandonarle. La conservazione aziendale delle varietà tipiche si
lega ai concetti di sviluppo sostenibile, quindi la difesa delle risorse genetiche locali
deve andare di pari passo con l’incremento del reddito degli agricoltori, che devono
sentirsi protagonisti di questa operazione.
Bisogna dunque agire in modo che la relazione esistente tra cultura locale e
conservazione delle varietà locali, di razze animali, di alimenti tipici riscoperti e
immessi sul mercato, sia ben chiara e definita. Tali prodotti, poi, al momento della
commercializzazione, devono mantenere una forte identità e ricevere costante
protezione.
Ciò significa che la gestione dei frutti della biodiversità non deve essere lasciata
a se stessa, ma deve entrare nel circolo virtuoso dell’economia agricola e i primi a trarne
vantaggio devono essere i conservatori (agricoltori e allevatori). Il valore economico
della tipicità ha le sue fondamenta nelle diversità e non certamente nei minori costi di
produzione. Nel confronto con il mercato, tali diversità costituiscono, di fatto, per i
prodotti e per i produttori, i presupposti della differenziazione competitiva che consente
di sottrarsi alla concorrenza delle produzioni standard e di conseguire adeguati livelli di
redditività.
Attorno alla diversità genetica autoctona, poi, deve essere organizzato il sapere
sulla biodiversità. Tecnici, specialisti, ricercatori, insegnanti, possono trovare stimoli
nuovi e occasioni di lavoro attorno all’educazione alla biodiversità (nelle scuole, ad
esempio) e al gusto dei cibi tradizionali e locali; alla sensibilizzazione degli operatori;
alla divulgazione delle conoscenze sul patrimonio genetico autoctono regionale e le sue
peculiarità e caratteristiche.
Possono nascere nuovi Centri per la biodiversità, orti botanici, vivai per la
produzione e riproduzione delle specie autoctone, giardini scolastici, aziende
dimostrative e fattorie didattiche dove la diversità genetica viene conservata, studiata e
divulgata. Le zone montane e quelle a Parco, naturalmente, saranno le più vocate per lo
sviluppo di tali iniziative, di sicuro interesse (anche) turistico.
Le aziende agrituristiche, poi, possono trarre nuovi spunti d’iniziativa
economica nell’incontro con i consumatori, proponendo raccolte di materiale genetico
205_A.doc
8
autoctono, in abbinata con le vere e proprie attività produttive agro-zootecniche, da far
ammirare alle persone di passaggio o a coloro che si recano in azienda per godere
dell’ospitalità rurale o per degustare le specialità enogastronomiche locali.
Questi sono gli obiettivi dichiarati della presente legge: raccogliere i materiali
genetici autoctoni regionali, vegetali e animali, di interesse agrario (in particolare quelli
considerati in via di estinzione) e forestale; catalogarli; studiarli; conservarli; diffonderli
e valorizzarne i frutti, in ogni modo possibile.
Passando all’illustrazione dell’articolato:
l’articolo 1 definisce le finalità della legge, specifica quali specie, razze, varietà
e cultivar possono essere definite autoctone ai fini della tutela;
l’articolo 2 prevede il Registro volontario regionale del patrimonio genetico
autoctono, individua nell’Ersa il responsabile della sua tenuta, detta norme per il
regolamento da adottarsi per la sua gestione;
l’articolo 3 prevede l’istituzione di due Commissioni tecnico-scientifiche, per il
settore animale e per quello vegetale, e la loro composizione;
l’articolo 4 individua le forme di coinvolgimento di soggetti pubblici e privati e
di produttori singoli ed associati interessati alla protezione e conservazione delle risorse
genetiche;
l’articolo 5 istituisce la Banca del germoplasma;
l’articolo 6 è relativo alla biodiversità forestale e prevede l’individuazione dei
boschi e di altri popolamenti vegetali interessanti al riguardo;
l’articolo 7 individua gli obiettivi dell’azione regionale da attuarsi mediante
programmi d’intervento attuati dall’Ersa;
l’articolo 8 contiene le norme finanziarie.
Si confida, pertanto, che il Consiglio possa approvare la presente proposta di
legge con voto almeno analogo a quello già espresso dalla Commissione.
PUIATTI
205_A.doc