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GRAMMATICA GRECA
LA POSIZIONE DELL’ACCENTO TONICO NELLA DECLINAZIONE E CONIUGAZIONE:
Nella declinazione, la posizione dell’accento tonico tende a mantenersi sulla stessa sillaba
della forma nominativa finchè lo consentono le leggi dell’accento.
Nella coniugazione dei verbi, invece, l’accento tonico –a parte alcune eccezioni- tende a
ritrarsi il più possibile.
Vi sono poi delle sotto-regole che riguardano la qualità dell’accento o i tipi di accento
nella prima e seconda declinazione e la posizione dell’accento nei temi monosillabici della
terza declinazione (in cui l’accento, nei casi obliqui, resta nella vocale tematica).
COME TRADURRE IN ITALIANO UN PARTICIPIO CONCORDATO:
Se il caso è il nominativo, il participio può essere tradotto in italiano:
1) con un gerundio;
2) con una proposizione relativa;
3) con una proposizione per lo più temporale o causale.
Negli altri casi, la traduzione è quella dei punti 2) e 3).
Il participio preceduto da articolo, invece, in qualunque caso della declinazione si
presenti, va reso con una proposizione relativa (PARTICIPIO SOSTANTIVATO).
ASPETTO VERBALE (O QUALITA’ DELL’AZIONE):
Il tempo del verbo greco esprime il valore temporale dell’azione come accade in latino o in
italiano solo nel modo indicativo, per il quale è possibile stabile le seguenti relazioni:
1) Presente indicativo greco → presente indicativo italiano;
2) Imperfetto greco → imperfetto italiano, tranne in alcuni contesti, in cui è preferibile
renderlo con un passato remoto. Solitamente questo accade con i “ verbi di parola” e in
altri contesti, come il presente storico latino;
3) Aoristo indicativo greco → passato remoto o passato prossimo italiano;
4) Perfetto indicativo greco → passato prossimo italiano;
5) Piuccheperfetto greco → trapassato prossimo italiano.
Negli altri modi della coniugazione greca, invece, il verbo esprime la cosiddetta “qualità
dell’azione”, la quale può essere:
1) “Durativa” quando si enuncia l’azione nel presente, nel passato o nel futuro. Qui si ha
un valore temporale con l’idea dello svolgimento dell’azione;
2) “Compiuta”, nella quale la qualità dell’azione è enunciata senza l’idea del suo
svolgimento: o nella sua enunciazione generica o come azione svoltasi nel passato senza
alcun rapporto col presente (un’azione iniziata, compiuta e terminata). E’ questo il caso
dei tempi dell’aoristo.
Tale qualità può essere visualizzata con l’idea del “punto”, mentre la qualità duratura con
la linea.
3) La qualità dell’azione espressa dal perfetto, che esprime un’azione compiuta nel
passato, come l’aoristo, ma le cui conseguenze perdurano nel presente, come nel
presente.
Come valore temporale, perciò, il perfetto è bivalente, in quanto può essere espresso con
il passato prossimo dell’azione espressa dal verbo e con il presente dell’azione che ne è la
sua conseguenza.
Del perfetto il simbolo visivo è il cerchio.
PARTICIPIO PREDICATIVO:
Un uso particolare del participio è quello dipendente dai seguenti verbi:
1) “Cominciare” (άρχοµαι), “continuare” (διατελέω), “cessare” (παύοµαι);
2) “Verba affectuum” (come χαίρω);
3) Verbi di percezione visiva (όράω), uditiva (άκούω) e mentale (“conoscere, sapere”). In
questi verbi il complemento oggetto e il participio ad esso concordato diventano soggetto
e verbo di una proposizione dichiarativa. Questo vale sia quando la percezione è subita
dal soggetto, sia quando è indotta dal soggetto ad un’altra persona. Alcuni verbi di
percezione reggono il genitivo: in quel caso anche il participio, naturalmente, è
concordato al genitivo.
ESEMPIO: φαίνοµαι (o δηλος ειµί) + participio = sembra/ è evidente che io……
4) Verbi che reggono il participio predicativo o anche complementare:
λανθάνω + participio al nominativo = fare qualcosa di nascosto
τυγχάνω + participio = si rende con “trovarsi a fare qualcosa” o “fare qualcosa per caso”.
Nella forma mediale λανθάνοµαι + participio= fare una cosa senza accorgersene
Φθαίνω + participio = prevenire (qualcuno) nel fare qualcosa/fare qualcosa prima di
qualcuno.
FORMA VERBALE:
Una forma verbale è costituita da alcuni elementi consecutivi (morfemi), aventi tutti una
precisa funzione. Essi sono nell’ordine:
1) Tema verbale (che può coincidere o no con la radice);
2) Suffisso o caratteristica temporale;
3) Caratteristica modale (come nell’ottativo o congiuntivo);
4) Desinenza o terminazione (con o senza vocale tematica).
L’insieme degli elementi 2),3),4) formano la cosiddetta “terminazione temporale”, che
informa sulle varie categorie verbali: tempo, modo, persona, numero, diatesi.
Il tema verbale informa invece sull’azione espressa: togliendo da una forma verbale la
terminazione temporale, si ottiene il tema verbale.
Il gruppo tema verbale + caratteristica temporale forma invece il “tema temporale”. Ogni
tema temporale è caratterizzato da uno specifico suffisso temporale.
Il tema temporale del presente si ottiene togliendo la terminazione “ω” alla voce che
costituisce il “lemma” del verbo.
Il tema temporale del presente può non essere caratterizzato (si tratta di quei verbi come
φευγω oppure λυω, in cui il tema temporale coincide anche con il tema verbale) oppure
caratterizzato da uno fra i seguenti suffissi temporali:
1) Un vocalismo in ε, come δοκέω, che ha per tema temporale: δοκέ-. Fa invece eccezione
ποιέω, in cui la ε fa parte anche del tema verbale.
2) Da un “ν”, come il verbo τέµνω, in cui il tema temporale del presente è τέµν-, ma il
tema verbale è τέµ-.
3) Da un “νε”, come il verbo άφικνέοµαι, in cui il tema temporale è άφικν-, ma il tema
verbale è άφικ-.
4) Da un “αν”, come il verbo άµαρτάνω, in cui il tema temporale è άµαρταν-, ma il tema
verbale è άµαρτ-.
5) Da un “αν” + nasale infissa (inserita nel tema verbale), come il verbo λανθάνω o
λαµβάνω.
6) Da una “j”, come τείνω, in cui essa reagisce con la consonante finale del tema verbale
in vario modo, secondo le regole fonetiche.
ESEMPI:
-(labiale π,β,φ + j) → il presente risulta terminante in “πτ” (come “κλέπτω”, che ha T.V.
κλεπ-);
-(δ + j) → il presente risulta terminante in “ζ” o “σσ”;
-(velare γ,κ,χ+ j) → il presente risulta terminante in “σσ” o “ττ” (come “τάσσω”, che ha T.V.
ταγ-);
-(ρ o nasale + j) → la “j” diventa “ι” e fa “metatesi” (cioè inverte la sua posizione) con la “ρ”
o la “ν” (come “φαίνω”, che ha T.V. φαν-);
- tutti i verbi terminanti in “αινω”, “εινω” o “ειρω” hanno un tema temporale in cui la “j”
invece si vocalizza.
-(λ + j) → il presente risulta terminante in “λλ”, come “βάλλω”.
Detto questo, il futuro è caratterizzato dai suffissi σο/σε. Il σ cade però nei temi in liquida
e nasale.
Anche nell’aoristo il σ cade, ma provoca l’allungamento di compenso della vocale
immediatamente precedente.
La maggior parte dei verbi presenta l’aoristo debole. Per avere aoristo forte (o aoristo II),
infatti, i verbi devono avere un tema temporale del presente che si distingue dal tema
verbale: ciò può avvenire o attraverso un suffisso che lo caratterizza o mediante un
diverso grado apofonico della vocale radicale. Se tale distinzione non ci fosse, infatti,
risulterebbe un aoristo II con forme identiche all’indicativo.
Hanno l’aoristo III, invece, i verbi in cui il tema verbale è monosillabico e terminante in
vocale. E’ il motivo per cui questo tipo di aoristo viene anche detto “radicale o atematico”.
A differenza del latino, in cui compaiono due soli tipi di desinenze (attive e passive), in
greco ne esistono quattro: attive, mediopassive, principali e secondarie (storiche).
Non entriamo però nel merito di questa faccenda, che risulta piuttosto complessa.
Si conclude solo dicendo che, nel definire una forma verbale, occorrerà citare il TEMA
VERBALE, la CARATTERISTICA TEMPORALE, un eventuale CARATTERISTICA MODALE,
e infine il tipo di DESINENZE. Esse saranno principali o storiche all’indicativo, mentre
saranno “proprie” negli altri modi.
PERIODO IPOTETICO:
Prende il nome di “periodo ipotetico” l’insieme di due proposizioni: la reggente e la su
ipotetica. Esse si chiamano APODOSI (la reggente) e PROTASI (l’ipotetica).
Il termine “apodosi” deriva dal verbo δίδωµι, mentre il termine “protasi” deriva dal verbo
τέµνω.
Come in latino o in italiano, anche in greco esistono diversi tipi di periodo ipotetico:
1) DELLA REALTA’, che nelle tre lingue (italiano, latino e greco) è caratterizzato
dall’indicativo;
2) DELL’EVENTUALITA’, che è intermedio tra il periodo ipotetico della realtà e della
possibilità, ma solitamente si traduce in italiano più come il primo che non come il
secondo;
3) DELLA POSSIBILITA’, che in italiano è reso con il congiuntivo (imperfetto) nella protasi
e il condizionale nell’apodosi. In greco questo periodo ipotetico è invece caratterizzato
dall’ottativo.
4) DELL’IRREALTA’, che esprime un’azione irreale, impossibile.
Vediamo come sono espressi in greco questi quattro tipi di periodo ipotetico:
REALTA’:
1) PROTASI: εί + indicativo;
2) APODOSI: indicativo.
EVENTUALITA’:
1) PROTASI: εάν (o άν) + congiuntivo;
2) APODOSI: indicativo.
POSSIBILITA’:
1) PROTASI: εί + ottativo;
2) APODOSI: (άν) + ottativo.
IRREALTA’:
1) PROTASI: εί + imperfetto (nel presente: es. se facesse….)/aoristo (nel passato: es. se
avesse fatto…);
2) APODOSI: (άν) + imperfetto (nel presente)/aoristo (nel passato).
AORISTO SECONDO/FORTE/TEMATICO:
Hanno l’aoristo II (o forte) un numero di verbi inferiore rispetto a quelli che possiedono
un aoristo debole. Questo perché presentano l’aoristo forte solo quei verbi in cui il tema
verbale e il tema temporale del presente sono DISTINTAMENTE CARATTERIZZATI.
Tale distinzione può essere data o dalla caratteristica temporale del presente del verbo
considerato o da un diverso grado apofonico con cui il tema verbale forma il tema
temporale del presente e dell’aoristo II.
Questa distinzione è richiesta dal fatto che l’aoristo II usa all’indicativo le terminazioni
dell’imperfetto. Perciò se i due temi non si distinguono avremmo forme identiche per i
due tempi. Negli altri modi utilizza invece le desinenze o terminazioni utilizzate nel
presente, e quindi avremmo per questi identità di forma con il presente.
Alcune forme dell’aoristo II sono caratterizzate anche dalla particolare posizione
dell’accento tonico, nelle quali non viene seguita la regola generale della posizione
dell’accento: sono quelle forme in cui l’accento tonico si trova sulla vocale tematica, che
era un tempo una caratteristica dell’intera coniugazione dell’aoristo II (la vocale tematica,
infatti, caratterizza questa forma di aoristo chiamata “forte”).
Successivamente la maggior parte della coniugazione si è adeguata alla legge
dell’accento, e solo alcune forme sono rimaste con l’accentazione arcaica e quindi da essa
caratterizzate.
AORISTO TERZO/FORTISSIMO/ATEMATICO (O RADICALE):
Le prime due denominazioni (terzo e fortissimo) di questo tipo di aoristo sono in relazione
agli altri due tipi di aoristo (I o debole, II o forte).
Le altre due (atematico o radicale) sono invece più rilevanti e significative.
Il termine “atematico” deriva dal fatto che, all’indicativo, l’aoristo III presenta una
struttura “atematica”, cioè non frappone alcune elemento vocale fra tema verbale e
desinenza.
Il termine “radicale” deriva dal fatto che solo un numero esiguo di verbi possiedono
questa forma di aoristo, in quanto devono rispettare due requisiti: devono avere un tema
verbale monosillabico ed esso deve essere terminante in vocale. Se il tema verbale è
monosillabico, esso coincide con la radice del verbo.
Questa forma di aoristo, dunque, coincide con la radice, e trattandosi oltretutto di forme
atematiche, la desinenza risulta attaccata direttamente al tema verbale (tranne che nel
congiuntivo, essendo caratteristica modale).
Rilevante è il fatto che la terza persona plurale dell’indicativo presenta la terminazione –
σαν, mentre all’infinito –ναι.
All’ottativo presenta invece –ιη, anziché –οι.
AORISTO PASSIVO:
L’aoristo passivo ha la seguente struttura:
TEMA VERBALE (l’indicativo presenta l’aumento) + CARATTERISTICA TEMPORALE (θη o
η) + DESINENZA (storiche all’indicativo e proprie negli altri modi).
Le caratteristiche dell’aoristo passivo sono le seguenti:
1) Ha desinenze attive, perché in origine aveva un significato intransitivo;
2) Nel congiuntivo si ha sempre l’accento sull’ultima sillaba perché c’è la contrazione di η
e ω;
3) Nell’ottativo troviamo ειη o ει;
4) Nel participio la legge di Osthoff determina le sue desinenze: ESEMPIO. λυθεις,
λυθεισα, λυθεν;
5) Nell’imperativo si trovano invece desinenze particolari, come “θι”, che però diventa “τι”
per la legge di Grassmann. Infatti sarebbe: “λυθηθι”, ma in presenza di due consonanti
aspirate in due sillabe successive, la seconda si “dissimula”.
IL PERFETTO:
Il termine “perfetto” deriva dal latino “perfectus”, cioè “compiuto”.
Sia il perfetto che l’aoristo vengono utilizzati per azioni compiute nel passato, tuttavia
esiste tra i due una sostanziale differenza: mentre l’aoristo è utilizzato per azioni
compiute e concluse nel passato, il perfetto è utilizzato per azioni compiute nel passato
ma che hanno conseguenze nel presente.
Esso presenta la seguente struttura:
TEMA VERBALE raddoppiato + CARATTERISTICA TEMPORALE (κ) + DESINENZA
(principali all’indicativo e modali negli altri modi).
Le caratteristiche del perfetto sono le seguenti:
1) All’indicativo il perfetto presenta due desinenze proprie: “α” (che è una desinenza
originaria) e “ε” alla terza persona singolare;
2) All’infinito abbiamo la desinenza –ναι prefissato da “ε”, dove cade l’accento. La epsilon
viene inserita per facilitare il suono tra due consonanti. La sua funzione è dunque
“eufonica”;
3) Nel participio troviamo le desinenze: ως, υια, ος.
Il nominativo maschile deriva da “wōs: “w” cade generando un allungamento. Per il
femminile si usa il “grado zero”: ws. Il neutro deriva invece da “wŏs”.
PERFETTO MEDIO-PASSIVO:
Il perfetto medio-passivo ha una struttura specifica, in quanto si forma dal tema verbale
raddoppiato più la desinenza medio-passiva senza alcun altro elemento intermedio.
Le desinenza sono, come per l’attivo, principali all’indicativo e specifiche negli altri modi.
Per l’indicativo la struttura è la seguente:
RADDOPPIO + TEMA VERBALE + DESINENZE PRINCIPALI
Essendo questa la struttura del perfetto passivo, non si creano problemi fonetici con le
terminazioni in vocale. Diversamente, il tema fonetico si presenta invece nella
composizione dei temi terminanti i consonante: all’incontro della consonante finale del
tema verbale e quella iniziale della desinenza.
Normalmente, dunque, tra queste due consonanti si ha il cosiddetto “adattamento”,
regolato da norme specifiche.
Il problema si complica però quando i ha l’incontro tra tre consonanti: quella finale del
tema e le due delle desinenze “σθαι” e “ντι” della terza plurale.
Nel primo caso il problema si risolve eliminando “σ” dalla desinenza e risolvendo poi con
l’adattamento della consonante finale del tema con il “θ” della desinenza. Nel secondo
caso, invece, si possono avere due soluzioni: una linguistica che trasforma il “ν” della
desinenza in sonante (ν→α), oppure ricorrendo ad una perifrasi formata dal participio
perfetto + indicativo presente del verbo ειµι.
Come nell’aoristo, vi sono anche qui delle forme in cui l’accento non segue le regole
generali di accentazione, come per esempio l’infinito o il participio.
Per il congiuntivo e l’ottativo si utilizzano perifrasi formate dal participio + congiuntivo o
ottativo dei verbi in “µι”.
L’imperativo usa le sue desinenze medio-passive.
PIUCCHEPERFETTO:
Il piuccheperfetto è un derivato del perfetto. Utilizza dunque il suo stesso TEMA
TEMPORALE + SUFFISSO εσ (che nel latino, per rotacismo, diventa invece “er”) +
DESINENZE (storiche, come nell’aoristo).
La forma medio-passiva non ha il suffisso “εσ”, ma aggiunge direttamente le desinenze
(storiche).
(QUESTO TESTO E' STATO INVIATO E PUBBLICATO ANCHE NELLA SEZIONE APPUNTI
DEL SITO "SKUOLA.NET").