Lettere contro la guerra

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Lettere contro la guerra
Lettere contro
la guerra
di Tiziano Terzani
(prefazione all’edizione
giapponese)
Amica, amico giapponese,
niente nelle nostre vite è un caso. E certo
non è un caso che tu abbia preso in mano
questo mio libretto e che tu in questo
momento mi stia leggendo. Allora ti prego
continua, almeno per un altro paio di righe
perché queste sono fra le mie ultime parole e puoi contare che sono sincere. Le scrivo
con la vista su una montagna dell’Himalaya sacra come il tuo Fuji e col cuore leggero
di chi, con un cancro terminale, non ha più il peso di un solo interesse personale negli
affari del mondo, ma un ultimo umano interesse per il destino di questa orribile
meraviglia che è la nostra razza: l’umanità.
Allora, ti prego, mio lettore, facciamo ognuno di noi, nel nostro piccolo, nel
tempo che ci resta, qualcosa per salvarla dalla barbarie della violenza che ci sta
distruggendo.
Ho scritto le “Lettere contro la guerra” che seguono due anni fa e non é una
consolazione, anzi è disperante credimi, accorgermi quanto sono ancora attuali e
quanto avevo ragione a prevedere che ad un orrore ne sarebbe seguito un altro e poi
un altro: dopo l’11 settembre la guerra in Afghanistan, quella in Irak, le bombe a
Bali, in Marocco, in Arabia Saudita, in Turchia e domani dove a Londra, a Roma o a
Ginza? Ancor più di allora sento oggi la nostra sopravvivenza in pericolo.
Il mondo intero è ora molto meno sicuro di quanto lo fosse dopo l’11 settembre
ed ogni giorno di più la nostra civile coesistenza diventa meno civile. Con la
giustificazione di proteggere la civiltà contro il terrorismo, stiamo distruggendo la
civiltà che, così come la conosciamo, è fatta di principi, di leggi e convenzioni
internazionali al momento gettate alle ortiche. Guantanamo é l’esempio più plateale.
L’emarginazione delle Nazioni Unite una inquietante indicazione di tendenza.
La rinuncia alla guerra come mezzo per la risoluzione dei conflitti, un grande
segno di civiltà che molti paesi hanno incluso nelle loro costituzioni, è ormai
rimpiazzato dall’arrogante, nuovo principio della “guerra preventiva”.
Allora, amica o amico giapponese: la questione non è se mandare o meno, ora o
dopo, cento, mille o duemila soldati in Irak. Questi sono i dilemmi dei politici
costretti in continuazione a fare acrobazie e compromessi per accontentare tutti ed
essere rieletti, senza alcun riguardo per i valori umani, senza tenere in alcun conto di
ciò che è giusto e di ciò che è morale. La questione per me e per te è decidere in cuor
nostro, una volta per tutte, in ogni circostanza, che la violenza e la guerra non sono la
soluzione a nessun problema e che con tutte le nostre forze dobbiamo opporci a
qualsiasi cosa che abbia il sapore o l’odore di guerra anche se ci viene presentata
come “auto-difesa” o come “missione umanitaria”.
E tu, proprio perché sei giapponese, più di ogni altro cittadino del mondo, puoi
urlare: “Nooo!”
Vent’anni fa, espulso dalla Cina, dove ero stato accusato dal governo comunista
di essere un “contro-rivoluzionario”, il giornale per cui lavoravo, Der Spiegel, mi
chiese in quale paese volevo ora andare a fare il corrispondente. Avevo mezzo mondo
a disposizione, ma non ebbi alcun dubbio. Scelsi di venire in Giappone. E per una
ragione precisa: volevo vivere in mezzo ad un popolo che aveva fatto l’esperienza del
più inimmaginabile degli orrori: l’olocausto atomico. Volevo vedere quali semi di
una nuova cultura di pace quell’esperienza aveva piantato nella tua cultura e che cosa
il resto dell’umanità poteva imparare da voi giapponesi per evitare il ripetersi di
quell’infamia contro la vita.
Restai in Giappone cinque anni, visitai varie volte Hiroshima e Nagasaki, parlai
con gli hibakusha, diventai amico di un magnifico architetto che era stato bambino
sotto la “pioggia nera”, ma alla fine rimasi delusissimo di quanto poco il Giappone
aveva fatto per trasformare quella esperienza in una lezione, per alzare il proprio
punto di vista sulle cose del mondo. Una volta scrissi da Hiroshima un articolo che
cominciava dicendo che persino le colombe lì erano stanche di tutti i discorsi ed il
becchime che i pacifisti in visita offrivano loro.
Ma non è mai tardi per niente e questa attuale “guerra globale contro il
terrorismo” è una buona occasione - forse anche l’ultima - per ripensare tutto, per
tornare sui nostri passi, e per ricordare la storia di Hiroshima e Nagasaki invece che
far finta che tutto è lontano nel tempo ed è già come non fosse mai avvenuto.
Qualunque cosa vi sia stata detta negli ultimi 50 anni da chi vi ha bombardato e
poi vi ha imposto una costituzione pacifista ed ora vi spinge, per i suoi interessi, a
cambiarla, voi giapponesi avete fatto sulla vostra pelle, con la vostra popolazione
civile - ripeto popolazione civile! - una esperienza che nessun altro popolo ha fatto ed
ora avete il diritto, ma anche il dovere, morale di far sentire la vostra voce: la voce
del cuore, non la voce ipocrita ed opportunista della politica. Ed il cuore sa: il cuore
vuole pace, vuole non violenza, il cuore non vuole più bambini - giapponesi o meno inceneriti nel giro di pochi secondi a migliaia, a decine di migliaia da qualcuno
seduto comodamente nella cabina di un irraggiungibile aereo o dinanzi ad un
computer.
Non si tratta di decidere chi ha torto e chi ha ragione (o chi ebbe torto o ragione
allora) , ma di evitare che uno oggi, credendo di aver ragione uccida un altro che
secondo lui ha torto. Chi ha torto e chi ha ragione fra israeliani e palestinesi? Nessuno
e tutti e due. Bisogna pensare diversamente, bisogna pensare che è giusto quel che
unisce e che é sbagliato tutto quel che divide l’umanità.
La soluzione per Israele? Bisogna che gli ebrei una volta per tutte perdonino
Hitler, perdonino i tedeschi e smettano di pensare che la loro sofferenza è stata unica
o la più grande. La sofferenza che lo stato di Israele sta imponendo alla popolazione
civile palestinese è ugualmente così grande che spinge al suicidio tanti giovani
palestinesi che certo come tutti i giovani del mondo preferirebbero vivere.
Bisogna guardare alle cose con meno ipocrisia, senza preoccuparsi di essere
“polically correct”. Dire che l’attuale governo israeliano persegue politiche naziste
non è essere antisemiti. Lo dicono molti israeliani stessi. Dire che oggi il più grande
pericolo per l’umanità sono gli Stati Uniti del governo Bush, il quale, mentre vuole
giustamente che paesi come la Corea del Nord e l’Iran non sviluppino armi di
distruzione di massa, ha giusto approvato lo studio e lo sviluppo di una nuova
generazione di armi atomiche (da usare contro chi?) non vuol dire essere antiamericani. Lo dicono moltissimi, disperati, americani stessi.
Le Nazioni Unite sono diventate irrilevanti? Bene è ora di dirsi che l’intera
struttura va rifatta perché non ha senso che i vincitori di un guerra di 50 anni fa siano
i soli ad aver voce nelle sorti del mondo. Se il resto del mondo corre ogni volta dal
ricco Giappone a chiedere soldi per questo e per quello (ora alcuni miliardi per
aiutare gli Stati Uniti nella “ricostruzione” - o nell’occupazione? – dell’Irak) che
allora il resto del mondo riconosca che il Giappone ha diritto ad avere il suo posto
nel Consiglio di Sicurezza, come ce l’hanno l’India o il Brasile ed una qualche
rappresentanza africana.
Dobbiamo liberarci di tutti i pregiudizi del passato e pensare in maniera nuova,
non dobbiamo accettare le definizioni altrui di terrorismo, di libertà, di democrazia, di
benessere o di progresso. Dobbiamo cominciare a pensare che non abbiamo “nemici”
contro i quali ricominciare ad accumulare armi che alla fine ricadranno su di noi.
Pensare a vivere in pace non é assurdo. Si tratta solo di volerlo fortemente e di
cominciare a lavorarci ORA.
In questo il tuo Giappone, come la mia “vecchia Europa” a cui sono orgoglioso
di appartenere, hanno un grande ruolo da svolgere. La storia del mio popolo come
quella del tuo, mio lettore giapponese, è una lunga storia di guerre vinte e perse, di
milioni di morti, di città rase al suolo. L’orrore della guerra è nel mio, come nel tuo
DNA. Bene facciamo valere questa esperienza genetica ha chi avuto finora la fortuna
di esserne risparmiato: aiutiamo gli americani a salvarsi dal loro suicido che alla fine
comporterà anche il nostro.
Dobbiamo avere coraggio. Non si può diventare assassini o anche
semplicemente complici per “amicizia” o per “gratitudine” . Questa è la mentalità del
branco, condannata da tutti quando si tratta di un omicidio singolo, quando un branco
di ragazzi uccidono una ragazzina innocente, ma accettata quando il branco è in
uniforme ed uccide a migliaia.
No. Non partecipiamo a niente che sia violento ed abbiamo ogni ragione per
farlo. I giudici del tribunale di Tokyo, come quelli di Norimberga non accettarono
come scusa degli accusati quella che avevano semplicemente seguito degli ordini.
Bene: rifiutiamoci, per cominciare, di seguire qualunque ordine che non ci venga dal
cuore.
Quando questo libro uscì in Italia dissi che sarei andato dovunque fossi invitato
a discutere di pace. Ne venne fuori una sorta di pellegrinaggio della non-violenza e
per me fu una rincuorante esperienza. Andando di città in città a parlare nelle scuole,
nei teatri, nelle sale dei consigli comunali ho incontrato migliaia e migliaia di
persone, in particolare tanti, tantissimi giovani che la pensavano come me e che
cercavano una occasione di esprimersi. Nei mesi che poi hanno portato alla guerra in
Irak abbiamo marciato a centinaia di migliaia per la pace per le strade d’Italia. Non è
servito a niente. Il governo Italiano col suo primo ministro Silvio Berlusconi che ha
dimostrato nella gestione dello stato di avere a cuore più il suo interesse personale
che quello della nazione, ha mandato, contro la maggioranza della opinione pubblica,
tremila soldati italiani “in missione umanitaria” in Irak al seguito delle truppe di
occupazione americane. Recentemente 19 di loro sono stati uccisi con una sola
bomba, come succederà sempre, in un modo o in un altro, a chiunque andrà da
soldato, in uniforme in un paese altrui dove non è invitato.
Non è davvero servito a nulla parlare e marciare per la pace? È servito. È servito
perché nel cuore di migliaia di giovani è caduto un seme. E quel seme di non violenza
fiorirà, dovrà fiorire se l’umanità vuole sopravvivere e non diventare estinta come noi
abbiamo già estinto tante altre razze di esseri viventi.
Incominciamo col pensare che in questo siamo tutti uniti. Non ci sono italiani o
giapponesi, siamo tutti umani. Ed il fatto che voi siete un po’ più isolati degli altri su
quelle belle vostre isole non vi protegge da nulla. Se contribuirete in qualsiasi modo
alla violenza, la violenza busserà anche alla vostra porta.
Secondo evitiamo di seguire ciecamente le definizioni altrui di “nemici”. Noi
non abbiamo nemici, non odiamo nessuno e siamo convinti di dover eliminare gli
antagonismi e non gli antagonisti.
Nei tempi che vengono potremmo noi stessi, voi stessi essere vittime di
violenza, ma non dovremo per questo cambiare atteggiamento. Non dovremo mai
avere odio per nessuno, perché l’odio genera solo odio.
Le due bombe atomiche americane erano appena cadute su Hiroshima e
Nagasaki , quando qualcuno chiese a Gandhi che cosa avrebbe fatto lui con tutta la
sua non-violenza contro qualcosa del genere. “Avrei cercato di far capire la pilota che
comunque non lo odio”, rispose.
La non violenza è una utopia, ma non vuol dire che non dobbiamo fare di tutto
per realizzarla. E tu, mio lettore giapponese puoi fare tanto. Guarda indietro nella tua
storia e troverai bellissimi esempi di dirittura morale, di perseveranza, di fedeltà e di
idealismo. Spesso nella tua tradizione queste qualità era legate alla classe guerriera,
quando la guerra era una affare onorevole di spade e di gentiluomini che si
confrontavano da pari a pari. Bene si possono usare quelle stesse qualità per
diventare oggi dei guerrieri della non violenza. Alla fine di quel mio pellegrinaggio
italiano a parlare di non violenza, la televisione svizzera ha fatto un documentario
chiamandomi “Il Kamikaze della pace”. Mi son sentito onorato.
Oh mio lettore giapponese, conosco un po’ la tua vita, conosco quanto è duro il
tuo lavoro quotidiano, ore nella metropolitana, ore in uffici con la luce artificiale, e
sempre piccoli spazi in cui vivere, ma questa è l’occasione di mettere qualcosa di
grande nella tua esistenza: l’impegno alla non violenza. Studia, leggi, incontra altri
che pensano in termini di pace, parla con i giovani, rifatti alla tua tradizione religiosa,
al buddhismo che nel tuo paese ha raggiunto picchi di grande saggezza e soprattutto
non dimenticare la storia. Torna a vedere che cosa è voluto dire Hiroshima e
Nagasaki e chiederti se vuoi che questo si ripeta al tuo popolo o ad altri.
Mi è sempre piaciuta la storia del samurai che fatto prigioniero da qualcuno, si
uccide per non mancare l’appuntamento che ha con l’amico. Bene, nel giro di qualche
mese anch’io non sarò più nel mio corpo - capita a tutti, prima o poi - , ma conto sul
fatto che le parole che seguono continueranno a risuonare perché in verità non sono le
mie parole, ma le parole nel cuore di tutti. E magari riuscirò anche a non mancare gli
appuntamenti con gli amici che lavorano per la pace in Giappone e nel mondo. Niente
avviene per caso nelle nostre vite. Buona fortuna con la tua, mio lettore.
t.t.
Himalaya indiana, dicembre 2003