Approfondimento 16/07 luglio 2016

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Approfondimento 16/07 luglio 2016
16/07
APPROFONDIMENTI
HORA VEL LABORANS…
QUO VADIS PRODUTTIVITÀ?
Approfondimenti Rapporto di previsione / Luglio 2016
Le ore lavorate sono diminuite più del doppio rispetto agli occupati negli
anni della crisi. Per questo motivo gli indicatori usuali di produttività del
lavoro sono contraddittori sulla ripresa, che al contrario è ben definita negli altri principali paesi dell’UEM. In Italia dal 2007, infatti, le ore lavorate pro capite sono diminuite più che altrove, grazie anche alla diffusione
dei contratti part-time. Questi ultimi sono cresciuti considerevolmente tra
gli uomini e tra i più giovani, smussando la concezione del tempo parziale come modalità di lavoro al femminile o legata all’anzianità lavorativa.
Valore aggiunto fratto cosa?
L’aggettivo “apparente” che solitamente accompagna “produttività del lavoro” nelle statistiche sintetizza bene la difficoltà di definire un indicatore unico che la misuri. Nella letteratura hanno trovato larga diffusione gli indicatori aventi al numeratore il valore aggiunto e al denominatore una statistica
sul lavoro impiegato. L’utilizzo dell’uno o dell’altro indicatore, però, fornisce
misure che possono raccontare storie diverse. È questo il caso della produttività del lavoro in Italia (Fig. 1), la cui recente dinamica è quantomeno
ambigua. Dal 2009 al 2015, infatti, la produttività per ora lavorata è cresciuta del 3.6%, mentre quella per occupato è rimasta al palo (+0.6%). A metà
strada (+2.3%) la produttività per unità di lavoro standard, che però è stagnante dal 2011.
La produttività è in
ripresa? Dipende
dall’indicatore che
usiamo…
È vero che neppure per gli altri principali paesi dell’UEM c’è perfetta coincidenza tra la crescita della produttività per ora lavorata e quella per occupato, tuttavia gli scarti tra gli indicatori sono ridotti (la metà o meno di quello calcolato per l’Italia) e le tendenze di crescita ben definite (Fig. 2). A
quale indicatore “credere”, dunque, quando ci si domanda qual è il trend
della produttività in Italia?
…ma solo in
Italia, per gli altri
grandi dell’UEM
la produttività è
ripartita
Fig. 1
La “forchetta” della produttività
del lavoro
Fig. 2
2009=100
Crescita della produttività del lavoro tra
2009 e 2014 nei principali paesi UEM
valori percentuali
10
105
104
8
103
6
102
101
4
100
2
99
02 - PROMETEIA
98
2009
2010
2011
2012
2013
2014
valore aggiunto per occupato
valore aggiunto per unità di lavoro standard
valore aggiunto per ora lavorata
Fonte: elaborazione Prometeia su dati Istat
2015
0
Italia
Germania
Francia
valore aggiunto per occupato
valore aggiunto per ora lavorata
Fonte: elaborazione Prometeia su dati OECD
Spagna
Ancora una volta è innanzitutto una questione di settori.1 Per la manifattura, infatti, lo scarto tra la crescita della produttività per ora lavorata e quella della produttività per occupato è pressoché nullo, mentre è più evidente nei servizi di mercato (2.8 pp) e nelle costruzioni (7.3 pp). Perché questo
scostamento? Prima di tutto una questione definitoria: le statistiche sul lavoro in Italia sono al lordo dei lavoratori in cassa integrazione (CIG). Poiché
ciascun cassintegrato può usufruire di un ammontare differente di ore di
CIG, è problematico calcolare quanti sono i lavoratori coinvolti e, quindi, il
contributo della CIG alla discrepanza dei due indicatori. Con questo caveat in mente, proseguiamo nell’analisi.
In Italia ogni
occupato lavora
mediamente 2 ore a
settimana in meno
rispetto al 2007
Se il valore aggiunto diminuisce, come accaduto nel periodo di riferimento,
la produttività per ora lavorata che cresce di più della produttività per occupato segnala che la riduzione delle ore di lavoro è stata più forte di quella degli occupati. In Italia infatti le prime sono cadute dell’8.2% a fronte di
un calo degli occupati del 3.2%. Ciò si è riflesso in una discesa delle ore lavorate per occupato che non ha pari tra le altre principali economie europee (Fig. 4): in Italia nel 2014 ogni occupato ha lavorato mediamente un’ora
in meno a settimana rispetto al 2009 e quasi due ore in meno rispetto al
2007.
Approfondimenti Rapporto di previsione / Luglio 2016
La discrepanza
tra gli indicatori
si accumula nelle
costruzioni e nei
servizi
È vero che nonostante ciò l’Italia resta il paese con il numero medio di ore
lavorate per occupato più elevato tra le principali economie europee (33
ore settimanali, 5 ore in più della Francia, 7 in più della Germania). In parte, la tendenza alla diminuzione delle ore di lavoro pro capite può essere
considerata un processo strutturale, già in atto da prima della crisi (-2% tra
il 2000 e il 2007 in Italia), e legata all’aumento dell’occupazione femminile
e nei servizi, caratterizzati mediamente da orari di lavoro ridotti.
1 Si veda l’Approfondimento Prometeia 16/06, “Produttività italiana: un puzzle a più dimensioni”
Fig. 3
Crescita della produttività del lavoro tra
2009 e 2015 nei settori italiani
Fig. 4
valori percentuali
Ore di lavoro annue per occupato
variazione; livelli del 2014 in parentesi
20
Italia (1720)
15
10
Germania (1366)
5
Francia (1463)
0
-5
servizi di
mercato
valore aggiunto per occupato
valore aggiunto per ora lavorata
Fonte: elaborazione Prometeia su dati Istat
Spagna (1698)
business
sector
-100
-80
-60
-40
-20
2009-2014
Fonte: elaborazione Prometeia su dati OECD
0
2007-2014
03 - PROMETEIA
manifattura costruzioni
Approfondimenti Rapporto di previsione / Luglio 2016
L’evoluzione del lavoro part-time: un’analisi comparata
In questo contesto la riduzione della domanda e il conseguente aggiustamento della produzione nelle imprese durante la crisi ha condotto a un aumento dei contratti part-time (Fig. 5) anche a fronte di un calo degli occupati totali. La stessa discrepanza che (con toni anche più decisi) si è avuta
in Spagna, mentre in Germania e Francia l’aumento dei contratti part-time
è stato proporzionale a quello dei contratti full-time.
Anche se gli
occupati sono
diminuiti durante
la crisi, i contratti
part-time sono
cresciuti…
Alla diffusione dei contratti part-time, cresciuti in Italia tra il 2007 e il 2015
del 23% (il triplo della Francia, il quadruplo della Germania), ha contribuito
soprattutto quello involontario (Fig. 6). Tra i lavoratori con contratto part-time, quelli che lo hanno accettato loro malgrado sono passati dal 40% nel
2007 al 64% nel 2014. Impennata ancora maggiore per la Spagna, dove gli
occupati part-time che vorrebbero un lavoro a tempo pieno sono il 72%
(dal 39% del 2007). In Francia tale quota, dopo essere rimasta stabile per
oltre 10 anni, ha subito un aumento di 15 pp negli ultimi 3 anni. In Germania,
invece, essa (già bassa, sotto il 20%) è addirittura in lieve diminuzione.
…ma sono per lo
più involontari
Se, però, all’aumento del part-time nei primi anni 2000 avevano contributo
perlopiù le donne, il ridimensionamento della domanda di lavoro nelle imprese conseguente alla crisi ha prodotto una parificazione di genere nel
contributo alla crescita del part-time (Fig. 7, barre piene). Sempre più uomini, dunque, hanno un contratto part-time, ma, benché ciò sia un risultato
della crisi, non sempre essi sarebbero disposti a lavorare più ore (Fig. 7,
barre sfumate). Nonostante, infatti, i maschi abbiano contribuito più delle
femmine alla diffusione dei contratti part-time tra il 2007 e il 2015, sono ancora queste ultime (sebbene meno nettamente rispetto ai primi anni 2000)
a guidare le statistiche sul desiderio di un impiego full-time. E ciò è vero per
tutti e quatto i principali paesi dell’UEM, a suggerire che la preferenza per
Gli uomini
contribuiscono
sempre di più alla
diffusione del lavoro
part-time e non per
forza lo fanno loro
malgrado
Crescita dei contratti full-time
(barre piene) e part-time (barre a righe)
Fig. 5
Fig. 6
valori percentuali
Quota di part-time involontario
valori percentuali
80
80
60
60
40
40
20
0
20
-20
.
.
04 - PROMETEIA
Italia
.
.
Germania
2000-2007
Fonte: elaborazione Prometeia su dati OECD
.
.
Francia
2007-2015
.
.
Spagna
0
2000
Italia
2003
2006
Germania
Fonte: elaborazione Prometeia su dati OECD
2009
2012
Francia
2015
Spagna
La crisi ha accelerato
la crescita della
quota di parttime sul totale
degli occupati,
contrariamente a
quanto accaduto
negli altri grandi
paesi UEM
In Italia i contratti part-time, dunque, hanno parzialmente compensato la diminuzione dei contratti full-time durante la crisi. La diffusione dei primi ha
permesso di praticare (soprattutto nei primi anni della crisi) il cosiddetto
“labour hoarding”: riduzione degli orari di lavoro per non lasciare inattivi lavoratori già formati in attesa della ripresa. Sui dati di contabilità nazionale
ciò ha avuto come effetto un calo del tasso di occupazione meno intenso
rispetto a quanto ci si attendeva nei primi anni di crisi e un ridimensionamento più netto, invece, delle ore lavorate. Si nota, quindi, in Italia un’accelerazione nella crescita della quota di occupati part-time sul totale degli occupati nel periodo di crisi (Fig. 8), mentre per Francia e Germania tale
quota sembra essersi stabilizzata.
Sempre più comuni
i contratti part-time
tra i giovani durante
la crisi, soprattutto
per la fascia tra 25 e
34 anni
Oltre a un effetto di ricomposizione di genere del part-time, un’importante
effetto della crisi riguarda però la ricomposizione del part-time lungo le età
dei lavoratori (Fig. 9). Infatti, se in Italia nel 2000 la quota di lavoratori
part-time aumentava con l’età, già nel 2007 si osserva una maggiore diffusione del part-time nelle classi d’età agli estremi della vita lavorativa. Con la
crisi, oltre al boom dell’orario ridotto per i giovanissimi, si verifica un sensibile aumento del part-time (circa 6 pp) dei lavoratori tra i 25 e i 34 anni, invertendo la correlazione positiva tra diffusione del part-time e età osservata a inizio secolo. In Spagna la relazione negativa tra part-time e anzianità
lavorativa (ancorché verificabile anche nel 2000) è ancora più evidente.
Per Germania e Francia, se si escludono i giovanissimi (che comunque pesano poco sul totale degli occupati), la maggiore diffusione del part-time
all’aumentare dell’età persevera anche dopo la crisi. È interessante rilevare
come in Francia (Germania) la quota di part-time nelle classi centrali di anzianità lavorativa sia inferiore al livello del 2000 (2007).
Fig. 7
Contributo alla crescita del part-time
(barre piene) del part-time involontario
(barre sfumate) valori %
Fig. 8
Quota di lavoratori part-time sul totale
degli occupati
valori percentuali
80
25
70
23
60
21
50
19
40
17
30
15
20
13
10
11
9
0
7
00 - 07 07 - 15 00 - 07 07 - 15 00 - 07 07 - 15 00 - 07 07 - 15
Italia
Germania
maschi
Fonte: elaborazione Prometeia su dati OECD
Francia
femmine
Spagna
5
2000
Italia
2003
2006
Germania
Fonte: elaborazione Prometeia su dati OECD
2009
2012
Francia
2015
Spagna
05 - PROMETEIA
-10
Approfondimenti Rapporto di previsione / Luglio 2016
la carriera è in crescita tra le donne, magari proprio per l’aumento della
possibilità di affidare al maschio la staffetta tra lavoro e casa.
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Conclusione
Gli indicatori di produttività non mostrano con chiarezza se in Italia essa si
sia ripresa dalla crisi oppure stagni ancora ai livelli del 2009. Emerge nitidamente, invece, come la crisi ha modificato il rapporto tra ore lavorate e occupati, avvicinandolo ai valori di Germania e Francia, che restano comunque lontani. Benché tale processo abbia caratteristiche strutturali e fosse
già in atto prima della crisi, quest’ultima, oltre ad aver proseguito (se non
accelerato) la diffusione dell’occupazione a tempo parziale ne ha anche
modificato i connotati. Oltre ad essere largamente (e comprensibilmente) involontaria, la crescita del lavoro part-time dal 2007 a oggi si distingue
in quanto trainata dagli uomini, per molti dei quali la riduzione dell’orario
Fig. 9
Quota di lavoratori part-time sul totale degli occupati per classi di età
valori percentuali
Italia
Germania
30
30
25
25
20
20
15
15
10
10
5
5
0
0
15-24
25-34
2000
35-44
2007
45-54
15-24
55-64
25-34
2000
2015
35-44
2007
Francia
45-54
55-64
2015
Spagna
40
25
35
20
30
25
15
20
10
15
10
5
5
0
0
06 - PROMETEIA
15-24
2000
25-34
35-44
2007
Fonte: elaborazione Prometeia su dati OECD
45-54
55-64
2015
15-24
2000
25-34
35-44
2007
45-54
2015
55-64
Approfondimenti Rapporto di previsione / Luglio 2016
L’aumento dell’incidenza del part-time tra i più giovani, più che proporzionale rispetto alla crescita avutasi per le altre classi d’età, rappresenta in primis una non ottimale allocazione di risorse e di competenze, considerate le
energie fisiche e il potenziale in termini di capitale umano. In Italia questo
fenomeno è maturato durante la crisi, in cui, malgrado il ridimensionamento degli organici, i contratti part-time ai più giovani hanno permesso alle imprese di non rinunciare all’inserimento di forze (e idee) nuove. Ha senso,
dunque, ritenere questo fenomeno congiunturale, nonostante il protrarsi
dell’incertezza prospettica potrà ritardare di qualche anno l’assestamento
verso un maggior impiego a tempo pieno dei più giovani.
07 - PROMETEIA
di lavoro ha plausibilmente rappresentato un’alternativa alla disoccupazione (i contratti part-time per gli uomini tra 45 e 54 anni sono aumentati del
70%). In tutti i principali paesi dell’UEM l’aumento del part-time maschile,
però, sembra essere accettato più volentieri dai contraenti rispetto a quanto accade per il part-time femminile. Che la crisi, intervenendo sulle determinanti della scelta lavoro-tempo libero delle famiglie, abbia contribuito
verso la parificazione di genere? È verosimile che una ripresa della produzione reinserirà forza lavoro maschile a tempo pieno, tuttavia le motrici di
questo processo (donne sempre meno allettate dal tempo parziale) hanno
caratteri strutturali che la crisi ha evidenziato, ma che difficilmente rientreranno con la ripresa.