Molestie mediante invio di SMS

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Molestie mediante invio di SMS
Molestie mediante invio di SMS
Quesito n. 29
Tizio è da molto tempo infatuato di Caia, nonostante la donna non lo corrisponda.
L’uomo nel corso del tempo ha subito molti rifiuti, ma, ciò nonostante, non si dà
per vinto ed insiste nel suo corteggiamento sino a diventare assillante.
Dopo l’ennesimo rifiuto, Tizio inizia ad inviare a Caia una serie di SMS nei quali
gli ribadisce il proprio amore.
Dinanzi a tali messaggi la donna lo richiama e gli dice esplicitamente di non voler avere più contatti con lui, in quanto ormai infastidita dalla situazione.
Tizio, però, non rassegnato continua ad inviarle SMS in continuazione ed anche
di notte.
Caia, stremata, per ritrovare la propria tranquillità e far desistere il corteggiatore
non gradito, decide di presentare una denuncia per il reato di molestie.
Tizio, preoccupato delle conseguenze del suo comportamento, si reca da un avvocato.
Il candidato, assunte le vesti del legale di Tizio, rediga parere motivato sulla vicenda, specificando se nella condotta dell’uomo siano ravvisabili gli estremi della contravvenzione di cui all’art. 660 c.p.
Svolgimento
Una risposta adeguata al quesito posto nella traccia non può prescindere da
una preventiva analisi della fattispecie prevista dall’art. 660 c.p., rubricata «molestia o disturbo alle persone».
Commette la contravvenzione in esame «chiunque, in un luogo pubblico o
aperto al pubblico, ovvero col mezzo del telefono, per petulanza o per altro
biasimevole motivo, reca a taluno molestia o disturbo».
L’oggetto giuridico della norma in esame, secondo alcuni, è rappresentato
dalla tranquillità individuale, per cui giustamente si è detto che questo è un
reato contro la persona (così, in dottrina, ANTOLISEI e FLICK e la giurisprudenza minoritaria).
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Per la dottrina tradizionale, invece, l’oggetto giuridico della norma sarebbe
anche in questo caso la tranquillità collettiva, che sarebbe pregiudicata dal pericolo di reazioni violente da parte dei soggetti direttamente offesi e dai riflessi
pregiudizievoli sui terzi non direttamente coinvolti; a conferma di tale oggettività giuridica militerebbe la procedibilità d’ufficio (così Gius. SABATINI e MANZINI nonché altra parte della giurisprudenza: vedi da ultimo Cass., sent. 43704
del 23-11-2007).
Per essere punibile l’azione deve essere compiuta in luogo pubblico o aperto
al pubblico ovvero col mezzo del telefono.
Con riferimento alla pubblicità del luogo, che è presupposto del fatto e non
condizione obiettiva di punibilità, la giurisprudenza ha precisato che il requisito della pubblicità del luogo sussiste tanto nel caso in cui l’agente si trovi in
luogo pubblico o aperto al pubblico e il soggetto passivo in luogo privato,
quanto nel caso in cui la molestia venga arrecata da un luogo privato nei confronti di chi si trovi in un luogo pubblico o aperto al pubblico.
Sotto tale profilo, quindi, restano esclusi dal reato in esame tutti quei fatti di
molestia che rimangono circoscritti in luoghi privati, come i fatti di disturbo che
solitamente hanno luogo tra vicini in contrasto e che non fuoriescono dalla
sfera del privato, fatti contro i quali è possibile solo l’azione civile di risarcimento danni (LA GRECA).
Per ciò che concerne la commissione del reato col mezzo del telefono si
rinvia a quanto si dirà più avanti nel fornire la soluzione del caso prospettato.
Petulante è il modo di agire pressante, impertinente, vessatorio o, più generalmente, incivile, che interferisce inopportunamente nell’altrui sfera di libertà
(così Cass., sent. 17308 del 24-4-2008).
Motivo biasimevole è ogni movente che risulti riprovevole, in se stesso o in
relazione alle qualità e condizioni della vittima.
L’elemento materiale del reato in esame consiste nella commissione di fatti
che arrechino molestia, fastidio o disturbo.
Il reato di molestia non è necessariamente abituale, per cui può essere realizzato anche con una sola azione di disturbo o di molestia (Cass, sent. 17787
del 5-5-2008).
La pluralità di azioni di disturbo, tuttavia, non può essere riconducibile all’ipotesi di reato continuato e dà luogo ad un solo reato.
Se nel fatto ricorrono gli estremi del reato di ingiuria, la contravvenzione
resta assorbita nel reato maggiore sempre che per tale reato sia stata presentata
la querela, perché se questa manca il soggetto risponderà solo di molestia (così
ANTOLISEI, DE VERO e la giurisprudenza); se, poi, il fatto integra anche gli
estremi della violenza privata, i due reati concorrono, essendo diversa la loro
oggettività giuridica (ROSSO).
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La contravvenzione in esame è solo dolosa: per la punibilità, infatti, è richiesto che il fatto sia compiuto per petulanza o per altro biasimevole motivo: è
richiesto, dunque, il dolo specifico (ANTOLISEI, FLICK, LA CUTE, ROSSO e la
giurisprudenza: vedi Cass., sent. 2766 del 2-3-1990).
Ha precisato al riguardo la giurisprudenza che l’elemento soggettivo del reato consiste nella coscienza e volontà della condotta, tenuta nella consapevolezza della sua idoneità a molestare o disturbare il soggetto passivo, senza che
possa rilevare, in quanto pertinente alla sfera dei motivi, l’eventuale convinzione dell’agente di operare per un fine non biasimevole o addirittura per il ritenuto conseguimento, con modalità non legali, della soddisfazione di un proprio
diritto (Cass., sent. 4053 del 3-2-2004).
Va, tuttavia, specificato che se, per un verso, deve ritenersi la configurabilità
del reato anche quando l’agente esercita, o crede di esercitare, un proprio diritto, in modo tale, tuttavia, da rivelare l’esistenza di uno specifico malanimo che
si traduce in un mero dispetto arrecato per «biasimevole motivo», per altro verso
deve escludersi che tale condizione possa essere ritenuta sussistente per il solo
fatto che la condotta sia o possa apparire oggettivamente molesta (nel senso di
«fastidiosa» o «irritante») a chi la subisce, richiedendosi invece che tale sua caratteristica le venga impressa senza alcuna plausibile ragione strumentalmente ricollegabile all’effettivo esercizio del preteso diritto; ragione che può consistere
anche nell’intento di rendere manifesta la propria volontà di avvalersi di quel
diritto, a fronte di chi non intenda riconoscerlo (Sez. I, sent. 9619 del 2-3-2004).
Sempre la giurisprudenza ha opportunamente ricordato che la speciale causa di non punibilità della «ritorsione», prevista dal primo comma dell’art. 599 per
il reato di ingiuria, non trova applicazione per quello concorrente di molestie
previsto dall’art. 660 e commesso nel medesimo contesto, stante la non corrispondenza delle condotte punibili e dei beni giuridici protetti dalle rispettive
norme incriminatrici.
Si è, tuttavia, affermato che non è configurabile il reato di molestia o disturbo alle persone di cui all’art. 660 allorché vi sia reciprocità o ritorsione delle
molestie, in quanto in tal caso non ricorre la condotta tipica descritta dalla norma, e cioè la sua connotazione «per petulanza o altro biasimevole motivo», alla
quale è subordinata l’illiceità penale del fatto.
Quanto alla differenza tra molestia sessuale ed abuso sessuale tentato, la giurisprudenza appare decisamente orientata nel senso che la molestia sessuale,
che è una forma particolare della contravvenzione punita dall’art. 660, prescinde da contatti fisici a sfondo sessuale e si estrinseca o con petulanti corteggiamenti non graditi o con altrettante petulanti telefonate o con espressioni volgari nelle quali lo sfondo sessuale costituisce un motivo e non un momento della
condotta; in definitiva, sostiene la giurisprudenza, si ha molestia sessuale nel
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caso di quelle condotte, sessualmente connotate, diverse dall’abuso sessuale,
che vanno oltre il semplice complimento o la mera proposta di instaurazione di
un rapporto interpersonale.
Nel momento in cui dalle espressioni volgari a sfondo sessuale o dal corteggiamento invasivo ed insistito si passa a toccamenti non casuali suscettibili di
eccitare la concupiscenza sessuale, si è fuori della molestia e si realizza quanto
meno il tentativo di atto sessuale.
Quest’ultimo a sua volta si distingue dal reato consumato, che può prescindere dalla congiunzione carnale e può estrinsecarsi anche mediante un atto libidinoso, allorché la condotta, pure in mancanza di atti di contatto fisico tra imputato
e persona offesa, denoti il requisito soggettivo di raggiungere l’appagamento dei
propri istinti sessuali e quello oggettivo dell’idoneità a violare la libertà di autodeterminazione della vittima, il che si può verificare, ad esempio, allorché il contatto fisico è impedito dalla reazione della vittima ovvero allorché il contatto fisico
sia rimasto superficiale o tenue per la reazione della vittima o per altra causa.
Venendo ora alla condotta posta in essere da Tizio, è il caso di individuare
con precisione la questione interpretativa da dirimere, ossia se l’invio di SMS al
telefono (fisso o mobile) sia riconducibile alla previsione di cui all’art. 660 c.p.
In altri termini, si dovrà valutare se nella locuzione «col mezzo del telefono»,
contenuta nella norma in esame, rientri anche questo tipo di comunicazione.
Sul punto va registrata l’esistenza di una giurisprudenza contrastante.
Ed invero, un primo orientamento (Cass., sent. 18449 del 29-4-2005), aveva
affermato come la forma scritta (e non vocale) del messaggio sms non era in
grado di integrare l’elemento tipico del reato descritto dall’art. 660 c.p. in quanto tale condotta era giudicata non idonea a ledere il bene giuridico della privata tranquillità, tenuto conto che la norma era stata creata nel momento in cui
erano concepibili solo messaggi vocali.
Una diversa posizione, invece, era stata assunta dalla Suprema Corte con la
sent. 28680 del 1-7-2004, in cui si è sostenuto che la disposizione di cui all’art.
660 c.p. punisce la molestia commessa col mezzo del telefono, e quindi anche
la molestia posta in essere attraverso l’invio di short messages system (SMS) trasmessi attraverso sistemi telefonici mobili o fissi, i quali non possono essere
assimilati a messaggi di tipo epistolare, in quanto il destinatario di essi è costretto, sia «de auditu» che «de visu», a percepirli, con corrispondente turbamento
della quiete e tranquillità psichica, prima di poterne individuare il mittente, il
quale in tal modo realizza l’obiettivo di recare disturbo al destinatario.
Tale ultimo orientamento è stato, successivamente, ripreso dai giudici della
legittimità (Cass., sent. 24150 del 17-6-2010), nel trattare l’ipotesi di molestia a
mezzo di posta elettronica.
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In realtà, in tale pronuncia, questa posizione era stata utilizzata come argomentazione a contrario, per escludere la configurabilità del reato de quo tramite l’invio di una e-mail.
In tale ultima ipotesi, infatti, diversamente dal telefono (e, quindi, anche dagli
SMS) ed analogamente alla posta cartacea, non è ipotizzabile la contravvenzione di
cui all’art. 660 c.p., in quanto non si realizza nessuna immediata interazione tra il
mittente ed il destinatario, né si verifica una intrusione diretta del primo nella sfera
di attività del secondo (cosa che, viceversa, avviene con l’invio di un messaggio).
Conseguentemente, la eventuale realizzazione dell’evento immateriale del
reato (il turbamento del soggetto passivo) non potrebbe rilevare penalmente ai
sensi dell’art. 660 c.p., in quanto deficiterebbe un elemento essenziale della
condotta descritta dalla norma (cioè l’uso del telefono).
Queste conclusioni hanno, poi, trovato un ulteriore conferma nella pronuncia 10983 del 22-2-2011, in cui è stato ribadito (facendo leva sulle medesime
argomentazioni del 2004) come l’invio di un SMS sia idoneo a configurare la
contravvenzione in esame.
Se questa, dunque, è la posizione della giurisprudenza più recente e più
accreditata si deve propendere per la punibilità di Tizio per il reato di molestie,
ma tale soluzione solleva ancora qualche perplessità.
In particolare, ciò che lascia perplessi è uno dei principi utilizzati dalla Suprema Corte per giungere alle sue conclusioni: e cioè la circostanza che il destinatario degli SMS non possa individuare il mittente senza leggerlo e, quindi,
sottrarsi alla necessaria percezione del messaggio.
Tale parametro di riferimento, in realtà, appare molto precario per una serie
di motivi.
In primis, in tanti casi è possibile conoscere l’identità di chi invia il messaggio
prima di aprirlo (ed in tal modo la percezione del SMS non sarebbe più necessaria, visto che il destinatario potrebbe tranquillamente evitare di leggerlo).
In secondo luogo, così ragionando, addirittura si potrebbe escludere la rilevanza delle chiamate vocali, atteso che anche in tali ipotesi il chiamante è quasi sempre riconoscibile.
Sempre in questa ottica, del resto, non si comprende neanche l’esclusione dei
messaggi di posta elettronica dalla tipicità del fatto di cui all’art. 660 c.p., visto
che con gli ultimi modelli di telefono cellulare essi possono essere inviati anche
tramite tale strumento e, pertanto, sono in tutto e per tutto assimilabili agli SMS.
In conclusione, lo si ripete, Tizio dovrà rispondere della contravvenzione di
molestie, ma la questione non pare risolta con assoluta certezza in sede giurisprudenziale e, pertanto, non si possono escludere nuovi mutamenti di posizione (dettati dalla nascita continua di nuove tecnologie), né, tanto meno, un intervento chiarificatore del legislatore che riordini la materia.
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Riferimenti normativi e giurisprudenziali
(V. amplius Simone, Codice Penale Commentato - C3, ed. 2012)
• art. 660 c.p.: Bene-interesse tutelato; Elemento oggettivo; Petulanza o altro
biasimevole motivo; Natura giuridica; Molestia o disturbo a mezzo telefono
e altri mezzi di comunicazione; Pluralità delle azioni di disturbo; Elemento soggettivo; Rapporti con altri reati