Pellegrinaggio a Borovnica, l`inferno dei morti viventi Il raduno

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Pellegrinaggio a Borovnica, l`inferno dei morti viventi Il raduno
Pellegrinaggio a Borovnica,
l'inferno dei morti viventi
““Poste Italiane S.p.A. - Spedizione in Abbonamento Postale - D.L. 353/2003 (conv. in L. 27/02/2004 n° 46) art. 1, comma 2, DCB Trieste””
ISSN 1974-1812
Il raduno-vacanza
del Libero Comune
di Pola
osteggiato dai rimasti
NUOVA SERIE - ANNO XXXI - N. 7
Periodico della Libera Provincia dell’’Istria in Esilio
Napolitano in Friuli per
commemorare l'eccidio
di Porzûs
(ma non sale alla Malga!)
MAGGIO 2012
maggio 2012
Pola, già nita la grande amicizia tra Esuli
e Rimasti!
P
rima che qualche lettore lo faccia, rimproverandomi, lo
ammetto subito: è vero, l’’avevamo detto il direttore Enrico Neami ed io che non ci saremmo più occupati delle escursioni primaverili ed estive del Libero Comune di Pola in Esilio,
pur paventando che la nta riconciliazione tra Esuli e Rimasti
sarebbe durata giusto il tempo di una stagione.
Ma tanti, troppi sono gli elementi che hanno contraddistinto
il raduno istriano di quest’’anno, tanto che non parlarne signicherebbe operare una censura che verrebbe davvero mal interpretata da parte dei lettori.
Abbiamo l’’obbligo di intervenire per precisare diverse anomalie che hanno contraddistinto questo secondo raduno in
Istria. A partire dalla accurata scelta dei quattro luoghi presso
i quali il generale Silvio Mazzaroli, Maurizio Tremul e Furio
Radin hanno voluto portare la comitiva di escursionisti in pellegrinaggio: dovevano costituire quattro momenti rappresentativi delle violenze degli opposti totalitarismi del secolo scorso,
hanno invece confermato l’’inconcepibile asservimento ad uno
pseudo antifascismo sloveno-croato (al posto di un, seppur ob-
soleto e ridicolo al giorno d’’oggi, antifascismo italiano!) caratteristico della storia politica passata e dell’’azione presente dei
vertici dell’’Unione Italiana, in Istria soprattutto.
In particolare due dei quattro luoghi scelti dal citato gruppetto suscitano disgusto nelle persone ben pensanti e coerenti
con la realtà di ciò che è accaduto e con il peso delle responsabilità storiche delle diverse parti coinvolte appunto negli opposti totalitarismi chiamati in causa da Mazzaroli: il monumento
di Strugnano e il monumento di Monte Grande a Pola.
A Strugnano il monumento macabramente esaspera (con
storpiature e slovenizzazione forzata dei nomi delle giovani
vittime) un gravissimo fatto di sangue che va denito però qual
è realmente stato: un incidente, una disgrazia, una sciagurata fatalità. Un episodio, dunque che non dovrebbe –– in particolare proprio dagli Esuli –– essere decontestualizzato da una più
vasta, enorme e complessa realtà locale e nazionale di allora.
Agli inizi del 1921, nel Piranese (come nel resto dell’’Istria e
dell’’Italia intera!) gli incidenti tra squadre d’’azione e socialisti
erano molto frequenti e alla violenza si rispondeva con altret-
Dalla decadenza all’’oblio
Che l’’Istituto Regionale per la Cultura Istriano-umano-dalmata di Trieste non sprizzasse vitalità ed energia da tutti
i pori era, purtroppo, cosa da tempo dolentemente nota a tutti.
Dopo un lungo periodo di gestazione tra la ne degli anni Ottanta ed i primi Novanta, in tempi recenti e sotto la
presidenza di Silvio Delbello l’’IRCI aveva avviato le faticose e pesanti procedure, d’’accordo con il Comune e le
istituzioni cittadine, per trasformare lo storico palazzo dell’’ex Ufcio Igiene di Trieste - stabile che il Comune aveva
appunto identicato quale futura sede del Museo della Civiltà Istriana, Fiumana e Dalmata - nel moderno contenitore
culturale in cui far trovar posto a quel Museo Istriano che tutti gli esuli, in Italia e nel Mondo, avevano atteso per
decenni e che proprio a Trieste, Capitale Morale dell’’Esodo, poteva e doveva nalmente trovare degna sede.
I lavori di restauro e riqualicazione, tra mille e comprensibili difcoltà economiche, burocratiche, procedurali
e pratiche, si erano inne conclusi agli inizi del 2009, quando l’’Istituto aveva riconsegnato al Comune l’’edicio
integralmente rinnovato e pronto ad accogliere i materiali del Museo.
Terminata a questo punto l’’era Delbello, Silvio infatti lasciava l’’IRCI per scadenza del mandato ed assumeva la
presidenza dell’’Università Popolare di Trieste, iniziava per l’’Istituto, per il Museo e per tutti gli esuli, una strana (e
quasi malsana) stagnazione, destinata a traghettare le aspettative del mondo istriano non verso la concretizzazione
del sogno di mantenimento della cultura e della memoria, bensì verso una progressiva ed irreversibile decadenza che
portava, nel corso della presidenza di Lucio Delcaro (già Magnico Rettore dell’’Università degli Studi di Trieste)
ad un’’esponenziale arenamento delle principali e più note attività dell’’Istituto - rarefazione estrema nell’’uscita del
semestrale Tempi & Cultura, sospensione dell’’attività del servizio di consultazione e prestiti della Biblioteca, riduzione
del livello qualitativo e quantitativo dei lavori di ricerca e delle esposizioni organizzate dall’’Istituto, decadimento
della linea editoriale istituzionale, ecc. - ed al blocco di ogni progresso nell’’evoluzione del Museo che, di fatto,
rimaneva per i successivi anni un contenitore vuoto, scarsamente riempito di tanto in tanto da mostre tematiche
temporanee volute e curate dal direttore dell’’IRCI Piero Delbello, o da non sempre appropriatissime manifestazioni
pretese da questa o quell’’altra associazione di esuli.
Alla ne dell’’aprile scorso, l’’Assemblea dei Soci dell’’IRCI ha provveduto al rinnovo delle cariche sociali, nel corso
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maggio 2012
Raduno dei Polesani, Fabrizio Radin
vieta ai Rimasti
di partecipare alle commemorazioni
Si è svolto anche quest’’anno nella trasgurata città natale il raduno primaverile del Libero Comune di Pola in Esilio.
Strombazzato in tutte le maniere possibili, no alla nausea, l’’incontro dei polesani aveva come tema ed obiettivo
unico la ““riconciliazione”” tra esuli e rimasti, attraverso lo svolgimento di un programma che, a detta di Silvio Mazzaroli e Paolo Radivo - le due anime di tutto questo movimento -, avrebbe dovuto rivelarsi storico. Invece, più che
storico, si è confermato scontato, soprattutto nell’’atteggiamento dei rimasti che addirittura hanno disertato in massa
il programma predisposto. L’’Unione degli Istriani tutto ciò l’’aveva previsto, ma ha inviato anche questa volta un
corrispondente che ha testimoniato la realtà dei fatti, così come sono avvenuti.
U
n asco? Un falliLa cronaca
mento? Come dedella simulata
nire il tracollo delle ingenue
speranze dei Polesani pilotati
riconciliazione
da Silvio Mazzaroli e da Paodel 12 maggio
lo Radivo - i registi dei raduni annuali del Libero Comu2012
ne di Pola in Esilio –– che con
il recente incontro di maggio
Prima tappa, Capodistria
hanno assaporato (evidente(rimasti presenti: 42, su
mente non era bastato l’’as3.000 presunti, dimoranti
saggio dell’’anno scorso……)
nell’’Istria slovena).
la scoppola di Fabrizio Radin
Ma veniamo all’’analisi
& soci della comunità italiadettagliata di come sono anna dell’’ex capoluogo italiano
date le cose in questo 2° radell’’Istria?
duno in terra istriana, senza
Come minimo si tratta di
le censure che la stampa deluno sfascio morale!
le associazioni interessate ha
Venduto come avveniinvece già convenientemente
mento irrinunciabile, foriero
operato.
di novità ed in grado di deterPrima tappa di questo
minare la svolta nei rapporti
pellegrinaggio pro-riconcitra esuli e rimasti, tale evento
liazione è il cimitero di Caha invece confermato ciò che
podistria dove esiste da diil presidente dell’’Unione deversi anni, nella parte nuova
gli Istriani Massimiliano Ladel cimitero di San Canziacota aveva con lucidità, in
no, una fossa comune in cui
tempi non sospetti e –– dobsono stati deposti i resti di albiamo riconoscerlo –– con racuni corpi ignoti recuperati
ra accortezza pronosticato: la
cruda realtà delle comunità Pola, 12 maggio 2012. Il sindaco del Libero Comune di Pola, Argeo Benco, e in diverse cavità del capodidegli italiani rimaste, il loro Furio Radin omaggiano il monumento eretto dai partigiani comunisti a Mon- striano: si tratta quasi certamente di soldati tedeschi, di
credo politico di fondo (osti- te Grande.
qualche militare italiano e di
lità verso gli ““italiani fascisti””, come gli esuli vengono tuttora
oggi considerati) e la nomenclatura che li comanda. Con buo- sloveni domobranci del circondario, uccisi nel periodo dal settembre 1943 alla ne della guerra. Qui corre l’’obbligo di fana pace di tutti!
I momenti migliori del raduno hanno coinciso con la par- re una premessa importante, per capire ciò che dirò più avante godereccia: grandi abbuffate cene in hotel e agriturismo, ti: sia Silvio Mazzaroli che Maurizio Tremul, nel presentare
canzoni non sempre solo italiane con accompagnamento della a Trieste (e perché non a Capodistria oppure a Pola?) il pro““classica”” sarmonica (si è esibito più di una volta il coro della gramma del raduno e del pellegrinaggio congiunto in confeLino Mariani, ““specializzato in canti partigiani, tanto che viene renza stampa, avevano sottolineato più volte come i monumenchiamato dal Comune per tutte le ricorrenze antifasciste”” così ti presso i quali omaggiare le vittime degli opposti totalitarismi
mi ha condato una signora settantenne rimasta), e poi i soli- in Istria fossero stati accuratamente scelti, al ne di evitare strumentalizzazioni e polemiche, dall’’una e dall’’altra parte.
ti discorsi vacui.
La predetta fossa comune, prima tra le complessivamente
Insomma, si è trattato di una gita vera e propria, di storico
quattro
tappe dello ““storico”” pellegrinaggio, è stata sostanzialsolamente la riconferma che i tempi non sono affatto mutati.
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Il campo di internamento
Il campo di internamento (e sterminio) di Borovnica (Franzdorf) è situato in realtà a circa tre chilometri dalla omonima località e più precisamente nei presi del villaggio di
Dol (Dulle), sulla destra della strada per Vrhnika (Oberlaibach).
L’’area del campo si presentava di forma rettangolare di circa 150 x 200 metri, attraversato da un torrente e circondato da
reticolati regolari con postazioni di guardia (torrette).
Oggi non rimane traccia alcuna del campo e l’’intera area è
stata urbanizzata con la fabbricazione di villette e condomini
moderni. Sopravvivono soltanto alcuni edici, ovvero due case
di abitazione che funsero da prima e seconda sede del comando
nei primi mesi di attività.
L’’area del campo venne dapprima utilizzata, a partire dal 20
maggio 1941 dal Reggimento Genio Ferrovieri del Regio Esercito che vi costruì le prime cinque baracche in legno per accogliere gli addetti alla riparazione del viadotto fatto saltare dalle truppe jugoslave in ritirata a seguito dell’’invasione italiana.
Successivamente, verso la ne del 1943, la zona venne ampliata, utilizzata e riadattata dalle autorità germaniche per ospitare prigionieri slavi, mentre dal maggio 1945 venne strutturalmente modicata dalle autorità slavo-comuniste e destinata
a campo di internamento (e di sterminio) per civili deportati e
militari italiani, e per soldati tedeschi. Vi furono imprigionati ed uccisi anche molte centinaia di domobranci e belogardisti
sloveni, strenui oppositori di Tito durante la cosiddetta ““guerra partigiana””.
Numerose sono le testimonianze circa le condizioni disumane di vita e le torture che i prigionieri dovettero subire durante il periodo di internamento. Fondamentali risultano ancora oggi gli scritti del tenente Gianni Barral (Borovnica 1945 al
Schizzo circa il posizionamento del campo.
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Storia e genesi dell'inferno di Borovnica
conne orientale d’’Italia. Memorie di un ufciale italiano –– Ed.
Paoline. 2007) e del soldato della RSI Lionello Rossi Kobau,
padre dell’’attore Paolo Rossi (Prigioniero di Tito 1945-1946 ––
Ed. Mursia. 2001), nonché le molte testimonianze di sloveni e
tedeschi, ancora troppo poco pubblicizzate.
Fosse comuni a Borovnica
Come detto, le esecuzioni sommarie e le morti avvenute a
seguito di torture e malattie infettive nel campo di internamento oscillano tra le 3.000 e 5.000, mentre i deportati che furono
ospitati nel campo si stimano fossero tra i 5.000 ed i 10.000.
A ridosso del reticolato del campo di internamento (e sterminio), all’’esterno, furono realizzate delle fosse comuni, in cui
al bisogno venivano seppelliti i cadaveri scheletrici dei detenuti
morti oppure ““giustiziati””. Tali fosse comuni funzionarono no
a febbraio/marzo del 1946, quando vennero ““smesse”” ed i cadaveri iniziarono ad essere tumulati nel cimitero di Borovnica.
All’’esterno del cimitero nel 1991 venne eretto un contestato
monumento che per la prima volta squarciava l’’omertà ed il silenzio che regnava (e regna ancora purtroppo) a Borovnica sugli eccidi e le uccisioni avvenute all’’interno del campo di internamento (e sterminio): si tratta di una epigrafe con i nomi di
tutti i cittadini anticomunisti di Borovnica e dintorni, molti dei
quali sterminati nell’’omonimo lager.
Il 15 ottobre 2005, l’’Associazione Concordia et Pax di Nova Gorica, ha ottenuto dalle autorità ecclesiastiche il permesso
di afggere sul grande Crocisso del camposanto una targhetta
in ricordo di tutte le vittime del campo di internamento (e sterminio) con la semplice scritta ““1945-2005””).
Ai piedi del grande Crocisso l’’Unione degli Istriani intende deporre una corona di alloro con nastro tricolore e la scritta ““L’’Unione degli Istriani in memoria delle vittime italiane del
campo di concentramento di Borovnica””.
Veduta aerea dell’’attuale villaggio di Dol di Borovnica con
evidenziato il sito ove sorgeva il campo nel 1945-1946
L’’area è stata urbanizzata seguendo la disposizione dei
baraccamenti.
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Capodistria
Egida - Capris - Giustinopoli - Capo d’’Istria
Irragionevole modicazione di un territorio e cancellazione di quella che era considerata l’’Atene dell’’Istria
Capodistria 1934 (collezione Derin).
Q
ueste considerazioni nascono da quando il giustinopolitano Sergio Riccobon mi fa vedere una vecchia fotograa di proprietà della famiglia Pocecco di Carigador, scattata
nel 1910 da un aereo austriaco del K.u.k. Luftfahrtruppen, probabilmente un ricognitore Hanse-Brandenburg B.I ed eseguita mentre stava sorvolando la zona tra Isola d’’Istria e Giusterna. Ne è risultata una visione panoramica molto suggestiva che
mi ha dato l’’idea di cercare altre immagini da confrontare con
il territorio attuale.
Foto aerea del 1910.
Lo stato della fotograa era pessimo, soprattutto nell’’area marittima, per cui è stato necessario, dopo il passaggio allo scanner,
un accurato restauro che ha dato comunque un discreto risultato.
Ho lasciato volutamente visibili i dati strumentali di bordo e
la parte schiarita dall’’esposizione alla luce nella quale si notano
comunque i particolari. Impressionano la nitidezza della ferrovia a scartamento ridotto Trieste - Parenzo lungo la costa, che già
esisteva essendo stata costruita nel 1902, il promontorio a mare
creato alla foce del Risano ed il notevole numero di saline che
impegnavano anche la zona di Val d’’Oltra. Quelle adiacenti la
città verranno così gravemente danneggiate nel novembre 1910
a causa di una violentissima mareggiata con sfondamento degli argini, al punto da provocare irrimediabilmente la loro ne.
Il fascino della città è lo stesso che aveva ispirato Baccio
Ziliotto nel racconto della sua storia sul famoso libricino scritto proprio nel 1910, che così inizia:
““Atena per sfuggire alle persecuzioni del suo rivale Posidone riparò n presso al Risano: l’’implacabile dio inseguitala
battagliò con lei e le strappò di mano l’’egida che cadde supina sulla placida onda del golfo; ma la dea, per scemare il vanto della vittoria all’’avversario, supplicò Giove di trasformare
lo scudo in uno scoglio. Così si formò l’’isolotto sul quale più
tardi la città di Egida eternerà col suo nome l’’avvenimento””.
Nei secoli, analizzando vecchie stampe e planimetrie, si nota che i mutamenti erano avvenuti solamente all’’interno della cinta muraria che di fatto coincideva con il perimetro a mare. Fa eccezione la costruzione nel 1278 del Castel Leone fuori
dalla porta della Muda, eretto dai Veneziani tra terraferma e città a loro sicurezza come emblema di dominio e potenza per far
fronte ad eventuali attacchi.
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