Intervento Giunti Conv_Esodo da Istria_8 feb 2007
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Intervento Giunti Conv_Esodo da Istria_8 feb 2007
Con la legge 30 marzo 2004, n. 92 il Parlamento Italiano – ponendo fine alle rimozioni reciproche perdurate per oltre un cinquantennio – ha riconosciuto il 10 febbraio quale “Giorno del Ricordo” al fine di conservare e rinnovare la memoria della tragedia degli Italiani e di tutte le vittime delle foibe, dell’esodo dalle loro terre degli Istriani, Fiumani e Dalmati nel secondo dopoguerra e della più complessa vicenda del confine orientale. Il “Giorno del Ricordo” – recita la legge – costituisce una occasione importante per diffondere, non tra i giovani ma anche tra tutti coloro che non li hanno vissuto direttamente, la conoscenza di quei tragici eventi, anche attraverso la realizzazione di studi, convegni, incontri e dibattiti, allo scopo di conservare la memoria di quelle vicende. Tali iniziative hanno anche lo scopo di valorizzare il patrimonio culturale, storico, letterario ed artistico degli italiani dell’Istria, di Fiume e delle coste dalmate e di salvaguardare le tradizioni delle Comunità Istriano – Dalmate residenti in Italia e all’estero. Molti di noi hanno avuto modo di apprezzare – anche solo in occasione di vacanze trascorse sull’altra sponda dell’Adriatico – l’impronta tipicamente veneziana di città e paesi della Dalmazia e dell’Istria, testimonianza di una presenza secolare e maggioritaria in quelle terre. La colpevole rimozione e, addirittura, la negazione – per convenienza politica o per ragione di stato – di vicende tanto drammatiche della storia italiana, le ha sottratte alla conoscenza delle generazioni del secondo dopoguerra, relegandole nell’ambito locale, affidandone la memoria ai congiunti delle migliaia di vittime ed alle centinaia di migliaia di esuli. Ora, noi non possiamo ignorare la politica di repressione e di snazionalizzazione messa in atto prima e durante il ventennio fascista nei confronti delle minoranze Slovene e Croate dei territori annessi all’Italia dopo la Prima guerra mondiale, che porteranno alla soppressione dei toponimi in lingua slovena e croata, alla italianizzazione dei cognomi slavi, e neanche possiamo tacere sull’aggressione militare e l’occupazione della Jugoslavia operate da Italia e Germania dalla primavera del 1941 in poi e che provocarono, complici e spietati carnefici anche gli Ustascha di Ante Pavelic, diverse centinaia di migliaia di morti. Ma queste premesse, non giustificano in alcun modo i massacri messi in atto dall’esercito di liberazione iugoslavo, la maggior parte dei quali avvennero nelle settimane successive alla fine della guerra, provocando almeno diecimila vittime, buona parte delle quali immediatamente passate per le armi e gettate – in non pochi casi ancora in vita – nelle foibe carsiche, altre avviate ai campi di concentramento, ove i più trovarono la morte per le violenze subite, per gli stenti, per la fame. A partire dal 1° maggio 1945, nei quaranta giorni di occupazione iugoslava della città di Trieste – che riuscirono ad arrivarvi il giorno prima degli inglesi – le epurazioni, le deportazioni, i processi sommari, le esecuzioni, si abbatterono non solo su chi aveva indossato la divisa fascista o nazista – il che, era comunque un crimine di guerra, essendo ormai cessate le ostilità – ma su tutti coloro che si opponevano al nuovo ordine, all’annessione di Trieste e di buona parte della Venezia Giulia alla Jugoslavia. Vennero colpiti anche non pochi membri del C.L.N. triestino, che dopo la frattura con la componente comunista, si era collocato su posizioni liberali e democratiche, partecipando attivamente all’insurrezione contro i nazifascisti prima dell’arrivo degli iugoslavi, ma che si oppone alla politica annessionistica di questi ultimi. Come sarà chiaro successivamente, non si tratta di mere vendette contro gli invasori e gli oppressori di ieri - il che, come detto, non sarebbe comunque giustificato, essendo ormai conclusa le guerra in Europa – ma il clima di terrore era invece finalizzato a far tacere gli oppositori alle mire annessionistiche della Jugoslavia e, più in generale, ad intimorire l’intera popolazione, preparando le condizioni per il massiccio esodo, negli anni successivi, della quasi totalità della popolazione italiana dell’Istria e della Dalmazia. A partire dalla Conferenza di Parigi del 1946, la condizione italiana di nazione occupante e sconfitta e quella iugoslava di nazione occupata e vincitrice, pesarono non poco nelle successive scelte degli alleati, tanto che le rivendicazioni territoriali iugoslave vennero in buona parte accolte con il Trattato di pace del 10 febbraio 1947 – che è appunto la data simbolo del “Giorno del Ricordo” - con l’annessione dell’intera Istria e della Valle dell’Isonzo, fino alla immediata periferia di Gorizia. Solo Trieste resterà sotto l’amministrazione alleata e sarà assegnata definitivamente all’Italia nel 1954. In conseguenza di ciò, tra il 1944 e la fine degli anni cinquanta, non meno di 250.000 mila persone (ma alcune fonti sostengono 350.000) quasi tutti italiani, dovettero abbandonare i luoghi di loro insediamento storico in Dalmazia, a Fiume, nelle isole del Quarnaro e nell’intera penisola Istriana, esuli in Italia per la maggior parte, ma anche in altre parti del mondo. Essi dovettero abbandonare la propria terra – nella quale, in molti casi, i loro avi risiedevano da secoli – per sfuggire alle discriminazioni ed alle persecuzioni politiche ed etniche ed alla dittatura che si stava instaurando in Jugoslavia. Il nostro Paese ha un grosso debito nei confronti di questi esuli, per le sofferenze e le umiliazioni subite, soprattutto nei primi anni del loro stabilimento in Italia, nonché per la successiva rimozione, ad ogni livello istituzionale e politico, di queste vicende storiche, dovuta anche alla nuova collocazione internazionale della Jugoslavia, espulsa nel 1948 dal Cominform per il suo distacco dalle posizioni sovietiche. Per questo è importante che a partire dagli anni novanta si sia finalmente cominciato a riportare alla luce vicende storiche oscurate e rimosse per tanti anni per convenienze convergenti di stati e movimenti politici. Il silenzio sulle foibe e sull’esodo fu anche il silenzio sul Trattato di pace del 10 febbraio 1947 e sulle conseguenti limitazioni alla sovranità nazionale che ci vennero imposte, sulle contraddizioni che esplosero drammaticamente tra la componente comunista e quella cattolicoliberale all’interno del C.L.N. della Venezia Giulia ed agli stessi vertici del Partito Comunista Italiano; infine, la rimozione della sconfitta in una guerra insensata di aggressione, consentì anche di eludere assunzioni di responsabilità e debiti da onorare nei confronti di Istriani, Fiumani e Dalmati, da parte di chi quell’aggressione l’aveva messa in atto: del fascismo e dei nostri settori militari, molti dei quali erano rimasti o erano stati reintegrati ai loro posti. Queste vicende drammatiche della nostra storia ci ricordano come si può essere al tempo stesso liberatori ed oppressori. La resistenza iugoslava contro il nazifascismo, guidata da Tito, fu un grande movimento di popolo, il più importante a livello europeo, una lotta sacrosanta per la libertà del proprio paese; ma quell’esercito di liberazione, diviene subito esercito di oppressione quando pretende di occupare militarmente l’Istria, Trieste, parte della Venezia Giulia, mettendo in atto tutti i crimini possibili – comprese le foibe – per terrorizzare e far fuggire la popolazione italiana che si oppone all’annessione titina, con la insensata equiparazione italiani = fascisti. Come dimenticare che molti appartenenti all’esercito italiano, all’indomani dell’otto settembre, divennero partigiani combattenti nelle formazioni della resistenza iugoslava, contribuendo alla liberazione di quel popolo che avevano prima occupato? Un altro esempio, per capirsi. Pochi giorni fa, il 27 gennaio, abbiamo ricordato la data-simbolo dell’Olocausto, abbiamo ricordato quel 27 gennaio 1945, quando l’Armata Rossa apre i cancelli di Auschwitz e libera i pochi sopravvissuti alla furia degli aguzzini nazisti. Ed è quella stessa Armata Rossa liberatrice del più tremendo campo di sterminio, che diviene poco dopo e per oltre quarant’anni, l’esercito di oppressione della libertà di quei popoli. Dico questo per ricordare che la storia non ammette omissioni, non è tale se viene piegata alle convenienze ideologiche, politiche, diplomatiche del momento e non sopporta semplificazioni. Ecco perché anche il “Giorno del Ricordo” può essere anche un’occasione per accrescere la conoscenza storica – soprattutto da parte dei giovani – delle tragedie e degli orrori che, anche nel recente passato, hanno ancora una volta insanguinato quelle terre e la regione balcanica, quel confine dell’Italia orientale che per molti anni è stato – per l’una e per l’altra parte – il confine della divisione e della sofferenza, possa divenire oggi il crocevia dell’incontro e dell’integrazione di popoli e nazioni della nuova Europa. Marco Giunti