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Estratto da: Oliviero Facchinetti, Bulli! Guida operativa per genitori, insegnanti e ragazzi per prevenire e combattere il bullismo, pp. 176, € 13,00 CAPITOLO PRIMO – Conoscere il bullismo «Bullismo» o «forme di prepotenza» Il bullismo rappresenta una chiara e diffusa forma di malessere e disagio sociale costituito da una complessa gamma di comportamenti: da piccole e persistenti prevaricazioni quotidiane alla estremizzazione dei giochi di forza caratteristici del gruppo in alcune fasi dello sviluppo, da manifestazioni di prepotenza visibili e manifeste ad altre più subdole e nascoste. Con l’avvento delle nuove tecnologie nelle comunicazioni è nato infine, più recentemente, il bullismo elettronico (da quello legato ad esempio all’uso di video ripresi con telefoni cellulari, a quello divulgato attraverso Internet). Il termine bullismo, introdotto solo recentemente nella lingua italiana, è la traduzione italiana del vocabolo inglese bullying. Nell’accezione originaria, il termine bullying include sia i comportamenti del “persecutore” che quelli della “vittima”, ponendo al centro dell’attenzione la relazione nel suo insieme. Secondo Dan Olweus, pioniere e uno dei massimi esperti mondiali in questo campo: «Uno studente è oggetto di azioni di bullismo, ovvero è prevaricato o vittimizzato, quando viene esposto, ripetutamente nel corso del tempo, alle azioni offensive messe in atto da parte di uno o più compagni» 1 . Negli anni Novanta, quando sono state effettuate le prime indagini italiane sul bullismo coordinate dalla prof.ssa Ada Fonzi, gli autori effettuarono anche una approfondita analisi per trovare il miglior corrispettivo nella lingua italiana a quell’insieme di comportamenti che in inglese vengono denominati appunto ‘bullying’. Venne individuato nel termine ‘prepotenza’ quello che meglio si adattava a descrivere questo genere di prevaricazioni. Vale la pena citare estesamente la definizione di comportamento prepotente utilizzata nell’adattamento italiano del questionario sulla diffusione del bullismo: «Diciamo che un ragazzo subisce delle prepotenze quando un altro ragazzo, o un gruppo di ragazzi, gli dicono cose cattive e spiacevoli. È sempre prepotenza quando un ragazzo riceve colpi, pugni, calci e minacce, quando viene rinchiuso in una stanza, riceve bigliettini con offese e parolacce, quando nessuno gli rivolge mai la parola o altre cose di questo genere. Questi fatti capitano spesso e chi subisce non riesce a difendersi. Si tratta sempre di prepotenze anche quando un ragazzo viene preso in giro ripetutamente e con cattiveria. Non si tratta di prepotenze quando due ragazzi, all’incirca della stessa forza, litigano tra loro o fanno la lotta» 2 . Ricerche internazionali indicano che in ambito scolastico, considerando sia chi agisce che chi subisce, un alunno ogni due o tre è coinvolto nelle prepotenze. Nelle ricerche italiane più recenti, circa il 30% degli alunni dichiara di aver subito prepotenze in modo continuativo, con dati che variano dal 20% al 40% a seconda della zona e del tipo di strumenti utilizzati. In alcuni casi – minoritari – si verificano inoltre, episodicamente, episodi di grave violenza psicologica o fisica (che spesso assurgono più rapidamente alla cronaca). 1 2 D. Olweus, Bullismo a scuola: ragazzi oppressi, ragazzi che opprimono, Giunti, Firenze 1996, p. 11. A. Fonzi, Il bullismo in Italia, Giunti, Firenze 1997, pp. 6-8. © Eurilink Editori, www.eurilink.it Nei dibattiti e nei commenti d’uso comune il termine ‘bullismo’ non sempre viene utilizzato nell’accezione originaria. Qualcuno vi attribuisce ad esempio un significato fortemente negativo, come di qualcosa di estremamente grave: «l’episodio successo in quella scuola non è una ragazzata, è bullismo!». In altre situazioni, sull’onda del gusto di mostrarsi aggiornati sulle novità e sulle nuove patologie, il termine viene utilizzato – anche da persone mediamente competenti in materia, o che tali dovrebbero essere – come se si trattasse di una specie di disturbo di personalità socialmente pericoloso. Altre volte ancora, al contrario, viene utilizzato come se si trattasse di una manifestazione in un certo senso “normale” dei rapporti sociali nell’età dello sviluppo, come un fenomeno adolescenziale transitorio, con affermazioni del tipo «cosa vuoi che sia, queste cose ci sono sempre state e aiutano a crescere, sono ragazzate». Prima di entrare nel merito delle diverse forme in cui il bullismo può manifestarsi, si elencano qui di seguito alcuni punti di carattere generale che possono fungere efficacemente da cornice alle riflessioni successive: – il bullismo è un fenomeno complesso e multifattoriale, determinato cioè da un insieme di variabili che interagiscono in forme e modalità diverse nelle singole situazioni e contesti sociali; di conseguenza, la sua riduzione necessita di interventi approfonditi e non può essere ottenuta con soluzioni semplicistiche o riduttive; – i processi sociali e le emozioni che sottendono il bullismo non sono completamente diversi da quelli che Fig. 1 – Multifattorialità del bullismo. entrano in gioco nella vita affettiva e sociale di tutti noi; pertanto, il bullismo non va considerato come qualcosa di estraneo al vivere sociale ma un fenomeno che in qualche misura riguarda tutti, e la cui riduzione è possibile solamente attraverso una chiara assunzione di responsabilità collettiva; – il bullismo può esprimersi in forme differenziate con diversa gravità, sia per quanto attiene agli specifici comportamenti che alle conseguenze a medio e lungo periodo che esso ha su prepotenti e vittime. È dunque essenziale distinguere tra interventi promozionali e preventivi in senso lato (pur utilissimi e indispensabili) e interventi finalizzati alla soluzione delle situazioni di bullismo conclamato (in cui è forte la disparità di forza, l’intenzionalità di ferire e la continuità nel tempo). Quest’ultimo richiede infatti, evidentemente, una progettualità personalizzata e decisione e costanza nelle azioni che di volta in volta vengono attuate; – alcuni bambini o ragazzi sperimentano periodi di coinvolgimento nel bullismo, sia nei ruoli di prevaricatori che di vittime, e con la crescita riescono a modificare i propri atteggiamenti risolvendo spontaneamente il problema. Ma quando il coinvolgimento presenta caratteristiche di stabilità e alcuni elementi di alto rischio senza un forte, competente e deciso intervento di qualche adulto educativamente importante, il bullismo tende a perpetrarsi ed aggravarsi; – avere chiarezza rispetto agli obiettivi ed alle potenzialità dei diversi interventi educativi o delle diverse metodologie che possono essere messe in atto permette di investire in modo più adeguato le risorse utilizzate per combattere il fenomeno; – le situazioni di bullismo si risolvono stabilmente quando i processi di cambiamento coinvolgono pienamente la dimensione emotiva e non si limitano a cambiamenti a livello razionale o cognitivo non supportati da mutamenti profondi. © Eurilink Editori, www.eurilink.it