Cane calpestato reagisce mordendo
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Cane calpestato reagisce mordendo
Cane calpestato reagisce mordendo: condannato il padrone Cane calpestato reagisce mordendo: condannato il padrone per omessa custodia e lesioni colpose. Il sig. B.S. ricorreva per Cassazione avverso sentenza del Giudice di Pace di Belluno, di condanna nei suoi confronti, in ordine al delitto di cui agli artt. 40 e 590 2° comma cod. pen. (lesioni colpose gravi) nonché all’illecito amministrativo di cui all’art. 672 cod. pen. (omessa custodia e mal governo di animali) per avere lasciato libero e senza museruola il proprio cane pastore tedesco che aggrediva e mordeva D.P.F. la quale riportava lesioni personali gravi. Secondo la ricostruzione e le testimonianze del processo di primo grado, tuttavia, il cane era assolutamente tranquillo, stava giocando con i presenti durante una festa in giardino, quando gli è stata pestata una zampa da un ospite e si è spaventato aggredendo la persona offesa: secondo la difesa è stato questo l’evento scatenante, inconciliabile con i capi di accusa poiché, nel caso di specie, non sarebbe applicabile la norma di cui all’art. 2052 cod. civ, ma sarebbe necessario acquisire gli elementi costitutivi del delitto di lesioni personali colpose. Il ricorso in Cassazione viene tuttavia dichiarato inammissibile perché riguardante censure non consentite nel giudizio di legittimità in quanto inerenti la ricostruzione e la valutazione del fatto e l’apprezzamento dei materiale probatorio, profili questi rimessi alla esclusiva competenza del giudice del merito. “Ma se anche si volesse dar credito alla versione dei fatti esposta in ricorso -spiega la Suprema Corte- non verrebbe comunque meno la responsabilità penale del ricorrente.” Infatti se è pur vero che l’indagine va svolta per l’accertamento degli elementi costitutivi del delitto contestato, è altrettanto vero che la disposizione del codice civile all’art. 2052: “Il proprietario di un animale o chi se ne serve per il tempo in cui lo ha in uso, è responsabile dei danni cagionati dall’animale, sia che fosse sotto la sua custodia, sia che fosse smarrito o fuggito, salvo che provi il caso fortuito.” rappresenta la norma di riferimento per la violazione della regola prudenziale che raffigura sia la condotta colposa contestata, che l’individuazione del soggetto titolare della posizione di garanzia. Nel caso analizzato è provato che il B.S. ha lasciato il proprio cane, non di taglia piccola o “da grembo”, libero e senza museruola durante una festa in giardino in presenza di molti ospiti. Di conseguenza non assume alcun rilievo la circostanza che sia stato calpestato accidentalmente, poiché tale evenienza è del tutto probabile, come era probabile che l’animale rispondesse a ciò con un’aggressione; ciò che invece assume significativa rilevanza penale è il fatto che l’animale non sia stato custodito in luogo non accessibile agli ospiti o, quanto meno, munito di museruola. E’ stata dunque violata, dal proprietario, la norma prudenziale che impone l’idonea custodia di un animale, ancor più quando trattasi di un cane di razza di grossa taglia e tendenzialmente pericoloso e, di conseguenza, non può essere in alcun modo censurata la sentenza impugnata. E’ quindi importante ricordare che il proprietario è sempre responsabile per il comportamento del proprio animale –tranne che per il caso fortuito- poiché su di lui vige l’obbligo di custodirlo idoneamente. Per una consulenza professionale non esitare a contattarci: [email protected] Non si effettua consulenza legale gratuita. E’ assolutamente vietata la riproduzione, anche parziale, del testo presente in questo articolo senza il consenso dell’autore. In caso di citazione è necessario riportare la fonte del materiale citato. Il cane abbaia troppo? Rischi di pagare molto salato La convivenza, si sa, non è sempre facile: spesso è necessario tollerare, sopportare comportamenti o situazioni di vicinato con il solo scopo del “quieto vivere”. Vi sono tuttavia alcune situazioni nelle quali la soglia della normale tollerabilità viene di gran lunga oltrepassata: risulta a tal fine esemplare la sentenza n. 40/2014 con la quale il Tribunale di Lucca, rigettando il ricorso presentato a seguito di Sentenza avversa del Giudice di Pace, ha condannato il detentore di un cane a pagare oltre 35.000 Euro a titolo di risarcimento del danno biologico causato dal continuo abbaiare del cane di grossa taglia. Punto focale della lite erano proprio le “immissioni sonore” prodotte da un cane di grossa taglia il quale, continuamente rinchiuso in casa e lasciato incustodito, non poteva fare altro che abbaiare, guaire, ululare e latrare a qualunque ora del giorno e della notte. Il Giudice nominava dunque un perito al quale affidava le indagini e gli approfondimenti necessari a far emergere la reale situazione: tra i vari disagi e problemi denunciati dalla coppia (abitante l’appartamento soprastante quello dell’animale) si sottolineavano l’impossibilità di dormire, di rilassarsi dopo il lavoro, oltre all’evidenziarsi di disturbi post-traumatici da stress, attivazione patologica del sistema nervoso autonomo e conseguente irritabilità, ansia, depressione ed altri. Il cane non apparteneva alla signora convenuta, bensì al figlio non convivente, e tale circostanza veniva proposta a discolpa del convenuto dalla difesa: circostanza non accolta dal Tribunale il quale ha invece tenuto conto di quanto già periziato, non essendo stata impugnata la Sentenza del Giudice di Pace, diventata in tale maniera irrevocabile. Rigettate dunque anche le altre motivazioni presentate dalla detentrice del cane, il Tribunale di Lucca condannava la signora a risarcire il danno subito dalla coppia sottolineando che, come riferito dal Perito, in caso di rumori che superino in maniera continuativa la normale tollerabilità si può parlare di lesione psichica, incidente cioè sul danno psichico. Quello sopra riportato è naturalmente un caso limite, ma affronta in maniera chiara alcune delle tematiche fondamentali riguardanti la detenzione di animali e la convivenza in condominio. Per una consulenza professionale non esitare a contattarci: [email protected] Non si effettua consulenza legale gratuita. E’ assolutamente vietata la riproduzione, anche parziale, del testo presente in questo articolo senza il consenso dell’autore. In caso di citazione è necessario riportare la fonte del materiale citato. Ospiti il cane di altri? Sei responsabile per i danni causati Dalla recente Sentenza n. 2414 del 04/02/2014 emessa dalla III Sez. della Corte di Cassazione Civile si può dedurre la seguente massima: “La responsabilità di chi si serve dell’animale per il tempo in cui lo ha in uso, ai sensi dell’art. 2052 cod. civ., prescinde sia dalla continuità dell’uso, sia dalla presenza dell’utilizzatore al momento in cui l’animale arreca il danno.” (Rigetta, App. Venezia, 11/03/2009) Il caso riguardava il signor T.G., il quale aveva convenuto in giudizio M.A., davanti al Tribunale di Venezia, affinché fosse condannato al risarcimento dei danni dal primo patiti a causa di una caduta dalla bicicletta determinata dall’improvvisa uscita di un cane pastore tedesco dall’abitazione di proprietà del convenuto. Il Tribunale accoglieva la domanda in 1° grado, condannando il convenuto al pagamento della somma di Euro 2.368,60 oltre interessi; proposto poi appello dal M., la Corte d’appello di Venezia, con sentenza dell’11 marzo 2009, confermava la pronuncia di primo grado, con l’ulteriore carico di spese. Risulta interessante il ragionamento svolto dal Giudice d’Appello il quale osserva che, ai sensi dell’articolo 2052 c.c. – che recita testualmente: “Il proprietario di un animale o chi se ne serve per il tempo in cui lo ha in uso, è responsabile dei danni cagionati dall’animale, sia che fosse sotto la sua custodia, sia che fosse smarrito o fuggito, salvo che provi il caso fortuito” – il proprietario di un animale, o chi ne abbia l’uso, risponde dei danni dal medesimo cagionati, non già per il proprio comportamento, bensì per la mera relazione intercorrente fra sè e l’animale. Nella fattispecie, l’istruttoria aveva dimostrato che l’animale si trovava da mesi presso l’abitazione del M. il quale doveva ragionevolmente farne o averne fatto uso, pur non essendone il proprietario. Risultava pertanto irrilevante che il M. non fosse in casa nel momento in cui il sinistro si è verificato. Contro la sentenza della Corte d’appello di Venezia veniva dunque proposto ricorso per Cassazione. Secondo il M. la responsabilità esclusiva dell’accaduto doveva ritenersi a carico della proprietaria, poiché egli era assente da casa ed il cane non era nemmeno da lui ‘utilizzato’ nel momento in cui il fatto dannoso si è verificato. La giurisprudenza della Corte di Cassazione ha più volte affermato che, ai sensi dell’art. 2052 c.c., la responsabilità del proprietario dell’animale è alternativa rispetto a quella del soggetto che ha “in uso” il medesimo e tale responsabilità trova il proprio fondamento non in una specifica attività del proprietario bensì nella relazione che si crea fra la persona fisica e l’animale. Nel caso specifico, precisa la Cassazione, la sentenza della Corte d’appello non ha affermato una responsabilità in concorso tra l’odierno ricorrente (utilizzatore) ed il proprietario dell’animale: al contrario, il Giudice di 2° grado ha scelto uno dei possibili criteri di responsabilità indicati dal Codice Civile, applicandolo al caso concreto sulla base delle risultanze del processo. Ritenendo anche gli altri motivi di ricorso privi di fondamento, la Corte di Cassazione rigettava il ricorso e condannava il ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di cassazione, liquidate in complessivi Euro 1.500,00 oltre accessori.. Per una consulenza professionale non esitare a contattarci: [email protected] Non si effettua consulenza legale gratuita. E’ assolutamente vietata la riproduzione, anche parziale, del testo presente in questo articolo senza il consenso dell’autore. In caso di citazione è necessario riportare la fonte del materiale citato. Cane libero nel cortile del condominio: condannato Il padrone per aggressione Con la Sentenza n. 4672 del 3.2.2009 la 4^ Sez. Penale della Corte di Cassazione ha sancito definitivamente il divieto di lasciare circolare liberamente il proprio cane nel cortile condominiale, privo di guinzaglio e di supervisione da parte del proprietario/detentore. La Corte di appello di Catania aveva infatti confermato in 2° grado, con sentenza datata 1.4.2008, la sentenza di 1° grado del Tribunale di Catania con la quale il proprietario di un cane era stato dichiarato colpevole del reato di lesioni colpose in danno di un terzo (art. 590 c. p.) e condannato alla pena ritenuta di giustizia. Secondo le motivazioni presentate dai Giudici, il cane di razza «collie» che aveva aggredito un condomino facendolo rovinare per terra e procurandogli lesioni alla persona, doveva essere custodito nell’occasione dall’imputato, che ne era il proprietario, ma ciò non è avvenuto e l’imputato è pertanto risultato colpevole di aver lasciato libero l’animale e omesso di custodirlo nel cortile condominiale, dove si trovavano altre persone, tenuto anche conto della mole dell’animale. Come ormai ribadito più volte anche nei precedenti articoli pubblicati in questa sezione, quando ci si trova in un luogo pubblico o in un luogo privato ma aperto al passaggio di terze persone -i.e. il cortile di un condominio- è fatto obbligo di condurre il proprio cane con guinzaglio non più lungo di 1,5 mt e munirsi di museruola da applicare all’animale in caso di necessità o in caso venga richiesto dalle autorità. Per concludere è bene ricordare che il proprietario di un cane è sempre responsabile del controllo e della conduzione dell’animale e per questo motivo risponde, sia civilmente che penalmente, dei danni e delle lesioni a persone, animali o cose provocati dall’animale stesso. Per una consulenza professionale non esitare a contattarci: [email protected] Non si effettua consulenza legale gratuita. E’ assolutamente vietata la riproduzione, anche parziale, del testo presente in questo articolo senza il consenso dell’autore. In caso di citazione è necessario riportare la fonte del materiale citato. Condannato il padrone che non custodisce con le dovute cautele un cane in suo possesso Con la Sentenza n. 46307 del 20 novembre 2013, la IV sez. Penale della Corte di Cassazione ha confermato la condanna per il reato di lesioni colpose al padrone che non abbia custodito il proprio cane all’interno di un parco dove lo stesso, lasciato libero, ha rincorso e morso una donna. Andando con ordine: il Giudice di Pace di Pisa, con sentenza datata 15 novembre 2012 ha ritenuto il signor C.D. responsabile del reato di lesioni colpose per avere omesso di custodire con le dovute cautele un cane in suo possesso che, in luogo pubblico, rincorreva e mordeva al ginocchio la signora O.E., alla guida di un velocipede, la quale a causa del morso cadeva, procurandosi lesioni personali e l’ha condannato alla pena di Euro 400,00 di multa oltre al pagamento delle spese processuali. Avverso tale sentenza il signor C.D., a mezzo del suo difensore, proponeva ricorso per Cassazione. La Suprema Corte dichiarava inammissibile il ricorso (in quanto “lungi dall’individuare specifici vuoti o difetti di risposta che costituirebbero la mancanza o la contraddittorietà della motivazione, si duole del risultato attinto dalla sentenza impugnata e descrive circostanze che intenderebbero ridisegnare il fatto ascrittogli in chiave a lui favorevole, al fine di ottenere in tal modo una decisione solamente sostitutiva di quella assunta dal giudice di merito.”) e condannava il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 1.000,00 in favore della cassa ammende. Tra i motivi della decisione si può leggere che: ”Già il giudice di Pace di Pisa ha indicato con congrua e logica motivazione le ragioni che gli hanno consentito di ritenere la responsabilità dell’imputato in ordine al reato ascrittogli, in quanto ha evidenziato che il C. aveva lasciato libero in area aperta al pubblico un cane doberman di notevoli dimensioni, senza guinzaglio, omettendo quindi le necessarie cautele dirette a prevenire azioni aggressive del cane, che infatti aveva aggredito una donna che procedeva in bicicletta, che cadeva a terra, procurandosi le lesioni di cui al capo di imputazione.” Si deve quindi affermare con forza la necessità di utilizzare guinzaglio e museruola ogni qualvolta ci si trovi in un luogo frequentabile anche da altri esseri umani ed animali: infatti, in caso di aggressione da parte di un cane privo di guinzaglio e/o museruola, potrete citare in giudizio il proprietario dell’animale al fine di ottenere il risarcimento dei danni subiti. Per una consulenza professionale non esitare a contattarci: [email protected] Non si effettua consulenza legale gratuita. E’ assolutamente vietata la riproduzione, anche parziale, del testo presente in questo articolo senza il consenso dell’autore. In caso di citazione è necessario riportare la fonte del materiale citato. Malattie infettive e displasia: come comportarsi? E’ evidente che, parlando di esseri viventi e non di cose, qualunque tipo di patologia dell’animale potrebbe essere identificata come “vizio” ma, per rientrare nella categoria dei vizi garantiti dal venditore e poter dare luogo così ad un possibile risarcimento, la malattia deve poter essere classificata come vizio redibitorio ed essere cioè pregressa, occulta e grave. Pregressa, quindi preesistente al momento del contratto; occulta, cioè non facilmente riconoscibile al momento del contratto; ed infine grave, ossia tale da influire negativamente sulla qualità di vita dell’animale e tale che, se l’acquirente ne fosse stato a conoscenza, non avrebbe concluso il contratto. La garanzia per i vizi redibitori è sempre dovuta dal venditore, anche in caso non vi sia un contratto scritto ma, data la difficoltà di provare in sede di giudizio quanto oralmente pattuito, si consiglia sempre la sottoscrizione di un contratto in forma scritta. A tal proposito è bene sottolineare la necessaria attenzione con cui bisogna visionare il contratto: la garanzia per vizi deve coprire un periodo minimo di 15 giorni dal momento dell’acquisto. Diffidate dal venditore che offra garanzia per 48 ore o per una settimana soltanto: le più comuni malattie virali del cane infatti, quali il cimurro, l’epatite, la leptospirosi e la parvovirosi, hanno un periodo di incubazione di circa 15 giorni. Quindi, se la malattia si manifesta entro questo lasso di tempo dal momento dell’acquisto, è assolutamente certo che fosse pregressa, è evidente che fosse occulta, ed è indubbio che sia grave, al punto da risultare spesso letale per l’animale. Rientrando la malattia nella categoria dei vizi redibitori, il compratore ha la facoltà di esercitare la risoluzione del contratto, potendo così scegliere tra la restituzione del cucciolo “viziato” al venditore (purchè non siano stati compiuti atti di proprietà sull’animale, quali il taglio delle orecchie o della coda ecc.) oppure l’ottenimento di una riduzione del prezzo d’acquisto. Discorso a parte meritano la displasia dell’anca e del gomito e le altre malattie ereditarie. La displasia consiste in una malformazione dell’articolazione che produce un’incongruenza tra le superfici articolari, con conseguente alterazione delle stesse; ciò porta inevitabilmente ad artrosi cronica. E’ la malattia ortopedica di origine non traumatica più diffusa e conosciuta nei cani di taglia media, grande e gigante ma purtroppo non è ancora possibile capire, al momento della vendita (che di solito avviene a 2 o 3 mesi di vita), se il soggetto in questione svilupperà o meno la patologia. Non sono in grado di saperlo né l’allevatore, nè il veterinario, nè l’acquirente. Infatti, benchè la displasia sia classificabile come vizio redibitorio, in quanto ereditaria (e quindi sicuramente pregressa, almeno a livello genetico), occulta (non rilevabile in un cucciolo al momento della vendita) e grave, è vero tuttavia che non si possiedono ancora i mezzi tecnici per poterla eliminare in maniera definitiva. Ciò che può -e deve- fare un buon allevatore è testare la presenza della malattia nei suoi cani riproduttori e mettere in vendita solo cuccioli provenienti da “genitori esenti”. Tuttavia tale accortezza NON si traduce univocamente in un cucciolo sano poiché non è raro che la malattia salti una o più generazioni prima di manifestarsi: in questi casi il figlio di due genitori sani può risultare gravemente displasico. Generalmente la prassi prevede che si esegua la prima radiografia sul cucciolo ad un’età non inferiore ai 6 mesi, ma le forme più gravi possono essere diagnosticate già all’età di 4 o addirittura 3 mesi. Per poter ottenere la riduzione del prezzo o la restituzione del cucciolo – opzione, questa, senz’altro meno usuale trattandosi di un essere vivente e non di un televisore difettoso – è necessario che la malattia si manifesti entro un anno dal momento della consegna e che venga denunciata al venditore entro 8 giorni dalla sua scoperta, (meglio se mediante raccomandata a/r, in modo da poter provare la data certa). A corollario di quanto sopra esposto è necessario sottolineare che secondo buona parte della dottrina, a decorrere dall’entrata in vigore del Codice del Consumo (d.lgs n. 206/2005), la vendita di animali domestici conclusa tra un consumatore ed un professionista, dovrebbe rientrare nella disciplina dettata dagli artt. 128 e ss., relativi alla garanzia nella vendita dei beni di consumo. Tale disciplina prevede garanzie ancor più solide per il consumatore, quale ad esempio l’estensione dei termini: l’art 132 infatti prevede una garanzia di 2 anni dalla vendita e di 2 mesi dalla scoperta del vizio, in luogo di 1 anno e 8 giorni previsti dal codice civile. Si sottolinea dunque nuovamente l’importanza di rivolgersi ad allevatori professionisti per l’acquisto del proprio cucciolo, evitando tutti quei soggetti che mostrano riluttanza ad esibire documentazione relativa la loro attività e i loro animali. Per una consulenza professionale non esitare a contattarci: [email protected] Non si effettua consulenza legale gratuita. E’ assolutamente vietata la riproduzione, anche parziale, del testo presente in questo articolo senza il consenso dell’autore. In caso di citazione è necessario riportare la fonte del materiale citato. La Garanzia dovuta dal venditore per i “vizi” del cucciolo “In tema di vendita di animali, secondo le norme contenute nel codice civile, la garanzia per vizi dovuta dal venditore indi¬pendentemente da colpa per il solo fatto oggettivo della loro presenza è esclusa soltanto se, ai sensi dell’art. 1491 c.c., il compratore era a conoscenza dei vizi o se gli stessi erano facilmente ricono¬scibili, salvo, in quest’ultimo caso, che il vendi¬tore abbia dichiarato che l’animale ne era esente. Pertanto, qualora l’animale sia risultato affetto da malattia, manifestatasi alcuni giorni dopo la consegna, costituisce onere probatorio posto a carico del venditore dimostrare che la malattia sia stata provocata dalla ingestione accidentale di sostanze tossiche. (L’acquirente di un cucciolo di pastore tedesco aveva chiesto la risoluzione del contratto di vendita, deducendo che l’animale era risultato affetto da malattia congenita che ne aveva determinato la morte. La Corte ha cas¬sato la sentenza impugnata che aveva rigettato la domanda ritenendo che l’attore non avesse as¬solto l’onere probatorio, su di lui incombente, di dimostrare che il difetto patologico e letale — determinato da una malattia congenita — non fosse dipeso da cause accidentali sopravvenute all’acquisto).” (C. Cass. n. 9330/2004) Dunque il venditore è obbligato a garantire l’assenza di vizi al momento della vendita e, in caso i vizi si manifestino nei giorni successivi, è posto a suo carico l’onere di provare che il difetto non dipenda da malattia congenita, ma da cause accidentali intervenute in un momento successivo all’acquisto. Cosa succede quindi se i vizi, le malattie, le disfunzioni si manifestano in un momento successivo alla vendita? Caso interessante è capitato al Giudice di Pace di Palermo il quale si è trovato ad affrontare, nel 2010, una questione riguardante la morte di due cuccioli di Rottweiler per gastroenterite emorragica, ed ha statuito che la mancata o intempestiva denuncia dei vizi dell’animale nel termine di otto giorni dalla scoperta è configurata dalla legge come una causa di decadenza del diritto del compratore alla garanzia. Il Giudice ha inoltre chiarito che l’acquisto di animali rientra nella disciplina del codice civile relativa alla compravendita di beni, per cui si possono applicare le disposizioni sulla garanzia per vizi della cosa venduta; e l’articolo 1496 c.c., d’altro canto, stabilisce che “Nella vendita di animali, la garanzia per vizi è regolata dalle leggi speciali o, in mancanza, dagli usi locali. Se neppure questi dispongono, si osservano le norme sulla garanzia per i vizi della cosa venduta.” Si può quindi giungere alla conclusione che: i vizi coperti da garanzia devono essere preesistenti al momento della vendita o, se insorti dopo, devono derivare da cause preesistenti, nonché essere occulti e gravi; è il legislatore a stabilire i termini temporali entro cui poter ottenere la risoluzione contrattuale o la riduzione del prezzo: otto giorni dalla scoperta dei vizi e, comunque, un anno dalla consegna del bene; la mancata o intempestiva denuncia dei vizi della cosa venduta entro il termine di 8 giorni dalla scoperta fa decadere il diritto alla garanzia. Infine un cenno sulle caratteristiche della denuncia: la Corte di Cassazione ha più volte ribadito che la denuncia dei vizi della cosa venduta «non richiede speciali formalità né formule sacramentali e può essere effettuata con qualsiasi mezzo idoneo di trasmissione» (C.Cass. n. 539/86) e quindi anche con una semplice comunicazione telefonica (C.Cass. n. 328/91). Inoltre non è necessaria una forma specifica e neanche che siano indicati precisamente i difetti riscontrati: può essere anche una denuncia sommaria, purchè vengano precisati in un secondo momento la natura e l’entità dei vizi (C.Cass. n. 1602/69). In ogni caso è consigliabile, quando possibile, una denuncia scritta e con data certa (raccomandata A/R) la quale offre senza dubbio il maggior grado di certezza in ambito probatorio. Per una consulenza professionale non esitare a contattarci: [email protected] Non si effettua consulenza legale gratuita. E’ assolutamente vietata la riproduzione, anche parziale, del testo presente in questo articolo senza il consenso dell’autore. In caso di citazione è necessario riportare la fonte del materiale citato. Animali: uccisione, maltrattamento, combattimenti, abbandono Con la legge n. 189/2004 è stato introdotto nel Codice Penale il “TITOLO IX-BIS – DEI DELITTI CONTRO IL SENTIMENTO PER GLI ANIMALI” il quale modifica ed inasprisce la disciplina riguardante, in generale, il maltrattamento verso gli animali. In particolare, le pene previste dal vecchio articolo 727 c.p. erano semplici contravvenzioni, punibili con la sola pena dell’ammenda e per le quali era possibile ricorrere al patteggiamento ed all’oblazione e quindi alla estinzione del reato. Oggi gli articoli 544-bis e seguenti inquadrano invece come veri e propri delitti i reati di uccisione, maltrattamento, spettacoli non autorizzati, combattimenti e abbandono di animali, punendoli quindi più severamente e allungando parecchio i tempi per la prescrizione. Nello specifico di seguito è riportato il testo dei nuovi articoli del codice penale, la cui introduzione è prevista dall’articolo 1 della legge in analisi: Art. 544-bis. – (Uccisione di animali) – Chiunque, per crudeltà o senza necessità, cagiona la morte di un animale è punito con la reclusione da tre mesi a diciotto mesi. Art. 544-ter. – (Maltrattamento di animali) – Chiunque, per crudeltà o senza necessità, cagiona una lesione ad un animale ovvero lo sottopone a sevizie o a comportamenti o a fatiche o a lavori insopportabili per le sue caratteristiche ecologiche è punito con la reclusione da tre mesi a un anno o con la multa da 3.000 a 15.000 euro. La stessa pena si applica a chiunque somministra agli animali sostanze stupefacenti o vietate ovvero li sottopone a trattamenti che procurano un danno alla salute degli stessi. La pena è aumentata della metà se dai fatti di cui al primo comma deriva la morte dell’animale. Art. 544-quater. – (Spettacoli o manifestazioni vietati) – Salvo che il fatto costituisca più grave reato, chiunque organizza o promuove spettacoli o manifestazioni che comportino sevizie o strazio per gli animali è punito con la reclusione da quattro mesi a due anni e con la multa da 3.000 a 15.000 euro. La pena è aumentata da un terzo alla metà se i fatti di cui al primo comma sono commessi in relazione all’esercizio di scommesse clandestine o al fine di trarne profitto per sé od altri ovvero se ne deriva la morte dell’animale. Art. 544-quinquies. – (Divieto di combattimenti tra animali). – Chiunque promuove, organizza o dirige combattimenti o competizioni non autorizzate tra animali che possono metterne in pericolo l’integrità fisica è punito con la reclusione da uno a tre anni e con la multa da 50.000 a 160.000 euro. La pena è aumentata da un terzo alla metà: 1) se le predette attività sono compiute in concorso con minorenni o da persone armate; 2) se le predette attività sono promosse utilizzando videoriproduzioni o materiale di qualsiasi tipo contenente scene o immagini dei combattimenti o delle competizioni; 3) se il colpevole cura la ripresa o la registrazione in qualsiasi forma dei combattimenti o delle competizioni. Chiunque, fuori dei casi di concorso nel reato, allevando o addestrando animali li destina sotto qualsiasi forma e anche per il tramite di terzi alla loro partecipazione ai combattimenti di cui al primo comma è punito con la reclusione da tre mesi a due anni e con la multa da 5.000 a 30.000 euro. La stessa pena si applica anche ai proprietari o ai detentori degli animali impiegati nei combattimenti e nelle competizioni di cui al primo comma, se consenzienti. Chiunque, anche se non presente sul luogo del reato, fuori dei casi di concorso nel medesimo, organizza o effettua scommesse sui combattimenti e sulle competizioni di cui al primo comma è punito con la reclusione da tre mesi a due anni e con la multa da 5.000 a 30.000 euro. L’articolo 727 del codice penale è sostituito dal seguente: “Art. 727. – (Abbandono di animali) – Chiunque abbandona animali domestici o che abbiano acquisito abitudini della cattività è punito con l’arresto fino ad un anno o con l’ammenda da 1.000 a 10.000 euro. Alla stessa pena soggiace chiunque detiene animali in condizioni incompatibili con la loro natura, e produttive di gravi sofferenze”. Appare evidente l’analogia tra il testo dell’articolo 544-bis “uccisione di animali” e quello dell’art 575 c.p. che disciplina l’omicidio: l’espressione “cagionare la morte” è tuttavia accompagnata, nell’art 544-bis, da precisi “requisiti” affinché possa considerarsi reato: l’uccisione dell’animale deve avvenire “per crudeltà o senza necessità” e questo rende evidente l’intenzione del legislatore di non voler punire l’uccisione dell’animale in quanto tale, ma solo quella che, per le modalità o per i motivi, urti la sensibilità umana. E’ inoltre necessario che il comportamento sia “doloso” cioè che sia riscontrabile la volontà di maltrattare o uccidere l’animale: ciò significa che, purtroppo, molti maltrattamenti rischieranno di passare come “colposi” quando l’accusato si difenderà asserendo per esempio “non sapevo, non volevo far del male all’animale..”. ATTENZIONE: in linea di massima il testo di legge non fa differenza tra animali domestici, selvatici o esotici: se uccidete o maltrattate per divertirvi un qualunque animale, comprese lumache, lucertole o rane, state compiendo un reato e potrete essere perseguiti. Per quanto riguarda i combattimenti clandestini è interessante notare come la nuova disciplina da un lato inasprisca le pene per chi “promuove organizza o dirige” i combattimenti e le competizioni non autorizzate, mentre dall’altro lato non punisca più la semplice partecipazione, lasciando così impuniti gli spettatori ed incoraggiando in qualche modo la presenza di pubblico anche alle manifestazioni illegali. In relazione all’abbandono degli animali, infine, bisogna sottolineare che esso resta un reato di “contravvenzione” e quindi con prescrizione breve e possibilità di oblazione, ma la pena prevista è stata inasprita: infatti già prima della riforma l’abbandono era considerato un reato, ma ora, in più, esso prevede l’arresto per il colpevole. Resta purtroppo vivo però il problema dell’effettiva attuabilità di tale pena: dimostrare l’abbandono dell’animale, senza cogliere in flagranza di reato il colpevole, risulta nei fatti ancora estremamente ostico: come ribattere al padrone che si scusa sostenendo che il proprio animale è semplicemente scappato di casa? Per concludere quindi, risulterà difficile riuscire ad arrestare i soggetti che maltrattano, uccidono e lucrano sugli animali, ma senza dubbio l’inasprimento delle pene e le modifiche apportate da questa legge non possono che contribuire alla sensibilizzazione della società verso tali argomenti, facendo sperare tutti noi in un futuro ancora migliore per i nostri amici animali. Per una consulenza professionale non esitare a contattarci: [email protected] Non si effettua consulenza legale gratuita. E’ assolutamente vietata la riproduzione, anche parziale, del testo presente in questo articolo senza il consenso dell’autore. In caso di citazione è necessario riportare la fonte del materiale citato. Animali e divorzio A chi vanno affidati gli animali domestici quando la coppia “scoppia”? In un Paese come il nostro dove quasi una famiglia su due vive con un animale domestico la legge, in ambito civilistico, è totalmente carente a riguardo: infatti la materia non è disciplinata né all’interno del Codice Civile né in Leggi Speciali. Da diversi anni il Parlamento è chiamato a far diventare Legge a tutti gli effetti la proposta che prevede l’introduzione nel Codice Civile, tra gli altri, dell’articolo 455-ter, dal titolo “Affido degli animali familiari in caso di separazione dei coniugi” con il seguente testo: “In caso di separazione dei coniugi, proprietari di un animale familiare, il Tribunale, in mancanza di un accordo tra le parti, a prescindere dal regime di separazione o di comunione dei beni e a quanto risultante dai documenti anagrafici dell’animale, sentiti i coniugi, i conviventi, la prole e, se del caso, esperti di comportamento animale, attribuisce l’affido esclusivo o condiviso dall’animale alla parte in grado di garantirne il maggior benessere. Il tribunale è competente a decidere in merito all’affido di cui al presente comma anche in caso di cessazione della convivenza more uxorio.” E’ interessante notare come ai fini dell’affidamento non assume alcuna rilevanza la circostanza dell’intestazione dell’animale (attraverso il microchip di cui ogni animale deve essere dotato per legge) ad uno dei padroni. Ed in effetti il cane non è un bene registrato, ma un essere vivente, che risponde agli stimoli della realtà che lo circonda e instaura rapporti con l’intero nucleo familiare. Come fare quindi a stabilire a chi vada affidato? E’ stata la giurisprudenza, negli ultimi anni, ad essere chiamata a decidere in merito ad innumerevoli controversie di questo genere, ed è singolare che proprio l’affidamento dell’animale domestico risulti essere una delle principali cause che porta la coppia a voler definire la separazione in tribunale. Il Tribunale di Foggia ha statuito con un’ordinanza che “il giudice della separazione può ben disporre, in sede di provvedimenti interinali, che l’animale d’affezione, già convivente con la coppia, sia affidato ad uno dei coniugi con l’obbligo di averne cura, e statuire a favore dell’altro coniuge il diritto di prenderlo e tenerlo con sé per alcune ore nel corso di ogni giorno”. Questa ordinanza, in pratica, applica per analogia la disciplina del codice civile riguardante l’affidamento dei figli minori, ed in effetti anche la Corte di Cassazione nel 2007 si è espressa in tal senso riconoscendo “il cambiamento della natura del rapporto tra proprietario e animale di affezione, non più riconducibile alla mera proprietà di un oggetto di cui il detentore avrebbe la completa disponibilità (…)” ed equiparando quindi la tutela di un animale a quella che si deve a un minore. Nello stesso senso si è espresso il Tribunale di Cremona il quale, con una sentenza del 2008, garantiva la possibilità per entrambi i coniugi di prendersi cura congiuntamente del loro animale, dividendo al 50% le spese per il mantenimento. Questa disciplina, prima riservata solo ai figli minori, viene ora applicata anche agli animali domestici e la sentenza, quindi, segna una svolta nella giurisprudenza italiana. Diversamente rispetto alla linea seguita da altri Tribunali, il Collegio di Milano della IX sezione civile, con provvedimento del 02.03.2011, ha dichiarato inammissibile la domanda di assegnazione degli animali di casa alla moglie e ai figli, in quanto l’ordinamento attualmente non prevede la possibilità di affidare o assegnare gli animali domestici, “né essendo compito del giudice della separazione quello di regolare i diritti delle parti sugli animali di casa“. Interessante notare infine che, secondo il testo del disegno di legge, il Tribunale sarebbe competente a decidere dell’affidamento dell’animale anche in caso di cessazione di “convivenza more uxorio”: non sarebbe quindi considerato come requisito fondamentale il fatto che la coppia sia effettivamente sposata e si porrebbe così fine ad una inutile discriminazione verso le coppie non sposate, anche nel caso di affidamento degli animali domestici. Per una consulenza professionale non esitare a contattarci: [email protected] Non si effettua consulenza legale gratuita. E’ assolutamente vietata la riproduzione, anche parziale, del testo presente in questo articolo senza il consenso dell’autore. In caso di citazione è necessario riportare la fonte del materiale citato. La responsabilità civile del veterinario La responsabilità civile del veterinario: contrattuale o extracontrattuale? E il consenso informato? Dall’Agosto del 2012, come disciplinato dall’articolo 3 del DL 138/2011, tutti i veterinari italiani sono obbligati a stipulare un’assicurazione per i danni derivanti dall’esercizio professionale: infatti il veterinario nell’esercizio della propria attività assume delle responsabilità anche legali, nei confronti dei proprietari degli animali che gli vengono affidati, che comportano l’obbligo per il responsabile di risarcire il danno cagionato. Più in particolare, la responsabilità civile del veterinario è inquadrata in quella del “prestatore d’opera” disciplinata dall’art. 2236 c.c. ai sensi del quale: “Se la prestazione implica la soluzione di problemi tecnici di speciale difficoltà, il prestatore d’opera non risponde dei danni, se non in caso di dolo o di colpa grave.” Questo cosa significa? Significa che il sanitario risponderà solo quando il mancato raggiungimento del risultato sia intenzionale (dolo) oppure sia causato da un comportamento gravemente colposo (colpa grave). Nel caso invece di interventi di routine o che non presentino particolare difficoltà, il veterinario risponderà anche della colpa lieve. Fondamentale è inoltre stabilire quale sia il tipo di responsabilità in cui ricade il veterinario nei confronti del proprietario di un animale a lui affidato: contrattuale o extracontrattuale/aquiliana? Questa classificazione comporta diverse conseguenze dal punto di vista del diritto, soprattutto per quanto riguarda l’onere della prova, la determinazione del prescrizione etc.. “quantum” risarcibile, i termini di La prima è basata su un rapporto preesistente originato da un contratto, dalla legge o da un atto unilaterale; la ”parte” di un contratto che non esegue esattamente la prestazione dovuta è tenuta al risarcimento del danno ai sensi degli artt. 1217 c.c. e seguenti. La seconda invece si fonda sulla violazione del principio generale del “neminem laedere” e prescinde quindi dall’esistenza di un rapporto preesistente tra le parti, ed è disciplinata dagli artt. 2043 e seguenti c.c. Ideale per i clienti lesi nel proprio diritto è che la responsabilità del veterinario venga annoverata nell’ambito del primo tipo di responsabilità, quella contrattuale: infatti, anche se raramente viene stipulato un contratto in forma scritta, è innegabile che tra il professionista ed il cliente esista un rapporto preesistente di tipo fiduciario. Conseguenza più importante di un’impostazione di questo tipo è che il danneggiato, per provare i fatti a fondamento del suo diritto, è tenuto a dimostrare soltanto l’esistenza del rapporto giuridico, mentre sta al veterinario provare che l’inadempimento non sia a lui imputabile. Quindi il proprietario dell’animale che viene curato male non deve provare l’inadempimento del veterinario: sarà quest’ultimo a dover provare di essere stato diligente e di non avere agito con dolo o colpa (lieve o grave a seconda della difficoltà della prestazione resa). I danni che può richiedere il proprietario dell’animale sono solo quelli che potevano essere previsti al tempo in cui è sorta l’obbligazione e l’azione di risarcimento del danno si prescrive decorsi dieci anni dal verificarsi dell’evento (mentre per la responsabilità extracontrattuale interviene dopo cinque anni). Anche la Corte di Cassazione ha sposato questa linea già da tempo ed ora è opinione comune: la responsabilità del veterinario nei confronti del proprietario di un animale a lui affidato è di tipo contrattuale. Ciò non toglie che vi siano anche aspetti di responsabilità extracontrattuale in capo al veterinario: si pensi ad esempio al caso di un animale che, sotto la custodia del veterinario, cagioni danni ad un terzo soggetto. In questo caso non vi è alcun rapporto obbligatorio preesistente tra il medico e il danneggiato e si configura quindi una classica fattispecie di responsabilità aquiliana per danni a terzi. Il risarcimento di questo tipo di danno è un obbligo generico per il quale il danneggiato deve provare il danno, la colpa del medico ed il nesso di causalità tra l’azione colposa del medico ed il danno subito. Per l’esattezza, l’articolo 2052 del codice civile recita esattamente “Il proprietario di un animale o chi se ne serve per il tempo che lo ha in uso è responsabile dei danni cagionati dall’animale, sia che fosse sotto la sua custodia, sia che fosse smarrito o fuggito, salvo che provi il caso fortuito” Quindi il medico veterinario è responsabile anche degli animali che ha in custodia e risponde dei danni da questi causati verso terzi. Il mio veterinario lavora in una struttura organizzata. E’ responsabile solo lui o anche la struttura? In questi casi i profili di responsabilità sono maggiormente complessi. Il cliente instaura un rapporto sia con il professionista – che fornisce la prestazione vera e propria – sia con la struttura – la quale offre solitamente lo spazio, le attrezzature e l’assistenza del personale di supporto -. Come succede già nella medicina “umana” la Corte di Cassazione ritiene che, in caso di errore del professionista, sussista oltre alla responsabilità contrattuale del medico, anche la responsabilità oggettiva della struttura. Vogliono operare il mio animale ma non mi spiegano come, cosa o perché. Come enunciato dall’articolo 29 del Codice Deontologico dei Medici Veterinari, il veterinario, al pari del medico che cura noi esseri “umani”, è tenuto a fornire un consenso informato. E’ necessario che il proprietario dell’animale sia PIENAMENTE INFORMATO dei rischi, delle possibili complicanze e delle conseguenze delle operazioni e dei trattamenti che il veterinario vuole porre in essere. In questo modo il proprietario può compiere una valutazione maggiormente consapevole dei costi-benefici del trattamento ed anche il rapporto “medico-paziente” non può che trarne giovamento. La sottoscrizione di un consenso informato, infatti, previene il formarsi di fattispecie di responsabilità contrattuale per mancata informazione in capo al veterinario. Attenzione!! Non viene meno la responsabilità del veterinario per negligenza, imperizia o imprudenza, ma l’assenza di consenso informato può essere addebitata al medico veterinario in sede di procedimento disciplinare, anche quando la prestazione sia andata a buon fine. Per una consulenza professionale non esitare a contattarci: [email protected] Non si effettua consulenza legale gratuita. E’ assolutamente vietata la riproduzione, anche parziale, del testo presente in questo articolo senza il consenso dell’autore. In caso di citazione è necessario riportare la fonte del materiale citato. Liti di condominio per gli animali La l. 220/2012 “riforma del condominio” all’Art. 16 riformando, tra gli altri, anche l’articolo 1138 del codice civile, aggiunge un comma molto interessante: «Le norme del regolamento (condominiale) non possono vietare di possedere o detenere animali domestici». E’ dunque molto chiaro: i nuovi regolamenti condominiali non potranno più vietare ai condomini di tenere nei propri appartamenti cani, gatti ed altri amici animali domestici. Tutto questo chiaramente senza intaccare le normali regole che governano la vita di una collettività come quella condominiale. Secondo la nuova legge dunque nessuno potrà impedirvi di tenere in casa il vostro animale di compagnia! Esattamente come nessuno può impedirvi di detenere una televisione, un frigorifero, un forno… – Cosa si intende per animali domestici? Si parla in generale di “animali domestici” anche se i principali interessati sono naturalmente cani e gatti. Questa terminologia “domestici” darà sicuramente luogo a molte diatribe dato che il termine in questione può essere riferito a diverse specie animali: una gallina è un animale domestico? E un coniglio? Ci sono diversi animali considerati “inusuali”, ma se dovessero risultare “domestici” non sarà possibile vietarne la detenzione, a meno che vi siano ragioni di igiene o sicurezza. – E i regolamenti già esistenti che prevedono il divieto di detenere animali? E’ necessario chiarire che le disposizioni di legge vengono applicate solo dal momento in cui la legge entra in vigore, lasciando quindi inalterata la situazione preesistente. Questo principio è detto di “irretroattività”, e proprio per questo motivo i rapporti sorti precedentemente l’entrata in vigore della riforma del condominio, continueranno ad essere regolati dalla precedente legge. Se il Regolamento in vigore è di tipo “assembleare”, i condomini possono rimuovere il divieto con una delibera assembleare assunta a maggioranza ma, se non lo fanno, tale divieto rimane in vigore. Se il regolamento è di tipo “contrattuale”, quindi approvato con il consenso unanime di tutti i condomini oppure accettato e sottoscritto insieme all’atto di acquisto della proprietà, si necessiterà del consenso unanime anche per eliminare tale divieto. – E per quanto riguarda gli spazi comuni? Vanno ritenute invariate le norme che solitamente regolano l’utilizzo e il godimento degli spazi comuni. Il fatto di poter detenere un animale in casa, non significa che questo potrà scorrazzare liberamente per le scale del condominio o nel giardino comune: vanno comunque rispettate le regole di buona educazione e di effettiva sicurezza. Sono evidenti i rischi per un condomino (o anche per un terzo) che si trovi nell’atrio o sulle scale, al passaggio di un cane senza le necessarie cautele richieste dalla prudenza. Si pensi poi ai rischi se ci siano dei bambini che giocano allegramente in cortile. Per l’esattezza: l’articolo 672 c.p. configura tre fattispecie criminose: “lasciar liberi, custodire senza le debite cautele e affidare a persona inesperta” animali. E come precisa la Corte di Cassazione Penale con la sentenza 599/1998 “L’obbligo di custodire l’animale sorge ogni volta che sussista una relazione di possesso o di semplice detenzione tra l’animale e una data persona, posto che l’art 672 c.p. relaziona gli obblighi al possesso dell’animale, possesso da intendersi come detenzione anche solo materiale e di fatto, senza che sia necessario che sussista una relazione di proprietà in senso civilistico.” – Posso prendere l’ascensore con il mio cane? Se non esiste uno specifico divieto contenuto nel regolamento, è possibile inibire l’uso dell’ascensore ad un condomino con il proprio animale, solo per motivazioni di ordine igienico sanitario, da valutarsi di volta in volta in base al caso specifico. – Posso tenere quanti animali voglio? E se puzzano troppo o sono eccessivamente rumorosi? Sempre per motivi di ordine igienico sanitario è lecito che nel regolamento sia espressa una limitazione riguardo al numero di animali che il singolo condomino può detenere nella propria unità immobiliare: superato tale numero è possibile richiedere l’intervento del giudice che sancisca l’allontanamento degli animali in esubero e li affidi ad enti specializzati. Altro motivo lecito per poter richiedere l’intervento del giudice, è quando l’animale sia “fonte di immissioni di rumori o emetta odori tali da cagionare, per la loro frequenza ed intensità, malessere e insofferenza anche a persone di normale sopportazione”: il cane che abbaia sempre a qualunque ora del giorno e della notte, l’odore dell’animale stesso che impregna il pianerottolo, la puzza derivante dai suoi bisogni fisiologici possono raggiungere livelli intollerabili e arrivare a danneggiare l’equilibrio psicofisico dei condomini. Quando dunque tali disturbi arrivino a superare la soglia di tolleranza “media”, la normale sopportazione richiesta dalla vita di condominio, allora il giudice può disporre che l’animale sia allontanato ed affidato in custodia ad enti specializzati, in modo da restaurare la quiete nell’edificio condominiale. Per una consulenza professionale non esitare a contattarci: [email protected] Non si effettua consulenza legale gratuita. E’ assolutamente vietata la riproduzione, anche parziale, del testo presente in questo articolo senza il consenso dell’autore. In caso di citazione è necessario riportare la fonte del materiale citato.