Cane calpestato reagisce mordendo

Transcript

Cane calpestato reagisce mordendo
Cane
calpestato
reagisce
mordendo:
condannato
il
padrone
Cane calpestato reagisce mordendo: condannato il padrone per
omessa custodia e lesioni colpose.
Il sig. B.S. ricorreva per Cassazione avverso sentenza del
Giudice di Pace di Belluno, di condanna nei suoi confronti, in
ordine al delitto di cui agli artt. 40 e 590 2° comma cod.
pen. (lesioni colpose gravi) nonché all’illecito
amministrativo di cui all’art. 672 cod. pen. (omessa custodia
e mal governo di animali) per avere lasciato libero e senza
museruola il proprio cane pastore tedesco che aggrediva e
mordeva D.P.F. la quale riportava lesioni personali gravi.
Secondo la ricostruzione e le testimonianze del processo di
primo grado, tuttavia, il cane era assolutamente tranquillo,
stava giocando con i presenti durante una festa in giardino,
quando gli è stata pestata una zampa da un ospite e si è
spaventato aggredendo la persona offesa: secondo la difesa è
stato questo l’evento scatenante, inconciliabile con i capi di
accusa poiché, nel caso di specie, non sarebbe applicabile la
norma di cui all’art. 2052 cod. civ, ma sarebbe necessario
acquisire gli elementi costitutivi del delitto di lesioni
personali colpose.
Il ricorso in Cassazione viene tuttavia dichiarato
inammissibile perché riguardante censure non consentite nel
giudizio di legittimità in quanto inerenti la ricostruzione e
la valutazione del fatto e l’apprezzamento dei materiale
probatorio, profili questi rimessi alla esclusiva competenza
del giudice del merito.
“Ma se anche si volesse dar credito alla versione dei fatti
esposta in ricorso -spiega la Suprema Corte- non verrebbe
comunque meno la responsabilità penale del ricorrente.”
Infatti se è pur vero che l’indagine va svolta per
l’accertamento degli elementi costitutivi del delitto
contestato, è altrettanto vero che la disposizione del codice
civile all’art. 2052:
“Il proprietario di un animale o chi se ne serve per il tempo
in cui lo ha in uso, è responsabile dei danni cagionati
dall’animale, sia che fosse sotto la sua custodia, sia che
fosse smarrito o fuggito, salvo che provi il caso fortuito.”
rappresenta la norma di riferimento per la violazione della
regola prudenziale che raffigura sia la condotta colposa
contestata, che l’individuazione del soggetto titolare della
posizione di garanzia.
Nel caso analizzato è provato che il B.S. ha lasciato il
proprio cane, non di taglia piccola o “da grembo”, libero e
senza museruola durante una festa in giardino in presenza di
molti ospiti. Di conseguenza non assume alcun rilievo la
circostanza che sia stato calpestato accidentalmente, poiché
tale evenienza è del tutto probabile, come era probabile che
l’animale rispondesse a ciò con un’aggressione; ciò che invece
assume significativa rilevanza penale è il fatto che l’animale
non sia stato custodito in luogo non accessibile agli ospiti
o, quanto meno, munito di museruola.
E’ stata dunque violata, dal proprietario, la norma
prudenziale che impone l’idonea custodia di un animale, ancor
più quando trattasi di un cane di razza di grossa taglia e
tendenzialmente pericoloso e, di conseguenza, non può essere
in alcun modo censurata la sentenza impugnata.
E’ quindi importante ricordare che il proprietario è sempre
responsabile per il comportamento del proprio animale –tranne
che per il caso fortuito- poiché su di lui vige l’obbligo di
custodirlo idoneamente.
Per una consulenza professionale non esitare a contattarci:
[email protected]
Non si effettua consulenza legale gratuita.
E’ assolutamente vietata la riproduzione, anche parziale, del
testo presente in questo articolo senza il consenso
dell’autore. In caso di citazione è necessario riportare la
fonte del materiale citato.
Il cane abbaia troppo? Rischi
di pagare molto salato
La convivenza, si sa, non è sempre facile: spesso è necessario
tollerare, sopportare comportamenti o situazioni di vicinato
con il solo scopo del “quieto vivere”.
Vi sono tuttavia alcune situazioni nelle quali la soglia della
normale tollerabilità viene di gran lunga oltrepassata:
risulta a tal fine esemplare la sentenza n. 40/2014 con la
quale il Tribunale di Lucca, rigettando il ricorso presentato
a seguito di Sentenza avversa del Giudice di Pace, ha
condannato il detentore di un cane a pagare oltre 35.000 Euro
a titolo di risarcimento del danno biologico causato dal
continuo abbaiare del cane di grossa taglia.
Punto focale della lite erano proprio le “immissioni sonore”
prodotte da un cane di grossa taglia il quale, continuamente
rinchiuso in casa e lasciato incustodito, non poteva fare
altro che abbaiare, guaire, ululare e latrare a qualunque ora
del giorno e della notte.
Il Giudice nominava dunque un perito al quale affidava le
indagini e gli approfondimenti necessari a far emergere la
reale situazione: tra i vari disagi e problemi denunciati
dalla coppia (abitante l’appartamento soprastante quello
dell’animale) si sottolineavano l’impossibilità di dormire, di
rilassarsi dopo il lavoro, oltre all’evidenziarsi di disturbi
post-traumatici da stress, attivazione patologica del sistema
nervoso autonomo e conseguente irritabilità, ansia,
depressione ed altri.
Il cane non apparteneva alla signora convenuta, bensì al
figlio non convivente, e tale circostanza veniva proposta a
discolpa del convenuto dalla difesa: circostanza non accolta
dal Tribunale il quale ha invece tenuto conto di quanto già
periziato, non essendo stata impugnata la Sentenza del Giudice
di Pace, diventata in tale maniera irrevocabile.
Rigettate dunque anche le altre motivazioni presentate dalla
detentrice del cane, il Tribunale di Lucca condannava la
signora a risarcire il danno subito dalla coppia sottolineando
che, come riferito dal Perito, in caso di rumori che superino
in maniera continuativa la normale tollerabilità si può
parlare di lesione psichica, incidente cioè sul danno
psichico.
Quello sopra riportato è naturalmente un caso limite, ma
affronta in maniera chiara alcune delle tematiche fondamentali
riguardanti la detenzione di animali e la convivenza in
condominio.
Per una consulenza professionale non esitare a contattarci:
[email protected]
Non si effettua consulenza legale gratuita.
E’ assolutamente vietata la riproduzione, anche parziale, del
testo presente in questo articolo senza il consenso
dell’autore. In caso di citazione è necessario riportare la
fonte del materiale citato.
Ospiti il cane di altri? Sei
responsabile per i danni
causati
Dalla recente Sentenza n. 2414 del 04/02/2014 emessa dalla III
Sez. della Corte di Cassazione Civile si può dedurre la
seguente massima:
“La responsabilità di chi si serve dell’animale per il tempo
in cui lo ha in uso, ai sensi dell’art. 2052 cod. civ.,
prescinde sia dalla continuità dell’uso, sia dalla presenza
dell’utilizzatore al momento in cui l’animale arreca il
danno.” (Rigetta, App. Venezia, 11/03/2009)
Il caso riguardava il signor T.G., il quale aveva convenuto in
giudizio M.A., davanti al Tribunale di Venezia, affinché fosse
condannato al risarcimento dei danni dal primo patiti a causa
di una caduta dalla bicicletta determinata dall’improvvisa
uscita di un cane pastore tedesco dall’abitazione di proprietà
del convenuto.
Il Tribunale accoglieva la domanda in 1° grado, condannando il
convenuto al pagamento della somma di Euro 2.368,60 oltre
interessi; proposto poi appello dal M., la Corte d’appello di
Venezia, con sentenza dell’11 marzo 2009, confermava la
pronuncia di primo grado, con l’ulteriore carico di spese.
Risulta interessante il ragionamento svolto dal Giudice
d’Appello il quale osserva che, ai sensi dell’articolo 2052
c.c. – che recita testualmente: “Il proprietario di un animale
o chi se ne serve per il tempo in cui lo ha in uso, è
responsabile dei danni cagionati dall’animale, sia che fosse
sotto la sua custodia, sia che fosse smarrito o fuggito, salvo
che provi il caso fortuito” – il proprietario di un animale, o
chi ne abbia l’uso, risponde dei danni dal medesimo cagionati,
non già per il proprio comportamento, bensì per la mera
relazione intercorrente fra sè e l’animale. Nella fattispecie,
l’istruttoria aveva dimostrato che l’animale si trovava da
mesi presso l’abitazione del M. il quale doveva
ragionevolmente farne o averne fatto uso, pur non essendone il
proprietario. Risultava pertanto irrilevante che il M. non
fosse in casa nel momento in cui il sinistro si è verificato.
Contro la sentenza della Corte d’appello di Venezia veniva
dunque proposto ricorso per Cassazione.
Secondo il M. la responsabilità esclusiva dell’accaduto doveva
ritenersi a carico della proprietaria, poiché egli era assente
da casa ed il cane non era nemmeno da lui ‘utilizzato’ nel
momento in cui il fatto dannoso si è verificato.
La giurisprudenza della Corte di Cassazione ha più volte
affermato che, ai sensi dell’art. 2052 c.c., la responsabilità
del proprietario dell’animale è alternativa rispetto a quella
del soggetto che ha “in uso” il medesimo e tale responsabilità
trova il proprio fondamento non in una specifica attività del
proprietario bensì nella relazione che si crea fra la persona
fisica e l’animale.
Nel caso specifico, precisa la Cassazione, la sentenza della
Corte d’appello non ha affermato una responsabilità in
concorso tra l’odierno ricorrente (utilizzatore) ed il
proprietario dell’animale: al contrario, il Giudice di 2°
grado ha scelto uno dei possibili criteri di responsabilità
indicati dal Codice Civile, applicandolo al caso concreto
sulla base delle risultanze del processo.
Ritenendo anche gli altri motivi di ricorso privi di
fondamento, la Corte di Cassazione rigettava il ricorso e
condannava il ricorrente al pagamento delle spese del giudizio
di cassazione, liquidate in complessivi Euro 1.500,00 oltre
accessori..
Per una consulenza professionale non esitare a contattarci:
[email protected]
Non si effettua consulenza legale gratuita.
E’ assolutamente vietata la riproduzione, anche parziale, del
testo presente in questo articolo senza il consenso
dell’autore. In caso di citazione è necessario riportare la
fonte del materiale citato.
Cane libero nel cortile del
condominio: condannato Il
padrone per aggressione
Con la Sentenza n. 4672 del 3.2.2009 la 4^ Sez. Penale della
Corte di Cassazione ha sancito definitivamente il divieto di
lasciare circolare liberamente il proprio cane nel cortile
condominiale, privo di guinzaglio e di supervisione da parte
del proprietario/detentore.
La Corte di appello di Catania aveva infatti confermato in 2°
grado, con sentenza datata 1.4.2008, la sentenza di 1° grado
del Tribunale di Catania con la quale il proprietario di un
cane era stato dichiarato colpevole del reato di lesioni
colpose in danno di un terzo (art. 590 c. p.) e condannato
alla pena ritenuta di giustizia.
Secondo le motivazioni presentate dai Giudici, il cane di
razza «collie» che aveva aggredito un condomino facendolo
rovinare per terra e procurandogli lesioni alla persona,
doveva essere custodito nell’occasione dall’imputato, che ne
era il proprietario, ma ciò non è avvenuto e l’imputato è
pertanto risultato colpevole di aver lasciato libero l’animale
e omesso di custodirlo nel cortile condominiale, dove si
trovavano altre persone, tenuto anche conto della mole
dell’animale.
Come ormai ribadito più volte anche nei precedenti articoli
pubblicati in questa sezione, quando ci si trova in un luogo
pubblico o in un luogo privato ma aperto al passaggio di terze
persone -i.e. il cortile di un condominio- è fatto obbligo di
condurre il proprio cane con guinzaglio non più lungo di 1,5
mt e munirsi di museruola da applicare all’animale in caso di
necessità o in caso venga richiesto dalle autorità.
Per concludere è bene ricordare che il proprietario di un cane
è sempre responsabile del controllo e della conduzione
dell’animale e per questo motivo risponde, sia civilmente che
penalmente, dei danni e delle lesioni a persone, animali o
cose provocati dall’animale stesso.
Per una consulenza professionale non esitare a contattarci:
[email protected]
Non si effettua consulenza legale gratuita.
E’ assolutamente vietata la riproduzione, anche parziale, del
testo presente in questo articolo senza il consenso
dell’autore. In caso di citazione è necessario riportare la
fonte del materiale citato.
Condannato il padrone che non
custodisce con le dovute
cautele
un
cane
in
suo
possesso
Con la Sentenza n. 46307 del 20 novembre 2013, la IV sez.
Penale della Corte di Cassazione ha confermato la condanna per
il reato di lesioni colpose al padrone che non abbia custodito
il proprio cane all’interno di un parco dove lo stesso,
lasciato libero, ha rincorso e morso una donna.
Andando con ordine: il Giudice di Pace di Pisa, con sentenza
datata 15 novembre 2012 ha ritenuto il signor C.D.
responsabile del reato di lesioni colpose per avere omesso di
custodire con le dovute cautele un cane in suo possesso che,
in luogo pubblico, rincorreva e mordeva al ginocchio la
signora O.E., alla guida di un velocipede, la quale a causa
del morso cadeva, procurandosi lesioni personali e l’ha
condannato alla pena di Euro 400,00 di multa oltre al
pagamento delle spese processuali.
Avverso tale sentenza il signor C.D., a mezzo del suo
difensore, proponeva ricorso per Cassazione.
La Suprema Corte dichiarava inammissibile il ricorso (in
quanto “lungi dall’individuare specifici vuoti o difetti di
risposta
che
costituirebbero
la
mancanza
o
la
contraddittorietà della motivazione, si duole del risultato
attinto dalla sentenza impugnata e descrive circostanze che
intenderebbero ridisegnare il fatto ascrittogli in chiave a
lui favorevole, al fine di ottenere in tal modo una decisione
solamente sostitutiva di quella assunta dal giudice di
merito.”) e condannava il ricorrente al pagamento delle spese
processuali e della somma di Euro 1.000,00 in favore della
cassa ammende.
Tra i motivi della decisione si può leggere che: ”Già il
giudice di Pace di Pisa ha indicato con congrua e logica
motivazione le ragioni che gli hanno consentito di ritenere la
responsabilità dell’imputato in ordine al reato ascrittogli,
in quanto ha evidenziato che il C. aveva lasciato libero in
area aperta al pubblico un cane doberman di notevoli
dimensioni, senza guinzaglio, omettendo quindi le necessarie
cautele dirette a prevenire azioni aggressive del cane, che
infatti aveva aggredito una donna che procedeva in bicicletta,
che cadeva a terra, procurandosi le lesioni di cui al capo di
imputazione.”
Si deve quindi affermare con forza la necessità di utilizzare
guinzaglio e museruola ogni qualvolta ci si trovi in un luogo
frequentabile anche da altri esseri umani ed animali: infatti,
in caso di aggressione da parte di un cane privo di guinzaglio
e/o museruola, potrete citare in giudizio il proprietario
dell’animale al fine di ottenere il risarcimento dei danni
subiti.
Per una consulenza professionale non esitare a contattarci:
[email protected]
Non si effettua consulenza legale gratuita.
E’ assolutamente vietata la riproduzione, anche parziale, del
testo presente in questo articolo senza il consenso
dell’autore. In caso di citazione è necessario riportare la
fonte del materiale citato.
Malattie
infettive
e
displasia: come comportarsi?
E’ evidente che, parlando di esseri viventi e non di cose,
qualunque tipo di patologia dell’animale potrebbe essere
identificata come “vizio” ma, per rientrare nella categoria
dei vizi garantiti dal venditore e poter dare luogo così ad un
possibile risarcimento, la malattia deve poter essere
classificata come vizio redibitorio ed essere cioè pregressa,
occulta e grave.
Pregressa, quindi preesistente al momento del contratto;
occulta, cioè non facilmente riconoscibile al momento del
contratto; ed infine grave, ossia tale da influire
negativamente sulla qualità di vita dell’animale e tale che,
se l’acquirente ne fosse stato a conoscenza, non avrebbe
concluso il contratto.
La garanzia per i vizi redibitori è sempre dovuta dal
venditore, anche in caso non vi sia un contratto scritto ma,
data la difficoltà di provare in sede di giudizio quanto
oralmente pattuito, si consiglia sempre la sottoscrizione di
un contratto in forma scritta.
A tal proposito è bene sottolineare la necessaria attenzione
con cui bisogna visionare il contratto: la garanzia per vizi
deve coprire un periodo minimo di 15 giorni dal momento
dell’acquisto. Diffidate dal venditore che offra garanzia per
48 ore o per una settimana soltanto: le più comuni malattie
virali del cane infatti, quali il cimurro, l’epatite, la
leptospirosi e la parvovirosi, hanno un periodo di incubazione
di circa 15 giorni. Quindi, se la malattia si manifesta entro
questo lasso di tempo dal momento dell’acquisto, è
assolutamente certo che fosse pregressa, è evidente che fosse
occulta, ed è indubbio che sia grave, al punto da risultare
spesso letale per l’animale. Rientrando la malattia nella
categoria dei vizi redibitori, il compratore ha la facoltà di
esercitare la risoluzione del contratto, potendo così
scegliere tra la restituzione del cucciolo “viziato” al
venditore (purchè non siano stati compiuti atti di proprietà
sull’animale, quali il taglio delle orecchie o della coda
ecc.) oppure l’ottenimento di una riduzione del prezzo
d’acquisto.
Discorso a parte meritano la displasia dell’anca e del gomito
e le altre malattie ereditarie.
La displasia consiste in una malformazione dell’articolazione
che produce un’incongruenza tra le superfici articolari, con
conseguente
alterazione
delle
stesse;
ciò
porta
inevitabilmente ad artrosi cronica. E’ la malattia ortopedica
di origine non traumatica più diffusa e conosciuta nei cani di
taglia media, grande e gigante ma purtroppo non è ancora
possibile capire, al momento della vendita (che di solito
avviene a 2 o 3 mesi di vita), se il soggetto in questione
svilupperà o meno la patologia. Non sono in grado di saperlo
né l’allevatore, nè il veterinario, nè l’acquirente. Infatti,
benchè la displasia sia classificabile come vizio redibitorio,
in quanto ereditaria (e quindi sicuramente pregressa, almeno a
livello genetico), occulta (non rilevabile in un cucciolo al
momento della vendita) e grave, è vero tuttavia che non si
possiedono ancora i mezzi tecnici per poterla eliminare in
maniera definitiva. Ciò che può -e deve- fare un buon
allevatore è testare la presenza della malattia nei suoi cani
riproduttori e mettere in vendita solo cuccioli provenienti da
“genitori esenti”. Tuttavia tale accortezza NON si traduce
univocamente in un cucciolo sano poiché non è raro che la
malattia salti una o più generazioni prima di manifestarsi: in
questi casi il figlio di due genitori sani può risultare
gravemente displasico. Generalmente la prassi prevede che si
esegua la prima radiografia sul cucciolo ad un’età non
inferiore ai 6 mesi, ma le forme più gravi possono essere
diagnosticate già all’età di 4 o addirittura 3 mesi.
Per poter ottenere la riduzione del prezzo o la restituzione
del cucciolo – opzione, questa, senz’altro meno usuale
trattandosi di un essere vivente e non di un televisore
difettoso – è necessario che la malattia si manifesti entro un
anno dal momento della consegna e che venga denunciata al
venditore entro 8 giorni dalla sua scoperta, (meglio se
mediante raccomandata a/r, in modo da poter provare la data
certa).
A corollario di quanto sopra esposto è necessario sottolineare
che secondo buona parte della dottrina, a decorrere
dall’entrata in vigore del Codice del Consumo (d.lgs n.
206/2005), la vendita di animali domestici conclusa tra un
consumatore ed un professionista, dovrebbe rientrare nella
disciplina dettata dagli artt. 128 e ss., relativi alla
garanzia nella vendita dei beni di consumo.
Tale disciplina prevede garanzie ancor più solide per il
consumatore, quale ad esempio l’estensione dei termini: l’art
132 infatti prevede una garanzia di 2 anni dalla vendita e di
2 mesi dalla scoperta del vizio, in luogo di 1 anno e 8 giorni
previsti dal codice civile.
Si sottolinea dunque nuovamente l’importanza di rivolgersi ad
allevatori professionisti per l’acquisto del proprio cucciolo,
evitando tutti quei soggetti che mostrano riluttanza ad
esibire documentazione relativa la loro attività e i loro
animali.
Per una consulenza professionale non esitare a contattarci:
[email protected]
Non si effettua consulenza legale gratuita.
E’ assolutamente vietata la riproduzione, anche parziale, del
testo presente in questo articolo senza il consenso
dell’autore. In caso di citazione è necessario riportare la
fonte del materiale citato.
La
Garanzia
dovuta
dal
venditore per i “vizi” del
cucciolo
“In tema di vendita di animali, secondo le norme contenute nel
codice civile, la garanzia per vizi dovuta dal venditore
indi¬pendentemente da colpa per il solo fatto oggettivo della
loro presenza è esclusa soltanto se, ai sensi dell’art. 1491
c.c., il compratore era a conoscenza dei vizi o se gli stessi
erano facilmente ricono¬scibili, salvo, in quest’ultimo caso,
che il vendi¬tore abbia dichiarato che l’animale ne era
esente. Pertanto, qualora l’animale sia risultato affetto da
malattia, manifestatasi alcuni giorni dopo la consegna,
costituisce onere probatorio posto a carico del venditore
dimostrare che la malattia sia stata provocata dalla
ingestione accidentale di sostanze tossiche.
(L’acquirente di un cucciolo di pastore tedesco aveva chiesto
la risoluzione del contratto di vendita, deducendo che
l’animale era risultato affetto da malattia congenita che ne
aveva determinato la morte. La Corte ha cas¬sato la sentenza
impugnata che aveva rigettato la domanda ritenendo che
l’attore non avesse as¬solto l’onere probatorio, su di lui
incombente, di dimostrare che il difetto patologico e letale —
determinato da una malattia congenita — non fosse dipeso da
cause accidentali sopravvenute all’acquisto).” (C. Cass. n.
9330/2004)
Dunque il venditore è obbligato a garantire l’assenza di vizi
al momento della vendita e, in caso i vizi si manifestino nei
giorni successivi, è posto a suo carico l’onere di provare che
il difetto non dipenda da malattia congenita, ma da cause
accidentali intervenute in un momento successivo all’acquisto.
Cosa succede quindi se i vizi, le malattie, le disfunzioni si
manifestano in un momento successivo alla vendita?
Caso interessante è capitato al Giudice di Pace di Palermo il
quale si è trovato ad affrontare, nel 2010, una questione
riguardante la morte di due cuccioli di Rottweiler per
gastroenterite emorragica, ed ha statuito che la mancata o
intempestiva denuncia dei vizi dell’animale nel termine di
otto giorni dalla scoperta è configurata dalla legge come una
causa di decadenza del diritto del compratore alla garanzia.
Il Giudice ha inoltre chiarito che l’acquisto di animali
rientra nella disciplina del codice civile relativa alla
compravendita di beni, per cui si possono applicare le
disposizioni sulla garanzia per vizi della cosa venduta; e
l’articolo 1496 c.c., d’altro canto, stabilisce che “Nella
vendita di animali, la garanzia per vizi è regolata dalle
leggi speciali o, in mancanza, dagli usi locali. Se neppure
questi dispongono, si osservano le norme sulla garanzia per i
vizi della cosa venduta.”
Si può quindi giungere alla conclusione che:
i vizi coperti da garanzia devono essere preesistenti al
momento della vendita o, se insorti dopo, devono
derivare da cause preesistenti, nonché essere occulti e
gravi;
è il legislatore a stabilire i termini temporali entro
cui poter ottenere la risoluzione contrattuale o la
riduzione del prezzo: otto giorni dalla scoperta dei
vizi e, comunque, un anno dalla consegna del bene;
la mancata o intempestiva denuncia dei vizi della cosa
venduta entro il termine di 8 giorni dalla scoperta fa
decadere il diritto alla garanzia.
Infine un cenno sulle caratteristiche della denuncia: la Corte
di Cassazione ha più volte ribadito che la denuncia dei vizi
della cosa venduta «non richiede speciali formalità né formule
sacramentali e può essere effettuata con qualsiasi mezzo
idoneo di trasmissione» (C.Cass. n. 539/86) e quindi anche con
una semplice comunicazione telefonica (C.Cass. n. 328/91).
Inoltre non è necessaria una forma specifica e neanche che
siano indicati precisamente i difetti riscontrati: può essere
anche una denuncia sommaria, purchè vengano precisati in un
secondo momento la natura e l’entità dei vizi (C.Cass. n.
1602/69). In ogni caso è consigliabile, quando possibile, una
denuncia scritta e con data certa (raccomandata A/R) la quale
offre senza dubbio il maggior grado di certezza in ambito
probatorio.
Per una consulenza professionale non esitare a contattarci:
[email protected]
Non si effettua consulenza legale gratuita.
E’ assolutamente vietata la riproduzione, anche parziale, del
testo presente in questo articolo senza il consenso
dell’autore. In caso di citazione è necessario riportare la
fonte del materiale citato.
Animali:
uccisione,
maltrattamento,
combattimenti, abbandono
Con la legge n. 189/2004 è stato introdotto nel Codice Penale
il “TITOLO IX-BIS – DEI DELITTI CONTRO IL SENTIMENTO PER GLI
ANIMALI” il quale modifica ed inasprisce la disciplina
riguardante, in generale, il maltrattamento verso gli animali.
In particolare, le pene previste dal vecchio articolo 727 c.p.
erano semplici contravvenzioni, punibili con la sola pena
dell’ammenda e per le quali era possibile ricorrere al
patteggiamento ed all’oblazione e quindi alla estinzione del
reato.
Oggi gli articoli 544-bis e seguenti inquadrano invece come
veri e propri delitti i reati di uccisione, maltrattamento,
spettacoli non autorizzati, combattimenti e abbandono di
animali, punendoli quindi più severamente e allungando
parecchio i tempi per la prescrizione.
Nello specifico di seguito è riportato il testo dei nuovi
articoli del codice penale, la cui introduzione è prevista
dall’articolo 1 della legge in analisi:
Art. 544-bis. – (Uccisione di animali) – Chiunque, per
crudeltà o senza necessità, cagiona la morte di un
animale è punito con la reclusione da tre mesi a
diciotto mesi.
Art. 544-ter. – (Maltrattamento di animali) – Chiunque,
per crudeltà o senza necessità, cagiona una lesione ad
un animale ovvero lo sottopone a sevizie o a
comportamenti o a fatiche o a lavori insopportabili per
le sue caratteristiche ecologiche è punito con la
reclusione da tre mesi a un anno o con la multa da 3.000
a 15.000 euro.
La stessa pena si applica a chiunque somministra agli
animali sostanze stupefacenti o vietate ovvero li
sottopone a trattamenti che procurano un danno alla
salute degli stessi.
La pena è aumentata della metà se dai fatti di cui al
primo comma deriva la morte dell’animale.
Art. 544-quater. – (Spettacoli o manifestazioni vietati)
– Salvo che il fatto costituisca più grave reato,
chiunque organizza o promuove spettacoli o
manifestazioni che comportino sevizie o strazio per gli
animali è punito con la reclusione da quattro mesi a due
anni e con la multa da 3.000 a 15.000 euro.
La pena è aumentata da un terzo alla metà se i fatti di
cui al primo comma sono commessi in relazione
all’esercizio di scommesse clandestine o al fine di
trarne profitto per sé od altri ovvero se ne deriva la
morte dell’animale.
Art. 544-quinquies. – (Divieto di combattimenti tra
animali). – Chiunque promuove, organizza o dirige
combattimenti o competizioni non autorizzate tra animali
che possono metterne in pericolo l’integrità fisica è
punito con la reclusione da uno a tre anni e con la
multa da 50.000 a 160.000 euro.
La pena è aumentata da un terzo alla metà:
1) se le predette attività sono compiute in concorso con
minorenni o da persone armate;
2) se le predette attività sono promosse utilizzando
videoriproduzioni o materiale di qualsiasi tipo
contenente scene o immagini dei combattimenti o delle
competizioni;
3) se il colpevole cura la ripresa o la registrazione in
qualsiasi forma dei combattimenti o delle competizioni.
Chiunque, fuori dei casi di concorso nel reato,
allevando o addestrando animali li destina sotto
qualsiasi forma e anche per il tramite di terzi alla
loro partecipazione ai combattimenti di cui al primo
comma è punito con la reclusione da tre mesi a due anni
e con la multa da 5.000 a 30.000 euro. La stessa pena si
applica anche ai proprietari o ai detentori degli
animali impiegati nei combattimenti e nelle competizioni
di cui al primo comma, se consenzienti.
Chiunque, anche se non presente sul luogo del reato,
fuori dei casi di concorso nel medesimo, organizza o
effettua scommesse sui combattimenti e sulle
competizioni di cui al primo comma è punito con la
reclusione da tre mesi a due anni e con la multa da
5.000 a 30.000 euro.
L’articolo 727 del codice penale è sostituito dal
seguente:
“Art. 727. – (Abbandono di animali) – Chiunque abbandona
animali domestici o che abbiano acquisito abitudini
della cattività è punito con l’arresto fino ad un anno o
con l’ammenda da 1.000 a 10.000 euro. Alla stessa pena
soggiace chiunque detiene animali in condizioni
incompatibili con la loro natura, e produttive di gravi
sofferenze”.
Appare evidente l’analogia tra il testo dell’articolo 544-bis
“uccisione di animali” e quello dell’art 575 c.p. che
disciplina l’omicidio: l’espressione “cagionare la morte” è
tuttavia accompagnata, nell’art 544-bis, da precisi
“requisiti” affinché possa considerarsi reato: l’uccisione
dell’animale deve avvenire “per crudeltà o senza necessità” e
questo rende evidente l’intenzione del legislatore di non
voler punire l’uccisione dell’animale in quanto tale, ma solo
quella che, per le modalità o per i motivi, urti la
sensibilità umana.
E’ inoltre necessario che il comportamento sia “doloso” cioè
che sia riscontrabile la volontà di maltrattare o uccidere
l’animale: ciò significa che, purtroppo, molti maltrattamenti
rischieranno di passare come “colposi” quando l’accusato si
difenderà asserendo per esempio “non sapevo, non volevo far
del male all’animale..”.
ATTENZIONE: in linea di massima il testo di legge non fa
differenza tra animali domestici, selvatici o esotici: se
uccidete o maltrattate per divertirvi un qualunque animale,
comprese lumache, lucertole o rane, state compiendo un reato e
potrete essere perseguiti.
Per quanto riguarda i combattimenti clandestini è interessante
notare come la nuova disciplina da un lato inasprisca le pene
per chi “promuove organizza o dirige” i combattimenti e le
competizioni non autorizzate, mentre dall’altro lato non
punisca più la semplice partecipazione, lasciando così
impuniti gli spettatori ed incoraggiando in qualche modo la
presenza di pubblico anche alle manifestazioni illegali.
In relazione all’abbandono degli animali, infine, bisogna
sottolineare che esso resta un reato di “contravvenzione” e
quindi con prescrizione breve e possibilità di oblazione, ma
la pena prevista è stata inasprita: infatti già prima della
riforma l’abbandono era considerato un reato, ma ora, in più,
esso prevede l’arresto per il colpevole. Resta purtroppo vivo
però il problema dell’effettiva attuabilità di tale pena:
dimostrare l’abbandono dell’animale, senza cogliere in
flagranza di reato il colpevole, risulta nei fatti ancora
estremamente ostico: come ribattere al padrone che si scusa
sostenendo che il proprio animale è semplicemente scappato di
casa?
Per
concludere
quindi,
risulterà
difficile
riuscire
ad
arrestare i soggetti che maltrattano, uccidono e lucrano sugli
animali, ma senza dubbio l’inasprimento delle pene e le
modifiche apportate da questa legge non possono che
contribuire alla sensibilizzazione della società verso tali
argomenti, facendo sperare tutti noi in un futuro ancora
migliore per i nostri amici animali.
Per una consulenza professionale non esitare a contattarci:
[email protected]
Non si effettua consulenza legale gratuita.
E’ assolutamente vietata la riproduzione, anche parziale, del
testo presente in questo articolo senza il consenso
dell’autore. In caso di citazione è necessario riportare la
fonte del materiale citato.
Animali e divorzio
A chi vanno affidati gli animali domestici quando la coppia
“scoppia”? In un Paese come il nostro dove quasi una famiglia
su due vive con un animale domestico la legge, in ambito
civilistico, è totalmente carente a riguardo: infatti la
materia non è disciplinata né all’interno del Codice Civile né
in Leggi Speciali.
Da diversi anni il Parlamento è chiamato a far diventare Legge
a tutti gli effetti la proposta che prevede l’introduzione nel
Codice Civile, tra gli altri, dell’articolo 455-ter, dal
titolo “Affido degli animali familiari in caso di separazione
dei coniugi” con il seguente testo:
“In caso di separazione dei coniugi, proprietari di un animale
familiare, il Tribunale, in mancanza di un accordo tra le
parti, a prescindere dal regime di separazione o di comunione
dei beni e a quanto risultante dai documenti anagrafici
dell’animale, sentiti i coniugi, i conviventi, la prole e, se
del caso, esperti di comportamento animale, attribuisce
l’affido esclusivo o condiviso dall’animale alla parte in
grado di garantirne il maggior benessere. Il tribunale è
competente a decidere in merito all’affido di cui al presente
comma anche in caso di cessazione della convivenza more
uxorio.”
E’ interessante notare come ai fini dell’affidamento non
assume alcuna rilevanza la circostanza dell’intestazione
dell’animale (attraverso il microchip di cui ogni animale deve
essere dotato per legge) ad uno dei padroni. Ed in effetti il
cane non è un bene registrato, ma un essere vivente, che
risponde agli stimoli della realtà che lo circonda e instaura
rapporti con l’intero nucleo familiare.
Come fare quindi a stabilire a chi vada affidato?
E’ stata la giurisprudenza, negli ultimi anni, ad essere
chiamata a decidere in merito ad innumerevoli controversie di
questo genere, ed è singolare che proprio l’affidamento
dell’animale domestico risulti essere una delle principali
cause che porta la coppia a voler definire la separazione in
tribunale.
Il Tribunale di Foggia ha statuito con un’ordinanza che “il
giudice della separazione può ben disporre, in sede di
provvedimenti interinali, che l’animale d’affezione, già
convivente con la coppia, sia affidato ad uno dei coniugi con
l’obbligo di averne cura, e statuire a favore dell’altro
coniuge il diritto di prenderlo e tenerlo con sé per alcune
ore nel corso di ogni giorno”.
Questa
ordinanza,
in
pratica,
applica
per
analogia
la
disciplina del codice civile riguardante l’affidamento dei
figli minori, ed in effetti anche la Corte di Cassazione nel
2007 si è espressa in tal senso riconoscendo “il cambiamento
della natura del rapporto tra proprietario e animale di
affezione, non più riconducibile alla mera proprietà di un
oggetto di cui il detentore avrebbe la completa disponibilità
(…)” ed equiparando quindi la tutela di un animale a quella
che si deve a un minore.
Nello stesso senso si è espresso il Tribunale di Cremona il
quale, con una sentenza del 2008, garantiva la possibilità per
entrambi i coniugi di prendersi cura congiuntamente del loro
animale, dividendo al 50% le spese per il mantenimento. Questa
disciplina, prima riservata solo ai figli minori, viene ora
applicata anche agli animali domestici e la sentenza, quindi,
segna una svolta nella giurisprudenza italiana.
Diversamente rispetto alla linea seguita da altri Tribunali,
il Collegio di Milano della IX sezione civile, con
provvedimento del 02.03.2011, ha dichiarato inammissibile la
domanda di assegnazione degli animali di casa alla moglie e ai
figli, in quanto l’ordinamento attualmente non prevede la
possibilità di affidare o assegnare gli animali domestici, “né
essendo compito del giudice della separazione quello di
regolare i diritti delle parti sugli animali di casa“.
Interessante notare infine che, secondo il testo del disegno
di legge, il Tribunale sarebbe competente a decidere
dell’affidamento dell’animale anche in caso di cessazione di
“convivenza more uxorio”: non sarebbe quindi considerato come
requisito fondamentale il fatto che la coppia sia
effettivamente sposata e si porrebbe così fine ad una inutile
discriminazione verso le coppie non sposate, anche nel caso di
affidamento degli animali domestici.
Per una consulenza professionale non esitare a contattarci:
[email protected]
Non si effettua consulenza legale gratuita.
E’ assolutamente vietata la riproduzione, anche parziale, del
testo presente in questo articolo senza il consenso
dell’autore. In caso di citazione è necessario riportare la
fonte del materiale citato.
La responsabilità civile del
veterinario
La responsabilità civile del veterinario: contrattuale o
extracontrattuale? E il consenso informato?
Dall’Agosto del 2012, come disciplinato dall’articolo 3 del DL
138/2011, tutti i veterinari italiani sono obbligati a
stipulare un’assicurazione per i danni derivanti
dall’esercizio professionale: infatti il veterinario
nell’esercizio della propria attività assume delle
responsabilità anche legali, nei confronti dei proprietari
degli animali che gli vengono affidati, che comportano
l’obbligo per il responsabile di risarcire il danno cagionato.
Più in particolare, la responsabilità civile del veterinario è
inquadrata in quella del “prestatore d’opera” disciplinata
dall’art. 2236 c.c. ai sensi del quale: “Se la prestazione
implica la soluzione di problemi tecnici di speciale
difficoltà, il prestatore d’opera non risponde dei danni, se
non in caso di dolo o di colpa grave.”
Questo cosa significa? Significa che il sanitario risponderà
solo quando il mancato raggiungimento del risultato sia
intenzionale (dolo) oppure sia causato da un comportamento
gravemente colposo (colpa grave). Nel caso invece di
interventi di routine o che non presentino particolare
difficoltà, il veterinario risponderà anche della colpa lieve.
Fondamentale è inoltre stabilire quale sia il tipo di
responsabilità in cui ricade il veterinario nei confronti del
proprietario di un animale a lui affidato: contrattuale o
extracontrattuale/aquiliana? Questa classificazione comporta
diverse conseguenze dal punto di vista del diritto,
soprattutto per quanto riguarda l’onere della prova, la
determinazione del
prescrizione etc..
“quantum”
risarcibile,
i
termini
di
La prima è basata su un rapporto preesistente originato da un
contratto, dalla legge o da un atto unilaterale; la ”parte” di
un contratto che non esegue esattamente la prestazione dovuta
è tenuta al risarcimento del danno ai sensi degli artt. 1217
c.c. e seguenti. La seconda invece si fonda sulla violazione
del principio generale del “neminem laedere” e prescinde
quindi dall’esistenza di un rapporto preesistente tra le
parti, ed è disciplinata dagli artt. 2043 e seguenti c.c.
Ideale per i clienti lesi nel proprio diritto è che la
responsabilità del veterinario venga annoverata nell’ambito
del primo tipo di responsabilità, quella contrattuale:
infatti, anche se raramente viene stipulato un contratto in
forma scritta, è innegabile che tra il professionista ed il
cliente esista un rapporto preesistente di tipo fiduciario.
Conseguenza più importante di un’impostazione di questo tipo è
che il danneggiato, per provare i fatti a fondamento del suo
diritto, è tenuto a dimostrare soltanto l’esistenza del
rapporto giuridico, mentre sta al veterinario provare che
l’inadempimento non sia a lui imputabile.
Quindi il proprietario dell’animale che viene curato male non
deve provare l’inadempimento del veterinario: sarà
quest’ultimo a dover provare di essere stato diligente e di
non avere agito con dolo o colpa (lieve o grave a seconda
della difficoltà della prestazione resa).
I danni che può richiedere il proprietario dell’animale sono
solo quelli che potevano essere previsti al tempo in cui è
sorta l’obbligazione e l’azione di risarcimento del danno si
prescrive decorsi dieci anni dal verificarsi dell’evento
(mentre per la responsabilità extracontrattuale interviene
dopo cinque anni).
Anche la Corte di Cassazione ha sposato questa linea già da
tempo ed ora è opinione comune: la responsabilità del
veterinario nei confronti del proprietario di un animale a lui
affidato è di tipo contrattuale.
Ciò non toglie che vi siano anche aspetti di responsabilità
extracontrattuale in capo al veterinario: si pensi ad esempio
al caso di un animale che, sotto la custodia del veterinario,
cagioni danni ad un terzo soggetto. In questo caso non vi è
alcun rapporto obbligatorio preesistente tra il medico e il
danneggiato e si configura quindi una classica fattispecie di
responsabilità aquiliana per danni a terzi. Il risarcimento di
questo tipo di danno è un obbligo generico per il quale il
danneggiato deve provare il danno, la colpa del medico ed il
nesso di causalità tra l’azione colposa del medico ed il danno
subito.
Per l’esattezza, l’articolo 2052 del codice civile recita
esattamente “Il proprietario di un animale o chi se ne serve
per il tempo che lo ha in uso è responsabile dei danni
cagionati dall’animale, sia che fosse sotto la sua custodia,
sia che fosse smarrito o fuggito, salvo che provi il caso
fortuito”
Quindi il medico veterinario è responsabile anche degli
animali che ha in custodia e risponde dei danni da questi
causati verso terzi.
Il mio veterinario lavora in una struttura organizzata. E’
responsabile solo lui o anche la struttura?
In questi casi i profili di responsabilità sono maggiormente
complessi. Il cliente instaura un rapporto sia con il
professionista – che fornisce la prestazione vera e propria –
sia con la struttura – la quale offre solitamente lo spazio,
le attrezzature e l’assistenza del personale di supporto -.
Come succede già nella medicina “umana” la Corte di Cassazione
ritiene che, in caso di errore del professionista, sussista
oltre alla responsabilità contrattuale del medico, anche la
responsabilità oggettiva della struttura.
Vogliono operare il mio animale ma non mi spiegano come, cosa
o perché.
Come enunciato dall’articolo 29 del Codice Deontologico dei
Medici Veterinari, il veterinario, al pari del medico che cura
noi esseri “umani”, è tenuto a fornire un consenso informato.
E’ necessario che il proprietario dell’animale sia PIENAMENTE
INFORMATO dei rischi, delle possibili complicanze e delle
conseguenze delle operazioni e dei trattamenti che il
veterinario vuole porre in essere.
In questo modo il proprietario può compiere una valutazione
maggiormente consapevole dei costi-benefici del trattamento ed
anche il rapporto “medico-paziente” non può che trarne
giovamento. La sottoscrizione di un consenso informato,
infatti, previene il formarsi di fattispecie di responsabilità
contrattuale per mancata informazione in capo al veterinario.
Attenzione!! Non viene meno la responsabilità del veterinario
per negligenza, imperizia o imprudenza, ma l’assenza di
consenso informato può essere addebitata al medico veterinario
in sede di procedimento disciplinare, anche quando la
prestazione sia andata a buon fine.
Per una consulenza professionale non esitare a contattarci:
[email protected]
Non si effettua consulenza legale gratuita.
E’ assolutamente vietata la riproduzione, anche parziale, del
testo presente in questo articolo senza il consenso
dell’autore. In caso di citazione è necessario riportare la
fonte del materiale citato.
Liti di condominio per gli
animali
La l. 220/2012 “riforma del condominio” all’Art. 16
riformando, tra gli altri, anche l’articolo 1138 del codice
civile, aggiunge un comma molto interessante:
«Le norme del regolamento (condominiale) non possono vietare
di possedere o detenere animali domestici».
E’ dunque molto chiaro: i nuovi regolamenti condominiali non
potranno più vietare ai condomini di tenere nei propri
appartamenti cani, gatti ed altri amici animali domestici.
Tutto questo chiaramente senza intaccare le normali regole che
governano la vita di una collettività come quella
condominiale.
Secondo la nuova legge dunque nessuno potrà impedirvi di
tenere in casa il vostro animale di compagnia! Esattamente
come nessuno può impedirvi di detenere una televisione, un
frigorifero, un forno…
– Cosa si intende per animali domestici?
Si parla in generale di “animali domestici” anche se i
principali interessati sono naturalmente cani e gatti. Questa
terminologia “domestici” darà sicuramente luogo a molte
diatribe dato che il termine in questione può essere riferito
a diverse specie animali: una gallina è un animale domestico?
E un coniglio? Ci sono diversi animali considerati “inusuali”,
ma se dovessero risultare “domestici” non sarà possibile
vietarne la detenzione, a meno che vi siano ragioni di igiene
o sicurezza.
– E i regolamenti già esistenti che prevedono il divieto di
detenere animali?
E’ necessario chiarire che le disposizioni di legge vengono
applicate solo dal momento in cui la legge entra in vigore,
lasciando quindi inalterata la situazione preesistente. Questo
principio è detto di “irretroattività”, e proprio per questo
motivo i rapporti sorti precedentemente l’entrata in vigore
della riforma del condominio, continueranno ad essere regolati
dalla precedente legge.
Se il Regolamento in vigore è di tipo “assembleare”, i
condomini possono rimuovere il divieto con una delibera
assembleare assunta a maggioranza ma, se non lo fanno, tale
divieto rimane in vigore.
Se il regolamento è di tipo “contrattuale”, quindi approvato
con il consenso unanime di tutti i condomini oppure accettato
e sottoscritto insieme all’atto di acquisto della proprietà,
si necessiterà del consenso unanime anche per eliminare tale
divieto.
– E per quanto riguarda gli spazi comuni?
Vanno ritenute invariate le norme che solitamente regolano
l’utilizzo e il godimento degli spazi comuni. Il fatto di
poter detenere un animale in casa, non significa che questo
potrà scorrazzare liberamente per le scale del condominio o
nel giardino comune: vanno comunque rispettate le regole di
buona educazione e di effettiva sicurezza. Sono evidenti i
rischi per un condomino (o anche per un terzo) che si trovi
nell’atrio o sulle scale, al passaggio di un cane senza le
necessarie cautele richieste dalla prudenza. Si pensi poi ai
rischi se ci siano dei bambini che giocano allegramente in
cortile.
Per l’esattezza: l’articolo 672 c.p. configura tre fattispecie
criminose: “lasciar liberi, custodire senza le debite cautele
e affidare a persona inesperta” animali. E come precisa la
Corte di Cassazione Penale con la sentenza 599/1998 “L’obbligo
di custodire l’animale sorge ogni volta che sussista una
relazione di possesso o di semplice detenzione tra l’animale e
una data persona, posto che l’art 672 c.p. relaziona gli
obblighi al possesso dell’animale, possesso da intendersi come
detenzione anche solo materiale e di fatto, senza che sia
necessario che sussista una relazione di proprietà in senso
civilistico.”
– Posso prendere l’ascensore con il mio cane?
Se non esiste uno specifico divieto contenuto nel regolamento,
è possibile inibire l’uso dell’ascensore ad un condomino con
il proprio animale, solo per motivazioni di ordine igienico
sanitario, da valutarsi di volta in volta in base al caso
specifico.
– Posso tenere quanti animali voglio? E se puzzano troppo o
sono eccessivamente rumorosi?
Sempre per motivi di ordine igienico sanitario è lecito che
nel regolamento sia espressa una limitazione riguardo al
numero di animali che il singolo condomino può detenere nella
propria unità immobiliare: superato tale numero è possibile
richiedere l’intervento del giudice che sancisca
l’allontanamento degli animali in esubero e li affidi ad enti
specializzati.
Altro motivo lecito per poter richiedere l’intervento del
giudice, è quando l’animale sia “fonte di immissioni di rumori
o emetta odori tali da cagionare, per la loro frequenza ed
intensità, malessere e insofferenza anche a persone di normale
sopportazione”: il cane che abbaia sempre a qualunque ora del
giorno e della notte, l’odore dell’animale stesso che impregna
il pianerottolo, la puzza derivante dai suoi bisogni
fisiologici possono raggiungere livelli intollerabili e
arrivare a danneggiare l’equilibrio psicofisico dei condomini.
Quando dunque tali disturbi arrivino a superare la soglia di
tolleranza “media”, la normale sopportazione richiesta dalla
vita di condominio, allora il giudice può disporre che
l’animale sia allontanato ed affidato in custodia ad enti
specializzati, in modo da restaurare la quiete nell’edificio
condominiale.
Per una consulenza professionale non esitare a contattarci:
[email protected]
Non si effettua consulenza legale gratuita.
E’ assolutamente vietata la riproduzione, anche parziale, del
testo presente in questo articolo senza il consenso
dell’autore. In caso di citazione è necessario riportare la
fonte del materiale citato.