Apprendere e giocare: alternativa od
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Apprendere e giocare: alternativa od
CENTRO RISORSE FOSSANO CENTRO RISORSE TERRITORIALE Apprendere e giocare: alternativa od integrazione? Donatella Savio Pedagogista e formatrice, Biella // bambino che gioca perde tempo o si procura occasioni di crescita e di apprendimento? Intervento letto al Convegno Per una Scuola dell'infanzia di qualità, Firenze, 11-12 gennaio 2002. Premessa Vorrei aprire il mio intervento svelandovi, con un esercizio di introspezione, le riflessioni che mi hanno portato a decidere di proporvi i contenuti che vi proporrò. Non per una forma di megalomania, ma perché ritengo che tali riflessioni, provenienti da un punto di vista esterno alla Scuola dell'infanzia, il mio, ma che con essa ha da molto tempo un rapporto interlocutorio appunto sul gioco, possano da subito mettere in evidenza, come una cartina tornasole, quella che nella mia esperienza è generalmente la posizione della Scuola dell'infanzia rispetto alla relazione tra gioco infantile e apprendimento. Ed è questa a mio avviso la questione cruciale da affrontare in questa sede. Un piccolo inciso: quando parlo di gioco intendo gioco simbolico, gioco del far finta, e ciò perché questa è la manifestazione ludica principale nel periodo evolutivo di cui si prende cura la Scuola dell'infanzia, dai 3 ai 6 anni. Ecco le mie riflessioni preliminari. A mio avviso, la posizione della Scuola dell'infanzia nei confronti del valore evolutivo del gioco è una posizione di incertezza. Il titolo che mi è stato proposto per l'intervento, e che io ho accettato di buon grado senza modificarlo, la rivela tutta questa incertezza: "Apprendere e giocare: alternativa o integrazione?". Incertezza che potrei tradurre in termini più prosaici con una domanda: il bambino che gioca perde tempo o procura occasioni di crescita, di apprendimento appunto? Di fronte a questo titolo, il mio primo pensiero si è sviluppato in una domanda: cosa ci si aspetta da me? Che confermi o smentisca la valenza evolutiva dd j gioco? La mia formazione e convinzione, la mia esperienza nelle Scuole dell'infanzia, il clima e la cultura educativa che mi pare di respirare al loro interno, mi hanno portato a formulare la seguente risposta: ci si aspetta da me che confermi la valenza educativa del gioco, che la confermi e la motivi in modo circostanziato, con riferimenti teorici autorevoli e indiscutibili in modo da spazzare via ogni dubbio residuo. Vi confesso che il secondo pensiero è stato di stanchezza: ancora mi si chiede di farmi paladina del gioco, di nuovo mi si chiede di rendere conto, di giustificare la mia posizione a favore del ruolo evolutivo del gioco, di essere convincente e rassicurare a proposito della sua importanza nella crescita armonica e armoniosa del bambino. Di nuovo e ancora, ormai da anni. Il terzo pensiero è volato a considerazioni che ho già proposto in altre sedi, confermandomele. Se è questo che mi si chiede, cioè di confermare la valenza evolutiva del gioco, davvero i pregiudizi sono duri a morire, dove per pregiudizi intendo quei giudizi, quelle idee, convinzioni, credenze che si collocano a un livello pre-cosciente e che, pur non del tutto consapevoli, non precisati e dichiarati, sono comunque attivi nella mente orientando i nostri comportamenti. Nel caso del binomio gioco-apprendimento, il pregiudizio che in modo sotterraneo suggerisce l'incompatibilità tra i due termini ha a che fare a mio avviso con la contrapposizione tra piacevolezza, divertimento, coinvolgimento spontaneo da una parte e fatica, serietà, autodisciplina dall'altro. Come dire: non c'è apprendimento senza sudore, imposizione, disciplina, o, in alternativa, se ci si diverte troppo e con slancio, se c'è troppo piacere difficilmente si cresce. È’ un pregiudizio che, tra l'altro, ritengo trovi radici e sostegno in una lettura un po' CENTRO RISORSE FOSSANO CENTRO RISORSE TERRITORIALE esasperata della teoria evolutiva psicoanalitica, lettura secondo la quale la crescita passa attraverso il consolidarsi della capacità di accettare la frustrazione, cioè attraverso il ripetersi della dolorosa esperienza dei propri limiti e grazie alla faticosa elaborazione di questo dolore. Secondo questa prospettiva, il gioco ha un ruolo fondamentale nel processo di elaborazione della frustrazione: è soprattutto attraverso di esso che il bambino può padroneggiare il dolore connesso al crescere. E il piacere evidentemente e innegabilmente connesso al gioco sarebbe un derivato secondario del dolore: è piacere legato alla possibilità di affrontare e di riuscire a portare a termine il faticoso compito di crescere. Dunque, piacere per la fatica, non piacere per il piacere, in sintonia e fondando appunto il pregiudizio che vuole la crescita, l'apprendimento associati all'impegno faticoso comunque e dovunque, anche nel gioco a costo di snaturarne il senso di piacere puro. Il soffermarmi sulla prospettiva psicoanalitica mi ha suggerito altre e nuove considerazioni sul rapporto gioco e apprendimento che però, per mantenere un minimo di ordine logico nel mio intervento, vi proporrò più avanti. Queste riflessioni preliminari mi hanno convinto della necessità di aprire il mio intervento svelando innanzitutto il pregiudizio che detta l'incompatibilità tra gioco e apprendimento, come ho appena fatto, per identificarlo, circoscriverlo e in qualche misura renderlo più vulnerabile. In secondo luogo, ed è quello che mi accingo a fare, mi hanno suggerito di controbattere tale pregiudizio ancora una volta, in maniera forte e circostanziata, aprendo la via al consolidamento di un pregiudizio opposto, che affermi e renda scontato nel fare e nel riflettere di chi opera nella Scuola dell'infanzia il legame privilegiato tra gioco e possibilità di apprendimento. Controbatterò il presunto pregiudizio di una relazione negativa tra gioco e apprendimento proponendo e giustificando due affermazioni principali: • la prima: il gioco è la principale fonte di apprendimento negli anni che precedono la Scuola; • la seconda: è principalmente a partire dal gioco che si possono progettare e proporre ai bambini percorsi educativi, esterni al gioco, significativi in termini di apprendimento e crescita a tutto tondo. La prima affermazione La prima affermazione, come qualcuno avrà già capito, non è farina del mio sacco. È Vygotskij a proporla, e in questo caso l'apprendimento va inteso principalmente come sviluppo cognitivo. Di nuovo, un piccolo inciso. In questa sede non c'è spazio per approfondimenti, perciò procederò un po' per "slogan", proponendovi una sorta di sintetico panorama e ripasso di alcune delle principali posizioni che in letteratura sostengono la relazione privilegiata tra gioco e apprendimento. D'altra parte qui lo scopo è soprattutto giustificare facendo riferimento a voci autorevoli capaci di sedare ogni dubbio. Dicevamo Vygotskij. In particolare Vygotskij sostiene che 50/0 nel gioco simbolico il bambino è in grado di far guidare i propri comportamenti da ciò che pensa e immagina (si comporta con la scopa come fosse il cavallo che lui immagina e fa finta che sia) piuttosto che da ciò che percepisce (la scopa come scopa). Solo nel gioco. Nella realtà non ludica invece il suo comportamento sarebbe principalmente guidato da ciò che percepisce, dalle caratteristiche concrete e funzionali del mondo. Come dire: il gioco è luogo primo di manifestazione di pensiero riflessivo e astratto, della capacità di riflettere in modo indipendente da ciò che si percepisce, cioè di una forma di pensiero più matura e tendente alle modalità più tipiche del pensiero adulto. Dunque, il gioco simbolico rappresenterebbe una punta in avanti nello sviluppo dei processi cognitivi, un fattore di traino di questo sviluppo. Ancora. Garvey sostiene che il gioco simbolico di gruppo, la forma più frequente di attività ludico-simbolico che si osserva nella Scuola dell'infanzia, è sede privilegiata dello sviluppo del linguaggio sociale, cioè della capacità di esprimersi in modo comprensibile per l'interlocutore, il che implica la capacità di tenere conto del suo punto di vista, delle sue competenze e incompetenze. Cioè implica capacità di decentramento, capacità cognitiva e sociale insieme, se è possibile fare distinzioni di questo genere. Dunque, il gioco simbolico sociale sarebbe sede privilegiata di sviluppo della capacità di decentramento. Capacità antagonista dell'egocentrismo, che consiste appunto CENTRO RISORSE FOSSANO CENTRO RISORSE TERRITORIALE nell'incapacità di tenere conto del punto di vista altrui e il cui superamento secondo Piaget coincide con il progressivo maturare dell'intelligenza negli anni pre-scolari. Dunque e viceversa, gioco simbolico sociale come luogo cruciale per il superamento dell'egocentrismo, quindi come motore importante dello sviluppo intellettivo. Ancora. Winnicott sostiene che il gioco simbolico è il prototipo di qualsiasi atto creativo. Come dire: nel gioco simbolico, e solo in esso, prende forma e si afferma la capacità creativa, il pensiero divergente, la capacità di trovare soluzioni nuove, di dare letture inedite e originali della realtà. Ancora, e per passare, utilizzando Winnicott come ponte, dai processi cognitivi e sociali a quelli affettivi, tutta la psicoanalisi, seppure con sfumature diverse per i diversi autori, afferma che il gioco simbolico è il principale se non l'unico strumento che il bambino ha a disposizione per elaborare e quindi riuscire a padroneggiare i propri vissuti profondi e angosciosi. Come dire: è solo attraverso il gioco simbolico che si da la possibilità che il bambino maturi dal punto di vista affettivo. Potrei continuare ma qui mi fermo: quanto detto e ricordato mi pare sufficiente per affermare con forza che i bambini devono poter giocare in quanto il gioco rappresenta per loro e per la loro crescita, un nutrimento cognitivo, sociale, e affettivo fondamentale. È un'affermazione tanto ripetuta da risultare quasi vuota, priva di senso, così come succede quando si gioca a ripetere a vuoto la stessa parola fino a trasformarla in suono privo di senso. Per questo è importante ribadirla, restituirle significato andando alle sue implicazioni concrete. In una Scuola dell'infanzia dire che i bambini devono poter giocare significa dare spazio, tempi, attenzione, disponibilità ampi al gioco simbolico infantile, molto più ampi di quanto generalmente mi pare succeda. Spazi e tempi "dignitosi", che vuoi dire pensati come si pensano gli spazi e i tempi di attività cui si riconosce con maggiore sicurezza una valenza educativa. Spazi precisi, protetti, attrezzati in modo dinamico ascoltando gli interessi ludici che via via emergono dai bambini. Tempi importanti, non solo quelli di intervallo tra le attività e le routine, ma proprio quelli dell'attività. Attenzione e disponibilità autentiche, accettando come insegnanti il rischio di mettersi in gioco perché, come confermano alcune ricerche in proposito, in mancanza di un adulto disponibile ad entrare in prima persona nel gioco simbolico infantile esso rischia di non evolvere fino alle sue forme più mature. È il momento di approfondire la seconda affermazione che vi ho proposto, ed è quella su cui mi pare di avere qualcosa di nuovo da dire. La seconda affermazione È principalmente a partire dal gioco che si possono progettare e proporre ai bambini percorsi educativi significativi in termini di apprendimento. Per giustificare questa affermazione vi porterò elementi teorici ma anche operativi, facendo riferimento in particolare a un'esperienza d'indagine realizzata con me da alcune insegnanti del gruppo piemontese del "Progetto Alice". Per quanto riguarda le considerazioni teoriche, approfondiamo il punto di vista della psicoanalisi rispetto alla relazione gioco e apprendimento. Come abbiamo in parte visto, la psicoanalisi sostiene che i contenuti angosciosi del mondo interno del bambino hanno la possibilità di essere elaborati e quindi padroneggiati nella misura in cui vengono espressi per via indiretta, cioè inconscia, nel gioco. Poiché anche l'apprendimento, in quanto incontro con lo sconosciuto, è sede di contenuti angosciosi, ecco che per la psicoanalisi il gioco assume un ruolo fondamentale nella possibilità che questo incontro evolva senza evitamenti. Più in particolare, secondo Milner essere in una condizione di apprendimento significa fare i conti con ciò che non si conosce; dunque, il versante emotivo dello stato di apprendimento coincide con sentimenti di incertezza, inadeguatezza, frustrazione, quindi di dolore. Il gioco permetterebbe al bambino di affrontare e elaborare tale dolore, garantendo la possibilità di dispiegare senza intoppi i processi cognitivi contemporaneamente impegnati nell'apprendimento. Vi chiedo ancora un po' di pazienza e proseguo con la riflessione teorica in i modo da arrivare al punto, alla proposta che intendo farvi, "ben attrezzati". Il pessimismo psicoanalitico tende a evidenziare i sentimenti dolorosi connessi all'apprendimento e lascia a mio avviso viceversa in secondo piano sentimenti più positivi, quali l'interesse e la curiosità che sostengono la spinta irrefrenabile del bambino verso il nuovo. A questo CENTRO RISORSE FOSSANO CENTRO RISORSE TERRITORIALE proposito Melanie Klein in uno scritto del 1923 assume una posizione che poi supera negli scritti posteriori, ma che mi pare qui importante riprendere e affermare. Secondo la Klein il soggetto si familiarizza con il mondo, cioè incontra il nuovo e impara a conoscerlo, grazie a un processo di parificazione simbolica sostenuto dal principio del piacere: il bambino di fronte a oggetti e attività nuove prova un interesse e un piacere analoghi a quelli che prova per gli oggetti d'amore originali, quindi assimila il nuovo al già conosciuto permettendo ai sentimenti di interesse e piacere di fissarsi, consolidarsi sul nuovo. In altre parole, il rapporto d'amore con gli oggetti primari produrrebbe tra l'altro una tensione fiduciosa verso il mondo, che apre alla possibilità di esportare l'interesse e il piacere, quindi di trovare nel mondo oggetti d'amore interessanti quanto lo sono quelli originari. Qui starebbe la molla positiva che alimenta il rapporto con il nuovo, quindi i processi di apprendimento. Se proviamo a tradurre in termini concreti tutte queste riflessioni, dobbiamo in primo luogo affermare che l'incontro con il nuovo, lo stato di apprendimento, è dolore ma insieme, e forse prima, anche piacere, è timore ma insieme e fortemente curiosità: è comunque e soprattutto coinvolgimento tanto profondo quanto lo è quello nella relazione con gli oggetti d'amore primari. Dobbiamo riconoscere quindi che tutto ciò che colpisce il bambino in modo davvero profondo, tutto ciò che in quanto nuovo davvero e insieme lo intimorisce e incuriosisce, viene necessariamente portato all'interno della cornice ludica. Nel gioco, i sentimenti negativi legati all'incontro col nuovo hanno modo di essere elaborati e quelli positivi, l'interesse e la curiosità, hanno modo di dispiegarsi. Ne deriverebbe che il gioco simbolico è una finestra sugli elementi che maggiormente colpiscono e intrigano il bambino in quel momento della sua vita. Come dire, in termini più specifici, osservando i temi ludici scelti dal bambino, le connessioni tra elementi (oggetti, personaggi, eventi ecc.) che in essi si sviluppano, le modulazioni affettive che li accompagnano, noi abbiamo la possibilità di osservare ciò che fuori dal gioco, nella realtà non ludica, ha davvero e profondamente catturato l'interesse infantile, e quindi insieme, seguendo il suggerimento psicoanalitico, possiamo osservare i processi insieme cognitivi e affettivi attraverso cui il bambino cerca di rendersi familiare la novità per meno temerla e meglio conoscerla. Dunque il gioco come osservatorio sulle curiosità infantili, sui processi di elaborazione dell'affettività negativa che accompagna l'incontro col nuovo ma anche su processi di esplorazione cognitiva che creano connessioni abbandonandosi alla curiosità, per meglio capire e conoscere la novità che intriga. Dove voglio arrivare? Inaspettatamente voglio arrivare a Dewey, l'ultimo tassello che manca per dare un senso compiuto alla mia riflessione. Voglio arrivare alla sua affermazione che solo partendo da un problema autentico, da una curiosità davvero sentita dal soggetto è possibile il dispiegarsi dell'intelligenza riflessiva, cioè di quel pensiero autenticamente intelligente che affronta il problema, la curiosità attraverso un percorso d'indagine scandito in tappe precise. Viceversa, i problemi se posti dall'esterno secondo Dewey vengono eseguiti come compiti, non producono autentici percorsi d'indagine e quindi autentici apprendimenti. Il cuore del nostro discorso è la motivazione infantile, la cui rilevanza viene ancor più accentuata da Kilpatrick quando afferma che la vera e unica molla dell'azione e della conoscenza è l'interesse. Dunque il punto è che il gioco, in quanto sede di elaborazione delle autentiche curiosità infantili, è l'osservatorio privilegiato sulla motivazione infantile. Se vogliamo far leva su di essa per produrre nell'ottica di Dewey apprendimenti autentici, è dall'osservazione del gioco che dobbiamo partire. È ad esso che dobbiamo guardare per mettere a punto percorsi educativi che colgano e facciano leva sulla curiosità infantile, e che quindi sostengano il suo dispiegarsi in intelligenza riflessiva conformandosi ai percorsi d'indagine che essa suggerisce. Sottolineo: proposte educative che partano dagli interessi manifestati nel gioco e si conformino ai percorsi d'indagine suggeriti dai bambini, quindi proposte tutte da contrattare con i bambini, che si fanno mentre si fanno. Proposte quindi che non muovono da ciò che l'adulto ritiene sia interessante far esperire al bambino, che non sono predefinite nelle tappe e nei risultati, che quindi non rischiano di essere vissute dai bambini come compiti producendo apprendimenti probabilmente solo superficiali, "incollati", non autenticamente trasformativi in senso evolutivo. L'esperienza operativa CENTRO RISORSE FOSSANO CENTRO RISORSE TERRITORIALE Veniamo ora all'esperienza operativa. Queste affermazioni teoriche sono diventate ipotesi di lavoro nel percorso di indagine realizzato da alcune insegnanti del gruppo piemontese che ha aderito al "Progetto Alice". Il percorso di indagine, illustrato nella Tabella 1, mirava a chiarire se esiste differenza nella qualità degli apprendimenti ottenuti con proposte educative che partono dall'interesse autentico del bambino o, viceversa, con proposte educative che muovono dall'interesse dell'adulto, o meglio, da ciò che l'adulto ritiene essere interessante per il bambino. Più in particolare, l'ipotesi che si intendeva verificare può essere sintetizzata nei termini seguenti: • se gli interessi manifestati dal bambino nel gioco corrispondono ai suoi interessi autentici, • allora identificandoli, nonché concordando e realizzando con i bambini dei percorsi di approfondimento ditali interessi, otterrò apprendimenti più articolati e approfonditi nel campo di tali interessi rispetto a quelli ottenuti nel caso in cui invece proponga ai bambini percorsi di approfondimento interamente decisi dall'adulto nei contenuti come nelle modalità. Va precisato che si è trattato di un'indagine esplorativa, senza pretese di scientificità ma appunto volta a dare un primo sguardo alla questione posta per trarre suggerimenti operativi e indicazioni su come eventualmente approfondirla. Il percorso è stato realizzato in più scuole; in ogni scuola sono stati coinvolti due gruppi di bambini, composti per lo più seguendo le affinità ludiche naturalmente manifestate dai bambini, lavorando cioè su gruppi di compagni di gioco. Per un gruppo - gruppo A- il percorso si è sviluppato in quattro tappe principali: • in un primo momento il gruppo è stato osservato da un'insegnante durante tre sedute di gioco libero nell'angolo per il gioco simbolico (casetta, travestimenti ecc.) normalmente utilizzato a questo scopo. L'insegnante ha proceduto quindi ad analizzare le osservazioni per individuare i temi ludici più ricorrenti, più "duraturi" e più aggreganti, quelli cioè che i bambini proponevano più spesso, per tempi più lunghi e che coinvolgevano il maggior numero di bambini. L'assunto di base era che tali qualità ricorrenza, durata, capacità di aggregazione - individuassero gli interessi autentici di quel gruppo di gioco; • la seconda tappa è consistita in un momento di conversazione con cui l'insegnante ha chiesto prima di tutto conferma sull'interesse colto durante i giochi ("Ho capito bene? giocavate a questo? È questo che vi interessa?"), e su queste basi ha concordato con i bambini percorsi di approfondimento esterni al gioco (per esempio visitare un'ambulanza nel caso in cui l'interesse rilevato e confermato fosse il gioco del dottore); la terza tappa è consistita nella realizzazione degli approfondimenti; • la quarta tappa si è sviluppata ancora in tre sedute di gioco nello stesso spazio e con le stesse modalità delle tre sedute iniziali. Anche in questo caso l'insegnante ha osservato il gioco dei bambini e quindi analizzato le osservazioni per rilevare: livello di gioco, utilizzando uno strumento ad hoc (la SVALSI); concentrazione tematica (quanto tempo su quale tema: quello degli approfondimenti?); varietà e coerenza tematica (il tema degli approfondimenti si è arricchito di elementi articolati tra loro in una trama ludica coerente? Per esempio il gioco del dottore si è arricchito di elementi - oggetti, eventi ecc. - incontrati nella visita all'ambulanza e utilizzati in modo da costruire una trama ludica coerente?); varietà e coerenza sovra-tematica (la trama ludica connette in modo coerente più sotto-temi che hanno a che fare con gli approfondimenti? Per esempio il malore, la visita dal medico, la corsa in ambulanza, intervento del chirurgo, la visita dei parenti ecc.). La rilevazione di questi aspetti è stata realizzata su tutte e sei le osservazioni di gioco, con l'obiettivo di rilevare le eventuali differenze tra le prime tre (pre-test) e le ultime tre sedute di gioco (post-test). L'assunto dì base era che l'incremento ' queste quattro dimensioni sia : di una comprensione più ricca •fondita del tema oggetto degli iimenti, e quindi di appren-i (in termini di contenuti e di i di elaborazione degli stessi) olidati. Per il secondo gruppo-gruppo B - il persistito in tre tappe principali: tappa condotta in modo » al gruppo A: tre sedute di gio-nel contesto "naturale", os-; e analizzate dall'adulto per riti campo di interessi del gruppo; : tappa per questo gruppo è i quella CENTRO RISORSE FOSSANO CENTRO RISORSE TERRITORIALE della realizzazione degli Iimenti, saltando quindi il della conversazione. In » caso gli approfondimenti pro-i ai bambini sono stati gli stessi i e realizzati dal gruppo A: apnenti quindi eterodetermi-l escane! a quelli espressi e. rileva-I gioco del gruppo B nelle tre se-i gioco libero. In sostanza que-i si sarebbe trovato nella si-che più comunemente i sperimentano nella quoti-i scolastica, quella in cui conte-'. modalità di approfondimento j proposte educative vengono dell'adulto, indipendentemente o i dalla rilevazione dalle curiosità : dai bambini stessi; i tappa del gruppo B ha coinciso i quarta tappa del gruppo A: tre : di gioco nello stesso spazio e !; stesse modalità delle tre sedute Anche in questo caso l'inse-; ha osservato il gioco dei bam-t osservazioni sono state analiz-do i criteri già precisati per il gruppo A per rilevare: livello di gioco, concentrazione tematica, varietà e coerenza tematica, varietà e coerenza sovratematica. Si è proceduto quindi a un confronto incrociato tra i pre-test e i post-test dei due gruppi. I risultati ottenuti vanno nella direzione di una conferma dell'ipotesi che ha guidato l'indagine. Sembrerebbe cioè che i gruppi A manifestino al termine dell'esperienza un livello di gioco, una concentrazione tematica, una varietà e coerenza tematica, una varietà e coerenza sovratematica superiori a quelli manifestati nel pre-test, nonché e soprattutto superiori a quelli manifestati nel post-test dai gruppi B. Dunque, se queste dimensioni sono in qualche misura indice della qualità della compren-sione dei temi approfonditi, nei gruppi in cui la proposta educativa parte dalle curiosità autentiche dei bambini, e si sviluppa secondo modalità concordate con i bambini stessi grazie a un'attenta regia non direttiva dell'adulto, si osserverebbero apprendimenti più consolidati e articolati rispetto ai gruppi in cui la proposta educativa nei contenuti e nelle modalità non vede il contributo infantile. Vale la pena di ribadire che non si tratta di risultati scientificamente provati. Comunque, il fatto che tutte le esperienze di questo tipo condotte nelle varie scuole abbiano dato indicazioni positive nella direzione dell'ipotesi, ci permette di azzardare che la tendenza rilevata sia quantomeno plausibile e certo meritevole di approfondimento. Gruppo A - Tre sedute di gioco L’adulto osserva e rileva i temi ricorrent - Conversazione l'adulto chiede conferme, rispecchia gli interessi infantili, concorda gli approfondimenti intemi e estemi al gioco: ho capito bene? Giocavate a questo? Di cosa avete bisogno per continuare a giocare? - Realizzazione degli approfondimenti Tre sedute di gioco l'adulto osserva rileva e confronta (pre-post approfondimenti; gruppo B): - livello di gioco - concentrazione sul tema - varietà e coerenza nel tema - varietà e coerenza sovra-tematiche Gruppo B Tre sedute di gioco L’adulto osserva e rileva i temi ricorrent Conversazone No Realizzazione degli approfondimenti concordati dal C Tre sedute di gioco l'adulto osserva rileva e confronta (pre-post CENTRO RISORSE FOSSANO CENTRO RISORSE TERRITORIALE approfondimenti; gruppo A): - livello di gioco - concentrazione sul tema - varietà e coerenza nel tema - varietà e coerenza sovra-tematichè