Compiti: un affare di famiglia?

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Compiti: un affare di famiglia?
COMPITI: UN AFFARE DI FAMIGLIA?
Parlare di compiti è di moda: ne parlano insegnanti, genitori, pedagogisti, sociologi ed esperti del
settore. Non entreremo nel merito di questo dibattito in termini di adeguatezza dei compiti o meno, ma
partiamo dal primo dato di realtà certo: i compiti vengono assegnati.
Il compito è un impegno personale proprio di ciascun ragazzo, dall'inizio al termine del percorso di studi:
ciascuno è chiamato personalmente a mettersi alla prova su ciò che viene proposto a scuola.
Come e in che misura un genitore si può o si deve coinvolgere nel lavoro a casa del proprio figlio? Non
esiste una risposta precostituita poiché l’aiuto fornito deve essere proporzionale al bisogno e dipende
dall'età e dal grado di autonomia del proprio figlio.
La “Zona di Sviluppo Prossimale” - teoria elaborata da Vygotskij - è definita come uno spazio intermedio
tra il livello attuale di sviluppo del bambino, determinato dalla sua capacità di risolvere da solo un
problema e il suo livello di sviluppo potenziale determinato dalla capacità di risolvere un problema con
l’aiuto di un adulto o di un coetaneo più competente.
Alcuni ragazzi per il “solo” fatto di vivere pienamente l’esperienza di apprendimento a scuola, alimentano quotidianamente la propria capacità di risolvere
i problemi stando in stretto rapporto con l’insegnante e la disciplina. Ne consegue che il lavoro pomeridiano sia un lavoro di consolidamento e di
eventuale approfondimento o sperimentazione. Per altri l’input ricevuto a scuola necessita di uno spazio pomeridiano in cui riordinare quanto appreso
attraverso la mediazione di un altro più competente.
Svolgere responsabilmente il ruolo genitoriale significa favorire le conquiste di crescita mantenendo la corretta distanza: talvolta pienamente implicati,
altre volte osservatori attenti e pronti a intervenire, altre volte ancora spettatori emozionati di fronte allo spettacolo di un’autonomia che cresce.
La responsabilità dell’adulto non basta se non educa la responsabilità del ragazzo. Questa si educa attraverso la testimonianza degli adulti nel compito a
cui ogni giorno sono chiamati: dal lavoro in casa a quello fuori casa, offrendo così ai ragazzi continue possibilità di paragone. L’educazione alla propria
responsabilità passa attraverso la possibilità di vedere in azione un adulto disponibile a vivere il proprio compito come convenienza, constatando che la
fatica è direttamente proporzionale alla gioia di diventar grandi.