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I DOLCI ITALIANI PER FARE FESTA TUTTO L’ANNO
GIORNI GOLOSI
Prefazione
GIORNI GOLOSI
I dolci italiani per fare festa tutto l’anno
Trenta Editore srl, Milano
Impaginazione Mirko Bozzato, Milano
Coordinamento editoriale Barbara Carbone
Coordinamento di redazione Marco Ferrario
Testi e ricette Marco Ferrario
Foto: archivio Trenta Editore
Si ringrazia per la gentile concessione delle immagini:
Morena Roana (pag. 57) e Sara Milletti (pag. 73).
Uno speciale ringraziamento inoltre al nutrizionista Maurizio Sentieri
per la preziosa introduzione; e all’azienda Panarello per la ricetta
e le immagini del Pandolce (compresa quella di copertina).
I edizione Dicembre 2013
Stampa Grafica 080 - Modugno (Ba)
www.trentaeditore.it
ISBN 978-88-96923-66-5
Le informazioni contenute in questo libro non hanno valore assoluto. Non è possibile evitare
del tutto inesattezze o imprecisioni in considerazione della rapidità dei cambiamenti che
possono verificarsi. L’editore in questo senso declina ogni responsabilità per eventuali inconvenienti subiti dal lettore.
Tutti i diritti sono riservati, nessuna parte di questo volume può essere riprodotta, memorizzata o trasmessa in alcuna forma e con alcun mezzo elettronico, meccanico, in fotocopia,
in disco o in altro modo, compresi cinema, radio, televisione senza autorizzazione scritta
dell’editore.
La nostra storia inizia nel 1885 ed è una storia fatta di piccoli passi,
di successi e di difficoltà. Un’azienda che ha attraversato il Novecento
sull’onda dell’impegno quotidiano, del legame con il territorio e con
la tradizione, ma soprattutto con uno sguardo costantemente rivolto
all’innovazione e ai cambiamenti nella società: non abbiamo mai smesso
di osservare gli stili di vita del nostro paese, dai tempi in cui era la miseria
a farla da padrona a momenti come quelli attuali in cui ognuno di noi
si interroga sul presente e sulle prospettive future.
Negli anni Sessanta, ad esempio, in un’epoca in cui le vecchie tradizioni
coincidevano con l’irrompere della modernità, i genovesi che potevano
permettersi di andare in villeggiatura, una forma di vacanza ante litteram,
si trasferivano nella campagna limitrofa: paesi come Torriglia, Montoggio,
Apparizione, Creto, La Val Trebbia, l’alta Val Bisagno e la Val Polcevera
si popolavano di turisti in cerca di pace e refrigerio. Quella villeggiatura,
tuttavia, per le famiglie della regione non era altro che una “nuova casa”
dove restare per un lungo periodo con le provviste della città; e tra queste,
l’unico dolce era il Pandolce genovese. Un elemento non casuale, perché il
pandolce, se ben conservato, gode di una freschezza in grado di mantenersi
per lungo tempo. A dimostrazione di quanto il pandolce non fosse solo il
“principe” delle festività di Natale, ma un prodotto fortemente caratterizzante
la tradizione alimentare genovese tout court. La nostra azienda ne conserva
traccia nella memoria e nei documenti: sappiamo infatti che durante il
mese di agosto si raggiungeva un picco di consumo inferiore solo al Natale
e per questo il mese estivo, chiamato in azienda il “Piccolo Natale”, era un
gradevole appuntamento in grado di rinnovarsi ogni anno.
Anche la tradizione marinara ligure ci racconta un interessante aneddoto
sul pandolce: era cosa comune che una volta impastato in casa, messo a
lievitare - addirittura sotto le coperte - e portato a cuocere nei forni di città,
questo dolce avesse come destinazione finale la cambusa personale di molti
naviganti. Anche in questo caso la facile conservazione del prodotto allietava
i sensi e manteneva vivo il ricordo di casa.
Leggende, è vero, che tuttavia potrebbero essere lette come due esempi
legati a un’antica tradizione, forse anche a una nostalgia non necessaria;
in realtà, chiedersi quanto la fedeltà a un territorio, alle sue storie, alla sua
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cultura possa essere considerata una risorsa, è operazione importante.
Le tradizioni, i legami con il territorio - tutti i territori del mondo - sono
un’occasione per guardare diversamente il presente e il domani, sono una
esperienza “riuscita” e unica di valorizzazione culturale; e la cultura, in ogni
forma, è un valore e una risorsa importante di questo Paese.
Panarello opera in un settore particolare del gusto e delle tradizioni
alimentari: quello dei dolci; e lo fa con orgoglio perché la tradizione dolciaria
è l’unica ad avere alla radice dei suoi prodotti l’espressione massima di ogni
forma cibo, la gioia di vivere.
Guido Profumo
Amministratore Delegato Panarello
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I dolci,
festeggiare la vita
È ormai diverso tempo che il cibo e la cucina vengono considerate come forme
di cultura alimentare, anzi come cultura tout court.
Una consapevolezza forse tardivamente percepita nella gran parte della
popolazione, nonostante figure come Luigi Veronelli o Giovanni Soldati abbiano
portato da tempo nelle case degli italiani il gusto del cibo inteso appunto
come cultura. In una televisione e in una società ancora nelle prime fasi della
modernità, quali erano quelle degli anni Cinquanta, Soldati prima e Veronelli poi
hanno indagato e spiegato cosa rappresentasse una tradizione: quale patrimonio
di conoscenze potesse celarsi in un alimento, in una ricetta, in un vino. Un
approccio nuovo per un’epoca che portava ancora le tracce di una povertà
diffusa, ma in cui già si intravedevano le luci abbaglianti della modernità, le molte
contraddittorie lusinghe della società dei consumi...
In quegli anni, prima timidamente e poi via via in modo crescente, abbiamo
imparato a conoscere il cibo e i prodotti del territorio come una cosa diversa
rispetto alle abitudini. Una diversità che andava ad arricchire quelle dimensioni
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che davano un senso ai luoghi e al tempo legati al cibo, ovvero a ciò che
chiamiamo “tradizioni”. Ricette, alimenti, consuetudini passate di generazione in
generazione venivano viste con una luce nuova, per la prima volta nobilitate dalla
parola cultura.
Insieme alle ansie delle calorie e dell’obesità, su quel cibo diventato
improvvisamente “facile”, si affacciavano le suggestioni delle ricette e degli
alimenti del proprio territorio, per quanto piccolo, suggestioni che esprimevano
qualcosa di universale, che andavano a mescolarsi e in parte a sanare le
contraddizioni della società dei consumi.
Così, un benessere alimentare arrivato troppo in fretta e i suoi eccessi
convivevano con la sapienza delle tradizioni alimentari mediterranee e quelle
italiane in particolare; come se sui dolci si fossero scaricate le ansie e i sensi di
colpa per un benessere economico e alimentare improvviso ed eccessivo, come
se i dolci e il dolce materializzassero una sorta di parafulmine simbolico con cui
proteggerci dalle calorie, dagli eccessi alimentari e da tutte le loro conseguenze.
I dolci del resto rappresentano per la maggior parte di noi una tipologia di piatti
tra i meno necessari da un punto di vista nutritivo, ma al tempo stesso rivelano
un carico sensoriale e simbolico di “puro piacere” che li porrebbe spesso in
un sentimento del tutto o niente, premiazione o negazione, piacere assoluto o
addirittura rinuncia...
Ma è proprio un altro aspetto di quel carico simbolico che ce li fa scegliere, aldilà
di ogni bontà e ricchezza nutritiva e aldilà di ogni senso di colpa.
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Nella cucina di ogni popolazione, i dolci sono infatti al vertice di ogni
rappresentazione sociale e culturale, immagine allo specchio di ciò che queste
specialità sono in ogni menù, puro piacere posto a conclusione di un pranzo o
di una cena: i dolci sono sempre posti a festeggiare i momenti lieti della propria
vita. Analogamente, in una scala enormemente più vasta e generale, nelle
cucine di tutte le tradizioni i dolci sono i simboli gastronomici di ogni momento
importante del calendario religioso, passaggi essenziali nel calendario ancora più
antico legato ai ritmi dell’agricoltura e della natura.
È così per Pasqua, per Natale e per le moltissime feste patronali, è così perfino
per la festività dei Morti in cui molte ricette tradizionali punteggiano e danno nel
nostro Paese (e non solo) una “presenza dolce” a questa ricorrenza.
In questo senso sono una costante in ogni regione e tra ogni popolazione, perché
sempre al vertice della cultura alimentare e delle sue tradizioni, almeno dal
punto di vista simbolico, vale a dire il modo con cui cerchiamo e rappresentiamo
significati aldilà delle cose concrete: nel cibo, il modo in cui ci leghiamo alla
natura, alla religione, al tempo, alla vita...
E simbolo tra i simboli, c’è una ricetta che può, forse meglio di ogni altra,
rappresentare questo aspetto e questa vocazione dei dolci. Nella festa religiosa
(ma ormai anche laica) più importante dell’anno, il Natale, un dolce rappresenta
al tempo stesso la festa religiosa, la convivialità, il senso della festa stesso, il
tempo. Sì il tempo, quello ancora più antico della stessa festa del Natale, quello
con cui l’uomo ha sempre guardato se stesso e la natura.
La forma del panettone, si scelga quello nella versione milanese, veronese o la
versione del pandolce genovese, rimanda infatti a un’antica tradizione di pani
lievitati e iper lievitati, forme a cupola e quasi iperboli della rotondità, forme di
un “pane” crescente nei giorni in cui all’orizzonte il sole ricomincia a salire, a
crescere. Quella forma e quel dolce sono il simbolo della nuova stagione ancora
lontana, ma in cui il solstizio d’inverno - l’antica festa precristiana del sole invitto in quei giorni celebra i suoi primi momenti.
In questo senso, simbolo tra i simboli, il panettone esprime la dimensione che i
dolci tutti hanno più di ogni altra specialità culinaria e delle tradizioni di ogni luogo.
I dolci non solo sono il sapore che più ci lega alla gioia, sono anche ciò che
scegliamo per festeggiare e celebrare il tempo, in definitiva per celebrare e
festeggiare la vita.
Maurizio Sentieri
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GIORNI GOLOSI
GIORNI GOLOSI
LIGURIA
“Il mare ligure è quello che si intravede fra il verde”, soleva ripetere
Fernanda Pivano, riuscendo così a dare una folgorante e poetica
descrizione di questa terra. Una terra di monti e di mare, di case
colorate a picco sulle scogliere, alle spalle i terrazzamenti degli
orti, con i loro profumi di erbe, i fiori di borragine, il basilico, il
rosmarino e gli zucchini. E tutto intorno gli ulivi e la vegetazione
irta che cerca il suo spazio fra i monti e gli scogli.
Una terra di incontro, tra il mare e le alture, ma anche tra i prodotti
e le ricette provenienti dall’entroterra italiano e gli stimoli culturali
arrivati nei secoli attraverso i rapporti commerciali che i marinai
liguri andavano intessendo.
Un dolce di “terra” che si rivolge al mare, tipico della tradizione
genovese, sono appunto i biscotti del Lagaccio: semplici fette
di pane, ma un pane dolce e biscottato, create nel quartiere
Lagaccio di Genova alla fine del 1500 e dedicate ai marinai che
avevano l’esigenza di portare in mare un pane (e un dolce)
che non risentisse dell’umidità. Anche la ricetta principale che
presentiamo per la regione Liguria, il Pandolce alto, è una delle
infinite dolci varianti che si sono evolute dal progenitore di tutti
i dolci: una forma di pane lavorata in modo non convenzionale e
farcita per festeggiare una ricorrenza o un evento speciale. Difficile
datare tale usanza: il pane, infatti, pare fosse noto addirittura a
un predecessore della specie Homo Sapiens, ovvero l’uomo di
Neanderthal, più di 100.000 anni fa, ma documenti scritti di pani
“addolciti”, prodotti espressamente per le feste, risalgono al
massimo alla civiltà egizia, intorno a 5000 anni orsono. Un abisso
del tempo, certo, ma come la nostra stessa specie si è evoluta
dall’uomo di Neanderthal, anche le nostre ricette sono cambiate:
di pari passo prima, con un’estrema accelerazione dagli egizi in
poi, e il Pandolce è appunto un pronipote di un impasto di cereali
grossolanamente macinati, acqua e qualche frutto ad addolcire.
Nell’antica tradizione dolciaria ligure non ci sono ovviamente solo
il pane e i suoi derivati, ma anche una serie di dolci fritti, budini,
e torte, oggi sempre meno note per via delle preparazioni non
convenzionali (o dell’alto contenuto calorico poco conforme alla
vita quotidiana sempre più sedentaria).
Per citarne alcune possiamo ricordare il Latte dolce fritto, un
impasto di latte, farina, uova e pane vecchio, aromatizzato da
una scorza di limone e fritto in olio d’oliva; o il Risiny, un budino
cotto al forno e composto da quattro ingredienti principali in
quantità uguali - ben 250 grammi di farina, burro, zucchero e uova
- aromatizzati anch’essi con scorza di limone. Di invenzione più
recente, ma comunque di radicata tradizione tra le famiglie liguri,
è poi la Sacripantina, una torta dalla caratteristica forma a cupola,
in cui ritornano gli stessi ingredienti, ma arricchiti dal pandispagna,
dal caffè, dal cacao e dal liquore, in una architettura da vera e
propria pasticceria che tradisce la genesi successiva a tanta storia
di sapienza dolciaria.
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INGREDIENTI
PER 6 PERSONE
(PANDOLCE
DA 1KG)
230 g di farina
190 g di lievito naturale da
madre bianca
215 g di uva sultanina
90 g di zucchero
70 g di burro
50 g di arancia candita
50 g di cedro candito
25 g di pinoli
80 ml di acqua
Cosa può andare st>to
L’aspetto più delicato per
la corretta preparazione del
pandolce è sicuramente la
lievitazione in quanto ne può
compromettere la riuscita.
Si consiglia, pertanto,
un controllo ripetuto del
prodotto in lievitazione
aumentando o diminuendo
la temperatura in funzione
dello sviluppo per ottenere
il raddoppio del volume
iniziale. Per fare ciò potete
ispirarvi alla tradizione e
costruire all’occorrenza
un piccolo “baldacchino”:
ponete l’impasto in
una cassetta di legno
abbastanza alta, e ricoprite
il tutto con un panno,
avendo l’accortezza di porre
all’interno degli scaldini, un
termometro, e un bicchiere
d’acqua. Così potrete
garantire l’umidità, tenere
d’occhio la temperatura e
aumentare e diminuirla a
piacere con gli scaldini.
Pandolce Alto
NASCITA DEL DOGE ANDREA DORIA,
30 NOVEMBRE
Pagnotta lievitata, di f>ma rotonda e cotta al f>no
a legna, tipica del periodo natalizio e a cui i liguri
associano diversi gesti rituali.
Amalgamate farina, lievito, burro e acqua fino al raggiungimento
di un impasto omogeneo. Aggiungete lo zucchero e continuate
a impastare al fine di ottenere un perfetto assorbimento dello
stesso. Aggiungete all’impasto uva sultanina, scorza d’arancia,
cedro candito e pinoli e lasciate riposare per circa 20 minuti a
temperatura ambiente.
Tornite l’impasto fino a ottenere una sfera liscia e compatta e
ponetelo a lievitare su una tavola a temperatura di 26-28° per
circa 16 ore, coprendolo con un panno umido per mantenere
l’umidità e favorire una corretta lievitazione (circa il raddoppio
del volume). Al momento di cuocerlo, praticate un taglio sulla
superficie per ottenere uno sviluppo maggiore in cottura. Infornate
a 160-180° per circa 1 ora. Sfornate e lasciate riposare il pandolce
a temperatura ambiente.
Possibili varianti
La disputa classica è fra quello “alto” e quello “basso”. I più audaci
possono provare a ricoprirlo interamente di cioccolato fondente fuso,
creando una sorta di crosta dolce. Oppure può essere tagliato a fette
orizzontali, creando dei dischi da far abbrustolire sulla piastra e da usare
come base su cui adagiare tre palline di gelato alla frutta.
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Fino agli inizi del 900 pasticcerie e fornai producevano il pandolce solo
per i forestieri, i liguri si facevano la pasta in casa e si avvalevano dei
fornai solo per la cottura. Curavano scrupolosamente la fermentazione
anche con metodi curiosi: necessitando, infatti, di calore costante, si
dice che alcune massaie si portassero addirittura l’impasto sotto le
coperte, dove poteva godere del tepore dei corpi, accresciuto nei mesi
invernali dagli scaldini, e ben mantenuto dal baldacchino.
Tradizione vuole che il Pandolce sia portato a tavola dal più giovane
della famiglia, che ha il compito di accendere il rametto di alloro posto
sul pane quale rito di buon augurio per l’anno venturo, mentre il più
anziano esclama “n’atro anno con ciù dinae e meno pecché” (un altro
anno con più denari e meno peccati).
Il capofamiglia taglia la prima fetta, e l’ultima viene conservata fino
al 3 febbraio, giorno di san Biagio, protettore della gola. Quest’ultima
usanza rimanda a una delle caratteristiche principali del dolce, che
pare sia stata una vera e propria “linea guida” per la creazione della
ricetta: si dice infatti che fu il Doge Andrea Doria a indire un concorso
per la creazione di un dolce che doveva rappresentare la grandezza
e la ricchezza della Repubblica marinara di Genova, ma che doveva
anche conservarsi a lungo, proprio per poter essere portato sulle navi
durante le navigazioni.
on sto’ pante!
c
a
g
n
lu
ta
it
“V
tanta salu
Prego a ntuctthieu, comme duman,
comme a chi assettae
affettalu ialu in santa paxe
da mang u grandi e piccin,
co-i figge nti e co-i vexin
co-i pareni che vegnià
tutti i an pero Dio vurrià.” ligure
ale
cumme s
Poesia dialett
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In viaggio per l’Italia e per il mondo. Alla scoperta di luoghi e di sapori,
ma anche di idee da mettere in tavola, in padella o nel bicchiere.
I volumi di questa collana raccolgono notizie, curiosità e spunti
per concedersi, di tanto in tanto, uno sguardo diverso intorno al cibo.
Feste e dolci: un binomio quasi scontato. Se
si pensa al Natale o al San Valentino, forse…
Quanti sanno però che esiste la Festa di
San Giorgio, protettore dei lattai? O che
il 30 marzo si ricorda niente meno che
l’Anniversario del grande Pellegrino Artusi? O ancora che il 2 ottobre ricorre la Festa
dei nonni?
Ma, soprattutto, a quanti verrebbe in mente
di associare una di queste date a un dolce tipico regionale come le Tegole della Valle d’Aosta, il lombardo
Pan de Mej, la Pinsa veneta o il Maritozzo laziale?
Aneddoti, leggende e tante curiose
storie oltre, ovviamente, alle ricette al
gran completo: pagina dopo pagina
scoprirete che l’Italia è un paese ricco di
tradizioni, ma anche di voglia di festeggiare, dolcemente, i semplici momenti
della vita di tutti i giorni.