relazione introduttiva del segretario Claudio Carassiti

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relazione introduttiva del segretario Claudio Carassiti
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Riflessioni sul commissariamento
Claudio Carassiti, segretario Circolo “Italia Lanciani”, 14 Gennaio 2015
“Il Partito Democratico è un partito federale costituito da
elettori ed iscritti, fondato sul principio delle pari opportunità,
secondo lo spirito degli articoli 2, 49 e 51 della Costituzione”.
(Statuto Nazionale, Art. 1, Comma 2)
Comincio questa riflessione citando lo Statuto nazionale del partito perché credo sia
necessario fare chiarezza su un punto. Il partito è costituito dagli elettori e dagli iscritti; il
segretario nazionale ha accettato le dimissioni del segretario romano ed ha azzerato la
Direzione e l’Assemblea per nominare un commissario che possa rifondare la struttura
dirigente del partito romano. Non è stato azzerato il tesseramento, non sono stati
commissariati i circoli. Quindi non è stato commissariato il partito di Roma, come si sente
dire, ma la Federazione di Roma, la dirigenza che in questi ultimi anni ha piegato ai propri
interessi il “bene comune” costituito dal partito.
Ma se una classe dirigente ha sbagliato, c’è una base che glielo ha permesso con la sua
distrazione o con la sua scarsa capacità di proporre un’alternativa. Questa è la riflessione
collettiva che dobbiamo fare. Nessuno deve chiamarsi fuori dalla propria assunzione di
responsabilità; né chi ha portato l’acqua alla degenerazione delle correnti interne, né chi
ha sostenuto il primato dei regolamenti sulle soluzioni politiche, né chi si è costruito il
proprio Aventino per lasciare sdegnato il partito all’abbandono.
Nessuno è esente da mancanze, quindi nessuno può dirsi migliore.
Purtroppo la magistratura sta ipotizzando colpe gravi di alcuni nostri dirigenti ma, se
confermate, saranno catalogate tra gli illeciti penali che nulla hanno a che vedere con la
vita collettiva. Le colpe, laddove ci siano, saranno personali e le persone saranno
chiamate a risponderne.
Viceversa, le mancanze della gran parte degli iscritti sono peccati veniali, piccole miserie
politiche fatte di poca capacità, di distrazione, dell’italico “tirare a campare”, del tutti
fanno così, della buona fede nel credere a dirigenti senza scrupoli che hanno costruito la
propria carriera politica sulle spalle degli ingenui militanti.
Come
prima
cosa
dobbiamo
evitare
un
iniziale
pericolo
sulla
strada
del
commissariamento. In queste settimane tanti si sono affannati a sostenere la tesi “non
siamo tutti uguali” per prendere le distanze dai delinquenti smascherati dalle inchieste.
Dobbiamo essere coraggiosi; avere la forza, invece, di affermare che nel Partito
Democratico siamo tutti uguali, perché siamo tutti persone per bene! Tutti uguali, perché
tutti per bene!
Con i nostri limiti politici e umani, costituiamo il corpo rispettabile del PD e non dobbiamo
lasciare che noi o altri mettano in dubbio l’onestà di fondo, diffusa, popolare della nostra
comunità.
Solo con questa premessa potremo valutare nel giusto modo quanto accaduto anche
nei circoli, nella vita quotidiana dei militanti e degli eletti a tutti i livelli.
Ma la domanda fondamentale è: come andare oltre? Come assicurarci che queste
distorsioni non accadano ancora?
Per iniziare dobbiamo chiarire a noi stessi, ciascuno a sé stesso, cosa significa essere
partito, cosa significa fare politica attraverso un partito e come questo partito deve
essere costruito per essere efficace nel terzo millennio.
Non è una domanda retorica.
Perché dopo il calcio d’inizio del Lingotto, ci siamo accapigliati tra il partito pesante e il
partito liquido per passare nel giro di qualche anno a dibattere tra le posizioni nostalgiche
di un passato novecentesco e le innovazioni improprie di chi ha pensato di poter
travasare nel partito modi e regole di altri ambienti, quali i comitati e le associazioni.
Unico effetto di queste dispute è stato di rinforzare le correnti e i “solisti” che hanno
cercato le risorse per fare politica non dentro un partito organizzato in modo sano (che
non esisteva) ma nei flussi di denaro e potere degli eletti.
La soluzione non è facile da trovare perché dobbiamo cambiare il partito in modo
drastico senza però buttare il bambino con l’acqua sporca.
Dal punto di vista operativo, la mappatura dei circoli, in corso di realizzazione, sarà utile
ma non esiziale. Già sappiamo dove si annidano le distorsioni e quali circoli andrebbero
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chiusi. E non capisco l’utilità di cercare di “misurare” la bontà di un circolo andando a
indagare se ha un sito web o quanti incontri organizza in un anno.
La politica non è una scienza, è un’arte. Non è tassonomica, è generatrice.
Per questo ho pregato il commissario Orfini di non proporci l’ennesimo regolamento come
soluzione a questa crisi interna. Regolamenti ne abbiamo già a sufficienza. Ci mancano
gli strumenti per agire nell’alveo di questi regolamenti.
Strumenti di tutti i tipi. Ci manca un sistema informativo centralizzato per il censimento
degli iscritti e dei simpatizzanti, un sistema di contabilità finanziaria, una procedura per
l’utilizzo del marchio PD, un panel di convenzioni per i servizi di cui ha necessità un circolo,
e chi più ne ha più ne metta.
Strumenti di tanti tipi diversi che è difficile immaginarli tutti a mente fredda. Dovremmo,
per una volta, avere un approccio aziendalista per riorganizzare l’organizzazione del
partito (scusate il gioco di parole).
Solo con una nuova organizzazione, con dei nuovi strumenti elimineremo i “peccati
veniali” che tanti di noi hanno commesso, se non in vacatio legis, in assenza di strumenti
precisi che servissero da binario per il procedere quotidiano.
Quindi RIORGANIZZAZIONE è la prima parola chiave.
Insieme, però, dobbiamo cogliere l’occasione per chiarirci cosa vuol dire essere partito e
cosa vuol dire giocare dei ruoli dentro il partito. Dobbiamo riflettere che per essere partito
dobbiamo chiarire di chi prendiamo le parti, quali sono i blocchi sociali ai quali ci
riferiamo. Nel corso degli anni abbiamo perso l’elettorato operaio, quello cattolico, quello
popolare, quello intellettuale senza chiederci perché e accettando che andasse a
ingrossare le fila dell’astensione o peggio dei partiti demagogici.
Elaborare proposte come si faceva un tempo, oggi
non basta più. Viceversa basterebbe, anzi sarebbe
indispensabile, recuperare la qualità mediatrice
della politica che i nuovi approcci antipolitici ci
hanno indotto ad abbandonare come presunta
causa di tutti i mali, mentre era l’essenza del
ART. 49.
Tutti i cittadini hanno diritto di
associarsi liberamente in partiti
per concorrere con metodo
democratico a determinare la
politica nazionale.
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mandato costituzionale assegnato ai partiti (Art. 49).
Il verbo concorrere usato dai padri costituenti nell’articolo 49, descrive meravigliosamente
come il percorso politico debba essere fatto con gli altri per essere democratico e non ha
alcunché di assoluto, di oggettivo, di meccanicistico perché ciascun cittadino concorre
con pari dignità a determinare la politica nazionale.
Invece, anche nel nostro Circolo siamo preda del virus dell’elitarismo, soprattutto
declinato in termini morali. Non siamo più disponibili a correre con gli altri ma spendiamo
tutte le nostre energie per spingerli, travolgerli con la nostra presunta maggiore moralità,
intelligenza, conoscenza. Senza riconoscere che in un partito, i limiti che vedo nel vicino
sono anche i miei limiti e riproporli ossessivamente senza costruirne la soluzione è un
atteggiamento sterile.
L’elitarismo si porta dietro la presunzione di poter giocare tutti i ruoli mentre il partito è
un’organizzazione complessa e si deve dare credito ai ruoli che ciascuno gioca sia per
mettere tutto l’impegno possibile nel proprio, sia per affidarsi ai ruoli degli altri. Invece, si
pensa di poter giocare come iscritto, come segretario, come commissione di garanzia a
piacimento.
Come segretario intensificherò lo sforzo affinché ciascuno giochi il proprio ruolo senza
invadere il campo altrui; ed eserciterò azioni correttive, laddove necessario.
GIOCARE I RUOLI è quindi la seconda parola chiave.
Da oltre un mese la federazione di Roma è commissariata. Il commissario Orfini ha
incontrato gli eletti capitolini, i deputati romani e i segretari di tutti i circoli territoriali e
d’ambiente. Ma, a tutt’oggi, ancora non si è chiarito quale percorso si intenda battere, in
quali tempi.
Anche in questo caso, non dobbiamo perdere di vista il nostro essere partito politico.
C’è stata una grave mancanza della dirigenza cittadina che ha portato danni fino alle
radici, ai circoli; tanto che la stessa platea degli iscritti è in odore d’irregolarità. Ben venga
quindi la valutazione che del partito si sta facendo tramite il lavoro dell’associazione
Luoghi Ideali.
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Si utilizzi tutto il tempo e tutte le energie necessarie sempre tenendo a mente le necessità
quotidiane della Capitale e le eventualità politiche, quali un’improvvisa tornata
elettorale, al momento distanti ma che si potrebbero materializzare e che non possono
sorprendere il PD Roma in mezzo ad un guado.
Però dobbiamo ribadire nello stesso tempo che nel partito un commissariamento deve
avere un unico obiettivo finale: il congresso.
La fase commissariale, che azzera la democrazia interna, deve avere come suo obiettivo
il ripristino della democrazia interna. Questo, finora, non è stato detto.
Un percorso che porti al congresso non può limitarsi a definire chi è buono e chi è cattivo,
bensì deve stabilire le regole per celebrare il momento congressuale. Sappiamo per triste
esperienza che il regolamento congressuale può aiutare o deprimere una sana
competizione. Negli ultimi appuntamenti ci siamo dati regolamenti figli di una logica
correntizia e di spartizione dei ruoli interni secondo pesi e contrappesi che dobbiamo
pretendere di superare.
Sarà difficile ma è l’unico percorso possibile.
Queste e tante altre idee e necessità scaturiranno nel nostro dibattito oggi e nelle
prossime settimane; sarebbe una buona prassi politica che noi le facessimo conoscere al
commissario Orfini come contributo del nostro storico Circolo.
È assolutamente necessario che in questa fase il partito, a tutti i livelli, moltiplichi la
produzione di documenti politici perché ci sia una traccia visibile del cambiamento in
atto.
Cominciamo facendo la nostra parte.
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