Il cappotto di astrakan

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Il cappotto di astrakan
Giovanni Grazzini
Da Il Corriere della Sera, 5 aprile 1980
Che sapore amaro ha il sentirsi una copia, un facente funzione. Quanto è meglio essere se stessi,
anche nell'ombra della provincia, piuttosto che la controfigura di un personaggio avventuroso.
Prima di giungere a questa saggia conclusione, Piero ne ha viste di tutti i colori. Partito per Parigi in
gita di piacere dal suo paesotto in riva al Lago Maggiore, il giorno stesso dell'arrivo è stato portato
in galera, derubato da un terzetto di compatrioti, e sospettato di far parte della banda. All'uscita di
prigione, rimasto senza una lira, ha trovato alloggio nella casa lussuosa di madame Lenormand, ma
la donna, a dir poco, è bizzarra. lamentando d'essere stata tradita e abbandonata da un adorato
Maurice, fa all'ospite italiano occhi dolcissimi. Dopo aver scoperto il diario segreto di questo
misterioso Maurice, un po' filosofo e un po' inventore pazzo, il nostro è sul chi vive. Giudica
prudente contenere le premure della padrona di casa, e orientarsi piuttosto su una giovane Valentine
di mestiere pittrice, specializzata in copie di capolavori. È cascato malissimo. Si dà infatti il caso
che Valentine fosse l'amante di Maurice, il quale sta scontando una pesante condanna per rapina.
Sicché ora Piero capisce perché sia madame sia Valentine gli fanno la corte. È perché assomiglia
come una goccia d'acqua a Maurice, soprattutto quando ne indossa lo stesso cappotto con bavero
d'astrakan... L'uomo ci resta maluccio, ma da bravo italiano non se n'accora troppo: si gode la bella
nello stesso albergo che vide i gaudi degli amanti, e si arrende anche alle lacrime della manesca
madame Lenormand. La matassa s'imbroglia quando Maurice, evaso dal carcere, accoltella il
materasso su cui l'ha scoperto con la moglie, e poi rapisce Valentine. Allora il buon Piero trova
giusto darsela a gambe col primo treno in partenza. Che uomo distratto! Poiché scappa col
giubbotto dell'evaso, rischia d'essere ancora una volta scambiato per Maurice, ma con esiti meno
festevoli. Se la cava, a caro prezzo, grazie alla falsa testimonianza d'un viaggiatore colpito da un
attacco di concupiscenza ferroviaria. E, tornato al suo paese, un giorno ha la sorpresa di vedere
arrivare Valentine, che sfuggita a Maurice si offre di restare per sempre con lui. Dopo una notte
d'incubo e d'amore, Piero ha deciso: meglio mollarla, meglio tornare con gli amici del caffè a
giocare a biliardo. Meglio la politica del piede di casa, meglio le turiste del Lago Maggiore...
Disceso per li rami arguti dal romanzo omonimo di Piero Chiara (uno dei maggiori successi del
prolifico narratore), qua e là ritoccato dagli sceneggiatori Sandro Parenzo e Marco Vicario che
hanno portato l'azione dagli anni Cinquanta ai giorni nostri e trasformato madame Lenormand da
madre a moglie di Maurice, Il cappotto di astrakan è un film affabile, un'emulsione franco-varesina
di “giallo brillante” e di apologo grottesco, con retrogusto malinconico, che il Marco Vicario regista
governa col suo buon mestiere, premiato dal fotografo Ennio Guarnieri e dallo scenografo Andrea
Crisanti. Adeguato allo spessore del romanziere che lo ispira, ha in Johnny Dorelli un attore ironico
e coscienzioso, il quale fa quanto può per irrobustire un protagonista un po' gracile, ma in Andréa
Ferréol e in Carole Bouquet (l'altra faccia di Conchita in Quell'oscuro oggetto del desiderio) due
presenze femminili molto suggestive: la prima grazie a un volto luminoso e a una recitazione di
calda espressività, la seconda, lunare grissino, grazie a una maschera purissima, gelidamente
enigmatica
finché
il
sorriso
non
l'anima.
Si diceva della fotografia e della veste scenografica. Occorre insistere sui valori formali che ne
derivano. Sebbene abbastanza estranei alla sostanza del racconto (la stessa osservazione fu fatta
all'opera precedente di Vicario, Mogliamànte), il film ne ricava, specialmente negli interni liberty di
marca parigina, una ricchezza decorativa che appaga l'occhio più esigente. Fra gli attori di contorno
si fanno apprezzare Marcel Bozzuffi (il commissario di polizia), Quinto Parmeggiani (lo
sconosciuto che allunga le mani sul nostro eroe sbalordito), Enzo Robutti (lo jettatore da
barzelletta), Nanni Svampa e Paolo Bonacelli. L'unico antipatico si chiama Domiziano, ma è nato
gatto: scusiamolo se recita come un cane.