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Stefano Suriano
Politecnico di Torino – I
Arte e scienza della città: note su Aldo Rossi e Camillo Sitte
Se L’architettura della città, a quarantacinque anni dalla sua prima edizione, ha assunto un ruolo decisivo nel
rivendicare e teorizzare un’autonomia disciplinare dell’architettura, divenendo una pietra miliare per il suo
contributo agli studi urbani, meno frequentemente si tende a considerarlo come l’esito più alto di un processo
culturale che già dal tardo ottocento aveva centrato l’attenzione sulla città intesa come grande manufatto
collettivo, ponendo le basi per la creazione di una vera e propria ‘scienza urbana’ che si nutriva di ricerche
provenienti da tutta l’Europa; è il caso degli studi di Camillo Sitte e in particolare del testo L’arte di costruire le
città1, di cui è essenziale chiarire il ruolo di riferimento nella genesi del testo rossiano.
Quella tra Rossi e Sitte è una ‘corrispondenza’ problematica e complessa, dove opposizioni e punti di contatto si
ritrovano più nei contenuti reali degli scritti che nelle interpretazioni della critica. Eppure ciò che in prima istanza
li accomuna è l’aver scritto un testo di riferimento, una sorta di moderno trattato che riassuma in maniera chiara
i principi fondanti del proprio pensiero: L’arte di costruire le città e L’architettura della città sono libri dal titolo
incisivo, quasi perentorio, proprio come un altro testo capitale per la teoria rossiana, La città e il suolo urbano2,
paradigma riassuntivo del pensiero di Hans Bernoulli. Comune è in questi scritti la volontà di costruire una teoria
oggettiva dell’architettura che possa essere verificata attraverso lo strumento operativo, per certi versi didattico,
dell’analisi urbana. L’idea della città “come una grande rappresentazione della condizione umana” è letta da
Rossi attraverso la scena “fissa e profonda” dell’architettura, dove il valore della permanenza risulta decisivo per il
destino della città stessa. Nonostante ne metta in evidenza possibili derive3, Rossi fa proprio il principio secondo
cui “la costruzione della città non è considerata semplicemente una questione di tecnica, ma anche un problema
d’arte”4; la categoria rossiana dei fatti urbani5 risulta quindi direttamente debitrice nei confronti della teoria
sittiana e può essere interpretata da una parte come il superamento della matrice empirica della lezione del Sitte e
dall’altra come un suo lascito, un incentivo alla ricerca dei caratteri stabili della costruzione della città.
Note
1
Il titolo originale del testo, pubblicato a Vienna nel 1889, è Der Städte-Bau nach seinen Künstlerischen Grundsätzen, la cui traduzione,
L’urbanistica secondo i suoi fondamenti artistici, compare solamente nel sottotitolo dell’ultima edizione italiana (Camillo Sitte, L’arte di
costruire le città, con note a cura di Daniel Wieczorek, Jaca Book, Milano 1981).
2
Il volume esce nel 1946 con il titolo Die Stadt und Ihr Boden.
3
Rossi, richiamando la lezione del Sitte, parla del rischio “che la città come opera d’arte sia riducibile a qualche episodio artistico o alla sua
leggibilità e non infine alla sua esperienza concreta” (Aldo Rossi, L’architettura della città, Marsilio, Padova 1966, p. 27).
4
Camillo Sitte, cit., p. 20.
5
Il legame con il pensiero del Sitte è evidenziato, ne L’architettura della città, dalla scelta di intitolare uno dei paragrafi del capitolo
Struttura dei fatti urbani proprio I fatti urbani come opera d’arte, in omaggio all’architetto-urbanista viennese.