AGNOLI BERNARDI e ASSOCIATI Atti del convegno Il settore

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AGNOLI BERNARDI e ASSOCIATI Atti del convegno Il settore
AGNOLI BERNARDI e ASSOCIATI
Studio Legale
Atti del convegno
Il settore bancario tra diritto della concorrenza ed
esigenze di stabilità
Università Luiss Guido Carli
13 febbraio 2007
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AGNOLI BERNARDI e ASSOCIATI
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Indice degli interventi
Prof. Giuliano Amato – Relazione introduttiva ...................................................................................................................3
Dott.ssa Ginevra Bruzzone - Le regole antitrust nel settore bancario dopo il decreto correttivo della legge sul
risparmio .....................................................................................................................................................................................8
Introduzione...................................................................................................................................................................................8
2. Il passaggio a un modello di competenza per finalità ...................................................................................................................8
Cooperazione informativa tra Autorità garante della concorrenza e Banca d’Italia ..........................................................................9
4. Vigilanza sulle acquisizioni bancarie e controllo delle concentrazioni........................................................................................ 11
5. Autorizzazioni in deroga al divieto di intese restrittive della concorrenza.................................................................................. 14
6. Autorizzazione di operazioni di concentrazione per esigenze di stabilità................................................................................... 15
7. Applicazione delle regole generali a tutela della concorrenza: i problemi aperti .......................................................................... 17
Dott. Alberto Heimler - Mercato unico europeo dei pagamenti (SEPA) e problematiche concorrenziali ............. 18
Prof. Roberto Pardolesi - Carte di pagamento e diritto antitrust .................................................................................. 25
Prof. Giuliano Amato – Commenti alla relazione del prof. Roberto Pardolesi ........................................................... 30
Dott. Giovanni Calabrò - Le nuove competenze dell’Autorità nel settore bancario: un primo bilancio ................ 32
Monsieur Bruno Lasserre - La pleine applicabilité du droit de la concurrence au secteur bancaire en France ...... 37
Avv. Jean Patrice de La Laurencie – Disciplina del controllo delle concentrazioni nel settore bancario in Francia
................................................................................................................................................................................................... 42
Avv. Luciano Vasques – Partecipazioni incrociate di minoranza e concorrenza nel settore bancario..................... 48
1. Premessa................................................................................................................................................................................. 48
2. Acquisti di partecipazioni di minoranza e intese restrittive. La partecipazione incrociata di minoranza è di per se illecita da un
punto di vista del diritto della concorrenza?.................................................................................................................................. 50
2.1 Partecipazioni di minoranza e scambio di informazioni sensibili........................................................................................... 51
2.2. Partecipazioni di minoranza ed accordi di natura commerciale (gli accordi bancassurance) ..................................................... 52
2.3. Limiti al mercato del controllo delle imprese nazionali (cenni) ............................................................................................... 53
2.4. Conclusioni sulle intese......................................................................................................................................................... 54
3. La disciplina delle concentrazioni e le partecipazioni di minoranza che non conferiscono controllo nel settore bancario................ 54
3.1. Partecipazioni che non conferiscono controllo ed analisi degli effetti dell’operazione ................................................................. 54
3.2. Partecipazione ed incroci valutati alla luce della disciplina delle intese e nel contesto di una operazione di concentrazione:
principali differenze ..................................................................................................................................................................... 55
3.3. Processo concentrativo del mercato bancario in Italia e il ruolo dell’Autorità antitrust nell’ambito degli storici incroci azionari
nel mondo bancario...................................................................................................................................................................... 55
3.4. Concentrazione e rimedi strutturali: la dismissione delle partecipazioni di minoranza............................................................ 57
3.5. Concentrazione e rimedi ....................................................................................................................................................... 58
3.6. Diaframma informativo tra assemblea e consiglio di amministrazione ................................................................................... 59
3.7. Membri del CdA e limiti alla circolazione delle informazioni ............................................................................................... 60
4. Conclusioni............................................................................................................................................................................. 61
Onorevole Gianni Pittella - Raccolta del risparmio e finanziamento della crescita economica nel mezzogiorno tra
interesse al rendimento ed esigenze di sviluppo: il ruolo dello stato e degli enti locali............................................... 62
On. Enzo Bianco - Raccolta del risparmio e finanziamento della crescita economica nel Mezzogiorno tra
interesse al rendimento ed esigenze di sviluppo................................................................................................................ 64
1. Premessa................................................................................................................................................................................. 64
2.
Processo di concentrazione e il problema dell’accesso al credito............................................................................................ 64
3.
La crisi del sistema bancario meridionale.......................................................................................................................... 65
4.
Le piccole banche del meridione......................................................................................................................................... 66
5.
Esigenza di decentramento dei centri decisionali ................................................................................................................. 66
5.1. La distanza funzionale ..................................................................................................................................................... 67
6. Alcuni rimedi da proporre .................................................................................................................................................. 68
7. Conclusioni ......................................................................................................................................................................... 69
Sintesi del dibattito finale ...................................................................................................................................................... 71
Conclusioni del Prof. Roberto Pardolesi ............................................................................................................................ 75
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Prof. Giuliano Amato – Relazione introduttiva
Diritto della concorrenza e banche. Analisi della disciplina e prospettive di riforma. Così è stato
intitolato questo incontro nel quale avremo modo di esaminare partitamente alcuni dei temi che
riguardano sia il retail banking, dunque la tematica relativa ai conti correnti bancari, sia i sistemi di
pagamento, carte di credito e di debito e di intese tra le banche per la gestione congiunta di tali
strumenti di pagamento; si passerà dunque alla parte concentrazioni bancarie.
La parte delle concentrazioni bancarie è quella che eccita di più l’establishment, la parte retail banking è
quella che, per converso, interessa di più i consumatori, naturalmente. Allora noi ci occuperemo di
entrambe sperando di interessare tutti.
Due parole prima di iniziare; ci sono state come sapete nel settore modifiche significative; da ultimo,
per quanto riguardo l’ordinamento nazionale, l’importante riforma introdotta dalla legge 28 dicembre
2005, n. 262, per la tutela del risparmio e il decreto legislativo correttivo 29 dicembre 2006, n. 303. In
sede europea c’è un’attenzione crescente della commissione ai fenomeni che riguardano il retail banking
ma non solo.
Fin dalla mia prima relazione da Presidente dell’Antitrust italiana nel 1994, io dissi che non aveva
senso aver separato le competenze sull’applicazione della disciplina antitrust nel settore bancario, alle
competenze antitrust sugli altri operatori economici. Rimarcai inoltre che l’Autorità antitrust svolgeva il
proprio ruolo nel settore delle assicurazioni con parere obbligatorio ma non vincolante dell‘Isvap, e che
fosse invece titolare soltanto di un parere per quanto riguarda le banche, il cui controllo antitrust
rimaneva affidato invece all’autorità di settore (Banca d’Italia). Tale diversa disciplina, rilevai allora,
creava un’asimmetria spiegabile soltanto con la maggior forza, nel momento in cui il legislatore adottò
la disciplina antitrust nazionale, della Banca d‘Italia rispetto alla nascente Autorità Garante della
Concorrenza e del Mercato; non c’era altra spiegazione razionale se non questa, e la prova del nove
l’abbiamo avuta l’anno scorso quando, essendo per nostra fortuna temporaneamente caduta la forza
della Banca di Italia rispetto al sistema politico istituzionale, il cambiamento è arrivato come una piccola
lama di coltello nel burro della colazione del mattino, con un effetto che a mio avviso è stato addirittura
eccessivo. Se, infatti, da una parte poteva aver senso il mettere in parallelo due decisioni nel contesto
delle operazioni di concentrazione, parte sulla valutazione profili concorrenza alla Autorità Garante,
profili di stabilità alla Banca d’Italia dall’altra, che non vi fosse neanche il parere della Banca d’Italia per
le decisioni dell’Autorità relative alle intese (art. 81 e 2 l. 287 del 1990 per intenderci) lo trovo eccessivo;
una sorte di overdose. Confesso di essere stato io quello che ha fatto correggere nel recentissimo
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intervento, disegno di legge per ora, sulle autorità indipendenti, la disciplina riguardo il parere
obbligatorio della Banca d’Italia.
Questo conferma che il legislatore talvolta possa cadere in errore quanto segue più i propri umori e
i propri malumori che non una razionalità complessiva nell’allocare queste competenze, perchè
francamente mi pare più equilibrato il riparto di attribuzioni tra Autorità antitrust e Banca d’Italia così
come emerge dal disegno di legge proposto; e ciò perchè c’è indiscutibilmente, da un lato un sempre
indissolubile rapporto tra stabilità e concorrenza, questo piaccia o non piaccia, ma bisogna prenderne
atto. Tutte istituzioni finanziarie, si tratti di assicurazioni, di fondi pensione, di banche, di istituzioni
finanziare, pongono un problema di stabilità che in un modo o nell’altro può rappresentare un limite ad
un’applicazione altrimenti plausibile delle regole antitrust.
E l’intreccio concorrenza e stabilità, beninteso, non riguarda esclusivamente la parte relativa alle
concentrazioni, che è quella più ovvia, ma anche i comportamenti, le intese, le scelte relative a prodotti,
a modalità di vendita; del resto il lavoro che ormai è diventato molto analitico sui congegni del retail
banking mette bene in evidenza tale intreccio.
Devo dire che di questo ci siamo preoccupati anche pensando alla futura allocazione dei compiti tra
le autorità che il nuovo disegno di legge prevede, dando finalmente rilievo senza remore al principio
secondo cui un ente deve svolgere tutte le funzioni strumentali alla finalità pubblica che gli è affidata
evitando dunque una mera riallocazione dei poteri esistenti tra le autorità; questo ve lo sottolineo è un
principio che sta alla base del disegno di legge sulle autorità indipendenti.
Per introdurre il principio del controllo per finalità non basta prendere i “pezzi esistenti” e dislocarli
diversamente perchè questi sono stati costruiti nel contesto di altre angolature e contesti, ed è, dunque,
possibile che la loro mera riallocazione lasci dei vuoti di natura sistematica.
In concreto, c’è un principio implicito che ha finito per nascere sulla base dell’assetto ibrido delle
competenze attuali, per cui un riaggiustamento auspicabile è che dei prodotti si occupi chi ha la
competenza sulla trasparenza e dei profili strutturali si occupi di più chi ha la missione della stabilità.
Non è detto che sia così, senza arrivare ad ipotizzare rinnovate autorizzazioni individuali su singoli
prodotti da parte dell’Autorità della stabilità, è auspicabile che quest’ultima vigili sui prodotti che
possano mettere a repentaglio la stabilità, altrimenti avrei qualche remora a vedere i miei risparmi
collocati in un fondo pensione.
Comunque, stabilità e concorrenza sono i due principi che in contesti concreti possono anche fare a
pugni, dobbiamo prenderne atto. Che ci piaccia o no, l’uno può finire per essere un limite all’altro, e
andare a indagare quando questo concretamente accade e come si può risolvere questo conflitto è una
operazione probabilmente impossibile. E’ molto meglio che scrivere con auree parole che in realtà non
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vi è alcun conflitto tra i due principi i quali si muovono in sfere connesse e tra loro coordinate per il
bene della collettività e del singolo risparmiatore.
Purtroppo non è così, sono gli stessi tipi di conflitto che sussistono tra diritti di proprietà intellettuale
e la concorrenza. E’ verissimo che perseguono la stessa finalità, ma facendo a pugni l’uno con l’altro; è
quindi un bene realisticamente avere presente tale situazione.
Nella prima parte di questa nostra chiacchierata, questa inestricabile linea di demarcazione tra
antitrust e regolazione farà esclusivamente da sfondo; i temi principali riguarderanno proprio le
questioni con le quali facciamo i conti in parte sul mercato interno e in parte sul mercato unico. Non
c’è dubbio che le fees sono diverse nei nostri paesi europei, e allora bisogna capire se questo è
espressione di un diverso grado di concorrenza o di qualcosa altro.
Essere consapevoli dei diversi livelli, per le carte in realtà, riguarda prevalentemente le diverse
tipologie di carte, significa anche smetterla con questo pianto, per cui l’Italia è sempre il paese più caro
di tutti. Io non riesco a capire perchè dobbiamo accompagnare noi stessi da questo ignorante pianto
italico (non greco); le generiche lamentele sui costi italiani sono infondate, ci sono delle fees bancarie
sulle quali noi siamo più cari degli altri, e ce ne sono altri sui quali altri sono più cari di noi; basta vedere
le tabelle sinottiche dei numeri dei vari paesi europei.
Questo è un esercizio utile che andrebbe fatto, perchè capisco che, per chi fa l’associazione dei
consumatori, dire che quelli che rappresenta sono i più vessati del mondo contribuisce a irrobustire
l’identità dell’associazione; però, in sedi dove si dovrebbe dare informazione, è bene che quest’ultima
sia più correttamente analizzata e divulgata, perchè altrimenti poi ci troviamo a confrontarci con
stranissimi fenomeni - le associazioni dei consumatori che dicono che il nostro sistema bancario è una
sorta di orca assassina – e il nostro sistema bancario che asserisce di essere il più competitivo d’Europa.
Il paradosso è che hanno probabilmente ragione entrambi, c’è un poco di orca e un poco di
concorrenza, anche qui occorre molto realismo.
La parte secondo me molto interessante del lavoro di ricognizione è quella che riguarda le condotte
concertate e i congegni di governance del sistema; questa è una parte affascinante dell’analisi del sistema
bancario, perchè il sistema bancario per renderci dei servizi efficienti sul retail deve costruire accordi
omogeneizzanti, negli standard, nelle regole e in qualche modo anche nelle commissioni. E il costruire
regole omogeneizzanti attenua per definizione la concorrenza. E allora, fino a qual punto, ed è il
vecchio tema antitrust, l’adozione di standard comuni è produttiva di efficienza e a partire da qual
punto in la il prezzo che fa pagare alla concorrenza è superiore alle efficienza che produce? Questo
classico tema del diritto della concorrenza che in questa sede si propone riguarda la cooperazione fra le
banche ed i sistemi di pagamento; trattasi di sistemi che diventano sempre più coordinati ed intrecciati.
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Un altro profilo tipico dell’antitrust che emerge in questo settore è quello degli abusi oltre che delle
intese, e ci sono entrambi gli exploitative e l’exclusionary. L’abuso exploitative si realizza quando il prezzo
richiesto sotto forme diverse all’utente e eccessivo, e l’exclusionary quello che tende a favorire un core di
istituzioni rispetto ad altre nella gestione dei complessi sistemi di coordinamento. Qui, come sapete c’è
una questione che ora si affaccia, e che può portare anche al sangue secondo me, che è quella della
riserva alle banche in quanto tali di taluni congegni coordinati non accessibili ad istituzioni finanziarie
non bancarie. La stessa Commissione Europea ritiene che tale profilo sia parecchio problematico; esso,
peraltro, riporta ad altre questioni che riguardano le professioni e le esclusive tra professioni; non c’è
dubbio che anche in tali settori vi siano fenomeni di esclusione.
Un tema che l’Italia in queste settimane sta ponendo, consiste nel risolvere i problemi di tipo
concorrenziale che emergono da un settore come quello bancario; in particolare, occorre chiedersi
quanto affidare alle autorità e al normale esercizio dei loro poteri e quanto può fare il legislatore per
decreto del principe. Noi che siamo accorti sappiamo che la novelle vague governativa dei lenzuoli porta
ad includere nella “lenzuolata” delle misure che ci aspetteremmo venissero adottate dalle autorità.
Allora la domanda sorge spontanea: qual è la ripartizione dei compiti tra chi legifera e autorità del
settore o autorità trasversali come l’antitrust, una volta che le autorità sono state costituite?
Sulla questione delle ricariche telefoniche il problema è emerso in modo molto evidente; era compito
del legislatore, oppure toccava all’autorità di settore? Che differenza fa? Fatto dal legislatore diventa una
intrusione nella libertà contrattuale, fatto dall’autorità è espressione della ordinaria vigilanza che
un’autorità come quella delle comunicazioni possiede. Qualcosa di simile la ritroviamo anche in materia
di antitrust; come sappiamo, il problema degli switching costs elevati può essere una classica questione
antitrust; può, tuttavia, arrivare il legislatore e dire che il passaggio da un conto ad un altro deve essere
gratis e quindi lo switching costs è cancellato per legge dal vaglio dell’antitrust.
Non ne abbiamo mai discusso in fondo ed è un tema interessante. Ma insomma il legislatore lo può
fare o no? Da professore di diritto trovo legittima la domanda. Io mi sono trovato a dare la risposta
prima di essermi posto la domanda e questo mi crea un certo qual problema sul piano intellettuale. Non
c’è dubbio che vi sono delle questioni che una regolazione migliore comunque risolve, ma questo
accade quando la regolazione fa da cornice ai comportamenti; l’introduzione dell’area di pagamento
unica per l’euro, insomma il SEPA. Questo sicuramente risolve una serie di questioni, omogeneizzando
naturalmente trattamenti; trattasi di una cornice che poi lascia che all’interno di quest’ultima gli
operatori economici si assestino nei loro punti di equilibrio.
Ecco, noi ci siamo trovati davanti proprio come piccole massnahmen fatte dal legislatore in punti
specifici particolarmente sensibili per quanto riguarda i rapporti tra gli operatori bancari e finanziari e i
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consumatori. Non vado oltre in questo per naturale garbo verso il governo di cui faccio parte, ma sarei
lieto se anche questo tema venisse considerato. Il che detto, do subito la parola a Ginevra Bruzzone
che ci parlerà delle regole antitrust nel settore bancario dopo il decreto correttivo della legge sul
risparmio. Ginevra, come sapete era destinata ad altissimi destini all’antitrust, poi per ragioni che mi
sfuggono decise di lasciare l’antitrust e andò all’Assonime, dove comunque ha fatto una brillante
carriera.
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Dott.ssa Ginevra Bruzzone - Le regole antitrust nel settore bancario dopo il decreto correttivo
della legge sul risparmio
Introduzione
Per quindici anni in Italia l’applicazione delle regole per la tutela della concorrenza nei confronti delle
banche è stata affidata alla Banca d’Italia, che adottava i propri provvedimenti sentito il parere non
vincolante dell’Autorità garante della concorrenza e del mercato.
Se si eccettua la questione della competenza ad applicare la normativa, nel settore bancario le regole
in materia di intese restrittive della concorrenza, abuso di posizione dominante e operazioni di
concentrazione erano le stesse previste per la generalità dei mercati dalla legge n. 287/1990 e dal
Trattato CE. L’unica eccezione era rappresentata dall’articolo 20, comma 5, della legge n. 287/1990 che
consentiva alla Banca d’Italia di autorizzare in deroga, d’intesa con l’Autorità garante e nel rispetto di
alcune condizioni, intese restrittive della concorrenza per esigenze di “stabilità del sistema monetario”.
Tale disposizione, peraltro, non è stata mai utilizzata.
Con due successivi interventi normativi, la legge 28 dicembre 2005, n. 262, per la tutela del risparmio
e il decreto legislativo correttivo 29 dicembre 2006, n. 303, questo sistema è stato radicalmente
trasformato.
Può essere utile ripercorrere l’evoluzione del quadro normativo e proporre alcuni spunti di riflessione
riguardo alla futura applicazione degli strumenti a tutela della concorrenza messi a disposizione dal
legislatore.
2. Il passaggio a un modello di competenza per finalità
L’articolo 19 della legge sul risparmio, tra varie previsioni relative alla Banca d’Italia, ha abrogato le
disposizioni dell’articolo 20 della legge n. 287/1990 che attribuivano all’autorità di vigilanza il compito
di applicare le norme antitrust nei confronti delle banche.
Con questo intervento normativo è stata completata la revisione del sistema delle competenze
relative all’applicazione della legge n. 287/1990: dal modello iniziale in cui la competenza era suddivisa
tra Autorità garante della concorrenza e del mercato, Garante per la radiodiffusione e l’editoria e Banca
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d’Italia si è passati a un sistema in cui la competenza spetta unicamente all’Autorità garante della
concorrenza e del mercato1.
Il modello della ripartizione delle competenze per finalità, in cui l’applicazione delle disposizioni
antitrust in tutti i mercati è attribuita a un’unica autorità a ciò preposta, è senz’altro quello che ha la
maggiore diffusione a livello internazionale, in particolare per quanto attiene alle intese e ai
comportamenti unilaterali di impresa. Anche organismi internazionali quali l’OCSE, l’International
Competition Network e il Fondo Monetario Internazionale hanno espresso una preferenza in favore di
questo modello rispetto a un sistema di competenze basato su logiche settoriali2.
I vantaggi sono stati espressamente riconosciuti dal Governatore Draghi nelle considerazioni finali
del 31 maggio 2006: “Il modello della vigilanza per finalità offre benefici in termini di specializzazione
dei controlli, speditezza del processo decisionale, trasparente identificazione delle responsabilità delle
autorità rispetto alle finalità assegnate e ai poteri attribuiti”. Il profilo dell’aumento della trasparenza è
stato determinante in un’ottica congiunturale nell’indurre alla revisione delle competenze. E’ stato
rimosso all’origine il dubbio che le valutazioni attinenti alla stabilità potessero implicitamente prevalere,
nel processo decisionale dell’autorità di vigilanza, sulle esigenze connesse alla tutela della concorrenza.
Cooperazione informativa tra Autorità garante della concorrenza e Banca d’Italia
Il passaggio all’Autorità garante della competenza nei confronti delle banche è stato effettuato in
modo netto, senza introdurre l’obbligo per l’Autorità di sentire il parere della Banca d’Italia prima
dell’adozione dei propri provvedimenti. Quindi, per le banche non è stato seguito il modello previsto
per i casi che coinvolgono le imprese assicurative e per quelli che coinvolgono operatori nel settore
delle comunicazioni, in cui l’Autorità garante della concorrenza e del mercato provvede sentito il parere,
non vincolante, rispettivamente dell’Isvap e dell’Autorità per le garanzie nelle comunicazioni3.
L’articolo 20, comma 1, della legge n. 287/1990, che attribuiva al Garante per la radiodiffusione e l’editoria la competenza
ad applicare gli articoli 2, 3, 4 e 6 nei confronti delle imprese operanti nei settori della radiodiffusione e dell’editoria è stato
abrogato dalla legge 31 luglio 1997, n. 249 con cui è stata istituita l’Autorità per le garanzie nelle comunicazioni. L’articolo 1,
comma 6, lettera c), n. 9 di tale legge assegna al Consiglio dell’Autorità per le garanzie nelle comunicazioni le funzioni e le
competenze precedentemente spettanti al Garante ad eccezione delle funzioni di cui all’articolo 20, comma 1, della legge n.
287/1990, contestualmente abrogato.
1
2 OCSE (1997), Regulatory Reform in the Financial Services Industry, The OECD Report on Regulatory Reform: Volume I; International
Competition Network (2005), An Increasing Role for Competition in the Regulation of Banks, Antitrust Enforcement in Regulated Sectors,
Subgroup I; FMI (2006), Public Information Notice no. 06/13.
Più precisamente, in base all’articolo 20, comma 4, della legge n. 287/1990, nel caso di operazioni che coinvolgono imprese
assicurative i provvedimenti dell’Autorità garante sono adottati sentito il parere dell’Isvap, che si pronuncia entro trenta
giorni dal ricevimento della documentazione posta a fondamento del provvedimento. Decorso inutilmente tale termine,
l’Autorità può adottare il provvedimento di propria competenza. Il modello dell’articolo 20, comma 4 è stato
successivamente imitato nel settore delle comunicazioni. Quando le competenze ad applicare la legge n. 287/1990 nei
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E’ possibile che in futuro questa scelta venga rivista: il disegno di legge per il riordino delle autorità
indipendenti approvato lo scorso 3 febbraio dal Consiglio dei Ministri prevede infatti l’introduzione
nell’articolo 20 della legge n. 287/1990 del parere preventivo non vincolante della Banca d’Italia sui
provvedimenti dell’Autorità garante che riguardano le banche o società appartenenti a gruppi bancari.
Sul tema di come organizzare la cooperazione informativa tra le Autorità di concorrenza e di
vigilanza è opportuna una breve riflessione. Ai sensi dell’articolo 10, comma 4, della legge n. 287/1990
l’Autorità garante può chiedere alla Banca d’Italia notizie e informazioni nonché la collaborazione per
l’adempimento delle sue funzioni. Pertanto nel vigente contesto normativo, anche in assenza di un
parere obbligatorio, è previsto che la Banca d’Italia metta a disposizione dell’autorità di concorrenza le
proprie specifiche conoscenze sui dati, le caratteristiche economiche e le prospettive dei mercati
sottoposti alla sua vigilanza. Il quadro è stato integrato dalle disposizioni della legge sul risparmio in
materia di collaborazione tra le Autorità. In particolare, ai sensi dell’articolo 21 la Banca d’Italia e
l’Autorità garante non possono reciprocamente opporsi al segreto d’ufficio. Tutti i dati, le informazioni
e i documenti comunque comunicati da un’autorità all’altra, anche attraverso l’inserimento in archivi
gestiti congiuntamente, restano sottoposti al segreto d’ufficio secondo le disposizioni previste dalla
legge per l’autorità che li ha prodotti o acquisiti per prima.
Data questa situazione, occorre chiedersi quali sarebbero i costi e i benefici di prevedere un parere
obbligatorio dell’Autorità di vigilanza settoriale reso sulla base della documentazione posta a
fondamento del provvedimento dell’Autorità garante.
La richiesta di parere comporta un allungamento del processo decisionale che può essere significativo
nel caso delle concentrazioni, mentre non sembra rilevante nel caso delle intese e degli abusi.
Il vantaggio del parere preventivo consiste nel rendere sistematico e trasparente il contributo
dell’Autorità settoriale al processo decisionale dell’Autorità garante. Non si tratta tanto di duplicare
l’attività dell’Autorità garante attinente alla qualificazione giuridica delle fattispecie ai sensi delle norme
di concorrenza, rispetto alla quale il sistema prevede il successivo vaglio del giudice. Si tratta invece di
contribuire, tramite il patrimonio di conoscenze settoriali a disposizione della Banca d’Italia, alla
migliore ricostruzione degli elementi fattuali alla base della valutazione giuridica circa la sussistenza di
una restrizione della concorrenza e le soluzioni idonee a porvi rimedio. Si pensi al rilievo che hanno,
nella valutazione dell’Autorità, le informazioni relative alla sostituibilità dal lato della domanda e
dell’offerta, alle condizioni di entrata nel mercato o, nel caso delle intese, alla sussistenza dei requisiti di
confronti delle imprese operanti nei settori della radiodiffusione e dell’editoria inizialmente attribuite al Garante per la
radiodiffusione e l’editoria (sentito il parere dell’Autorità garante) sono state trasferite all’Autorità garante, è stato infatti
previsto che quest’ultima applichi la legge n. 287/1990 nei casi che coinvolgono operatori nel settore delle comunicazioni
sentito il parere dell’Autorità per le garanzie nelle comunicazioni (articolo 1, comma 6, lettera c, n. 11 della legge n.
249/1997).
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miglioramento dell’offerta previsti dall’articolo 81, paragrafo 3, del Trattato CE o, ancora, gli elementi
utili alla valutazione d’impatto delle diverse possibili decisioni.
4. Vigilanza sulle acquisizioni bancarie e controllo delle concentrazioni
Nella legge per la tutela del risparmio era stato previsto un peculiare meccanismo di coordinamento
tra i procedimenti dell’Autorità garante e quelli della Banca d’Italia nella valutazione delle acquisizioni
bancarie (commi 12 e 13 dell’articolo 19). Questa scelta si è rivelata meno felice di quella attinente alla
ripartizione delle competenze e non a caso è stata in parte rivista dal decreto correttivo n. 303/2006.
Per capire l’evoluzione della disciplina, occorre ricordare brevemente il contesto in cui è stata
adottata la legge sul risparmio. Si era nel pieno di una fase di vivaci polemiche circa la scarsa trasparenza
delle procedure di autorizzazione nell’esercizio delle funzioni di vigilanza prudenziale. Vi erano stati
contrastati tentativi di acquisizione di banche italiane da parte di banche estere che avevano indotto,
proprio nel dicembre 2005, la Commissione europea a inviare all’Italia una lettera di messa in mora
(2005/2422) chiedendo osservazioni sulle regole e procedure riguardanti l’acquisizione di partecipazioni
in banche italiane da parte di banche di altri Stati membri4. In tale contesto nel dibattito parlamentare
erano emerse paradossali proposte volte ad attribuire all’Autorità garante della concorrenza e del
mercato, oltre al compito di applicare le regole antitrust, anche quello di valutare le acquisizioni
bancarie sotto il profilo dell’impatto sulla sana e prudente gestione delle banche5.
La legge n. 262/2005, nel mantenere correttamente le competenze attinenti alla stabilità in capo alla
Banca d’Italia, ha introdotto uno stretto coordinamento tra l’attività di vaglio preventivo delle
acquisizioni di banche svolta dalla Banca d’Italia in base al testo unico bancario e l’attività di controllo
delle concentrazioni che riguardano banche svolta dall’Autorità garante della concorrenza e del mercato
4 L’articolo 16 della direttiva 2000/12/Ce (ora articolo 19 della direttiva 2006/48/CE) richiede agli Stati membri di
prevedere che tutte le persone fisiche o giuridiche che intendano detenere, direttamente o indirettamente, in un ente
creditizio una partecipazione qualificata o una partecipazione che comporti il superamento di determinate soglie debbano
informarne preventivamente le autorità competenti. Il testo unico bancario va oltre quanto richiesto dalla direttiva,
prevedendo un regime di autorizzazione preventiva le cui disposizioni attuative sono contenute nelle Istruzioni di vigilanza
adottate dalla Banca d’Italia. La Commissione europea aveva avviato la procedura di infrazione ritenendo che la disciplina
italiana consentisse una procedura poco trasparente, tale da creare incertezza giuridica e disincentivare gli investimenti nelle
banche italiane da parte di operatori di altri Stati membri, in violazione delle norme del trattato CE sulla libera circolazione
dei capitali (articolo 56) e sul diritto di stabilimento (articolo 43). Si ricorda che secondo una costante giurisprudenza
comunitaria, le disposizioni nazionali relative alle procedure di autorizzazione devono consentire agli investitori di disporre
di chiare indicazioni sulle condizioni oggettive in base alle quali l'autorizzazione verrà accordata o rifiutata. La procedura di
infrazione è stata recentemente archiviata dalla Commissione europea. Il 12 settembre 2006 la Commissione europea ha
presentato una proposta di direttiva che modifica la direttiva 2006/48/CE per quanto riguarda le regole procedurali e i
criteri per la valutazione prudenziale di acquisizioni e incrementi di partecipazioni nel settore finanziario. Cfr. SEC(2006)
1117; SEC(2006) 1118.
5
Contro tali ipotesi si era peraltro subito espressa la Banca centrale europea nel parere dell’11 maggio 2004.
11
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in base all’articolo 6 della legge n. 287/1990. L’obiettivo era presumibilmente quello di assicurare, per
questo tramite, la massima trasparenza del processo decisionale.
In particolare, i commi 12 e 13 dell’articolo 19 della legge sul risparmio prevedevano che per le
operazioni di acquisizione di cui all’articolo 19 del testo unico bancario e per le operazioni di
concentrazione ai sensi dell’articolo 6 della legge n. 287/1990 riguardanti banche fossero necessarie sia
l’autorizzazione della Banca d’Italia, ai sensi del citato articolo 19 del testo unico bancario per le
valutazioni di sana e prudente gestione, sia l’autorizzazione dell’Autorità garante ai sensi dell’articolo 6,
comma 2, della legge n. 287/1990 ovvero il nulla osta della stessa a seguito delle valutazioni relative
all’assetto concorrenziale del mercato. Sul piano procedurale era stato disposto che i provvedimenti
delle Autorità di cui al comma 12 fossero emanati con un unico atto entro sessanta giorni dalla
presentazione dell’istanza, completa della documentazione occorrente. L’atto unico doveva contenere le
specifiche motivazioni relative alle finalità attribuite alle due Autorità.
Tale sistema è risultato criticabile sotto almeno tre profili.
Anzitutto, se l’obiettivo era quello di accrescere la trasparenza del processo decisionale, l’adeguatezza
dello strumento dello stretto coordinamento dei procedimenti di due Autorità è perlomeno dubbia. La
trasparenza può essere perseguita con strumenti diretti, in modo senz’altro più efficace. A questo
riguardo, il comma 4 dell’articolo 19 della legge sul risparmio ha sancito che la Banca d’Italia,
nell’esercizio delle proprie funzioni e con particolare riferimento a quelle di vigilanza, opera nel rispetto
del principio di trasparenza, naturale complemento dell’indipendenza dell’autorità di vigilanza e riferisce
periodicamente del suo operato al Parlamento. L’articolo 24 della legge sul risparmio ha dettato il
regime delle garanzie nei procedimenti della Banca d’Italia per l’adozione di provvedimenti individuali,
compreso l’obbligo di motivazione degli atti. Alla fine di agosto 2006 la Banca d’Italia ha modificato le
istruzioni di vigilanza emanate in attuazione dell’articolo 19 del testo unico bancario, abrogando
l’obbligo di comunicare alla Banca d’Italia il progetto di acquisizione di una partecipazione di controllo
prima che esso venisse sottoposto agli organi aziendali competenti per l’approvazione dell’iniziativa6.
In secondo luogo, la formulazione dell’articolo 19, comma 12, poteva legittimare un’interpretazione
letterale che ampliava il regime di controllo preventivo da parte dell’Autorità garante a tutte le
acquisizioni di partecipazioni bancarie rientranti nell’ambito di applicazione dell’articolo 19 del testo
unico bancario, anche se non comportavano l’acquisizione del controllo o non raggiungevano le soglie
di fatturato previste dall’articolo 16 della legge n. 287/1990. Tale interpretazione avrebbe comportato,
senza alcuna espressa giustificazione, un aggravio di oneri amministrativi sull’attività di impresa nel
6
Sul tema, cfr. M.Monti (2006), La rivoluzione in tre righe di Banca d’Italia, Mercato concorrenza regole, n. 2, agosto, 315-319.
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settore bancario; ciò avrebbe potuto risultare in contrasto con il diritto comunitario7 e senz’altro non
appariva conforme ai principi della buona regolazione.
Infine, la previsione relativa all’emanazione dei provvedimenti con un unico atto è stata oggetto di
diffuse critiche da parte della dottrina per le difficoltà di qualificazione tramite le categorie tradizionali
del diritto amministrativo. Tale previsione, accompagnata dall’obbligo di emanare l’atto entro sessanta
giorni dalla presentazione dell’istanza completa della documentazione occorrente, vincolava
strettamente sul piano procedurale l’azione delle due Autorità senza comportare alcun evidente
beneficio.
Il decreto legislativo n. 303/2006 è intervenuto su questi profili abrogando i commi 12, 13 e 14
dell’articolo 19 della legge sul risparmio e aggiungendo all’articolo 20 della legge n. 287/1990 una
disposizione in base alla quale per le operazioni di acquisizione del controllo di banche che
costituiscono concentrazione soggetta a comunicazione preventiva ai sensi dell’articolo 16 (della legge
n. 287/1990), i provvedimenti della Banca d’Italia previsti dall’articolo 19 del testo unico bancario per le
valutazioni di sana e prudente gestione e dell’Autorità garante ai sensi dell’articolo 6 della legge n.
287/1990 per le valutazioni relative all’assetto concorrenziale del mercato, sono adottati entro sessanta
giorni dalla presentazione dell’istanza completa della documentazione occorrente.
E’ stato così precisato che il coordinamento riguarda solo le operazioni già soggette al doppio vaglio
delle due Autorità: l’Autorità garante non è tenuta a valutare preventivamente acquisizioni di
partecipazioni bancarie che non costituiscano concentrazione soggetta a notifica ai sensi dell’articolo 16
della legge n. 287/1990. E’ stato inoltre eliminato il vincolo dell’atto unico. I due procedimenti si
sviluppano, quindi, con percorsi indipendenti l’uno dall’altro.
Ci si può chiedere perché sia stato mantenuto per le due Autorità il vincolo temporale comune di
sessanta giorni dalla presentazione dell’istanza per l’adozione del provvedimento di propria
competenza.
Per l’Autorità garante si tratta di un tempo più lungo di quello di trenta giorni previsto in generale nei
casi di non avvio dell’istruttoria e più breve di quello di settantacinque giorni previsto per i casi in cui
viene avviata l’istruttoria.
7Riguardo
ai regimi di autorizzazione preventiva la Corte di Giustizia ha sancito che perché vi sia compatibilità con il diritto
comunitario è necessario che lo stesso obiettivo non possa essere conseguito con modalità meno restrittive. Cfr. Corte di
Giustizia, sentenza 14 dicembre 1995, cause riunite C-163/94, C-165/94 e C-250/94, Sanz de Lera, punti 23-28; sentenza 1°
giugno 1999, causa C-302/97, Konle, punto 44; sentenza 20 febbraio 2001, causa C-205/99, Analir et al., punto 35. Nella
recente direttiva 2006/123/CE del Parlamento europeo e del Consiglio sui servizi nel Mercato interno è disposto che i
regimi di autorizzazione sono ammissibili soltanto se sono non discriminatori, necessari per esigenze imperative di interesse
generale e proporzionati; in caso contrario, essi devono essere eliminati o sostituiti da meccanismi di controllo a posteriori;
gli Stati membri sono tenuti a notificare alla Commissione europea i propri regimi di autorizzazione, giustificandoli
espressamente alla luce dei suddetti criteri (articoli 9 e 39).
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Per la Banca d’Italia il termine di sessanta giorni era già previsto dalle Istruzioni di vigilanza per le
autorizzazioni ex articolo 19 del testo unico bancario. Nel caso di offerta pubblica di acquisto, le
Istruzioni di vigilanza prevedevano però un termine di trenta giorni, che in seguito all’intervento
normativo risulta ora lungo il doppio senza alcuna evidente giustificazione. Per la valutazione
dell’Autorità garante della concorrenza e del mercato in caso di offerta pubblica di acquisto il discorso è
diverso, in quanto un termine abbreviato di quindici giorni per la decisione circa l’avvio dell’istruttoria è
previsto a livello di normativa primaria, dall’articolo 16, comma 6, della legge n. 287/19908.
E’ possibile che il decreto correttivo non sia intervenuto sul termine comune di sessanta giorni in
ragione dei limiti posti dalla delega legislativa. Non è quindi escluso, in futuro, un intervento del
legislatore riguardo a questo profilo.
5. Autorizzazioni in deroga al divieto di intese restrittive della concorrenza
La legge sul risparmio aveva mantenuto in vigore il comma 5 dell’articolo 20 della legge n. 287/1990
che consentiva alla Banca d’Italia, d’intesa con l’Autorità garante della concorrenza, di concedere
un’autorizzazione in deroga al divieto delle intese restrittive della concorrenza di cui all’articolo 2 della
legge n. 287/1990 per “esigenze di stabilità del sistema monetario”.
Come anticipato, tale disposizione della legge n. 287/1990 era l’unica che prevedesse, per le banche,
un criterio sostanziale di valutazione degli atti e dei comportamenti sul mercato diverso da quelli
previsti dalle disposizioni applicabili alla generalità delle imprese. Infatti era consentita
un’autorizzazione in deroga per un’ipotesi (esigenze di stabilità del sistema monetario) ulteriore rispetto
a quelle indicate dall’articolo 4, comma 1, primo periodo. L’articolo 20, comma 5, comunque, non è mai
stato applicato. Inoltre, la formulazione incentrata sulla nozione di stabilità del “sistema monetario”
non era felice, anche se è ragionevole ipotizzare che il legislatore con tale espressione avesse voluto
riferirsi alla stabilità del sistema dei pagamenti.
Il decreto legislativo correttivo della legge sul risparmio è intervenuto sulla questione, mantenendo
una regola speciale di autorizzazione in deroga delle intese nel settore finanziario, ma modificandone la
formulazione. Il nuovo comma 5 bis dell’articolo 20 della legge n. 287/1990 prevede infatti che
l’Autorità garante della concorrenza e del mercato, su richiesta della Banca d’Italia, può autorizzare
8La valutazione preventiva dell’Autorità garante della concorrenza e del mercato in caso di offerta pubblica di acquisto è
disciplinata dai commi 5 e 6 dell’articolo 16 della legge n. 287/1990. Tali disposizioni prevedono che l’offerta pubblica di
acquisto che possa dar luogo a un’operazione di concentrazione soggetta alla comunicazione di cui all’articolo 16, comma 1,
deve essere comunicata all’Autorità contestualmente alla sua comunicazione alla Consob. In tale circostanza, l’Autorità deve
notificare l’avvio dell’istruttoria entro quindici giorni dal ricevimento della comunicazione e contestualmente darne
comunicazione alla Consob.
14
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un’intesa in deroga al divieto dell’articolo 2, per esigenze di funzionalità del sistema dei pagamenti.
L’autorizzazione deve essere rilasciata per un tempo limitato e tenere conto dei criteri di cui all’articolo
4, comma 1: in particolare, essa non può consentire restrizioni non strettamente necessarie al
perseguimento della finalità di interesse pubblico né che risulti eliminata la concorrenza da una parte
sostanziale del mercato.
La prima novità riguarda la competenza ad adottare la decisione, ora attribuita alla Autorità garante
della concorrenza subordinatamente a un’espressa richiesta in tal senso da parte della Banca d’Italia. La
seconda novità è l’obiettivo di interesse pubblico che può giustificare l’autorizzazione in deroga, ora
identificato nella “funzionalità del sistema del pagamenti”. Non si tratta più solo di stabilità, ma di una
nozione più ampia, che sembra potere includere anche considerazioni di efficienza.
La nuova formulazione rende più chiari sia l’identificazione delle responsabilità di ciascuna autorità,
sia l’obiettivo perseguito.
Ciò detto, il rilievo pratico della disposizione probabilmente non sarà significativo, così come non era
significativo quello del previgente comma 5 dell’articolo 20.
Infatti, nel diritto comunitario della concorrenza non si ritrova un’analoga disposizione che consenta
in ragione di “esigenze di funzionalità del sistema dei pagamenti” di dichiarare inapplicabile il divieto di
cui all’articolo 81, paragrafo 1, del Trattato a intese che altrimenti sarebbero vietate. In base a una
consolidata giurisprudenza comunitaria non è consentito autorizzare in base al diritto nazionale intese
vietate in base al diritto comunitario9. Nel caso di intese che rientrino nell’ambito di applicazione
dell’articolo 81 e non soddisfino le condizioni di cui all’articolo 81, paragrafo 3, la possibilità di
un’autorizzazione in deroga ex articolo 20, comma 5 bis della legge n. 287/1990 appare preclusa.
6. Autorizzazione di operazioni di concentrazione per esigenze di stabilità
Con il decreto correttivo n. 303/2006 è stata introdotta una seconda regola “speciale” di diritto
antitrust nel settore bancario, attinente al processo di valutazione delle concentrazioni.
L’analisi economica mostra come, in alcune circostanze, la crisi di una singola banca possa avere
estese ripercussioni negative in termini di sistema. La previgente disciplina antitrust, tuttavia, non
forniva alcuno strumento che consentisse di far prevalere le esigenze di stabilità nel caso in cui,
eccezionalmente, nella valutazione di una concentrazione emergesse un trade-off tra le esigenze della
stabilità e quelle della concorrenza.
9
Corte di Giustizia, sentenza del 13 febbraio 1969, causa 14/68, Walt Wilhelm.
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Come noto, l’articolo 6 della legge n. 287/1990, nel caso in cui un’operazione di concentrazione
determini la costituzione o il rafforzamento di una posizione dominante tale da eliminare o ridurre in
modo sostanziale e durevole la concorrenza, è tenuta a vietare l’operazione o, in alternativa, ad
autorizzarla prescrivendo le misure necessarie ad eliminare tali conseguenze. Non vi è la possibilità di
autorizzare l’operazione senza eliminare le conseguenze pregiudizievoli. L’articolo 25, comma 1, della
legge n. 287/1990, che in linea di principio prevede questa possibilità, non ha ricevuto attuazione10.
Né sembra che la soluzione possa essere offerta dal ricorso alla failing firm defense intesa in senso
tradizionale. Infatti nel diritto comunitario e, grazie al vincolo interpretativo di cui all’articolo 1, comma
4, della legge n. 287/1990, anche nella normativa italiana a tutela della concorrenza la possibilità di
avvalersi della failing firm defense nel controllo delle concentrazioni è strettamente limitata. Le condizioni
sono state definite dalla Corte di giustizia delle Comunità europee nella sentenza Kali und Salz: Una
concentrazione che dia luogo a una restrizione della concorrenza che sarebbe vietata ai sensi del
regolamento concentrazioni può essere autorizzata soltanto nei casi in cui esattamente lo stesso impatto
restrittivo si realizzasse anche in assenza della concentrazione11. Difficilmente queste condizioni
sarebbero soddisfatte nel caso di acquisizioni di banche in difficoltà.
Il decreto legislativo n. 303/2006 è intervenuto in questo quadro normativo, inserendo nell’articolo
20 della legge n. 287/1990 una speciale disciplina per l’autorizzazione in deroga di operazioni di
concentrazione riguardanti banche o gruppi bancari. Tale disciplina prevede che l’Autorità garante della
concorrenza e del mercato, su richiesta della Banca d’Italia, possa autorizzare un’operazione di
concentrazione riguardante banche o gruppi bancari che determini o rafforzi una posizione dominante,
per esigenze di stabilità di uno o più dei soggetti coinvolti. L’autorizzazione non può comunque
consentire restrizioni della concorrenza non strettamente necessarie al perseguimento delle suddette
finalità.
10 Tale norma prevede che il Consiglio dei Ministri, su proposta del Ministro dell’Industria, possa determinare in linea
generale e preventiva i criteri sulla base dei quali l’Autorità garante può eccezionalmente autorizzare, per rilevanti interessi
generali dell’economia nazionale nell’ambito dell’integrazione europea, operazioni di concentrazione vietate ai sensi
dell’articolo 6 sempre che esse non comportino l’eliminazione della concorrenza dal mercato o restrizioni alla concorrenza
non strettamente giustificate dagli interessi generali predetti. In tali casi, l’Autorità sarebbe comunque tenuta a prescrivere le
misure necessarie per il ristabilimento di condizioni di piena concorrenza entro un termine stabilito.
11 Nel caso Kali und Salz la Commissione europea ha sostenuto che se la concentrazione non avesse avuto luogo il fallimento
dell’impresa oggetto di acquisizione avrebbe comunque conferito all’impresa acquirente una posizione di monopolio su base
durevole. Cfr. Corte di giustizia delle Comunità europee, sentenza 31 marzo 1998, Repubblica francese c. Commissione, C 68/94 e
30/95. Cfr. anche gli Orientamenti della Commissione europea relativi alla valutazione delle concentrazioni orizzontali a
norma del regolamento del Consiglio relativo al controllo delle concentrazioni tra imprese, 2004/C/31/03 del 5 febbraio
2004, punti 89-91.
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La nuova disposizione fornisce quindi alle autorità la possibilità di consentire, in ragione dei possibili
problemi che potrebbero derivare dal fallimento di una banca, concentrazioni che sarebbero state
altrimenti vietate per il loro impatto restrittivo della concorrenza.
Il procedimento è articolato in modo trasparente: all’espressa richiesta di Banca d’Italia segue la
valutazione da parte dell’Autorità, che sarà presumibilmente incentrata sull’esame della necessità delle
restrizioni della concorrenza risultanti dall’operazione rispetto al perseguimento dell’obiettivo della
stabilità dei soggetti interessati. Non è escluso che l’autorizzazione possa essere accompagnata da
misure idonee a rimuovere le restrizioni non necessarie alla tutela della stabilità.
7. Applicazione delle regole generali a tutela della concorrenza: i problemi aperti
Fatte salve le due regole speciali ora descritte attinenti l’autorizzazione in deroga delle intese e delle
concentrazioni, le regole applicate dall’Autorità garante della concorrenza nei confronti delle banche
sono quelle vigenti per la generalità dei mercati.
E’ proprio in questo contesto che emergono alcune delle questioni più importanti e complesse da
affrontare per assicurare la buona applicazione della normativa.
Per l’analisi delle concentrazioni, uno dei problemi più delicati consiste nella corretta definizione dei
mercati rilevanti; i rapporti di sostituibilità tra diverse fonti e quindi il novero dei soggetti che si trovano
in rapporto di concorrenza effettiva, infatti, varia nel tempo, in ragione dell’evoluzione tecnologica,
delle modifiche nei comportamenti di acquisto dei consumatori, delle stesse modifiche della
regolamentazione. L’adeguatezza delle definizioni dei mercati rilevanti utilizzate va quindi
costantemente sottoposta a verifica.
Un’altra difficoltà, che emerge frequentemente nel controllo delle concentrazioni ed è presente anche
con riferimento al settore bancario, consiste nell’individuare, laddove necessario, misure atte a
rimuovere la conseguenza della costituzione o del rafforzamento di una posizione dominante che siano
al tempo stesso proporzionate e adeguate.
La proporzionalità richiede che non siano imposti rimedi non necessari a rimuovere i problemi
concorrenziali che rendono la concentrazione suscettibile di essere vietata.
Per quanto concerne l’adeguatezza a rimuovere i problemi concorrenziali, va ricordato un tema, che
era stato discusso anche in passato in relazione alle misure correttive previste all’epoca dalla Banca
d’Italia: si tratta dell’idoneità di misure correttive che limitano la crescita dell’impresa, ad esempio
tramite il temporaneo divieto di apertura di nuovi sportelli. Vi è infatti il rischio che rimedi di questo
tipo ostacolino strategie concorrenziali aggressive che potrebbero andare a beneficio dei consumatori.
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In tema di intese rientranti nell’ambito di applicazione dell’articolo 81 del Trattato CE, una questione
importante è quella dell’utilizzo delle decisioni con impegni, previste ora anche dall’articolo 14-ter della
legge n. 287/1990. Si tratta, come noto, di decisioni che senza accertamento dell’infrazione rendono
obbligatori gli impegni proposti dalle imprese al fine di rimuovere possibili problemi concorrenziali.
Se è escluso che le decisioni con impegni possano essere utilizzate nel caso di cartelli hardcore, non vi
è motivo di ritenere che lo strumento sia di per sé inadeguato alla valutazione di altri tipi di
cooperazione orizzontale tra imprese12. Parimenti, non è escluso che gli impegni possano essere rivolti
sia a rimuovere preoccupazioni concorrenziali ai sensi dell’articolo 81, paragrafo 1, sia ad assicurare che
siano soddisfatte le condizioni di cui all’articolo 81, paragrafo 3. Le decisioni con impegni possono
quindi fornire un canale rapido ed efficiente per conformare accordi di cooperazione alle disposizioni
del Trattato CE.
E’ ovviamente necessario che l’Autorità abbia avviato un procedimento volto ad accertare una
presunta infrazione; i vincoli del diritto comunitario precludono un ritorno a un sistema di
autorizzazione preventiva delle intese.
Nel valutare il ricorso alle decisioni con impegni rispetto agli accordi di cooperazione, occorre
tuttavia tenere conto di un rischio. La precondizione perché il sistema funzioni in modo efficiente è che
l’articolo 81, paragrafo 1, venga applicato in modo non formalistico, concentrando l’attenzione su
quegli accordi di cooperazione suscettibili di avere un significativo impatto economico di restrizione
della concorrenza sul mercato. Se il divieto di cui all’articolo 81, paragrafo 1, venisse applicato
dall’Autorità in modo diverso ed estensivo, potrebbe aprirsi uno scenario in cui, facendo leva sugli
impegni assunti dalle imprese per soddisfare le condizioni di cui all’articolo 81, paragrafo 3, in
particolare con riferimento ai benefici per il consumatore, si utilizzerebbe impropriamente lo strumento
del diritto antitrust per giungere a una regolazione dei comportamenti sul mercato.
Prof. Giuliano Amato.
Vediamo se il SEPA risolve alcuni di questi problemi, single euro payment area.
Dott. Alberto Heimler - Mercato unico europeo dei pagamenti (SEPA) e problematiche
concorrenziali
Una breve cronistoria: l’introduzione dell’euro è avvenuta nel 1999 quando sono stati fissati i tassi di
cambio tra le valute degli Stati partecipanti. Nel 2002 c’è stata la sostituzione dell’euro alle valute
In tal senso, cfr. ad esempio la decisione della Commissione europea del 4 ottobre 2006 nel caso Cannes Agreements¸COMP
38.173.
12
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nazionali in dieci paesi dell’Unione Europea: Belgio, Finlandia, Francia, Germania, Grecia, Italia,
Lussemburgo, Olanda, Portogallo e Spagna. Il Regno Unito e la Danimarca, pur rispettando i parametri
di Maastricht, hanno ottenuto la possibilità di mantenere le loro valute nazionali. Gli altri 15 Stati
membri dell’Unione Europea, appena rientreranno nei parametri di Maastricht, saranno obbligati ad
adottare l’euro.
Per quanto riguarda i pagamenti non in contanti siamo ancora in un regime nazionale. Nel 2002 è
stato creato l’European Payment Council, cioè l’organismo che dovrebbe condurre, in un periodo che inizia
nel 2008, all’attuazione del SEPA, o area unica per i pagamenti in euro. L’area unica dei pagamenti è
un’area nella quale tutti i pagamenti in euro nell’Unione europea sono assimilati ai pagamenti domestici.
All’interno dell’area euro tutti i pagamenti saranno trattati come domestici e scompariranno le attuali
differenze (di costo) tra pagamenti nazionali e internazionali. Tutti i clienti saranno in grado di
effettuare pagamenti in euro da un paese all’altro dell’Unione europea con la stessa efficienza e
sicurezza attualmente possibile nell’ambito nazionale, utilizzando un solo conto e una sola carta di
pagamento. Il SEPA consentirà di superare i problemi che esistono attualmente per i trasferimenti
bancari da un paese all’altro e i costi aggiuntivi che vengono pagati dai consumatori, dai clienti delle
banche che effettuano pagamenti trasfrontalieri. Il progetto è finalizzato allo sviluppo di strumenti
standard, procedure, infrastrutture comuni. Si tratta di modificare tutto il sistema informativo che
collega le diverse banche tra loro e, soprattutto, i diversi sistemi bancari fra loro.
Il progetto SEPA è organizzato attorno a tre strumenti di pagamento: i trasferimenti bancari, i
bonifici, i rapporti interbancari diretti, i cosiddetti RID, cioè i pagamenti collegati agli ordini che i clienti
danno alla banca di effettuare automaticamente il pagamento delle bollette e, naturalmente, le carte di
debito e di credito.
La Commissione, fino adesso, ha assunto una posizione relativamente distaccata, nel senso che ha
svolto un ruolo di regolatore imponendo alcuni obiettivi da raggiungere e specificando l’orizzonte
temporale, ma l’implementazione del meccanismo è lasciata all’European Payment Council, un
organismo costituito principalmente dalle banche nazionali e dalle loro associazioni. Il SEPA,
nonostante venga lasciata ai privati l’individuazione degli standard, la realizzazione delle infrastrutture e
l’individuazione dei meccanismi economici che lo regolano, non è un’opzione, nel senso che molti
sostengono che se le banche non riuscissero a realizzarlo nei tempi previsti (che descriverò a breve), le
autorità pubbliche dovranno intervenire in maniera più incisiva.
Il primo gennaio 2008 avrà inizio la migrazione verso il SEPA e da quel momento dovrebbe iniziare
un’eliminazione graduale degli strumenti di pagamento nazionali. Dal 31 dicembre 2010 si dovrebbe
arrivare all’eliminazione dei sistemi nazionali.
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L’idea è quella di avere strumenti che operino nell’area euro come se si trattasse di strumenti
domestici. Questo significa, per esempio, che la nostra carta di debito potrà essere utilizzata con le
stesse condizioni in qualsiasi paese dell’area, che potremmo effettuare trasferimenti bancari, da e con
l’estero con le medesime condizioni con cui oggi effettuiamo pagamenti nazionali, e che potremmo
disporre/acquisire pagamenti RID in qualsiasi banca dell’area. In generale, ci dovrebbe essere una
trasformazione dell’area euro come se fosse un’area nazionale. Questa è una grossa differenza rispetto
alla situazione attuale, in cui i diversi sistemi nazionali sono caratterizzati da un’area di pagamenti
domestici e un’area internazionale che comprende sia i pagamenti in euro tra un paese e l’altro
dell’Unione europea, sia i pagamenti al di fuori dell’euro e dell’Unione.
Naturalmente poteva anche essere fatta un’altra scelta, ossia creare quello che nel gergo degli addetti
ai lavori viene chiamato “mini SEPA”, cioè lasciare inalterati i sistemi di pagamento nazionali e creare
un’area euro distinta dall’area internazionale. Con il mini SEPA per i pagamenti nell’area euro le regole
e i costi risulterebbero diversi rispetto a quelli nazionali e ugualmente diversi rispetto a quelli
internazionali.
L’obiettivo della Commissione, e anche l’obiettivo implicito dell’European Payment Council, è più
ambizioso, ed è quello di creare una vera area integrata nell’area euro nella quale tutti i pagamenti siano
trattati come pagamenti domestici. Un mercato più ampio aumenta la concorrenza. Tuttavia il semplice
allargamento dei mercati non è sufficiente.
Ginevra Bruzzone ha analizzato le recenti evoluzioni della normativa in materia di concorrenza tra
banche. La realtà è che le autorità di concorrenza soprattutto in Europa solo recentemente hanno
iniziato a occuparsi di banche. L’Ocse ha organizzato nel 2000 una tavola rotonda su concorrenza e
regolazione nei sistemi bancari e in quel momento era una iniziativa quasi unica perché, in generale,
erano i regolatori del settore bancario che si occupavano della concorrenza tra banche. Tutto il
processo di promozione della concorrenza nel settore è iniziato con gli accordi di Basilea, promossi
dalla Banca dei Regolamenti Internazionali e volti a favorire la concorrenza nel sistema bancario tramite
l’eliminazione delle regolazioni più invadenti e l’individuazione di parametri di bilancio soglia al fine
della regolazione prudenziale. Le autorità di concorrenza sono state assenti, rimanendo sostanzialmente
estranee a questo processo.
Negli ultimi anni le cose sono cambiate. Dopo la prima tavola rotonda dell’Ocse nel 2000, cui
ho accennato, nel 2004 nel corso della conferenza annuale di Bonn la rete internazionale della
concorrenza, la ICN, ha adottato dieci raccomandazioni per favorire la concorrenza fra banche. In
particolare la ICN si è posta nell’ottica di promuovere una specializzazione funzionale nella regolazione
delle banche, ossia di favorire una suddivisione di competenze fa regolatori e autorità di concorrenza
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AGNOLI BERNARDI e ASSOCIATI
Studio Legale
basata su principi funzionali, che assegna al regolatore il rispetto degli obiettivi prudenziali e di stabilità
e alle autorità antitrust la tutela della concorrenza. All’epoca la Banca d’Italia era responsabile della
stabilità e della tutela della concorrenza. Il rapporto della ICN pose in evidenza che l’Italia era tra i
pochi paesi al mondo ad adottare criteri settoriali per il riparto di competenze e che gli altri paesi in cui
la Banca centrale svolgeva congiuntamente funzioni regolatorie e di tutela della concorrenza erano il
Brasile e alcuni paesi dell’area balcanica, come la Croazia. Il rapporto dell’ICN non è stata la causa
dell’assegnazione all’Autorità delle competenze bancarie, ma ha rappresentato un importante tassello
informativo, mostrando la peculiarità degli assetti istituzionali italiani.
Il rapporto dell’ICN ha avuto l’ulteriore importante funzione di sottolineare che tramite l’azione delle
autorità di concorrenza è possibile promuovere una maggiore concorrenza nel sistema bancario. In
particolare il rapporto contiene alcune raccomandazioni volte a eliminare l’opacità informativa e
favorire la concorrenza dal lato della domanda. La concorrenza nel settore non si sviluppa soltanto
aumentando il numero dei concorrenti, ma soprattutto eliminando i vincoli che, dal lato della domanda,
impediscono ai consumatore di spostarsi da una banca all’altra.
Successivamente al rapporto dell’ICN la Commissione europea ha avviato una indagine conoscitiva
sul settore bancario, recentemente conclusa, che mostra che soprattutto nell’Europa continentale la
concorrenza tra banche è modesta, in particolare nel settore al dettaglio come conseguenza dell’inerzia
che contraddistingue i comportamenti della clientela. Si pensi che in Italia il numero delle banche è
elevato, circa 800, e negli altri paesi si registrano numeri analoghi. Emerge quindi dal rapporto della
Commissione che non sussistono situazioni di elevata concentrazione che impediscono al consumatore
di trovare alternative. Permangono invece vincoli dal lato della domanda che ostacolano i consumatori
che intendano cambiare banca (costi elevati di chiusura del conto, costi elevati di transazione associati al
cambiamento delle carte di pagamento, costi elevati associati al trasferimento di eventuali prestiti o del
conto titoli, ecc.). Come conseguenza di questi vincoli aumenta (artificialmente) il potere di mercato che
ciascuna banca è in grado di esercitare nei confronti della propria clientela.
Perché abbia effetti positivi sui consumatori, l’allargamento dei mercati, associato alla creazione del
SEPA, dovrebbe essere accompagnato da una riduzione dei vincoli esistenti dal lato della domanda.
Passando ad esaminare il funzionamento del mercato dei sistemi di pagamento, si può osservare che i
pagamenti tramite carte sono caratterizzati da una serie di vincoli che vengono imposti al
commerciante. Innanzitutto c’è un obbligo di non discriminazione, nel senso che il commerciante non
può far pagare un prezzo diverso in relazione al sistema di pagamenti che il cliente sceglie di usare. Il
commerciante ha l’obbligo di accettare tutte le carte di uno stesso marchio e c’è anche un divieto di
dare consigli al cliente su quale carta utilizzare. Come conseguenza, il sistema dei pagamenti, questo lo
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vediamo tutti quando usiamo le nostre carte di pagamento, funziona in modo tale che la scelta è lasciata
esclusivamente al consumatore. Il consumatore (che ha le sue carte di pagamento in tasca) sceglie quella
da usare e in questa scelta non considera tutti i costi a essa associati, ma esclusivamente i propri costi,
nonché i benefici privati che da questa scelta traggono origine. Per esempio il fatto che il consumatore
non è costretto a digitare un codice per effettuare il pagamento può rappresentare un incentivo privato
a scegliere la carta di credito e non quella di debito, o il fatto che l’uso di una determinata carta fa
ottenere delle miglia o dei regali incentiva l’uso di una carta a scapito di un’altra. Certamente nella sua
scelta il consumatore non considera i costi sopportati dal commerciante; ossia, se per il commerciante
una carta di debito costa l’1% e una carta di credito costa il 3%, questo aggravio di costo è
completamente ignorato.
A mio parere questo è contrario ai principi di concorrenza e determina una debolezza del sistema,
una carenza del mercato, che conduce il consumatore a scegliere gli strumenti di pagamento più cari,
ignorando quelli meno costosi. La stessa pubblicità delle carte di credito, ad esempio, quella dell’
American Express, sollecita il consumatore ad acquisire la carta per ottenere dei vantaggi (regali, miglia),
ma senza porre in evidenza che il commerciante (e in definitiva tutti i consumatori) pagheranno i costi
aggiuntivi collegati a questa scelta.
Dai lavori dell’Ocse, e anche dai lavori di tanti economisti, emerge che questi obblighi imposti al
commerciante riducono la possibilità di concorrenza, nella misura in cui tendono a isolare la scelta del
consumatore dai costi che la sua scelta determina. E quindi, l’eliminazione di questi vincoli, ossia
dell’obbligo di non discriminazione, il che implica poter applicare prezzi diversi in relazione al sistema
di pagamento che si usa, e del divieto di dare consigli al cliente su quale carta usare, potrebbe favorire
scelte più oculate del consumatore, internalizzando nel processo di scelta i costi complessivamente
generati.
Da questo punto di vista sebbene le banche, in generale, concorrano tra loro per moltissimi
strumenti di pagamento (soprattutto dal lato dell’acquisto), pensate al RID, pensate alle carte di credito,
pensate ai trasferimenti bancari e alle carte di pagamento, tale concorrenza non ha alcun effetto sulla
scelta del consumatore che spesso paga già pochissimo per questi servizi. Le banche, per converso,
tramite le commissioni interbancarie ottengono profitti associati alla scelta dei loro clienti,
rappresentando la commissione un trasferimento dalla banca del commerciante alla banca di colui che
ha emesso la carta. Questi trasferimenti dipendono dalla scelta dei consumatori (e le banche emittenti
ne beneficiano), ma senza che i consumatori ne internalizzino il costo. Con l’uso diffuso delle
commissioni interbancarie si impedisce alla concorrenza di operare e di spingere il consumatore a
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privilegiare gli strumenti di pagamento meno costosi, ovvero quelli che a parità di costi totali pagati
diano i maggiori benefici.
Alcuni commentatori sostengono che la concorrenza tra banche potrebbe comunque dare incentivi al
consumatore per altra via, nel senso che le banche si potrebbero fare concorrenza tra loro in termini di
regali al cliente associati all’uso della carta, ad esempio le miglia o altri regali, restituendo al cliente gli
extra-profitti trasferiti dalle commissioni interbancarie. In questa prospettiva la commissione
interbancaria diventerebbe un semplice trasferimento da un lato all’altro del mercato, ma non avrebbe
alcun impatto sostanziale sul benessere dei consumatori (se si eccettuano gli effetti redistributivi
associati al trasferimento sui prezzi di vendita e quindi su tutti i consumatori degli oneri associati alla
negoziazione dei crediti che i commercianti ottengono con le carte).
Il problema è che la concorrenza tra banche è relativamente modesta e si realizza soprattutto al
margine. Quando infatti il rapporto tra il consumatore e il fornitore è un legame di durata, nel senso
che il contratto dura fino a che il consumatore non decide di lasciare la propria banca, esiste una
notevole inerzia nei legami contrattuali, e la concorrenza opera soprattutto al margine per l’acquisizione
del nuovo cliente, ma non opera per i consumatori infra-marginali che, trovandosi in una situazione di
asimmetria informativa, non si occupano delle condizioni del loro conto e sono lasciati in una
situazione di prezzo non ottimale, vale a dire pagano prezzi superiori.
Da questo punto di vista, introdurre la portabilità del numero di conto corrente o promuovere
sistemi che riducano sensibilmente i costi di transazione per i consumatori che intendano cambiare
banca, favorirebbe una maggiore concorrenza fra banche. Si tratta di interventi che aumentano il grado
di incertezza di ciascuna banca sulla stabilità della propria clientela e che pertanto incentivano le banche
ad accordare condizioni migliori anche alla clientela infra-marginale.
Analogamente la stabilità della clientela fa sì che gli extra profitti originati dalle commissioni
interbancarie non vengono disciplinati dalla concorrenza e le stesse commissioni costituiscono una
soglia al di sotto della quale non possono ridursi le tariffe di negoziazione imposte a commercianti e
imprese. Eliminare le commissioni interbancarie renderebbe molto più trasparente il sistema e farebbe
emergere dall’operare dei meccanismi di mercato il sistema di pagamento meno costoso. La banche
emittenti si farebbero concorrenza sul costo d’uso dei diversi sistemi di pagamento e le banche
acquirenti sui costi di negoziazione. Commercianti e imprese potrebbero, tramite segnali di prezzo,
indurre i consumatori a scegliere il sistema per loro più efficiente (per esempio concedere sconti se
viene usato il sistema di pagamento meno costoso).
Peraltro, l’introduzione del SEPA potrebbe essere l’occasione per estendere a tutta l’area le
condizioni di pagamento nazionali meno costose (la maggior parte dei paesi non ha commissioni
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interbancarie per i pagamenti RID e in alcuni paesi non ci sono commissioni interbancarie nelle carte di
debito).
Vorrei concludere il mio intervento evidenziando il rapporto tra SEPA e concorrenza. Con
riferimento alle carte di debito, ad esempio, esistono due opzioni: uno è il co-branding, ossia la possibilità
che le singole banche utilizzino insieme il marchio nazionale (ad esempio Pago Bancomat e quello
internazionale Maestro). Tuttavia con questo meccanismo le transazioni internazionali avrebbero costi
diversi da quelle domestiche in contrasto con gli obiettivi SEPA; si auspica dunque che il co-branding sia
assolutamente temporaneo. Viceversa, promuovere l’interconnessione degli schemi nazionali esistenti
consente un’evoluzione concorrenziale del SEPA; in questo modo i paesi con i prezzi più bassi
entreranno in concorrenza con i paesi con i prezzi più elevati. Ciascuno di noi, grazie al SEPA, potrà
avere un rapporto bancario con qualsiasi banca dell’Unione Europea e i sistemi più efficienti si
avvantaggeranno rapidamente sugli altri. Qualsiasi operatore, qualsiasi impresa potrebbe aprire un
conto in qualsiasi banca dell’Unione Europea le cui condizioni varrebbero per qualsiasi pagamento che
l’operatore dovesse ricevere o effettuare.
C’è poi l’aspetto della sicurezza legato al passaggio dai sistemi nazionali a un sistema integrato. Molti
sostengono che una carta clonata può avere maggiore probabilità di essere tempestivamente scoperta se
si abbandona un sistema domestico di pagamento. Esiste dunque una difesa dei meccanismi nazionali
basata su ragioni di sicurezza. Da questo punto di vista l’innovazione tecnologica delle carte, e
soprattutto l’introduzione del microchip sulle carte, garantirà meglio la sicurezza delle transazioni
riducendo sensibilmente l’uso illecito delle carte e le truffe.
Quanto all’innovazione tecnologica esistono paesi che già oggi hanno individuato strumenti di
pagamento diversi, ad esempio tramite il cellulare. La Finlandia ha già iniziato nel 1996. Molti
sostengono che questi sistemi si svilupperanno ulteriormente in futuro e che, quindi, i problemi di
concorrenza nei sistemi di pagamento si risolveranno anche tramite le innovazioni tecnologiche che il
SEPA dovrebbe contribuire a favorire.
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Prof. Roberto Pardolesi - Carte di pagamento e diritto antitrust
1.- Carte di pagamento e dintorni antitrust. Una miscela esplosiva: decenni di sempre crescente
litigiosità antitrust, specie oltre oceano, che si appunta sui problemi dell’accesso delle commissioni
interbancarie e delle restrizioni verticali. Eppure il peggio sembra essere passato: la cresta dell’onda è
dietro le spalle.
Provo a tracciare un abbozzo estremamente sintetico. C’è una prima fase, tra il 1973 e 1993, tutta
statunitense. Comincia con Worthen v. National Bank Americard. Ma quello che conta davvero è una
controversia del 1983, Nabanco, caso molto noto che ha orientato a lungo la riflessione sul punto: Bill
Baxter, appena uscito dai ranghi del Department of Justice, dopo aver portato a compimento la
dissoluzione di AT&T e aver lasciato cadere il lungo avvitamento procedurale contro IBM,
‘mesmerizza’ la corte, la convince cioè che quello delle forme di pagamento è un mercato allargato,
all’interno del quale VISA - allora nascente - conta solo per il 5%, non ha potere di mercato e i
commercianti sono liberi di accettare le carte di credito. Tutti sappiamo, in realtà, che già allora il
vincolo era fortissimo e che le banche non erano libere di fare l’opt out e di praticare il bypass.
Passa il tempo e cambia il movimento complessivo delle cose con l’iniziativa del governo in US v.
VISA, ancora un caso di exclusivity contro Discover e American Express, che si chiude nel 2001. Ma il
vero punto focale è il caso Visa Check/Mastermoney/Wallmart: Il caso - nato nel 1996 e conclusosi nel
2003 - perviene ad un esito assolutamente eccentrico perché si tratta di un settlement fatto a ridosso della
decisione preliminare con cui la corte distrettuale aveva gestito in maniera particolare le contrapposte
richieste di giudizio sommario dando il segno molto preciso che la Honour Card (HAC) aveva favorito
una restrizione verticale imposta dai grandi circuiti ai retailers ed aveva un carattere di tendenzialità. Si
tratta di una class action straordinaria, che vede Loyd Constantine guidare una classe di 4 milioni di
commercianti, di fronte ai quali VISA capitola, preferendo transigere, perché - come ricorda George
Priest dalle colonne del New York Times - in circostanze del genere, avendo i commercianti richiesto
un risarcimento del danno nell’ordine di 300 miliardi di dollari, quando anche ci fosse l’1% di
probabilità di perdere, tanto varrebbe transigere in fretta e accontentarsi di concedere tre miliardi di
dollari.
Mentre siamo alle prese con il superbowl delle class actions nordamericane, allo stato sono pendenti
all’incirca una quarantina di azioni, più quelle che ci si aspetta provengono da altre giurisdizioni. Perché,
nel frattempo, il discorso ha preso piede anche su altri quadranti.
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Andiamo dunque in Australia, un estremo opposto non soltanto dal punto di vista geografico ma
anche dell’ impostazione. Nel 2001, dinanzi all’apertura di un’istruttoria da parte della commissione
australiana interviene la Reserve Bank of Australia, la quale attiva un procedimento a carattere
regolamentare, lasciando così cadere l’azione antitrust e aprendo ad una serie ripetuta di
sperimentazioni che, nel periodo dal 2001 al 2006, ha fatto storia e ha segnato una traccia importante
per la evoluzione della forma mentis in materia.
E poi l’Europa, dove, nel 2001, la clausola HAC è stata valutata dalla commissione insieme ad
un’altra clausola abbastanza sospetta (la “no acquiring without issuing clause”, che sarebbe caduta nel 2004
per la persistenza di First Data, che ha continuato a pressare la commissione) e considerata
semplicemente estranea, estranea all’ambito di applicazione dell’art. 81.3 del Trattato: come dire,
miliardi di dollari di aggravio negli Stati Uniti, totale immunità europea, ci deve essere qualche qualche
problema. Mentre nel 2002 la MIF è stata ritenuta restrittiva, ma meritevole di esenzione , subordinata
ad una riduzione progressiva, sino al 50% del 2007. Si è andati avanti con MERFA un caso iniziato
nel 2003 che riguardava il Groupement des Cartes Bancaires e che peraltro si è arenato nelle nebbie di
Bruxelles, non ancora arrivato ad una qualche definizione.
Rapidamente, in Germania: la Zentrale Kreditanschluss, quando ha scoperto che le carte di debito
avevano praticamente preso piede, ha proposto e notificato al Bundeskartellamt l’introduzione delle
commissioni interbancarie per tutte le carte di debito: ma il BKA ha dato prova di saldezza di nervi,
dimostrando che non vi era nessuna ragione economica che potesse giustificare tale reintroduzione e,
soprattutto, che non vi fossero i requisiti per un’esenzione. Passiamo, poi, in Olanda dove, a partire dal
2002, arrivano decisioni di condanna di Interpay, il gestore della piattaforma, per abuso di posizione
dominante, causa il carattere eccessivo della commissione interbancaria; condanna alla quale si
aggiungono anche le sanzioni - questa volta via violazione del divieto di intese restrittive - a carico delle
nove banche che compongono Interpay, delineando così un quadro davvero insolito nel panorama della
nostra litigiosità.
L’ indagine più interessante è quella condotta nel Regno Unito dall’OFT: 76 pagine datate settembre
2005, nelle quali per la prima volta un’autorità prende davvero sul serio l’impostazione del two-sided
market, del mercato dei due fronti e della necessità di tenere in bilanciamento i due lati del mercato.
Accettata l’idea che vi debba essere un equilibrio fra l’accettazione e l’uso della carta, l’OFT osserva,
tuttavia, che vi è una chiara discrepanza fra i benefici per i commercianti che utilizzano le carte di
credito e i benefici totali: la commissione interbancaria, quindi, è troppo alta ed esita in una fissazione di
prezzo, resa più grave dal fatto che - secondo la prospettazione dell’OFT - il prezzo viene calcolato
sulla base di costi estranei. La splendida indagine dell’OFT è praticamente inquinata da un fatto
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assolutamente esogeno: in sede di appello l’OFT cambia posizioni, dei 750 paragrafi che componevano
la sua lunga riflessione 250 vengono sostanzialmente cambiati. A questo punto immediatamente la corte
invita l’OFT a ritirare, e quest’ultima lascia letteralmente cadere l’istruttoria.
Arriviamo alla Spagna: nel novembre 2006 il Servicio de Defensa de la Competencia ha obbligato i tre
sistemi di joint venture per la gestione del payng with plastic a un settlement che chiude una vicenda di un
paio di anni. La nota interessante è che questo accordo stragiudiziale si basa sull’idea di una fissazione
collettiva, trasparente della commissione interbancaria con un periodo di vera e propria transizione
guidata da un osservatorio che deve per l’appunto assicurarsi. Torneremo su questo punto brevemente.
Un osservatorio che garantisca, appunto, la piena adesione di tutti i soggetti coinvolti (sto parlando, va
da sé dei sistemi “open loop”, dei sistemi a quattro parti: tutte le circostanze evocate si riferiscono
evidentemente a casi di open loop).
L’Austria ha chiuso nel dicembre del 2006 un’istruttoria. Il Zahlungsverkehrssysteme che gestisce il
circuito Maestro si è visto imputare sia un’intesa restrittiva sia un abuso di posizione dominante, con
tanto di condanna a 5 milioni di euro di sanzione, che, per quanto riguarda la classe applicativa del
Kartellrecht austriaco; è veramente una dimensione straordinaria.
Il 31 gennaio, come noto, la Commissione CE ha pubblicato il suo report finale, che segue all’interim
report, che lo riprenderemo tra un momento.
2.- Se si ragiona soltanto in termini di applicazione dei principi antitrust, è evidente che,
concentrando l’attenzione sul punto pivotale rappresentato dalle commissioni interbancarie, non si può
negare come quelle fissate dalle associazioni Visa e Mastercard costituiscono un price fixing - e, quindi,
pratica illecita per se -, impongono la soglia di prezzo ai commercianti e soprattutto fissano una
commissione bloccata a favore delle banche emittenti. Se, peraltro, ragioniamo per un attimo sugli
effetti e non ci limitiamo all’oggetto, allora constatiamo che la commissione interbancaria aumenta i
costi dei commercianti: sul punto è intervenuto il recente report della Commissione europea (31
gennaio 2007, Report on the retailing banking sector inquiry), secondo il quale esiste una forte imposizione di
prezzo a carico del commerciante con l’aggravante di un potere di mercato in capo ai gestori dei circuiti
della discriminazione tra piccoli commercianti e grandi catene distributive e, quindi con dislivello delle
commissioni praticate.
Assumendo che tra i commercianti vi sia un elevato livello di competitività, allora dobbiamo
immaginare che l’imposizione di una commissione interbancaria necessariamente alla fine aumenti i
prezzi praticati dai commercianti. Nella logica ideale della neutralità del sistema tutto questo starebbe in
piedi per potersi immaginare che quanto viene imposto ai commercianti e ribaltato sui consumatori poi
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retroceda a questa imposizione di prezzo in favore dei card holders, attraverso appunto forme di
gratificazioni varie, premi, abbattimento delle fee, e via dicendo. La minuziosa indagine condotta dalla
Commissione europea ci dice che non esiste un coefficiente di correlazione tra la commissione
interbancaria e la commissione media per carta che sia davvero negativo: tradotto in soldoni, per ogni
euro di aumento di commissione interbancaria soltanto lo 0,25% in proiezione econometrica viene
ribaltato sui titolari di carta di credito. In ogni caso, i non utilizzatori di carte di credito, coloro cioè che
pagano in contanti, evidentemente sono portati a pagare un prezzo più alto, il che si traduce
sostanzialmente in una tassa a carico di chi non usa le carte, ancora più odiosa perchè nella circostanza
non è il governo ad imporre la tassazione ma un’associazione privata.
Certo, potremmo liberarci di buona parte di questi problemi se i commercianti potessero praticare i
sovrapprezzi (il cd. surchanging), ma ciò è impedito dalla HAC e dalla non discrimation rule (NDR), che
sono regole in verticale imposte appunto dai circuiti, che in realtà assecondano un fenomeno che molti
ritengono, per la verità, sovrastimato ma che tuttavia esiste.
Siamo di fronte sicuramente ad un price fixing, ma ciò non dovrebbe costituire di per sé un problema:
è noto come, di fronte ad un cartello di fissazione dei prezzi, l’illiceità cade se si dimostra che il sistema,
la tecnica, il meccanismo utilizzato è in realtà una conditio sine qua non per ottenere il prodotto. Basti
pensare al broadcasting music: di fronte praticamente ai milioni di transazioni che si sarebbero dovute
gestire, le società di gestione dei diritti di autore propongono la blanket license, il che configura
certamente un accordo restrittivo ma ottiene il placet della corte suprema, la quale, atterrita all’idea di
un’ondata di costi transattivi, nega si tratti di un cartello che possa cadere sotto la per se rule e, anzi lo
riscarta alla luce della rule of reason.
Il problema, dunque, è la giustificazione per un cartello di fissazione del prezzo.
3.- La giustificazione è stata fornita da Bill Baxter e da una pletora di economisti di grido (Klein,
Rochet, Tirole, Ordover, Evans), i quali hanno puntato sulla esternalità d’uso (che comporta che la
scelta sia nelle mani del consumatore acquirente ma il costo sia invece a carico del commerciante se c’è
un potere di mercato) e sull’esternalità da two-sided markets. E qui siamo al paradosso del ‘comma 22’ di
Helleriana memoria: per far partire il sistema – si dice -, occorre ovviamente incentivare i card holders
perchè se non ci sono i titolari di carte di credito non c’è interesse dei commercianti, e allora posto che i
titolari sono molto sensibili, hanno un’elevata elasticità di reazione e quindi sensibilità al prezzo, mentre
i commercianti sono duri a morire, il sistema deve andare nella direzione di bilanciare nel senso di
vincolare i commercianti che diventano il ventre molle di questa operazione. Se fosse così, questa
giustificazione varrebbe soltanto per la fase di start up, mentre a regime ovviamente non avrebbe più
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senso il comma 22: la versione estrema dell’esternalità di rete è che la caduta del livello delle interchange
fees fa si che i card holders debbano subire maggiori fees, riducendosi l’utilizzo delle carte di pagamento
con effetto che i commercianti si distaccano dal sistema. Si innescherebbe così una spirale mortale che
porta al collasso finale. L’unico punto incomprensibile di questa operazione è, perchè mai i
commercianti dovrebbero distaccarsi dal sistema; e, ancora una volta, viene in aiuto la Comunità
europea, la quale ha constatato che nei 4 paesi della Comunità in cui si usa la par collection - e quindi la
commissione interbancaria fissata a zero -, non si è avuto fuga dei commercianti, non si è avuto
fallimento delle banche impegnate nell’emissione e il 65% delle emittenti di carte di credito e il 43% di
carte di debito potrebbero fare profitti anche senza disporre commissioni di questo genere.
In altre parole, si possono dare casi in cui la commissione interbancaria fissata dal circuito delle
banche che lo compongono porta a risultati efficienti; ciò non significa, però, che la fissazione delle
commissioni interbancarie sia sempre efficiente: siamo abituati all’idea che la repressione dei cartelli
paghi un prezzo in termini di falsi positivi, ma siamo anche consapevoli del fatto che questi falsi positivi
sono alquanto rari. In ogni caso, se dovessimo ragionare nei termini dell’art. 81.3 dovremmo ammettere
che il vero punto debole sta nel fatto che le 4 condizioni sono impraticabili, il vero punto debole è la
mancanza di alternative.
Questo forse è il vero problema e qui torna ad avvertirsi l’ombra incombente dell’esperienza
australiana. Quello che possiamo immaginare rimanendo nella tecnica dell’antitrust è la proibizione
delle commissioni interbancarie che non siano - e penso alla Spagna - il prodotto di accordi estesi a tutti
i soggetti del sistema: un vero incubo di azione collettiva, il cui vantaggio, però, sarebbe che la default
rule è la par collection e quindi la fissazione della commissione a zero.
In alternativa e prendendo per buona l’esperienza del 2001 della Commissione Europea, il rimedio
potrebbe essere l’unbundling delle componenti di costo della commissione interbancaria. Noi abbiamo
sentito gli esponenti dell’ABI ricordarci appunto che le componenti di costo sono molto importanti per
i servizi che vengono accordati, cioè la garanzia di pagamento è a carico della banca emittente, la
copertura finanziaria gratuita nella tipica carta di debito ove il pagamento avviene ad una certa distanza
temporale dalla transazione (potrebbe essere di un mese), e poi ovviamente i costi di ‘processamento’
dell’operazione oltre ad altri costi che non potremmo mettere in conto. Se facessimo l’unbundling
avremo una commissione interbancaria destrutturata.
L’ovvio rimedio alternativo, l’eliminazione delle restrizioni verticali, quali la HAC, la NonDiscrimination Rule, non aiuta a fugare il dubbio che, quando si rimane nella piena coerenza dei rimedi
antitrust, ci si ritrova alle prese con un intervento inidoneo a sortire tutti i risultati voluti: ne scaturisce
l’idea di una limitazione alla liberta di fissare le MIF, le commissioni interbancarie (quello che si è fatto
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in Europa nel 2001, quello che si è fatto in Italia nel 2004 ad opera dell’Autorità antitrust), ovvero un
intervento cripto-regolamentare, para-regolamentare, con qualche dubbio che alla fine la via australiana
possa essere a dispetto di tutto la via più importante.
Prof. Giuliano Amato – Commenti alla relazione del Prof. Roberto Pardolesi
Insomma, un normale essere umano della cui normalità faccia parte una conoscenza ragionevole
delle regole antitrust, ammetta la situazione che quando si parla di banche c’è una fregatura che cova.
E qui parlo come il peggiore rappresentante dei consumatori, il più demagogico, perchè, insomma
uno ascolta, e dopo un po’ gli viene in mente la notula degli avvocati, che è una trappola infernale nella
quale si inventano voci che non corrispondono a costi. E alla fine, viene fuori una montagna di cose da
pagare sulle quali, che cosa potrebbe fare l’autorità antitrust? Assolutamente nulla, evidentemente
perchè non è proprio competenza sua; però qui lo strumento c’è, questo è un price fixing, lo hai detto, è
assolutamente un price fixing. Allora, questa faccenda qui, perchè è una gigantesca fregatura Roberto? E’
una gigantesca fregatura perchè l’utente in realtà, desidererebbe pagare con la carta di credito come
prima pagava con il contante, avendo la stessa facilità, la stessa semplicità; ovunque accettano i miei
euro e ovunque i miei euro hanno esattamente lo stesso valore e comprano esattamente per il
medesimo importo. Benissimo, io vorrei che con le carte accadesse esattamente la stessa cosa. Ma nelle
carte si ficcano tutti questi elementi aggiuntivi, per cui tu hai bisogno di un sistema cooperativo tra le
banche perchè accada quello che tu desideri, e il sistema cooperativo induce alla determinazione di
questi costi, le fees, etc. che in termini antitrust hanno la massima difficoltà ad essere giustificati, perchè
l’art. 81, comma 3 del Trattato assolve tutto ma il price fixing è la bestia più nera che conosca, a meno
che non si tratti di determinati prezzi massimi per il retailer ecc.
Io devo dire la verità, tra le varie soluzioni che esistono, non vedo altro che l’unbundling dei costi.
Se deve intervenire l’antitrust, l’unbundling dei costi corrisponde esattamente a ciò che un’autorità
antitrust è in condizioni di verificare, se è in corrispondenza dei costi e se uniformando sulla base di
questi costi si ottiene un’efficienza a beneficio del consumatore creando a quel punto spazio per una
non price competition, allora diventano anche più trasparenti anche le offerte aggiuntive che inventa
American Express per acchiappare il cliente. Se uno le vuole quelle cose lì, se le paga. Ma bisogna
arrivare ad un punto che ci permetta di dire che l’intervento antitrust morde su qualcosa che gli è
proprio; togliendo quest’aura di relativa inconoscibilità di arcana bancarietà a tutta questa roba, che è
altrettanto arcana, secondo me, quanto le fetide notule di noi giuristi.
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Ma questo deve essere un punto di attacco su fatti che cadono legittimamente sotto l’antitrust, a mio
avviso. L’antitrust è nato su queste cose quando finì la guerra tra le compagnie ferroviarie e ci fu il Trans
Missouri, grande caso della Corte Suprema statunitense di tantissimi anni fa; degli operatori avevano
stabilito tariffe comuni che vennero valutate in una chiave puramente antitrust, in realtà.
Dopo un po’ volevo sbottare; perchè capita a coloro che si occupano di antitrust; è un’esperienza
che io faccio da alcuni anni: Quando discutiamo di questioni relative al diritto della concorrenza io
capisco tutto, discutiamo di cinema, di art. 87.3 lettera d), l’esenzione dei prodotti culturali tanto per
intenderci, una invenzione francese, e allora uno capisce esattamente tutto quello che viene detto;
discutiamo di Microsoft, e io capisco tutto. Arriviamo alle banche, e cominciano a scapparmi i concetti;
ci sono una serie di invenzioni in ragione delle quali io non so più: mi trovo davanti ad un cartello, non
posso applicare il primo comma dell’art. 81 del Trattato, non possa applicare il terzo comma dell’art. 81,
vengo mandato a casa con la mia carta di credito, avendo capito una sola cosa, che quando la userò non
saprò esattamente quanto mi costerà usarla.
Dobbiamo in qualche modo uscire da questa situazione, demitizzare questa materia, semplificarne la
trattazione, ricondurla ai nostri schemi abituali, perchè l’unica cosa su cui è rimasto il Concilio Vaticano
Primo.
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Dott. Giovanni Calabrò - Le nuove competenze dell’Autorità nel settore bancario: un primo
bilancio
Grazie Presidente, direi che i lavori di questa mattina mi confortano per le osservazioni che sono
state svolte, mi limiterei ad alcune battute, alcune riflessioni, un po’ anche in risposta sommaria ad
alcuni temi che sono stati introdotti. Vorrei comunque ringraziare gli organizzatori per l’opportunità
data all’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato largamente rappresentata dai colleghi che mi
hanno preceduto, e da me, in rappresentanza anche del Presidente che non ha potuto partecipare per
un concomitante impegno istituzionale, per dirvi un po’ come ci siamo attrezzati in questo primo anno
di operatività della riforma del risparmio.
Dal punto di vista delle regole è stato detto molto, l’assetto precedente era insoddisfacente e non solo
per quello che è stato detto nelle precedenti relazioni, ma anche per un rischio che non si è mai
verificato in concreto, ma che astrattamente avremmo potuto correre nei 15 anni precedenti, di arrivare
a decisioni contraddittorie tra la Banca d’Italia e l’Autorità Antitrust, visto che una medesima fattispecie
era analizzata per alcuni profili, quelli che coinvolgevano i soggetti bancari, dalla Banca d’Italia, e per
altri profili, più squisitamente finanziari, dall’Autorità Antitrust. E’ un rischio che non si è corso in
concreto ma comunque sintomo di. una situazione del tutto insoddisfacente.
Lo era allora, lo è oggi nel momento in cui chiaramente con l’estensione delle attività svolte dalle
banche, con l’integrazione tra il mondo bancario, finanziario e assicurativo non ha più senso una
distinzione di quel tipo.
La collaborazione con la Banca d’Italia è stata sempre molto intensa, ricordo che, appunto, l’allora
Presidente dell’Autorità che è qui tra noi, stipulò il primo protocollo di intesa con la Banca d’Italia,
proprio per disciplinare i rapporti e le modalità concrete di collaborazione.
E’ chiaro che era un assetto imperfetto; c’è stato un intervento legislativo, è stato ricordato; sono
state fatte poi delle modifiche più recenti. Io vorrei, prima di ritornare sul tema delle competenze, con
riguardo particolare alle concentrazioni, rispondere molto brevemente ad alcuni degli interrogativi
sollevati in particolare dal Presidente Amato. La questione per esempio della debolezza informativa del
consumatore e come questa è stata affrontata in questo anno di attività dell’Autorità.
Il problema è stato preso in considerazione con l’indagine conoscitiva sui conti correnti bancari, sulla
quale ovviamente non mi intratterrò, se non ricordando che c’è la questione ovviamente dei costi, delle
fees; ci sono altri elementi strutturali sui quali forse è bene soffermarsi e che sono poi la vera fotografia
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del sistema. La nostra analisi è fondata sui dati del sistema, quindi la fotografia è oggettiva; ovviamente
la rappresentazione che è data può essere letta in vario modo.
Parlando del retail, il consumatore oggi non ha la giusta informazione al momento della scelta della
banca. Se così non fosse avremmo una situazione paradossale, dovremmo dire che il consumatore è
irrazionale. Questo è quello che emerge dall’indagine. Faccio un esempio concreto: quello dei conflitti
di interesse. I conflitti di interesse sono risolti dal punto di vista regolamentare con il render pubblico il
conflitto. C’è un prospetto informativo o un’informazione nei fogli notizie che riporta che la banca
distribuisce prodotti di una propria SGR e quindi ciò che offre la banca potrebbe non essere la scelta
ottimale per il correntista. Ma forse questa informazione non basta, forse c’è da chiedersi se si può fare
qualcosa di più e su questo anche il regolatore si sta interrogando. Ed è bene interrogarsi in tempo utile
prima che poi esplodano eventuali patologie.
Una volta che il rapporto è in essere, la normativa precedente, la versione precedente dell’art. 118 del
Testo Unico Bancario, prevedeva un largo utilizzo dello ius variandi che di fatto veniva utilizzato da
molte delle banche italiane, non da tutte sia ben chiaro, con un numero di variazioni fino a 20 in un
biennio. La variazione era comunicata con uno strumento generale e indeterminato, la comunicazione
in gazzetta ufficiale dalla quale decorrevano i 15 giorni per il recesso del correntista. Tale sistema non
era in linea con le previsioni contenute nel codice al consumo; si dibatteva se tale disciplina dovesse
essere adeguata; l’Autorità ha fatto una segnalazione al Parlamento nel maggio dell’anno scorso, il
Parlamento ha fatto un intervento legislativo di ampio respiro; con la legge 248 del 2006 si è anche
modificato il testo unico bancario allineando la disciplina nazionale alle best practice europee. Quindi
oggi, sostanzialmente, le banche, comunicano proposte di variazioni contrattuali e danno un preavviso,
diciamo, adeguato. Effettuano, dunque, una comunicazione 30 giorni prima dell’entrata in vigore della
nuova condizione contrattuale, e il correntista ha due mesi per decidere se recedere o meno dal
contratto. E la comunicazione, con la specifica indicazione di qual è il giustificato motivo della
variazione proposta, arriva a casa, al domicilio del cliente o per e-mail se si è convenuta questa ultima
modalità di comunicazione con la banca. Quindi si sta creando una relazione, un rapporto diciamo, tra
la banca e il cliente. Perchè il problema principale, come ha ricordato il Presidente Amato, è che , pur
essendo vero quello che dicono le banche, e cioè che le banche nazionali sono estremamente
competitive e concorrenziali, sul corporate i dati infatti sono abbastanza tranquillizzanti, sul retail si
potrebbe fare di più. La nostra fotografia del mercato tiene conto dei dati relativi a un campione di oltre
il 70% delle banche e potrebbe essere in parte superata, essendo basata su dati che risalgono al 30
marzo dello scorso anno.
33
AGNOLI BERNARDI e ASSOCIATI
Studio Legale
Darei, anche, una risposta all’interrogativo di fondo: fin dove può arrivare un legislatore che
dovrebbe limitarsi a definire i principi, e dove dovrebbe arrivare la regolazione e la normativa
secondaria. E’ chiaro che gli interventi citati in precedenza sono stati dettati dall’urgenza, come quelli di
un chirurgo che ha cercato in qualche modo di individuare delle soluzioni per una patologia
eccezionale. Non è detto che debba essere sempre la regola perchè a quel punto occorre sviluppare il
tema di più ampia portata di quale debba essere l’attività svolta dal legislatore e quale debba essere poi il
ruolo delle autorità indipendenti, ed eventualmente dell’autorità antitrust.
Subiamo tutti, in qualche modo, questo problema che comunque ha l’effetto di alterare il corretto
funzionamento dei meccanismi di mercato e, sul punto, consentitemi un’ulteriore riflessione che
riguarda il settore bancario.
Tale settore, un po’ per un’asserita specialità, un po’ perchè comunque è un settore particolarmente
complesso, con dinamiche particolari, è caratterizzato da un gran ricorso a forme di
autoregolamentazione. Il ruolo dell’associazione di categoria è sempre stato diverso dal ruolo di
qualsiasi altra associazione di categoria; questo perchè bisognava modernizzare il paese, creare le reti
interbancarie, stabilire una collaborazione necessaria tra ottocento banche, rendere più efficiente il
sistema. In questo senso tutto il dibattito che è stato ripreso da chi mi ha preceduto, sulla necessità o
meno, della collaborazione, dove può esserci una collaborazione tecnica e fin dove può arrivare una
collaborazione economica, quali elementi di costo all’ingrosso possono esser stabiliti a livello
interbancario, quindi se è legittimo o no avere commissioni interbancarie, e se sì, fino a che limite,
come questo si rifletta in una possibile fissazione di prezzi finali, è tutto un dibattito sul quale anche
l’Autorità si sta interrogando, anche nell’ambito dei procedimenti attualmente in corso.
Io non posso anticipare chiaramente le conclusioni dei casi pendenti. Sicuramente posso anticipare
l’importanza dello strumento introdotto consistente nella possibilità delle parti di formulare impegni da
sottoporre all’Autorità anche nei casi pendenti. Gli impegni in casi di questo tipo hanno senso solo se,
come è stato ricordato, sono impegni che cambiano le regole del sistema determinando una rottura
rispetto alla situazione del passato.
Gli impegni richiedono un vero unbundling di modo che si possano analizzare i costi in dettaglio al
fine di individuare modelli sempre più efficienti. Se gli impegni sono presentati in questi termini, forse
questi ultimi sono accettabili, altrimenti bisogna interrogarsi se stiamo utilizzando lo strumento
adeguato.
Sono stati pubblicati gli impegni dell’ABI, è in corso un market test, vedremo quale sarà la decisione
finale dell’Autorità. E credo che su quello potremo veramente confrontarci. Chiaramente, è legittima
ogni attività di autoregolamentazione purché anche questa stia dentro certi limiti. E’ legittima l’attività
34
AGNOLI BERNARDI e ASSOCIATI
Studio Legale
di interpretazione delle norme giuridiche; non bisogna però, veicolare al sistema che c’è un unico modo,
ad esempio, per attuare la normativa, quello che fu fatto a nostro avviso dalla circolare ABI dell’agosto
2006, successivamente ritirata a seguito dell’intervento antitrust che sospese la circolare stessa con un
provvedimento d’urgenza.
Con l’intervento richiamato non è che si volesse impedire la libertà di opinione, ma si è voluto
stigmatizzare l’intendimento dell’ABI di individuare tutte le cause esogene e endogene in forza delle
quali si poteva ritenere sussistente il giustificato motivo per la modifica delle condizioni contrattuali.
Nessuno discute sul fatto che possano rilevare quale giustificato motivo per l’introduzione di variazioni
alle condizioni economiche, accadimenti di rilievo quali significativi mutamenti dei tassi a livello di
sistema centrale, anche se tali accadimenti non devono essere intesi nel senso di comportare un obbligo
per tutte le banche di adeguare in un senso o nell’altro le condizioni contrattuali a tutti i clienti. Certo
poi sembra legittimo interrogarsi sul fatto che il mutamento di qualsiasi voce di costo, rilevata dalla
contabilità industriale, debba essere disciplinato in modo uniforme da un’associazione di categoria.. Per
quel che concerne il retail è importante che al consumatore sia data un’adeguata informazione e che
siano date delle condizioni contrattuali che non mutino all’indomani della stipula del contratto; questa è
un’eccezione bancaria non accettabile, per come era applicata, e comunque se il cliente cambia idea
deve effettivamente poter recedere dal contratto senza avere dei costi insopportabili e qui è stato
ricordato il tema appunto dei legami degli switching costs che permane.
Sulle concentrazioni: l’atto unico non ha funzionato, nonostante la grande collaborazione con la
Banca d’Italia, per varie ragioni, non ultima la circostanza che non vi ricadevano le operazioni più
rilevanti. La norma parlava di acquisizioni, di partecipazioni di controllo in imprese bancarie. Dal punto
di vista delle fattispecie antitrust vi ricadevano le operazioni di concentrazione; per la Banca d’Italia era
citato espressamente l’articolo 19 del Testo Unico Bancario. Non ci rientravano le fusioni; disciplinate
da un altro articolo (art. 57) del Testo Unico Bancario. In questo anno di applicazione la prima
operazione importante ci sarebbe rientrata per tipologia, ma era di dimensione comunitaria (l’acquisto
di BNL da parte di BNP Paribas), le altre erano fusioni per incorporazione escluse dall’ambito di
applicazione dell’atto unico. L’idea del legislatore era di accompagnare l’attività antitrust con
l’esperienza della Banca d’Italia, idea che adesso viene ipotizzata potersi attuare con lo strumento del
parere di Banca d’Italia sulle concentrazioni bancarie valutate dall’Autorità ai sensi della disciplina sul
controllo delle concentrazioni. Il parere riesce forse a rispondere maggiormente a questa necessità, più
dell’atto unico.
L’atto unico, però, ha portato ad una collaborazione necessitata; per la prima volta in un anno ci si è
consultati su tutti i procedimenti, si è cercato di sincronizzare la tempistica, accorciando, come è stato
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AGNOLI BERNARDI e ASSOCIATI
Studio Legale
ricordato, la tempistica dei procedimenti antitrust per consentire una armonizzazione con i
procedimenti della Banca d’Italia.
Tali procedimenti hanno acquisito maggior trasparenza (con la pubblicazione dell’atto unico e degli
atti allegati) e hanno anche avuto una maggior certezza temporale, nonostante che per la Banca d’Italia
siano previste espressamente dalla disciplina cause di sospensione, e cause di interruzione dei termini.
Per l’antitrust ci sono solo cause di interruzione in assenza di informazioni complete. Ma comunque è
stato un esperimento. Oggi effettivamente sono state introdotte con le ultime modifiche normative
quelle deroghe che sono state ricordate all’inizio da Ginevra Bruzzone. Io direi; si faccia una scelta o il
parere o le deroghe. Forse nel parere si possono anche ricomprendere le deroghe, così che alla Banca
d’Italia si può dare la possibilità di esprimersi ai fini della stabilità sia sui casi ordinari, sia sui casi
straordinari.
Ma nell’ultimo minuto non mi sottraggo ad un ulteriore tema che è stato in qualche modo ventilato
sullo sfondo dal Presidente. La questione degli intrecci e la questione dell’attenzione allo scrutinio
antitrust, non solo analisi dei mercati rilevanti ma dell’impatto della operazione, la proporzionalità degli
impegni e delle misure.
Ecco, lo sforzo che ha fatto l’antitrust con i suoi mezzi limitati è stato quello di una attenta
definizione dei mercati; si è cercato di modificare (tenendo conto comunque dei precedenti
dell’Autorità e di Banca d’Italia), di rivedere le definizioni di mercato.
Sulle altre aree oggi l’interazione è piena e quindi, mentre si analizza un’operazione di concentrazione
bancaria, si scopre che tramite tale operazione si mettono insieme altresì due compagnie assicurative di
grande rilievo, una delle quali è altresì azionista della nuova entità bancaria. Ma questo è un tema su cui
molto si è scritto, io credo che quando ci sono degli intrecci, dei legami, strutturali e personali, lo
scrutinio antitrust debba essere più attento, e in alcuni casi, anche più rigoroso, qualora i legami non
vengano sciolti o allentati dalle parti.
Prof. Roberto Pardolesi
Allora, Signori, per il vostro disappunto nello scoprire che è cambiata la presidenza, nel verificare che
non somiglio al Prof. Giuliano Amato, ma non di meno, vi tocca e a questo punto posto che
nonostante gli sforzi onorevoli dei relatori, siamo lunghi, mi sembra assolutamente necessario cercare di
concentrarci sulla tabella di marcia molto stretta che no ci evita, peraltro, di apprezzare l’opportunità
che ci viene dall’intervento di Monsieur Bruno Lasserre, che è il Presidente del Consiglio della
Concorrenza Francese che ci apre una finestra, come sempre, molto grato sull’esperienza transalpina.
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Studio Legale
Monsieur Bruno Lasserre - La pleine applicabilité du droit de la concurrence au secteur
bancaire en France
I. La pleine applicabilité du droit de la concurrence au secteur bancaire ne fait plus de doute
La pleine applicabilité du droit de la concurrence au secteur bancaire est récente. Au plan
communautaire, elle n’a été affirmée qu’au début des années 1980 (CJCE, 14. juil. 1981, Züchner).
Jusqu’à cette date, beaucoup d’opérateurs du secteur considéraient que leurs activités relevaient de
l’exception prévue par l’art. 86, para. 2, du traité CE en faveur des entreprises accomplissant une
mission de service public.
En France, le secteur n’est du ressort des autorités de concurrence que depuis le milieu des années
1980, s’agissant du contrôle des pratiques anticoncurrentielles, et depuis le milieu des années 2000,
s’agissant du contrôle des opérations de concentration ; il a relevé jusqu’alors d’un régulateur sectoriel.
La banalisation du traitement du secteur bancaire par le droit de la concurrence est donc
intervenue tardivement, par étapes et non sans résistantes.
L’applicabilité du droit de la concurrence est acquise aujourd’hui. Toutefois, l’application qui en est
faite se présente sous un jour original en raison des particularités du secteur bancaire.
II. L’application du droit de la concurrence au secteur bancaire se présente sous un jour original .
Cette originalité tient pour beaucoup aux particularités du secteur, qui sont essentiellement de trois
ordres.
Certaines d’entre elles sont liées à l’organisation du secteur bancaire et à la nature des produits
bancaires ; à cet égard, l’expérience française ne se singularise pas outre mesure dans le paysages
européen.
D’autres tiennent à la régulation du secteur bancaire ; sous ce second aspect, l’expérience française
est peut-être un peu plus spécifique.
A.
Première particularité : le secteur bancaire est un secteur qui se parle
Le secteur bancaire est, en France comme dans d’autres Etats membres de la Communauté
européenne, un secteur qui se parle.
En effet, la profession bancaire est très organisée, et l’est de longue date. En France, cette
organisation a longtemps été marquée par la coexistence de deux frères ennemis, le secteur de la banque
commerciale et celui de la banque mutualiste; elle est aujourd’hui unifiée sous l’égide de la Fédération
bancaire française.
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AGNOLI BERNARDI e ASSOCIATI
Studio Legale
Cette situation est intéressante, parce qu’elle susceptible, selon les cas, d’être approuvée ou réprouvée
par le droit de la concurrence et par l’autorité chargée de veiller à son respect (ANNEXE 1 :
Interbancarité, normalisation et ententes).
1.
L’approbation : interbancarité et normalisation
Ce que le droit de la concurrence peut approuver, c’est que le secteur se parle en raison de la nature
des produits bancaires. Ceux-ci sont conçus pour être interopérables, autrement dit pour assurer l’unité
du marché – au niveau national en tout cas – et réaliser en même temps des économies de coût. Ce qui
peut évidemment, mais pas nécessairement, contribuer à l’efficience économique et maximiser le
surplus du consommateur.
Un exemple topique, et qui a constitué un temps l’essentiel de la pratique du Conseil de la
concurrence, est celui des moyens de paiement (ANNEXE 2 : interbancarité et normalisation).
Deux temps – et deux messages – peuvent être distingués dans l’approche de l’autorité française de la
concurrence.
a)
1er message : l’interbancarité peut être utile
– décision n° 89-D-15, du 3 mai 1989, relative au groupement des cartes bancaires « CB » ;
– décision n° 90-D-41, du 30 oct. 1990, relative au groupement d’intérêt économique des cartes
bancaires « CB » ;
– décision n° 92-D-64, du 1er déc. 1992, relative à des pratiques en matière de fixation des cotisations
annuelles à la charge des porteurs de cartes bancaires.
Dans ces trois décisions, le Conseil de la concurrence a, schématiquement, reconnu que l’existence de
moyens de paiement interopérables peut comporter un avantage pour le consommateur.
Toutefois, cette reconnaissance n’est pas inconditionnelle : la conception de ces moyens de paiement
reste une entente de prix. D’où l’obligation faite aux banques de prouver, par des éléments objectifs,
que la commission perçue lorsque les clients en font usage ne dépasse pas ce qui est nécessaire à
l’interopérabilité : garantie de paiement ; lutte contre la fraude ; et coût de gestion.
b)
2nd message : la normalisation peut constituer une alternative
– avis n° 03-A-17, du 18 sept. 2003, relatif à une demande de la CCLCV sur les conditions de
commercialisation du porte-monnaie électronique « Monéo » :« [L]e choix d’atteindre [la] compatibilité
interbancaire par la création de filiales communes n’était pas le seul possible et la coexistence de
systèmes concurrents mais utilisant une norme technologique commune afin d’assurer la compatibilité
de la lecture des cartes aurait pu être retenu » (point 61).
38
AGNOLI BERNARDI e ASSOCIATI
Studio Legale
L’unité du marché peut, en effet, être assurée par l’existence d’une norme commune, qui empiète
moins sur la concurrence.
Une même évolution du message est peut-être perceptible au niveau communautaire, le Conseil de la
concurrence ayant en quelque sorte ouvert la voie à la Commission : la décision de la Commission dans
l’affaire Visa était comparable aux premières décisions du Conseil dans les affaires GIE CB ; son
appréhension de l’affaire Mastercard, en cours, semble plus mitigée.
2.
La réprobation : la tentation du cartel
Ce que le droit de la concurrence doit, en revanche, réprouver, c’est que le secteur se parle pour
maximiser ses profits aux dépens du consommateur. Or, le forum de concertation nécessaire pour
assurer l’interopérabilité peut également servir de véhicule à un cartel.
Les exemples ne sont pas si fréquents, mais ils sont éloquents (ANNEXE 3 : ententes) :
– en droit interne : décision n° 00-D-28, du 19 sept. 2000, relative à la situation de la concurrence
dans le secteur du crédit immobilier : entente entre banques visant au maintien des parts de marché et à
la fixation des prix ⇒ amende supérieure à 1 milliard de francs français ;
– en droit interne : avis n° 01-A-13, du 19 juin 2001, relatif à une demande d’avis de l’UFC sur les
conditions d’une concertation entre les associations de consommateurs et la profession bancaire : mise
en garde contre une possibilité d’entente entre prestataires et consommateurs de services bancaires ;
– en droit communautaire : arrêt du Tribunal de première instance du 14 déc. 2006, Raiffeisen
Zentralbank Österreich e.a. / Commission : réseau historique et complexe d’ententes entre banques
concernant les principaux paramètres de la concurrence ⇒ amende de 124 millions d’euros).
Le cartel est d’autant plus répréhensible que le secteur, peut-être proche d’un modèle théorique de
concurrence (atomicité des acteurs, transparence), peut s’en éloigner en pratique :
– du côté de l’offre, par le monopole bancaire et ses trois fonctions (réception de fonds + crédit +
gestion des moyens de paiement). Cet élément est, dans une certaine mesure, propre à la France
puisque seule la première fonction est monopolisée dans d’autres Etats membres de la Communauté ;
– du côté de la demande, par le faible dynamisme de la clientèle (switching costs).
39
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Studio Legale
B. Deuxième particularité : le secteur bancaire présente un intérêt général
99% de la population française est bancarisée. Le service bancaire est indispensable à la vie
quotidienne. Le législateur en a donc fait, dans une certaine mesure, un service d’intérêt général.
Quelques exemples :
–
le droit au compte (apparu en 1998 et 2001) : la personne qu’une banque refuserait d’accepter
comme cliente est en droit de se tourner vers la Banque de France, qui peut désigner d’office la banque
qui lui assurera un service bancaire minimum ;
–
le reste à vivre : montant figurant au crédit du compte et ne pouvant être ponctionné en cas de
surendettement.
Tout naturellement, l’autorité de concurrence s’est à son tour préoccupée de cet aspect du secteur
bancaire (ANNEXE 4 : intérêt général):
–
avis n° 05-A-08, du 31 mars 2005, relatif à une demande d’avis de la CCLCV portant sur les
conditions dans lesquelles pourrait être envisagée la mise en place d’un service bancaire de base :
définition du domaine respectif de l’intérêt général et de la concurrence.
C. Troisième particularité : le secteur bancaire est l’épine dorsale du marché
1. Au plan communautaire
Compte tenu des objectifs impartis à l’Union européenne, la politique de concurrence est conçue à la
fois comme le complément de la politique du marché intérieur et comme une politique
autonome (ANNEXE 5 : enquête sectorielle 2005/2007 sur la banque de détail).
2. En France (comme dans les autres Etats membres)
Le secteur bancaire est l’épine dorsale de l’économie, qu’il finance. Cela se traduit par une limitation
du champ matériel de la concurrence, imposée par un épais corpus de règles prudentielles destinées à
prévenir le risque systémique. Exemple : impossibilité de prêter au-delà d’un certain ratio.
Cela s’est aussi traduit par une limitation du contrôle de l’autorité de la concurrence, au profit de
l’autorité prudentielle. Exemple : le contrôle des concentrations.
Toutefois, cela ne signifie bien évidemment pas que le Conseil de la concurrence n’a pas son mot à
dire ; seulement, son intervention revêt la forme d’une consultation dans le cours de la procédure. Des
passerelles sont en effet aménagées qui permettent au Conseil de fournir son avis à … dans le cadre de
la phase 1 de la procédure, et au CECEI dans le cadre de la phase 2 de cette même procédure.
Encore faut-il, bien sûr, qu’il y ait une phase 2. Or, en raison du faible nombre de phases 2, le
Conseil a, en pratique, davantage l’occasion de travailler en commun avec la Commission bancaire
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AGNOLI BERNARDI e ASSOCIATI
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qu’avec le CECEI. On peut le regretter, tant il est dans l’intérêt de toutes les autorités impliquées de
pouvoir échanger leurs points de vue et leur expérience, et finalement de participer à la création d’une
« culture de la concurrence » aussi riche et informée que possible.
Prof. Roberto Pardolesi
Mi sembra che da comparatista e quindi da cultore della ricerca della differenza delle convergenze,
Bruno Lasserre ci abbia dato un quadro particolarmente preciso di ciò che riusciamo a considerare
come deja vù nell’ambito dell’esperienza francese; quello che invece emerge nelle sue particolarità, in
particolare il delinearsi di una sorta di servizio universale ci colpiscono davvero, e ci aiutano ad allargare
i nostri orizzonti che adesso poi ci completa Jean Patrice de La Laurencie, che è Partner di White &
Case ma è in qualche modo molto connesso alla presentazione di Bruno Lasserre perchè è stato Vice
Direttore Generale dell’Autorità Francese della Concorrenza e quindi ci da una prospettiva, non
soltanto dal campo, ma anche da un angolo di visuale particolarmente significativa e autorevole.
41
AGNOLI BERNARDI e ASSOCIATI
Studio Legale
Avv. Jean Patrice de La Laurencie – Disciplina del controllo delle concentrazioni nel settore
bancario in Francia
È soprattutto in materia di controllo delle operazioni di concentrazione che il settore bancario
francese ha resistito più a lungo alla tendenza volta ad applicare in maniera uniforme il diritto della
concorrenza in tutti i settori economici. La Francia ha preceduto di ben poco l’Italia nell’abrogazione
della disciplina che prevedeva regole particolari per l’applicazione della disciplina antitrust nel settore
bancario. Tale scelta è stata adottata, in Francia, con la promulgazione della legge del 1° agosto 2003,
mentre in Italia si è proceduto in tal senso con la legge del 4 agosto 2006: con solo tre anni di
differenza. Il leggero anticipo di cui ha goduto l’esperienza francese consente di formulare tre
osservazioni che vorrei portare alla vostra attenzione e che possono fungere da base per un istruttivo
esercizio di diritto comparato:
•
La battaglia di retro-guardia che ha condotto all’abbandono della disciplina derogatoria prevista
per le banche ha messo in luce le difficoltà legate alla necessità di adottare comunque un trattamento
specifico proprio per le banche.
•
L’applicazione della disciplina generale delle operazioni di concentrazione nel settore bancario,
avviata tre anni fa, non si è rivelata per nulla problematica.
•
La procedura può contare sul vantaggio della semplicità in Francia rispetto all’Italia.
•
Svilupperò in dettaglio queste tre osservazioni.
1.
La battaglia di retro-guardia per mantenere l’eccezione bancaria ha messo in luce le
difficoltà legate al mantenimento di un trattamento specifico.
Prima della riforma del 2003 le operazioni di concentrazione nel settore bancario non hanno
suscitato alcun interrogativo in Francia finché il loro numero si è mantenuto su livelli contenuti. Tale
situazione è proseguita fino alla fine degli anni 90, in Francia come in Italia.
Le difficoltà sono emerse in modo evidente quando la prima banca francese, il Crédit Agricole, ha
voluto rilevare il quarto istituito del paese, il Crédit Lyonnais, a fronte delle contestazioni mosse dalla
seconda banca nazionale, BNP Paribas…
La situazione si è evoluta in quattro fasi.
•
1° fase : la constatazione della scarsità e della dispersione degli strumenti giuridici preposti al
controllo dell’operazione
−
Il controllo del diritto comune non sembrava applicabile, dal momento che la legge
bancaria aveva escluso le attività bancarie e correlate dall’applicazione della disciplina sul controllo sulle
42
AGNOLI BERNARDI e ASSOCIATI
Studio Legale
operazioni di concentrazione previste dal diritto comune (legge bancaria del 1984, confermata
dall’Ordinanza del 1986 sulla concorrenza e dalla legge sui nuovi rapporti economici – NRE – del 1°
agosto 2001).
−
Il Ministero dell’Economia ha tuttavia espresso l’auspicio di ricorrere al controllo di
diritto comune per le attività secondarie della banche, che non erano oggetto di esclusione. È stata
pertanto emessa una decisione (di autorizzazione) in data 28 gennaio 2003, che sfiorava però il ridicolo,
dato che interessava solo il 5% delle attività delle banche in questione (locazione di cassette di sicurezza,
partecipazioni industriali, attività immobiliari e assicurative). Il Ministro ne era pienamente cosciente,
tanto che la decisione precisava che l’esame vero e proprio dei problemi in materia di concorrenza
« sarebbe stato svolto in altra sede ».
−
La “sede” in questione era il CECEI (il comitato degli istituti di credito e delle società
di investimento), un ente normativo specializzato nel sistema bancario, che riteneva di poter esaminare,
oltre agli aspetti di natura prudenziale e di equilibrio del sistema bancario, anche gli aspetti
dell’operazione legati alla concorrenza, sebbene nessun testo gli conferisse espressamente tale potere.
•
2° fase : il CECEI si attribuisce pieni poteri e decide di concedere un’autorizzazione con
impegno sulla falsa riga della procedura di diritto comune.
Incitato dagli oppositori dell’operazione e dal Ministro dell’Economia a pronunciarsi, il CECEI ha
deciso di ricorrere ai propri poteri in materia di “corretto funzionamento del sistema bancario” per
trattare esplicitamente gli aspetti del caso legati alla concorrenza: audizione delle parti e di terzi,
decisione di autorizzazione condizionata.
Tale decisione è stata strutturata come una decisione classica, correlata dalla definizione dei mercati
interessati, dell’equilibrio concorrenziale e dalla predisposizione di “rimedi”, vale a dire la cessione di 85
sportelli e il divieto di aumentare il numero degli sportelli nei 18 dipartimenti “... per garantire il
mantenimento di un grado sufficiente di concorrenza sul mercato del Retail Banking” (decisione del 13
marzo 2003, pubblicata sulla Gazzetta ufficiale del 26 marzo 2003).
Una strizzatina d’occhio all’Italia, adesso: per la definizione geografica dei mercati interessati e per i
disinvestimenti, il CECEI ha tratto ispirazione, in particolare, da precedenti italiani provenienti dalla
Banca d’Italia (Banca Intesa/Banca Commerciale Italiana del 1999 e Credito Italiano/Unicredito del 1998).
•
3° fase : l'annullamento della decisione del CECEI da parte del Consiglio di Stato.
L’annullamento è stato disposto a seguito del ricorso promosso dai sindacati delle banche interessate,
con procedura per direttissima, mediante decreto del 16 maggio 2003.
La motivazione è molto semplice: il “.... corretto funzionamento del sistema bancario” non può
essere interpretato in modo tale da conferire al CECEI un potere normativo in materia economica in
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AGNOLI BERNARDI e ASSOCIATI
Studio Legale
assenza di alcuna disposizione normativa che conferisca tali poteri: arrecare pregiudizio alla libertà del
commercio e dell’industria è una fattispecie non vietata esplicitamente da alcune norme di legge non
espressamente previsto per legge.
•
4° fase : il governo reagisce con grande rapidità e il Parlamento adotta, sin dal 1 agosto
2003, una disposizioni di legge tesa ad assoggettare gli istituti di credito alla disciplina generale sul
controllo delle operazioni di concentrazione, tale disciplina prevede
semplicemente l’obbligo di
consultare il CECEI per parere.
2.
L’applicazione del diritto comune di controllo delle operazioni di concentrazione alle
banche, avviata tre anni fa, non si è rivelata per nulla problematica.
•
Già un considerevole numero di operazioni controllate
In soli tre anni di applicazione le decisioni adottate inerenti il settore bancario sono già 17. Si tratta di
un dato di non trascurabile portata, ma dobbiamo altresì ammettere che non si sono registrate
operazioni di ampio respiro come la concentrazione Crédit Agricole/Crédit Lyonnais in Francia nel
2003 o la recentissima fusione Banca Intesa/San Paolo IMI in Italia.
Si è trattato essenzialmente di una serie di rettifiche di confini, di diversificazioni delle attività di
alcune banche o di raggruppamenti di banche di dimensioni ancora ridotte. Tutte queste operazioni
sono state oggetto di un’autorizzazione in fase 1, senza alcun “rimedio” (quindi, in Francia, senza
consultazione del Consiglio per la concorrenza, che interviene solo nella fase 2).
Il fatto che ogni anno, in Francia, si registrino più di 5 operazioni di concentrazione è segno evidente
del fermento che caratterizza il settore. E non sono certo necessarie doti da profeta per prevedere che
nei prossimi anni anche l’Italia sarà interessata da un numero equivalente di operazioni.
Sebbene non vi siano stati problemi di sorta – e nemmeno la benché minima contestazione – è
comunque interessare osservare (dal momento che si vengono a creare utili precedenti per voi) che il
controllo delle operazioni di concentrazione è stato più approfondito rispetto al passato in due ambiti:
la suddivisione del settore in “mercati interessati ” e la griglia di analisi dell’equilibrio concorrenziale.
•
Per quanto concerne la definizione dei mercati interessati
E’ vero, abbiamo constatato una netta tendenza a una suddivisione sempre più approfondita e
dettagliata – una tendenza, peraltro, alquanto generalizzata tra le autorità in materia di concorrenza.
Non mi soffermerò sui dettagli riguardo le modalità di definizione dei mercati , ma mi limiterò a
precisare che oggi è possibile contare un centinaio di mercati interessati nelle attività degli istituti di
credito e porterò 2 esempi di segmentazione particolarmente significativi:
−
L’attività di banca di finanziamento e di investimento, già di per sé risultante da una
frammentazione dei servizi bancari, è stata ulteriormente segmentata in 17 mercati. Per esempio, il
44
AGNOLI BERNARDI e ASSOCIATI
Studio Legale
sotto-segmento delle transazioni sui mercati finanziari è stato a sua volta suddiviso in quattro:
« secondario azioni », « derivati azioni » e arbitraggio, operazioni sui tassi e obbligazioni, operazioni di
cambio (decisione del 10 agosto 2006, NatIxis).
−
All’interno del comparto credito al consumo ha fatto il suo ingresso una nuova distinzione
(nemmeno Bruxelles l’aveva ancora scovata…), tra credito sottoscritto direttamente presso un banca e
credito sottoscritto presso il luogo di vendita. Quest’ultimo è stato a sua volta ulteriormente suddiviso
in mercato a monte e mercato a valle… (decisione BNP/Galeries Lafayette del 1° luglio 2005).
•
Per quanto concerne la griglia di analisi dell’equilibrio concorrenziale
−
Mi limiterò a citare l’applicazione al settore bancario della teoria dei rischi di effetti
coordinati (o di rafforzamento della posizione dominante collettiva) e quella dei rischi di
coordinamento dei comportamenti commerciali.
−
Il rischio di rafforzamento della posizione dominante collettiva è stato esaminato in
particolare nella decisione NatIxis del 10 agosto 2006. Tale rischio è emerso in particolare sui mercati
dei crediti alle imprese per investimenti, in cui NatIxis e Crédit Agricole deterrebbero, congiuntamente,
una quota di mercato superiore al 50%, e sul mercato dei depositi a custodia, in cui NatIxis e altre due
banche (BNP Paribas e Société Générale) avrebbero, insieme, più dell’80% del mercato.
Tuttavia, in entrambi i casi, il Ministro ha deciso che non si osservava alcun problema in termini di
concorrenza a fronte dell’eterogeneità dei prodotti, dell’instabilità delle quote di mercato, dell’esistenza
di un significativo potere dal lato della domanda e della presenza di qualificati concorrenti, effettivi o
potenziali.
−
La valutazione del rischio di coordinamento dei comportamenti commerciali, di rara
applicazione in generale, è interessante considerato che, come sapete, le banche hanno svariati interessi
incrociati, con partecipazioni di minoranza o joint-venture.
L’analisi di questo rischio è stata effettuata, per esempio, nella stessa decisione NatIxis, in cui le due
capogruppo, Groupe Caisse d’Epargne e Groupe Banques Populaires, mantenevano attività
indipendenti ma concorrenti rispetto alle loro nuova partecipata comune, NatIxis, su vari mercati
interessasti in diversi dipartimenti o territori d’oltre-mare: crediti alle imprese per investimenti, prestiti
immobiliari alle imprese, finanziamenti a breve termine, risparmio bancario delle imprese… Tuttavia, il
Ministro ha osservato che il caso specifico non presentava rischi, dal momento che i prodotti non erano
omogenei, le condizioni di prezzo non erano trasparenti e i due gruppi erano soggetti ad un sufficiente
livello di concorrenza.
3.
−
La procedura può contare sul vantaggio della semplicità
Intervento ridotto dell’autorità bancaria
45
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−
In Francia il sistema risulta essere ben più semplice rispetto a quanto adottato di recente in
Italia: l’unica regola specifica riguarda la consultazione del CECEI (per certi versi equiparabile al
controllo di Banca d’Italia) e, oltre tutto, non risulta particolarmente gravosa, dal momento che la
consultazione è obbligatoria solo in fase 2, quando ci si rivolge al Consiglio per la concorrenza. Ciò
non è ancora accaduto dopo 17 decisioni adottate dall’entrata in vigore del nuovo regime,…
•
Ho osservato come la legge italiana (legge sulla riorganizzazione del credito num. 262/2005
del mese di dicembre 2005) si sia spinta molto più in là, prevedendo addirittura una decisione congiunta
della Banca d’Italia (in ragione del suo compito di tutela della stabilità del sistema bancario ) e
dell’Autorità per la concorrenza (in ragione del suo compito di controllo delle operazioni di
concentrazione), con un sistema di rimandi e addirittura di «stop the clock» tra le due istituzioni. Si
tratta di un fattore che, naturalmente, allunga i tempi della procedura, come si è constatato per
un’operazione di concentrazione che ha interessato una banca francese in Italia (in Francia, invece, in
fase 1, come per ogni altro settore, spetta solo al Ministro decidere e procede in tal senso entro 5
settimane; in fase 2, il CECEI emette un parere, non vincolante, per il Consiglio per la concorrenza).
•
Ma il recente emendamento come descritto dalla Dottoressa Bruzzone dell’Assonime ha
inteso eliminare questo pesante sistema di decisione congiunta.
•
Altra differenza: Ai sensi della legge italiana del mese di dicembre 2005, il controllo delle
operazioni di concentrazione applicabile al settore bancario ha vocazione a estendersi a qualunque
operazione di acquisizione di una partecipazione pari almeno al 5% del capitale in una banca italiana,
indipendentemente dall’acquisizione o meno del controllo sulla stessa.
•
Tale disposizione è stata accolta con sorpresa in Francia, paese in cui, per valutare il regime
di controllo delle operazioni di concentrazione, come previsto peraltro dall’ordinamento comunitario e
dal diritto della maggior parte dei paesi europei, si applica solo il controllo derivante dall’esercizio di
un’influenza preponderante. Anche su tale punto occorre plaudire all’intervento correttivo che ha
chiesto come tale limite percentuale non riguardi la disciplina antitrust sul controllo della
concentrazione.
Da rilevare infine come il coinvolgimento dell’Autorità antitrust già in fase 1 agevola un giudizio
maggiormente indipendente rispetto al sistema francese.
A titolo di conclusione, vorrei formulare solo due constatazioni:
−
da una parte risulta evidente che l’attuale sviluppo del diritto della concorrenza
conduce logicamente, per ragioni pratiche nonché di scelta di politica economica, a una applicazione
uniforme del diritto antitrust anche al settore bancario, a cui né la Francia né l’Italia possono infatti
sottrarsi ad un regime coerente con i principi dell’Unione europea;
46
AGNOLI BERNARDI e ASSOCIATI
Studio Legale
−
dall’altra, il costante miglioramento delle procedure in questo ambito del diritto della
concorrenza, in termini di efficacia e rapidità, ha erodotto inevitabilmente a una revisione della
disciplina in vigore nei nostri due paesi, il che comporta la necessità di monitorare, vigente la nuova
disciplina, come si articolerà il rapporto Autorità antitrust/Banca d’Italia, e che effetti avrà tale relazione
avrà sulla tempistica delle procedure di un progetto di modifica della legge italiana del dicembre 2005
per quanto attiene alla questione del controllo delle operazioni di concentrazione applicato alle banche.
Jean Patrice de La Laurencie e il Presidente Bruno Lasserre ci hanno fatto apprendere tutto quello
che avremmo voluto sul sistema francese e a loro va il nostro ringraziamento. Una nota particolare va a
Jean Patrice per aver introdotto questa finezza tutta esagonale in un suo splendido eloquio italiano.
Abbiamo molto apprezzato.
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Avv. Luciano Vasques – Partecipazione incrociate di minoranza e concorrenza nel settore
bancario
1. Premessa
Il tema delle partecipazioni di minoranza nel settore bancario riveste un notevole interesse tenuto
conto della maggiore attenzione che gli organi a tutela della concorrenza stanno prestando proprio ai
mercati bancari.
Tradizionalmente gli intrecci azionari nel settore bancario hanno consentito ad un gruppo ristretto di
operatori di controllare in qualche modo la stabilità del sistema bancario nazionale rendendo più
difficoltosa la scalabilità degli istituti di credito e agevolando l’intervento in chiave di salvataggio di
istituti di credito in crisi.
Il meccanismo della partecipazione incrociata ha anche favorito forme di aggregazione tra banche di
minore dimensione (si pensi agli istituti di credito cooperativo), agevolando meccanismi di condivisione
del rischio. Le luci e le ombre di tali sistemi di intreccio azionario sono stati sempre valutati nell’ambito
delle esigenze di stabilità del sistema bancario nazionale (13).
Un nuovo elemento rischia tuttavia in qualche modo di scompaginare un equilibrio che è il frutto di
una lunga stratificazione storica, mi riferisco in particolare, alla maggiore presenza degli organi a
presidio della concorrenza proprio nel settore bancario.
Un più elevato livello di attenzione lo si registra innanzitutto a livello comunitario; la recente indagine
conoscitiva della Commissione che tocca i punti più importanti del settore bancario (retail banking,
sistemi di pagamento) ne è un importante sintomo.
Ma quel che interessa ai nostri fini è l’attenzione della Commissione alle difficoltà, per operatori non
nazionali, di entrare, tramite i meccanismo dell’acquisizione di operatori nazionali, nel mercato bancario
di uno stato membro. Tale rilevo evidenzia, sottolinea la Commissione, l’esistenza di artificiali barriere
all’accesso collegabili alla difficoltà di acquisire il controllo di una banca.
Le partecipazioni incrociate, potrebbero innanzitutto avere un ruolo nell’ambito della stabilità del sistema quando la
partecipazione tra varie banche può in un certo senso favorire una sorta di distribuzione del rischio di impresa e tra le varie
imprese bancarie, infatti se molte altre banche hanno partecipazioni di minoranza reciproca, se una banca dovesse trovarsi in
difficoltà, le altre avrebbero un significativo incentivo a salvare la banca in crisi. Un altro elemento che può porsi a
fondamento della giustificazione degli incroci azionari nasce dall’esigenza di rendere più stabili le imprese da possibili scalate.
Questo chiaramente non è un aspetto che merita eccessiva tutela, anche se una facile scalabilità delle imprese può anche
provocare una instabilità degli istituti bancari ( ma per converso la scalabilità è un indubbio incentivo all’efficienza). Gli
incroci azionari nell’ambito delle piccole banche può essere un importante strumento di consolidamento di piccole realtà
bancarie operanti a livello locale.
13
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Studio Legale
Tali artificiali barriere all’entrata nei mercati nazionali sono il frutto sia delle specifiche disposizioni di
corporate governance nazionali, sia dei limiti posti dalla regolazione nazionale a tutela della stabilità, sia
dall’intreccio dei legami azionari che rende essenziale il placet di molti soggetti prima che un operatore
straniero possa acquisire il controllo di una banca nazionale.
Se il placet per l’ingresso di un operatore straniero in un mercato bancario nazionale deve essere
espresso da banche che operano nel medesimo contesto geografico e che dispongono di partecipazioni
di minoranza proprio nella società bancaria “bersaglio” di un gruppo straniero, è evidente che proprio
tali intrecci azionari possono essere visti come una delle principali cause di limitazione all’accesso al
mercato bancario nazionale da parte di operatori stranieri.
Tale fenomeno non riguarda solo l’Italia, ma tutti gli stati membri, si pensi, tanto per esemplificare, al
sistema bancario tedesco.
Ma se ci spostiamo da Bruxelles ed andiamo a Roma, emerge come il clima stia cambiando anche da
noi. Un primo fattore davvero importante, dopo le note vicende relative ai recenti scandali che hanno
condotto alle dimissioni del Governatore della Banca d’Italia Fazio, riguarda la dichiarata nuova politica
della Banca d’Italia enfatizzata dal Governatore Draghi, consistente in una maggiore apertura, verso
acquisizione di banche italiane da parte di operatori stranieri e verso la tendenza a processi concentrativi
tra banche nazionali che dovrebbe rendere meno polverizzato il panorama delle banche nazionali,
creandosi campioni italiani in grado di competere con le ben più strutturate realtà bancarie
internazionali. Un segnale importante che prelude a nuove acquisizioni e dunque, ad un vaglio antitrust
nell’ambito della disciplina delle operazioni di concentrazione.
Ma l’aspetto di maggior rilievo è da individuare nel passaggio di competenze in materia antitrust dalla
Banca d’Italia all’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato (“Autorità”). Non si vuole certo
fare intendere che il secondo organismo sia migliore del primo, ma solo rilevare come i funzionari di
Piazza Verdi sono più sensibili alle problematiche concorrenziali, mentre i colleghi di via Nazionale, per
estrazione culturale, sono più avvezzi alle problematiche di stabilità.
Non è dunque un caso che nell’ambito del processo concentrativo che interessa ed interesserà il
settore bancario nazionale, l’Autorità in modo forse inedito ha prestato e presterà grande attenzione alle
eventuali partecipazioni incrociate tra operatori bancari spingendosi anche oltre, analizzando settori
limitrofi quale l’assicurativo che, sovente per prodotti a maggiore contenuto finanziario, tendono
sempre di più a poggiarsi alle banche tramite accordi c.d. di bancassurance per la distribuzione.
Tenuto conto di tali importati cambiamenti, con il presente intervento si vuole svolgere alcune
considerazioni sul futuro dell’intreccio di partecipazioni nel mercato bancario in Italia ed, in particolare,
valutare se l’unico rimedio delle partecipazioni incrociate (o partecipazioni in imprese comuni) è la
49
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dismissione ovvero se è possibile individuare dei rimedi che, salvate le preoccupazioni di diritto della
concorrenza, possano comunque consentire il mantenimento di tali partecipazioni. Con il presente
intervento si tenterà di dare alcune risposte a tali problemi.
2. Acquisti di partecipazioni di minoranza e intese restrittive. La partecipazione incrociata di
minoranza è per se illecita da un punto di vista del diritto della concorrenza?
Un primo importante aspetto da chiarire è se la partecipazione di minoranza in una società
concorrente possa rilevare o comunque essere sintomo di per sé di una violazione delle norme di cui
agli art. 81 e/o 82 del Trattato (14) ovvero delle omologhe disposizioni nazionali (art. 2 e 3 l. 287 del
1990).
Dall'analisi della giurisprudenza comunitaria emerge che la prova di un'intesa non può evincersi tout
court dall'acquisizione di un pacchetto di minoranza, ma da altre tipologie di indizi che, associati
all'acquisto di una partecipazione di minoranza di un'impresa concorrente, ovvero di una società posta a
monte od a valle del processo produttivo nel quale è inserita l'impresa acquirente, possono evidenziare
un illecito anticompetitivo (15).
Tali indizi rappresentano, tuttavia, solo il punto di partenza da cui muovere per provare gli intenti
ovvero gli effetti restrittivi dell'operazione entro cui si iscrive l'acquisto della partecipazione di
minoranza.
E' quindi necessario svolgere un attenta valutazione dei fatti che accedono all'acquisto delle
partecipazioni (16). Un primo indizio dal quale ovviamente partire consiste nell'accertare se l'acquisto
della partecipazione di minoranza riguarda società in qualche modo inserite nell'ambito delle dinamiche
concorrenziali entro cui è coinvolta l'impresa acquirente (17). Se ad esempio due banche operano in
14 Sul punto si rinvia a HAWK-HUSER, "Controlling" the Shifting Sands: Minority Shareholdings under EEC Competition Law, Fordham Int.Law
Jour.,vol. 17, 1994, p. 305.
Corte di Giustizia, sentenza del 17 novembre 1987, British American Tobacco Company Ltd e Reynolds Industries , Inc - cause
riunite 142 e 156/84; ECR, 1987, 4487; Foro it, 1989, IV, c.54, con nota di CORNETTA, La Corte di Giustizia delle Comunità
europee e il controllo delle concentrazioni: la difficile lezione americana.
15
La Corte di Giustizia, nel caso citato alla nota precedente ha affermato che per poter valutare eventuali effetti
anticoncorrenziali connessi l'acquisto, da parte di un'impresa, di una partecipazione di minoranza in un'impresa concorrente
che non conferisce il controllo di quest'ultima, occorre accertare se, l'acquisto si inquadri nell'ambito di una più ampia
collaborazione commerciale fra le imprese la possibilità che l'accordo in questione faccia parte di una politica di
collaborazione a più ampio raggio tra le imprese aderenti (dec. 26 ottobre 1994, Rif. I/114, Parmalat/Granarolo Felsinea, Boll.,
1994, n.43).
16
In particolare, la Commissione, nel caso Gillette (decisione della Commissione del 10 novembre 1992 (dec. 10.11.1993,
93/252 CEE, IV/33.440, Warner-Lambert/Gillette e altri e IV/33.486 BIC/Gillette e altri, GU e n. L 116 DEL 12/05/93
p.21) ha dato particolare risalto, nell'ambito della valutazione delle conseguenze anticoncorrenziali connesse all'operazione,
agli effetti potenziali di una serie di accordi di natura accessoria .
17
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mercati del tutto diversi sotto il profilo geografico o dei prodotti finanziari offerti e non è verosimile
che tali banche entreranno tra loro in concorrenza, con la conseguenza che una partecipazione
incrociata il linea di principio non dovrebbe dare luogo ad alcun tipo di preoccupazione sotto il profilo
antitrust.
2.1 Partecipazioni di minoranza e scambio di informazioni sensibili
Se la partecipazione di minoranza riguarda un concorrente, occorre svolgere ulteriori verifiche;
maggiori preoccupazioni sussistono infatti se la società partecipante, in qualunque modo, grazie al
pacchetto di azioni di cui viene in possesso, si venga a trovare nelle condizioni di accedere ad
informazioni commerciali della società partecipata che possano favorire la uniformazione di
comportamenti concorrenziali.
Da un punto di vista antitrust si teme che la presenza di amministratori nominati da concorrenti
possano in un qualche modo favorire la condivisione tra concorrenti di decisioni di gestione, e
soprattutto favorire lo scambio di informazioni idoneo a favorire un comportamento di natura
coordinata, specie se il mercato si presenta con determinate caratteristiche (ad esempio un oligopolio o
comunque un mercato con un elevato livello di concentrazione).
La preoccupazione delle partecipazioni incrociate è stata oggetto di specifica disciplina negli Stati
Uniti dove, è vietata la compresenza di medesimi directors negli organi decisori di banche aventi
determinate caratteristiche dimensionali (sezione 8 del Clayton Act) (18).
Sul punto assumono rilievo patti di natura parasociale o, comunque, norme di corporate governance che
consentano ad un concorrente la nomina di uno o più membri nell’ambito del consiglio di
amministrazione. La presenza di tali consiglieri può facilitare l’acquisizione di delicate informazioni sulla
gestione della società partecipata, con il rischio di possibili parallelismi consci di comportamento, rischi
che appaiono ancor più elevati se trattasi di partecipazioni incrociate con facoltà reciproca di nomina
degli amministratori.
18 L’aspetto di maggior interesse nella disciplina americana, è che per banche di una certa dimensione che operano su tutto o
gran parte del territorio statunitense, il legislatore prevede dei limiti molto rigidi in termini cumulo di cariche considerando
non solo gli amministratori ma anche gli stessi dipendenti. Quindi una normativa che avverte proprio nel settore bancario
come il rischio della compresenza di amministratori o dirigenti in più banche possa favorire forme di collusione. Il cumulo
di cariche fa presumere una sorta di violazione per sé della disciplina posta a tutela della concorrenza. Da rilevare tuttavia
come il cumulo di cariche non riguardi le piccole realtà locali che operano in mercati geografici distinti, e dove forme di
coordinamento producono solo vantaggi in termini di efficienza (sul punto si rinvia a GHEZZI-MAGNANI, Banche e
Concorrenza, Egea, Milano, 1999, 64 ss.).
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AGNOLI BERNARDI e ASSOCIATI
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Se per ipotesi due banche legate da intrecci azionari dispongono della facoltà reciproca di nomina di
amministratori, è avvertito il rischio che tali consiglieri possano essere utilizzati come strumento di
scambio di informazioni in funzione collusiva o comunque anticompetitiva.
Sul punto occorre tuttavia evidenziale che ai fini della prova di un eventuale illecito (ad esempio un
parallelismo conscio su certe condizioni contrattuali in violazione dell’art. 81 Tratt.) non basta provare
la partecipazione di minoranza, occorrendo ulteriori evidenze che supportano la prova della collusione
(ad esempio prova di un sistematico scambio di informazioni supportato da evidenze documentali,
ovvero forme di parallelismo concorrenziale che trovano giustificazione solo in presenza di una
collusione etc.), considerato che gli amministratori, per quanto nominati dalla minoranza, hanno
comunque doveri fiduciari che si sostanziano nell’obbligo di non disvelare a terzi informazioni di natura
commercialmente sensibile. In breve non si può di certo presumere la scorrettezza degli amministratori,
questa va adeguatamente dimostrata.
2.2. Partecipazioni di minoranza ed accordi di natura commerciale (gli accordi bancassurance)
Una partecipazione di minoranza potrebbe sollevare problematiche di natura concorrenziale se
l'acquisto delle partecipazioni si inquadri entro più vasti accordi di collaborazione commerciale. Un
ruolo molto importante in tali di valutazioni può essere, pertanto, svolto dal contenuto ovvero dagli
effetti di eventuali accordi di collaborazione che accedono all'acquisto delle partecipazioni. Sarà, inoltre,
necessario accertare se la partecipazione possa produrre un consistente effetto anticoncorrenziale nei
mercati coinvolti (6). Nel settore bancario sono molto frequenti forme di partecipazione incrociata
ovvero la costituzione di imprese comuni con società assicurative che accedono ad accordi c.d. di
bancassurance.
Come noto il settore bancario e dei promotori finanziari rappresenta oggi un importante canale di
sbocco per molti prodotti assicurativi, per cui la partecipazione di minoranza di un assicurazione in una
banca o viceversa può inquadrarsi nell’ambito di più ampi rapporti di collaborazione legati alla
distribuzione di prodotti assicurativi per il tramite del canale bancario.
Questa tipologia di accordi non pone immediatamente un problema di concorrenza nel mercato
bancario ma rischi di foreclosure a danno di altre compagnie di assicurazioni che intendano entrare nel
mercato per il tramite del canale bancario.
Di regola se un gruppo assicurativo entra, per il tramite di una propria controllata, nel capitale di una
banca nel contesto di un accordo bancassurance, tale gruppo assicurativo di norma richiede la presenza di
uno o più amministratori che abbiano poteri di decisione quantomeno sulle questioni che rigardino o
che possano comunque influire sull’accordo medesimo. Ovviamente se tale accordo produce l’effetto di
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restringere in modo consistente l’accesso al mercato, una autorità antitrust potrebbe obiettare riguardo la
liceità dell’operazione. Sul punto un ruolo fondamentale viene svolto dalle quote di mercato della banca
e della compagnia di assicurazione. Assume inoltre rilievo se sussistono rapporti di esclusiva ovvero se
esistono possibili sistemi alternativi di distribuzione che escludono un rischio di foreclosure a danno di
concorrenti attuali e potenziali (altre banche od altri canali distributivi pienamente comparabili). Rileva
inoltre se accordi di natura verticale del genere (magari con esclusive) siano stati adottati da altre banche
e compagnie di assicurazione, di modo che si possa ipotizzare una chiusura del mercato che sia l’effetto
cumulativo di diversi accordi di natura similare.
2.3. Limiti al mercato del controllo delle imprese nazionali (cenni)
Un’ulteriore ipotesi di violazione dell’art. 81 potrebbe ipotizzarsi quando le partecipazioni incrociate
tra banche e i patti di sindacato consequenziali vengano coscientemente utilizzati per impedire l’accesso
di gruppi esteri (o comunque operatori non graditi) nell’ambito del mercato nazionale. Questa ulteriore
ipotesi, che sembra emergere da alcune dichiarazioni recentemente rese dalla Commissaria europea alla
concorrenza, fa ipotizzare nuovi orizzonti di intervento del diritto antitrust nel c.d. mercato del
controllo e nella costruzione di ipotesi di creazione di barriere all’accesso dei vari mercati bancari
nazionali tramite forme di comportamento coordinato degli aderenti ai patti parasociali.
La creazione di nuove banche non è certamente la strategia più semplice per accedere al mercato
bancario nazionale. Lo strumento più adeguato consiste nell’acquisizione di realtà nazionali preesistenti.
Ma se le banche nazionali, tramite partecipazioni sulla banca target, consciamente osteggiamo l’ingresso
di gruppi stranieri concorrenti con manovre volte a scongiurare l’acquisto ovvero la scalata della società
da parte di operatori non graditi (nel caso in cui quest’ultima sia quotata) quid juris? Si può ipotizzare un
comportamento orchestrato al fine di erigere barriere al mercato bancario nazionale in violazione
dell’art. 81 del Trattato?
La tesi, peraltro ventilata dalla Commissione, pone una serie di questioni e spunti di notevole
interesse che in questa sede non vennero affrontati. La differenza fondamentale di tale ipotesi di
violazione dell’art. 81 del Trattato rispetto a quelle esemplificate nei precedenti paragrafi, è che la
barriera all’accesso può essere direttamente finalizzata non tanto a favorire utili sovra competitivi nel
mercato bancario, ma a tutelare un controllo di più vasta portata sul sistema finanziario nazionale.
Partendo da tale osservazione occorre chiedersi quale sia il mercato rilevante e su quali basi giuridiche
ed economiche l’Autorità o la Commissione potrebbero, ad esempio, stigmatizzare il comportamento di
un patto di sindacato che si oppone alla scalata da parte di stranieri ad un gruppo bancario nazionale.
53
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2.4. Conclusioni sulle intese
La partecipazione di minoranza non è di per sé un illecito anticompetitivo, ma può divenire un
sintomo ovvero uno strumento di collusione. Rinviando ai successivi paragrafi del presente intervento,
potrebbe essere consigliabile per le banche adottare una serie di regole interne volte a scongiurare il
rischio che una autorità antitrust possa contestare un illecito anticompetitivo (in violazione dell’art. 81
del Trattato ovvero dell’art. 2 l. 287 del 1990) partendo proprio dalla partecipazione di minoranza in
una società concorrente come strumento di scambio di informazioni. Ovviamente tali rimedi non sono
sufficienti ad elidere i rischi di barriere all’entrata descritte nel precedente paragrafo, ovvero effetti di
foreclosure descritti al par. 2.2, ove i rimedi andrebbero individuati nella attenuazione o diminuzione di
eventuali esclusive negli accordi di distribuzione.
3. La disciplina delle concentrazioni e le partecipazioni di minoranza che non conferiscono
controllo nel settore bancario
3.1. Partecipazioni che non conferiscono controllo ed analisi degli effetti dell’operazione
Le partecipazioni di minoranza nel settore bancario possono essere soggette al vaglio di una autorità
antitrust nel caso di concentrazioni che coinvolgano due o più soggetti bancari. Prima di affrontare il
tema occorre procedere ad una importante precisazione; la partecipazione di minoranza, se non
conferisce controllo, non da luogo ad obblighi di notifica.
In passato si è dibattuto riguardo l’opportunità di estendere la disciplina del merger control anche alle
partecipazioni di minoranza che non conferiscono controllo. Il legislatore comunitario (ed anche il
legislatore nazionale) ha tuttavia focalizzato e definito l’ambito di analisi delle concentrazioni nel
contesto di quelle operazioni che conferiscono un controllo; concetto che, per quanto più ampio
rispetto alla nozione tradizionale di controllo utilizzata in altri settori dell’ordinamento (azioni proprie,
area di consolidamento dei bilanci), tende comunque a trovare il suo punto minimo di applicazione
nelle ipotesi in cui un soggetto in virtù delle partecipazioni anche di minoranza relativa che detiene in
nell’assemblea di una società, sia in grado di esercitare quantomeno un potere di veto su decisioni quali
approvazione del budget, del business plan e del bilancio annuale; per cui tale soggetto è considerato
potenzialmente nelle condizioni di influenzare la politica commerciale della società (7).
Questa posizione del legislatore nazionale e comunitario nell’ambito della disciplina delle
concentrazioni non ha tuttavia impedito agli organi preposti a tutela della concorrenza di analizzare,
proprio nell’ambito dello scrutinio delle operazioni di concentrazione, gli incroci azionari di minoranza
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che non conferiscono controllo tra concorrenti, ovvero tra soggetti verticalmente integrati; e questo
principalmente nella fase successiva alla notifica della operazione.
3.2. Partecipazione ed incroci valutati alla luce della disciplina delle intese e nel contesto di
una operazione di concentrazione: principali differenze
Gli incroci azionari sono, dunque, rilevanti nell’ambito delle analisi di operazioni di concentrazione
ma da un altro punto di vista: non come meccanismo volto ad accertare gli obblighi di notifica (salvo
ovviamente che la partecipazione di minoranza conferisca anche un controllo esclusivo o congiunto)
ma come fatto da considerare per valutare gli effetti dell’operazione sui mercati rilevati, ovverosia i
mercati ove la target e gruppo acquirente sono concorrenti ovvero i mercati verticalmente collegati a
questi ultimi.
Gli incroci di partecipazione ovvero anche la partecipazione in imprese comuni cui partecipino dei
concorrenti vengono in tale contesto analizzati con maggiore attenzione se riguardino concorrenti della
società acquirente e/o la target.
La valutazione delle partecipazioni di minoranza ovvero gli incroci azionari effettuata dall’autorità
antitrust nel contesto della disciplina delle concentrazioni è tutto diversa dall’ordine di valutazioni
effettuate nell’ambito di una eventuale violazione dell’art. 81 del Tratt o 2 l. 287 del 1990: nel caso delle
intese occorre, infatti, accertare uno specifico comportamento illecito imputabile alla società
partecipante al capitale sociale di un concorrente, nel caso delle concentrazioni, la partecipazione di
minoranza ovvero la partecipazione incrociata viene, invece, vista come un elemento che caratterizza il
mercato e che dunque incide sulla valutazione riguardo il rischio della creazione ovvero del
rafforzamento di una posizione dominante. Nell’ultima ipotesi, dunque, si prescinde da alcuna
valutazione di imputazione di comportamenti illeciti ma si svolge un’analisi che si focalizza
esclusivamente sugli effetti che oggettivamente le partecipazioni di minoranza sono in grado di
produrre sul mercato e i rischi di possibili effetti anticoncorrenziali che si possono verificare in uno
scenario post-acquisizione.
3.3. Processo concentrativo del mercato bancario in Italia e il ruolo dell’Autorità antitrust
nell’ambito degli storici incroci azionari nel mondo bancario
Le partecipazioni di minoranza tra concorrenti sono dunque un importante elemento di valutazione
del mercato nell’ambito delle operazioni di concentrazione, fatto che avrà un notevole impatto nel
contesto del processo di concentrazione che sta interessando il settore bancario in Italia.
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La Commissione, così come l’Autorità, nell’ambito della valutazione degli effetti dell’operazione di
concentrazione del mercato tiene innanzi tutto in considerazione tali partecipazioni incrociate per
valutare il livello di trasparenza del mercato, il rischio di collusione nel mercato medesimo o
quantomeno l’attitudine del mercato a favorire politiche commerciali caratterizzate da un certo livello di
parallelismo.
Un altro aspetto di possibile valutazione riguarda partecipazioni di minoranza rilevanti da un punto
di vista patrimoniale per una o più delle imprese parti dell’operazione di acquisizione.
Si ipotizzi che l’Autorità (o la Commissione) nell’ambito di una concentrazione bancaria si accorga
che il gruppo acquirente abbia una rilevante partecipazione di minoranza in una banca concorrente
diversa dalla target. In tale ipotesi l’autorità antitrust, nel valutare l’operazione, potrebbe a buon titolo
apprezzare l’effetto anticoncorrenziale di tale partecipazione ed indagare se la società acquirente
potrebbe essere indotta a non deprimere, con il proprio comportamento concorrenziale, il valore dei
titoli o comunque del capitale della società partecipata. Si consideri, tanto per restare al caso qui
esemplificato, al caso che la società acquirente, avendo investito una parte rilevante del proprio
patrimonio in azioni di una società concorrente, possa essere disincentivata ad adottare specifiche
iniziative imprenditoriali che possano provocare un repentino deprezzamento dei titoli connesso ad
eventuali perdite di quote di mercato ovvero al fallimento della partecipata; potrebbe, dunque,
verificarsi una sorta di "interesse comune", che condurrebbe l'impresa partecipante, quantomeno, ad
evitare di intraprendere specifiche iniziative concorrenziali a danno della società partecipata. L'indizio
della portata anticoncorrenziale della partecipazione di minoranza assumerebbe maggiore consistenza
nel caso di partecipazioni incrociate tra società concorrenti, in tale ipotesi l’Autorità antitrust potrebbe a
buon titolo presumere che i condizionamenti sopra descritti possano avere carattere di reciprocità (8).
Tale ordine di valutazioni, che come visto non coinvolge nessun onere di motivazione su alcun
comportamento collusivo, andrebbe inquadrato nel market test degli effetti dell’operazione (sul livello
di concorrenza nei mercati interessati) assieme ad altri fattori di valutazione (ad esempio, l’incremento
di quote di mercato della società acquirente a conclusione dell’operazione).
Questo tipo di valutazioni può incidere su due aspetti correlati: il primo sul rischio di divieto
dell’operazione, tenuto conto della posizione di mercato che il soggetto acquirente andrà a detenere a
conclusione dell’operazione (quindi tenuto conto del rischio di creazione o costituzione di una
posizione dominante nel mercato), sia nell’ambito degli impegni che le parti possono sottoporre
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all’Autorità per eliminare le preoccupazioni espresse da quest’ultima riguardo il rischio di una
costituzione o rafforzamento di posizione dominante nel mercato (19).
Dunque, proprio nell’ambito della sottoposizione degli impegni necessari per eliminare eventuali
elementi ostativi all’operazione che le partecipazioni incrociate di minoranza assumono un rilievo molto
importante nell’ambito della disciplina delle concentrazioni; infatti nell’ambito delle negoziazioni che
possono sussistere tra la Commissione ovvero l’Autorità e le parti notificanti verrà sicuramente
considerata proprio la possibilità di una dismissione di eventuali partecipazioni di minoranza (20) nel
caso di rischio di scambio di informazioni sensibili e/o di elevata rilevanza patrimoniale delle
partecipazioni di minoranza nel capitale sociale di un concorrente.
3.4. Concentrazione e rimedi strutturali: la dismissione delle partecipazioni di minoranza
Un aspetto di notevole rilievo che ha caratterizzato le più importanti operazioni di concentrazioni
valutate dalla Commissione dall’Autorità riguarda la possibilità di condizionare la realizzazione di una
operazione all’assunzione, da parte delle imprese acquirenti, di impegni che in estrema sintesi, sono
finalizzati a scongiurare che l’operazione comunicata possa favorire la creazione od il rafforzamento di
una posizione dominate.
Tali impegni, che di regola vengono proposti dalle stesse parti (sia in fase pre-istruttoria, sia nel caso
di formale avvio di una investigazione) quando l’operazione appare potenzialmente idonea a dar luogo a
problemi di carattere concorrenziale, possono, in via di prima approssimazione, essere classificati come
di carattere strutturale e comportamentali. La Commissione Europea, così come le autorità nazionali,
sono tendenzialmente restie ad accettare esclusivamente impegni di carattere comportamentale,
prediligendo o impegni di carattere strutturale ovvero degli impegni di carattere misto (strutturali più
comportamentali) data che impegni solo comportamentali pongono rilevanti problemi di monitoraggio
riguardo l’ottemperanza.
Anche l’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato ha più volte richiesto, per l’autorizzazione
di una operazione di concentrazione od anche per il rilascio di un provvedimento di non luogo a
provvedere, l’adozione di impegni da parte delle imprese acquirenti che assumono, da un punto di vista
919 Uno strumento utilizzato dalla Commissione per escludere del tutto la portata anticoncorrenziale dell'acquisto di una
partecipazione di minoranza consiste nel prescrivere alle parti una riduzione del valore percentuale di quest'ultima
(Clif/Marine, Decisione 5 marzo 1975, OJ, L, 1975, 169/27). Prescindendo dal caso comunitario citato, va osservato che la
riduzione della quota può escludere che le quotazioni dei titoli della partecipata possano in qualche modo influenzare le
stesse scelte imprenditoriali dell'impresa partecipante.
10 In particolare la dismissione delle partecipazioni di una od entrambe le parti dell’operazione in società concorrenti ovvero
in JV partecipate da concorrenti e da una od entrambe le parti dell’operazione, ovvero anche una riduzione della
partecipazione di minoranza in società concorrenti.
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sostanziale, caratteristiche similari ad una condizione per il rilascio della clearance. La dismissione come
condizione essenziale volta ad elidere rischi di creazione o rafforzamento di posizioni dominante è stata
utilizzata in importanti operazioni; la più importante nell’ambito della disciplina comunitaria, riguarda il
caso Generali/INA (21), dove proprio l’eliminazione di alcuni intrecci azionari di partecipazione di
minoranza hanno rappresentato delle condizioni per l’autorizzazione dell’operazione da parte della
Commissione.
Nella recente comunicazione della Commissione riguardante le misure correttive ai sensi della
disciplina sul controllo delle concentrazioni (22) al punto 25 fa specificatamente riferimento ad una
possibile misura consistente nella “...cessione di partecipazioni di minoranza, ove l’eliminazione della coincidenza di
persona nelle cariche direttive e amministrative delle società, in modo da aumentare gli incentivi a competere sul mercato”.
Dunque l’attenzione viene prevalentemente focalizzata sul problema dello scambio di informazioni.
Nelle due recentissime e importanti decisioni della Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato
Banca Intesa – San Paolo IMI (23) e Generali/Toro (24) l’Autorità ha analizzato con molta attenzione gli
incroci azionari e la presenza di joint ventures tra concorrenti per specifiche attività e fasi di impresa,
imponendo delle misure di carattere dismissivo di alcune partecipazioni di minoranza.
Le preoccupazioni riguardo le partecipazioni di minoranza tra concorrenti espresse dall’Autorità
proprio nell’operazione Banca Intesa – San Paolo Imi hanno un loro referente cultuale nella teoria degli
“interlooking directoraties”.
Da rilevare come le misure imposte dovrebbero avere un effetto pro-competitivo nei mercati ove si
teme la creazione o costituzione di una posizione dominante casualmente connessa all’operazione di
concentrazione comunicata e non certo altri mercati, altrimenti si corre il rischio di convertire l’Autorità
antitrust in un organo regolatorio dei mercati che utilizza il potere di vietare l’operazione come
grimaldello per imporre in via autoritativa misure pro competitive.
3.5. Concentrazione e rimedi
La combinazione fra la disciplina nazionale, la disciplina comunitaria e la teoria degli “interlooking
directories” ci induce tuttavia a svolgere alcune riflessioni sul ruolo che l’autorità antitrust dovrà svolgere
21
Decisione 12 gennaio 2000, Caso COMP/M.1712.
22
GUCE 2001/ c p. 68.
23
Decisione 20 dicembre 2006, caso C 8027, Boll.49/2006.
24
Decisione 4 dicembre 2006, caso C 7951, Boll. 47/2006.
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nell’ambito dell’analisi di questi incroci azionari (nel settore bancario) nel contesto del controllo delle
concentrazioni.
Un primo punto dal quale partire, riteniamo sia la nomina degli amministratori; solitamente le
partecipazioni azionarie di minoranza conferiscono, sulla base di appositi patti parasociali, la facoltà
all’azionista di minoranza che non dispone di alcun controllo, di nomina di un certo numero di
amministratori, che per quanto non dotati di alcun potere di veto sulla gestione, sono in grado
comunque di prendere parte alle decisioni e acquisire informazioni sul business della società.
Possiamo dunque sgombrare il campo e dire che tutte le partecipazioni di minoranza che non
conferiscono alcuna facoltà di nomina di amministratori dovrebbero presentare un minore livello di
rischiosità sotto un profilo di diritto della concorrenza (salvo che la partecipazione riguardi una parte
rilevante del patrimonio della società partecipante, valendo in tale ipotesi la differente tipologia di
valutazioni svolte nei precedenti paragrafi).
Ristretto così il campo di indagine, occorre chiedersi se ha un senso tentare in qualche modo di
favorire, o comunque di difendere le partecipazioni incrociate nel settore bancario. Da questo punto di
vista è importante, sotto un profilo di corporate governance, cercare di eliminare, o comunque ridurre al
minimo il rischio che una partecipazione con altro istituto bancario possa essere visto dalla Autorità
antitrust, nel contesto di una operazione di concentrazione, come un elemento che possa favorire
forme di collusione o comunque di parallelismo competitivo nel mercato.
A parte l’ipotesi più drastica della assenza della facoltà di nomina degli amministratori da parte
dell’azionista di minoranza, un’altra strada che potrebbe essere percorsa è quella di impedire che
l’azionista di minoranza ovvero gli amministratori nominati da quest’ultimo, possano acquisire
informazioni commercialmente sensibili della società.
3.6. Diaframma informativo tra assemblea e consiglio di amministrazione
In questo contesto un primo diaframma che va posto sotto il profilo della circolazione delle
informazioni sensibili all’interno di un gruppo bancario, è quello che sussiste tra l’assemblea ed il
consiglio di amministrazione.
Non esiste una norma che esplicitamente obbliga gli amministratori a fornire sistematicamente
informazioni sulla gestione all’assemblea dei soci (salvo quelle informazioni essenziali per lo
svolgimento di compiti che rientrano nelle competenze assembleari, si pensi, tanto per esemplificare,
alle informazioni strumentali all’approvazione del bilancio), semmai esiste la facoltà degli amministratori
di sottoporre e devolvere all’esame dell’assemblea quelle informazioni utili a consentire a tale organo un
maggiore livello di informazione. Quindi potremmo dire che in un’eventuale ipotesi di compliance volta a
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salvaguardare eventuali partecipazioni reciproche, si dovrebbero innanzitutto prevedere dei meccanismi
che sostanzialmente non consentono all’azionista di minoranza di accedere in qualunque modo a
informazioni sensibili nell’ambito delle comunicazioni tra amministratori ed assemblea dei soci. Proprio
un rafforzamento del diaframma assemblea-consiglio di amministrazione può ridurre il rischio di
preoccupazioni antitrust relative a partecipazioni tra concorrenti ovvero partecipazioni di concorrenti in
imprese comuni.
3.7. Membri del CdA e limiti alla circolazione delle informazioni
Il rimedio sopra descritto non è sufficiente se l’azionista di minoranza ha la facoltà di nominare uno
o più amministratori nell’ambito del consiglio di amminstrazione della società bancaria; in tali contesti
diventa effettivamente molto difficile prevedere dei meccanismi di corporate governance che possano
impedire all’amministratore nominato dal socio di minoranza di acquisire informazioni della società,
data la particolare struttura del sistema monistico dove il consigliere di amministrazione, personalmente
responsabile per la corretta gestione della società anche nei confronti dei terzi, non può non essere
informato riguardo qualunque informazione attinente la gestione sociale.
Una possibile via di uscita può essere individuata nel nuovo sistema dualistico che attribuisce al
consiglio di sorveglianza un ruolo che si pone a cavallo tra le funzioni del consiglio di amministrazione
e dell’assemblea dei soci.
Al fine di evitare rischi di natura concorrenziale potrebbe essere opportuno prevedere dei
meccanismi che consentono all’azionista di minoranza che sia anche impresa concorrente, di nominare
soggetti esclusivamente nell’ambito del consiglio di sorveglianza, spostando tutte le decisioni che
riguardano la gestione (che si basino su informazioni di natura confidenziale) nel contesto del comitato
di gestione e prevedendo un diaframma che imponga la secretazione di tutti i dati di natura sensibile, di
modo che il consiglio di sorveglianza possa sostanzialmente gestire dati aggregati o comunque dati che
non contengano informazioni che possano in un qualunque modo favorire il coordinamento
competitivo.
Tali meccanismi di compliance interna antitrust possono essere sostanzialmente resi esecutivi
principalmente tramite codici di condotta interni alla società che possono anche essere deliberati dal
comitato di gestione e dal consiglio di sorveglianza, così come da eventuali patti parasociali tra soci che
disciplinino le facoltà i poteri e criteri di nomina dei membri degli organi sociali.
L’ attività di compliance sommariamente sopra decritta andrebbe effettuata all’interno dei gruppi
bancari quando si vogliano realizzare operazioni di concentrazione che, proprio a causa del mutato
quadro competitivo provocato dall’operazione, possano indurre l’Autorità o la Commissione a
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richiedere una maggiore attenzione riguardo il rischio dello scambio di informazioni per il tramite delle
partecipazioni di minoranza nei termini descritti nei precedenti paragrafi.
Va tuttavia rilevato che tale cautela è consigliabile non solo nell’ambito dei progetti di acquisizione,
ma anche per evitare in un futuro eventuali contestazioni riguardo collusioni anticompetitive agevolate
proprio per il tramite delle partecipazioni incrociate e dunque tramite la compresenza di amministratori
all’interno dei consigli di amministrazione di società bancarie concorrenti.
4. Conclusioni
E’ prevedibile che a breve le partecipazioni incrociate nel settore bancario verranno soggette ad un
attento scrutinio su diversi fronti, compreso quello delle investigazioni ex art. 81 Tratt e 2 l. 287 del
1990. E’ suggeribile dunque adottare delle misure di compliance interna, tenuto conto della maggiore
attenzione dagli organi antitrust nel settore bancario ed anche della maggiore severità con la quale viene
trattato l’argomento dello scambio di informazioni dagli organi nazionali e comunitari posti a presidio
della concorrenza.
Per quel che concerne il più complesso problema dell’accesso al mercato del controllo delle banche
nazionali, appare difficile immaginare almeno a breve un intervento specifico sul punto sia in chiave di
investigazione ex art. 81 del Trattato sia nell’ambito della disciplina delle concentrazioni, salvo che si
vogliano forzare tali meccanismi per fini regolatori che si pongono al di fuori delle competenze tipiche
di una autorità posta a tutela della libera concorrenza.
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Onorevole Gianni Pittella - Raccolta del risparmio e finanziamento della crescita economica
nel mezzogiorno tra interesse al rendimento ed esigenze di sviluppo: il ruolo dello stato e degli
enti locali
Ringrazio lo studio Agnoli e Bernardi e Associati per questa ottima iniziativa, eccellente sul piano dei
contenuti e degli stimoli, e ringrazio per avermi affidato un tema che è propriamente politico e quindi si
discosta un po’ dalla materia che avete affrontato con un linguaggio e una competenza tecnico-giuridica
in maniera eccellente fino ad ora. Quindi io vi chiedo scusa se affronterò il tema della raccolta del
risparmio del suo utilizzo ai fini della crescita come tema politico, perchè così è, e lo farò con qualche
indicazione telegrafica.
Affrontare la questione della raccolta del risparmio nel mezzogiorno ed il suo utilizzo non può che
partire da una fotografia di quello che è avvenuto in questi anni e del riflesso che i cambiamenti epocali
che poi, possiamo sintetizzare con una parola, globalizzazione, hanno avuto sul mezzogiorno, sul
sistema finanziario e sul sistema economico in Europa i riflessi che ha avuto il crollo del muro di
Berlino, in Europa l’introduzione dell’euro, in Europa e non soltanto in Europa, il rafforzamento del
mercato interno e la finanziarizzazione dell’economia. Un processo di concentrazioni, fusioni bancarie
imponenti, un’estensione del mercato finanziario, banche e fondi altrettanto imponenti. Questo è lo
scenario.
Rispetto a questo scenario, l’Italia si è trovata senza ombrello, senza l’ombrello della svalutazione
competitiva, perchè dopo l’euro abbiamo finito di svalutarci. Senza un sistema bancario, il mio amico
dell’ABI mi perdonerà, non è un giudizio, non è una valutazione liquidatoria. Immediatamente reattivo,
con un apparato produttivo pulviscolare che è del tutto caratteristico nella stessa situazione europea,
che pure è una situazione di piccola e media impresa; ma la piccola impresa che c’è in Italia nel
mezzogiorno è del tutto particolare rispetto a quella europea. e con un sistema politico istituzionale,
ahinoi ancora in transizione. E dopo tangentopoli, perchè qui c’è stata pure tangentopoli.
Nel mezzogiorno a tutto questo si è accompagnato la fine delle politiche pubbliche di intervento
straordinario. Solo in parte compensata dalla politica di coesione del fondo strutturale dell’Unione
Europea. La trasformazione del sistema bancario che ha ridotto e trasferito i suoi centri decisionali del
sud nel centro nord, anche dopo le vicende, le crisi che hanno interessato Banco di Napoli, Banco di
Sicilia, Sicilcassa e altre Casse di Risparmio, e certamente questo non ha aiutato il Mezzogiorno.
Come si presenta oggi il rapporto tra credito, sistema del credito del Mezzogiorno? Ci sono stati passi
in avanti. Il Presidente Amato oggi ha detto che non dobbiamo passare da una visione dell’orca
assassina alla visione del Re Mida. Anche io sono molto equilibrato nel giudizio e quindi, do atto,
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AGNOLI BERNARDI e ASSOCIATI
Studio Legale
peraltro noi collaboriamo molto a livello di iniziative nel Parlamento Europeo rispetto alle cose che
sostiene l’ABI, però mi pare che voi ancora stentiate a togliervi di dosso questo vestito burocratico
notarile che avete, soprattutto nel mezzogiorno. La banca che fa? Raccoglie il risparmio, perchè
l’impresa, ed è giusto che faccia i suoi interessi, ma non si pone come vero attore, socio economico
della crescita e del rilancio del Mezzogiorno.
E questo è il punto politico. E a questa responsabilità voglio chiamare la vostra grande realtà. Avete
fatto passi in avanti nel rapporto con le famiglie ma avete fatto scarsi passi in avanti nel rapporto con le
imprese. Ancora se si presenta una impresa giovanile con un progetto valido voi lo scartate, non lo
finanziate solo perchè non vi sono garanzie sufficienti e non vi basate invece sul giudizio e una sola
valutazione del contenuto progettuale, almeno, in alcuni casi, non è che voglio dire in tutti i casi.
Dovete fare dei passi in avanti, tenendo conto che, purtroppo, nel Sud non ci sono intermediari non
bancari dedicati al venture capital, non vi è la tradizione anglosassone del business angel, insomma, vi è una
situazione del tutto particolare rispetto alla quale uno sforzo maggiore nel senso dell’innovazione e nel
senso della responsabilità sociale della banca andrebbe fatto.
C’è un patrimonio, nel Sud, di banche medio piccole di tipo locale, che sono sopravvissute a tutto
questo, sono andate avanti, mantengono un rapporto forte di legame con il territorio e rappresentano,
io credo, l’altra gamba verso la quale dobbiamo andare; rafforzare e mantenere le banche locali nel
Mezzogiorno è tanto importante, quanto dare alle banche nazionali, quelle più grandi, il valore, la
dimensione di campioni europei e mondiali. Queste sono le due direzioni di marcia, bene Unicredit, che
fa le operazioni che fa su uno scenario più vasto, ma difendiamo anche quel tessuto di micro banche
locali, che soprattutto, se collegate tra di loro, aggregate tra di loro possono recepire le istanze del
territorio.
Vedete, il Mezzogiorno si trova davanti ad una opportunità storica. Noi abbiamo un budget
finanziario a disposizione del Mezzogiorno che supera i 100 mlrd di euro. Non è, diciamo, uno slogan
che è uscito a Caserta durante il vertice governativo, sono fatti reali, cifre reali che rispondono a delle
cose vere, perchè tra i 21 mlrd che mette a disposizione l’Unione Europea nei prossimi sette anni con
finanziamenti nazionali, fondi FAS e un prevedibile finanziamento privato e altri canali finanziari, si
arriva esattamente a 100 mlrd per il Sud per i prossimi sette anni.
Ora, questa rappresenta una strumentazione finanziaria assai adeguata se si hanno delle idee, se si ha
memoria degli errori fatti nel passato, perchè di errori ne abbiamo fatti nell’uso di queste risorse; se si
ha la stretta colleganza, la stessa sintonia con la gente di Lisbona e quindi con il fatto che al
Mezzogiorno serve ricerca, formazione, impresa, ambiente e grandi reti, soprattutto reti telematiche,
quindi grandi interventi sull’immateriale e se si ha un effettivo e reale partenariato interistituzionale,
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pubblico e privato. Ora, in questo partenariato, e questo è l’ultimo punto del mio ragionamento, un
ruolo fondamentale lo hanno le banche. 100 mlrd, una buona regia politica fatta dal governo nazionale
e dalle regioni, una consapevolezza degli errori che abbiamo fatto, una finalizzazione di questa spesa
verso obiettivi di crescita, non soltanto di ridistribuzione, ma soprattutto di crescita, quindi facendo una
svolta nella politica di coesione nel Mezzogiorno d’Italia; dobbiamo mettere insieme in una
triangolazione virtuosa le istituzioni pubbliche, le imprese e le banche. Se non c’è questa triangolazione
e questo partenariato, anche questa occasione sarà sprecata.
Sen. Enzo Bianco - Raccolta del risparmio e finanziamento della crescita economica nel
Mezzogiorno tra interesse al rendimento ed esigenze di sviluppo
1. Premessa
Lo scopo del presente intervento “Raccolta del risparmio e finanziamento della crescita economica nel
Mezzogiorno tra interesse al rendimento ed esigenze di sviluppo” nasce sostanzialmente da una preoccupazione
che si ricollega sia ai recenti sviluppi della disciplina antitrust che regola il settore creditizio, e sia alla
significativa tendenza degli organi regolatori, prima fra tutti la Banca d’Italia, a favorire una maggiore
apertura a forme di aggregazione tra imprese bancarie, tendenza che legittima a presagire non solo una
maggiore presenza di operatori stranieri, ma soprattutto un forte fenomeno di concentrazione delle
realtà bancarie operanti in ambito nazionale.
2. Processo di concentrazione e il problema dell’accesso al credito
Questo processo di concentrazione avrà sicuramente un impatto sulle politiche d’accesso al credito;
mentre il sistema di raccolta è infatti distribuito nell’ambito di tutto il territorio nazionale, il sistema
bancario gestisce l’accesso al credito secondo logiche che possono condurre ad incentivare quelle
attività che garantiscono con maggiore certezza, tenuto conto di dati storici, il rientro dell’investimento,
privilegiandosi, dunque, quelle aree che storicamente si caratterizzano per una maggiore vocazione
produttiva.
Tale tendenza, se non mediata con un’attenta analisi delle possibilità di sviluppo economico a livello
locale, può provocare una ulteriore divaricazione tra le zone produttive più ricche del Paese e quelle
aree che, invece, per motivi storici, sociologici o di altra natura, hanno manifestato e manifestano una
minore propensione allo sviluppo economico.
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Studio Legale
Non sempre, in questi anni, l’attenzione al problema può dirsi adeguata. Non, sotto il profilo
generale, sulle difficoltà che hanno impedito uno sviluppo significativo del Sud o sulle azioni che
avrebbero potuto promuoverlo. Non, sotto il profilo specifico, sulla concentrazione del sistema
bancario e sulla perdita di sensibilità ed attenzione alla specificità del sistema creditizio nell’Italia
meridionale ed insulare.
Un aspetto centrale di tale preoccupazione riguarda l’accentramento nelle aree più ricche, dei centri
decisionali che determinano l’accesso al credito, con il rischio di una minore attenzione verso le
potenzialità di sviluppo delle realtà locali più lontane dai centri decisionali.
In questo contesto, dunque, una non omogenea facilità di accesso al credito in ambito nazionale
potrebbe richiedere l’elaborazione ed attuazione di interventi di natura politico-istituzionale volti
sostanzialmente ad riequilibrare almeno in parte una già rilevante biforcazione tra le aree povere del
Mezzogiorno d’Italia rispetto alle aree più ricche e produttive del Paese.
Nel ripensare a forme di intervento strutturale, ovvero finanziario, non bisogna commettere gli errori
del passato, quali la realizzazione di sistemi di accesso privilegiato al credito non legati ad un serio ed
attento programma di sviluppo che, alla fine, hanno prodotto sperpero di denaro pubblico, o peggio
ancora, forme di illecito di vario genere.
3. La crisi del sistema bancario meridionale
Partendo da questo presupposto, non si può tuttavia non notare che il processo di concentrazione in
atto nel contesto del settore bancario nazionale ha sicuramente sfavorito le realtà bancarie meridionali.
Le gravissime crisi che hanno coinvolto negli anni passati il Banco di Napoli, il Banco di Sicilia e la
Sicilcassa e la maggior parte delle Casse di Risparmio del sud ne sono una evidente testimonianza.
Proprio la crisi dell’imprenditoria bancaria del sud ha sicuramente reso più difficile in ambito
meridionale l’accesso al credito, specie per le piccole e medie imprese.
Da diversi studi che peraltro richiamano l’esperienza nord americana, è emerso che proprio le banche
di piccola dimensione che operano prevalentemente in ambito locale sono quelle che possono
interpretare con maggior successo le potenzialità di sviluppo in una determinata area e quindi anche
valutare con maggiore attenzione le decisioni riguardo l’accesso al credito; una realtà bancaria quanto
più è scollata dal contesto locale nella quale essa opera, tanto minore sarà la sua capacità di valutare
correttamente eventuali richieste di accesso al credito, con la conseguenza che l’operatore bancario
meno ‘localizzato’ utilizzerà approcci più prudenti che magari non premieranno iniziative
imprenditoriali che, con un maggiore conoscenza della realtà locale, avrebbero potuto avere con
successo accesso al credito.
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Il problema della crisi delle banche meridionali potrebbe dai più maligni essere ascritta ad
un’incapacità gestionale o ad una sorta di malgoverno della banca che avrebbe portato quindi ad una
crisi e dunque alla chiusura o all’assorbimento di queste realtà locali nell’ambito dei maggiori player
nazionali. Tale interpretazione coglie tuttavia solo una parte del fenomeno.
In realtà da diversi studi, è emerso che mentre sicuramente per le realtà di maggior dimensione, (ad
esempio, il Banco di Napoli) effettivamente sussisteva un problema di inefficienza, in comparazione
con le banche del centro nord, per converso, le banche medio piccole operanti nel Mezzogiorno
evidenziavano addirittura una efficienza superiore rispetto alle banche del centro nord.
4. Le piccole banche del meridione
Alcuni studi, basandosi su rigorosi indici di produttività, hanno evidenziato un’efficienza delle banche
meridionali di piccole dimensioni superiore di circa il 30% rispetto alle performace medie delle banche del
centro nord, risultato sicuramente di rilievo solo se si considera che la realtà del centro sud presentava
maggiori tipologie di rischi sia per questioni ambientali, sia per questioni di natura squisitamente
economica.
Proprio il fenomeno dell’acquisizione da parte delle banche del centro nord, delle piccole banche
locali del sud Italia era stato oggetto di grande attenzione da parte della Banca d’Italia negli anni ‘90.
Alla fine la Banca d’Italia ritenne che la migliore, più articolata e strutturata organizzazione delle banche
del centro-nord avrebbe comunque contribuito a dare un beneficio in termini di efficienza anche per le
banche del sud che venivano acquisite.
D’altro canto si vedeva allora con favore il fenomeno che conduceva ad una maggiore
concentrazione del sistema bancario, allora eccessivamente frammentato, dato che si sarebbe favorita
una maggiore solidità del sistema bancario nazionale complessivamente inteso e si sarebbe potuto
beneficare di sinergie ed economie di scala.
Oggi, tuttavia, tale fenomeno concentrativo viene visto in modo meno trionfalistico; trascorsi più di
dieci anni dalla realizzazione di questo fenomeno di de-localizzazione delle piccole banche del sud
Italia, c’è chi sostiene che questi fenomeni di consolidamento non hanno in realtà apportato un
effettivo beneficio in termini di miglioramento dell’offerta del credito locale.
5. Esigenza di decentramento dei centri decisionali
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Un dato che emerge dalla letteratura economica è che le fusioni hanno comportato un aggravio di
costi che sostanzialmente hanno annullato i benefici d’efficienza derivati dall’integrazione aziendale; è
emerso anche come negli anni successivi ai fenomeni concentrativi sopra descritti, nel meridione si
siano complessivamente ridotti i prestiti alle piccole e medie imprese.
Tanto basta per esprimere un giudizio, non del tutto positivo, sul descritto fenomeno di
consolidamento, quantomeno per quel che concerne le problematiche di sviluppo economico del
Mezzogiorno.
Da recenti studi è emerso che il rapporto sofferenze/impieghi con la clientela meridionale si è
ridotto; per la prima volta dal ‘90 il rapporto sofferenze/impieghi è più alto tra le banche che hanno
sede nel centro nord, che per quelle meridionali. Tale rapporto è più alto nelle banche affiliate ai gruppi
bancari in comparazione con le banche indipendenti.
Emerge inoltre che tutte le banche del Mezzogiorno acquisite, o che sono entrate a far parte di
gruppi bancari più ampi, hanno evidenziato una redditività nettamente più bassa rispetto alle banche
indipendenti. La performance delle banche commerciali del Mezzogiorno affiliate a gruppi bancari,
anche da più di tre anni, è peggiore rispetto a quella delle banche commerciali del Mezzogiorno rimaste
indipendenti.
E’ emerso, inoltre, che a parità di dimensione, potere di mercato, grado di patrimonializzazione e
localismo, le banche affiliate a grandi gruppi bancari erogano una quota minore di prestiti alle piccole
imprese rispetto alle banche indipendenti ed hanno maggiori sofferenze e persino una redditività
inferiore.
Emerge peraltro, che le banche del Mezzogiorno che sono entrate a far parte dei gruppi bancari del
centro nord, hanno cambiato in maniera permanente il loro portafoglio di attività, riducendo i prestiti
alle piccole imprese, aumentando quelli alle imprese più grandi e concentrandosi maggiormente sulla
offerta di servizi finanziari. Malgrado tali modifiche, non si sono registrati, dunque, miglioramenti nella
redditività.
5.1. La distanza funzionale
Occorre tentare di fornire una spiegazione dei fenomeni descritti nel precedente paragrafo; un
elemento che probabilmente va tenuto in considerazione è la cosiddetta distanza funzionale, ovvero la
distanza economica che separa i centri decisionali delle banche da un determinato territorio.
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Sussistono, infatti, delle differenze economiche, sociali e culturali tra varie aree territoriali. E’ molto
importante che i centri decisionali che gestiscono l’accesso al credito tengano conto delle peculiarità
locali e dei legami di carattere sociale che si possono creare all’interno di determinate comunità.
Va rilevato peraltro che nell’ambito di grossi gruppi si generano delle asimmetrie informative tra il
management locale e il management centrale. Fatto che può anche determinare dei problemi di natura
organizzativa.
Si è da più parti rilevato come realtà bancarie locali, che sostanzialmente vedono i propri centri
decisionali radicati nell’ambito di un determinato territorio, possono produrre un effetto di volano
nell’ambito dell’economia locale, creandosi proprio in quell’area una classe dirigente e una cultura
economico-finanziaria che sicuramente produrrà a livello locale dei benefici in termini di sviluppo
economico.
Ovviamente queste valutazioni devono tener conto anche delle peculiarità di ciascuna area; vi
saranno sicuramente delle aree nel Mezzogiorno più recettive a forme di sviluppo culturale e
imprenditoriale mentre altre forse richiedono l’intervento di cultura imprenditoriale bancaria
proveniente dall’esterno.
E’ tuttavia necessario proteggere, se non addirittura creare, realtà bancarie locali che possono avere
un effetto di volano sullo sviluppo locale, favorendo un intervento molto più focalizzato sulle
peculiarità dell’area. Tali realtà bancarie potrebbero convivere con i grandi gruppi bancari che
obbediscono a regole di management centralizzate e che si rivolgono verso una domanda in parte
diversa.
Da più parti negli anni passati si è, dunque, discussa la necessità di avere una maggiore presenza di
realtà bancarie in ambito locale nel contesto del Mezzogiorno; si suggeriva, in particolare, una
compresenza di più operatori bancari, magari quelli locali legati più ad una clientela medio-piccola e una
realtà bancaria a più ampio respiro che accanto ai prodotti bancari tradizionali potesse anche offrire
forme maggiormente innovative e sofisticate di accesso al credito.
6. Alcuni rimedi da proporre
E’ evidente che oggi la politica economica e la politica industriale hanno un ruolo meno importante,
meno centrale nell’ambito della gestione dell’attività bancaria in Italia, e questo probabilmente è un
bene.
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Occorre tuttavia chiedersi che tipo di interventi si possono oggi immaginare da un punto di vista di
politica economica per favorire una maggiore democrazia di accesso al credito e quindi un incentivo a
favorire lo sviluppo anche in aree considerate potenzialmente meno profittevoli di altre.
Possiamo partire dall’assunzione che effettivamente negli ultimi anni il sistema bancario ha
completato un faticoso percorso di ammodernamento, che secondo quanto affermato dalla stessa
Banca d’Italia, è anche stato favorito dalle forme di concentrazione che hanno internalizzato dei costi,
favorendo, dunque, forme di efficienza.
Questi miglioramenti dell’efficienza però, da più parti non vengono considerati come la conclusione
di un percorso di razionalizzazione e di maggiore concorrenza, in quanto questo processo non ha
ancora realizzato l’obiettivo finale di una finanza capace di migliorare l’offerta favorendo la crescita
economica in tutto il territorio nazionale in modo omogeneo.
Proprio questo fallimento del mercato induce dunque a richiedere forme di intervento pubblico;
sicuramente già in passato molti politici hanno proposto l’adozione di interventi volti a favorire la
crescita di una banca del meridione, di più banche che operino a livello locale ovvero di banche che
abbiano i propri centri direzionali in ambito principalmente locale. Tali proposte nascono
sostanzialmente da una valutazione di fallimento dell’offerta di servizi finanziari nel meridione.
7. Conclusioni
Gli interventi pubblici potrebbero incentivare un azionariato bancario locale; per esempio, si
potrebbe proporre un intervento pubblico che si prefigga l’obiettivo di aggregare (senza dar luogo a
discriminazioni) azionisti che rappresentino realtà locali.
Ovviamente è da escludere qualunque tipo di intervento regolatorio che condizioni sia il
comportamento delle imprese bancarie, sia il funzionamento del mercato del credito nel Mezzogiorno.
In conclusione, il sistema dell’accesso al credito nel Mezzogiorno presenta ancora oggi dei gravi
problemi che sono sostanzialmente da collegare a una realtà economica non pienamente sviluppata in
modo omogeneo.
Va da se, che non si può assolutamente pensare di ritornare al passato facendo riferimento a quel
sistema bloccato di banche pubbliche inefficienti che per molto tempo hanno governato le principali
banche del sud, così come non si può tornare a considerare il credito come un bene pubblico e non
come un affare privato.
Sarebbe, tuttavia, un errore pensare di avere risolto il problema, limitando il rischio del
coinvolgimento di clientele locali nell’ambito della gestione del sistema bancario, senza tener conto
comunque della necessità di dovere finanziare lo sviluppo nel Mezzogiorno.
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Gli interventi vanno risolti in più direzioni: sul piano dell’offerta occorre favorire e promuovere le
banche meridionali, agevolando l’aggregazione a livello locale tra banche medio-piccole; occorre inoltre
sensibilizzare i grandi gruppi nazionali nel senso di monitorare e dare una maggiore flessibilità
organizzativa alle proprie attività svolte localmente nel meridione.
Si potrebbe anche pensare a degli incentivi collegati alla quantità di credito erogato, agli investimenti
in personale qualificato, al decentramento dei centri direttivi e all’autonomia decisionale delle strutture
periferiche; quindi incentivi alle banche che si organizzino in maniera maggiormente decentrata.
Sotto il profilo della domanda di credito, occorre rafforzare la domanda di credito facendo perno
sullo sviluppo e sulla diffusione coordinata dei confidi come strumento di raccolta di informazioni sulle
imprese consorziate per accreditarle con garanzie nei confronti delle banche a vantaggio del costo e
della disponibilità del credito.
L’attivazione di un circuito finanziario funzionale al recupero del potenziale sviluppo dell’industria
meridionale richiede l’interazione sistemica tra imprese, banche, intermediari di garanzia e istituzioni.
Il miglioramento della struttura delle condizioni operative del mercato del credito è un elemento
fondamentale per selezionare la parte sana dell’imprenditoria che ha un potenziale di sviluppo nel
Mezzogiorno d’ Italia e che può poi diventare essa stessa volano per lo sviluppo.
E’ sull’imprenditoria sana del sud che bisogna puntare anche per forme di finanza innovativa che
apportino nuovo capitale di rischio da impiegare per lo sviluppo anche attraverso l’impegno di
intermediari specializzati.
E’ importantissimo creare dunque degli intermediari finanziari che maturino una specifica
competenza proprio in ambito meridionale. Occorre, quindi, favorire rapporti privilegiati tra le imprese,
le banche, i fondi chiusi e i venture capital.
Sono proprio questi rapporti di prossimità che possono effettivamente favorire uno sviluppo
economico reale che stia sulle proprie gambe e che non necessiti di aiuti o sussidi erogati al di fuori di
alcuna logica economica.
E’ compito del Governo, del Parlamento, ma anche delle Regioni e degli enti locali, per la parte
pubblica; delle parti sociali, imprese e sindacati, ma anche del sistema bancario, imboccare con coerenza
questa strada.
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Sintesi del dibattito finale
Sono Piefrancesco Gaggi dell’Associazione Bancaria Italiana e mi occupo da diversi anni di sistemi di
pagamento, in particolare di carte,.
Partecipo con grande soddisfazione a questo convegno, mi sovviene, al proposito, un piccolo aneddoto
che risale a sedici anni fa quando comunicai, al capo del personale dell’ufficio studi della ABI presso
cui lavoravo, che mi sarei occupato di sistemi di pagamento e non più di mercati finanziari, destando un
certo sgomento per voler abbandonare una tal nobile attività per questi “pezzetti di plastica”di cui oggi
si discute l’importanza.
Per quanto concerne il ruolo svolto dalle banche, muoverei proprio dall’analisi delle carte; le polemiche
sollevate anche grazie all’analisi della Commissione Europea sensibilizzano sul tema della no
discrimination rule che ha sortito diversi effetti nell’ambito dei diversi sistemi cui è stata applicata.
Nei paesi con un elevato tasso di utilizzo di carte, come ad esempio la Gran Bretagna, l’eliminazione
della no discrimination rule, non ha prodotto danni sensibili (si pensi ai taxi a Londra che chiedono un
surcharge del 10%), in paesi come l’Italia, invece, dove l’utilizzo delle carte di debito e credito non è
ancora così diffusa imporre o comunque facoltizzare l’esercente ad applicare una commissione (che
potrebbe al limite anche non riflettere i suoi costi), determinerebbe un aggravio tale da rendere ancora
meno utilizzato uno strumento che comunque si sta cercando di diffondere. in Italia, abbiamo ancora
mezzo milione di operazioni effettuate con le carte di debito e mezzo milione con le carte di credito;
parliamo in tutto di un miliardo di transazioni, laddove in Francia siamo sui 6 miliardi di transazioni.
Siamo quindi su livelli di mercato ancora deboli, si sta cercando in qualche modo di diffondere l’utilizzo
di questo strumento di pagamento in quanto gli strumenti elettronici di pagamento hanno livelli di
efficienza (anche in termini di costo) certamente superiori al contante ed agli altri strumenti cartacei.
Il problema è che probabilmente non si è mai fatta una stima reale di quello che è il costo di gestione
del contante. Noi abbiamo provato a farla e abbiamo dei dati da cui risulta che i costi di gestione del
contante sono molto elevati non solo per le banche che lo gestiscono, ma anche per tutte le parti in
causa. Quindi da questo punto di vista le carte di pagamento e gli altri strumenti elettronici, come
strumento per garantire una maggiore efficienza nel mostro paese, meritano particolare riguardo.Il tema
della trasparenza cui ha fatto cenno il Dott. Calabrò nell’ambito dell’indagine conoscitiva realizzata
dall’Autorità è stato particolarmente approfondito, ed emerge chiaramente questa esigenza di un trade off
più corretto tra un estremo dettaglio delle condizioni che vengono esplicitate dalle banche nei cosiddetti
fogli informativi analitici ed un informativa sintetica che invece dia al cliente la possibilità di fare delle
valutazioni immediate circa la convenienza del passaggio da una banca ad un’altra. Allora, se è vero che
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le informazioni date dalle banche sono troppo dettagliate probabilmente è anche vero che è stata
imposta alle banche una normativa che prevede proprio un elevato dettaglio di informazioni da fornire
alla clientela.
Quindi se c’è l’esigenza di trovare forme, ripeto, di combinazione più efficaci per l’informativa alla
clientela tra dettaglio delle informazioni e sintesi per rendere possibili delle scelte, noi siamo disponibili
a lavoraci insieme alle autorità competenti.
E infine, riguardo all’intervento dell’On.le Pittella, vorrei sottolineare laddove richiama una funzione
sociale dell’impresa bancaria nel dover sostenere iniziative commerciali e imprenditoriali nel
Mezzogiorno, la natura eminentemente politica della sua analisi .
Noi disponiamo di alcuni dati della Banca d’Italia, che evidenziano che non c’è una carenza di credito
nei confronti dell’impresa meridionale, né ci sono tassi strutturalmente elevati a carico delle imprese
meridionali. Sussiste certamente un problema che va aldilà del mercato del credito bancario ma che
investe il problema del mercato dei capitali per le imprese del Mezzogiorno, e quindi il tema che anche
da lui evocato, del venture capitalism, che per esempio è un tema che va sviluppato e portato a
conseguenze pratiche di vantaggio per le imprese, c’è un tema pratico di politica industriale che non
vuol dire finanziamenti incondizionati, ma vuol dire sicuramente una gestione sana ed efficiente di
fondi che vadano a tutela della sana imprenditoria; per questo, per esempio il Ministero per le Politiche
Giovanili ha avviato un percorso di lancio di fondi volti a sostenere iniziative che sotto il profilo della
rischiosità, per le imprese bancarie, sarebbero non sostenibili ma non perchè non hanno le spalle
sufficientemente larghe le banche o perchè non hanno la capacità di capire quali siano i ritorni possibili
di un’iniziativa imprenditoriale innovativa ma perchè le banche a loro volta investono denaro di
clientela e non si possono quindi esporsi se non tenendo in debita considerazione delle garanzie che
l’imprenditore può fornire. Quindi giusto il suo richiamo all’esigenza di politiche diverse, ma sono
politiche che in larga parte sta all’operatore pubblico porre in essere perchè sono di ispirazione politica
a loro volta le soluzioni da intraprendere.
Una motivazione all’esistenza dell’interchange fee, sta nel fatto che aiuta la crescita dei sistemi a rete.
Allora ci sono paesi nei quali il RID è già molto sviluppato e non utilizzano invece una interchange fee, ci
sono paesi nei quali il RID è sviluppato e utilizzano una interchange fee. C’è un’iniziativa come quella
europea che è nuova e per la quale anche i paesi che a livello domestico non utilizzano l’interchange fee,
hanno ritenuto che per lanciare questo nuovo modello europeo occorra una interchange fee. Ora, noi,
intesi come settore bancario europeo, industria bancaria europea, che sta promuovendo il lancio di
questi strumenti pan-europei ci troviamo un pochino in questa situazione di voler prevedere da un lato
questa interchange fee perchè riteniamo possa avere una funzione di sviluppo del nuovo mercato del direct
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debit pan-europeo, dall’altra ci troviamo nell’imbarazzo di non poter godere più di un regime
autorizzativo, per cui lanciamo qualcosa rispetto a cui non sappiamo se l’ investimento che ci
accingiamo a porre in essere poi sarà effettivamente consentito.
Ricordo che proprio in questa sala quasi un anno fa ci fu un altro convegno, dedicato a questi temi, e
ricordo che il Dott. Zadra nostro Direttore Generale, sottolineo questa esigenza del settore bancario
come operatore rilevando che da un lato ci vengono chiesti degli investimenti per porre in essere
qualche cosa rispetto a cui un eventuale flop collegabile all’assenza di questa interchange fee ci mette
molto a disagio. Quindi a livello europeo siamo rimasti appesi, diciamo così, con una richiesta o
comunque avendo messo al corrente la Commissione Europea che ci accingevamo a produrre uno
strumento che sarebbe stato dotato di una interchange fee; abbiamo ricevuto, come era normale che fosse
da un punto di vista legale, una risposta che chiariva che non c’era un’autorizzazione; però noi ci
chiediamo, a questo punto, un sistema che coinvolge diverse migliaia di imprese in Europa che sono
chiamate a metterei in piedi un nuovo strumento che interesserà milioni di clienti, e dobbiamo fare
tutto ciò in maniera così insicura, così a rischio; è possibile che non ci possa essere una soluzione, come
dire istituzionale che ci aiuti a comprendere se quello che andiamo a realizzare apertamente,
trasparentemente comunicandolo, debba poi essere valutata come la peggiore delle intese fra due
operatori oscuri dal mercato. Stiamo parlando di un sistema che opera apertamente alla luce del sole in
25 Paesi dell’Unione. Questa era la mia considerazione e domanda.
Risposta del Dott. Alberto Heimler. Se posso rispondere, certo non dando certezze, perchè non le
posso dare, io innanzitutto, da questo punto di vista ho una visione un po’ diversa, nel senso che
secondo me c’è un riparto di competenze tra antitrust e regolatori in questo campo che non è facile da
individuare. Nel senso che noi abbiamo avuto una serie di decisioni sull’interchange fee, in Europa, iniziata
con la decisione dell’OFT, a cui faceva riferimento Roberto Pardolesi prima, e che si dovrebbe
concludere fra qualche settimana con la decisione della Commissione nel caso Mastercard che non
conosco. Però la questione è che c’è stata una critica teorica molto forte nei confronti dell’intervento
antitrust volto ad individuare il costo ottimale dell’interchange fee, l’individuare i costi che effettivamente
potessero e dovessero in maniera ottimale essere inseriti nell’interchange fee. Questa critica è una critica
che è stata portata avanti da un gruppo molto ampio di economisti a cui faceva riferimento Pardolesi, è
un gruppo molto forte di economisti che sostiene che l’interchange fee, come per altro lo sosteneva Lei
adesso, non è altro che un meccanismo per trasferire dei costi da un lato all’altro del mercato e non ha
niente a che vedere con un’ottimalità in relazione ai servizi che effettivamente vengono pagati da un
lato o un altro lato del mercato. Di conseguenza, ma questa è la mia opinione personale, ritengo che
l’antitrust come intervento ai sensi dell’art. 81 del Trattato nella sua interezza, non abbia degli strumenti
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veri per individuare (se noi riteniamo che questa critica del mercato a due lati sia giusta, e io la ritengo
giusta perchè è molto convincente) l’interchange fee ottimale. E questa è la forte critica di Roche, Tierol e
altri che dicono mani libere, non ci mettete le mani perchè questa interchange fee non è un costo o un
prezzo, è un trasferimento. Il problema però è che effettivamente è un trasferimento che può avere
anche una funzione collusiva, può favorire la collusione nella misura in cui determina una soglia al di
sotto della quale la merchant fee non può andare. Quindi da un certo punto di vista, la critica è giusta, da
un altro punto di vista è una critica che va troppo in la ed il problema è che l’antitrust come intervento
ai sensi dell’art. 81 Tratt. non ha gli strumenti e la decisione dell’OFT è stata ritirata di fronte al
Competition Tribunal proprio in conseguenza delle critiche degli economisti a quella decisione che
individuava proprio un costo ottimale, diciamo, individuava dei servizi, servizi di copertura del rischio.
C’erano tre tipi di servizi che secondo l’OFT era giusto che la banca dell’acquirente pagasse alla banca
emittente- le critiche sono state mosse proprio a tale aspetto della decisione.
Tutto questo per dire che le sicurezze non potranno venire dall’antitrust, da questo punto di vista in
relazione all’interchange fee ottimale, ma dovranno venire, se necessario, da un intervento di tipo
regolatorio come è avvenuto nel caso del pagamento con assegni, dove il fatto che gli assegni fossero
scambiati alla pari è originato da un intervento regolatorio della riserva federale negli Stati Uniti. Non è
un intervento antitrust, è stata una scelta volta a favorire lo sviluppo di un servizio. Adesso però vorrei
tornare ad una questione che Lei ha giustamente posto, che è quella del fatto che il servizio non si
sviluppa, ora a me sembra, poi se ne può discutere, che il servizio di pagamento tramite carte conduce a
dei benefici ai due lati del mercato. Cioè conduce a dei benefici per i consumatori che li utilizzano e a
dei benefici per i commercianti che accettano questo tipo di pagamento. Benefici di vario genere che
comportano anche delle riduzioni dei costi rispetto al contante, riduzione di rischio, riduzione di furti,
riduzione di ambiti di sicurezza e quindi l’equilibrio può essere un equilibrio che si raggiunge
privatamente. Non riesco a capire per quale ragione ci debba essere una ragione collettiva diciamo, delle
banche, volta a favorire lo sviluppo di un servizio che determina dei benefici privati. Quindi di nuovo
parlo a titolo personale, da un punto di vista teorica non ne vedo la ragione dell’interchange fee, nel senso
che la banca acquirente e la banca emittente potranno far pagare i loro costi al commerciante da un lato,
al consumatore dall’altro, ma a loro volta il commerciante potrà fissare dei prezzi diversi. La
discriminazione non necessariamente va nella direzione che Lei diceva con dei sovrapprezzi, può anche
andare con degli sconti. Non è detto che il commerciante debba necessariamente vedere la carta come
un qualche cosa che lo danneggia. Ha mai trovato un commerciante che dice faccio lo sconto se paga
con carta di credito? La ragione per cui non fanno lo sconto sulle carte di credito è per motivi fiscali.
Quindi ha tutt’altra natura, nel senso che il pagamento in contanti è un pagamento che sfugge al
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controllo fiscale, quindi fanno lo sconto al pagamento in contanti ma che non c’entra niente con
l’interchange fee. Certamente in Italia è così. Mi parlavano di alberghi in Turchia che fanno lo sconto del
10% sui pagamenti in contanti, la ragione è il fisco, non c’è l’interchange fee del 10% Non c’è interchange fee
che conti rispetto ad un vantaggio del 40%, ma aldilà di questo, io penso che ci possano essere, se il
commerciante è messo nella condizione di poter scegliere, che possa preferire la carta di debito rispetto
al pagamento in contanti. Riduce i suoi costi di liquidità, gli favorisce tutta una serie di elementi
contabili, ha dei vantaggi. Perchè non dovrebbe fare lo sconto?
Domanda dalla platea a Jean Patrice de la Laurencie: come è stato risolto in Francia il rapporti dialettico
tra stabilità e concorrenza Risposta di Jean Patrice de la Laurencie
Questo problema sussiste nel caso delle intese, come diceva il Ministro Amato, l’obiettivo di stabilità
del sistema fa a pugni con l’obiettivo di concorrenza. Nel campo delle concentrazioni, per converso,
non si vede questa contraddizione, perchè è solo un problema di accettare o meno una concentrazione
più forte dove si vede l’interesse sia del sistema bancario, sia pubblico generale, direi, ad accettare un
più elevato livello di concentrazione del mercato bancario. Non c’è una ragione specifica di stabilità del
sistema bancario che riguardi i processi concentrativi, e come voi sapete sarà stato piuttosto il
patriottismo economico a giustificare un intervento della Banca d’Italia nel caso ABN/Ambro, non vi
erano infatti problematiche di equilibrio, della stabilità delle banche in Italia. Dunque ma non c’è la
minima ragione per invocare la stabilità del sistema bancario quando si tratta di verificare se una
concentrazione crea una posizione dominante, o meno.
Conclusioni del Prof. Roberto Pardolesi
Adesso tocca a me tirare le somme. Mi limito a due osservazioni, intanto direi che la questione della
legittimità nella prospettiva antitrust delle interchange fees rappresenta tutto sommato un episodio
emblematico di un discorso di caratura più generale. Mi limito a osservare che se entriamo nella logica
del dibattito puramente economico, possiamo certamente creare modelli distillare applicazioni che
vanno di volta in volta in una direzione o nell’altra. Credo che dal punto di vista antitrust rimane
viceversa una valutazione molto più secca, che è quella ovviamente del riscontro di esistenza di una
fissazione collettiva del prezzo che per l’antitrust è decisamente fuorilegge. Sicché, poi altra strada non
c’è, dal punto di vista dell’antitrust se non quella indicata testé da Bruno Lasserre, nel momento in cui
ricostruisce i presupposti per applicare un’esenzione. E se andiamo in questa direzione due cose
considero; l’onere della prova è evidentemente a carico del gestore bancario e quindi della collettività
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bancaria, e poi occorre chiedersi in cosa consista tale onere della prova. Allo stato ritengo che tale onere
appare insuperabile. Per tale motivo io inclino a pensare che l’onda lunga della controversia sul punto
sia passata perchè inevitabilmente siamo ora soltanto alle prese con l’onere di rimettere insieme i cocci
di un giocattolo che non si è rotto ma che non funziona più secondo queste logiche. Mi limito ad una
battuta; dobbiamo continuare a ritenere che il sistema del playing with plastic è perennemente in fase di
decollo? In Italia 50 operazioni in media all’anno fra carte di credito e carte di debito contro le 250 in
Finlandia, questo ci testimonia la Commissione al 31 di gennaio. Ma se questo è decollo, ed è decollo
imperituro, vuol dire che noi ci nascondiamo dietro un dito. In realtà è probabile che buona parte di
queste esperienze siano ormai avviate a maturazione e non possono più invocare uno start up ed una
gracilità di impianto; quindi alla fine della fiera rimaniamo semplicemente con un problema, che è
veramente quello di rimettere insieme i cocci del discorso consistente nel decidere se il sistema debba
procedere attraverso lo shock di interventi antitrust; sto parlando dello specifico delle commissioni
interbancarie, shock importanti probabilmente animati dalle migliori intenzioni ma dove viceversa forse
un fine tuning più adeguato potrebbe venire dal dispiegarsi di un intervento regolatorio ad hoc. Questa è
una mia personale impressione, ma a questo punto potremmo riaprire il dibattito. In termini più
generali la riflessione che abbiamo fatto sulle carte di credito e su altri aspetti poi ci è testimone del
fatto che nel mondo bancario europeo, ma non soltanto europeo evidentemente, ma direi che in
Europa in maniera più evidente sa agire un fantasma. E questo è il fantasma che evocava a suo tempo
Kenneth, il fantasma della stabilità e della corsa allo sportello. In qualche modo un effetto immanente
su qualsiasi tipo di considerazione che possa apparire aggressivo nel modo di sindacare i
comportamenti collettivi del comparto bancario. A me sembra che si debba avere moltissimo rispetto
per le esigenze di stabilità, stiamo parlando di un problema davvero serio. Ma mi sembra altresì che vi
sia, come dire, una sorta di estraniamento da consunzione, logoramento di un argomento
evidentemente portato alle estreme conseguenze in chiave direi molto tattica per dibattiti che hanno
altri fini. Sono assolutamente convinto che l’organo che giudica e scrutina dal punto di vista antitrust i
comportamenti bancari non possa prescindere in assoluto da considerazioni di stabilità. Sarebbe
impensabile, ovviamente, una separazione dei temi, e quindi in qualche modo una attenzione a quelle
che potrebbero essere le cadute in termini di sanità del sistema mi sembra fuori discussione. Ma di qui a
dire che l’evocazione dello spettro serve a paralizzare in ogni momento ed in ogni prospettiva il
sindacato antitrust ne corre troppo. E’evidente un argomento che alla fine della fiera, a parte il fatto che
parlando proprio del problema della stabilità del sistema bancario, non siamo in grado, proprio sul
riscontro economico, me ne potete dare atto, di articolare un argomento che vada direttamente in
questa direzione. Non abbiamo, infatti, una osservabilità del campo tale da poterci permettere di
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arrivare a conclusioni attendibili, il che conforta tutto sommato l’idea che l’antitrust possa
tranquillamente essere, come dire, banalizzato perchè no, nel senso di diventare trama e traccia della
considerazione di mercati più disparati ivi compreso quello bancario, senza perdere di vista ovviamente
quella spiaggia di last resort dell’attenzione ad un intervento che non abbia degli effetti distorsivi,
diciamo, dal punto di vista delle ricadute sistematiche globali. Mi sembra comunque che non sia mai
stato in discussione niente di questo, non soltanto nel comparto bancario. Non mi risulta mai che
l’autorità antitrust, anche la più aggressiva, abbia davvero messo in ginocchio un’impresa di cui pure
rimproverava comportamenti ampiamente illeciti. Non stiamo parlando di questo e non vedo perchè
all’improvviso dovremmo riscoprire questo pericolo che non c’è nel settore bancario e renderlo
totemico, qualche cosa a cui dobbiamo comunque inchinarci per condizionare ogni nostra ulteriore
valutazione.
Io vorrei ringraziare lo Studio Agnoli Bernardi e Associati, vorrei ringraziare anche lo sponsor
Citigroup che ha contribuito alla realizzazione di questo evento, vorrei ringraziare soprattutto il
pubblico degli affezionati ascoltatori che è rimasto fino in fondo, con capacità di resistenza incredibile,
a sentirci. Grazie a tutti.
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