La clausola compromissoria
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La clausola compromissoria
La clausola compromissoria Prof. Avv. Mariacarla Giorgetti SOMMARIO: 1. Le liti compromettibili. I diritti disponibili e indisponibili. a) le questioni che non possono formare oggetto di transazione. b) le controversie di lavoro e previdenziali. c) le questioni di stato e le questioni di separazione personale fra coniugi. d) provvedimenti implicanti la forza pubblica e) elaborazione giurisprudenziale 1) enti pubblici 2) appalti pubblici 3) rapporti societari 4) ulteriori fattispecie 2. Il compromesso e la clausola compromissoria 3. La forma del patto compromissorio. 4. L’interpretazione della clausola compromissoria. 5. La determinabilità dell’oggetto del giudizio arbitrale. 6. La violazione dei limiti del compromesso e della clausola compromissoria. 7. La patologia del patto compromissorio a) la nullità b) annullabilità c) inefficacia d) estinzione 8. Arbitrato irrituale. Cenni 9. Arbitrato societario. 1. Le liti compromettibili. I diritti disponibili e indisponibili. La disciplina dell’arbitrato è collocata, da un punto di vista sistematico alla fine del c.p.c.( titolo VIII) nel libro dedicato ai procedimenti speciali. In realtà nonostante la collocazione è opportuno chiarire sin da subito che non si tratta di un procedimento speciale bensì di un mezzo di risoluzione delle controversie alternativo alla giurisdizione ordinaria: esso è in grado di offrire una tutela dichiarativa analoga a quella che si ottiene davanti al giudice ordinario. Per individuare il fondamento dell’arbitrato occorre partire dalla fondamentale distinzione fra diritti disponibili e diritti indisponibili. Il diritto sostanziale prevede che talvolta le parti possono, attraverso propri atti negoziali, costituire, regolare, estinguere la situazione sostanziale protetta (art. 1321 c.c.): in questi casi si è in presenza di un diritto disponibile. Altre volte invece, le parti non hanno potere negoziale: in tale caso siamo in presenza di un diritto indisponibile. Sono nomalmente disponibili i diritti a contenuto patrimoniale; non lo sono, normalmente, i diritti della persona, il matrimonio, la filiazione. Trasponendo questa distinzione nell’ambito del processo, laddove il diritto è disponibile, poichè gli atti negoziali (sostanziali) delle parti sono efficaci e quindi vincolano il giudice, anche gli atti processuali dispositivi hanno lo stesso effetto vincolante; laddove il diritto non è disponibile, poichè gli atti negoziali delle parti non sono efficaci e quindi non vincolano il giudice, neppure gli atti processuali dispositivi hanno efficacia vincolante nel processo. Ora, quando sorge una controversia relativa ad un diritto disponibile, le parti non hanno la possibilità di risolverla in via negoziale, in quanto non hanno potere dispositivo: l’art. 1966, co. 2, c.c., sanziona con la nullità la transazione relativa a diritti “sottratti alla disponibilità delle 1 parti”. Solo la sentenza del giudice è cioè in grado di individuare, con efficacia vincolante, per le parti, le regole di comportamento relative ad un diritto indisponibile. I diritti disponibili sono invece quelli, in relazione ai quali le parti hanno il potere negoziale; la concorde volontà delle parti è in grado di porre regole che le vincolano come se fossero legge : secondo l’art. 1372 c.c. il contratto ha forza di legge fra le parti. Conseguentemente, laddove sorga una controversia tra le parti, che abbia ad oggetto le rispettive regole di condotta relativamente ad un diritto disponibile, le parti sono in grado di autoindividuare negozialmente quelle regole, in modo per esse vincolante: mediante una transazione (art. 1965 c.c.) oppure mediante ogni altro atto negoziale che possa produrre lo stesso effetto ( ad esempio con una conciliazione ex artt. 185, 411 o 420 c.p.c.). Se quindi le parti trovano un accordo non hanno nessun bisogno della giurisdizione, poichè esse possono autoprodurre regole di condotta, che hanno per loro la stessa efficacia vincolante della legge e quindi della sentenza. Se invece le parti non trovano un accordo, si rende necessario l’intervento del giudice, in quanto costui ha potere autoritativo, in quanto organo pubblico, di determinare le regole di condotta anche senza il consenso delle parti. Talvolta però le parti, seppure non riescono ad individuare un accordo sulla condotta possono trovare un accordo sul mezzo per risolvere la controversia e quindi per determinare la condotta. Esse possono così concordare nel conferire il potere di risolvere la controversia ad un terzo, il quale determinerà, in modo per loro vincolante, le rispettive regole di condotta con riferimento ad un certo diritto. L’accordo così concluso fra le parti è un atto negoziale, di contenuto processuale, con il quale esse danno ad un terzo il potere di risolvere la controversia: il c.d. patto compromissorio. Il patto compromissorio pur avendo natura negoziale non è un contratto di diritto sostanziale, poichè con esso non si costituisce, modifica od estingue un rapporto giuridico sostanziale: sarà il lodo a produrre effetti sul piano sostanziale. Il patto compromissorio ha natura processuale – strumentale poichè con esso si costruisce lo strumento che poi produrrà effetti sul piano sostanziale. L’oggetto del patto compromissorio consiste nella controversia o nelle controversie che dovranno essere sottoposte al giudizio arbitrale (cfr. art. 808, co. 1, c.p.c.) che, come già anticipato, dovranno essere relative a diritti disponibili: l’art. 806 c.p.c. elenca, fra le controversie che non possono essere deferite in arbitrato, quelle che riguardano questioni di stato 2 e di separazione personale fra coniugi e quelle che non possono formare oggetto di transazione: secondo il già menzionato art. 1966, co. 2, c.c. non possono essere oggetto di transazione le controversie relative a diritti “sottratti alla disponibilità delle parti”. a) le questioni che non possono formare oggetto di transazione. Tentando di chiarire la portata dell’utlima disposizione richiamata, la categoria dei diritti sotratti alla disponibilità delle parti non comprende solo i diritti assolutamente indisponibili, come ad esempio di diritti personalissimi, ma anche i diritti relativamente indisponibili. Esemplificando si pensi al diritto di partecipazione all’impresa familiare (art. 230 bis, co. IV, c.c.) inalienabile nei confronti della generalità dei consociati ma trasferibile al alcuni soggetti, oppure al diritto al risarcimento del danno derivante da responsabilità contrattuale per dolo o colpa grave, irrinunciabile solo sino a che non sia divenuto attuale ( v. art. 1229 c.c.). Su questi diritti relativamente indisponibili la transazione può però, a dispetto del disposto dell’art. 1966 c.c. ritenersi ammissibile, a condizione che rispetti le condizioni previste dalla legge per l’alienazione o la rinuncia ai diritti stessi. Occorre poi, sempre nel tentativo di individuare le controversie che non possono essere oggetto di transazione, esaminare il disposto dell’art. 1972, co. II, c.c.1 che ammette una transazione lecita su un diritto disponibile, in quanto consente di transigere “relativamente ad un titolo nullo” equivale a permettere la dismissione di un diritto disponibile. Il criterio effettivamente preso in considerazione dalla legge per individuare le liti sulle quali è ammessa la transazione guarda al concreto risultato che le parti intendono perseguire più che alla natura indisponibile dei diritti coinvolti. Esemplificando, la circostanza che il diritto di partecipare ad un’impresa familiare sia, ex art. 230 bis, co. 4, c.p.c. indisponibile a pena di nullità nei confronti di soggetti non facenti parte della famiglia, comporta la nullità della transazione diretta a provocare il trasefrimento della partecipazione a terzi, ma non di quella intervenuta fra tutti i membri dell’impresa , relativa alla rispettiva misura di partecipazione agli utili. La necessità di impedire concessioni vietate dalla legge o comunque illecite non è l’unico ostacolo alla transigibilità. Un ulteriore limite è rappresentato dalla sussistenza di interesse pubblico alla soluzione delle controversie. Questa situazione ricorre nelle materie comprese 1 L’art. 1972 c.c. (Transazione su un titolo nullo) prevede che “E’ nulla la transazione relativa ad un contratto illecito, ancorchè le parti abbiano trattato della nullità di questo. Negli altri casi in cui la transazione è stata fatta relativamente a un titolo nullo, l’annullamento di essa può chiedersi solo dalla parte che ignorava la causa di nullità” 3 all’art. 70 c.p.c. e cioè nelle ipotesi in cui il pubblico ministero deve intervenire, a pena di nullità, nel processo ordinario: a maggior ragione deve reputarsi vietata una transazione sulle liti caratterizzate da un interesse pubblico alla loro soluzione attuata privatamente. Dopo aver brevemente esaminato i limiti alla transazione sul piano sostanziale occorre valutare se i risultati raggiunti sono validi anche con riferimento al patto compromissorio tenendo presente che l’unico elemento comune fra transazione e patto compromissorio è rappresentato dall’effetto di sottrarre l’esame della controversia all’esame dei magistrati dello Stato. Prendendo in considerazione il primo limite se, come abbiamo visto, una transazione relativa ad un contratto illecito non è ammissibile in quanto persegue interessi vietati dalla legge nulla esclude che oggetto della cognizione arbitrale possa essere una controversia nascente da un contratto illecito: la compromissione in arbitri non comporta nessun effetto vietato in quanto gli arbitri devono dichiarare la nullità del contratto. Qualora poi l’arbitro ometta di effettuare il detto accertamento la legge fornisce i mezzi idonei per accertare la nullità del lodo (art. 829 c.p.c.). Questa soluzione non è condivisa da tutta la dottrina ma ha recentemente avuto l’avvallo della giurisprudenza. In questi termini si è espressa Cass. n. 2406 del 1989 che ha affermato l’arbitrabilità della questione d’invalidità di un contratto per contrarietà all’ordine pubblico economico chiarendo che la convenzione arbitrale è invalida solo se gli arbitri attraverso il lodo dovessero disporre di tali diritti nel senso che per effetto della transazione o della sentenza arbitrale risulti attuato, contra legem, il trasferimento del diritto medesimo, oggetto della lite. A questa decisione sono poi seguite altre pronunce dei giudici del merito che hanno ribadito la compromettibilità di liti relative a contratto illecito [ App. Bologna 11 ottobre 1990, in Riv. arb., 1993, 77 ss. con nota di ROSI; App. Palermo, 4 dicembre 1995, in Riv. Arb., 1996, 521 con nota di GROSSI]. Si è più recente affermato che il ricorso all’arbitrato non è escluso, in linea di principio, per le questioni attinenti alla nullità dei contratti, vertendosi in materia di diritti disponibili (Cass. 19 dicembre 2000, n. 15941). Pertanto, l’unico divieto di transigere coerentemente applicabile alla convenzione arbitrale è quello rigurdante le liti in cui il pubblico ministero agisce o interviene per tutelare interessi di ordine generale. Esaminando più nello specifico questo divieto, non è permesso sottoporre ad arbitrato le liti in cui il pubblico ministero ha azione. Queste questioni, previste espressamente dalla legge 4 all’art. 69 c.p.c. riguardano, ad esempio, l’annullamento per contrarietà alla legge di deliberazioni dell’assemblea di un’associazione riconosciuta (art. 23, co. 1, c.c.), l’annullamento di un contratto di lavoro stipulato in deroga alle norme sul collocamento (art. 2098 c.c.) [per un elenco dei casi in cui al pubblico mimistero spetta il potere di azione civile v. SIRACUSA – DE BELLIS, Pubblico Ministero (diritto processuale civile), in Noviss. Mo Dig. It., XIV, Torino, 1967, 536 ss.] Non possono poi essere devolute alla cognizione arbitrale le controversie in cui il pubblico ministero deve intervenire pur senza avere potere di azione (art. 70, co. 1, n. 2 ss., c.p.c.): le cause indicate ai nn. 2 e 3 del co. 1 dell’art. 70 c.p.c. sono espressamente dichiarate non compromettibili dalla prima parte dell’art. 806 c.p.c. ( si tratta delle controversie “che riguardano questioni di stato e di separazione personale fra coniugi”) . Infine, si è ritenuto che ai sensi dell’art. 70, ult. co., c.p.c. non sia consentita la decisione arbitrale di cause in cui il pubblico ministero ravvisi un interesse di carattere generale e decida di intervenire. Questa ipotesi potrebbe realizzarsi in pratica laddove a lite già insorta e sottoposta alla cognizione ordinaria le parti decidessero di stipulare un compromesso: l’accordo non produrrebbe effetti qualora il pubblico ministero fosse già intervenuto in causa. b) le controversie di lavoro e previdenziali. L’art. 806 c.p.c. include poi, fra le controversie non arbitrabili anche quelle di lavoro e previdenziali; questa disposizione è giustificata da ragioni eminemente storiche : i diritti oggetto di queste controversie sono pienamente disponibili ma, quando il vigente c.p.c. è stato promulgato, vigeva l’ordinamento corporativo, che non riteneva opportuno che questo tipo di controversie fosse sottratto all’intervento del giudice. Oggi le controversie di lavoro – intendendosi per tali non solo quelle relative al lavoro subordinato, ma tutte quante le controversie previste dall’art. 409 c.p.c. – possono essere risolte in via arbitrale solo se ciò è previsto dalla legge o da un contratto collettivo. Esaminando le disposizioni di legge l’art. 412 ter c.p.c. consente alle parti di concludere compromessi nel caso di mancata conciliazione, purchè ricorrano i requisiti indicati nella stessa norma. L’art. 808, co. 2, c.p.c. ammette l’inserimento di una clausola compromissoria nei contratti collettivi di lavoro, per dirimere le controversie ad essi relative e nei contratti individuali di lavoro, per liti da essi derivanti, purchè nel contratto collettivo di lavoro applicabile alle parti sia contenuta una specifica e preventiva autorizzazione in tal senso. 5 Ovviamente la previsione della legge e del contratto collettivo non è sufficiente, essendo necessaria anche la concorde volontà delle parti. Inoltre il lodo deve essere impugnabile ai sensi dell’art. 829, co. 2, c.p.c. che consente di far controllare dal giudice eventuali errori di diritto commessi dall’arbitro nella decisione della controversia. Si è affermato in giurisprudenza che la competenza del pretore in ordine alla controversia fra associante e associato in partecipazione, rientrante, in considerazione dell’apporto di sola attività personale e continuativa del secondo, fra le controversie indicate dall’art. 409 c.p.c. non è suscettibile di deroga a favore di arbitri in forza di clausola compromissoria concordata dai soggetti suindicati, atteso che per le controversie predette l’art. 808, co. 2, c.p.c. ammette la possibilità d’inserire la clausola compromissoria solo nei contratti e negli accordi collettivi (Cass. 23 maggio 1992, n. 6206). La possibilità di devolvere ad un collegio di probiviri, in via di arbitrato rituale, la decisione delle controversie relative alle prestazioni di un socio di cooperativa di produzione e lavoro, rese in conformità alle previsioni del patto sociale ed in correlazione con le finalità istituzionali della società, non incontra alcun ostacolo normativo, atteso che con riguardo alle prestazioni predette non è configurabile non solo un rapporto di lavoro, subordinato od autonomo, ma nemmeno un rapporto di collaborazione ai sensi dell’art. 409, n. 3, c.p.c.; nè la validità ed operatività della clausola prevedente l’arbitrato restano escluse dalla circostanza che detto collegio sia inserito nell’organizzazione sociale, ove non siano dedotte situazioni a priori incompatibili con l’imparzialità dei probiviri o concrete conflittualità (Cass. 22 luglio 1992, n. 8847). Nel rapporto fra cooperativa e socio lavoratore viene meno l’aspetto caratterizzante il rapporto fra socio e società mentre prevale il profilo concernente la prestazione di lavoro subordinato, siccome previsto dall’art. 409 c.p.c. In tal caso, la clausola compromissoria prevista nello statuto della cooperativa per la risoluzione dei conflitti fra soci e società è radicalmente nulla, perchè confliggente con il divieto di arbitrato previsto dall’art. 806 c.p.c. in detta materia (Coll. Arb. 7 ottobre 1999, in Riv. arb., 2000, 153). In materia di locazione di immobili urbani, la clausola compromissoria, con la quale le controversie inerenti al rapporto di locazione vengono deferite ad arbitri amichevoli compositori, è nulla ai sensi dell’art. 79 della legge n. 392 del 1978 in quanto, svincolando la soluzione della controversia dalla disciplina legale, è attributiva al locatore di vantaggi in contrasto con le disposizioni di detta legge; è pertanto nulla la clausola con cui le parti di un contratto di 6 locazione adibito ad uso commerciale deferiscano al giudizio equitativo di un arbitro la determinazione dell’indennità di avviamento (così Cass. 13 aprile 2000, n. 4802). E’ nulla la clausola compromissoria inserita in un contratto di locazione ad uso diverso dall’abitativo in relazione al quale il conduttore abbia esecitato il diritto di recesso per gravi motivi, ai sensi dell’art. 27 luglio 1978, n. 392, posto che tale diritto di recesso costituisce un diritto indisponibile, come tale non assogettabile a transazione e arbitrato (Pret. Savona 21 aprile 1998, in Arch. locaz. cond.,2000, 120.) Infine, un ulteriore divieto alla compromettibilità in arbitri è contenuto all’art. 54, l. 27 luglio 1978, n. 392 secondo cui è nulla la clausola compromissoria avente ad oggetto la lite sulla determinazione del canone di locazione. c) le questioni di stato e le questioni di separazione personale fra coniugi. La prima parte dell’art. 806 c.p.c. prevede espressamente che non possono essere devolute alla cognizione arbitrale le controversie che riguardano questioni di stato, cioè nell’accezione qui rilevante, le cause aventi ad oggetto la capacità legale, la cittadinanza, la filiazione, l’adozione e i rapporti familiari in genere (il c.d. status familiae) e le questioni di separazione personale fra coniugi. Come abbiamo già visto trattando delle questioni che non possono essere oggetto di transazione la ratio della previsione consiste nell’evitare che controversie di interesse geenrale siano rimesse alla libera disponibilità delle parti private. d) provvedimenti implicanti la forza pubblica Divieti di carattere generale devono poi rinvenirsi nel divieto, previsto dall’ordinamento, che agli arbitri sia devoluto il potere di emanare provvedimenti implicanti la forza pubblica: così non è consentita l’emanazione di provvedimenti cautelari (art. 818 c.p.c.), non possono procedere all’esecuzione forzata nè attribuire efficacia esecutiva al lodo ( vedi art. 825, co. 2 e 3 c.p.c.). In questo senso si è affermato che la clausola compromissoria che sia stata pattuita con riguardo ad un determinato contratto ed alle controversie che possano insorgere fra le parti contraenti in ralzione alla sua esecuzione non può trovare applicazione nel caso che tali controversie abbiano natura possessoria, non potendo gli arbitri adottare provvedimenti coercitivi ( Cass. 18 agosto 1990 n. 8399). Ugualmente la giurisdizione penale è patrimonio esclusivo della giurisdizione ordinaria. Quanto invece ai rapporti fra arbitrato e pubblica amministrazione è opportuno dare conto dei risultati ai quali è giunta la giurisprduenza. 7 e) elaborazione giurisprudenziale 1) enti pubblici Sin qui i limiti espressamente previsti dal legislatore. Occorre peraltro dare anche conto della posizione raggiunta dalla giurisprudenza. In relazione alle controversie in cui siano parte gli enti pubblici si è così affermato che opera la regola generale della compromettibilità di tutte le questioni patrimoniali suscettibili di transazione e non devolute alla cognizione di speciali giurisdizioni esclusive, in quanto l’ordinamento vigente non solo non contiene alcuna norma limitativa della legittimazione di tali enti al compromesso ed alla clasuola compromissoria ma, anzi, espressamente prevede e regola detta legittimazione come per l’appalto (Cass. sez. Un., 24 febbraio 1981, n. 1112). Qualora l’ente pubblico territoriale si avvalga, per la redazione del progetto di un’opera pubblica, di un professionista privato, l’atto di affidamento del relativo incarico, come pure gli atti che vengono successivamente ad interferire sul raporto, sono espressione non di poteri pubblicistici, ma di autonomia negoziale privatistica. Ne consegue che a tale rapporto è applicabile l’istituto della transazione e, quindi, la regola generale di cui agli artt. 806 e 808 c.p.c., in virtù della quale tutte le questioni suscettibili di transazione, anche se riguardanti gli enti pubblici, purchè non devolute alla cognizione di speciali giurisdizioni esclusive possono formare oggetto di compromesso e di clausola compromissoria (Cass. 30 agosto 1995, n. 9155). È valida la clausola arbitrale che attribuisce ad un collegio arbitrale la competenza a decidere la controversia fra un Comune ed un privato, avente ad oggetto la concessione della gestione di uno stabilimento balneare appartenente al patrimonio disponibile del detto ente, perchè in tal caso non sussiste la giurisdizione amministrativa, nè la finalità di soddisfare le esigenze dei turisti e dei residenti, prevista per caratterizzare l’obbligazione del gestore di tale esercizio commerciale pubblico, può esser idonea a elevarlo a pubblico servizio, con conseguente inclusione dell’immobile nel patrimonio indisponibile dell’ente stesso (Cass. 24 febbraio 1981, n. 1112). 2) appalti pubblici In tema di appalti pubblici, nell’ipotesi in cui sia stato già promosso il procedimento arbitrale alla data di pubblicazione della sentenza della Corte costituzionale n. 152 del 1996 ( la quale ha dichiarato incostituzionale l’art. 16 della legge n. 741 del 1981 nella parte in cui non stabiliva che la competenza arbitrale potesse essere derogata anche con atto unilaterale di 8 ciascuno dei contraneti, così ripristinando l’originaria formulazione del disposto dell’art. 47 del d. P. R. n. 1063 del 1962), si verifica che il lodo emesso è suscettibile di impugnazione per nullità (art. 829, co.1, c.p.c.) con possibilità, per entrambe le parti di esercitare il potere di scelta di ricorrere al giudizio arbitrale o al giudice ordinario, ovvero, nel caso in cui l’attore abbia proposto istanza di arbitrato, sorge la facoltà del convenuto di escluderlo nelle forme e nei termini stabiliti dall’ultima menzionata disposizione legislativa (Cass. 24 aprile 2002, n. 5959). 3) rapporti societari In materia societaria, l’azione sociale di responsabilità, prevista dall’art. 2393 c.c. può formare oggetto di rinuncia e transazione, sicchè, per il combinato disposto dell’art. 806 c.p.c. essa è deferibile al giudizio arbitrale (Cass. 2 settembre 1998, n. 8699). Non sono compromettibili in arbitri le controversie in materia societaria che involgono interessi collettivi dei soci e dei terzi; e pertanto rientra nella competenza del tribunale la lite concernente la delibera dell’assemblea di una società cooperativa edilizia a responsabilità limitata che si pretende illegittimamente convocata (Trib. Trani, 14 ottobre 1999 in Giur. merito 2000, I, 229). La clausola compromissoria inserita in un contratto di società comporta la devoluzione ad arbitri non solo delle controversie strettamente attinenti all’interpretazione ed all’esecuzione del contratto di società, ma anche di quelle relative alla gestione imprenditoriale di quest’ultima, ancorchè gli effetti pregiudizievoli lamentati da una delle parti incidano su elementi patrimoniali di alcuni soci. Così la Cassazione (20 dicembre 1990, n. 12077) in relazione ad una domanda di risarcimento del danno da mancata erogazione, da parte di un terzo, di un mutuo agevolato per opere di miglioramento fondiario di un’azienda agricola gestita da tre soci, due dei quali erano proprietari delle relative quote immobiliari. 4) ulteriori fattispecie Con riferimento a fattispecie diverse si è affermato che la qualificazione come disponibili o non disponibili, ai fini della compromettibilità in arbitri rituali delle relative controversie, dei diritti incisi da un accordo concluso, prima dell’entrata in vigore della legge 10 ottobre 1990 n. 28, da due imprese per disciplinare la reciproca concorrenza, va valutata – dato che la legge del 1990 non contiene alcuna disposizione transitoria o, comunque derogaroria del principio d’irretroattività – alla luce del diritto previgente e in particolare dell’art. 2596 c.c. il quale, nel porre limiti alla libertà di iniziativa economica sotto il profilo della disciplina 9 dell’autolimitazione negoziale della concorrenza, non deroga al principio che la libertà di iniziativa economica privata garantita dall’art. 41, co. 1, Cost. attiene a materia disponibile, in quanto espressione della libertà di scelta e di svolgimento delle attività economiche riconosciuta al soggetto privato in quanto tale (Cass. 21 agosto 1996, n. 7733). Il contratto di cessione di azienda oltre a produrre il trasferimento di questa comporta anche per il cedente l’assunzione dell’ulteriore obbligazione di non tenere in concreto comportamenti che vanifichino la ragione pratica della operata cessione, la cui durata va oltre il momento del trasferimento protraendosi per il tempo previsto dall’art. 2557 c.c. L’illecito consistente nella violazione di tale obbligo ha natura contrattuale, attiene alla causa del contratto e quindi al suo esatto adempimento , ed incide su diritti di natura dispositiva e transigibile, onde la controversia relativa alla suddetta violazione ben può essere deferita ad arbitri (Cass. 17 setembre 1997, n. 9251). Riassumendo è chiaro che le liti così «compromettibili» in arbitri – e ciò, sia che venga in considerazione una clausola compromissoria sia che venga in rilievo un compromesso (si veda, nell'art. 808 c.p.c., il rinvio all'art. 806 c.p.c.) -, possono essere solo quelle relative a diritti disponibili (limite, questo, confermato pure dal recente d. lgs. n. 5/2003 recante nuove norme in tema di arbitrato societario, il quale non ha utilizzato la legge delega nella parte in cui attribuiva al legislatore delegato il potere di prevedere la possibilità di clausole compromissorie statutarie anche in relazione a liti relative a diritti non suscettibili di essere oggetto di una transazione). Rimangono così escluse dal campo della “arbitrabilità” le controversie sugli status personali e le altre che non possono formare oggetto di transazione (art. 1966 c.c.). Il campo precluso all'arbitrato è dalla giurisprudenza talora ampliato (liti soggette alla giurisdizione esclusiva dei Tar; liti civili in cui è necessario, ex art. 70, l'intervento del pubblico ministero; liti fra soci e società che coinvolgono un interesse sociale indisponibile; etc.); talora intervengono poi norme restrittive come per le locazioni e le controversie laburistiche: per le liti di lavoro in particolare è escluso il compromesso, mentre è ammessa la clausola, seppur nei limiti già visti. Da quanto chiarito emerge che anche laddove il legislatore non disciplinasse espressamente l’arbitrato questo potrebbe tuttavia fondarsi sull’autonomia privata delle parti ex art. 1322 c.c.: le parti potrebbero, anche in carenza di ogni previsione normativa, ugualmente conferire ad un terzo quel potere di risolvere negozialmente la controversia, che esse stesse hanno e che non hanno voluto o potuto utlizzare. Come vedremo, sepur brevemente, il fenomeno 10 dell’arbitrato irrituale ( o libero) si è sviluppato proprio a prescindere da qualunque previsione normativa. L’arbitrato, anche quello rituale, disciplinato dagli artt. 806 c.p.c. trova quindi il suo fondamento nell’autonomia contrattuale delle parti. L’arbitrato in materia di diritti indisponibili richiederebbe al contrario una espressa previsione normativa: tale fenomeno è però sconosciuto al nostro ordinamento. Il patto compromissorio irrituale incorre nei medesimi limiti di quella rituale. Le disposizioni che prevedono limiti alla devoluzione di controversie alla decisione arbitrale sono infatti di ordine pubblico e perciò inderogabili dal’autonomia privata. 2. Il compromesso e la clausola compromissoria Abbiamo detto che l’arbitrato si fonda su un patto compromissiorio. Ora, il patto compromissorio può assumere due diverse forme: il compromesso e la clausola compromissoria. Il compromesso ( art. 806 c.p.c.) è un apposito contratto di diritto privato (ma con effetti soprattutto di diritto processuale), che devolve alla risoluzione tramite lodo arbitrale la singola, concreta controversia già insorta, indipendentemente dalla circostanza che essa sia o meno già azionata in un processo ordinario: prima sorge la controversia e poi le parti concordano nel farla decidere dall’arbitro. Ai sensi dell’art. 806 c.p.c. le parti possono far decidere da arbitri le controversie tra di loro insorte, tranne che nell’ipotesi in cui esse vertano su diritti di cui le parti non possono disporre . L’art. 807 c.p.c. disciplina la forma del compromesso e prevede che debba contenere, a pena di nullità, l’oggetto della controversia. La determinazione dell’oggetto della cognizione del giudizio arbitrale avviene, nella prassi, mediante la formulazione di quesiti, attività che si sostanzia nella proposizione, ad opera delle parti, delle questioni che gli arbitri sono chiamati ad esaminare e decidere. In questa sede, le parti non chiedono alcunchè agli arbitri – che saranno nominati in un momento successivo con la proposizione della domanda di arbitrato, momento dal quale il processo arbitrale potrà dirsi pendente – ma si limitano a individuare la controversia tra di loro insorta e che dovrà essere oggetto della cognizione arbitrale. La proposizione dei quesiti è requisito di validità del compromesso e in difetto di una sua specificazione è consentito alle parti di porvi rimedio successivamente mediante un atto sottoscritto dalle parti in cui sono specificatamente posti i quesiti agli arbitri . 11 La clausola compromissoria ( art. 808 c.p.c.) è invece un patto accessorio ad un contratto con il quale le parti stabiliscono che le controversie che potranno nascere dal contratto medesimo saranno decise ad opera di privati, gli arbitri, attraverso una decisione che, nel nostro diritto positivo, viene denominata lodo arbitrale. Quindi la clausola compromissoria può riguardare solo controversie contrattuali, e viene stipulata prima che queste controversie sorgano. Quanto alla sua natura si è affermato che essa costituisce un contratto, ad effetti processuali, a sè stante, anche quando – come prevalentemente accade – è inserita nell’atto contenente il contratto cui ineriscono le controversie oggetto della clausola; nè, data la loro autonoma funzione, tra i due contratti sussiste tecnicamente un rapporto di accessorietà, come è espressamente riconosciuto dall’art. 808, co. 3, c.p.c., secondo cui la validità della clausola compromissoria deve essere valutata in modo autonomo rispetto al contratto al quale essa si riferisce. Ne consegue che la clausola compromissoria deve essere valutata in modo autonomo rispetto al contratto al quale essa si riferisce. La clausola compromissoria contenuta in una proposta contrattuale può ritenersi operante anche se l’accettazione contiene modifiche riguardanti la sola parte sostanziale del contratto, perchè la relativa causa di nullità del contratto (mancanza di accordo delle parti) non incide sulla validità della clausola compromissoria. A differenza di quel che accade per il compromesso, nella clausola compromissoria non è necessaria una previa determinazione formale dell’oggetto del giudizio che sta per essere devoluto alla cognizione arbitrale che dovrà, anzitutto, insorgere affinchè la clausola compromissoria cominci a produrre la sua efficacia . L’ambito dell’eventuale giudizio arbitrale non essendo ancora insorta alcuna controversia è necessariamente individuato in relazione al contratto cui la clausola accede . Il fatto che un impegno preventivo a percorrere la via arbitrale debba necessariamente riferirsi ad un contratto comporta l’inefficacia di eventuali accordi, volti a prevedere la decisione arbitrale di controversie non contrattuali, che non siano ancora sorte ( ad es. controversie relative ad illeciti extracontrattuali: il risarcimento dei danni derivanti da un incidente stradale). La limitazione della clausola compromissoria alle sole controversie contrattuali dipende da una scelta di diritto positivo, fondata su una valutazione del legislatore, che ritiene opportuno evitare patti compromissori dall’ambito a priori poco definibile. La maggioranza degli arbitrati si fonda su una clausola compromissoria. Questo fenomeno si spiega considerando che nel momento in cui si stipula la clausola compromissoria le 12 parti non sono ancora in contrasto fra di loro. L’impegno a far decidere le eventuali, future controversie dall’arbitro è previsto in via precauzionale, ma in realtà in uel momento non vi è alcuna ragione di ritenere che si verificherà una situazione patologica. Entrambe le parti sono sostanzialmente in buona fede, e ciascuna di esse ritiene che le controversie non sorgeranno: tuttalpiù ciascuna parte pensa di essere quella che semmai, avrà necessità di tutela, e quindi opta per la via arbitrale, che – rispetto alla giurisdizione – ha, fra gli altri, il pregio della celerità. Il compromesso invece è stipulato quando la controversia è già sorta; le parti sono già in contrasto, e di solito solo una di esse ha interesse ad una decisione rapida: l’altra ritiene che ha tutto da guadagnare dalla lentezza della giurisdizione. Nella realtà, un compromesso viene stipulato nei casi eccezionali, nei quali una decisione immediata è ritenuta utile da tutte le parti: il che accade raramente. Il patto compromissorio ha un effetto positivo e un effetto negativo. a) l’effetto positivo consiste nel conferire all’arbitro il potere di decidere la controversia in modo vincolante per le parti. b) L’effetto negativo consiste nell’impedire che quella controversia possa essere decisa dal giudice . L’esistenza di un efficace patto compromissorio costituisce dunque un presupposto processuale negativo: una fattispecie, la cui presenza impedisce che in sede giurisdizionale si possa emettere una decisione di merito. 3. La forma del patto compromissorio. Il primo comma dell’art. 807 c.p.c. si limita ad affermare che il compromesso deve essere redatto per iscritto. L’art. 808, co.1, ult. parte, c.p.c. stabilisce che “la clausola compromissoria deve risultare da atto avente la forma richiesta per il compromesso ai sensi dell’art. 807, co. 1 e 2, c.p.c.” La giurisprudenza ritiene che sia rispettato il requisito della forma scritta non solo nel caso in cui la volontà negoziale è espressa con un unico documento che rechi la sottoscrizione dell’una e dell’altra parte, ma anche quando la seconda sottoscrizione sia contenuta in un documento separato, ponendo la condizione, tuttavia che il secondo documento sia inscindibilmente legato al primo. In questo modo è ad esempio – in caso di compromesso legittimata la stipula del compromesso per effetto dello scambio di missive fra le parti, 13 contenenti rispettivamente la proposta e l’accettazione di compromettere in arbitri la decisione della controversia insorta. Espressamente la giurisprudenza ha affermato che anche con riguardo al compromesso e alla clausola compromissoria, il requisito della forma scritta ad substantiam non richiede che la volontà negoziale sia espressa con un unico documento che rechi la sottoscrizione dell’una o dell’altra parte, ma deve ritenersi osservato anche quando la seconda sottoscrizione sia contenuta in un documento separato, purchè inscibilmente collegato al primo (Cass. 4 maggio 1995, n. 4856; Cass. 23 febbraio 1999, n. 1541; Cass. 22 febbraio 2000, n. 1989). Con riferimento alla clausola compromissoria si è poi affermato che il requisito della forma scritta deve ritenersi soddisfatto anche quando il documento negoziale rinvii, facendolo proprio, al patto incluso in altro contratto intervenuto per iscritto tra le medesime parti, pur senza riproporlo materialmente (Cass. 24 settembre 1996, n. 8407). In questi termini la cassazione in una fattispecie in cui la clausola compromissoria era stata inserita in un contratto preliminare di comprevendita immobiliare ed era stata richiamata in una scrittura privata modificativa delle pattuzioni contanute nell’atto pubblico di vendita). Quando invece la clausola compromissoria è contenuta in una convenzione, rogata in forma pubblica amministrativa, fra un Comune e un Consorzio, ed avente ad oggetto la costruzione di un’opera pubblica, non richiede specifica pprovazione per iscritto a norma dell’art. 1341 c.c, atteso che la particolare forma contrattuale rivestita dall’accordo esclude la necessità della suddetta approvazione, anche in ipotesi di unilaterale predisposizione della clausola da parte di uno dei contraenti (Cass. 12 giugno 1997, n. 5292). Il richiamo della disciplina fissata in un distinto documento che sia effettuato dalle parti contraenti, sulla premessa della piena conoscenza di tale documento ed al fine dell’integrazione del rapporto negoziale nella parte in cui difetti di una diversa regolamentazione, assegna alle previsioni di quella disciplina per il tramite di relatio perfecta il valora di clausole concordate e quindi le sottrae all’esigenza dell’approvazione specifica per iscritto di cui all’art. 1341 c.c. (Cass. 21 aprile 1999, n. 3929). 4. L’interpretazione della clausola compromissoria. Nella pratica l’interpretazione della clausola compromissoria involge la individuazione del carattere rituale o irrituale dell’arbitrato. La giurisprudenza ha chiarito a tal fine che nell’indagine rivolta ad individuare l’effettiva 14 volontà delle parti in ordine ad una clausola compromissoria per stabilire la ricorrenza di un arbitrato rituale o libero, non è elemento decisivo il conferimento agli arbitri del potere di decidere come “amichevoli compositori”, potendo le parti autorizzare anche gli arbitri a decidere secondo equità, e perciò come amichevoli compositori. Rilevante è invece, nel senso della natura rituale dell’arbitrato, l’uso, nella clausola compromissoria, di espressioni proprie del procedimento giursidizionale, quali il deferimento agli arbitri della definizione di tutte le controversie che possono sorgere da un determinato contratto, nonchè in sede di investitura dal collegio arbitrale, il tenore delle stesse richieste delle parti, ove ne presuppongano poteri giurisdizionali, e la mancata previsione di modalità della decisione, come la dispensa dall’obbligo del deposito del lodo e la utilizzazione di fogli preventivamente firmati in bianco dalle parti, incompatibili con la natura rituale dell’arbitrato (Cass. 14 aprile 1992, n. 4528). Al fine di accertare se una determinata clausola compromissoria configuri un arbitrato rituale o irrituale deve aversi riguardo all’effettiva volontà delle parti desumibile dall’intero contesto della pattuizione e non dall’una e dall’altra delle espressioni usate singolarmente, con la conseguenza che correttamente il giudice del merito riconosce la sussistenza dell’arbitrato irrituale quando le parti non si siano limitate a sancire il potere arbitrale di decidere pro bono et aequo, ma abbiano altresì precisato il valore della decisione degli arbitri come convenzionale ed equivalente ad un regolamento fra esse medesime concordato ed abbiano altresì stabilito la disciplina del procedimento arbitrale mediante rinvio ad una fonte regolamentare approntata da terzi (Cass. 5 settembre 1992, n. 10240). Il permanere di una situazione di incertezza in ordine alla natura dell’arbitrato impone una corretta interpretazione in ordine alla natura dell’arbitrato impone come corretta opzione interpretativa la dichirazione di irritualità dell’arbitrato, tenuto conto del carattere pur sempre eccezionale dell’arbitrato rituale introduttivo di una deroga alla competenza del giudice ordinario (Cass. 22 febbraio 1999, n. 1476). Il dubbio infine sulla comune intenzione delle parti di deferire ad arbitri le controversie insorte dal contratto deve essere risolto nel senso della competenza del giudice naturale quale giudice ordinario (Cass. 10 giugno 1998, n. 5717). 5. La determinabilità dell’oggetto del giudizio arbitrale. In ragione del diverso atteggiarsi del compromesso e della clausola compromissoria 15 sull’oggetto del giudizio, la successiva proposizione dei quesiti nella domanda di arbitrato e nello svolgersi del giudizio arbitrale assume un ruolo differente . Nell’ipotesi in cui sia stato stipulato un compromesso, dovendo a pena di nullità essere individuato l’oggetto della controversia, le domande eccedenti i limiti del compromesso sono ammissibili, a condizione che la parte, contro la quale sono proposte, non abbia eccepito l’esorbitanza delle stesse rispetto al compromesso e il giudice abbia accolto la relativa eccezione. Nell’ipotesi in cui sia stata stipulata una clausola compromissoria, non essendo stato ancora determinato l’oggetto della controversia, devono ritenersi ammissibili tutte le domande proposte, anche non in limine litis, purchè comprese nell’ambito delle materie genericamente individuate con la clausola stessa, salvo garantire all’altra parte il diritto di difesa e al contraddittorio sulle domande così introdotte. Qualora, poi, le parti propongano unilateralmente quesiti esorbitanti il contenuto della clausola, in quanto non vertenti, ad esempio, su controversie nascenti dal contratto cui la clausola accede, ma connessi alle questioni già sottoposte alla cognizione arbitrale, la loro ammissibilità è subordinata non solo al rispetto della garanzia del contraddittorio, ma anche a che l’altra parte – contro cui la domanda è proposta – non eccepisca la novità della domanda, rispetto alla clausola compromissoria ex art. 817 c.p.c. In quest’ultima ipotesi, spetta all’arbitro, mediante un giudizio discrezionale non sindacabile in cassazione, valutare se le domande così proposte siano ammissibili o meno. Anche qui, come accade in presenza di un compromesso, la proposizione dell’eccezione ex art. 817 c.p.c. costituisce condizione di proponibilità dell’azione di nullità del lodo ex art. 829, 4 comma, c.p.c. La stipulazione di un compromesso o di una clausola compromissoria non è ancora elemento sufficiente a che un processo arbitrale possa dirsi pendente. Come generalmente accade in generale per la tutela dei diritti o degli interessi legittimi avanti gli organi giurisdizionali statali è necessario l’impulso di parte.È la parte che, mediante la proposizione di una domanda, chiede la tutela di un suo diritto avanti al giudice, pur se privato, come nell’ipotesi di un giudizio arbitrale. Con la domanda, la parte fa valere la sua pretesa. Il potere decisorio del giudice è attivato dalla richiesta della parte e nei limiti dalla stessa determinati. Il giudice è, cioè, tenuto, secondo un principio posto per il giudizio ordinario dall’art. 112 c.p.c., ma ritenuto vigente anche per gli arbitri, a decidere su tutto quanto è chiesto dalla parte – o dalle parti, nel caso in cui il convenuto in giudizio decida a sua volta di proporre domande riconvenzionali –: è questo il 16 principio della c.d. corrispondenza tra il chiesto e il pronunciato. Se l’arbitro non si pronuncia su tutta la domanda incorre nel vizio di omissione di pronuncia, se al contrario si pronuncia oltre quanto gli è stato chiesto o in modo diverso da quanto prospettato dalle parti incorre nei vizi, rispettivamente, di ultrapetizione ed extrapetizione. In queste ipotesi il lodo è viziato di nullità che può essere fatta valere dalle parti per la prima volta in sede di impugnazione del lodo per nullità ai sensi dell’art. 829, 7 comma, c.p.c. . Il procedimento arbitrale prende normalmente avvio con la nomina degli arbitri contenuta nella c.d. domanda di arbitrato . Dall’art. 2943, 4 comma, c.p.c. si ricava che la domanda di arbitrato è l’atto notificato mediante il quale una parte, in ragione dell’esistenza di un patto compromissorio, dichiara la propria intenzione di promuovere il procedimento arbitrale, propone la domanda e procede per quanto le spetta, alla nomina degli arbitri. La domanda di arbitrato è atto complesso, costituito da una serie di atti, tra i quali, nella presente indagine, acquista speciale rilievo quello contenente la formulazione di una pretesa. La domanda di arbitrato è infatti l’atto con cui le parti specificano petitum e causa petendi nella forma dei cosidetti quesiti ed individuano le questioni che intendono sottoporre all’esame degli arbitri. Nella prassi, i quesiti si presentano sotto forma di interrogativi specifici sui quali gli arbitri sono chiamati a rispondere analiticamente. Questa attività di posizione dei quesiti agli arbitri, che può ben valere a formulare domande nuove rispetto all’iniziale, non deve necessariamente esaurirsi nella fase introduttiva del giudizio, ma può essere svolta dalle parti durante tutto il corso del procedimento arbitrale . É sufficiente che nella domanda di avvio sia enunciata la pretesa sulla quale gli arbitri devono statuire, cioè – si è precisato – siano formulati analiticamente petitum e causa petendi, al pari di quel che accade nel processo ordinario per la validità dell’atto di citazione. Il giudizio arbitrale ha, pertanto, un oggetto certamente elastico, che trova una prima seppur sommaria individuazione nel patto compromissorio, per essere poi più puntualmente determinato nella domanda di arbitrato, salvo subire successive modifiche, mediante un’attività sia di precisazione o modifica di quanto già richiesto, sia di ampliamento conseguente alla proposizione di vere e proprie domande nuove . Sul punto occorre peraltro distinguere – come abbiamo già anticipato – fra le domande che ampliano l’oggetto del giudizio arbitrale rispetto alle pretese fatte valere nella domanda di arbitrato, ma che sono comprese nell’ambito del patto compromissorio e le domande che non sono comprese nell’originaria fonte dell’arbitrato. Nella prima ipotesi, che ha luogo 17 specialmente se la devoluzione della decisione della controversia agli arbitri è oggetto di clausola compromissoria, in ragione dell’individuazione solo per relationem dell’oggetto del giudizio arbitrale che è effettuata in questo patto, è sufficiente, ai fini dell’introduzione della domanda nuova che l’altra parte sia posta nella condizione di poter contraddire sulla stessa. Qualora la domanda nuova sia estranea all’oggetto del giudizio arbitrale più o meno analiticamente individuato nel patto compromissorio, possa cioè tecnicamente definirsi domanda nuova , essa è ammissibile solo se l’altra parte è stata posta nella condizione di poter esercitare il diritto di difesa, non eccepisca l’incompetenza degli arbitri ai sensi dell’art. 817 c.p.c. Anche per le domande nuove opera, ovviamente, il divieto di superare i limiti oggettivi di arbitrabilità delle controversie, la cui violazione è sempre motivo di nullità del lodo ai sensi dell’art. 829, n. 1, c.p.c. 6. La violazione dei limiti del compromesso e della clausola compromissoria. Le questioni concernenti la violazione dei limiti del compromesso e della clausola compromissoria devono essere eccepite nel corso del procedimento arbitrale a norma dell’art. 817 c.p.c., non potendo, in mancanza, il relativo vizio essere dedotto per la prima volta nel procedimento di impugnazione del lodo per nullità. L’adempimento dell’onere di eccezione non è correlato ad un preciso segmento del procedimento arbitrale, essendo previsto nel citato art. 817 c.p.c. come unico limite temporale il “corso del procedimento arbitrale” e ben potendo, perciò, l’eccezione ritenersi tempestiva anche se formulata soltanto nel corso dell’ultima udienza tenutasi dinnanzi al collegio arbitrale. La valutazione del comportamento processuale della parte anteriormente alla proposizione dell’eccezione, al fine di verificare la sussistenza o meno di una accettazione del contraddittorio incompatibile con la volontà di avvalersi dell’eccezione, costituisce oggetto di quaestio voluntatis, implicante apprezzamento del fatto (processuale) riservato al giudice di merito ed insindacabile in sede di legittimità, se ed in quanto adeguatamente motivato ed esente da errori logici . Da questa disciplina consegue che il mancato tempestivo rilievo dell’eccezione d’incompetenza degli arbitri ex art. 817 c.p.c. determina un conseguente allargamento dell’oggetto del giudizio arbitrale, che rimane individuato dai quesiti, anche unilaterali, e dalle conclusioni di ciascuna delle parti che, pur se superano i limiti del compromesso e della clausola compromissoria, non sono stati oggetto di eccezione. 18 L’effetto di allargamento del giudizio arbitrale non si determina se i nuovi quesiti che esulano dai limiti della fonte dell’arbitrato sono proposti dopo la riserva in decisione in quanto, in tale fase del processo arbitrale, non è più consentito alla controparte di replicare e la proposizione del nuovo quesito comporta allora la violazione del principio del contraddittorio, la cui osservanza nell’arbitrato rituale è sancita dal già ricordato art. 816 c.p.c., 4 comma, c.p.c. . Ed anche l’eccezione di incompetenza proposta in sede di comparsa conclusionale deve ritenersi formulata nei limiti temporali consentiti dall’art. 817 c.p.c., quando le parti siano state poste in grado, con l’assegnazione di termini articolati per lo scambio di memorie di replica, di controdedurre in ordine alla contestata competenza arbitrale . L’ampliamento legittimo del thema decidendum non ha neppure luogo se i quesiti e le conclusioni, anche unilaterali, vertono su materia che, ai sensi dell’art. 806 c.p.c., non può essere oggetto di patto compromissorio e, quindi, in generale su diritti indisponibili dalle parti, con le sole limitate eccezioni dei diritti societari indisponibili. Le questioni concernenti la violazione dei limiti del compromesso e della clausola compromissoria possono, pertanto, essere eccepite fino a prima della chiusura dell’ultima udienza del procedimento arbitrale. In mancanza di tale rilievo, il relativo vizio d’incompetenza non può essere dedotto per la prima volta nel procedimento di impugnazione del lodo per nullità e la pronuncia degli arbitri anche sul nuovo ambito, cui si è elasticamente esteso l’oggetto del giudizio arbitrale, rimane sanata per tale profilo. I giudici di legittimità hanno, infatti, precisato che, in sede di impugnazione del lodo ex art. 828 c.p.c., la parte, che nel corso del procedimento arbitrale abbia rinunciato all’eccezione di incompetenza degli arbitri, prima formulata sotto il profilo che le questioni dedotte dall’avversario esorbitavano dai limiti del compromesso o della clausola compromissoria, non può dedurre detta incompetenza quale motivo di nullità, in quanto l’eccezione di cui all’art. 817 c.p.c. ha natura relativa, per cui la rinuncia ad essa è vincolante . La rinuncia, sottoscritta da entrambe le parti, all’eccezione di extra o ultrapetizione nel corso del procedimento arbitrale equivale alla sua mancata proposizione, con la conseguenza che eventuali domande esorbitanti dai limiti della clausola compromissoria restano acquisite al giudizio arbitrale e su di esse devono pronunciarsi gli arbitri . Si tratta di eccezione relativa validamente rinunciabile dalle parti e il suo rilievo è sempre precluso alla parte che ha tenuto un comportamento incompatibile con la successiva proposizione 19 della medesima . Qualora, poi, la parte abbia eccepito l’esorbitanza della domanda rispetto ai limiti del compromesso, ma abbia contestualmente proposto conclusioni incompatibili con l’eccezione medesima, siffatte conclusioni si intendono rinuciate nei limiti in cui contrastano con il contenuto dell’eccezione . Se l’eccezione ex art. 817 c.p.c. non è formulata, gli arbitri sono tenuti a pronunciarsi anche sulle conclusioni che esorbitano dai limiti individuati dal patto compromissorio. Il giudicante arbitrale che anziché pronunciarsi su tali conclusioni, rileva il difetto d’incompetenza, pronuncia un lodo impugnabile per vizio di extrapetizione . In dottrina, si è, in proposito, rilevato che agli arbitri dovrebbe sempre essere riconosciuta la facoltà di scegliere se assumere o meno l’incarico che, in tale seppur implicito modo, è loro ulteriormente demandato dalle parti o che, quantomeno, il termine per la decisione scivoli e cominci a decorrere non già dall’accettazione dell’incarico, bensì dalla definitiva determinazione in ampliamento del thema decidendum . Se l’incompetenza è eccepita, la domanda nuova non è ammissibile a meno che le parti – in forza del loro potere ex art. 816, 2° comma, c.p.c. – non abbiano espressamente derogato al divieto di domande nuove, che opera, come regola assoluta, nel processo civile, ma che può essere oggetto di patti in sua deroga nel processo arbitrale. Anche in seguito alla novella del 1994, non si rinvengono nel codice di rito disposizioni espresse in ordine alla ammissibilità o meno di domande nuove nel giudizio arbitrale. Ai sensi dell’art. 816, 2 comma, c.p.c. le parti hanno la facoltà di stabilire nella clausola compromissoria o in un atto scritto separato anteriore all’inizio del giudizio arbitrale, le norme che devono essere osservate dagli arbitri nel corso del giudizio arbitrale, salvo il rispetto delle norme del c.d. ordine pubblico processuale . In mancanza di una espressa convenzione delle parti, spetta agli arbitri dettare le regole del loro procedimento. Parte della dottrina ritiene che questa determinazione debba avvenire in limine litis subito dopo l’accettazione , mentre altri ritengono che gli arbitri possono adottare, di volta in volta, le regole che ritengono opportune . Seppure è pacifico che, in ragione dell’inderogabile diritto alla difesa in giudizio sancito dall’art. 24 Cost. nonché dal disposto dell’art. 829, n. 7, c.p.c. che garantisce, a pena di nullità, il rispetto del principio del contraddittorio, gli arbitri non possono imporre norme procedimentali che contrastino con tali diritti . É ius receptum il principio secondo cui gli arbitri hanno l’obbligo inderogabile, ad essi imposto dall’art. 816, 4 comma, c.p.c. di assegnare alle parti i termini per presentare documenti 20 ememorie e per esporre le loro repliche: se gli arbitri non si conformano a tale precetto, si ha una violazione del principio del contraddittorio , la cui stretta osservanza attiene all’ordine pubblico, con conseguente nullità del lodo ai sensi dell’art. 829, n. 7, c.p.c.. Nell’ipotesi in cui le parti abbiano espressamente stabilito delle regole in ordine alla ammissibilità o meno di domande nuove nel corso del procedimento arbitrale. Tali precetti, seppure pattizi, hanno carattere cogente. Così qualora le parti abbiano disposto in ordine alla ammisibilità di domande esorbitanti i limiti del patto compromissorio, non sarà proponibile l’eccezione ex art. 817 c.p.c., salvo solo il rispetto del principio del contraddittorio che è causa di nullità assoluta ed insanabile del lodo ai sensi dell’art. 817, n. 7, c.p.c. Viceversa qualora abbiano disposto in ordine alla non ammissibilità, si ritiene che spetti agli arbitri rilevare le inammissibili domande nuove eventualmente proposte perchè il regolamento della procedura s’impone in primo luogo agli arbitri, che sono tenuti a farlo rispettare. In tale ipotesi, atteso che fonte del giudizio arbitrale è la comune volontà delle parti, è evidente che quanto da esse stabilito costituisce legge speciale rispetto ad ogni altra disposizione che, anche in relazione al combinato disposto degli artt. 817 e 829, 4 comma, c.p.c. è, allora, del tutto inapplicabile. Una tesi dottrinale in relazione a questo potere delle parti di regolamentare lo svolgimento del processo arbitrale, ha argomentato che là dove la facoltà non sia esercitata, si applicano le norme previste dal codice di rito e dunque, stante la lacuna normativa in punto di domande nuove in arbitrato, quanto disposto dagli artt. 183 e 184 c.p.c. che prevedono rigide preclusioni iniziali alla determinazione del thema decidendum . Questa tesi se si sforza di colmare la lacuna legislativa mediante un richiamo delle norme del codice, non sembra tenere in effettivo conto almeno due fattori. In primo luogo, della lettura del dato normativo. Il combinato disposto degli artt. 817 e 829, 4 comma, c.p.c. dispone chiaramente nel senso che le parti possono decidere in ogni momento, salvo sempre sia il rispetto del principio del contraddittorio, sia un eventuale patto contrario, di ampliare il thema decidendum. Inoltre sia in dottrina, sia in giurisprudenza si tende a negare il trasferimento nell’arbitrato delle preclusioni che caratterizzano il rito ordinario in virtù del generale principio posto dall’art. 152, 2 comma, c.p.c. della tassatività dei termini perentori,che non consente di imporre una sanzione con natura eminentemente decadenziale, in mancanza di un’espressa previsione di legge. 21 Più che dubbia appare, infine, la possibilità che siano gli arbitri unilateralmente a stabilire preclusioni in ordine alla ammissibilità di domande nuove nel corso del procedimento arbitrale: una decisione in tal senso del collegio arbitrale deve essere quantomeno oggetto di espressa accettazione delle parti del procedimento, alla cui esclusiva volontà è rimesso di estendere l’oggetto del giudizio arbitrale nei suoi gradi di elasticità. L’ampliamento dell’oggetto del giudizio arbitrale ha come necessario presupposto delle vere e proprie domande nuove, rispetto all’oggetto determinato nel patto compromissorio. Non integrano, pertanto, un ampliamento della materia del contendere le mere difese, con cui le parti non fanno valere alcuna pretesa ma si limitano ad opporsi, difendendosi, alle istanze avversarie . Ugualmente non si verte in ipotesi di allargamento del thema decidendum arbitrale ogni volta che il giudice è chiamato a decidere, anche su eccezione delleparte, di presupposti logici necessari della decisione, debba cioè conoscere ed accertare incidenter tantum questioni pregiudiziali rispetto alla risoluzione della controversia oggetto del giudizio arbitrale, salvo che le parti non abbiano proposto domanda di accertamento incidentale o che si tratti di questioni che non possono costituire oggetto di giudizio arbitrale, come dispone l’art. 819 c.p.c. 7. La patologia del patto compromissorio. a) la nullità Passando ora ad esaminare le cause di nullità della clausola compromissoria viene in primo luogo la carenza dell’elemento formale. Così è nulla la clausola compromissoria che non sia stata redatta per iscritto, ex art. 807, co. 1 e 2 richiamati dall’art. 808, co. 1, c.p.c. È ugualmente viziata da un punto di vista formale la clausola arbitrale che sia contenuta in un contratto standard e non sia stata approvata specificatamente per iscritto. Se però la clausola è inserita in un contratto per adesione tipulato fra un consumatore e un professionista essa è ritenuta vessatoria ex lege 8art. 1469 quinquies c.c.) e perciò nulla a meno che il professionista dimostri che è stata oggetto di trattativa individuale. In questo senso in giurisprudenza si è affermato che l’efficacia della clausola compromissoria è subordinata alla specifica approvazione per iscritto, nei soli casi in cui sia inserita in contratti con condizioni generali predisposte da uno solo dei contraenti ovvero conclusi mediante sottoscrizione di moduli o formulari (Cass. 24 settembre 1996, n. 8407). 22 La specifica approvazione scritta richiesta dal’art. 1341 c.c. per le clausole contrattuali onerose (nella specie clausola compromissoria) deve essere effettuata mediante una sottoscrizione separata e distinta da quella in calce alle condizioni generali del contratto predisposto dall’altra parte, senza che sia necessario peraltro, che la sottoscrizione segua una letterale enunciazione della clausola stessa, essendo sufficiente che tale sottoscrizione sia apposta dopo una indicazione idonea a suscitare l’attenzione del sottoscrittore. Pertanto, l’esigenza di specifica approvazione delle predette clausole non può ritenersi soddisfatta nel caso in cui il contraente per adesione apponga un’unica firma in calce al contratto predisposto dall’altro contraente, anche se immediatamente dopo una dichiarazione di approvazione di dette clausole (Cass. 9 dicembre 1997, n. 12455). Un altro motivo di nullità si ha nell’ipotesi in cui le parti si sono accordate per deferire ad arbitri controversie che non possono costituire oggetto di compromesso (art. 806 c.p.c.). Se la convenzione ha ad oggetto oltre alle questioni non compromettibili anche controversie che possono essere decise dagli arbitri la clausola sarà affetta da nullità solo parziale a meno che non emerga che la devoluzione delle controversie non arbitrabili era elemento essenziale della clausola compromissoria: in questa ipotesi l’intera convenzione verrebbe meno ( vedi art. 1419 co. 1 , c.c.) Alla luce della recente costituzionalizzazione del principio d’imparzialità del giudice, estensibile anche al giudice privato, si è ritenuto in dottrina che sia affetta da nullità la clausola che preveda dei criteri di nomina degli arbitri illeciti, per esempio qualora sia rimessa ad uno dei litiganti la scelta di tutti o della maggioranza dei componenti il collegio arbitrale. Così si è affermato in giurisprudenza, in materia societaria, che la clausola compromissoria dello statuto che devolva alla cognizione di un collegio di probiviri composto da soci la soluzione di determinate controversie tra la stessa società e il socio, riservando la nomina dei membri di detto collegio all’assemblea, ma senza richiedere l’unanimità, nè comunque il voto favorevole di detto socio, è nulla e quindi inidonea a sottrarre quelle controversie alla cognizione dell’autorità giudiziaria, in mancanza del requisito dell’imparzialità degli arbitri, in relazione a nomina non riferibile ad entrambi i contendenti ( Cass. 6 agosto 1990, n. 7912). La clausola compromissoria dello statuto di una società che devolva al collegio dei probiviri la soluzione di determinate controversie tra società e soci, non è di per sè nulla, ma lo è solo ove sia dimostrata la concreta esistenza, in forza delle modalità di nomina, di una situazione 23 incompatibile con il requisito dell’imparzialità che gli arbitri devono avere. L’accertamento di tale eventuale nullità implica indagini di fatto riservate al giudice di merito e non esperibili in sede di legittimità (Cass. 30 agosto 1999, n. 9114). Se un contratto contenente clausola è invalido per altri profili, la sua invalidità non investe di per sé la clausola (che non sia essa stessa analogamente viziata), sì da consentire agli arbitri di conoscere anche delle impugnative contrattuali (annullamento, rescissione, etc.) contro il contratto stesso; non pure però delle liti di responsabilità precontrattuale od in contrahendo (artt. 1337 e 1338 c.c.). Questa problematica non si pone invece per il compromesso, poiché un autonomo contratto stipulato (quando le parti vi riescono, perché entrambe interessate ad una sollecita definizione) a lite già nata è ovviamente autonomo da ogni altro loro rapporto quanto ad eventuali vizi ed inoltre procederà analiticamente ad individuare l'oggetto del giudizio arbitrale. Per fare degli esempi, potendosi qui ben enucleare la lite devoluta agli arbitri, il contratto di compromesso suona più o meno nel seguente modo. Due soggetti, che hanno stipulato un contratto sprovvisto di clausola compromissoria, sulla base del quale è nata una certa controversia, poiché desiderano che questa determinata lite sia risolta dagli arbitri, incaricano Tizio ad operare - quanto alla lite descritta e alle domande e quesiti che possano concernerla come amichevole compositore o come arbitro irrituale; od invece a decidere la lite come arbitro-giudice con lodo rituale. Il patto compromissorio nullo non produce effetti e quindi le parti possono adire la giurisdizione ordinaria. Se, nonostante la nullità, l’arbitrato sia promosso, gli arbitri devono, su istanza di parte o d’uffico dichiarare la propria carenza di potere decisorio sulla controversia. Se nonostante la nullità del patto compromissorio gli arbitri decidono nel merito della controversia, spetterà alle parti adire l’autorità giudiziaria ex art. 829, co.1. c.p.c., altrimenti la nullità sarà sanata. In giurisprudenza (Cass. 25 gennaio 1997, n. 781) si è affermato che l’accertamento dell’esistenza, della validità e dell’afficacia del patto compromissorio è istituzionalmente devoluto alla cognizione del giudice dell’impugnazione in funzione strumentale alla decisione sulla nullità del lodo, ai sensi e per gli effetti dell’art. 829, co.1, c.p.c. tale cognizione che non è limitata alle sole ipotesi di inesistenza, ma si estende in ordine a qualsiasi fattispecie in cui si rivela insussistente la volontà contrattuale delle parti (la quale rappresenta il fondamento della 24 potestà decisoria degli arbitri), con la conseguenza che la situazione medesima è riconducibile all’ipotesi d’impugnabilità del lodo prevista dall’art. 829, co.1, n.1 c.p.c. dovendosi la nozione di nullità contemplata da tale disposizione riferire alla radicale inidoneità del negozio compromissorio a produrre efftti, non tanto a specifici vizi genetici del negozio medesimo. b) annullabilità Presso la dottrina maggioritaria i vizi che determinano l’annullabilità del contratto determinano la nullità della clausola arbitrale. I vizi vengono ricondotti alla irregolarità della costituzione del giudice, da cui è fatta derivare la nullità della clausola in forza dell’art. 158 c.p.c. c) inefficacia Quanto all’inefficacia il patto compromissorio è inefficace in caso di difetto di rappresentanza: nell’ipotesi di rappresentanza volontaria qualora manchi la procura o non siano rispettate le forme di cui all’art. 807 c.p.c. (art. 1392 c.c.) Ai sensi dell’art. 808, ult. co., c.p.c. il rappresentante che ha il potere di concludere il contratto ha anche il potere di stipulare la clausola compromissoria. Questa disposizione, introdotta dalla novella del 1994, ha reso superflua ogni questione relativa al se la sottoscrizione della clausola compromissoria sia atto di ordinaria o di starordinaria amministrazione. Diversamente bisogna invece concludere per il patto compromissorio che è ancora qualificato atto di straordinaria amministrazione all’art. 807 , co. 3 e che pertanto continua a richiedere i poteri di straordinaria amministrazione in capo agli stipulanti. In giurisprudenza (Cass. 18 ottobre 1997, n. 10229) si è in proposito affermato che il l’art. 807, co. 3, c.p.c. nel dichiarare applicabili al compromesso le disposizioni che regolano la validità dei contratti eccedenti l’ordinaria amministrazione, non esclude in via di principio, il potere del direttore generale (eventualmente in via comgiunta con altro dirigente, quale un direttore centrale) di stipulare clausole compromissorie riferite a contratti alla cui conclusione egli risulti legittimamente autorizzato. In tema di attività d’impresa, il criterio discretivo tra ordinaria e straordinaria amministrazione non può. Difatti, ritenersi quello del carattere cosidetto conservativo dell’atto posto in essere (valido, al contrario, in relazione all’amministrazione del patrimonio dell’incapace), essendo al contrario, necessariamente sotteso alle vicende imprenditoriali il compimento di atti di disposizione di beni, con la conseguenza che l’indicata distinzione va fondata sulla relazione in cui l’atto si pone con la gestione normale (, quindi ordinaria) del tipo di impresa di cui si tratta (ed in considerazione) delle dimensioni in cui essa viene esercitata). Se pertanto, gli atti che modificano le strutture 25 economico – amministrative sostanziali dell’azienda sono da considerarsi di straordinaria amministrazione, la stipulazione di una clausola compromissoria non può considerarsi ex se qualificarsi come tale, con la conseguenza che (tanto un amministratore, quanto) lo stesso direttore generale della società deve ritenersi abilitato alla stipulazione della clausola predetta non soltanto per effetto di una specifica attribuzione di potere in tal senso (da parte dell’assemblea o per disposizione dell’atto costitutivo) ma anche se dettto potere inerisca alla stessa natura dei compiti affidatigli (come nel caso di autorizzazione alla conclusione di determinati contratti in nome e per conto della società) Un ulteriore motivo di inefficacia è legato alle vicende che possono colpire i c.d. elementi accidentali. Se in linea di principio non ostano limiti all’apponibilità di un termine o di una condizione ad una clausola arbitrale si è evidenziato come sia difficile rinvenire un interesse meritevole di tutela all’apposizione di una condizione sospensiva o risolutiva ovvero di un termine iniziale, mentre risulta senz’altro lecita l’apposizione di un termine finale. Un’ipotesi particolare di inefficacia del patto compromissorio si può avere nella lite sorta fra più parti in cui la clausola di tipo binario attribuisca a due soli soggetti il potere di nominare il proprio arbitro: in queste ipotesi l’orientamento della Cassazione (Cass. 15 aprile 1998, n. 2983, in Società, 1988, 583 ss.; Cass. 15 marzo 1983, n. 1900 in Giur. comm., 1983, II, 829 ss.) è nel senso di escludere l’operatività della claosola se non nell’ipotesi in cui gli interessi in conflitto sono solamente due e i litiganti si raggruppino volontariamente in due gruppi. Il trattamento della nullità e dell’inefficacia sono uguali: il lodo eventualmente reso è impugnabile per nullità ex art. 829, co.1, c.p.c. Si è infatti affermato in giurisprudenza che in tema di impugnabilità del lodo, la nozione di nullità di cui all’art. 829, co.1, n.1, c.p.c. non è limitata alla sola ipotesi di inesistenza del lodo o a specifici vizi genetici del negozio compromissorio, ma deve intendersi estesa a qualsiasi fattispecie in cui si riveli insussistente la volontà contrattuale delle parti, la quale rappresenta il fondamento della potestà decisoria degli arbitri. (così Cass. 17 aprile 1997, n. 3293). In entrambi i casi è poi ammissibile la sanatoria per decorso del termine di impugnazione applicandosi anche alle sentenze arbitrali il principio di cui all’art. 161, co.1, c.p.c. della conversione in motivi di gravame delle cause di nullità della sentenza. Tale generale principio è applicabile, oltre che nei casi di nullità strictu sensu della clausola compromissoria, anche in quelli di vizi comunque influenti sulla operatività di detta clausola, potendosi legittimamente 26 invocare l’inesistenza giuridica del titolo d’investitura arbitrale nel solo caso in cui risulti devoluta ad arbitri una controversia non rientrante nella giurisdizione del giudice ordinario (con conseguente rilebvabilità d’ufficio del vizio de quo in ogni stato e grado del processo)(in questi termini v. Cass. 11 maggio 1998, n. 4738). d) estinzione Le parti compromittenti hanno la facoltà di risolvere per mutuo consenso la clausola arbitrale (art. 1372, co. 1, c.c.) : la volontà deve essere espressa per isrcitto, anche non espressa. Così per es. se le parti decidono di risolvere un contratto contenente una clausola arbitrale, che viene meno automaticamente. Qualora peraltro le parti successivamente contestino l’intervenuta soluzione del contratto sostanziale sollevando questioni relative al contratto stesso la controversia ben potrà essere devoluta agli arbitri. Nulla dice la legge in relazione alle vicende della clausola arbitrale in caso di fallimento dei compromittenti. Al riguardo sono state affacciate due tesi: a) si afferma l’applicazione analogica degli artt. 72 ss. l. Fall. Optando o per lo sciogliomento automatico e irrevocabile oppure per la sospensione degli effetti con facoltà per il curatore di subentrare nel rapporto b) si sostiene la permanenza dell’efficacia dell’accordo compromissorio, sempre che lo stesso abbia ad oggetto liti derivanti da un raporto sostanziale nel quale il curatore abbia preso il posto del fallito. La convenzione arbitrale non produce invece effetti, salva diversa volontà del curatore, per i rapporti giuridici sorti fra creditore in bonis e curatore successivamente al fallimento. 8. Arbitrato irrituale. Cenni L’arbitrato irrituale, al pari del rituale, ha la funzione di dirimere una controversia deferita dalle parti. A questa comunanza funzionale, si contrappone la struttura del procedimento che porta alla decisione e che solo nell’arbitrato rituale è un vero e proprio giudizio, retto dalle norme del codice di rito. Sul piano strutturale, l’arbitrato irrituale si sostanzia in un contratto di mandato con il quale le parti demandano ad uno o più soggetti privati il compito di regolare una controversia insorta tra le parti mediante un contratto assoggettabile alle normali impugnative negoziali. Si parla di contratto di accertamento o di giusta composizione della lite, che le parti 27 sottoscrivono lasciando che siano gli arbitri a determinarne il contenuto, o, ancora, di mandato a transigere la controversia . L’arbitrato irrituale è un modo di composizione della controversia, rimesso all’autonomia privata e che offre una risoluzione negoziale, non riconoscibile dall’ordinamento giurisdizionale . É possibile la configurazione di due diverse specie di compromesso irrituale. Una prima forma si ha quando le parti, con apposita convenzione, demandano agli arbitri di emettere la loro determinazione con un atto separato, cosidetto lodo irrituale, il cui contenuto, ben distinto dal compromesso, i privati contraenti si sono preventivamente obbligati a considerare come vincolante. Un secondo tipo è, invece, caratterizzato dalla consegna agli arbitri di un foglio sottoscritto in bianco (cosidetto arbitrato per biancosegno) con l’autorizzazione di effettuarne il riempimento, cosicchè la scrittura una volta completata si presenta dal punto di vista formale come un negozio stipulato dagli stessi interessati . Nell’arbitrato irrituale la domanda di arbitrato è sostituita da un contratto con il quale le parti incaricano uno o più arbitri di risolvere una controversia tra di loro insorta e che dovrà pertanto essere precisamente individuata nell’accordo stesso. Le rispettive domande delle parti, formulate in relazione alla controversia tra di esse insorta e che dovrà essere risolta sul piano negoziale, determinano i limiti del mandato. Questi tratti, maggiormente caratterizzanti l’arbitrato libero, confermano che fino a che la controversia non è negozialmente risolta dagli arbitri, non vi è alcun ostacolo alla libera modifica o specificazione ad opera delle parti del thema decidendum. Della proposizione unilaterale di domande nuove esorbitanti l’accordo iniziale deve essere informata, si ritiene dagli arbitri, la parte avversaria, che deve essere posta nella condizione di esercitare il suo diritto al contraddittorio. Anche nel giudizio di arbitrato irrituale si ritiene debba essere rispettato il principio del contraddittorio e quindi la concessione da parte dei giudici di termini per replica alle istanze avversarie. Seppure l’obbligo non discende, in via rettilinea, dal disposto dell’art. 816, 4 comma, c.p.c., per cui la concreta attuazione del contraddittorio va valutata alla stregua della idoneità e congruenza delle attività materiali esplicate dai soggetti del rapporto, in qualsiasi modo e tempo . Ai fini del rispetto del principio del contraddittorio, non è sufficiente che l’arbitro ascolti le parti perchè occorre sopratutto che queste siano poste nella condizione di poter conoscere quanto le altre parti hanno prospettato all’arbitro, al fine di potersi difendere e replicare . Gli arbitri liberi sono tenuti a decidere su tutte le domande così proposte dalle parti che 28 valgono a determinare i limiti del mandato. Nell’arbitrato irrituale, infatti, per quanto non possa correttamente parlarsi di obbligo di corrispondenza fra il chiesto e il pronunciato stante l’assenza di una domanda di parte in senso tecnico, sussiste un obbligo per gli arbitri di rispettare i limiti del mandato, accogliendo o rigettando le richieste prospettate dalle parti ed anche su quelle elasticamente formulate in pendenza di arbitrato . 9. Arbitrato societario. Come già brevemente anticipato, il d. lgs. n. 5/2003 (con gli artt. 34-37) ha dettato alcune disposizioni speciali quanto all’arbitrato societario, nel senso che esse apportano integrazioni o deroghe – alcune delle quali di notevole rilevanza - alla disciplina dell’arbitrato, quale prevista nel c.p.c., in materie diverse da quella societaria. Più precisamente, l’art. 34 d. lgs. n. 5/2003 prevede la possibilità per gli atti costitutivi delle società (con esclusione delle società che fanno ricorso al mercato capitale di rischio a norma dell’art. 2325-bis c.c.) di prevedere clausole compromissorie che devolvano ad arbitri la soluzione di tutte od alcune delle controversie tra i soci e tra i soci e le società che abbiano ad oggetto diritti disponibili. Occorre tenere presente che, il c. 2 dell’art. 34, prescrive che tali clausole compromissorie devono prevedere, a pena di nullità, l’attribuzione del potere di nomina di tutti gli arbitri ad un soggetto estraneo alla società (l’appointing authority prescelta non potrà, quindi, essere formata, ad esempio, da amministratori, sindaci o probiviri); ove il soggetto designato non proceda alla nomina degli arbitri, le parti potranno richiedere l’intervento suppletivo del Presidente del Tribunale ove ha sede la società. Questa rilevante peculiarità che contraddistingue la formazione dell’organo arbitrale si spiega in virtù di quella che è forse la più importante innovazione di questa disciplina: la vincolatività della clausola compromissoria a tutti i soci (nonché – a certe condizioni – pure gli amministratori) e la opponibilità ad essi del lodo arbitrale. Infatti, l’art. 36 c.3 stabilisce che la clausola arbitrale è vincolante per la società e per tutti i soci, inclusi coloro la cui qualità di socio è oggetto della controversia; ed il c. 4 dello stesso art. 36 prevede che gli atti costitutivi possano contenere una clausola arbitrale che abbia ad oggetto controversie promosse da amministratori e sindaci ovvero nei loro confronti e che, in tal caso, essa, a seguito dell’accettazione dell’incarico, sia per costoro (amministratori e sindaci) vincolante (non si può dunque diventare amministratori senza assoggettarsi alla decidibilità arbitrale di eventuali liti) 29 Il d. lgs. n. 5/2003 detta poi tutta una serie di disposizioni che si spiegano proprio in virtù della già sottolineata vincolatività ed opponibilità della clausola e del lodo arbitrali a tutta la compagine sociale. Così, l’art. 36 c. 6 prevede che le modifiche dell’atto costitutivo – che introducano o eliminino clausole arbitrali – devono essere approvate dai soci che rappresentino almeno i due terzi del capitale sociale (in tal caso i soci assenti o dissenzienti potranno, entro i successivi novanta giorni, esercitare il diritto di recesso); l’art. 35, c. 1 stabilisce che la domanda di arbitrato proposta dalla società o nei suoi confronti è depositata presso il registro delle imprese ed è accessibile ai soci. Sempre in quest’ottica, si spiega la disposizione di cui all’art. 35, c. 2 che prevede che nel procedimento arbitrale così instaurato, sino alla prima udienza di trattazione, possa ammissibilmente aver luogo l’intervento volontario di terzi ex art. 105, nonché di altri soci, ai sensi degli artt. 106 e 107 c.p.c. Va, poi, ancora ricordato che l’art. 35 c. 3 stabilisce la inapplicabilità, quanto all’arbitrato societario, della norma di cui all’art. 819 c.p.c., che, nel procedimento arbitrale diverso da quello societario, impone la sospensione del procedimento arbitrale ogniqualvolta sorga davanti agli arbitri una questione pregiudiziale che non può costituire ammissibile oggetto di un giudizio arbitrale. In tal caso, però, il lodo emesso dagli arbitri (anche se l’arbitrato è internazionale e, così, in deroga all’art. 838 c.p.c.) è sempre aggredibile con la impugnazione di nullità di cui all’art. 829 (anche per gli errori di diritto di cui al c.2 dell’art. 829) nonché con la revocazione e l’opposizione di terzo di cui all’art. 831, nonostante ogni clausola contraria. Il legislatore delegato ha inoltre previsto che se la clausola compromissoria – stando al tenore letterale della norma sia per arbitrato rituale che per arbitrato libero – devolve ad arbitri controversie che hanno ad oggetto la validità di delibere assembleari, agli arbitri compete il potere cautelare di disporre, con ordinanza non reclamabile, l’efficacia della delibera impugnata. Infine, sia che l’arbitrato abbia carattere interno sia che esso abbia carattere internazionale ai sensi dell’art. 832, anche se la clausola compromissoria autorizza gli arbitri a decidere secondo equità oppure con lodo non impugnabile, essi debbono decidere comunque secondo diritto, con lodo impugnabile anche a norma dell’articolo 829 c. 2 (e, quindi, per errores in iudicando in cui siano eventualmente incorsi in errori gli arbitri interni o internazionali) quando, per decidere, abbiano conosciuto di questioni non compromettibili ovvero quando l’oggetto del giudizio sia costituito dalla validità di delibere. 30 31