xxi barcolana trieste 8 ottobre 1989

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xxi barcolana trieste 8 ottobre 1989
XXI BARCOLANA TRIESTE 8 OTTOBRE 1989
COME L’AFFRONTAVANO I CANOTTIERI DEGLI ANNI ’80
Un racconto semplice e simpatico che alla fine ci risulterà anche avvincente
divenendo quasi partecipi dell’avventurosa descrizione.
Un ricordo di Giorgio Martignon per gentile concessione della moglie Laura.
C
i siamo riuniti due volte da Favaretto, in pizzeria, per rifarci alle vecchie Barcolane e per entrare nello spirito della prossima. La prima volta eravamo in
venticinque e la confusione è stata tanta che abbiamo deciso di ritrovarci ancora
prima dell’iscrizione, per fare il punto.
All’incontro, la seconda volta, eravamo solo i probabili partecipanti: Paolo Pizzolotto, Egidio Stiglic, Gianni D T e rispettive signore (Silva non c’era), Mario il
Pizzaiolo sempre presente.
Decidiamo che la partenza sarebbe avvenuta da Marina di Cavallino, per la comodità di caricare le barche. Gianni D T e il sottoscritto saremmo invece partiti
il giorno prima dalla Canottieri per Cavallino: dovevamo uscire assieme per fare
“equipaggio”.
Una notte di più in barca non avrebbe certo guastato: tanto ci si doveva abituare.
ELLE
4 OTTOBRE 1989
o portato tutta la roba da caricare con un primo viaggio (tutta quella che
entrava nella macchina). 87 mila lire per il mangiare in barca, senza vino
quest’anno (Paolo Plzzolotto ne ha spese 270 mila e 170 mila lo scorso anno); un
paio di bottiglie, per la verità, c’erano già in barca: sarebbero andate bene per i
brindisi; e inoltre con la scorta di birra saremmo stati a posto.
Erano le 8 del mattino che incominciavo a caricare e anche se con l’aiuto di Luciano Bettoni, alle 10, non avevo ancora finito. Il Gianni DT non era ancora arrivato:
doveva sistemare gli ultimi lavori. Alle 10,30, arriva Gianni e decidiamo di mettere alla rinfusa l’ultima roba; in barca
l’avremmo sistemata strada facendo.
Torniamo a casa per depositare la mia auto e per raccogliere l’ultimo carico: l’ancora, la catena in più, la bombola
e qualche altra cima per ormeggi eventuali.
Sono ormai le 12,30. Devo ancora fare benzina e decidiamo di passare a salutare Paolo P.
Approfitto per cambiare un assegno e riusciamo a fare il pieno di carburante proprio prima della chiusura. All’una
salutiamo Gianni e Luciana del bar.
Partiamo con una bellissima giornata calda al punto giusto e la marea calante.
Navighiamo con vento portante e mettiamo a riva il fiocco giallorosso di fattura casareccia, ma già a Murano non
portava più e decidiamo di imbrogliarlo a prua senza legarlo, così che nel canale del porto, dopo S. Erasmo, navigavamo con motore e randa, per il poco vento; ma verso l’uscita dal canale, quasi vicino a Punta Sabbioni, le onde di
marea uscente fanno saltare la barca e delle ventate fanno sì che il fiocco parta improvvisamente gonfiandosi fuori
barca. Bisogna riprenderlo immediatamente e il Gianni fa la sua prima puntata a prua per riprendere la vela. L’onda
più alta (quasi due metri) fa sobbalzare la barca e il “passeggero” prova la prima emozione da “ondata”; riconosce,
però, che la barca “tiene” bene e alle 15 siamo in mare aperto.
All’altezza di Ca’ Savio si sentono gli spari dei militari al campo e proseguiamo con un mare calmo e con pochissimo
vento. La corrente in prua (quella rotatoria dell’Adriatico) ci rallenta parecchio. Alle 17.30 anche se con il motore
acceso, entriamo a Marina di Cavallino; ormeggiamo con comodo (posto ce n’è) e alle 18 risolte le formalità del
porticciolo, usciamo per una pizza.
Siamo sfortunati, vicino alla Darsena, non ci sono Pizzerie aperte (siamo fuori stagione). Arriva l’autobus, saliamo
senza biglietto visto che in Marina non ne vendevano e ci porta dove si possa mangiare una pizza. Piazza Mazzini è
il posto più vicino. Telefoniamo a casa e dopo cena ritorniamo, questa volta col biglietto e alle 22 ci prepariamo a
passare la prima notte in barca, in questo nostro viaggio.
H
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on ho dormito tanto, questa notte. Nonostante il viaggio in Jugoslavia di questa estate, non sono rodato.
Gianni D.T “suonava”, rilassato, un ottimo contrabbasso. Mi sono appisolato verso mattina e alle 6,30 decidiamo
di alzarci: si pensava di partire presto, quando invece alle 7,30 arrivato Paolo P. e GiannAndrea Sanfior apprendiamo
che dovevano ancora mettere in ordine l’Ambra, l’EM7.
Alle, 9 Egidio e Silva che avevano già lavato il loro yacht, il Nelson 25, ormeggiato in altra darsena: a Piave Vecchio,
ci chiedono di trovare una bandiera jugoslava: era intenzione di passare dall’altra parte, per una buona mangiata di
pesce. Le insegne erano terminate, nel negozio della darsena, e intanto Paolo e GiannAndrea lavoravano alacremente. Il loro lavoro era tanto e noi che non potevamo aiutarli in nessuna maniera, alle 11, eravamo ancora ormeggiati.
Facciamo benzina e alle 11,30 partiamo da Faro Piave verso la nostra meta. Decidiamo, strada facendo, di non puntare a Umago: saremmo arrivati troppo tardi. Puntiamo così su Bibione (Punta Tragliamento).
Navighiamo a vela con una bolina che ci porta in mare aperto, senza però fare tanta strada.
Alle quattro del pomeriggio siamo ancora davanti Caorle. Col poco vento che c’era Gianni D.T. ha anche pescato:
due sgombri piccoli, sui tre etti l’uno, di cui uno solo è entrato in barca, l’altro mi è scivolato dalle mani, finendo
proprio in acqua.
Accendiamo il motore che da Caorle a Punta Tagliamento c’è ancora tanta strada. Paolo P. si era portato con la sua
Ambra, un EM7, tanto, ma tanto, avanti navigando di bolina col suo genoa che riesce a stringere così bene da far
camminare la barca. Silva 3 si difende bene e si porta molto vicino ad Ambra.
N
Alle 18 si arriva a Marina Uno che conosciamo dall’altr’anno. Tentiamo la sorte per la cena “Da Ori” (senza branzino,
questa volta). Spaghetti al sugo di mare; tre fritture e insalata mista e tre controfiletto di puledro. Come l’altra volta
però non siamo soddisfatti del conto quanto lo siamo stati delle pietanze. Paghiamo 35 mila lire ciascuno mugugnando un po’ e “lasciando” una mancia allo stanco cameriere.
A spasso dal momento che era ancora presto, camminando per una città morta: tale si presenta Bibione in questa
stagione. Incontro inaspettato: un riccio anche lui in passeggiata notturna. Non un bar per un gelato; così che alle
22,30 davanti alla barca di Egidio con Silva prendiamo il bicchierino del buon riposo: grappa
e Cointreau.
GiannAndrea si prepara a passare la sua prima notte in barca con un certo timore: dormirà?
o non dormirà? Intanto nella sua tenuta da montanaro stende i suoi due sacchi a pelo.
6 OTTOBRE 1989
veglia per tempo: ore 8. Caffè offerto da Silva; abluzioni generose a Marina Uno e alle
9,30 partenza per l’ultima tappa del viaggio di andata.
C’è una buona brezza e la giornata è tersa e calda. Metto a riva le vele più grandi ma
Ambra e Silva 3 con genoa in bolina mi danno parecchia “birra”. Finalmente però nel pomeriggio, dopo aver gustato un paio di scatolette e l’ultima fetta di salame, il vento diventa
portante. Alzo lo spinnaker* e “finalmente” riesco a recuperare sulle due imbarcazioni. Lungo il percorso incontriamo “Città Fiera”: un “cinque ordini di crocette” che ci passa vicino
a motore anche lui diretto a Trieste.
Cambiato il vento riesco ancora a distanziare le altre due imbarcazioni tangonando il genoa.
Alle 16 però, decidiamo di accendere i motori: il vento è calato e c’è ancora parecchia strada da fare pur vedendola, Trieste, è ancora lontana.
All’imbrunire arriviamo a Barcola. La società organizzatrice ci accoglie con la solita cortesia; Silva e Sanfior scendono
a terra e prendono in consegna la Croma nuova, messaci a disposizione dalla SVBG.
E’ ormai sera inoltrata quando entrati in Porto Vecchio, ci fanno fare tutto il giro all’esterno a causa di lavori in corso.
Ormeggiamo vicino a una nave che dovrebbe caricare vacche e il posto ci lascia perplessi. Tentiamo di spostarci in
“Sacchetta”, Dopo aver provato all’Adriaco (le nostre piccole imbarcazioni non potevano stare vicino ai due “Moro di
Venezia”, a Città Fiera, Rimini-Rimini e tantissimi altri colossi), andiamo ad ormeggiarci proprio dove finisce il molo
prima della Guardia di Finanza. Siamo un po’ delusi. Non un bagno vicino, né una fontana.
Scendiamo a terra e cena dall’Istriano. Spaghetti ai frutti di mare, ottima frittura di pesce azzurro, e più acqua che
vino. Gelato offerto da GiannAndrea (o no?).
S
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i svegliamo e assieme a Gianni D.T. puntiamo verso l’Istriano per un caffè e per necessità fisiologiche (non c’è
altri). Però non siamo contenti lì dove siamo.
Chiediamo ospitalità alla Lega Navale in previsione dell’arrivo delle altre due barche che sarebbero arrivate al traino
via terra, più tardi.
Il tempo si sta guastando; cominciano le prime gocce di pioggia, proprio quando arriviamo a Barcola.
I “nostri” sono già arrivati e stanno armando. Strette di mano, e felicitazioni. Mi consegnano “Arturo”, il pilota automatico, e mi dicono che Claudio S., il mio “terzo” non verrà. C’è Mario Favaretto, Mario De Stefani, Giorgio Inhoff
con “Veronica”, un Tucano 5.60, ancora sul carrello; e infine Paolo Minghetti che deve riunirsi all’”Ambra” di Paolo
Pizzolotto.
Nel frattempo in via Milano avevamo già ritirato la maglia omaggio. E’ un simpatico regalo della Società organizzatrice.
Terminiamo di alzare gli alberi, ci portiamo tutti alla Lega Navale e felici, cominciamo a lavorare per scaldare il
pranzo pantagruelico portato da Mario Favaretto: gnocchi per tutti noi e “pennette” per Mario D.S..
Decidiamo di dividerci in due gruppi: sei per barca. Da Pizzolotto e Stiglic, ma piove e così nella barca di Paolo uno si
sacrifica a mangiare il suo piatto disposto sotto il tendalino stando lui sotto la pioggia insistente: tanto ha la cerata.
E’ un pranzo che ha fatto tante vittime innocenti: le bottiglie di vino stese accanto a noi!
Ci gustiamo l’ottimo digestivo tutti in barca da Stiglic: con dodici pesi maxi
Silva 3 ha tenuto!
Giorgio
Andiamo al briefing. Presentazione delle tante autorità e tra i tanti discorsi
incominciamo a
sentir parlare di bora, prevista per il giorno dopo.
Verso sera smette di piovere e il cielo va rasserenandosi. Speriamo bene.
Visto che anche se con tante barche più grosse delle nostre, gli equipaggi
che dovrebbero essere più “educati”, solo perché sono più “signori”, arraffaarraffa, non ci hanno permesso di avvicinarci al tavolo del rinfresco tanta era
la ressa. Sembravano una fitta siepe di bosco.
Decisione unanime è per una pizza lì vicino; antipasto di prosciutto e birra.
Poi la conta del gelato che toccava al “solito” SanFior.
A letto pensando alla regata, alle vele da alzare, e a chissà come sarebbe
andata la bora.
C
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lle 5 del mattino il vento si sente fischiare sulle sartie e le drizze anche se legate, sbattono contro l’albero; il
tendalino si gonfia e sbatte un po’ troppo, con nostra preoccupazione. Ci siamo! La bora è arrivata, ma visto che
siamo abbastanza riparati restiamo relativamente calmi, dentro il sacco a pelo fino alle 7 senza naturalmente aver
più dormito.
A
Guardiamo preoccupati oltre la diga; le onde sono ben differenti di quelle della nostra laguna. L’acqua è molto increspata sospinta dal forte vento.
E’ bora da “sca-ga”.
C’è molta animazione davanti a noi e alle 8,30 tante barche cominciano già a portarsi sulla linea di partenza.
880 sono state le imbarcazioni iscrittesi la sera prima, ma circa un centinaio non si sono staccate dall’ormeggio e
non sono partite. Che fare?
E’ “sca-ga”.
Per onor di firma prendiamo il coraggio a due mani quando già Ambra e Silva 3 erano uscite dalla “Sacchetta”, con
randa terzarolata due volte, alle 9 ci stacchiamo dal molo e titubanti puntiamo verso la barca della giuria.
Ore 9,28; il primo razzo, quello bianco, si alza nel cielo. Siamo ancora lontani dalla linea di partenza; non si naviga
troppo bene con quel mare in movimento e quelle raffiche che ogni tanto sospingevano lo scafo preso di fianco. Il
motore stesso faceva fatica.
Ore 9,30: razzo verde. Dai che siamo in linea. Appena lo penso, mi accorgo che i “cinque-piani” sono già davanti alla
mia imbarcazione, sotto spi, con randa e fiocco al giardinetto, a piena velocità.
Cosa posso fare con la mia barca che si dimostra veramente quello che è: un guscio di noce, che tra l’altro è ancora
senza vele? Non riesco nemmeno a spostarmi, direi impietrito, se potessi dimostrare che non era acqua quella dove
mi trovavo.
E’, veramente, sca-ga (si può dire, per la terza volta!). Giro il timone e appena posso alzo il più piccolo fiocco (la
tormentina) e con le due mani di terzaroli sulla randa mi appresto al primo lato, preoccupato a non far strambare la
barca che sempre più sospinta dal vento ogni tanto andava in straorza.
Intanto per non prendere le raffiche in poppa piena ogni refolata mi allontanava vieppiù dalla boa e dal gruppone.
Eravamo soli. In lontananza qualche imbarcazione si vedeva andare verso la Jugoslavia. Consulto il mio equipaggio e
decidiamo di fare un bordo per avvicinarci alla boa. La manovra riesce dopo tre tentativi: non era facile virare con la
poca tela. Non è un’andatura ugualmente facile. Il vento
è sempre al giardinetto, preso da dritta questa volta, ma
il pericolo di straorzare è di nuovo presente.
Finalmente alle 11,30 arriviamo in boa: URRAH! Ma i
“Maxi hanno già finito la regata. Già vinto!
Siamo tesi entrambi ma adesso bene o male per tornare a
casa, ci dobbiamo avvicinare alla seconda boa, per forza.
Punto a Nord. Tutte le imbarcazioni più lente virano lontano, davanti a noi al secondo appuntamento della regata. Riusciamo a superare qualche barca. Ci facciamo
coraggio, ma il vento continua la sua opera demolitrice.
Faccio conoscenza con lo “spolverin”; imparo a riconoscere e veder arrivare le raffiche; mi preparo; ma sono
sempre loro ad aver ragione.
Non vedo più la boa pur essendo sempre con la prua a
Nord. Non vedo la boa, perché l’ho già passata e mi trovo molto più lontano: sono arrivato a Sistiana. Il vento è proprio sul naso e per quanto faccia non riesco a risalire
verso la boa. Si decide allora di virare: almeno prenderemo le raffiche da un altro bordo. Niente da fare: il vento è
ancora di bolina e cambia completamente, tanto da far girare vorticosamente il segnavento (e non solo quello), da
non capire più nulla.
Per tornare indietro si dovrebbe puntare alla prima boa o quantomeno portarci molto al largo, cosa poco piacevole
per le raffiche sempre più forti.
Ammainiamo allora tutta la tela e accendiamo il motore: arranchiamo a fatica contro le raffiche sempre più violente.
La barca col motore a tutta manetta non riesce a spingere la barca e sotto raffica il timone non governa per niente.
Arriva anche lo scoramento!
Siamo vicini al Castello di Miramare e puntiamo nella cala dei bagni dove molte altre barche sono riparate. Una
imbarcazione di nove metri col motore in “panne” si fa trainare da una barca più piccola; un’altra barca affondata
viene rimorchiata dai Carabinieri.
Finalmente siamo al riparo del vento! Sono “abbacchiato”, ma poi vedendo tanti altri con barche più serie, più titolate, di triestini o gente più navigata che non sono riuscite ad andare avanti, mi rinfranco. Non sappiamo niente dei
nostri compagni; chissà che fine avranno fatto. Paolo ed Egidio non li abbiamo neanche visti
Andiamo a Barcola alla SVBG e alle 18 tra grossi sorrisi a tutti denti, pacche sulle spalle, abbracci, ci riuniamo agli
altri due equipaggi. Apprendiamo che “Veronica” è rientrata ancora a mezzogiorno e a quest’ora Mario sarà arrivato
a casa e starà facendo il suo quotidiano lavoro.
Paolo e Silva 3 sono riparati in Porto Nuovo per l’impossibilità di entrare in “Sacchetta”; anche loro non hanno finito
la regata. Arrivati all’ultima boa le forti raffiche non hanno loro permesso di oltrepassare la barca della giuria.
Quest’anno è stata veramente dura, per noi! Nella mia imbarcazione mancava il terzo uomo; una terza persona che
con discreta preparazione e determinazione di peso stesse con noi a bilanciare il Piviere nelle raffiche.
Intanto il vento non diminuisce; torniamo a Grignano e lì tutto è tranquillo (saprò il giorno dopo che, dove era ormeggiata “Elle”, il mio Piviere, sarebbe stata danneggiata dal vento di tramontana o dallo scirocco; mi è andata bene!).
A cena: porcini wurstel, crauti e birra e poi per non andare a dormire uno per parte decidiamo di unirci a Paolo e
GiannAndrea per alloggiare al Perù (e meglio sarebbe stato dormire in barca).
9 OTTOBRE 1989
veglia non proprio felice alle 7,30 all’albergo Perù. Non è possibile farsi una doccia: i rubinetti sono chiusi col
lucchetto.
In compagnia di Gianni D.T. scendiamo a fare colazione e a prendere il giornale. Apprendiamo dal quotidiano quello
S
che già si sapeva (sarebbe rimasto come ricordo).
Egidio e Silva arrivano con la Croma puntuali e andiamo in Porto Nuovo e dopo aver lasciato alla Società Velica Barcola e Grignano la Croma ci siamo dati appuntamento a Grignano accompagnati da un volonteroso dirigente della SVBG.
“Elle” ci aspettava al riparo della bora, che, anche se debole, soffiava ancora a Trieste. Debole perché ormai dopo
aver conosciuto i “120”, non ci faceva più paura...
Alle 11 salutatici, partiamo con un buon vento, la randa terzarolata e fiocco uno alzato. Onda e raffiche sopportabili
fino a poche miglia da Grignano; dopo Silva quasi spaventata ci comunica che Trieste col VHF suggeriva che sarebbe
stato meglio riparare a Monfalcone o Grado, se proprio non fossimo riusciti a tornare indietro. Ammainiamo tutto
(ed è stato un grosso errore); la barca con vento in poppa e con onda frequentemente sui due metri che ci rotolava
addosso rapida, coprendo qualche volta il motore, che per fortuna nostra, non si è mai spento, la barca, dicevo,
sobbalzava e tentava di straorzare. Dopo un paio d’ore cedo il timone a Gianni D.T., mio secondo, ed anche se “Elle”
continuava la sua altalena, lui si divertiva e si sentiva più marinaio.
Continuiamo così fino che Grado non ci appare più nitido; eravamo molto sottocosta e le onde erano più accentuate:
c’era poco fondale. Silva 3 era alla nostra altezza e Silva riusciva a vedersi ugualmente la telenovela alla TV. “Ambra”
invece con randa terzarolata e tormentina, il cui skipper non aveva sentito l’avviso di burrasca, proseguiva davanti
a noi senza problemi.
Entrata in porto da diga S. Nicoleto
Decidiamo di mettere
a riva la “tormentina”: la barca si stabilizza di colpo; è tutto
un altro navigare: magari l’avessimo fatto
prima!
Si prosegue e sempre
con la tormentina entriamo nel canale che
porta a Grado; il vento
ormai non ci dava più
tanto fastidio. Anziché
riparare in quel primo porto, “Ambra” decide di proseguire verso Porto Buso, cosa che si dimostra assai divertente.
Da Grado a Porto Buso, poi a Lignano per i canali della Laguna di Marano a vele spiegate con una velocità media di
sei nodi. Probabilmente non ci capiterà più una simile occasione.
Alle 18, felici per la magnifica navigata, dopo esserci anche arenati, ma dopo aver provato tutte le andature, arriviamo al Porto di Lignano. C’è ancora vento e cincischiamo un pò per ormeggiare nel bellissimo porticciolo. Una doccia
ristoratrice ci leva tutto il sale di dosso. Cena con pizza e, per gli stomachi più capienti, spaghetti ai frutti di mare.
Gelato e dopo cena passeggiata per i moli e bicchierino della buona notte.
10 OTTOBRE 1989
veglia per tempo, il cielo è meraviglioso; alle 7 il bollettino del mare prevede vento forza 5 e mare forza 4! Non
ci fa paura; solo che quando partiamo c’è solo una brezzolina su un mare calmissimo.
Navighiamo per tutto il giorno pigramente: “Ambra” in testa con vento di bolina e Silva 3 seconda. “Elle” chiudeva
buona ultima più attardata. Peschiamo, o meglio tentiamo di pescare. Alle 16 davanti a Cortellazzo dopo un’andatura
lenta per il poco vento, accendiamo il motore. Navighiamo con vela e motore.
Sono le 18,15 quando al tramonto entriamo nel porto di Venezia.
Nel canale del Lido vento e onde ormai non ce ne sono più.
Prima di arrivare davanti a S. Erasmo leghiamo assieme le barche e stappiamo felicemente l’ultima bottiglia di spumante: a nostro parere ce la siamo meritata.
Intanto ci girano attorno le motonavi di Punta Sabbioni.
E’ ormai notte fonda quando alle 19,30 arrivo alla Canottieri Mestre con tutte le luci di via accese e leghiamo la
barca all’ormeggio.
Anche quest’anno siamo arrivati a casa.
FELICI ! ! !
S
il Moro 2
Ambra
Silva 3