inMETRO

Transcript

inMETRO
Cerebro Illesi
Susanna Casubolo
inMETRO
Vi siete mai guardati intorno
mentre siete in metropolitana? Vi
siete mai chiesti cosa hanno fatto e
cosa faranno le persone che siedono
al vostro fianco? Avete mai guardato un po’ più a lungo un compagno
di viaggio, cercando di capire
qualcosa della sua personalità
attraverso i dettagli
dell’abbigliamento o
dall’espressione del suo viso? In
metro racconta le storie di alcune
persone che una mattina si sfiorano, in maniera del tutto casuale,
sullo stesso vagone della metropolitana. Ognuno con il proprio bagaglio di sentimenti e di debolezze, in
viaggio verso una destinazione
tutta personale. Ma un evento
drammatico fermerà il treno sul
quale si trovano, distraendoli dai
loro pensieri e permetterà loro di
prendersi una pausa dalle proprie
vite per cambiare la prospettiva del
proprio destino.
Cerebro Illesi
www. dedaedizioni.com
www. deltamediagroup.it
ISBN 978 - 88 - 96121 - 64 - 1
© 2011 DEd’A srl Edizioni, Roma
© 2011 Susanna Casubolo
Grafica DEd’A srl Edizioni, Roma
Stampa DEd’A srl Edizioni, Roma
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Susanna Casubolo
In Metro
un dolore, una verità, una conquista,
una previsione, un sogno, un destino,
un sorriso, una certezza, un gesto...
in metro
Spogliarsi anche del dolore più testardo,
più affezionato...
per poter vivere.
Vinicio Capossela
Un Dolore
No amore mio, non sono sceso per buttare la
spazzatura da ieri sera, non ho avuto il cuore di
lasciarti sola. Avevo anche in mente di farti trovare al risveglio il dolce che preferisci tra tutti,
ho provato anche a cercare gli ingredienti nella
dispensa e non so perché lo zucchero non era abbastanza, eppure credevo ce ne fosse in casa. Ho
rovistato davvero ovunque ma poi mi sono fermato a guardarti un momento di più ed è come
se tutti i miei propositi si fossero dileguati in un
istante. Il tuo viso era così sorridente che avrei
voluto poter imprimere nella mente, per sempre,
quella lieve increspatura agli angoli degli occhi;
la tua bocca che curva dolcemente da un lato
come se sapesse che per essere ammirata deve
restare così un secondo di più. è così disarmante lasciarsi trasportare, sentirti così vera, che a
volte vorrei non essere ancora così innamorato
di te, per tornare a conoscere di nuovo dal principio quel sentimento che ha riempito la mia vita,
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forse anche per capire cosa vuol dire non averti. E tornare sui viali conosciuti della scoperta,
esultare ogni volta che lo stupore di trovarti lì
di nuovo mi travolge, spogliarsi delle difese che
non permettono di accogliere, sciogliere l’impazienza ma trattenerla ancora un poco, far arrivare il tempo per godere di te, finalmente. Sei
la mia vera essenza quella che mi permette di
vivere…
L’uomo triste piega con gesti lenti il pigiama, lo
poggia sotto al cuscino e come colto da un senso di vuoto, alza quello vicino al suo e vi trova
la camicia da notte di una donna. Si accorge di
aver smesso di respirare per un momento di più,
un nuotatore che resta perso sotto l’acqua torbida di un dolore un istante di troppo e fatica in
un’apnea smarrita. Risale verso la superficie della consapevolezza di una bugia, se la racconta
per sopravvivere, la aspira a pieni polmoni con
la regolarità della salvezza recuperata. Sistema
le lenzuola con attenzione, vuole che sia tutto in
ordine, indossa pantaloni perfettamente stirati e
una camicia inamidata. Abiti che gli conferiscono un’aria distinta. Sembra pronto per iniziare la
giornata di lavoro, apre l’armadio e prende una
giacca che si sposa perfettamente con il colore dei
pantaloni che indossa. L’armadio per una metà
contiene i suoi vestiti e nell’altra sembra preservarne altri da donna perfettamente allineati al-
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cuni protetti da buste di cellofan. Distrattamente
passa una mano su una gonna appesa e a malincuore chiude l’armadio, poi guarda la sua faccia
riflessa nello specchio dell’anta su cui ancora posa
una mano. Il suo viso è contratto, non sembra riconoscere quei segni intorno agli occhi, quasi non
capisce da dove derivi quella ruga che corre lungo una guancia, quasi che il dolore l’abbia scavata giorno dopo giorno con certosina pazienza. Ci
passa un dito come per sondarne la profondità,
come per capire quanto ancora potrà consumare la sua pelle nei giorni che verranno e si sente
esausto d’improvviso. Vorrebbe sedersi per dare
sfogo alla stanchezza, come se bastasse lasciarla
fluire per stare meglio, per sentirsi più forte. Ma
non vuole far tardi, ha così tanta voglia di vederla che non può dedicarsi neanche un minuto di riposo, vuole solo riavere la sua immagine davanti,
occuparsi di lei, fare qualcosa per lei. Lei.
Non ti preoccupare amore mio so quello che ti
piacerebbe fare, ami così tanto le passeggiate
all’aria aperta perché ti piace sentire il sole che
ti scalda il viso. Oggi potrei portarti al mare, è
una così bella giornata, potremmo gettare via
le scarpe come due ragazzini, arrotolare i pantaloni e affondare i piedi nella sabbia bagnata
per ammirare stupiti le nostre orme così diverse e così vicine. Potremmo sentire l’acqua che ci
viene incontro a tratti fredda, guardare le onde
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che ci regalano uno spettacolo di spruzzi, sentire
la pelle immersa che un po’ si tende per via del
sale, correre e giocare con la possibilità di sentirci ancora. Mi basterebbe vedere i tuoi capelli
mossi dalla gioia della corsa, la spiaggia spettatrice delle nostre grida bambine, guardarci negli
occhi e immaginarci in una infinità di altri giorni
insieme, le mani che si cercano solo per il piacere
di un contatto, le tue guance rosse accompagnate dal respiro pesante testimone di un ritmo accelerato, la curva del seno che si muove al ritmo
di una risata. Mi basterebbe sentirti ancora...
L’uomo si trova sulla banchina della stazione
della metro e non ricorda neanche come è arrivato lì, il flusso dei suoi pensieri è così denso da
non lasciar posto neanche alle spiegazioni delle
azioni ordinarie. Si sente così solo e così inutile
che vorrebbe che qualcuno si avvicinasse anche
solo per chiedere un’informazione, per sentire
per un momento una voce diversa da quella che
oramai alberga dentro la sua mente, ci vorrebbe
una distrazione.
Ma ogni particolare sul quale ferma l’attenzione
gli restituisce l’acutizzazione di un ricordo doloroso e allora meglio restare nel limbo di quello
che riesce a sopportare, non sentire altro che il
suo monologo personale che lo esonera dal presente. E torna nei suoi pensieri, ma per la piccola
frazione di un momento, prima di reimmergervi-
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si, gli sfugge lo sguardo che si posa sulle mani
di una donna non più giovane ma molto curata,
che stringe al petto dei fogli come per tentare di
proteggersi. Ha un’espressione persa.
L’uomo triste riconosce qualcosa in quel dolore
sordo che sembra trasparire dai suoi occhi ed è
come condividerlo, è come sapere di non essere
l’unico ad avere una ferita aperta che non rimargina e che, anche se riuscisse a cicatrizzare,
malauguratamente quella parte resterebbe sempre malformata a ricordare che un taglio ha attraversato la vita in quel tratto, uno strappo ha
deviato un percorso. Il corpo non dimentica, ha i
suoi piccoli stratagemmi per tenere la memoria,
e il suo lo sente come percorso da una infinità
di cicatrici che non lasciano spazio a un lembo
di pelle sano, mentre sale sul vagone della metro ancora un po’ frastornato. Non sa se ha più
voglia di una destinazione. E abbassa gli occhi
perché non vuole più guardarsi intorno.
Potremmo fermarci a mangiare in un’osteria con
una terrazza dalla quale si possa vedere il mare,
che ti ripara dalla brezza. Sentirne il rumore
dolce e cantilenante che accompagna i nostri discorsi, farci rapire dal profumo del pesce appena
cucinato e condividere il nostro pasto. Soddisfare
i bisogni primari, soddisfare il mio bisogno di te,
vederti ridere e trovarmi a chiederti un bacio per
stupirmi ancora di quel contatto così semplice,
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così immediato, così urgente. Così. Non ti preoccupare, non faremmo tardi, giusto il tempo di
vedere il cielo colorarsi di rosa per preparare un
tramonto. Ti va di fare un bagno? Ma è troppo
fredda l’acqua! Non siamo ancora nella stagione
giusta, non vorrai prenderti una freddata vero?
Certo che mi preoccupo per te, sei l’unica ragione
per la quale vale la pena vivere, la mia unica ragione. È così piacevole ascoltare la tua voce, mi
chiedo quante inflessioni può ancora prendere
che io non conosco è come se possedessi dentro
un codice per accoglierne ogni singola intonazione e comprenderne il significato nascosto, non
mi stancherei mai di ascoltarla. Non potrei mai
stancarmi.
La metro corre di fermata in fermata, le porte
che si aprono lasciano uscire i pochi fortunati arrivati a destinazione e lascia gli altri a stringersi
ulteriormente per far entrare passeggeri che imprecano per un inizio di giornata.
L’uomo si sente come un pacco regalo consegnato
alla persona sbagliata, alla vita sbagliata; si sistema la giacca già perfettamente a posto e tira
leggermente i polsini della camicia come per darsi coraggio. Esce a una fermata, non sa di quale
si tratta, guarda la moltitudine di gente che si
muove frenetica nei percorsi dell’abitudine e si
chiede se deve fare la stessa cosa e lasciar perdere il suo proposito oppure se deve ascoltare quel-
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la sensazione sempre più insistente. Si posiziona
all’esterno del treno di fronte allo spazio tra un
vagone e l’altro. Quello spazio intestino potrebbe accogliere un uomo. Guarda verso il basso,
verso i binari, e pensa che non dovrebbe essere
difficile. Sentirebbe il rumore di una frenata improvvisa, magari le urla di qualcuno; il dolore
non lo spaventa, non quello fisico, ha imparato
sulla sua pelle quanta resistenza può opporre.
Sembra ipnotizzato. Tornare verso un gesto che
gli ha cambiato il corso della vita, tornare a ripetere quel gesto anche se non è suo, provare per
condividerlo fino in fondo e assaporare l’idea che
quella sensazione è stata già conosciuta da lei,
ha già scandagliato le fibre della sua anima e
ora preme sulle sue e non vuole che la paura gli
risparmi neanche una singola sensazione. Non
vuole. Sentir sciogliere finalmente quel nodo
interno che lo divora da tempo, sentire piano le
estremità di quel nastro doloroso che finalmente
si separano e non sono più così tese da non lasciare spazio neanche per un respiro, sentire la
libertà del suo cuore che batte per un tempo che
lui può decidere. Sentire. Il treno resta fermo
ancora, inspiegabilmente non riparte, come se il
suo gesto, solo accennato, avesse fermato il tempo, attende di sentire le porte che si chiudono e
il lento ripartire ma non accade.
Sente invece un gran baccano, un vigilantes entra di forza nel vagone quasi travolgendo una ra-
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gazza che cercava di scendere, l’uomo non vuole
neanche sapere se hanno preso un ladruncolo
oppure se ci sia un problema tecnico da risolvere, il destino ha deciso per lui. Si allontana sconsolato dal treno e cammina verso le scale mobili
per uscire all’esterno.
Amore mio adorato, non sono riuscito a raggiungerti, avevo così tanta voglia di riabbracciarti,
mi manchi così tanto da fare male. Se penso a
quanto sei stata determinata quella mattina, sei
uscita di casa mentre dormivo, hai lasciato anche
la macchinetta del caffè pronta per me con un biglietto che mi chiedeva solo di accenderla. Se solo
avessi saputo che era l’ultima cosa che preparavi
per me... Avrei dovuto essere con te, se solo non
mi avessi lasciato a dormire da solo, dovevi svegliarmi, avremmo potuto fare colazione assieme.
Avrei preparato per te qualcosa di speciale, ami
essere coccolata lo so, invece mi hai lasciato lì
solo e da allora ancora mi chiedo se a quel gesto
così definitivo ho contribuito anch’io. Ma c’è stato davvero quel momento? Davvero quell’attimo
di vita ti ha sottratto a me? Sì lo so cosa è successo quella mattina ma ancora non riesco a farmene una ragione. A cosa andavi incontro amore
mio? Cosa non ti ha trattenuto? Eri così fragile
tesoro, così terrorizzata dalla vita che neanche
le mie braccia sono riuscite a difenderti. Eppure
ho tentato di usare tutta la mia forza come se
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da sola sarebbe bastata per entrambi, ma quel
qualcosa che ti logorava dentro ha consumato la
tua poca voglia di opporre resistenza e la fiducia
che avevi nella mia protezione. Dolcissimo amore se solo ti fossi fermata a guardare dentro i
miei occhi, quella mattina avresti visto qualcosa
che ti avrebbe trattenuto lo so, ma non hai voluto, te ne sei andata mentre ancora dormivo. E io
non riesco a rientrare a casa per sentire la tua
assenza. Non riesco al mio risveglio a non trovare accanto il tuo volto girato verso il mio e i tuoi
capelli riversi sul cuscino, le tue labbra appena
dischiuse, e il tuo odore che accompagna i miei
sogni. E te.
L’uomo sembra avere cambiato andatura come
se il tempo fosse trascorso più in fretta e avesse
lasciato dei segni più evidenti, cammina come se
il passo successivo fosse più doloroso di quello
precedente, il lavorio forzato di un ingranaggio
logoro. Le sue domande continuano a ronzargli
intorno e in una litania continua a rispondere le
stesse cose, non riesce a smettere, è il suo piccolo
incantesimo per far sì che la sua memoria non
disperda neanche una singola parola, è il solo
modo che conosce per mantenerla viva e sorvolare sul suo gesto così meschino. Lei per la quale
avrebbe sacrificato tutto quello che aveva, anche
se stesso, in un gesto di disperato egoismo verso
di sé. Lei che avrebbe solo dovuto chiedere e in-
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vece ha deciso di fare da sola, la vera egoista, con
la lenta convinzione che in solitudine si ritrova
la pace.
Vorrebbe poterle dire che non è stata sola a decidere, se la metro si fosse fermata quel giorno
come questa mattina non l’avrebbe portata via
ma sarebbe inutile, era già in un viaggio tutto
suo persa in qualcosa di comprensibile solo a
sé. Nessuno può biasimarla nessuno giudicarla,
nessuno può sapere cosa era la sua vita, nessuno come doveva finire nessuno cos’era meglio.
Nessuno. E d’improvviso lo smarrimento prende
il sopravvento, dolorosamente si fa strada ed è
come riuscire finalmente a spianare un foglio accartocciato da tempo, riuscire a donare un significato alle parole che dall’esterno si possono solo
immaginare, solo indovinare. Un filo invisibile lo
ha condotto al dolore più intimo, il dolore d’appartenenza, può decidere di percorrere quella
linea tracciata un passo davanti all’altro per arrivarci di fronte, può ingannarsi nella sospensione che regala la menzogna, la bugia come scudo,
oppure può cedere, vedere senza filtro cosa c’è lì
all’altro capo del filo, far cadere l’armatura della
falsità anche se ne ha paura. Come può sentirsi
ancora vivo? Tenendo stretto a sé lo scudo per
resistere contro la tempesta e riuscire a salvare
la cosa che per lui è più cara o invece lasciandolo
cadere, perché gli manca la forza per reggerne il
peso, e soffrire scoprendo che nel dolore si perde
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e si trova qualcosa. Qual è il modo migliore per
mostrare coraggio verso se stessi?
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Una Verità
La donna ha ancora nella mente le parole che la
sera prima l’hanno invasa e ferita, riportandola
alla ragione, parole semplici che tratteneva dentro da un po’ ma che non voleva confessare. Si
sciacqua il viso per l’ennesima volta quasi sperando che l’acqua riesca a portarle via, come il
risveglio riesce a trascinare lontano la sensazione di un brutto sogno. Bagna di nuovo gli occhi
arrossati e le labbra che sono state sfrontate.
Credere di poter chiedere in silenzio il perdono.
La bocca serrata anche quando avrebbe dovuto
lasciare che la verità fluisse leggera, la verità,
come se ne esistesse una soltanto.
Si strofina il viso vigorosamente con l’asciugamano e si guarda nello specchio del bagno sospesa in un tempo tutto suo, i suoi occhi sono sofferenti e liquidi, anche il loro colore che sembra
mutato è più intenso, più scuro, sembra un mare
in tempesta. Non riesce a fermare una lacrima,
piccolo ritorno di un dolore che non ha mai leva-
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to l’ancora, ma che si lascia cullare dalla risacca
del pianto. Non scende, e resta a rendere lucidi
quegli occhi che sembrano aver perso i confini.
Lei si detesta mentre vorrebbe volersi più bene o
almeno dovrebbe provare a farlo.
Comincia il lento rito del trucco con movimenti nervosi, è una bella donna, la sua pelle non
ha più la stessa elasticità degli anni passati ma
conserva ancora la luminosità di chi ha vissuto
un momento felice. Passa con gesti secchi una
crema idratante mentre si asciuga il lato degli
occhi per poter passare subito dopo il mascara,
un po’ di correttore che copra i segni della notte insonne accompagnata dal turbine di pensieri
che non le ha lasciato tregua, il fard per ovviare
al pallido colore dell’insonnia, il rossetto per colorare le labbra traditrici. Alza i capelli ai lati
delle orecchie con entrambe le mani e osserva il
risultato mentre li appunta con delle mollette,
sceglie gli orecchini e la collana di perle in un
portagioie. Comincia a vestirsi con gli abiti che
si era già preparata la sera prima, abbottona la
camicia bianca e la infila nella gonna del tailleur, si mette la giacca e sui bottoni si accorge
che le mani le tremano, indossa le scarpe alte e
si chiede per chi questa mattina si stia agghindando, arriva di soppiatto un senso di abbandono come quando ci si accorge che qualcosa è già
finito. Esce dal bagno e cammina posando solo
la punta delle scarpe senza far toccare i tacchi
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a terra, non vuole fare rumore e si chiede se lo
fa perché non vuole farsi sentire da suo marito, o se invece vorrebbe che il resto del mondo
conosciuto dimenticasse almeno per oggi la sua
esistenza. Eppure cede alla tentazione di passare un momento in camera da letto: suo marito
dorme riverso su un lato, le gambe raccolte, una
mano nell’altra le dita leggermente chiuse in un
pugno accennato. La donna ferma lo sguardo sul
viso e sulle piccole rughe attorno agli occhi chiusi, le stesse che si accentuano quando un sorriso
arriva imprevisto. Pensa. è di quel sorriso che si
è innamorata tempo prima, anche se le sembra
passata un’eternità. Eppure lo ha scelto di nuovo nonostante la voglia pressante di scappare, la
voglia di occuparsi un po’ di sé, ritrovarsi. Si ripete che è lui che ha bisogno di lei, non può stare
senza di lei, o forse è lei che non riesce a fare a
meno di essere indispensabile per qualcuno?
Visto così le appare indifeso eppure sa che se
aprisse gli occhi potrebbe scorgervi un’espressione accusatoria che non sa se appartenga a lui o
se semplicemente è solo lei a percepirla, la concessione di un’arma di ritorsione per provare almeno ad espiare, non sa quanto suo marito può
aver capito o quanto invece preferisce nascondersi la verità, la verità, come se ne esistesse
una soltanto. Lo guarda ancora qualche minuto chiedendosi perché, un senso di sicurezza la
invade quando pensa a lui, vorrebbe passargli
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una mano sulla schiena dolcemente, una carezza
amorevole quasi di scusa. Guarda le sue labbra
socchiuse e rilassate che sembrano non possedere il potere di fare male, e invece... Si allontana e
torna a camminare sulle punte senza far toccare
i tacchi a terra e senza fare rumore si avvia verso
la porta di casa. Nel momento in cui esce è certa
che oggi, suo malgrado, la vita non prenderà una
direzione diversa e lei sa che anche se sente di
aver messo sul piatto una puntata eccessiva, lo
ha fatto perché ha amato. Non conta aver perso, non c’è bisogno di vincere se la contropartita
richiedeva non aver conosciuto l’amore che è in
grado di dare.
La donna non più giovane si trova sulla banchina
della metro assieme alla massa colorata di gente
che aspetta con ansia, una bambina di fianco a
lei attira la sua attenzione, succhia vigorosamente il ciuccio. Si chiede dove si è persa, quando è
che ha deciso che non sarebbe stata quella la sua
vita: matrimonio, figli, una casa da rassettare.
E sente stanchezza anche nei pensieri, ha perso
tempo e ancor prima la voglia di essere per forza
quello che non ha desiderio di essere. Il treno che
arriva alza un po’ di vento, la donna stringe più
forte tra le braccia le carte che le occorrono quella mattina per il lavoro. Le getterebbe volentieri
sui binari, ma si sente trasportare all’interno del
vagone quasi di peso dalle persone che entrano,
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cerca un angolino dove rifugiarsi e comincia a
leggere quei documenti che ha in mano per non
dover incrociare gli sguardi di chi la mattina non
avendo niente da fare cerca un interlocutore per
i propri soliloqui. Assorta, più nei suoi pensieri
che nella lettura si sente osservata, avverte un
leggero formicolio alla nuca, con una punta di
fastidio alza gli occhi dalle carte e i suoi occhi si
fermano in un passato così recente da farle piegare le gambe per l’emozione. Tormentata non
riesce a staccare lo sguardo da due occhi scuri
che la guardano con attenzione. E la marea del
dolore torna a salire, portandole agli occhi lacrime che bruciano, ma che trattiene respirando a
fondo. Stacca gli occhi lentamente guardando
prima da un lato e poi verso l’alto, per un attimo
cerca di riguadagnare quella dignità che crede di
non avere più, ma perde la sua battaglia in poco
tempo, le sembra che qualcuno le abbia lacerato la pelle repentinamente e così a fondo che la
carne lasciata nuda è così indifesa da fare male
solo a pensarci. Vorrebbe trovare il modo di proteggersi dall’esame di quegli occhi, dolcemente
inquisitori, che dolorosamente la riportano a dei
momenti così veri da farle venire una vertigine,
un turbine di labbra che chiedono e braccia che
stringono e mani che cercano impazienti, e dirsi
niente, ed è tutto lì, il languore che segue è talmente indolente da creare sconcerto. E di nuovo
si chiede dove si è persa e la risposta le arriva
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accompagnata da piccoli brividi lungo la schiena, non riesce neanche ora a non posare uno
sguardo carezzevole su quei tratti così familiari,
conosce ogni piccolo angolo di quel viso rivolto
verso di lei, ha avuto poco tempo ma potrebbe
disegnarne i particolari, quelli che solo chi osserva a distanza ravvicinata riconosce. Pensa
a quella piccola cicatrice vicino al sopracciglio
che tante volte ha sfiorato con le labbra, con le
dita e il respiro si fa più corto, quasi le manca
l’aria. Vorrebbe tornare ad avere un aspetto più
contenuto nel tentativo, invano, ripone i fogli
nella borsa per poi riprenderli subito dopo, quasi avendo paura di perdere una protezione e si
sente triste all’improvviso. Ha veramente voglia
di sentirsi protetta? La rete di sicurezza che ha
mantenuto diligentemente aperta le sembra ora
troppo vicina, soffocante, vorrebbe per una volta librarsi nell’aria leggera come una trapezista
inesperta con la consapevolezza di poter contare
solo sul suo istintivo aggrapparsi di nuovo alla
vita e sotto il vuoto a cercare di attrarla di nuovo
ma in alto, sopra di sé, la leggerezza della vita
che esulta ad ogni piccola acrobazia temeraria
e insperata, la vita che diventa complice della
grazia dei movimenti, accompagna i piccoli gesti
d’amorevole cura della propria felicità.
All’improvviso una frenata la porta ad aggrapparsi al sostegno della metro. Un brusco rientro
nella realtà. Non riesce a tenersi sulle sue gam-
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be figuriamoci volare. Scende dal vagone senza
guardarsi indietro, vuole perdere quel senso di
estraneità che le fa così male, ripone le carte definitivamente nella borsa e cammina con passo
sicuro come se stavolta volesse lasciare le sue
impronte sul terreno. Vuole fare rumore. Ma
ecco che sente il contatto leggero e caldo di una
mano maschile che stringe la sua e chiude per
un istante gli occhi, sa che ora sentirà la pressione di una mano sulla vita, un piccolo gesto possessivo e il tocco lieve di un bacio sulla guancia
nella zona vicina alle labbra, ora si sente protetta come se finalmente fosse a casa, un senso di
familiarità la invade, il corpo sente la prossimità
del calore dell’altro e lo riconosce. La donna cammina a fianco dell’unica persona che non credeva
di incontrare di nuovo, che sperava di incontrare
di nuovo, e le sembra che tutto acquisti un senso.
Volge per un momento lo sguardo verso i sedili
della banchina e vede un uomo e una donna giovani e in intimità che si parlano a distanza ravvicinata, sembrano nuovi l’uno all’altra ma è come
se tra loro passasse qualcosa di eternamente conosciuto, il ricordo di un giorno su quei seggiolini torna a sorprenderla. Quel giorno, rigida nella
trascurabile conoscenza del suo esistere e delle
cose che credeva di non volere nella sua vita,
guardava passare i treni dinanzi a sé ma la sua
attenzione fu catturata da giovani mani che al
suo fianco giocherellavano con un giornale, mani
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sconosciute di ragazzo alle quali inspiegabilmente avrebbe già voluto chiedere mentre ascoltava
rapita le parole pronunciate con una voce per lei
nuova, la cui familiarità rendeva non vano un
possibile sacrificio. Parole che la tentavano sulle
quali non si soffermava se non per giocare con la
loro musicalità. Finalmente libera dalla ricerca
spasmodica di significati nascosti, di difficoltà
celate, poteva scoprire che arrendersi alla semplicità dell’ascolto, senza pensieri, può portare a
godere delle sensazioni epidermiche che la pelle
trasmette, che la pelle regala. Poi lo stupore a
poca distanza da un viso troppo giovane per lei,
sorprendere le proprie labbra coperte da quelle
ancora sconosciute di lui senza fretta, cercando
solo il contatto, senza intenzioni diverse, solo
quella di sfiorarsi, e restare così senza coscienza,
senza domande, senza dirsi più niente. Senza.
Un abbraccio sfugge al controllo nella parte dei
corridoi che porta alle scale mobili e la donna
riconosce quella piccola gioia del toccarsi; le sue
labbra aspettavano di essere sfiorate per poi essere travolte da un contatto maggiore. è come
ritrovare un calore che pensava perduto, una
piccola dose di gioia inebriante. E vorrebbe credere che non finirà, vorrebbe giocare ancora a
nascondino con la propria coscienza per regalarsi ancora qualcosa di quel desiderio, sa che non
c’è futuro, non ci sarà un “vediamoci domani”
non un “cosa faremo tra una settimana” eppure
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il presente non le appare così terribile mentre si
aggrappa con le mani a quelle calde di lui. E le
piacerebbe restare così almeno per mettere da
parte uno spicchio di eternità, qualcosa che le
sarà di aiuto nei momenti più difficili. Col dorso
di una mano gli carezza una guancia e vorrebbe
che il suo cuore smettesse di battere così forte,
mentre una mano le sfiora la schiena sotto la
giacca vorrebbe non sentire quel sottile piacere
che si annida nel basso ventre e lo guarda ancora cercando i segni di un addio, ma ne è sconfitta
e si detesta perché si sente sollevata scorgendo
ancora interesse in quegli occhi così giovani. Di
nuovo le labbra si cercano e lei si aggrappa e si
sente avvolgere dalle sue braccia, comprende
perché non riesce a voltare le spalle e andarsene
via da quel corridoio: tutto era iniziato lì e stava
forse finendo lì? Un senso di struggente debolezza l’assale, aveva già vissuto quel lutto e credeva
di aver già dato tutte le sue lacrime, ma sente
di averne altre che vorrebbero trovare la strada
verso le sue guance, torna a perdersi negli occhi
scuri che ha di fronte, a perdersi, sa che non è
amore, non si può chiamare amore qualcosa che
non ha futuro, qualcosa su cui non si può sperare e lei sa che non può sperare che ci sia un
futuro insieme, ne ha già uno a cui pensare. E
allora rivivrà ogni volta un piccolo lutto doloroso, lo lascerà andar via senza sapere se ci sarà
ancora un domani e quel lutto sarà la punizione
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o il prezzo amaro che pagherà al destino che le
ha regalato una piccola gioia proibita. è questa
la sua piccola verità. La culla dolcemente dentro
sé, nessuno la capirà, nessuno, ma questo la lascia essere una inesperta e temeraria trapezista
della vita.
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Una Conquista
Il professionista adescatore esce dalla doccia e
afferra l’accappatoio infilandolo lentamente, si
strofina ben bene i capelli con l’asciugamano e
ammira, con un mezzo sorriso, il suo petto modellato da pomeriggi passati sulla panca in palestra, passa una mano sulla rada peluria che
lo ricopre, non ha voluto più depilarsi da quando ha letto su una rivista per soli uomini che le
donne preferiscono l’uomo al naturale, continua
la sua ispezione passando lo sguardo dallo specchio direttamente verso di sé abbassando la testa. E improvvisamente nota un pelo bianco tra
gli altri, non crede ai suoi occhi, fa per tirarlo via
quando si ricorda che “per un pelo bianco strappato ne ricrescono sette” e non può permetterselo, non deve permetterselo. Annota brevemente
nella sua testa di rivalutare l’ipotesi che ci sono
donne che preferiscono l’uomo depilato, forse può
ricominciare a frequentare quel centro estetico
dove si faceva anche le lampade, ricorda molto
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bene la signorina che lo accompagnava verso il
lettino, seducente sui tacchi alti, muoveva il fondoschiena in maniera voluttuosa, la gonna lunga
le impediva movimenti più ampi e aveva anche
l’accortezza di mettere in sottofondo il disco del
cantante italiano che lui preferiva, doveva averglielo detto in un momento di conversazione. Decide che non si può fare un dramma per una cosa
così stupida e facilmente risolvibile, deve aver
lasciato il numero del centro estetico da qualche parte, lo cercherà di ritorno a casa, la sera,
quando avrà più tempo ora deve tirarsi a lucido
come ogni mattina. Decide per il look un po’ trascurato e lascia la barba così com’è, oggi potrebbe sembrare anche un attore navigato in cerca di
un ingaggio. Passa un po’ della crema antirughe
sul viso e sul contorno occhi, accenna un sorriso
che sembra più una smorfia e osserva le piccole
rughe che si formano intorno agli occhi, non può
fare a meno di controllare se anche la barba dà
segni di invecchiamento girando il viso in tutte le
direzioni, resta soddisfatto visto che ogni singolo
pelo della barba è dello stesso nero corvino dei
capelli. Valuta l’ipotesi di usare un po’ di fondotinta per togliersi i segni della notte dal viso ma
poi decide di rinunciare, non vuole perdere tempo a radersi. Passa in camera da letto e comincia
a pensare al suo personaggio di oggi, cosa indossa un attore in cerca di ingaggio? Deve essere
interessante ma non appariscente. Conta fino a
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tre poi apre l’armadio e prende le prime cose che
capitano, si veste velocemente senza guardare
bene quello che ha preso, vuole tentare la fortuna, poi si guarda allo specchio ma con aria insoddisfatta, si toglie la giacca e si cambia la camicia
con aria insofferente, si infila di nuovo la giacca.
È la sua preferita, la giacca della fortuna, l’ha
persino portata a rammendare dopo che l’aveva
strappata in un giorno in cui di fretta l’aveva incastrata nelle porte della metropolitana mentre
cercava di scendere. Si può rammendare la fortuna? Di nuovo la prova di fronte allo specchio,
controlla il nuovo abbinamento tra la camicia e
la giacca, il pantalone jeans conferisce al tutto
un’aria meno ingessata. Si congratula con se
stesso per la scelta delle scarpe; le donne sono
molto attente alle scarpe. Capitolo due dell’articolo “quello che le donne non chiedono ma si
aspettano di trovare in un uomo”. Lo ha tenuto
attaccato alla parete del bagno per un po’ finché
non ha fatto sue le annotazioni contenute, non è
semplice per chi è abituato a chiedere, cercare di
capire richieste sottese, non è facile capire una
donna. Lucida ambedue le scarpe sfregandole
contro il polpaccio opposto velocemente, ne ammira nuovamente il colore molto chic e sorride a
se stesso compiacendosi narcisisticamente della
piega birbante e sensuale che le sue labbra prendono. Si sente irresistibile, pronto per andare al
lavoro. Fischietta un motivo senza senso men-
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tre scende le scale e si trova già in strada, l’aria
mattutina lo accoglie come ogni giorno con un’essenza diversa come diversa sarà la conquista che
lo metterà alla prova oggi: ogni donna ha un suo
profumo peculiare.
La metro arriva a tutta velocità e il professionista adescatore guarda attraverso i finestrini l’interno del vagone, è interessato, mentre la folla
dall’interno si muove verso l’uscita e qualcuno
impreca disperato perché non riesce ad entrare,
lui non ha nessuna fretta almeno finché non trova la sua preda, può attendere il convoglio successivo. Non si sposta dalla sua postazione sulla
banchina, si guarda intorno. Lo sguardo rapace
tradisce lievemente le sue intenzioni, ogni giorno sul vagone che prende trova le stesse persone
perché le abitudini sono dure a morire e si diverte un po’ a far parte di quella piccola comunità.
Certo preferirebbe che oltre a lui vi fossero solo
elementi del genere femminile ma sa che questo
non potrebbe sperarlo neanche in un mondo ideale. Si ferma a guardare rapito i piccoli dettagli:
il cinturino di una scarpa col tacco che circonda
una caviglia sottile, la tracolla di una borsa che
pende da una spalla lasciata scoperta per caso
da una maglietta, l’ondeggiare dell’orlo di gonna su un ginocchio piegato, un ricciolo biondo
ribelle sfuggito a un fermaglio di tartaruga, una
nuca scoperta, lievemente piegata. Si sente un
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ladro di frammenti di immagini, li tiene dentro
gli occhi quel tanto che basta per fantasticare
sul resto che circonda quei piccoli tesori da cogliere. Mattina dopo mattina osserva i piccoli
cambiamenti di quelle donne compagne di viaggio per qualche fermata del percorso, adora la
conquista, la carica seduttiva che accompagna il
primo approccio. Quando sfiora lievemente con
la mano falsamente noncurante quella delicata
di una donna posata su un sostegno del vagone,
un’energia lo attraversa e immagina odori nuovi
e sapori lontani e il mondo si ferma per un momento, tutto intorno si annulla e gli altri sembrano sparire, resta lui che cattura gli occhi profondi e lievemente spaventati di una donna che
non ha mai visto prima. Vorrebbe rassicurarla
subito, solo quel tanto che basta per farla rilassare e lasciare che le labbra si stirino in un sorriso di scusa lasciando scoperti i denti candidi.
Poi vuole restare misterioso per qualche secondo
perché non si prova curiosità per il conosciuto
ma solo per ciò che ci sorprende, poi un cenno
e la donna accentua il sorriso che non è più di
circostanza perché si è accorta dell’interesse provocato nell’altro. Quello è il momento per accorciare le distanze, avvicinare il viso quanto basta
per far sentire un sussurro di scuse e intanto
inalare il nuovo profumo e poter donare quello
della propria pelle, del resto il vagone è pieno di
gente e concede il lusso di trasgredire, permette
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di invadere lo spazio intorno all’altro senza che
questo si spaventi, si può restare qualche secondo così, sospesi tra il non detto e l’elettricità che
attraversa l’aria che resta da conquistare. Ma a
quel punto sarà la donna a voltarsi un po’ di più
e accorciare ancora di più le distanze, si scuserà
anche lei con fare un po’ timido, guarderà la sua
mano ma non riuscirà a non gettare uno sguardo
a quella di lui, lui che sa quanto siano importanti le mani di un uomo per una donna. E allora
stringerà la sua lievemente, ma in maniera plateale, sul sostegno come a far trasparire la forza
di cui è capace, dopodiché lei reclinerà la testa
da un lato e la abbasserà leggermente fingendo
di guardare verso terra per non calpestare il piede di qualcuno e intanto darà un’occhiata anche
alle scarpe che sono impeccabili, testimoni di un
uomo curato anche nei dettagli. Solo quando lei
rialzerà lo sguardo incrociando quello di lui, sarà
catturata dall’espressione interrogativa che vi
scorgerà, i suoi occhi resteranno incollati per un
momento pieno di attesa, l’ego dell’uomo farà un
piccola capriola vittoriosa, è il momento in cui si
può chiedere qualcosa di banale ma che servirà
a sondare il terreno. Prendi sempre la metro a
quest’ora? Una semplice domanda che inizia una
conversazione fatta non di parole, quelle non le
ricorderà nessuno dei due, sarà una danza immaginaria di sguardi, di mani passate tra i capelli o ad aggiustare un orecchino perfettamente
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al suo posto, mani che si muovono a rassettare il
proprio corpo per infondersi coraggio, dita che indicano cose inesistenti, spiegano itinerari futuri
possibili. L’uomo sarà a suo agio in quel momento, il suo momento preferito, una donna che dona
l’attenzione per la prima volta, un fiore grato che
si apre al calore del sole e per ricambiare mostra
tutte le tonalità dei suoi colori, niente può essere
paragonato a quell’istante. La pura conquista.
Un altro treno arriva ad occupare i binari accanto alla banchina, questa volta il professionista
adescatore vi sale. Gli è sembrato di vedere una
biondina niente male; si muove tra la gente che
lo trasporta quasi di peso all’interno del vagone, allarga le spalle e gonfia il petto mentre si
guarda intorno, deve trovare la preda di questa
mattina. Si sente un po’ più esigente del solito
forse gli torna in mente per un momento il pelo
bianco trovato sul suo petto, per rivalsa deve
necessariamente migliorare la sua prestazione.
Nota la ragazza bionda dopo qualche minuto, la
vede tutte le mattine ma l’unica volta che si è avvicinato lo ha fatto troppo tardi, quando lei stava
già per scendere, la osserva prima da lontano, ne
spia i piccoli movimenti, non deve essere difficile come conquista, basta farla ammorbidire un
po’. Il corpo della ragazza sembra rigido pronto
al combattimento, lo sguardo è diretto avanti a
sé come se non vedesse la gente che ha intorno
e che si accorge invece di lei, sembra non esse-
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re cosciente degli sguardi di ammirazione che le
concedono anzi ne risulta infastidita. L’uomo si
sente attratto da questo dettaglio di insicurezza,
osserva le scarpe alte, i pantaloni jeans a vita
bassa, la borsa tenuta in mano e non a tracolla, segno che frequenta la metropolitana tutti i
giorni e sa come difendersi dai borseggiatori, indossa una giacca e sotto una maglietta aderente.
L’uomo ne ammira i capelli del colore del grano
lasciati morbidi sulle spalle, ha voglia di avvicinarsi per sentirne il profumo ma si trattiene
ancora un po’ per capire se è sola oppure se è
salita con qualcuno, non vuole fare brutte figure, rovinerebbe altri possibili approcci. Si sposta
all’interno del vagone come se cercasse qualcuno, poi con noncuranza poggia la mano sul sostegno a pochi centimetri da quella della ragazza e nel farlo la sfiora deliberatamente. Ora sa
che tutto il copione verrà recitato senza intoppi,
si sente come se avesse battuto il primo ciak di
una scena che sarà montata senza bisogno di rivederla o recitarla di nuovo. La ragazza si gira
con uno sguardo interrogativo e punta gli occhi
nocciola su di lui. L’uomo resta in attesa di un
acccenno di sorriso e lo sguardo rimane incatenato alle labbra carnose che si trova di fronte,
sta in bilico per qualche secondo gli sembra che
il tempo non passi e vorrebbe avvicinare il viso
quanto basta per vedere se lei resterebbe ferma
ad aspettare il contatto con le labbra. Attende un
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sorriso che non arriva e non riesce a muoversi,
sembra che le gambe siano diventate di marmo,
si sente perso, forse dovrebbe voltarsi e andare o
forse dovrebbe far finta di non sopportare l’accelerazione della metro e ridurre la distanza verso
quelle labbra. Forse. Quando decide di lasciare
che le cose semplicemente accadano, la ragazza
gli riserva uno sguardo eloquentemente gelido e
d’improvviso gli volta le spalle cambiando posizione. Come se la situazione fosse scivolata via
improvvisamente dal suo controllo, il professionista adescatore si muove incerto all’interno del
vagone e sceglie di scendere repentinamente ad
una fermata che non è la sua. Si siede sui seggiolini che trova sulla banchina e vede andare
via il treno mentre pensa che farà tardi al lavoro e stavolta non per piacere. Fissa il vuoto per
un po’ chiedendosi cosa non ha funzionato nella
sua tecnica di adescamento, certo le donne non
sono tutte uguali ma fino a quel momento le considerava piuttosto prevedibili. Chiude gli occhi
e rovescia la testa all’indietro fino a toccare il
muro, respira a fondo, non è abituato a perdere.
D’improvviso si sente sfiorare una mano e una
voce chiedergli se sta bene, apre gli occhi e trova
un viso femminile distante pochi centimetri dal
suo, l’espressione è incuriosita, a tratti preoccupata. Quando l’uomo fa un cenno di assenso accompagnato da un mezzo sorriso quegli occhi del
colore del mare si illuminano ma non si allon-
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tano, sembrano muoversi febbrilmente su tutto
il suo viso come per fissarne i confini, passano
velocemente e più volte dagli occhi alle labbra
forse in attesa di qualche suono di conferma.
Il professionista adescatore si perde lì a quella
fermata di cui non ha visto neanche il nome, si
perde in quegli occhi nuovi eppure non estranei,
si perde e il mondo si ferma per un momento.
Tutto intorno si annulla e neanche il nuovo treno che arriva spezza quella sorta di incantesimo
che si è creato e vorrebbe essere rassicurato che
almeno non si sposteranno subito da lui quegli
occhi che del mare sembrano aver preservato la
profondità e abbassa leggermente lo sguardo in
attesa, poi accentua il sorriso perché si accorge
di provocare interesse nell’altra. Vorrebbe che
quell’odore piacevole che catturano le sue narici
non fosse così disarmante. Tutto è sospeso tra il
non detto e l’elettricità che attraversa l’aria che
resta da conquistare. Dovrebbe accorciare ancora le distanze? Reclina un po’ la testa e cerca di
individuare qualche particolare in più ma come
se non fosse molto convinto dell’importanza di
saperlo, torna a fissare stregato le ciglia folte che
incorniciano quei due occhi curiosi, è il momento
in cui si può chiedere qualcosa di banale ma che
servirà a sondare il terreno. Ma cosa? Di nuovo
pensa che farà tardi al lavoro e la domanda invece arriva da lei ma lui non ne ricorderà mai
il contenuto, una semplice domanda che inizia
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una conversazione fatta non di parole, tanto non
ricorderanno neanche quelle, nessuno dei due,
ed è una danza immaginaria di sguardi, di mani
passate tra i capelli o ad aggiustare un polsino
già perfetto, mani che si muovono a rassettare
il proprio corpo per infondersi coraggio, dita che
indicano cose inesistenti, spiegano itinerari futuri possibili. L’uomo suo malgrado si sente a
proprio agio, non l’avrebbe mai creduto, un uomo
che dona l’attenzione per la prima volta, riceve
il calore del sole come un fiore e grato ricambia
mostrando tutte le tonalità dei suoi colori.
E pensa che neanche il momento della pura conquista può essere paragonato a quell’istante,
l’istante in cui si ha la consapevolezza di essere
stati conquistati.
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Una Previsione
La ragazza dagli occhi del colore del mare esce
dal portone di casa e sistema meglio la giacca
che indossa, guarda le nuvole lontane che sembrano di panna montata e pensa che il cielo promette davvero una buona giornata. Oggi ha un
colloquio di lavoro che potrebbe essere decisivo.
Respira rumorosamente e chiude gli occhi per
un minuto, il profumo dei cornetti appena fatti la accarezza, entra nel bar accanto al portone
e come sempre trova diverse persone che come
lei fanno colazione. Sceglie un cornetto al cioccolato e un cappuccino spolverato di cacao che il
barista le mette davanti ancora fumante. Adora
la schiuma che si forma sullo strato superficiale
della tazza, ne prende un po’ con il cucchiaino e
la assapora. È il momento più bello della colazione, sentire il primo sapore di una nuova giornata, cercare di distinguere per quanto possibile
l’energia amara della caffeina e l’amorevolezza
calda del latte. Si guarda intorno per cercare tra
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gli altri le persone che incontra di solito, la mattina li saluta con lo sguardo, qualcuno lo vede
più spesso, altri più raramente. Una coppia sulla trentina entra nel bar tenendosi per mano, di
solito li vede una volta a settimana, sono carini
insieme, si siedono sempre allo stesso tavolino,
lei ha quasi sempre con sé un borsone e attende
seduta che lui le porti il caffè e un cornetto con
un bicchiere d’acqua, lo guarda muoversi nel bar
con aria sicura mentre siede e attende che torni verso di lei. La ragazza dagli occhi del colore
del mare gioca con la fantasia e sulle possibilità zodiacali. Lui potrebbe essere del segno dei
gemelli, amante affascinante e creativo con un
profondissimo senso di libertà e indipendenza,
irresistibile, generoso, intelligente e affettuoso governato dal pianeta mercurio che lo porta
ad agire prima di tutto, infatti sembra un uomo
d’affari. Lei potrebbe essere del suo stesso segno,
quello dei pesci, sognatrice, intuitiva, con emozioni che scorrono profonde, un fiume in piena
che può emergere da un momento all’altro, con
una natura sensibile e spirituale, piuttosto affascinante, forse potrebbe essere una giornalista o
una scrittrice. Il segno dei pesci è governato dal
pianeta giove che regala una natura generosa ma
anche piuttosto paurosa rispetto al futuro che a
volte provoca una grande inquietudine. Chissà
cosa sente di possedere di simile a quella donna
e soprattutto chissà perché riesce ad attribuire a
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lei la paura e l’incertezza per il futuro che invece
dovrebbe tenere come una cosa profondamente
sua. I due nel frattempo si sono seduti e facendo
colazione si cercano come sempre tantissimo con
le mani, come due amanti innamorati che sanno
che per un certo periodo di tempo non potranno
più vedersi e accumulano percezioni epidermiche per non perdere il contatto con quella sensazione fatta di gesti irrefrenabili, un filo invisibile
che li lega anche quando non sono insieme. La
ragazza con gli occhi del colore del mare li osserva con un po’ di invidia, vorrebbe anche lei sentire quell’urgenza per il contatto con qualcuno,
quel non accorgersi delle persone intorno, vivere il momento in un mondo parallelo con regole
proprie, movimenti propri e percezioni laterali.
Comincia a pensare all’affinità che è tradita dai
loro reciproci gesti. Lo zodiaco dà spiegazioni per
tutto: i gemelli sono un segno d’aria, mentre i pesci sono un segno d’acqua quindi i due elementi
combinano intelletto e sentimento mescolati ad
arte, entrambi si adattano facilmente ad ogni
tipo di situazione, nessuno dei due cerca di dominare l’altro, ma rispettano la libertà e gli spazi altrui ed ecco spiegata la loro complicità. Si
ritrova a fantasticare su quei due sorseggiando
e assaporando il cappuccino, la donna potrebbe
viaggiare per lavoro e questo spiegherebbe il bagaglio che porta con sé, oppure potrebbe avere
in quel borsone il necessario per passare una
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notte d’amore con lui quando riesce a scappare
dalla routine quotidiana di una vita non scelta
o non voluta completamente. La seconda ipotesi
le sembra la più affascinante e la più calzante e
forse anche quella che lei può invidiare maggiormente perché vorrebbe veramente avere qualcuno nella sua vita da amare con l’indecenza pura
di un sentimento scomodo che non richiede altro
che se stesso per esistere, indipendente da qualsiasi altra causa o motivo, spossante, che consuma e non fa pensare ad altro.
Esce dal bar e come ogni mattina cerca tra i
giornali gratuiti che sono sui tavoli all’aperto, il
quotidiano del giorno prima, tralascia la lettura delle prime pagine per arrivare alla parte a
cui è unicamente interessata, le previsioni del
suo oroscopo. Cerca l’ultimo segno dello zodiaco e comincia la lettura avidamente: “In questa
splendida giornata tutto quello che vi circonda
vi sembrerà migliore di quello che è, ma questo
non è assolutamente un male, ci saranno tutti
gli elementi per essere allegri e per fare qualcosa
di costruttivo per il vostro futuro. Già a partire
dalla mattinata sarete molto gioiosi perché arriverà inaspettatamente una risposta importante
per voi”. La ragazza sorride e alza di nuovo gli
occhi verso il cielo sereno, nella mattina del giorno precedente aveva ricevuto una telefonata per
fissare il colloquio di lavoro a cui sta andando,
la previsione dell’oroscopo era giusta. Da sempre
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preferisce leggere nel giorno successivo l’oroscopo del giorno precedente per vedere se veramente le cose indicate sono accadute. Sceglie di verificare le previsioni una volta che sono avvenute
invece di attendere protesa nel futuro che i fatti
diano ragione alle profezie. Di nuovo la sua paura per il futuro emerge, fa capolino nella coltre
delle certezze della lettura di un passato già avvenuto e la spaventa un po’. Di solito la sera si
connette e cerca il suo sito preferito sugli oroscopi, l’unico che ha un archivio di tutti gli oroscopi
scritti giornalmente, ogni tanto le piace rileggerli
in sequenza per vedere se nei giorni hanno predetto davvero quella fetta di vita che la riguarda. La sua frase preferita che le ha anche fatto
scegliere quel sito come la bibbia da consultare
è “rileggi cosa l’oroscopo ti aveva predetto e confronta quello che ti è successo con i suggerimenti
degli astri”. Magnifico, la sua passione! Per un
momento le viene in mente la coppia che ha lasciato nel bar e la sua incessante ricerca di quel
sentimento che incarna. Quante volte ha cercato
nelle parole del suo oroscopo la previsione di una
passione intensa e di un grande amore che ancora non ha trovato nonostante la sua ricerca febbrile e la sua attesa spasmodica dell’incontro con
la persona che dovrebbe essere quella del suo destino. Si immagina seduta beata nell’abbraccio
di un uomo mentre legge le previsioni del giorno
prima e vi trova la frase “incontrerete il grande
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amore”, immagina quella conferma scritta in un
giornale che le farà emergere un sorriso interno
che le illuminerà finalmente il cammino futuro,
l’emozione di una nuova direzione che la sua vita
potrebbe prendere. Ricaccia dentro la sua paura
per le previsioni future convinta comunque che è
sempre meglio leggere nel presente le previsioni
passate. Stamattina però si sente più curiosa del
solito e il giornale con la data del giorno corrente
la tenta davvero molto. Forse potrebbe sfogliare
le pagine per vedere se c’è qualcosa di previsto
sul colloquio che l’aspetta dall’altra parte della
città, ma quello che la blocca è la paura di farsi
suggestionare dalla lettura al punto da esserne
influenzata. Cosa potrebbe accadere se ci fosse
scritto qualcosa di negativo? Ha voglia di sentirsi libera, arrivare senza nessun pregiudizio o
congettura dettati da una previsione che malgrado non sia reale stende comunque un velo di non
autenticità sul susseguirsi del presente. Eppure
la tentazione è molto forte e lei sa che forse in
quel giornale potrebbe esserci già una risposta
al suo destino. Lo prende comunque, non riesce a
lasciarlo su quel tavolo, si ripromette di leggerlo
magari subito dopo il colloquio, ecco forse questo
potrebbe essere il giusto compromesso. Cammina allegra verso la stazione metro tenendo sotto
il braccio la sua previsione giornaliera.
La banchina della metro è mediamente affollata,
non è una delle stazioni principali e quindi non
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c’è molta gente, ma per lei, curiosa della vita, è
anche meglio perché così riesce a osservare meglio le persone ferme in attesa, si sente come una
bambina in un parco giochi mentre si guarda intorno con un misto di meraviglia e incredulità.
Una coppia di anziani che discute di qualcosa,
con un tono di voce più alto del normale, attira la
sua attenzione, qualcosa le si muove dentro, una
sensazione piacevole di amore, quei due anche
nel litigio mostrano tutto il loro attaccamento
e di nuovo la assale il desiderio di un incontro
che possa cambiarle il corso della giornata e della vita. Cerca di immaginare in quale posizione
dello zodiaco si collocano i due, li osserva con più
attenzione, si sente così sensibile e le sembra di
avere la percezione dei sensi accelerata, come se
qualsiasi stimolo le arrivasse con forza maggiore, sottolineato da una sensazione più forte che
lo accompagna. Guarda il giornale che tiene sottobraccio e pensa di abbandonarlo, ha paura di
quello che potrebbe leggere e della possibile contaminazione del suo pensiero. È incerta e resta
un momento in più con il giornale in mano mentre sta arrivando la metropolitana e lei si discosta dalla banchina per raggiungere i seggiolini
e decidere se abbandonarvi quei fogli tentatori.
Il convoglio effettua la sua fermata e sono poche
le persone che scendono. Vede una donna curata
non più giovane scendere seguita velocemente
da un ragazzo che la prende per mano e la fer-
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ma, la sua attenzione è catturata dall’elettricità
che sembra attraversare lo spazio esiguo che li
separa. Sembrano sospesi come in un passo finale di un ballo quando la musica cambia ritmo e
per un momento si resta immobili ad attendere
che qualcosa accada, un nuovo suono che arriva
a spezzare il silenzio e l’assenza di movimento.
Un uomo che scende si avvia nella sua direzione con un’andatura incerta, come se fosse un po’
perso e qualcosa dentro la ragazza dagli occhi
del colore del mare si ferma, si siede come un
automa sui seggiolini contemporaneamente a
lui che invece non la nota nemmeno. Lui fissa il
vuoto davanti a sé per un momento e poi chiude
gli occhi rovesciando la testa all’indietro fino a
poggiarla al muro, respira a fondo. Le sembra
che si stia sentendo male e allora gli sfiora una
mano e gli chiede se sta bene, lui apre gli occhi e
fa un cenno di assenso accompagnato da un mezzo sorriso. Lei sente nascere un sorriso dentro, lo
osserva da vicino, non riesce a smettere di guardarlo, si ferma sulle labbra e torna a guardarlo
negli occhi, ed è come se tra loro passasse qualcosa di eternamente conosciuto. Un altro treno
arriva e si ferma ma lei non riesce a muoversi,
sa benissimo che farà tardi al colloquio se non
comincia a muoversi, ma qualcosa la tiene ferma
su quei seggiolini. Continua a guardarlo rapita e
a cogliere tutti gli stimoli che i suoi sensi possono catturare. Lui reclina un po’ la testa come se
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stesse cercando di capire qualcosa o di avere una
visione più di insieme sul viso di lei ma i loro
occhi si incontrano di nuovo e restano legati dalla reciproca attrazione. Lei chiede qualcosa ma
lui non sa neanche cosa gli risponde seguendo
semplicemente i suoi moti interiori. E segue una
comunicazione che ha come scopo quello di poter
rimanere vicini seduti ad osservarsi. All’improvviso quasi spaventandola appare vicino a loro la
donna anziana che lei aveva osservato prima, si
avvicina ai seggiolini e prende il giornale che lei
aveva poggiato a lato. La sente che parla con il
suo compagno col quale aveva avuto il diverbio
poco prima. Chissà cosa mi dice l’oroscopo oggi,
le sente dire, sono sempre alla fine dello zodiaco.
E poi la sente mentre comincia a leggerlo ad alta
voce: “Giove farà un grandissimo regalo ai single
del segno, infatti farà di tutto per farvi incontrare nuove persone e far nascere nuove storie. I
Pesci più fortunati avranno anche la possibilità
di incontrare il grande amore e sfogare la loro
grande voglia di vivere passioni ed intense storie
romantiche. Sicuramente questo sarà uno di quei
giorni fantastici che non si scorderanno tanto facilmente e che resteranno impressi nel cuore”.
Alla ragazza dagli occhi del mare sembra che le
stiano facendo una previsione in diretta mentre
continua a tenere lo sguardo di colui che l’ha rapita e pensa che davvero questo sarà un giorno
da ricordare, l’ennesima previsione dell’oroscopo
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che ha avuto seguito negli accadimenti della sua
vita. Forse dovrebbe smettere di avere paura di
questo futuro che gli sta aprendo una strada davanti, forse potrà concedersi di leggere le previsioni nel giorno giusto così da vivere nel presente quella fetta di futuro accennato. “Sta attento
sa!”. La donna anziana riprende a parlare, “che
qui dice che il mio grande amore potrebbe ancora arrivare”, guarda il suo compagno e lo redarguisce con un tono teneramente minaccioso, poi
lascia il giornale sul sedile lo prende sottobraccio
e si allontana tenendolo stretto. La ragazza dagli occhi del colore del mare riprende in mano il
giornale e guarda intensamente l’uomo che continua a perdersi nei suoi occhi. Decide in quel
momento di restare nel presente di quell’incontro e un sorriso le si allarga interno, un sorriso
che illuminerà il cammino futuro e l’emozione di
una nuova direzione che la sua vita forse potrebbe prendere.
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Un Sogno
Avrai un’occasione per salvarti, una sola possibilità. Vedrai la morte negli occhi di una donna.
Dovrai accorgertene da sola, solo così potrai capire quando salvarti.
La radiosveglia sorprende la ragazza bionda
senza fiato con il cuore accelerato e i muscoli tesi
come dopo una corsa, è sola nel letto, respira a
fondo e più volte concentrandosi sul movimento
del petto per rilassarsi e far passare il momento
d’ansia, funziona, perché un leggero formicolio
prende il posto della tensione, guarda verso la
radiosveglia, sono le sette e quindici, deve proprio mettersi sotto la doccia se vuole arrivare in
tempo in ufficio. Il viso che osserva allo specchio
del bagno è ancora contratto e spaventato, lo
ruota da una parte all’altra esaminando tutte le
imperfezioni della pelle. Annota mentalmente di
prendere di nuovo il lievito di birra la mattina
a digiuno; fa una boccaccia e lo specchio le re-
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stituisce lo stesso gesto, la sua faccia è proprio
antipatica non c’è che dire.
Mentre l’acqua della doccia le massaggia la testa, pensa al ragazzo che ha conosciuto da poco,
la sera prima non ha voluto rimanesse con sé,
le sembrava ancora presto per trovarlo al risveglio, certo le piace e anche molto, eppure quando
pensa a lui un misto di attrazione e repulsione
la invade. Il buon senso le suggerisce di lasciarsi
una scappatoia visto che il sogno è arrivato da
quando lo ha conosciuto. Non è forse un brutto
segno? Come faceva da bambina usa un modo
tutto suo per predire il futuro, si prepara a tirare il tappo della bottiglietta dello shampoo verso l’alto per fargli scavalcare nel volo il bastone
della tenda della doccia, se finirà nel water ci
sarà per lei l’eterno amore delle favole e se invece finirà per terra… Cosa? Se finirà per terra...
sarà solo sesso sfrenato! Forse troppo reale come
ipotesi anche perché non le sembra poi tanto
spaventosa, basterebbe saperlo. Lancia il tappo
verso l’alto, blop! Un rumore sordo come se fosse
caduto in acqua, esulta e si prepara ad uscire
vittoriosa dalla doccia, ma gli schizzi sul muro
indicano che è finito nello sciacquone, mi sa che
sono troppo grande per questi giochini, pensa e
si infila l’accappatoio dubbiosa.
La metro della mattina sembra un vasetto di acciughe stirate e variopinte, le persone più sva-
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riate cercano di occupare lo spazio minore possibile, guardando fisso davanti a sé assorti in un
mondo proprio. La ragazza bionda ama scoprire
dai piccoli dettagli qualcosa in più sulle persone
che condividono con lei il viaggio mattutino nel
convoglio. D’abitudine, se qualcuno comincia a
salire sempre sul primo vagone del treno si rende conto che come lei altre fanno la stessa scelta
e ci si ritrova la mattina come vecchi conoscenti.
L’attenzione della ragazza viene prima attratta
da una coppia, entrambi indossano una casacca
lunga e caratteristica dei popoli arabi che copre i
vestiti e arriva fino ai piedi, quella dell’uomo raffinata, quella della donna finemente ricamata.
Lei tiene timidamente gli occhi bassi, ha i capelli
coperti da un foulard celeste, lui si guarda intorno guardingo, l’hennè nero che delimita i suoi
occhi li fa sembrare minacciosi, sembra possessivo mentre le tiene stretta la mano, lei muove
il capo in continuazione, per incrociare gli occhi
del compagno e poi guardare di nuovo in basso,
sembrano vivere un loro mondo presi solo l’uno
dall’altro con niente intorno, lui muove la testa
solo per guardare le fermate che si susseguono,
sembra aspettare quella giusta. La ragazza bionda si sente curiosa e forse un po’ indiscreta, è fortemente attratta dalla donna, vorrebbe vederle
gli occhi e ogni tanto torna a cercarla, mentre
continua la sua piccola ispezione. Posa gli occhi
su una donna non più giovane, ma molto curata,
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che stringe tra le mani dei fogli che sembrano
molto importanti, continua a metterli dentro
una borsa per poi riprenderli dopo pochissimo
tempo come in un rito noto solo a lei. A pochi metri da lei un ragazzo continua ad osservarla e forse
lei se ne è accorta e in realtà quei movimenti nervosi sono solo di stizza, come per liberarsi da una
situazione che la mette in soggezione. Vicino una
bambina posa gli occhi enormi su tutti quelli che
le capitano a tiro, le sue mani sono infagottate in
piccoli guanti rosa, tiene le braccia inermi lungo
il busto, quasi che l’atto di guardarsi intorno assorba tutte le sue energie. Si sente protetta dalla
mamma che la tiene stretta per non farla cadere
mentre muove la testa lentamente come per registrare ogni piccolo particolare di quello che ha
di fronte. In fondo al vagone è seduta in terra
una coppia con due grossi zaini che li accompagnano in un viaggio sicuramente più lungo di
quel percorso metro, consultano una guida e tra
una pagina e l’altra si scambiano una carezza,
un bacio. Poco distante da loro un uomo distinto
sussurra delle parole tra sé, le recita come una
nenia mentre gesticola un po’, sembra fare delle
domande ad una interlocutrice immaginaria e
rispondersi allo stesso tempo. Ogni tanto il tono
della voce sale un po’, ogni tanto è un sussurro che si spegne sugli occhi bassi di quell’uomo.
Sembra soffrire molto per qualcosa.
La ragazza bionda si sente sfiorare la mano for-
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se da qualcuno che cerca di sorreggersi per un
rallentamento repentino e istintivamente guarda la persona in attesa del sorriso di scuse e si
trova di fronte il professionista adescatore che
ogni mattina con gesti studiati cerca di sedurre
una ragazza diversa. La ragazza gli riserva uno
sguardo gelido e cambia posizione ma mentre lo
fa sorride interiormente, non ha molta memoria
oppure non è così fisionomista visto che è già la
seconda volta che prova ad attaccare bottone, lo
vede allontanarsi verso le porte e per un attimo
scorge la donna non più giovane che scende tenendo ancora stretti i suoi fogli tra le braccia,
il ragazzo che la osservava si precipita fuori
dal vagone dietro di lei quasi si fosse reso conto
all’ultimo istante di doverlo fare, l’ansia di non
perdere qualcosa. Il pensiero viaggia tra le persone che la circondano e inaspettatamente torna al ragazzo che sta frequentando e al sogno
di quella mattina. Forse le è entrato davvero
dentro, sente una sensazione di annullamento e
rabbrividisce. Una suoneria la riporta alla realtà, come può suonare un cellulare all’interno del
vagone visto che il percorso è sotterraneo? La ragazza si guarda attorno spaventata, la bambina
continua la sua ispezione mentre le fermate della metro si susseguono, i due arabi si guardano
ancora negli occhi mentre lui le passa una mano
attorno alla vita e con l’altra che racchiude una
mano di lei si tocca il petto all’altezza del cuore,
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sembra addolorato per qualcosa. La ragazza finalmente riesce a vedere gli occhi della donna
e un brivido le corre lungo la spina dorsale, ha
un’espressione mortale, le torna in mente il suo
sogno e il panico prende il sopravvento e mentre cerca di guadagnare l’uscita si scontra con
un vigilantes che all’apertura delle porte sta entrando all’interno del vagone e non le permette
di uscire. Si sente un topo preso in trappola, non
riesce ad abbandonare il vagone anche se è fermo alla stazione, sospeso e senza tempo. Ancora
non capisce perché continua a restare ferma lì
inebetita e non si precipita verso le scale mobili
e l’uscita e non corre a respirare a pieni polmoni, a respirare ancora. Il vigilantes non è solo,
afferra assieme a un’altra persona i due arabi
che non reagiscono e mentre vengono separati
la donna è più veloce di loro, quando l’interesse
è rivolto al suo uomo, estrae un pugnale e si colpisce all’altezza del cuore, cade a terra e chiude
gli occhi stretti in attesa che l’anima sorvoli sul
suo gesto così terreno e così perde per sempre lo
sguardo del suo innamorato. Arrivano altri vigilantes che trascinano fuori i due mentre il treno
è irrimediabilmente fermo. La massa variopinta
di persone si riversa sulle scale mobili come risvegliata da uno choc da una voce metallica che
chiede di lasciare il convoglio e di attendere il
treno successivo. “Il servizio verrà ripreso il più
presto possibile”.
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C’è agitazione, il vociare diventa più alto e si sente anche il singhiozzo di un bambino. La ragazza
bionda si volta nella direzione di quel pianto e
vede la bambina che prima sembrava tranquilla
col volto rigato di lacrime come a sfogare l’agitazione e lo spavento generale, mentre la mamma
la stringe al petto e le parla sommessamente per
calmarla. Qualcosa si spezza all’interno della ragazza, sente una ferita mal cicatrizzata che torna a sanguinare di nuovo dolore grazie a quella
manifestazione di affetto così innocente e naturale, sente la disperazione di quel pianto senza
provare la sicurezza del calore materno, e un
morso di invidia la coglie nei confronti di quella
bambina ma lo scaccia subito indignata con se
stessa e segue il flusso verso l’esterno. Prende un
taxi ed ha ancora di fronte l’immagine di quella
donna e dei suoi occhi, non riesce a pensare ad
altro.
Avrai un’occasione per salvarti, una sola possibilità. Vedrai la morte negli occhi di una donna.
Dovrai accorgertene da sola solo così potrai capire quando salvarti.
La ragazza bionda si risveglia di nuovo senza
fiato, ancora con quella voce che ora possiede anche il volto della donna araba che ha visto morire nel vagone della metro. Si alza e in cucina
fa scorrere l’acqua del rubinetto, concentrandosi
sul flusso del liquido, mentre il respiro si fa nor-
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male e il cuore riprende i propri battiti naturali,
non riesce davvero a capire il senso di quel sogno. Guardando l’orologio della cucina si accorge
di aver dormito solo quattro ore, ma non vuole
tornare a letto, quella donna non le lascerebbe
tregua, meglio fare qualcos’altro, ma cosa? Le
viene in mente quella scatola di latta che contiene tutte le foto delle persone che ha perso scappando dai sentimenti vigliaccamente, e la va a
cercare. In punta di piedi si allunga verso i piani
alti del suo armadio e la prende, la apre con fatica e coperchio e contenuto si riversano in terra,
impreca per il rumore provocato e spera che il
sonno di chi abita sotto al suo appartamento sia
difficile da interrompere mentre trattiene il fiato
e si aspetta un segnale intimidatorio. Ma tutto
tace. Si siede per terra e comincia a guardare
le foto: occhi malinconici in alcune e sorridenti
in altre e sentimenti antichi e sofferenze e gioie
nelle pieghe dell’anima dimenticate. La assale il
calore interiore della languidezza dei ricordi più
profondi, suo padre la guarda da una foto, la sua
preferita, ha la testa reclinata da un lato e fa un
gesto con la mano come per intimare a fare il
proprio dovere ma l’aria severa è tradita da un
sorriso che sembra rassicurare sulle sue intenzioni. Una lacrima silenziosa comincia a scendere e ancora una volta perde la lotta col suo dolore.
Mette la foto da un lato per farsi fare compagnia
e continua a guardare le altre, qualche ragazzo
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sorridente, lei che abbraccia o sorride al compagno di turno. Rigira le foto cadute una a una e le
guarda ma a un tratto si ferma bruscamente, ne
trova una vecchia, rovinata dagli anni passati a
rigirarla tra le mani per trovare dei perché, la
riconosce e la stringe ancora una volta. è l’unica
che possiede di sua madre, uno sfondo di deserto
e lei vestita con una lunga casacca araba e un
paio di occhiali scuri che le nascondono gli occhi, la bocca non tradisce emozioni. Le tornano
in mente quegli occhi che nella foto non si vedono e gli sforzi fatti per cercare di scorgervi un
pizzico di amore, occhi che non hanno mai tradito affetto, che l’hanno annullata invece giorno
dopo giorno, considerata solo come ostacolo alla
fuga. Quasi volessero separarsi prima del dovuto dalla sua immagine bambina affinché fosse
più facile poi, affinché fosse meno prolungato
l’addio. La bambina si era rassegnata a quella
morte interiore e crescendo la mostrava altera e
dimessa a tutti coloro che le si avvicinavano, non
ci si può fidare. Aveva misurato per anni quelle
sensazioni senza fiducia con ripetizioni esasperate, la disarmante pazienza di chi trova come
unico interlocutore il silenzio. Non voleva perdersi in quella aridità, voleva salvarsi da quegli occhi e finalmente difendersi, non voleva più
sentirsi morta dentro. Decide di dedicarsi una
lacrima silenziosa, che scende salata e le bagna
le labbra, forse è la prima versata per sé. Ora si
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sente al centro della scena per la prima volta,
l’inquadratura finalmente è cambiata, la vede
protagonista di una vita che fino a quel momento aveva visto scorrere come spettatrice mentre
gli altri dirigevano il corso degli eventi. Gli altri
a recitare in primo piano e lei ad ammirare la
loro bravura sentendosi ancora più incapace di
camminare nella direzione voluta invece di farsi portare dove era protetta, dove era più facile.
Ora però si alza e muove i primi passi insicuri, i
muscoli della certezza sono indeboliti ma il palco
della vita è vicino, deve solo salirci e non avere
paura dei riflettori che la scalderanno, che finalmente le daranno luce al centro della scena. Gli
argini si rompono e la vita sgorga inarrestabile,
dirompente il dolore sfoga la sua violenza mente i singhiozzi trovano spazio nel petto e il suo
pianto è quello inarticolato di un animale ferito.
Una bambina disperata che ha sempre dovuto
piangere in silenzio le sue lacrime e che ora non
riesce a smettere di versarle, e che neanche lo
vuole, e lentamente scivola a terra, vede lo spazio riservato al pubblico dall’altra parte grigio
e freddo, la dannazione della non vita, lei era
lì. Tocca con le mani le tavole del palcoscenico,
le accarezza e le bagna con il suo pianto. Come
sono vere. Si sente salva dall’altra parte del confine. Non vuole più tornare a sentirsi protetta,
incolume dalle possibili ferite, perché vivere permette di amarsi, perché all’amore bisogna con-
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cedere rischi considerando anche il più grande e
spaventoso. Farsi male.
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Un Destino
L’uomo arabo scosta la tenda per aprire la finestra e respirare un po’ dell’aria fresca della notte
che se ne sta andando. Si è svegliato di soprassalto, non è riuscito più a prendere sonno anche
se si sente molto stanco, e per non dare fastidio
ha preferito alzarsi dal letto. Si sente più vigile del dovuto, in uno stato che non gli consente
di dare sosta al lavorio incessante della mente.
Anche provare a chiudere gli occhi non è bastato
a far cadere quella difesa che lo logora e gli divora ogni briciola dell’attenzione, anche la più
piccola, concentrandola tutta sul susseguirsi costante dei pensieri. L’aria fresca che proviene da
fuori accarezza il suo giovane corpo nudo e ne
asciuga il velo di sudore leggero che l’umidità di
quel nido notturno aveva creato. L’uomo poggia
la fronte sul vetro e guarda in basso la città ancora immersa nell’oscurità, la luce dei lampioni
ad illuminarne brevi tratti, sembra dorma anche
lei. La strada è silenziosa, la finestra affaccia in
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una via laterale, i suoni provengono ovattati da
lontano. Per un momento la sua testa sembra
svuotata, come se in un cortocircuito di pensieri
il black out avesse d’improvviso oscurato tutto.
Accende una sigaretta e soffia il fumo della prima boccata verso l’esterno, aspira il secondo tiro
più a fondo, con piacere. Si volta verso l’interno
della stanza d’albergo dove si trova e cerca con lo
sguardo il corpo femminile disteso sul letto. La
donna è stesa su un fianco, la testa poggiata su
un braccio allungato davanti a sé, le gambe lunghe distese, l’altro braccio abbandonato all’altezza della vita inerte. Il corpo completamente
nudo è reduce dalle ore della passione notturna
alla quale non ha risparmiato alcuna risorsa e
ora si concede il meritato riposo, come un relitto
prezioso abbandonato da una marea che lascia
stremati e felici di essere approdati finalmente
alla stasi, dopo aver viaggiato nelle sensazioni liquide e vischiose della pelle. Lui la guarda
come se fosse la prima volta, se non stesse dormendo potrebbe pensare che la sua posa sia una
mossa voluttuosamente studiata, una messinscena per offrire tutto il suo fascino nel miglior
modo possibile. Lei candida e sensuale è abbandonata sul letto, l’espressione del viso sognante,
persa nel mondo che cammina parallelo con le
sue regole irreali, chissà in quale sogno ora si sta
muovendo, chissà quale emozione sta tracciando
da ritrovare al risveglio, chissà quale immagine
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indelebile sta inseguendo. E d’improvviso l’uomo
è preso da un suo fantasma interiore, si sente
come un uccello rapace a cui viene allentato involontariamente il laccio che lo lega alla terra.
Riesce a sentire piano lo stendere delle ali, la
forza possibile di un ascesa necessaria alla sopravvivenza, il vento che passa attorno, il calore
dell’aria ancora non intaccata, recuperare tutte
le energie possibili per spiccare il volo. E tutto
poi sparisce d’improvviso e la stanza d’albergo lo
riporta al reale, il mobilio ordinario e usurato, la
moquette a tratti consunta ma pulita, il quadro
che all’interno contiene un paesaggio marittimo
attaccato alla parete sopra al letto, le lenzuola
bianche stropicciate che nella notte sono state il
suo rifugio. Come se la donna sentisse di essere
osservata muove piano le gambe e stiracchia le
braccia in avanti cercando il contatto con un corpo che dovrebbe essere steso accanto al suo. Non
lo trova e apre velocemente gli occhi muovendo
la testa nelle direzioni possibili, alla ricerca del
suo amante. Lo trova che la guarda da davanti
la finestra e la calma prende subito il sopravvento sul momento d’ansia che aveva accompagnato il risveglio, gli sorride dolce e fatale, un
chiaro richiamo a raggiungerla. L’uomo getta la
sigaretta e si avvicina al letto, le si siede accanto prendendole la mano. Dimmi che non mi lascerai la mano, dice lei. No non te la lascerò, le
risponde con tutto l’amore di cui è capace. E il
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bacio che segue è colmo di tutte le incertezze e
di tutto l’amore possibile. Perché vuoi farlo, gli
chiede lei, perché non capisci che così non ci sarà
salvezza per noi. Non potrei vivere altrimenti, la
risposta di lui è un soffio che le gela l’anima. Voglio venire con te, il tono di lei è deciso non lascia
spazio a possibili contraddizioni. È sempre stata
così lei, sembra così fragile eppure è ferma nelle
decisioni che prende, non c’è modo di dissuaderla quando ha quel tono così risoluto. Dormi ancora un po’, suggerisce lui, c’è ancora tempo. Abbracciami forte, gli chiede carezzandolo sul viso,
non farmi riaddormentare sola. L’uomo si sdraia
dietro di lei e l’accoglie tra le braccia stringendola. Una lacrima fa capolino tra le ciglia ma lui
ha imparato che non può concedersi tregua, è un
combattente e non può farsi logorare dal dolore.
Le bacia i capelli e vi strofina il viso aspirandone
l’odore. Sa perfettamente che non si addormenterà insieme a lei, ma aspetterà invece che il suo
respiro si faccia più regolare per alzarsi, vestirsi
e uscire senza di lei.
La banchina della metro è un circo al quale lui
non vuole partecipare, le persone si accalcano in
quella che sembra essere una fermata molto frequentata. Un senso di allarme lo coglie quando
pensa che l’ha lasciata sola in quella camera
d’albergo, pensa a quando si sveglierà e non lo
troverà, lo odierà ma era l’unico modo per salva-
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re almeno lei. Un vigilantes cammina lungo la
banchina e controlla che le persone rispettino il
limite della linea gialla, una bimba con dei guantini rosa lo scruta attenta incrociando il suo
sguardo, l’uomo arabo gira la schiena, la sua attenzione resta concentrata sul suo personale inferno interno. Si guarda intorno ma si sente soffocare, il pensiero gli fugge verso le ali spiegate
di quell’uccello rapace che si porta dentro, in
quel momento percepisce nitida la sensazione
dei lacci che si chiudono intorno alle estremità
per tenere fermo un volo possibile e non permesso, sente stringere quei lacci, come se lentamente annodassero anche la percezione. Abbassa lo
sguardo verso terra e si sente ridicolo, credere di
poter ancora salvare la situazione, pensare davvero che farlo era l’unica cosa possibile, una cosa
irrinunciabile. Chi vuole può cambiare le cose,
glielo ha detto anche lei, non ci sono cose impossibili, ci sono solo cose che non si vogliono fare.
Come se l’avesse evocata vede la fine di una tunica finemente ricamata che viene verso di lui,
alza lo sguardo da terra immediatamente e gli
appare il volto di lei. È una visione? Quando sente che lei gli prende una mano e lo conduce verso
le scale mobili capisce che è di questo mondo reale
che fa parte. Sente le labbra che si sfiorano ed è
un ritorno di appartenenza. “Non ti ho trovato, lo
sai che mi sento persa senza di te”, gli dice in un
soffio. “Sai che devo farlo, non puoi venire con
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me, se ci prendessero penserebbero che sei una
mia complice, ti metterei in pericolo, invece dovevi aspettarmi in albergo, sarei tornato prima
del tuo risveglio”, le risponde carezzandole una
guancia. “Sono sempre stata tua”, gli risponde,
“cosa mai potrei fare senza di te? Non sopporterei che ti accadesse qualcosa”. Gli occhi di lei
sprofondano nei suoi marcati con l’hennè e lui si
perde. Se ci trovassero potrebbero portare via
solo me lo sai, potrebbero separarci, è una possibilità che lui deve mostrarle, anche se sa che a
quella lei non reggerebbe. La guarda, completamente coperta dalla tunica e con il foulard che
nasconde i lunghi capelli neri, e un moto di tenerezza lo coglie, solo lui conosce la bellezza di quel
corpo e una vertigine cattiva per un momento lo
scuote, egoisticamente pensa che la possiede e
non vuole che sia di nessun altro. Le stringe la
mano che ancora tiene nella sua e la conduce
verso la metropolitana che sta arrivando, sia
quel che sia, sarà il destino a decidere per loro.
Entrano nel convoglio e si sistemano in un angolo, lui le tiene ancora la mano, non riesce a lasciarla mentre guarda fuori le fermate che si
susseguono, se riuscirà a trovare il suo contatto
alla fermata indicata tutto potrà risolversi in
poco tempo, potrà dare corso finalmente al suo
destino. Sente il suono della sveglia del cellulare
che aveva impostato per essere sicuro di non
perdere il suo appuntamento col destino. Mette
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una mano nella tasca della sua tunica e preme
un pulsante qualsiasi per bloccarla dopodiché
passa il braccio intorno alla vita della donna e
posa l’altra sul petto all’altezza del cuore, tenendo ancora stretta la mano di lei che non l’ha lasciato nemmeno un momento, quasi fosse un
modo per proteggersi. E da quel momento, a una
stazione della metropolitana, prende azione
come in un film la realtà che li coinvolge e che il
destino sembra aver deciso per loro. Degli uomini, qualcuno in divisa e qualcuno no, entrano nel
convoglio velocemente e gli vengono incontro risoluti. L’uomo arabo sembra sorpreso, come se
non si aspettasse questa possibilità, non riesce a
dire nulla alla sua donna perché vengono separati immediatamente. Forse, dirle, che anche
quella per loro potrebbe essere la salvezza ma lei
non gli da tempo, è più veloce, estrae un pugnale
dalla tunica e si colpisce con fermezza all’altezza
del cuore, scivola a terra lentamente chiudendo
gli occhi come a voler tenere fissa un’immagine
prima che un’altra non voluta sovrapponendosi
la possa cancellare. L’urlo selvaggio che l’uomo
sente dentro lo paralizza, sente spezzare le ali di
quell’uccello rapace che si porta dentro, è stato
inutile aspettare di sentire allentare le estremità dai legacci che lo tenevano fermo perché ora
precipita inesorabilmente nel vuoto di un precipizio smisurato e senza fine. Si sente abbandonato dalla vita, come se lei con quel gesto gli
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avesse sottratto anche la sua e forse è così davvero. Arrivano altre persone in divisa che li trascinano fuori mentre lui si sente come in un acquario, è come se ci fosse una barriera che gli fa
arrivare gli impulsi da fuori ovattati, sente una
voce che chiede di lasciare il convoglio e attendere il treno successivo, sente gli uomini che si
danno ordini vicendevolmente e vengono portati
verso un ascensore che li conduce in un ufficio al
piano superiore. Non riesce a pensare ad altro se
non che l’ha persa, non riesce a guardarne il corpo lasciato dalla vita, il viso che ne tradisce piano il suo abbandono. Ne osserva dolorante la bellezza ancora non intaccata, una ciocca dei lunghi
capelli è sfuggita al foulard e lui vorrebbe raccoglierla ordinatamente come usava fare lei, non
può pensare che non potrà più passarci una
mano, che non potrà più stringerla a sé. Il corpo
della donna viene coperto momentaneamente
con un telo quando un medico scuote la testa indicando che non c’è più niente da fare. E lui pensa che è finita, tutto perde senso, si sente colpevole perché non è riuscito a parlarle in tempo per
fermarla e ora non ha più senso nulla, ora è inutile cercare soluzioni o interrogarsi sul destino.
Solo qualche mese prima nella sua terra assieme
ad altri come lui, che credevano nella libertà e
manifestavano urlando in piazza, cancellava il
nome del presidente dimissionario dalle stazioni
a lui dedicate nelle fermate metro, per promuo-
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vere il cambiamento che l’avrebbe portato a una
vita migliore. Poi l’arrivo in questo paese che doveva essere solo una meta momentanea in attesa di un passaggio verso un’altra terra che lo
avrebbe accolto insieme a lei. Ma la segnalazione del suo passaggio doveva averlo preceduto
portando con sé l’inevitabile susseguirsi degli
eventi che avevano spezzato il suo possibile volo.
Gli atti feroci compiuti in nome della libertà nella quale lui credeva risoluto, avrebbero potuto
essere spiegati diversamente, motivati, perché
compiuti nella speranza di creare un futuro migliore alle generazioni che sarebbero venute
dopo di lui. Invece, purtroppo, i fatti reali avevano preceduto la sua versione personale facendo
precipitare il corso degli eventi. Il destino restituisce tutto ciò che prende, e la spirale di violenza dalla quale veniva non poteva certo portare
ad altro che al pagamento di un prezzo ancora
più caro, impossibile per lui fare confronti tra costi e benefici. E lei che in partenza non era sulla
bilancia dei costi, invece gli era stata sottratta
per una fatalità che lo avrebbe torturato per
sempre, per il resto della vita che avrebbe vissuto chiedendosi cosa avrebbe potuto fare per fermarla. E ora era inutile cercare di rispondere
alle domande dei vigilantes, inutile dirgli che
aveva lasciato i suoi veri documenti all’albergo
per non essere collegato alla sua identità se lo
avessero trovato, inutile raccontare tutto il suo
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piano studiato per prendere l’identità di qualcuno incensurato che sapeva morto nel suo paese.
Tutto quello che aveva previsto includeva la presenza di lei e ora si sentiva come un naufrago
sbattuto dall’onda del destino su un’isola nel
mare aperto delle incertezze, senza alcun desiderio di veder arrivare una nave a salvarlo, con
l’unico intento di restare relegato a quell’isola
percorribile con pochi passi, con l’intento preciso
di non ottenere nessuna distrazione dall’unico
pensiero che lo avrebbe accompagnato e torturato come un sottofondo per il resto dei suoi giorni:
lei era morta a causa sua. Il silenzio che lo accoglie è l’unica soluzione possibile, l’unico rifugio
probabile, l’unico interlocutore che riesce a sopportare.
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Un Sorriso
Apre gli occhi come tutte le mattine e la prima
cosa che vede è il soffitto bianco rovinato intorno
al lampadario, c’è un taglio che comincia più profondo e verso la fine è più superficiale, sembra
una virgola, come se qualcuno avesse deciso di
prendere una pausa. Passa una mano sugli occhi
e si stupisce di trovarli asciutti, si ricorda perfettamente di essersi addormentata piangendo ma
non trova traccia di quelle lacrime, si sente strana, si tocca il petto e non lo sente così pesante
come nei giorni passati, il respiro sembra fluire
più libero, non è più costretto. E pensa che non
vuole più voltarsi verso quel dolore, non vuole
più sentirne la nostalgia, torna a guardare la
virgola sul soffitto, non sta sognando è sveglia,
è forse dedicata a lei quella pausa? È come se
qualcuno senza avvisare avesse eliminato un rumore di sottofondo, all’improvviso. Eppure anche
il dolore ha un termine. Al principio accompagna
ogni gesto, è un’irritante presenza che non con-
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cede vie di fuga, anche voltando l’angolo, anche
correndo veloci tra le emozioni, resta lì molesto e
prepotente, non vuole essere abbandonato a sé.
Si nutre di ogni palpito che arriva, anche il più
piccolo, lo tramuta ricoprendolo con una patina
scura, gli impone una pesantezza esasperante
togliendo ogni difesa, togliendo lucidità, togliendo la voglia di scacciarlo, il dolore toglie, mette a
dura prova i tendini della sopportazione e spinge impietoso sui muscoli logori delle reazioni e
consuma la forza per contrastarlo e consuma la
resistenza da opporgli. Il dolore consuma. Eppure un giorno il risveglio è diverso, c’è ancora
un piccolo pizzicorio al lato del cuore, ma è come
attutito e percepito meno minaccioso, è il ricordo
di una ferita, ma forse è un principio di cicatrizzazione. E non c’è nessuna tentazione di toccare
la parte che sta rimarginando perché potrebbe
riaprirsi, invece si pensa ad avere cura di quel
punto di congiunzione, averne cura ricercando
tra i ricordi le parti meno taglienti, soppesandole pur senza avvicinarsi troppo, una nuova ferita
può essere in agguato. E scoprire di non essere ancora pronti e non averne ancora voglia né
coraggio, concedersi di far scorrere le immagini
meno importanti, i suoni più lontani, ciò che fa
meno male, raggirare il dolore. Le varianti sono
note, le forme subdole, ma un giorno la paura
allenta la morsa e la corazza piano si riforma,
lentamente. I colpi che arrivano non riescono ad
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affondare facilmente, c’è maggiore difesa, c’è un
giorno in cui si ricominciano a sentire le emozioni e i palpiti tornano ad essere tali. Gira lo
sguardo verso la porta dove c’è ancora il segno di
un pugno sferrato con rabbia che corre lungo la
parte superiore, una crepa nel legno che sembra
formare una croce, il legno è rivolto verso l’interno come imploso e alcune schegge fuoriescono
quasi a formare una cornice. Tocca con gli occhi
quei confini ed è come trovare una parte di sé antica, anche se non sente il dolore della botta ricevuta, lo sfregio resta presente, prende atto che
chi fa del male lascia segni profondi dietro di sé,
la rabbia quando esplode distrugge, annienta. E
le mani che hanno stretto e colpito e le braccia
a difendersi, alzate in segno di resa per cercare
di fermare la furia, e le parole come pietre che
sono arrivate a colpire dove già un dolore aveva
scavato dall’interno una falla. Una danza di due
burattini spezzati, movimenti a strappo di un
carillon che, stanco, non riesce più produrre una
musica, muto continua a incepparsi nello stesso
punto con un rumore sordo di ingranaggi che non
riescono a disincastrarsi, e non guardarsi negli
occhi per paura di leggervi la verità di un copione oramai recitato a memoria, grazie alle prove
ripetute ossessivamente e in quel momento capire che un singolo gesto può cambiare tutto il
contesto, ma non riuscire a fermare il crollo delle certezze che bloccano le azioni. A volte il velo
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davanti agli occhi, per cadere, ha bisogno di quel
gesto rivelatore. Dopo i tentativi andati a vuoto
e la forza impiegata nel provare a scostarlo più
e più volte, e l’attesa è che il tempo trascorra sui
lividi della sopravvivenza lentamente con la cura
delle carezze o pressante con la forza di emozioni
al limite della sopportazione. Il tempo veramente guarisce? Volta la testa verso il lato accanto
del letto e il viso che ama le appare ancora rapito
dai sogni, le ciglia strette come a voler trattenere
il sonno ancora un po’ per sapere come va a finire, una piccola linea tracciata tra le sopracciglia
leggermente corrucciate, le labbra ricurve in un
sorriso accennato leggermente aperte sui denti
bianchi. Un pugno chiuso vicino al viso stretto
intorno a chissà cosa, il volto sembra quello di
un arcangelo, l’espressione tradisce lo sfinimento di un sonno lungo e carico di sogni, i capelli
che lo incorniciano sono leggermente attaccati
alle tempie da un velo di sudore. Non riesce a
trattenere una carezza e con una mano scosta
qualche piccola ciocca dalla fronte delicatamente
e provoca un mugolio leggero e due occhi curiosi
si aprono leggermente come a cercarla e riconoscerla. Il corpo si stiracchia con un sospiro e le
labbra si curvano ancora di più e arriva il suono
che ama sentire al mattino, quella voce bambina
che sussurra la parola che le lega, mamma. La
gioia pura senza filtri e un sobbalzo leggero del
cuore e il respiro che riempie il petto e gli occhi
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che si inumidiscono di piacere. Ed è rinascere,
uscire dalla coltre di consuetudini dolorose che
non lasciano spazio a movimenti diversi o a sensazioni diverse, veder cadere la ragnatela egocentrica della sofferenza che tiene prigioniere le
innocenti emozioni felici e non sentirsi più preda
della inevitabilità, non più una preda. Dona uno
sguardo d’amore a quel piccolo essere che si trova accanto e può finalmente godere di quel sentimento, cercarne invano i confini e sentirsi sconfitta e felice ancora una volta di essere perdente.
Si alza dal letto prendendo in braccio sua figlia
e la porta in cucina dove prepara la colazione.
Sta cominciando a fare un po’ freddo la mattina
e prepara i guantini rosa assieme alla giacca per
la sua bambina mentre la guarda divertirsi con
i calzettoni. Resta rapita dalla dolce piega del
collo e vi depone un bacio tra risate di solletico
e aspira il profumo di pelle bambina, una canzone prende spazio nella sua mente e la canticchia
con voce sommessa. Passa sovrappensiero davanti a uno specchio e si stupisce dell’immagine
che le regala vede gli occhi diversi illuminati da
una luce che non riconosce, le labbra non sono
più serrate, una curva lieve le ingentilisce. La
serenità arriva inaspettata tanto quanto il dolore, non dà preavviso e dà un ordine diverso alle
cose intorno. La serenità stupisce.
Il vento che solleva la metro in arrivo sorpren-
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de la mamma e la bambina nella sua giacchetta rosa. Accanto a lei c’è un uomo giovane e si
sorprende a guardarlo un momento di più, sente
che vorrebbe sorridergli, avvicinarsi e stabilire
un contatto anche se non si spiega il motivo. Vicino c’è una coppia con due grandi zaini, lei lo
guarda con una dolcezza leggera e innamorata,
lui sembra un po’ perso come se cercasse ancora
l’amore. La donna si ferma a pensare a quanti amori possono accendersi nello stesso istante in posti diversi solo attraverso uno sguardo,
l’eternità di una magia che si ripete anche per
chi tiene costantemente gli occhi bassi e li alza
solo un istante per errore. Entrata nel vagone
trova quasi sempre chi le cede il posto per farla
sedere, tiene la bambina attaccata con la schiena rivolta a sé e le lascia osservare la gente intorno, sa quanto le piace e anche lei perde un
momento per guardarsi intorno. Cerca di nuovo
con lo sguardo quell’uomo che aveva attirato la
sua attenzione. Si ferma a guardare i vestiti delle persone che affollano il vagone, alcuni stirati
con cura altri stropicciati, e cerca di riconoscerne qualcuno per avere delle conferme. Quando il
ragazzo delle consegne le porta i vestiti da stirare a casa, la curiosità la invade, mentre passa il
ferro su vestiti, sconosciuti odori le arrivano alle
narici e lei immagina chi li ha indossati e lo farà
di nuovo, la aiuta a non stancarsi troppo nella
ripetizione di quei movimenti stereotipati e pro-
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fessionali. Una giacca di velluto con un gomito
più consumato, le regala l’immagine di un uomo
con una macchina sportiva che ama guidare con
il braccio poggiato al lato del finestrino; una
gonna con delle riprese laterali la riporta a una
donna che finalmente ha ritrovato il suo peso
ideale e sfoggia soddisfatta accanto a quell’uomo un paio di gambe fasciate da calze velate che
allegre si tengono su tacchi a spillo. E sembra
strano cercare indumenti invece che persone ma
quando li appende alle grucce, dopo averli stirati, e li lascia in salotto in attesa della consegna
successiva, le sembra di non essere sola, le fanno
compagnia. La sua bimba li guarda interessata,
chissà cosa pensa di quei vestiti che per qualche
giorno abitano assieme a lei. Poi una giacca con
un rammendo impossibile da dimenticare attira
la sua attenzione, lo ha accarezzato con le mani
più di una volta mentre ci passava il ferro da
stiro. Chi si prende cura dei propri vestiti e non
li abbandona al primo problema non può essere
una cattiva persona. Appena qualcuno le lascia
spazio per poter vedere meglio, lo sguardo si ferma sull’uomo giovane che aveva visto all’esterno
della metro. Le fa simpatia, mentre pensa che
non sa che è lei che gli stira la giacca quando la
porta a lavare, potrebbe fargli notare di avere
un certo grado di intimità, chissà cosa direbbe
se si avvicinasse e gli parlasse della sua giacca.
L’idea la fa sorridere. Ma d’improvviso l’uomo
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scende come se avesse visto la fermata all’ultimo
minuto. La sua bimba non sembra troppo interessata e continua la sua ispezione del vagone.
Qualcosa accade e la metro resta ferma a una
stazione per troppo tempo, i passeggeri sembrano molto agitati. La donna sente il cuore accelerare i battiti e la bambina sembra accorgersene
e comincia a piangere, prima quasi un lamento
poi mentre segue il flusso delle persone verso
l’esterno, il pianto diventa forte e spaventato. La
donna si accorge a malapena che non è la fermata dove dovevano scendere bensì quella dove
lei va una volta al mese alla stireria, mentre abbraccia forte la bambina e cerca di rassicurarla
le regala parole dolci in un orecchio. Poco male
stamattina non la porterà all’asilo, la bambina
è comunque troppo agitata. Il sole fuori scalda
un po’ il corpo e anche le lacrime che sembrano fermarsi, la stireria è poco distante e davanti
alla porta vede da lontano una sagoma conosciuta che le fa gelare il sangue e stavolta il cuore
quasi smette di battere, sua figlia per riflesso le
stringe le braccia al collo mentre vi affonda la
faccia strofinandola e lo fa così repentinamente che le infonde il coraggio necessario, si sente
più forte, non sarà certo la forza di un pugno a
cambiare la sua decisione. L’uomo che l’aspettava fermo all’ingresso si sposta al loro passaggio
e la guarda con un’espressione colpevole, l’ennesimo sguardo di scuse, qualcosa che provi a
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cancellare i gesti, che le labbra stavolta hanno
ferito quanto le mani e probabilmente spera che
lei si fermi accanto e gli porga lo stesso gesto di
sempre che cancelli ogni risentimento, ogni colpa non presa. Ma lei fugge lo stesso gesto e gli
passa accanto volgendo lo sguardo altrove mentre entra all’interno del negozio e lo lascia lì sospeso a chiedersi dove è che ha sbagliato, se quel
gesto che l’avrebbe protetto non l’ha chiamato
lui oppure se stavolta è veramente finito qualcosa. E lei pensa di voler amore, soltanto amore,
vorrebbe perdersi in questa necessità e lasciare
il dolore dove non può essere più recuperato, almeno per un po’, almeno finché il suo bisogno
non venga placato. E non vuole la memoria di
quello che è accaduto, c’è già una ferita presente
a cui pensare che piano sta cicatrizzando, non
è amore difendersi, non è amore desiderare di
nascondersi. E vorrebbe dimenticare quello che
è stato, anche l’amore che ha accompagnato i gesti, gli attimi che restano eterni e il sentimento
forte e distruttivo che ha accompagnato i giorni
nel dolore forte e profondo. Svegliarsi la mattina
e non avere una ragione per alzarsi, non voler lasciare quello stato di sonno per andare incontro
a qualcosa che non si comprende, trame che per
un attimo sembrano insondabili nel momento in
cui le ombre acquistano consistenza e le mete
perdono senso. Ed è l’istante passeggero in cui
dal buio del sonno si passa alla luce del giorno e
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quell’esplosione di sentimenti ingovernabili non
può davvero chiamarsi amore, è solo possesso
che emerge e che chiama a sé l’oggetto di cui scopre non poter fare a meno. E il suo scopo diventa
annientarlo lentamente per dimostrare quanto
è importante, amore e distruzione che si rincorrono per acquistare tempo e spazio nello stare
insieme. La donna pensa che vuole stare sola invece, non umiliare più la sua vita così e volge lo
sguardo verso fuori attraverso la vetrina della
stireria e la figura che l’aveva spaventata si sta
allontanando con le spalle un po’ ricurve come
se stessero sopportando un peso in più. La sfuggente sensazione di amore che sale, dura un solo
momento, il corso dei suoi pensieri viene interrotto dal gestore che le fa una domanda che lei
non capisce. Sorride ugualmente e quel sorriso
è il primo che regala alla sua nuova vita. Dà un
bacio sulla fronte alla sua bambina e si sente più
forte come se avesse appena passato la prova più
dura per prendere un’altra strada da percorrere,
e la sensazione le riempie il petto annullando le
paure che erano salite e che le avevano per un
momento fatto pensare che un destino segnato
dalla violenza non può muoversi dai binari che
ha sempre percorso. E invece, sente potente il
deragliamento e si riempie dell’energia scaturita
dalle ruote che con grande fragore hanno cambiato direzione e non ha paura di percorrere le
nuove linee tracciate anche se resta un po’ so-
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spesa in un momento carico di possibilità. È il
momento in cui comprende profondamente che
prendendo una nuova direzione non si ha più voglia di tornare a viaggiare su quella conosciuta
e vede una nuova luce che illumina un percorso
diverso, lentamente allora comincia il suo cammino su un tragitto che la incuriosisce e spaventa allo stesso tempo ma che finalmente fa sì che
la voglia di vita vinca la sua battaglia contro la
paura.
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Una Certezza
Lei pensa di non essere stata mai più felice di così,
continua a perdersi negli occhi di lui e non vuole
neanche sperare che sarà per sempre, le scoppierebbe il petto, non reggerebbe a quell’emozione
per troppo tempo. Lui le tiene la mano mentre
siedono a terra nella metro insieme, con i loro
zaini e con l’avventura che sta per finire anche
se per ora non sembra possibile. Si sente protetta e pensa che potrebbe viaggiare dovunque
con lui, ammira quella mano con le dita lunghe
che repentinamente si muovono e indicano con
stupore un nuovo itinerario possibile. Buttano
la guida turistica da un lato con vigore per tornare sulla sua mano, si posano sulla gamba distrattamente. Vorrebbe assorbire quella vitalità
come una spugna, farla sua. La sente accanto
e ne coglie il calore, non riesce a farne a meno,
si agita anche lei per riflesso come un metallo
che si scalda e comincia i suoi movimenti interni
grazie al tepore ricevuto. E sente un’emozione
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liquida attraversarle il basso ventre, lo guarda
avvicinarsi e occupare tutto il suo campo visivo
fino a che le labbra diventano la meta più spontanea, le mani si cercano di nuovo e si stringono.
E di nuovo il contatto degli occhi che brillano di
nuove promesse inesplorate, l’intero universo
dell’altro che piano apre spiragli e fa emergere
la paura del non conosciuto, l’incertezza, chiedersi appena cosa ci sarà domani e rispondersi
che forse non è importante. Forse solo quanto
basta per conoscersi meglio e scoprire piccole
cose in comune e la inseguono le immagini dei
possibili ricordi futuri, regalo prezioso che dona
la vita e che si annida nelle pieghe della mente,
impossibile difendersi da loro, sottrarli all’attenzione, giocarci ingenuamente senza farsi male.
Impossibili ricordi. Lei già sembra costruire un
luogo per ospitarli e difenderli, un’esploratrice
che delicatamente scosta la sabbia da un reperto
prezioso per vederlo meglio e scopre che l’unico
motivo per cui viaggia è metterlo delicatamente
nella sacca per portarlo con sé senza toccare le
altre che ha già raccolto. Una traccia da recuperare quando nel corso di altri viaggi ritroverà
qualcosa che sentirà già profondamente sua e
sente struggente la malinconia che potrebbe accompagnare i ricordi, li culla dolcemente tra le
mani e loro arrivano a tormentarla, un abbraccio caldo sotto la pioggia, un ombrello a riparare
quella figura bizzarra composta da due, un ba-
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cio rubato con l’inganno, una mano passata tra
i capelli ad aggiustare una ciocca ribelle, occhi
invitanti e tentatori. E torna al presente, ma il
protagonista che accendeva i suoi ricordi è ancora lì vicino a lei, e tutto le sembra così assurdo e
così vero, cercare di immaginare un futuro quando ancora deve fare suo il presente, e lo vuole
sentire il presente, ne ha bisogno, ha bisogno di
qualche piccola certezza. Finalmente anche se
cerca con ostinazione non trova pensieri che le
fanno male o la torturano, lui le ha regalato questo con quel viaggio, ha cancellato ogni possibilità di continuare la partita perversa con il suo
personale dolore.
Lui pensa di non essere stato mai più sicuro di
così, la guarda con apprensione perché le legge
negli occhi qualcosa che non vorrebbe vedere,
aveva bisogno solo di una storia senza ulteriori
implicazioni, senza responsabilità da considerare, senza promesse da mantenere. Il viaggio sta
per finire e porterà via con sé l’avventura vissuta assieme, eppure ha sentito la piacevolezza di
una possibilità, la vita che può ancora regalare
qualche novità inaspettata. Lei è un meteorite
di passaggio che ha reso piacevole un momento e
che non intende conoscere meglio, vuole solo immaginare il resto, creare nella mente una figura
in base anche ai piccoli frammenti che ha raccolto nel breve periodo insieme e cucirgliela addos-
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so per vederla solo attraverso quella. La certezza di un bisogno presente senza nessun futuro,
nessuna domanda in merito, nessuna ricerca di
spiegazioni, nessuna risposta ipocrita, nessuna
giustificazione. Nessuna. Ha bisogno di trovarsi
sospeso per un momento della vita, senza guardare verso il basso e una leggera vertigine a fargli compagnia, nessun pensiero invadente dal
buonsenso, solo il silenzio intorno a nuove sensazioni che occupano ora lo spazio lasciato vuoto
dalle consuetudini. Uno scalatore che guarda solo
verso l’alto delle montagne senza programmare
il singolo percorso, con il piacere imprevisto del
viaggio da intraprendere, si perde nel pensiero
del cielo colmo di infinite possibilità che lo circondano. Si emoziona e non prende in considerazione neanche la minaccia delle nuvole che piano
si alzano intense, solo il silenzio e la seducente
promessa di una nuova esperienza. E la vede lì,
davanti a sé senza difese e si chiede che pensieri
stia facendo, sembra le risulti difficile prendere
le cose per come vengono e non dare importanza
eccessiva a quello che è accaduto tra loro, si tratta di attrazione magnetica molto forte, sente l’eccitazione attraversargli le reni solo a guardarla,
troppo forte quel pensiero per poterne investire altri. Ha voglia di averla ancora almeno una
volta per poi dedicarle un ricordo dolce quando
penserà a lei, la memoria struggente le regalerà
l’eternità. Pensa al suo presente invadente men-
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tre gli occhi vanno per un momento all’anulare
della sua mano sinistra, chissà se lei ha notato
il segno della fede, l’ha lasciata sul tavolino del
soggiorno prima di partire. Si sente diverso per
una volta e vuole concedersi un momento in cui
non pensare alle conseguenze, si sente vivo, salvato dall’ordinario, ancora in grado di stupirsi,
lo deve a lei che gli ha regalato questa possibilità di non sentirsi ingabbiato in sequenze di vita
preordinate e senza scampo. Rompere uno schema e poter scegliere una nuova strada e sentirsi
perso e felice. Perso e felice anche solo temporaneamente. Scendono a una fermata ridendo ma
si accorgono subito che non è la loro e allora risalgono velocemente sul vagone successivo dello
stesso treno, ridono ancora mentre si siedono in
un angolo continuando a guardarsi rapiti da una
danza irrequieta. Il treno è fermo e le persone
scendono e lasciano vuoto il vagone, per loro potrebbe anche essere il capolinea e forse lo vorrebbero o forse non gli interessa, hanno tempo
per fare un nuovo giro. Le porte si chiudono, le
luci si spengono e i due, all’interno del vagone, si
guardano curiosi condividendo una marachella
che possono nascondere solo a se stessi. Il treno
lentamente entra in un tunnel laterale e si ferma restando immobile e senza rumori, una porta
si chiude rumorosamente da qualche parte lontano. La paura è il primo sentimento ma poi c’è
l’urgenza e l’energia accumulata che si vuole di-
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sperdere, dissipare. Le labbra si cercano con insistenza e si dissetano nella morbidezza di quelle
dell’altro e le mani approfittano del buio per fare
il loro gioco e si fermano a capire l’impazienza,
ma resistono poco perdendo la battaglia col desiderio di dare piacere. La pelle è una meta da raggiungere, l’unica possibile. Il viaggio è accompagnato dai sospiri lenti che rompono il silenzio,
i movimenti sono accennati, non c’è bisogno di
rincorrere il tempo, il tempo si è perso da qualche parte. Ma i corpi non restano fermi a lungo,
cedono al disperato bisogno di avere contatto e
toccarsi e stringersi le mani a completarsi, trovare nell’altro un confine che in sé non avrebbe
nessun senso e percorrerne le linee sconosciute
con le labbra lasciando segni di saliva. Trovarsi
a condurre un gioco ed essere portati in un altro, aspirare l’odore come fosse l’unica occasione
possibile e chiudere gli occhi per imprimerlo nella memoria, relegarlo nello spazio della mente
dove si potrà andare a pescarlo nei momenti più
quieti, farà la sua comparsa anche a tradimento, riportando alla luce ogni singolo movimento,
ogni più piccola ondata di beatitudine. Gli occhi
si riaprono a cercare le linee del volto dell’altro
muovendosi velocemente per non perdere un
singolo frammento di immagine, si fermano solo
per catturare uno sguardo spaventato e si smarriscono perché riconoscono un desiderio così puro
e forte da essere quasi cattivo. Potersi abbando-
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nare sperando di non essere i soli, cercare l’altro,
volerlo fortemente al punto da aver paura di perderlo proprio in quel momento e per esorcizzare
pronunciarne il nome e sentir chiamare il proprio con la speranza di un condannato a morte
che ha la voglia di aggrapparsi all’ultima possibilità di salvezza. Aggrapparsi. La carne che
chiama, le dita che affondano, il corpo accaldato,
il respiro sempre più pesante, così difficile inalare aria quando le sensazioni si moltiplicano, il
sapore diventa una meta morbida da raggiungere, mentre i movimenti diventano più rapidi,
l’urgenza di qualcosa che chiama inarrestabile.
Una danza che accelera velocemente e lascia
tracce di sudore e il rossore che sale esaltandone
l’intensità, i brividi lungo la schiena mentre nel
basso ventre qualcosa si rompe e si scioglie con
un movimento repentino e dolce che non si può
fermare e neanche sarebbe da savi farlo. Molto
più facile lasciarsi andare via, abbandonarsi alla
spossatezza. Abbandonarsi e chiudere gli occhi
per donarsi completamente al piacere, sentirsi
a casa e ringraziare la vita. Trovarsi più nudi di
prima ma non averne timore, la certezza che arriva, l’incertezza che si ripeterà domani, e questo rende tutto più vero.
Lei sorride tra le lacrime, non avrebbe mai pensato di capire così, cosa fare di sé. Cerca di ricomporsi mentre lui la guarda rapito, sembra quasi
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che le stia chiedendo di restare. I lineamenti del
volto sono addolciti dagli ultimi momenti passati insieme, vorrebbe attardarsi ancora tra quelle braccia e lasciarsi asciugare le lacrime che la
stanno torturando ma non può permetterselo,
poi non riuscirebbe a voltargli le spalle. Lui non
può regalarle promesse, questo deve considerare
mentre chiude gli occhi come a cancellarlo per
un momento, il tempo necessario a mantenere
fede a una decisione appena presa improvvisa,
prende lo zaino da terra e mentre immagina uno
sguardo interrogativo, apre la porta e attraversa
il tunnel verso l’uscita, non saprà mai con quanta
delicatezza le ha regalato il sentore di una possibilità. Durante tutte le sue domande, a rigirare
i perché nella mente, aveva solo trovato solitudine e disperazione e un vecchio vizio personale
che annientava ogni possibilità di uscire da sola
dalla sua inadeguatezza. Come si fosse chiusa
in una stanza al buio, volontariamente e in un
momento in cui il coraggio ha avuto la meglio,
e stesse toccando ogni singolo angolo o margine
con certosina pazienza senza sapere però cosa
cercare, senza avere neanche idea che con la luce
avrebbe avuto meno possibilità di annientarsi,
che sarebbe bastato trovare una piccola fiamma,
una piccola certezza a cui aggrapparsi. Una ragione per far nascere il bambino che è ancora un
piccolo girino nel suo grembo, ora sa darsi una
risposta. La vita è in grado di regalare oltre al
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dolore anche momenti di estrema dolcezza, potrà un giorno raccontarlo ad un viso curioso che
avrà quegli occhi di cui si è innamorata, occhi
a cui non può chiedere di restare, che non può
avere per sé perché hanno già un presente e un
futuro da dedicare a un’altra donna.
Lui vorrebbe chiederle di restare ancora un po’
abbracciati, il tempo di asciugarle quelle lacrime che vede scendere quasi di nascosto ma non
riesce ad emettere un suono come se gli ultimi
momenti passati insieme gli avessero preso tutta l’energia. Un pugile stordito dall’ultimo colpo
ricevuto che da terra osserva l’avversario e non
ha il coraggio neanche nel pensiero di rimettersi in piedi sulle sue gambe, la guarda intensamente vinto. Forse per la prima volta le scorge
negli occhi un’espressione incomprensibile, non
riesce a fermarla mentre prende lo zaino e esce
dal vagone, si sente frastornato, qualcosa dentro
si strappa in fondo al petto, veramente in fondo, e fa male. E si sente come un giocatore sicuro che dopo un bilancio delle partite fatte al
tavolo della vita a cui era seduto, ha scoperto di
non aver avuto nessuna perdita, triste allora ha
avuto voglia per una volta di rischiare e provare l’incertezza. E ora quando ha puntato tutto
su un’unica partita per provare la fortuna senza
certezza, trova le mani che stringono il vuoto e
inveisce contro un destino crudele che gli regala
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l’unica emozione per cui valga la pena sottomettersi a un giogo che a volte tradisce. Vorrebbe
per un momento sentirsi di nuovo sicuro che il
suo modo di giocare sia quello più giusto, ma
dentro sente già la mancanza del rischio, non ha
fatto promesse al suo tavolo per tutte le partite
giocate con la vita, per non mentire a se stesso,
per non rischiare e ora vorrebbe avere avuto il
coraggio di farne almeno una per sentirne l’ebbrezza. Un tarlo ancora mina la consapevolezza e porta nella confusione, capire la natura di
qualcosa che ha attraversato per un istante la
sua vita. Era forse amore?
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Un Gesto
Abbandona il vagone chiudendo la porta senza dare fastidio, sente dentro come una piccola
morte che la accompagna nei gesti, non vorrebbe pensare, non vorrebbe essere. Non vorrebbe.
Lentamente si allontana dalla galleria dove lascia il treno perché venga esaminato dalle forze dell’ordine, qualcuno che trovi una causa per
quello scempio avvenuto, e cammina piano, un
passo dopo l’altro quasi fosse un dovere. Non
vuole tornare a casa, non vuole uscire da quella
stazione metro, ha dovuto finire prima il suo turno e ora avrà più ore da contare mentre aspetterà la sera, girando nella mente i suoi pensieri
indolenziti. Il giorno successivo dovrà fare una
relazione sull’accaduto e questo la farà pensare
a qualcosa di diverso che finalmente potrà dare
un senso all’alzarsi dal letto, anche se accanto
vivrà il solito pensiero del risveglio. Poi ci saranno gli stessi gesti di tutte le mattine, cadenzati
e ripetuti e talmente uguali a sempre da crede-
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re che oramai abbiano vita propria. Indossare
la divisa d’autista presa dalla poltrona dove era
stata ripiegata con cura la sera precedente con
gesti studiati di anni a fare lo stesso lavoro, le
calze velate e le scarpe comode per stare tante
ore in piedi. Trovarsi di fronte allo specchio del
bagno dove si soffermerà per spazzolare i capelli
con vigore nella speranza di farsi male veramente, e li tirerà indietro con forza per provare un
dolore fisico, per sentire qualcosa di diverso per
un momento, finché poi non si abituerà anche
a quello. Eppure potrebbe considerarsi giovane
ma si sente come invecchiata in poco tempo, inaridita da un’emozione che ha preso tutto, che ha
asciugato tutto. E vorrebbe avere ancora quel
desiderio per sé, vorrebbe ancora poter credere
in qualcosa che la renda felice e le doni una speranza che possa essere sua. Costruire un piccolo
muro per difendersi e allo stesso tempo sperare che le fondamenta siano state gettate sulla
sabbia e vedere nella fantasia crollare quel muro
per non essere del tutto responsabile dell’abbandono di sé, sperare che nessuno venga a portare il conto di quanto consumato con l’anima e il
corpo. Il corpo che sente ancora quel richiamo,
distintamente, così basso così profondo così corrotto e vibrante. L’anima che sprofonda nello
sconcerto dell’impossibilità a dimenticare, così
indifesa così disarmata così contaminata e gelida. Era riuscita a riporlo in qualche piega meno
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evidente dei ricordi, eppure quel giorno aveva
visto qualcosa dallo specchietto retrovisore, un
gesto che aveva cercato per mesi sperando di
non trovarlo, e quando meno se lo aspettava era
arrivato e il cuore era restato privo di un battito,
come un tuffo improvviso, e le gambe avevano
perso consistenza. E averlo riconosciuto, dopo
averlo cercato inopportunamente tra la gente, e
avendolo trovato, sentire meno dolore come fosse
una cura alla solitudine che prende per una cosa
che è andata e che non c’è più, amare quel gesto
perché se ne sente una profonda mancanza quasi fosse mancato anche quando c’era. E rivederlo
è un confine tra il volerlo per sé e soffrire perché
non c’è più, perché è sì ripetibile ma chi lo riporta alla coscienza non è la stessa persona, non è
lui, non è chi lei cerca e vorrebbe. E se mai la
solitudine ha un freno, non è per un periodo che
concede respiro, se mai c’è un momento di riposo,
non è meno mordace quando riprende, se mai si
allontana un momento, non è per non riproporsi
mai più, semmai ritorna. Ma quel gesto è infido
e prepotente e non lascia nessun tipo di sollievo,
e forse il senso è lasciare che faccia male, non
fermare la sensazione che sale, lasciarlo entrare
a cullarlo dentro finché vuole restare a muovere
i ricordi, finché non smette di riempire il petto
di vita, perché trovare tra la gente un gesto orfano della mano che vorrebbe vedere è come sentire che non ha bisogno di quella mano, è come
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capire di poter esistere anche prescindendo da
quella presenza, poter esistere. L’inevitabilità
della mancanza la assale, lo struggimento di
un ricordo che dava lo stesso dolore da tempo
senza affievolirsi, che si nutre di un gesto per
lasciare lo sgomento di un passaggio. E non ha
senso dimenticare se anche solo il ricordo nutre
la carne, la nutre, come irrorata da nuova linfa
che si muove all’interno facendo sentire la forza
che possiede, e se volesse potrebbe smettere di
pensarci ma si sentirebbe di nuovo sola e questo la dissuade, e si concede allora di assaporare
ancora quel frammento di una persona, anche
se proviene da altri, lo sente che piano la ricolma ed è come se il fiume in piena dei ricordi le
scorresse di nuovo dentro e con irruenza spazzasse via le dighe della resistenza a ricordare.
Ed è un susseguirsi di immagini, un affollarsi di
sensazioni che tolgono il respiro, e la nostalgia
per quel suo amore fisico la travolge, un amore
disgraziato nato con lo stesso impeto con cui ha
cercato la fine, un amore sfortunato per la necessità a restare fedele alla sua natura. Per solitudine si può sbagliare, perché è la solitudine
quella di cui ha sempre avuto paura e la sensazione può essere terribile anche se si è insieme
a qualcun altro. C’è il bisogno di voltarsi verso
l’altro e chiedere, ma se per quella richiesta non
si trova nessuno, non una carezza, non un abbraccio che dia speranza, allora la paura è forte,
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così forte da non sopportare nemmeno il dubbio,
meglio non voltarsi, meglio rinnegare anche il
solo bisogno di farlo, e se ci fosse un modo per
non sentire quel sottile dolore che accompagna
la consapevolezza di quel momento, quell’essere
soli, allora sarebbe un balsamo da passare mesto
sulle incertezze. E se si potesse parlare di bisogno d’amore? Un bisogno assassino. Se l’amore
potesse essere non classificabile, non calcolabile, non pensabile, non… E tornando al passato
vorrebbe poterne prendere delle gocce per farle
cadere all’interno del catino del presente, una ad
una, ad una ad una, ad una. Vederle mischiarsi
assieme alle altre senza perdere autenticità o il
senso di quello che dovrebbero essere, in fondo
non fa male regalar loro un nuovo significato,
guardare solo quello che accade e perdersi nello scorrere, giocare a specchiarsi in quel liquido
composto da miriadi di gocce multicolori, ricordi che non vogliono restare soli, non riescono a
farlo, e ne chiamano altri. E immergere le mani
che tanto hanno sofferto, e ritrovare nei ricordi qualcosa, cercare anche nella melma di quelli
che non piacciono, che si sono depositati in fondo
lasciando in superficie le bollicine di quelli candidi che possono permettersi la leggerezza. I non
ricordi, quelli che sono più sensazioni, emozioni
che affiorano a fior di pelle ogni tanto così solo
per gioco, eppure sono i più intensi e lasciano
senza fiato, bloccando il respiro come un pugno
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dato da dentro. Sono quelli che non permettono
di dimenticare un singolo gesto, lo riportano alla
memoria presente senza avere compassione del
dolore o pietà per le lacrime.
Cammina come rapita da quel mondo che la governa interiormente e non lascia spazio ad altri
pensieri, sale in ascensore e spinge il tasto del
suo piano e subito dopo quello per chiudere prima le porte. Si accorge di quanto sia rientrato
quel tasto, mentre quello per lasciare aperte le
porte è lì che emerge come tutti gli altri. E pensa
a come le persone utilizzino di più le risorse per
lasciare fuori gli altri dalla propria vita, invece
di aspettare per farli entrare, spingere un tasto
per chiudersi in se stessi invece di lasciar aperte
le porte per un nuovo arrivo... E arriva a casa.
Accende la luce nel corridoio e le sembra anche
troppo forte, piano sbottona la giacca e la ripone
con delicatezza sulla sedia, si sfila la gonna e ci
passa la mano come a farle prendere la giusta
piega. Vorrebbe aver avuto la stessa cura per la
sua vita, averla riposta tra le mani di qualcuno che poteva averne rispetto e invece ha voluto
maltrattarla come se fosse un passo davvero necessario per viverla. Si sfila la camicia e la infila
tra i panni sporchi mentre, dall’armadio ne tira
fuori una identica e la ripone sulla sedia assieme
alla divisa, si sfila anche le scarpe e le allinea
quasi ipnotizzata, non riesce a distoglierne lo
sguardo come se si accorgesse solo ora di quanto
100
siano ordinarie. E per un momento scorge la sua
immagine, e nota la ruga che incornicia le sue
labbra che sta diventando più profonda quasi
dovesse essere lì come un appunto lasciato dal
tempo. E guarda il suo corpo con indosso solo
la biancheria intima e le sembra che l’energia
per tenerlo in piedi in realtà sia solo finzione per
prendere in giro la morte che vorrebbe condurla
a sé, e le sembra che non voglia più accettare
un patto fatto in passato, sembra ancora in fiore
mentre la sua anima è come perduta in un’altra
dimensione che stanca e distrugge lentamente.
La ragione è quell’amore vissuto che l’ha divisa
dalla carne, per il bisogno meschino del corpo,
necessario alla sopravvivenza del legame che si
faceva scudo della pelle per poter esistere. E il
corpo piano è tornato a vivere come in un’adolescenza riemersa in un’età inusuale e l’anima
invece è invecchiata anche per lui sommando il
dolore al dolore, il dolore al dolore, con una calma derivata dalla consapevolezza che solo quello
poteva chiedere in quel momento e sotto sentire un bisogno di sentirsi accolta e amata da far
male. Ma convincersi con forza che anche quella
è una forma di amore e chiedere con gli occhi e
con le mani di essere tenuta. Implorare con le
parole a fior di labbra. Tienimi, ti prego tienimi… E accorgersi che l’abbraccio che arriva è
solo per la carne e sperare di poterci infilare un
piccolo pezzetto di anima senza lasciar sfuggire
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il bisogno. E non denudare mai lo spirito, nasconderlo invece sotto il corpo spogliato anche della
decenza, che chiama comunque quello dell’altro
anche con la speranza di incontrare qualcosa di
più. Ma restare lì cosciente di aver dato qualcosa che l’altro non ha compreso, o non ha voluto comprendere, una scena di vita venuta male
senza la possibilità di riparare, sentirsi stupida
e disarmata e cercare di coprire quel bisogno insoddisfatto concentrandosi sulla carne che invece fiorisce sotto ogni gesto fatto con la passione
di un amore fisico che governa quella conversazione senza parole. Si sdraia sul letto, le braccia
lungo il corpo inermi, le gambe perfettamente
allineate, chiude gli occhi sulla giornata appena
trascorsa e sulla sua vita rassegnata. In silenzio,
per non dare fastidio neanche a quello strappo
che lentamente la sta lacerando dentro, mentre
ogni giorno passa sulla ricerca di tutte le strategie possibili per non reagire e lasciarsi andare
alla deriva fino a toccare il fondo, per vedere se
davvero c’è un fondo e cercare di raggiungerlo
anche affrettando il passo, perché quella sottile
sofferenza che governa tutto il suo tempo fa più
male, è come un’immagine sempre presente di
quell’abbandono a cui non vuole pensare perché
solo pensarci le fa ancora nascere una speranza che non vuole più considerare. Non vuole più
pensare che una cosa sia possibile, la speranza
diventa insopportabile quando è sterile, quando
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diventa il filo che lega al dolore, quando non è
per dissuadere la vita, quando diventa un semplice girare le parole nella mente in cerca di un
significato diverso che mai arriva. E la rassegnazione che ripone nei gesti la aiuta a piangere le
sue lacrime con discrezione assecondando tutti
i moti dolorosi che incerti si affacciano alla coscienza per essere accolti e cullati in attesa che
un giorno il risveglio sia privo del ricordo di quel
gesto così famigliare, e della voglia di rivedere
quella mano amata con così tanto impeto da dimenticare di preservare almeno un piccolo pezzo
di sé, lasciando andare alla deriva tutto, tutto.
Perdendo anche l’ultima briciola con un soffio,
perdendo, e avere paura di se stessi al punto da
guardarsi stravolgere i bisogni fino ad accettare
l’unica possibilità di vita di quell’amore e vedere invecchiare la propria anima sempre di più,
giorno dopo giorno, giorno dopo giorno, mentre
il corpo appagato la prende in giro sfoggiando i
suoi giovani colori sempre più accesi da un soddisfacimento di cui può vantarsi, e sfugge la morte
che dentro invece la devasta. Stringe gli occhi su
una lacrima che fa capolino dalle ciglia e scende
lateralmente bagnando la tempia, la sente che
leggera tocca il cuscino, si arrende al dolore che
si vuole far vivere in solitudine, isolato da quella passione divorante che ha portato quelle lacrime. Lacrime lente che emergono e scendono
senza dare fastidio, senza un singulto ad accom-
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pagnarle, ormai abituate a bagnare anche i resti
lasciati da quel desiderio che ha consumato, ma
non consolato, una vita che ha ceduto all’inevitabile scorrere di un tempo che non restituisce,
non ripaga. E gli occhi restano serrati a cercare
un’immagine nella mente che oramai giace sfocata ma che non è ancora svanita, l’immagine di
un uomo che le ha donato un amore fisico, l’unico
che era in grado di darle, l’unico modo che conosceva per amare, e si abbandona a questa consapevolezza che non le dona sollievo ma la aiuta a
ingannare la solitudine.
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Finito di stampare nel mese di dicembre 2011
DEd’A sceglie di stampare con processo digitale a circuito chiuso, su
Oikos, una carta ecologica certificata FSC Mixed Sources, composta
per il 50% da fibre riciclate pre-consumer e per il 50% da fibre di
pura cellulosa.
www.dedaedizioni.com
Susanna Casubolo nasce e vive a
Roma, dove lavora come psicologa
e psicoterapeuta di formazione
strategica integrata. Attraverso il
lavoro con gruppi ha maturato
una certa esperienza nella scrittura, nell’uso della metafora, della
narrazione di sé e della scrittura di
fiabe. Nel 2005, insieme a Anella
Rizzo, pubblica Autobiografia e
musicoterapia come supporto
nell’assistenza dei malati di
Alzheimer con Aracne Editrice e
nel 2010 Storie di bambini e di
bambine per esorcizzare un
incontro. Ovvero la paura di
mostrarsi o l’arte di nascondersi
all’altro.
CI01/11
La metro della mattina sembra un
vasetto di acciughe stirate e
variopinte, le persone più svariate
cercano di occupare lo spazio minore
possibile, guardando fisso davanti a
sé assorti in un mondo proprio. La
ragazza bionda ama scoprire dai
piccoli dettagli qualcosa in più sulle
persone che condividono con lei il
viaggio mattutino nel convoglio.
D’abitudine, se qualcuno comincia a
salire sempre sul primo vagone del
treno si rende conto che come lei
altre fanno la stessa scelta e ci si
ritrova la mattina come
vecchi conoscenti.
€ 9.50
ISBN 978-88-96121-64-1
9 788896 121641