Roberto Ravazzoni

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Roberto Ravazzoni
ALCUNE CONSIDERAZIONI SUL PROCESSO DI INTERNAZIONALIZZAZIONE DEI
PRODOTTI ALIMENTARI CON UNA FORTE CONNOTAZIONE “MADE IN …”
di Roberto Ravazzoni – Università di Parma e CERMES Bocconi
1. Partiamo da un assioma molto importante e spesso ignorato nella prospettiva del
Marketing Internazionale: tanto più il prodotto è tipico (nel senso che risulta
fortemente legato ad una ben precisa - e spesso ristretta - zona di produzione …),
tanto più è difficile valorizzarlo e venderlo all’estero o, comunque, al di fuori del suo
mercato di origine. Certo, c’è e ci sarà sempre un consumo etnico, ma la conquista dei
consumatori non-abituali è un esercizio davvero molto difficile e oneroso nel marketing
(internazionale) dei prodotti tipici.
In altre parole, la forte tipicità di un bene non aiuta affatto gli uomini di marketing
impegnati nel tentativo di “allargare” la base dei consumatori effettivi. Tanto più ci si
allontana dalla zona originaria di produzione e di consumo e tanto più difficile risulta
l’attività di valorizzazione delle proposte ad alto contenuto di tipicità.
In effetti, alcuni prodotti italiani caratterizzati da una forte concentrazione dei consumi
nel mercato di origine, si scontrano con le rilevanti rigidità espresse da parte di molte
fasce di consumatori non abituati a questo genere di consumo. Ciò rende,
inevitabilmente, più lento e complesso il tentativo industriale di operare su scala
internazionale, non fosse altro che per una ragione: occorre prima di tutto rimuovere
le resistenze dei non-consumatori. Si tratta di un ostacolo che è tanto più alto quanto
più è ristretta la connotazione di tipicità del singolo prodotto considerato.
2. In verità, negli ultimi anni quelli che sono sempre stati dei veri e propri fattori critici di
debolezza dei prodotti tipici italiani (che hanno consentito l’affermarsi sul mercato
internazionale di mediocri imitazioni ….) si stanno tramutando in fattori di successo: ciò
è dovuto non tanto all’azione concertata dei diversi soggetti che compongono le nostre
Filiere Agro-Alimentari, quanto bensì alla più generale e diffusa affermazione della
Cultura Alimentare Italiana e del nostro Modello Eno-Gastronomico (Æ prodotti e piatti
italiani). La circostanza che in questo momento il nostro Modello di Alimentazione sia
quello predominante a livello mondiale rappresenta, indubbiamente, un importante
fattore di impulso e di sviluppo internazionale delle nostre numerose Filiere AgroAlimentari.
Tuttavia, questo fattore aiuta soprattutto alcune produzioni con una forte ed ampia
connotazione “Made in Italy”, ovvero le proposte tipiche nazionali (dalla pasta, all’olio,
dal vino alla passata di pomodoro, …), ma può fare davvero molto poco per
l’affermazione dei prodotti più specificamente locali (quali, ad esempio, i funghi del
Montello piuttosto che i Cardoncelli della Murgia sott’olio extra-vergine di oliva …).
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3. Nonostante il “Made in Italy” alimentare abbia finora raggiunto modesti risultati sui
mercati internazionali in qualità di “Movimento”, è tuttavia innegabile che
l’alimentazione “italian style” stia conquistando il Mondo intero (e non solo grazie alla
Pizza e agli Spaghetti …).
Nel suo complesso l’Industria Alimentare Italiana ha sfruttato solo in piccola parte
questo favorevole cambio del flusso a livello mondiale, che ha portato il Modello EnoGastronomico Italiano a scavalcare quello francese. Questo mancato sfruttamento è
principalmente dovuto ad una ragione molto semplice: le imprese si sono sempre
“mosse” sui mercati esteri in maniera autonoma, cercando di esportare un concetto di
prodotto (quello da loro concepito). Oggi, per conquistare i mercati internazionali
occorre invece “esportare” un Modello di Alimentazione (in cui il singolo prodotto tipico
è solo un input, in un più ampio processo di acquisto e di consumo). E per fare questo
occorre passare, una volta per tutte, da una logica di prodotto e di Filiera ad un
approccio di Sistema, declinato poi per singoli processi di consumo e di acquisto.
4. In buona sostanza, occorre cambiare la prospettiva prevalente con cui finora si è
cercato di valorizzare le nostre produzioni tipiche sui mercati esteri.
Innanzitutto, occorre capacitarsi che le imprese che insistono nelle Filiere dei Prodotti
Tipici italiani non sono affatto obbligate ad internazionalizzare la loro presenza, anzi
spesso il processo di sviluppo nei mercati esteri risulta solo una soluzione di “ripiego”,
generata da motivazioni “deboli”: le aziende devono invece andare all’estero solo
quando hanno, definitivamente, risolto i loro “problemi” competitivi e di mercato nel
contesto iniziale di riferimento. Non solo, ma se si decide di internazionalizzare la
propria presenza (via export) occorre accettare l’idea che si tratta e si tratterà sempre
più di un’opzione non individuale (soprattutto per le Piccole Imprese), ma da ricercare
con un Approccio Sistemico e nuove e più adatte modalità organizzative: proponendo
delle offerte tipiche ma sempre più multi-prodotto (Æ cfr. “Parma Alimentare”).
Accettando questa logica di azione, è del tutto evidente che la valorizzazione delle
nostre numerose Filiere Agro-Alimentari deve avvenire dal basso (con un approccio
“bottom-up”), ricercando prima di tutto l’integrazione delle diverse Filiere Locali dotate
di forti complementarità di gamma agli occhi dei consumatori finali dei diversi mercatiobiettivo (Æ esemplare al riguardo è ancora il caso del Consorzio “Parma Alimentare”).
Questi nuovi Consorzi Multi-Prodotto, legati ad un concetto comune di tipicità locale,
avranno come finalità primaria quella di ricercare nuove forme di relazione con il
Mercato e non si dovranno occupare solo della promozione ma anche e soprattutto
della valorizzazione e della commercializzazione delle nuove gamme di proposte tipiche
(spesso altamente complementari tra loro).
5. In questa nuova prospettiva di approccio al Mercato, sarà privilegiata la focalizzazione
sul mondo dei Cuochi e dei Ristoranti italiani presenti nei diversi paesi-obiettivo (o
comunque fuori dalla zona di origine ...) rispetto alla più onerosa, incerta e rischiosa
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conquista indifferenziata (ovvero intensiva …) degli “scaffali” della Grande Distribuzione
internazionale.
Focalizzare gli sforzi iniziali sui Cuochi e i Ristoranti italiani sparsi nel mondo favorirà
quel processo di educazione al consumo e alla più corretta preparazione dei piatti che è
alla base di un aumento del grado di penetrazione e di un duraturo decollo dei consumi
fuori dal territorio della Tipicità.
6. Naturalmente, esiste anche una seconda via di sviluppo “fuori” dalla zona di produzione
e di originario consumo che potrebbe essere rappresentata dalla ricerca e dalla
definizione di rapporti commerciali privilegiati con pochi, grandi “retaliers”
multinazionali opportunamente selezionati “paese per paese” (ad esempio Auchan in
Francia, Sainsbury nel Regno Unito, Tengelmann in Germania, ...).
Allo stesso modo, per le Filiere con una più accentuata connotazione tipica (Æ locale),
si potrebbero studiare degli accordi promozionali e di distribuzione privilegiata con
alcune qualificate realtà della Grande Distribuzione Organizzata nazionale che si
dimostrino disponibili verso questo tipo di iniziative.
Al riguardo, è bene ricordare che queste attività (selettive) di valorizzazione
commerciale dei Prodotti Tipici rappresentano per i distributori moderni coinvolti delle
forme di differenziazione temporanee dei propri assortimenti e, ciò che più conta, delle
modalità di animazione dei negozi, particolarmente gradite dai consumatori finali in
questi ultimi anni (Æ ad esempio, con l’allestimento di esposizioni privilegiate per la
vendita dei Prodotti Tipici Regionali con a fianco una degustazione abbinata di
“prodotti-piatti-vini-bevande” della Regione considerata …).
Non sarà certo un’idea originale, ma è ancora poco sfruttata e, ciò che più conta,
risulta ancora molto apprezzata dai consumatori che vivono lontano dalle Proposte
Tipiche offerte.
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