La governance delle partnership istituzionali tra attori pubblici e privati

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La governance delle partnership istituzionali tra attori pubblici e privati
Esperienze innovative
Corporate governance nelle aziende di servizi pubblici locali
La governance delle partnership istituzionali tra attori pubblici e privati:
il caso delle local utilities in Italia
Giuseppe Grossi
Professore associato di Economia delle aziende e delle amministrazioni pubbliche presso Università degli studi di
Siena
Daniela Argento
Assegnista di Ricerca in Economia Aziendale presso l’Università degli studi di Siena
SOMMARIO: 1. Introduzione. 2. Partnership pubblico-privata: definizione e tipologie. 3. Partnership pubblico-privata
istituzionale: opportunità e rischi. 4. La corporate governance nelle aziende di servizi pubblici locali. 5. Assetti proprietari e sistemi di governance delle partnership istituzionali tra attori pubblici e privati nel contesto nazionale. 6.
Conclusioni. Appendice.
Il lavoro si propone di esaminare i modelli di governance delle partnership istituzionali tra attori
pubblici e privati che gestiscono local utilities nel contesto nazionale. L’obiettivo consiste nel verificare se la struttura di governo delle partnership offre garanzie adeguate al contemperamento
degli interessi delle diverse categorie di azionisti (pubblici e privati) coinvolti. Le riflessioni proposte
si basano sui risultati di un’indagine empirica relativa ad un campione significativo di aziende di
servizi pubblici locali.
This work proposes to examine the governance structure of institutional public-private partnerships
that manage local utilities (water, energy and multi-utility) in the Italian context. The objective consists
in the verification if the governance structure offers guarantees adequate to the reconciliation of
the interests of the different categories of involved shareholders (public and private). The proposed
insights are based on the results of an empirical investigation.
Sebbene il contributo sia frutto di analisi e valutazioni congiunte, Giuseppe Grossi può essere considerato autore dei
§§ 3, 5 e 6, mentre Daniela Argento può essere considerata autrice dei §§ 1, 2 e 4.
Parole chiave: partnership pubblico-privata – corporate governance –
local utilities in Italia
Key words: public-private partnership – corporate governance –
local utilities in Italy
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Corporate governance nelle aziende di servizi pubblici locali
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1. Introduzione
La tendenza delle amministrazioni pubbliche locali ad esternalizzare
l’apprestamento dei servizi pubblici locali a soggetti giuridicamente autonomi ha attribuito una notevole rilevanza al tema dei potenziali benefici e rischi collegati alla creazione di partenariati fra soggetti pubblici e
privati, noti come public-private partnership (di seguito PPP). L’evidenza
empirica dimostra, tuttavia, che non sempre gli attori pubblici e privati
coinvolti riescono ad usufruire dei vantaggi derivanti da una reciproca
cooperazione, influendo sulla qualità delle prestazioni sia in termini di
economicità, efficacia ed efficienza che di accountability. Ciò implica
che risulta necessario definire i rapporti di interdipendenza che si instaurano fra i partner, specialmente laddove il partenariato assuma la
forma della società di capitali a partecipazione mista pubblico-privata e
richieda l’architettura di adeguati sistemi di corporate governance.
Il presente articolo si pone l’obiettivo di fornire un contributo alle
tematiche precedentemente esposte, presentando un quadro dei modelli
di corporate governance delle partnership istituzionali tra attori pubblici
e privati che gestiscono local utilities nel contesto italiano. L’analisi proposta verte sui risultati emersi da una indagine empirica volta ad individuare gli assetti proprietari e gli strumenti che definiscono la struttura
di governance di un campione di aziende (società di capitali miste) associate a FederUtility, la Federazione nazionale delle aziende operanti
nei settori idrico ed energetico. L’indagine è finalizzata a comprendere
se, nell’ambito della tipologia di aziende di servizio pubblico locale oggetto di studio, esista un modello prevalente di governance ed in quale
misura tale modello consenta di rispondere alle attese, oltre che dei soci
pubblici, anche degli altri partner coinvolti nel capitale sociale (i partner
privati).
Il prosieguo del contributo è strutturato come segue. Il secondo paragrafo identifica le prevalenti definizioni e le tipologie di partenariato pubblico-privato. Segue un approfondimento sulle opportunità ed i
rischi delle partnership istituzionali tra attori pubblici e privati (§ 3) e
sulle caratteristiche dei sistemi di corporate governance delle aziende a
capitale misto pubblico-privato che gestiscono servizi pubblici locali (§
4). Il quinto paragrafo illustra i risultati derivanti dall’indagine empirica
che è stata condotta ed è articolato in sottoparagrafi che espongono i
vari aspetti dell’analisi svolta. L’articolo termina con la formulazione di
alcune riflessioni conclusive sugli argomenti trattati (§ 6).
2. Partnership pubblico-privata: definizione e tipologie
La cooperazione fra soggetti pubblici e privati per la gestione di servizi pubblici locali costituisce un argomento che è stato ampiamente
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affrontato in letteratura ed è, tra l’altro, oggetto del recente Libro Verde
relativo ai partenariati pubblico-privati ed al diritto comunitario degli
appalti pubblici e delle concessioni (Commissione Europea, 2004). La
Commissione europea individua il PPP nelle “forme di cooperazione tra
le autorità pubbliche ed il mondo delle imprese che mirano a garantire
il finanziamento, la costruzione, il rinnovamento, la gestione o la manutenzione di un’infrastruttura o la fornitura di un servizio” (Commissione
Europea, 2004: p. 3).
In realtà, non esiste una definizione unica e largamente condivisa del
fenomeno esaminato (PriceWaterhouseCoopers, 2004; Bovaird, 2004).
L’espressione PPP è utilizzata, infatti, con diversi significati e spesso in riferimento a qualsiasi forma di accordo operativo, basato sull’assunzione
di reciproci impegni e responsabilità, tra soggetti pubblici e partner operanti al di fuori del settore pubblico. Le varie accezioni attribuibili alla
nozione di PPP, ciascuna riferita alla possibilità/necessità di realizzare
determinati obiettivi, sono state analizzate in diversi studi (Linder,1999;
Lowndes, Skelcher, 1998; Grossi, Rocher, 2006) e sono sintetizzate nella tabella 1.
Le cooperazioni tra partner pubblici e privati risultano essere diffuse
in diversi Paesi dell’Unione europea nel campo della gestione dei servizi
pubblici. Le ragioni del fenomeno sono sintetizzabili nella necessità di
acquisire risorse – risorse finanziarie, know-how e metodi di funzionamento del settore privato – necessarie allo sviluppo dei servizi e di favorire l’evoluzione del ruolo delle amministrazioni pubbliche nella sfera
economica, che da operatori diretti assumono sempre più frequentemente funzioni di organizzazione, regolazione e controllo (Commissione Europea, 2004; Grossi, Mussari, 2004).
In Italia, in particolare, un recente studio ha dimostrato come a partire dal 2002 si sia verificato un notevole sviluppo di PPP, soprattutto nelle
forme di finanza pubblica e di progetto aventi ad oggetto investimenti
infrastrutturali. Gli avvisi di gara per progetti di investimento pubblico in
PPP (600 nel 2002) sono più che raddoppiati nel corso di un solo anno
(1230 nel 2003) e, in termini di importi monetari complessivi dei progetti, si passa da 3,1 miliardi di euro nel 2002 a circa 18 miliardi al termine del 2004 (Università Cattolica di Milano, Dexia Crediop, 2004).
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Tabella 1 – Le “dimensioni” ed i significati del termine PPP
Dimensione
Significato
PPP come
opportunità
di riforma
dei processi
gestionali
del settore pubblico
Strumento innovativo per adattare i processi gestionali
del settore pubblico alle regole del mercato ed allineare
il funzionamento delle aziende di proprietà pubblica
a quello delle società private, consentendo all’operatore
pubblico di rispondere efficacemente alle esigenze
di adeguamento al contesto competitivo ed ai cambiamenti
di mercato, nonché alle richieste degli utenti.
PPP come necessità
Possibile modello gestionale per l’erogazione di servizi
di adeguamento alla
pubblici; la finalità dell’operatore pubblico passa dal tentativo
normativa in tema
di allineare i propri processi gestionali a quelli caratteristici
della cultura imprenditoriale, alla volontà di “attirare” partner
di servizi pubblici
privati con i quali condividere la responsabilità dell’apprestamento dei servizi.
Strumento per promuovere l’adozione, da parte dei soggetti
PPP come
coinvolti, di atteggiamenti di impegno, integrità, prudenza…
“rinascita morale”
PPP come modalità di
Mezzo per affrontare le ristrettezze finanziarie da parte
trasferimento del rischio degli operatori pubblici.
PPP come modalità di
Mezzo per trasferire l’attività di erogazione
riorganizzazione dei
dei servizi a soggetti privati.
servizi pubblici
PPP
Strumento per dare concretezza al principio di sussidiarietà
come condivisione di
orizzontale, attraverso la condivisione di responsabilità,
potere
competenze e rischi tra i partner pubblici e privati, favorendo
la cooperazione ed anche la creazione di concentrazioni
di imprese.
Fonte: elaborazione da LINDER (1999: p. 42)
Nel Libro Verde sul PPP la Commissione europea riconduce i modelli
di partnership pubblico-privata a due tipologie: “PPP di tipo puramente
contrattuale, nei quali il partenariato tra settore pubblico e settore privato si fonda su legami esclusivamente convenzionali” e “PPP di tipo
istituzionale, che implicano una cooperazione tra il settore pubblico e
il settore privato in seno ad un’entità distinta”. In entrambe le forme di
partenariato il rapporto di collaborazione tra partner pubblici e privati
deve presentare una durata relativamente lunga. Inoltre, i ruoli ed i rischi
connessi al rapporto di collaborazione devono essere ripartiti fra i soggetti coinvolti (Commissione Europea, 2004: pp. 3, 20).
Fra le due tipologie di PPP contemplate dalla Commissione europea,
la costituzione di un partenariato istituzionale risulta più complessa
poiché può avvenire sia attraverso la creazione di un’entità detenuta
congiuntamente dal settore pubblico e dal settore privato, sia tramite il
passaggio a controllo privato di un’impresa pubblica già esistente. Nel
primo caso, la Commissione specifica che la scelta del partner privato
debba avvenire attraverso procedure ad evidenza pubblica, al fine di
tener conto dell’offerta economicamente più vantaggiosa in relazione
alle prestazioni da fornire (Commissione Europea, 2004: p. 19).
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Le aziende di servizio pubblico locale a capitale misto, oggetto della
presente indagine, presentano evidentemente i caratteri di una partnership pubblico-privata di tipo istituzionale. La trattazione farà, pertanto,
esclusivo riferimento a quest’ultima forma di PPP, mentre non si sofferma
sulle varie modalità in cui si estrinsecano le PPP contrattuali.
Oltre ad essere caratterizzate da un elevato grado di autonomia giuridica, gestionale, organizzativa e contabile, le partnership istituzionali
tra attori pubblici e privati per la gestione dei servizi pubblici locali
permettono di beneficiare di risorse aggiuntive di particolare rilevanza,
apportate proprio dai partner privati degli enti locali. Queste si concretizzano, in primo luogo, in risorse finanziarie, necessarie quando l’attività di produzione del servizio necessita della presenza e dell’utilizzo
di infrastrutture (che richiedono rilevanti investimenti sia in fase di predisposizione che di manutenzione), e, in secondo luogo, in competenze
professionali in materia tanto di gestione aziendale dei servizi quanto
di conoscenza delle tecnologie e degli specifici processi di produzione
aziendale degli stessi. Tali risorse sono ormai divenute indispensabili ai
fini della sopravvivenza delle aziende di servizio pubblico, il cui contesto di riferimento, anche a seguito delle recenti modifiche normative,
sta evolvendo verso l’affermazione dei principi di imprenditorialità e
concorrenza.
Lo sviluppo di questa forma di PPP riguarda soprattutto i settori di
servizio a carattere “lucrativo” (acqua ed energia) sia nei Paesi europei
che in Africa ed in alcune città americane e giapponesi. Esistono, tuttavia, anche diverse esperienze di PPP istituzionale in settori diversi, quali
i servizi sociali, culturali e ricreativi. L’aspetto finanziario, infatti, non può
essere considerato l’unica ragione della diffusione di PPP. Il partenariato
pubblico-privato può essere considerato, infatti, come un mezzo per modernizzare i modelli manageriali propri del settore pubblico, che – pur
avvalendosi di finanziamenti ed esperienze privati – non comporta la
perdita del controllo sull’esecuzione delle attività da parte dei soggetti
pubblici. D’altra parte, è assai frequente che le amministrazioni locali
siano i soci di riferimento delle società a capitale misto pubblico-privato
ed esercitino il controllo sugli organismi societari a partecipazione privata (Grossi, Rocher, 2006; Garlatti, 2001; Riccaboni, 2003; Neale,
Anderson, 2000).
Anche secondo la Commissione europea il rapporto cooperativo tra
soggetti pubblici e privati all’interno di una società mista permette al partner pubblico di conservare un livello di controllo relativamente elevato
sullo svolgimento delle operazioni, attraverso la propria presenza nella
partecipazione azionaria e in seno agli organi decisionali dell’impresa
comune, e di sviluppare un’esperienza propria riguardo alla fornitura
del servizio pur ricorrendo al sostegno di un partner privato (Commissione Europea, 2004: p. 19).
Dopo aver specificato cosa si intende per PPP istituzionale, il prossi287
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mo paragrafo intende analizzare i potenziali benefici e rischi derivanti
da simile forma di cooperazione fra soggetti pubblici e privati.
3. Partnership pubblico-privata istituzionale: opportunità
e rischi
I possibili fattori determinanti della volontà di costituire una partnership
pubblico-privata di tipo istituzionale sono connessi a valutazioni di carattere finanziario, economico e gestionale, ma anche politico.
La partnership fornisce alle amministrazioni locali l’opportunità di trasferire sui propri partner le responsabilità finanziarie connesse all’erogazione dei servizi, ovvero alla costruzione e manutenzione delle infrastrutture pubbliche. La necessità di rientrare nei vincoli di bilancio (imposti
dalla legislazione nazionale e comunitaria) e la difficoltà di far fronte
alla scarsità di risorse finanziarie rappresentano fattori di forte stimolo
alla creazione di partnership con soggetti privati. Il partenariato, inoltre,
consente al soggetto pubblico di attingere anche alle “risorse tecniche”
(esperienze e competenze) dei privati, particolarmente utili nei settori
di servizio ad alta tecnologia. I processi di outsourcing correlati alla
creazione di PPP istituzionali possono rivelarsi uno strumento utile per
migliorare significativamente l’efficienza economica dei servizi, quando
i costi di esternalizzazione sono inferiori ai costi di produzione diretta
sostenuti dagli enti pubblici o quando è possibile realizzare economie
di scala (Bovaird, 2004; Walsh, 1995; Doz, Hamel, 1998). Ulteriori
vantaggi della partnership possono, infine, essere individuati in riferimento ad aspetti più strettamente operativi: la costituzione di un PPP non
solo rende disponibili risorse aggiuntive, ma, ad esempio, consente di
acquisirle in tempi decisamente inferiori rispetto a quelli dei processi di
acquisizione delle risorse finanziarie caratteristici del settore pubblico.
Per il partner privato, la realizzazione di una partnership può rappresentare un’opportunità altrettanto interessante. Essa consente, in teoria,
di realizzare investimenti in mercati “nuovi” che, in molti Paesi, solo di
recente si sono “aperti” alla concorrenza. Tra l’altro, il partenariato determina anche una migliore allocazione dei rischi tra i partner coinvolti.
I rischi a cui si espongono i soggetti privati appaiono essere bilanciati
dalla reale possibilità di condividerne la portata con i soggetti pubblici,
i quali sono coinvolti nella definizione dei principi di regolazione e di
disciplina degli stessi settori di servizio.
I possibili vantaggi di carattere economico-finanziario per entrambe le
parti coinvolte nella creazione di un PPP sono sintetizzati nella tabella 2.
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Tabella 2 – I vantaggi della creazione del PPP per i soggetti coinvolti
Partner pubblico
-
Accesso ad investimenti privati
Maggiore efficienza
Acquisizione di esperienza di mercato
Creazione di valore aggiunto e sviluppo
di soluzioni innovative
Partner privato
- Nuove possibilità di investimento
in nuovi mercati
- Riduzione dell’incertezza di lungo
periodo
- Contribuzione pubblica in caso
di investimenti “non economici”
Fonte: elaborazione da VAN HAM, KOPPENJAN (2002: p. 597)
Di fronte all’opportunità di realizzare processi di esternalizzazione dei
servizi pubblici, tuttavia, i soggetti politici sono chiamati a considerare in
misura adeguata anche le possibili ripercussioni dirette ed indirette dell’iniziativa sulle aspettative degli utenti e sui loro bisogni. Risulta necessario,
perciò, ponderare le considerazioni di carattere strettamente economico
collegate alle iniziative di outsourcing con una visione pragmatica delle
possibili ricadute in termini soprattutto di costo e qualità dei servizi. La
finalità dell’intero processo, infatti, non può che essere individuata nella
possibilità di migliorare la qualità dei servizi da un lato, assicurando un
più adeguato soddisfacimento dei bisogni, e le performance produttive
dall’altro, al fine di ridurre i costi di produzione ed erogazione (Grossi,
2005; Catturi, 2004).
In realtà, le conseguenze connesse alla realizzazione di un PPP di tipo
istituzionale non sempre riflettono quanto prospettato in sede teorica (Grossi, Rocher, 2006; Hall, 2001). Quando si realizza uno “scambio”, non
è detto che i vantaggi siano equamente distribuiti tra le parti coinvolte
(Linder, 1999: p. 42). Diventa legittimo chiedersi se ed in quale misura la
partnership effettivamente consenta a tutti i soggetti di usufruire dei benefici della cooperazione e quali siano le conseguenze sui servizi pubblici,
in relazione soprattutto al costo dei servizi. In alcuni casi, la costituzione
di una partnership si riduce addirittura ad una semplice “operazione di
immagine”, promossa come il risultato di processi di riforma del settore
pubblico e non come l’esito di attente valutazioni economiche (Dumez,
Jeunemaître, 2003; Vaillancourt Rosenau, 1999; Schneider, 1999; Kamieniecki et al., 1999).
D’altra parte, anche in sede teorica è evidente che il partenariato presenti dei rischi, tanto per il partner pubblico che privato, associati proprio
all’attività di apprestamento dei servizi pubblici (1). Per il partner pubblico,
in particolare, i rischi maggiori sono collegati alle difficoltà di attivare
procedure concorrenziali ed ai livelli di performance (contabili ed extracontabili) dell’azienda. Nel primo caso il pericolo consiste nel verificarsi
1 BAYLISS e HALL (2002) individuano le seguenti tipologie di rischio: performance risk, technology risk, demand risk, competition risk, currency risk, payment risk, political risk and regulatory risk.
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del fenomeno del “mercato chiuso”, mentre nel secondo caso si tratta del
rischio collegato alla stessa scelta relativa alla realizzazione del PPP, il
quale può anche non essere la migliore alternativa possibile in un determinato contesto.
La motivazione delle differenze tra teoria e prassi delle partnership
pubblico-private può forse essere rinvenuta nel fatto che gli interessi di cui
i partner si fanno portatori presentano una natura differenziata e certamente non coincidono. Difatti, l’opportunità di realizzare una partnership
è valutata dal soggetto privato in modo diverso rispetto all’ente pubblico.
Con riferimento all’attività di erogazione di un servizio, il primo valuta in
maniera prioritaria, oltre alla possibilità di conseguire profitti, l’evoluzione
della domanda, l’attuabilità tecnica e finanziaria delle condizioni richieste
dal partner pubblico, la presenza di un quadro normativo stabile, il grado
di autonomia operativa, la tipologia e l’intensità dei controlli pubblici, e
la capacità della propria struttura organizzativa di far fronte agli impegni
assunti. Il soggetto pubblico, d’altra parte, è interessato a garantire l’apprestamento del servizio in modo conforme alla normativa e soprattutto
con modalità confacenti alle aspettative della collettività locale, al fine di
ottenerne l’approvazione ed il consenso. Ciò si traduce nella necessità di
individuare un partner privato “capace” ed in grado di condividere con il
soggetto pubblico i rischi connessi all’iniziativa imprenditoriale (Commissione Europea, 2003).
Per il soggetto pubblico il coinvolgimento di un partner privato nell’attività di erogazione dei servizi si traduce nel fatto di dover sostenere “costi
di transazione” e di controllo che, nel momento in cui diventano eccessivi,
possono pregiudicare il rapporto fiduciario con la collettività locale. Trasferire la responsabilità dell’apprestamento del servizio ad un soggetto
privato e non monitorarne l’operato, in termini soprattutto di qualità del
servizio reso all’utenza, produce in termini di consenso l’effetto decisamente opposto a quello individuato come determinante per l’istituzione
della partnership, contribuendo indirettamente alla creazione di situazioni
di sostanziale monopolio e/o posizione dominante da parte del soggetto
privato.
D’altra parte, per il soggetto privato, la fissazione di tariffe contenute,
concertata ad esempio per venire incontro alle motivazioni di carattere sociale avanzate dal partner pubblico, è capace di minare nel tempo l’equilibrio economico, patrimoniale e finanziario delle strutture operative che
apprestano il servizio, a meno di un’adeguata progettazione di sistemi
alternativi di copertura dei costi di produzione (come ad esempio i sussidi
pubblici).
Quanto fin qui esposto consente di sottolineare la necessità di strutturare in modo adeguato le relazioni tra i partner ed il sistema di governance
del partenariato pubblico-privato. A tale argomento sarà dedicato il prossimo paragrafo.
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4. La corporate governance nelle aziende di servizi pubblici
locali
La crescente esternalizzazione della erogazione dei servizi pubblici ha
contribuito a trasformare le relazioni fra soggetti pubblici ed organismi
operanti nell’ambiente circostante. Le interazioni tra settore pubblico e privato richiedono, infatti, una notevole capacità di gestire i rapporti esistenti
tra i diversi stakeholder ed attribuisce importanza alla governance pubblica, che si riferisce alla sostenibilità delle relazioni che si instaurano tra una
pluralità di attori portatori di interessi ed obiettivi distinti (Pierre, 2000;
Rhodes, 2000; Kettl, 2000).
Tali cambiamenti hanno avuto delle ripercussioni anche sui modelli di
corporate governance delle aziende di servizi pubblici locali, specialmente di quelle miste in cui risulta essenziale riuscire a conciliare gli interessi
pubblici e privati in gioco (Riccaboni, 2003; Garlatti, 2001).
In linea generale, il concetto di corporate governance si riferisce al
sistema di direzione e controllo aziendale (Colley et al., 2005). Dal punto
di vista “applicativo”, pertanto, il tema può essere ricondotto all’attribuzione, all’interno di una specifica azienda, delle funzioni gestionali (e delle
connesse responsabilità) agli organi societari ed all’implementazione dei
meccanismi di “controllo” sull’operato degli stessi organi da parte dei soci
e, in diversa misura, degli altri stakeholder (OECD, 2004; Monks, Minov,
1995).
Sul piano teorico, a partire dagli anni 1990, Il concetto di corporate
governance è divenuto oggetto di numerose ricerche (Charkham, 1994;
Dimsdale, Prevezer, 1994; Lanno, 1995). Il dibattito accademico ha prodotto numerose definizioni di corporate governance, differenziate l’una
dall’altra non solo in relazione alle diverse posizioni teoriche di riferimento, ma anche per la particolare tipologia di azienda presa in considerazione e per il contesto geografico e culturale di provenienza degli autori
(Turnbull, 1997; Tricker, 2000; Lazzari, 2001).
In estrema sintesi, tenendo in considerazione il fatto che ciascuna azienda non risulta un’entità isolata dall’ambiente in cui opera, la corporate
governance può essere ricondotta a due ambiti. Il primo attiene all’insieme
di organi, regole, processi, obiettivi e strumenti predisposti all’interno del
perimetro aziendale e che sottendono al suo funzionamento (internal corporate governance), mentre il secondo ambito si riferisce alle relazioni che
la singola azienda instaura con tutti gli altri enti che vivono nell’ambiente
esterno ed alle regole ed alle strutture (predisposte dalla normativa di legge e dagli organi di vigilanza e di controllo esterni) che caratterizzano il
contesto di riferimento, cui bisogna uniformare l’attività aziendale (external
corporate governance) (Catturi, 2006, pp. 6-8).
Le aziende che apprestano servizi pubblici locali sono sistemi complessi
sia dal punto di vista organizzativo che funzionale. Al loro interno operano,
infatti, più organi, ciascuno investito di determinate funzioni, la cui attività
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Corporate governance nelle aziende di servizi pubblici locali
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è complessivamente finalizzata alla creazione di valore per gli stakeholder
(Tarallo, 2000). Tali aziende, perciò, al pari delle altre, necessitano di un
“sistema di funzionamento” che consenta di perseguire efficacemente la
propria missione economica e che sia definito tenendo in considerazione
tanto le variabili interne alla stessa azienda (in modo particolare i processi
decisionali ed operativi), quanto gli effetti prodotti dal network di relazioni
che l’azienda stabilisce con operatori esterni e, più in generale, dalle norme
cui l’azienda deve adeguarsi (Catturi, 2006).
Come accennato in precedenza, l’attività di produzione dei servizi
pubblici locali cosiddetti “a rilevanza economica”, a seguito delle recenti
modifiche legislative, è oramai dovunque affidata dagli enti locali a società di capitali giuridicamente autonome. L’apprestamento di tali servizi,
perciò, coinvolge diversi soggetti, che svolgono determinati ruoli, e tra i
quali esistono relazioni di “interdipendenza” che si riflettono sulla struttura
di governance interna dell’azienda (Longo, 2005; Garlatti, 2001).
In particolare, i rapporti che si creano tra azienda di servizi pubblici locali ed ente locale possono presentare alcuni caratteri di “rigidità”, quali:
– le modalità di affidamento della gestione dei servizi prescritte dalla normativa nazionale (affidamento tramite procedura ad evidenza pubblica
o affidamento diretto) in relazione alla struttura proprietaria dell’azienda
ed al grado di controllo esercitabile dall’ente locale,
– la definizione degli strumenti normativi di regolazione dei rapporti tra
azienda di servizio pubblico ed ente locale (contratto di servizio),
– la disciplina civilistica in tema di organismi societari, con particolare
riferimento alle norme relative ai modelli di amministrazione e controllo
(tipologia, funzioni e responsabilità degli organi sociali) da applicare
qualora l’azienda di servizio pubblico locale sia retta in forma di società
di capitali.
Esistono, tuttavia, anche diversi “spazi di autonomia” nel definire i contenuti, i caratteri e l’intensità delle relazioni tra ente locale e aziende di
servizio pubblico locale (Longo, 2005). In particolare, per l’ente locale si
tratta delle scelte relative alla tipologia di soggetto cui trasferire le responsabilità relative all’apprestamento dei servizi (azienda a totale capitale
pubblico, società mista a partecipazione pubblico-privata, società a capitale totalmente privato), al grado di partecipazione diretta nella società
di gestione dei servizi, alle eventuali forme di coinvolgimento dei soggetti
privati. Tali scelte derivano da considerazioni di carattere economico ed
anche politico. Qualora la compagine societaria dell’azienda coinvolga
soggetti diversi, portatori di interessi differenziati, è necessario realizzare
un adeguato “equilibrio di potere” che si riflette sulla struttura di governance
dell’azienda. È il caso delle previsioni statutarie o della stipula di Patti
Parasociali aventi ad oggetto, ad esempio, le modalità di nomina dei componenti gli organi societari, in modo particolare l’organo amministrativo,
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Corporate governance nelle aziende di servizi pubblici locali
ovvero l’ampiezza delle deleghe conferibili ad uno o più amministratori,
ed anche le modalità ed i meccanismi di controllo da parte dei soci in
relazione al compimento di particolari operazioni (diritti di veto ovvero
espressione di pareri di gradimento).
In seguito alle novità introdotte dalla riforma del diritto societario in
tema di società di capitali (d.lgs. n. 6/2003), in fase di progettazione
dell’assetto di governance delle aziende di servizio pubblico locale rileva,
inoltre, la scelta relativa alla struttura legale del sistema di amministrazione
e controllo da adottare. L’adozione del modello tradizionale piuttosto che
di quello dualistico o monistico si traduce, infatti, nella determinazione
di differenti strutture di regolazione dei rapporti tra organi sociali e soci,
poiché diverse sono le funzioni attribuite agli organi sociali e diversi sono
i meccanismi per esercitare le attività di controllo sul loro operato (Grossi,
2005; Grossi, Mussari, 2004).
Il seguente paragrafo illustra i risultati emersi dalla realizzazione di
un’indagine empirica finalizzata ad individuare le caratteristiche prevalenti dei modelli di corporate governance delle partnership istituzionali tra
attori pubblici e privati che gestiscono local utilities nel contesto italiano.
5. Assetti proprietari e sistemi di governance delle partnership
istituzionali tra attori pubblici e privati nel contesto nazionale
La ricerca empirica sulle partnership istituzionali tra attori pubblici e privati
operanti nel nostro Paese è stata condotta con specifico riferimento alle
aziende associate a FederUtility, la Federazione nazionale delle aziende
operanti nei settori idrico ed energetico nata nel giugno 2005 dalla fusione tra le due associazioni di settore Federenergia e Federgasacqua (2).
Per selezionare le aziende del campione d’indagine si è proceduto
come segue. Ufficialmente, le società a partecipazione mista pubblicoprivata aderenti a FederUtility sono 74, ma le aziende effettivamente configurabili come società miste ai fini dell’indagine sono 64. In alcuni casi,
infatti, la partecipazione degli enti locali al capitale sociale è superiore al
99%, mentre in altri casi l’azienda è partecipata da organismi che, pur
essendo formalmente “privati”, presentano in realtà un capitale totalmente
pubblico. È sembrato, inoltre, opportuno escludere dall’indagine alcune
delle aziende con capitale a partecipazione pubblico-privata delle quali
non è stato possibile acquisire informazioni rilevanti per il tema della ricerca.
Il campione è costituito, in definitiva, da 45 aziende a capitale misto
pubblico-privato delle quali sono stati analizzati gli Statuti ed i Patti parasociali. Sono questi, infatti, i principali documenti in cui è possibile individua-
2 Per la fattiva collaborazione si ringrazia l’ing. Renato Drusiani, Condirettore generale di
FederUtility.
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Corporate governance nelle aziende di servizi pubblici locali
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re, oltre alle caratteristiche dei sistemi di amministrazione e controllo e la
disciplina relativa alle funzioni degli organi societari, le modalità di regolazione dei rapporti tra i soci pubblici e privati. In aggiunta all’analisi documentale, tutte le aziende sono state contattate nel periodo giugno-settembre
2005, con il prezioso supporto di FederUtility, al fine della compilazione
di un questionario. Le elaborazioni di seguito riportate si riferiscono ai dati
disponibili al 30 settembre 2005, mentre in Appendice sono reperibili le
informazioni di dettaglio sugli elementi indagati.
Per quanto concerne la tipologia di servizi gestiti, l’84% delle aziende
del campione è configurabile come aziende multiutility, operanti contemporaneamente in più settori di servizio pubblico locale. Di solito, tuttavia,
una parte delle attività è affidata a strutture operative controllate o collegate alle aziende considerate. In particolare:
– il 71% delle aziende del campione opera nel settore idrico;
– il 22% si occupa dell’attività di gestione delle reti per la distribuzione
del gas;
– il 13% si occupa della gestione delle reti relative alla distribuzione di
energia elettrica;
– il 27% provvede all’attività di distribuzione del gas;
– il 15% provvede alla distribuzione di energia elettrica;
– il 64% delle aziende del campione opera anche in altri settori.
In merito agli altri settori, in alcuni casi si tratta di servizi comunque collegati ai settori precedentemente considerati (distribuzione di acqua, quando tale attività non è svolta in maniera integrata con le altre fasi previste
dalla normativa sul ciclo idrico, produzione di energia elettrica, gestione
calore). In altri casi si tratta di servizi differenziati: servizi ambientali e ciclo dei rifiuti, trasporti, farmacie, illuminazione pubblica, impianti semaforici, servizi cimiteriali. Alcune aziende, infine, operano anche in settori di
servizio “specialistici”, quali il teleriscaldamento, la gestione di reti in fibra
ottica e le telecomunicazioni, la gestione di fonti energetiche alternative, i
sistemi informativi.
La forma giuridica delle società del campione è prevalentemente quella
della Società per azioni (43 aziende su 45); le società considerate sono
per la maggior parte localizzate nel centro-nord Italia (Toscana, Lombardia, Piemonte ed Emilia Romagna).
Le aziende comprese nel campione sono state suddivise in tre gruppi
sulla base dei soggetti coinvolti nella partnership societaria:
– 9 società del campione (20% del totale) sono quotate in Borsa e svolgono il ruolo di capogruppo in aggregazioni aziendali di rilevanti dimensioni, specializzate nella gestione dei servizi pubblici locali;
– 25 società (56% del totale) sono partecipate – in diversa misura – da
almeno una delle società quotate appena individuate e sono inserite
Azienda Pubblica 2-3.2008
294
Esperienze innovative
Corporate governance nelle aziende di servizi pubblici locali
nell’area di consolidamento delle stesse, come risulta dai Bilanci consolidati delle capogruppo;
– in altri 11 casi (24% del totale) la partnership coinvolge società quotate
diverse dalle 9 aziende inserite nel primo gruppo del campione, oppure aziende non quotate facenti comunque parte di gruppi aziendali.
Quella di far parte di un gruppo aziendale è, in definitiva, una caratteristica comune a quasi tutte le aziende considerate. Si tratta, in particolare,
di gruppi aziendali di dimensioni in alcuni casi considerevoli, costituiti da
più aziende operanti nel settore dei servizi pubblici locali. Esse forniscono
le varie tipologie di servizio (idrici, gas, energia, ma anche igiene ambientale, trasporti e farmacie) in un determinato contesto territoriale (di solito
sovracomunale) e sono partecipate dagli enti locali responsabili dell’affidamento dei servizi.
Alcune aziende del campione rivestono il ruolo di capogruppo, cioè
operano direttamente in specifici settori di servizio pubblico locale provvedendo all’apprestamento dei servizi all’utenza, ed in parte detengono, per
conto di uno o più enti locali soci, partecipazioni in altre aziende operanti
a loro volta in settori di servizio pubblico locale. A volte la capogruppo
riveste il ruolo di holding “pura”, nel senso che la sua attività è essenzialmente quella di controllare e definire gli indirizzi strategici delle partecipate, senza erogare in modo diretto alcun tipo di servizio.
Nella maggior parte dei casi (76% del totale), le aziende considerate
ai fini dell’indagine hanno assunto l’attuale configurazione di società a
capitale misto a seguito di processi di trasformazione aventi ad oggetto
aziende già esistenti a totale capitale pubblico (aziende municipalizzate,
aziende speciali e aziende consortili). In certi casi la trasformazione degli
organismi aziendali a capitale pubblico è stata seguita da processi di fusione tra più società operanti nello stesso settore. Solo il 24% delle aziende
del campione è stato costituito ex-novo nella forma di società miste.
Per quanto riguarda l’iniziativa della realizzazione della partnership
societaria, essa è riconducibile principalmente in capo ad uno o più enti
locali (87% dei casi), attualmente ancora presenti nella compagine azionaria. I dati raccolti ed elaborati mostrano, in sostanza, un marcato interesse da parte degli enti locali verso il modello gestionale a partecipazione
pubblico-privata.
Assetti proprietari e rapporti tra soci
L’analisi in merito alla composizione del capitale sociale delle aziende del
campione è stata realizzata in relazione ai tre gruppi precedentemente
individuati (società quotate in Borsa, società partecipate da aziende quotate, altre società).
Con riferimento alle 9 società quotate in Borsa (primo gruppo del campione), la partecipazione media in mano agli enti locali è del 59% circa
295
Azienda Pubblica 2-3.2008
Corporate governance nelle aziende di servizi pubblici locali
Esperienze innovative
del capitale sociale. In alcuni casi tale partecipazione è detenuta indirettamente, attraverso aziende controllate dai Comuni. Gli azionisti privati
detengono in media circa il 3% del capitale. Ciò è collegato al fatto che
gli stessi Statuti societari impongono limiti massimi di possesso azionario
per tutti i soggetti diversi dagli enti locali. Il valore medio della quota di
capitale flottante sul mercato è pari a circa il 35% del capitale totale. Solo
in un caso gli enti locali detengono complessivamente meno del 50% del
capitale.
Il secondo gruppo del campione comprende 25 società partecipate
da almeno una delle 9 quotate precedentemente considerate. Una prima
analisi mostrava che in media il 51% del capitale era in mano direttamente
ad enti locali e, in particolare, in 7 aziende la quota direttamente detenuta
dagli enti locali era inferiore al 40%. In realtà, approfondendo l’analisi in
modo da considerare la quota di capitale pubblico “indiretta” – la parte di
capitale che, pur essendo in mano ad aziende giuridicamente private (nel
caso specifico si tratta delle 9 società quotate del primo gruppo), fa capo
ai Comuni soci di queste ultime – il risultato appare essere sostanzialmente
diverso: la quota di capitale in mano agli enti locali passa infatti dal 51%
al 75% circa.
In merito alla composizione del capitale azionario delle restanti 11
aziende (terzo gruppo del campione), la quota di capitale in mano agli
enti locali è in media pari al 58%.
Considerando l’intero campione, oltre il 60% del capitale delle aziende
è detenuto dagli enti locali, in modo diretto oppure tramite aziende controllate o partecipate, consorzi di enti locali od organismi di rappresentanza
comune (Comunità montane, Autorità di ambito). In particolare, solo nel
7% dei casi la partecipazione degli enti locali è inferiore al 50% ed inoltre
il 44% delle aziende del campione la quota di capitale in mano ai Comuni
(direttamente o indirettamente) è superiore al 75%.
Nel 29% circa delle aziende del campione, inoltre, la proprietà pubblica del capitale è “concentrata” nelle mani di un unico ente locale (13
aziende, di cui 4 quotate). Nelle ipotesi in cui la quota pubblica di capitale
sia, invece, detenuta da più soggetti distinti (ed, in alcuni casi, in numero
rilevante), di solito si tratta di più Comuni localizzati nella medesima provincia o in più province territorialmente contigue. Nella maggior parte dei
casi è presente un ente locale per Provincia (normalmente il Comune capoluogo, ma in alcuni casi anche l’amministrazione provinciale, l’Autorità di
ambito o altri enti associativi) che detiene una quota di capitale maggiore
rispetto a quella detenuta dagli altri enti pubblici di minori dimensioni ed
esercita, per conto di una parte o della totalità di questi ultimi, la funzione
di rappresentanza in sede assembleare.
La struttura del capitale appena illustrata deriva sostanzialmente da
apposite norme statutarie: il 64% circa degli Statuti societari analizzati, infatti, vincola a favore di enti pubblici il possesso delle quote maggioritarie
del capitale sociale. In 7 casi lo Statuto individua chiaramente un singolo
Azienda Pubblica 2-3.2008
296
Esperienze innovative
Corporate governance nelle aziende di servizi pubblici locali
ente locale cui, per tutta la durata della società, deve essere garantito il
possesso di almeno il 50% del capitale sociale. Negli altri casi la riserva
è operata in generale nei confronti di “enti pubblici locali”, spesso con
specifico riferimento alla possibilità di detenere quote del capitale anche
indirettamente, attraverso società (anche consorziali) partecipate o controllate. Di consueto è attribuita al Consiglio di amministrazione la responsabilità di vigilare affinché le norme statutarie che vincolano la detenzione
della maggioranza del capitale da parte di enti locali siano rispettate per
tutta la durata della società, con particolare riferimento alle operazioni di
trasferimento e cessione delle partecipazioni azionarie da parte dei soci
ovvero nel caso di aumento del capitale sociale.
La maggioranza delle aziende presenta un capitale sociale interamente
composto da azioni ordinarie, che attribuiscono ai soci pari diritti. Solo in
3 casi sono previste prestazioni accessorie, a carico, più precisamente, del
solo socio “imprenditore”. In 5 società, invece, il capitale è suddiviso in più
categorie di azioni.
Per quanto concerne i rapporti tra i soci, appare essere comune e diffusa la volontà di garantire una certa stabilità della compagine azionaria.
Gli “strumenti” a disposizione possono essere ricondotti alle previsioni statutarie in tema di:
– diritti di opzione, in caso di aumento del capitale sociale;
– diritti di prelazione, in caso di trasferimento o cessione della partecipazione azionaria;
– clausole di gradimento, espressamente previste nel caso di ingresso di
nuovi soci.
Il diritto di opzione è riconosciuto ai soci dall’articolo 2441 del codice
civile, ed è richiamato espressamente nel 47% degli Statuti, in proporzione alla quota di capitale di cui ciascuno risulta essere sottoscrittore nel
momento in cui si realizza l’aumento di capitale. In caso di trasferimento
o cessione di una parte o dell’intera partecipazione azionaria da parte
di uno o più soci, nel 51% circa delle aziende analizzate è garantito agli
altri soci il diritto di prelazione, ossia la possibilità di sottoscrivere una
quota del pacchetto azionario “in vendita”, in proporzione alla propria
partecipazione. Nell’ipotesi di mancato esercizio del diritto di prelazione
da parte degli altri soci, per l’intero ammontare della partecipazione in
cessione, solo alcuni Statuti riconoscono la possibilità di collocare presso
terzi la restante parte, provvedendo piuttosto a riconoscere, in capo al
soggetto proponente la vendita, la possibilità di recedere dalla società.
Circa la metà degli Statuti (47%) prevede l’espressione di un parere di
“gradimento” circa l’entrata, nella compagine societaria, di nuovi soggetti: in particolare, in 16 aziende tale potere è attribuito al Consiglio di
amministrazione. Nel caso di cessione delle azioni da parte del partner
imprenditore, in particolare, gli amministratori sono chiamati ad accertare
297
Azienda Pubblica 2-3.2008
Corporate governance nelle aziende di servizi pubblici locali
Esperienze innovative
il possesso, da parte dell’acquirente, dei requisiti tecnici e delle capacità
finanziarie necessari a garantire il conseguimento dell’oggetto sociale.
I rapporti tra i soci sono ulteriormente precisati per mezzo di Patti parasociali, che risultano essere stati sottoscritti da almeno 20 aziende del campione (tra cui due società quotate). Dai dati raccolti emerge che i soggetti
coinvolti nella stipula dei Patti sono prevalentemente i soli soci pubblici
ed, in alcuni casi, i soci pubblici e privati. Il ricorso allo strumento pattizio
da parte dei soli soci privati, nel caso di partecipazione al capitale della
stessa società, risulta essere più raro. Nella maggior parte dei casi l’oggetto dei Patti parasociali si concretizza in clausole relative all’attribuzione
di poteri di designazione e nomina dei componenti degli organi esecutivi
della società. Risulta assai frequente che al socio privato venga assegnata
la designazione dell’Amministratore delegato, anche se in alcuni casi è
necessaria l’espressione di gradimento da parte del socio pubblico. Inoltre, qualora il meccanismo di elezione degli organi societari non preveda
la possibilità di effettuare nomine dirette, i Patti parasociali contengono
clausole che stabiliscono preventivamente il numero di amministratori designabili da ciascuna parte. In altri casi, quando il Patto coinvolge soggetti
della stessa “categoria” (soli soci pubblici o soli soci privati) si hanno essenzialmente dei sindacati di voto, ovvero degli accordi che impegnano
le parti, in vista della partecipazione all’Assemblea dei soci, a concertare
preventivamente la propria posizione e ad esprimere un voto unitario, anche attraverso la delega ad un singolo soggetto. In qualche caso, i Patti
attribuiscono al partner industriale un diritto di “prelazione” nel caso di
affidamento di servizi o commesse da parte degli enti locali soci. Possono
essere presenti, infine, clausole pattizie relative ad accordi collegati alla distribuzione degli utili ovvero alle tariffe dei servizi. Solo 3 Statuti tra quelli
considerati prevedono a favore degli enti locali soci un potere di veto. Nel
40% circa degli Statuti un’apposita clausola stabilisce che le eventuali controversie che dovessero sorgere tra i soci o tra soci ed organi sociali, con
particolare riferimento a quelle “aventi ad oggetto diritti disponibili relativi
al rapporto sociale”, devono essere risolte da Collegi arbitrali.
La scelta del partner
In oltre la metà delle aziende il partner “industriale” è stato individuato
mediante procedure selettive ad evidenza pubblica (64% dei casi). Il dato,
tuttavia, è calcolato su 32 aziende (70% delle aziende partecipanti all’indagine). Nei rimanenti casi è stata eseguita la quotazione in Borsa (28%),
la procedura diretta (6%) e l’offerta pubblica di vendita (2%).
In generale, tale risultato può essere ricondotto a due motivazioni. Da
un lato, la normativa nazionale – attualmente in vigore – consente alle
aziende, che selezionano il socio privato mediante procedure di gara, di
ottenere affidamenti diretti da parte degli enti locali soci, in relazione all’attività di erogazione dei servizi all’utenza. Dall’altro, questo procedimento
Azienda Pubblica 2-3.2008
298
Esperienze innovative
Corporate governance nelle aziende di servizi pubblici locali
rappresenta sicuramente il metodo di selezione del partner che consente di
creare situazioni di concorrenza tra i soggetti interessati ad entrare nella
compagine sociale. Ciò è decisamente rilevante nel caso di scelta di uno
o più partner industriali, ossia quando la partecipazione alla compagine
societaria da parte di soggetti diversi da enti pubblici è necessaria al fine
di acquisire competenze tecniche e gestionali relative alla produzione imprenditoriale dei servizi ed alla gestione della stessa azienda.
Per quanto riguarda le tipologie di partner, i dati aggregati mostrano
come, in riferimento alla totalità delle aziende del campione:
– il 67% delle aziende ha tra i propri partner imprese operanti nel settore dei servizi pubblici locali; in particolare nel 56% circa dei casi
si tratta delle società quotate inserite nel primo gruppo del campione
d’analisi;
– il 31% delle aziende ha tra i propri partner aziende di tipo diverso
rispetto alle precedenti;
– il 22% delle aziende ha tra i propri partner istituti di credito;
– il 22% fa ricorso all’azionariato diffuso;
– il 13% delle aziende è partecipato da altri soggetti, non riconducibili
ad alcuna delle precedenti “categorie”.
In circa la metà delle società del campione (47%), inoltre, la partnership
societaria coinvolge un solo soggetto “privato”. Il dato, in particolare,
comprende anche i casi in cui l’azienda sia partecipata da società veicolo costituite appositamente da più soggetti ovvero da raggruppamenti
di più imprese, qualora le stesse esercitino in maniera congiunta i diritti
derivanti dalla partecipazione.
I modelli di amministrazione e controllo e la composizione degli organi
sociali
Il 91% delle aziende del campione è costituito da società per azioni che
hanno adottato il sistema di governance tradizionale, il quale prevede la
suddivisione dei compiti fra i tre organi sociali: l’Assemblea dei soci, il
Consiglio di amministrazione ed il Collegio sindacale (investito, in alcuni
casi, anche della funzione di controllo contabile).
Il 18% circa degli Statuti analizzati contiene l’elencazione delle materie appositamente attribuite alla competenza dell’Assemblea dei soci.
Solitamente si tratta dell’attribuzione di materie ulteriori rispetto a quelle
riservate dal codice civile all’organo direttamente rappresentativo della
proprietà del capitale riunito in sede ordinaria, riconducibili essenzialmente all’approvazione di piani pluriennali di determinazione degli indirizzi gestionali, all’approvazione di operazioni di finanziamento oltre un
certo importo, alla ratifica della stipula di joint-ventures o di accordi tra
la società ed altri soggetti, alla cessione o acquisizione di partecipazioni
in altre società.
299
Azienda Pubblica 2-3.2008
Corporate governance nelle aziende di servizi pubblici locali
Esperienze innovative
In diversi casi, inoltre, gli Statuti prevedono maggioranze qualificate
per la validità delle deliberazioni assembleari, sia nel caso di assemblea ordinaria che straordinaria. In particolare, il 29% circa degli Statuti
analizzati prevede maggioranze rafforzate in merito ad alcune materie
di competenza dell’Assemblea ordinaria, quali l’approvazione di piani strategici e di programmi di sviluppo, nonché la cessione di asset
patrimoniali oltre un determinato importo ovvero la cessione di rami di
azienda. Per quanto riguarda l’Assemblea straordinaria, il 44% degli
Statuti prevede maggioranze rafforzate in riferimento alle operazioni di
aumento del capitale sociale, di scioglimento anticipato della società,
di modifica dell’oggetto sociale, di operazioni di fusione o scissione ed,
in alcuni casi, di modifiche relative all’attribuzione dei diritti di voto ed
emissione di titoli obbligazionari ovvero titoli azionari dotati di particolari privilegi.
L’analisi delle clausole statutarie relative alla composizione ed al funzionamento del Consiglio di amministrazione è stata condotta in relazione ai seguenti punti:
– il numero di componenti dell’organo esecutivo;
– l’attribuzione di poteri di nomina diretta da parte degli enti locali
soci;
– la presenza di limiti all’attribuzione di deleghe da parte degli amministratori;
– la previsione di maggioranze qualificate per la deliberazione di particolari materie.
Il 36% degli Statuti prevede per il Consiglio di amministrazione un numero fisso di componenti, compreso tra 3 e 14 amministratori. Negli altri
casi le norme statutarie fissano un numero minimo e massimo di amministratori, delegando l’Assemblea dei soci a stabilire, di volta in volta,
la composizione numerica dell’organo esecutivo. In questi casi si passa
dalla possibilità di delegare l’intera attività ad un solo amministratore
alla previsione di massimo 15 componenti.
L’attribuzione statutaria di poteri diretti di nomina dei componenti
del Consiglio di amministrazione agli enti locali soci caratterizza il 44%
circa delle società del campione. In 10 aziende (pari a circa il 22% del
campione) il potere di nomina diretta riguarda la maggioranza dei componenti l’organo esecutivo. Solo in alcuni casi tale potere è attribuito in
proporzione alla quota di capitale sottoscritta.
Il meccanismo del voto di lista, utilizzato per la nomina dei componenti del Consiglio di amministrazione di competenza assembleare,
presenta, in qualche caso, alcune “peculiarità”:
– in diversi Statuti (ed in alcuni Patti parasociali) sono presenti clausole
che determinano preventivamente il numero di amministratori eletti
Azienda Pubblica 2-3.2008
300
Esperienze innovative
Corporate governance nelle aziende di servizi pubblici locali
per ciascuna lista, a prescindere dal numero di voti effettivamente
ottenuti in sede assembleare;
– in alcuni casi, gli enti locali soci sono obbligati da norme statutarie (o
pattizie) a presentare una singola lista.
In riferimento alle norme statutarie che regolano il funzionamento dell’organo amministrativo, il 67% circa degli Statuti contiene apposite clausole che escludono la possibilità di attribuire deleghe da parte degli
amministratori in merito a determinate materie, ulteriori rispetto a quelle
stabilite per legge. Si tratta, in particolare, delle deliberazioni riguardanti l’approvazione di piani economici e finanziari annuali e pluriennali di
gestione e di investimento (e le loro modifiche), le decisioni relative al
dimensionamento dell’organico e gli atti in materia di politica occupazionale (piani di assunzione del personale), le proposte di modifica dello
Statuto da presentare all’Assemblea dei soci, l’approvazione e modifica
di eventuali regolamenti interni, la nomina dei rappresentanti della società presso le aziende partecipate (quando la competenza non è attribuita
all’Assemblea dei soci).
Di solito, per le stesse materie, oltre che per le deliberazioni riguardanti la nomina e l’attribuzione dei poteri all’Amministratore delegato ovvero l’attribuzione di particolari incarichi ad altri amministratori
o all’alta dirigenza, è richiesto il voto favorevole di una maggioranza
qualificata (rafforzata) dei componenti il Consiglio di amministrazione.
Nella maggior parte dei casi, infatti, per gli atti di “ordinaria amministrazione”, il Consiglio è validamente costituito con la presenza della
maggioranza dei componenti e delibera con il voto favorevole della
maggioranza dei presenti.
In alcuni casi, lo Statuto (o i Patti parasociali) assegna la designazione dell’Amministratore delegato ai partner “privati”, escludendo espressamente la possibilità che tale soggetto sia scelto su designazione dagli
enti locali soci. Con riferimento ai poteri attribuiti all’Amministratore delegato, la maggior parte degli Statuti non contiene un’apposita elencazione, rinviando a tutte le materie delegabili da parte del Consiglio
di amministrazione. A volte, comunque, la materia è oggetto dei Patti
parasociali tra soci pubblici e partner privati.
Per quanto riguarda il Collegio Sindacale, infine, il meccanismo di
nomina è quasi sempre ricondotto a quello stabilito per il Consiglio di
amministrazione. Nel 35,5% dei casi ai soci pubblici è attribuito il potere di nomina diretta di almeno due componenti. In 5 aziende, poi, il
Collegio esercita anche la funzione di controllo contabile.
Solo due aziende del campione hanno adottato il sistema di governance dualistico, caratterizzato dalla presenza, oltre che dell’Assemblea
dei Soci, di un Consiglio di gestione e di un Consiglio di sorveglianza. In
entrambi i casi, la struttura di governance delineata nello Statuto societario è caratterizzata, da una precisa divisione dei poteri tra gli organi so301
Azienda Pubblica 2-3.2008
Corporate governance nelle aziende di servizi pubblici locali
Esperienze innovative
ciali. L’Assemblea di soci è l’organo competente a modificare la struttura
formale di amministrazione e controllo, attraverso l’esercizio del potere
esclusivo di modifica dello Statuto. Il Consiglio di sorveglianza, nominato dall’Assemblea, esercita in modo esclusivo le funzioni di controllo,
in modo particolare attraverso l’esclusiva competenza ad impugnare le
delibere dell’organo amministrativo e mediante l’eventuale promozione
dell’azione di responsabilità o di denuncia al Tribunale nei confronti dei
componenti il Consiglio di gestione. Quest’ultimo, nominato dal Consiglio di sorveglianza, è investito dell’attività di conduzione aziendale, di
cui è responsabile in modo esclusivo.
6. Conclusioni
Negli ultimi dieci anni il numero di società di capitali operanti in Italia
nel settore dei servizi pubblici locali è aumentato in misura considerevole
(Confservizi, 2005). Le scelte legislative operate in materia di modalità di
gestione dei servizi pubblici locali e le aspettative degli stessi operatori di
conseguire, attraverso forme gestionali snelle e caratterizzate da autonomia giuridica e gestionale, maggiore efficienza ed economicità nell’erogazione dei servizi hanno inciso in maniera determinante in tale direzione.
A fronte del successo delle cosiddette “privatizzazioni formali”, tuttavia,
gli enti locali continuano ad essere, nella maggioranza dei casi, proprietari unici del capitale delle aziende (3). La realizzazione di partnership
societarie che coinvolgono enti locali ed altri soggetti risulta essere ancora
alquanto limitata.
L’analisi condotta su un campione significativo di partnership pubblicoprivate istituzionali attualmente operanti nel nostro Paese mostra che il modello prevalente di corporate governance è quello tradizionale. Ciascuna
società, tuttavia, presenta un proprio sistema di governance in quanto la
divisone dei poteri fra gli organi sociali ed i meccanismi di controllo sul
loro operato variano a seconda del contesto considerato e sulla base delle
indicazioni contenute negli Statuti aziendali e nei Patti Parasociali.
Nella progettazione del sistema di governance notevole importanza
viene assegnata alla regolazione dei rapporti che si instaurano fra gli enti
locali ed il partner coinvolto nella compagine societaria. Risulta essere diffusa la pratica di attribuire al partner “industriale” – aziende a loro volta
operanti nel settore dei servizi pubblici – alcuni poteri in sede di approvazione dello Statuto o attraverso la stipula di appositi Patti parasociali (in
particolare la scelta dell’Amministratore delegato e la definizione delle sue
competenze), al momento della costituzione dell’organismo societario o,
più frequentemente, nel momento in cui la compagine sociale delle ex municipalizzate o aziende speciali si amplia e si diversifica con l’ingresso di
3 Gli enti locali risultano essere gli unici azionisti nel 76% delle società di capitali (CONFSERVIZI, 2005).
Azienda Pubblica 2-3.2008
302
Esperienze innovative
Corporate governance nelle aziende di servizi pubblici locali
soci diversi dai soli enti locali. Allo stesso momento, però, il combinarsi di
altri fattori (previsione di prestazioni accessorie collegate all’attività tecnica
di produzione dei servizi e limiti al libero trasferimento della quota azionaria di partecipazione al capitale sociale) differenzia la posizione del
partner industriale da quella degli altri soci (i partner pubblici). La posizione del socio pubblico, infatti, appare essere caratterizzata quasi sempre
dall’attribuzione di specifici poteri (nomina diretta, espressione di pareri di
gradimento e, in alcuni casi, veri e propri poteri di veto) che gli consentono
di assumere un “peso” diverso all’interno della compagine sociale.
Appendice
1) Il campione d’indagine (45 società)
9 società
quotate
in Borsa
(20%)
Creazione
Soggetto
responsabile
dell’iniziativa
25 società
partecipate
11
da almeno una altre
delle società società
quotate
(24%)
(56%)
Totale
Ex novo
nella forma
di società miste
1
8
2
11
società
(24,4%)
Per trasformazione
di azienda
originariamente
a capitale
pubblico
8
17
8
33
società
(73,3%)
Per trasformazione
di azienda
originariamente
a capitale privato
-
-
1
1
società
(2,3%)
Enti locali
9
23
7
39
società
(86,6%)
Enti locali e altri
partner
-
3
3
6
società
(13,4%)
303
Azienda Pubblica 2-3.2008
Esperienze innovative
Corporate governance nelle aziende di servizi pubblici locali
2) La struttura proprietaria e le relazioni tra i partner
25 società
9 società
partecipate
11 altre
quotate in da almeno una società
Borsa (20%)
delle società
(24%)
quotate (56%)
Composizione
del capitale
sociale
Totale
Enti locali
59%
del capitale
75%
del capitale
58%
del
capitale
64%
del
capitale
Altri soggetti
41%
del capitale
25%
del capitale
42%
del
capitale
36%
del
capitale
2
-
1
3 società
(6,7%)
7
7
8
22 società
(48,9%)
-
18
2
20 società
(44,4%)
Partecipazione
inferiore al 50%
Partecipazione
Partecipazione
degli enti
compresa tra il 51%
locali
ed il 75%
al capitale
delle aziende
Partecipazione
superiore al 75%
Maggioranza
pubblica
del capitale
sociale
Gli Statuti societari
vincolano a favore
degli enti locali il
possesso di quote
maggioritarie
del capitale sociale
4
16
9
29 società
(64%)
Diritto
di prelazione
Gli Statuti prevedono
a favore degli enti
locali la possibilità
di sottoscrivere una
quota del pacchetto
azionario in vendita
in proporzione alla
propria quota di
partecipazione
-
13
10
23 società
(51%)
Clausule di
gradimento
Espressamente
previste nel caso di
ingresso di nuovi
soci
-
19
2
21 società
(47%)
2
12
6
20 società
(44%)
Stipula di patti Presenza di Patti
parasociali
parasociali
Azienda Pubblica 2-3.2008
304
Esperienze innovative
Corporate governance nelle aziende di servizi pubblici locali
3) La scelta dei partner e i servizi gestiti
9 società
quotate
in Borsa
(20%)
Totale
–
10
11
21 società
(44%)
–
–
2
2 società
(4%)
9
–
–
9 società
(20%)
Non risponde
–
7
6
13 società
(30%)
Aziende
di servizi
pubblici locali
*(1)
30 società
(67%)
Altre aziende
*
14 società
(31%)
*
10 società
(22%)
Azionariato
diffuso
*
10 società
(22%)
Altri soggetti
*
6 società
(13%)
Gara ad evidenza
pubblica
Procedura diretta
Modalità
di selezione
del partner Quotazione
in borsa
Tipologia
di partner Banche
Tipologia
di servizi
25 società
partecipate da
11
almeno una
altre
delle società società
quotate
(24%)
(56%)
Multiutility
9 aziende
(100%)
23
6
38 società
(84%)
Monoutility
–
2
5
7 società
(16%)
(1) Le società che presentano un capitale sociale frazionato possono contemporaneamente
avere diverse categorie di partner. Si riportano, pertanto, solo i dati complessivi.
305
Azienda Pubblica 2-3.2008
Esperienze innovative
Corporate governance nelle aziende di servizi pubblici locali
4) Modelli di corporate governance e organi societari
11
25 società
9 società
partecipate da almeno altre
quotate in
società
una delle società
Borsa (20%)
(24%)
quotate (56%)
Modelli
di corporate
governance
Tradizionale
(“Latino”)
Dualistico
(“Tedesco”)
Statuti che prevedono
ulteriori competenze
all’assemblea
dei soci
Statuti che prevedono
maggioranze
Assemblea
qualificate in
dei soci
assemblea ordinaria
Statuti che prevedono
maggioranze
qualificate
in assemblea
straordinaria
Numero “fisso”
di componenti
Nomine dirette
da parte degli enti
locali soci
Nomine dirette
della maggioranza
degli amministratori
Consiglio
da parte degli enti
di
amministrazione locali soci
Maggioranze
qualificate per
l’adozione di
determinate delibere
Presenza di vincoli
alle deleghe
conferibili
Totale
9
24
8
43 società
(91%)
–
1
1
2 società
(4%)
–
7
1
8 società
(17,8%)
–
8
5
13 società
(29%)
3
11
6
20 società
(44%)
4
8
4
16 società
(35,5%)
7
12
1
20 società
(44%)
7
1
2
10 società
(22,2%)
3
14
5
22 società
(48,9%)
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18
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30 società
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