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n° 300 - giugno 2001
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Direttore Responsabile Lucia Aleotti - Redazione, corrispondenza: «Minuti» Via Sette Santi n.1 - 50131 Firenze - www.fondazione-menarini.it
Nel mondo di Lorenzo Viani
Preceduta da alcune importanti manifestazioni
espositive intorno alla
cultura artistica della
Versilia e del territorio
limitrofo fra Otto e Novecento, che hanno recentemente trovato nelle
sale del Palazzo Mediceo di Seravezza la loro
giusta cornice, la grande
antologica dedicata nello
scorso luglio-settembre a Lorenzo Viani
(1882-1936) ha validamente contribuito a ricordare l’artista viareggino nel modo più adeguato e criticamente affidabile, come un maestro del Novecento europeo. Con davanti il
decorso della sua opera
pittorica esteso anche
a preziosi inediti, si può
oggi tentare un ritorno
a Viani finalmente
sgombri dal pregiudizio del provincialismo
che ne ha condizionato
la fortuna critica fino
ad anni a noi vicini. Per
una ricognizione en artiste del suo mondo poetico, capace di dar conto
delle ragioni non transitorie di questo ritorno,
basterà rileggere il testo di autopresentazione
che accompagna la mostra di Piazza Shelley a
Viareggio dell'estate
1930: un testo bilanciato tra intento di riepilogo e proposito di
riscatto, documento
della sua difficile storia d’artista ex lege anche quando ufficialmente allineato. A consuntivo di una ormai
trentennale attività
svolta in ambito figu-
rativo - «Questa sarà
l’ultima delle mie Mostre personali. È d’uopo
quindi rivedere tutto il
mio passato di pittore
prima d’alzare una pietra di contro all’avvenire» -, Viani interviene
in difesa del suo lavoro,
senza nascondere le proprie laceranti contraddizioni ma senza cedimenti nel riconoscere
al suo impegno per l’arte
l’intimo pregio della
coerenza. Le strategie
di una scrittura che ha
esperito per suo conto,
attraverso le tante pagine di racconti e romanzi d’ispirazione autobiografica (si pensi ai
racconti di Gli ubriachi
e I vàgeri, ai romanzi
Parigi, Il figlio del pastore, Barba e capelli, senza
dimenticare il suo libro
più bello, Angiò uomo
d’acqua), le dinamiche
dell’uso della memoria,
e in particolare della
memoria applicata a visioni d’arte, assecondano volontà polemiche tese a suscitare intorno alla propria arte,
a lungo osteggiata e
fraintesa dai più, un
clima di ampio consenso. Ne risulta un profilo d’artista fortemente
divaricato, e nondimeno
fiducioso nella ininterrotta continuità del suo
progetto arte/vita fondato sulla stretta cooperazione di parole e
immagini.
«Il passato non è vile
- scrive Viani ad apertura -: quando i metafisici calcolatori si baloccavano intorno ai ma-
nifesti macchinosi della
‘Singer’ o trafficavano
a più imbelli illustrazioni io disegnavo quelle
scabre ed estreme figure
di lavoratori e di plebe
da cui trassi origine e
che amai e amo con devozione di figlio. / Chi
non li ricorda, venti,
trent’anni fa, questi disegni di turba rincorsa
dalle tragedie umane
confinati nei corridoi
delle esposizioni regionali, nazionali o internazionali! Mani anchilosate, piedi suppliziati,
teste inebetite. / [...] /
Non sarò trafitto sulla
croce del falso orgoglio
se affermo che quei disegni sono stati i più
nobilmente estremi e
rivoluzionari di quel
tempo accidioso e vilissimo». E la rassegna
continua: «Dopo gli uomini disegnai gli animali utili all’uomo; bovi,
ciuchi, pecore, quelli
che con i miei uomini
primi avevano tre parentele: la mansuetudine, la testardaggine,
la pazienza». Come al
principio dei tempi, uomini e animali si contendono nell’opera di
Viani il primato della
creazione; allestiscono
scenari da Genesi imperfetta scossa dall’urlo
espressionista, contraddetta ab origine nel suo
afflato creaturale dalla
prescienza del peccato
e della colpa. Uomini
e animali còlti nell’espressione di un comune dolore, associati
in un’unità di visione
che punta a superare le
Lorenzo Viani: Viareggio scomparsa (1905) Collezione privata
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apparenze visibili e restituire della realtà la
sua essenza misteriosa:
la sola realtà che modernamente, novecentescamente, può interessare un artista («La
materia non esiste che
trasumanata dallo spirito», sintetizza Viani,
facendo eco al comandamento simbolista).
La giovinezza “estrema
e rivoluzionaria” di
Viani, trascorsa fra milizia anarchica e adesione altrettanto precoce e convinta al credo
artistico, si lega a
un’emozione del reale
parimenti disposta all’invettiva e all’elegia:
un’emozione presto culturalizzata tramite l’auscultazione di testi iconici e letterari, e di cui
la grande tela Consuetudine (1907-1909) può
rappresentare, fin già
nel titolo, il manifesto
programmatico. Indice
sensibilissimo di questi umori iniziatici volti
al macabro e al grottesco, favorevoli ad accogliere le suggestioni del
postsimbolismo europeo in chiave di critica
sociale, è la serie degli
Uomini e rospi (19061907). «Nel tempo / prosegue Viani - congiunsi l’animale ragionevole / l’uomo / al rospo / al rospo interpretato come rivale dell’usignolo negli accordi
del crepuscolo: mondo
terribile, toni bassi e
intenzionali, mormorazione di colore, urlo
di dolore». Figurazione
emblematica della presenza dell’irrazionale
nel mondo, il rospo riflette l’animus paludoso
di questo Viani prima
maniera impegnato a
inventariare un cata-
logo versiliese e domestico di fiori del male,
propenso a proiettare
la sua fantasia goyesca
sull’osservazione impietosa di una realtà locale fatta di miseria, di
abbandono e di disperazione: la realtà da lui
assunta a categoria esistenziale, immagine di
uno stare nel mondo
precluso a qualsiasi ipotesi di riscatto e di salvezza.
Uomini e animali deformi nell’anima e nel
corpo, visioni di darsene invelate, collaborano a ridisegnare soggetti e sfondi di una
nuova civiltà dell’immagine, a un tempo sintetica e popolare, a cui
Viani si dedica con rinnovata sensibilità durante e dopo i suoi soggiorni a Parigi situabili
fra il 1908 e il 1912.
Un’esperienza per lui
fondamentale, dove il
ricordo della fame e delle
umiliazioni patite nella
città maledetta non rimuove la consapevolezza là definitivamente
acquisita, in una proficua presa di contatto
con le correnti più avanzate del rinnovamento
artistico europeo, del
proprio operare artistico. L’ispirazione libertaria e umanitaria
dell’artista viareggino
risponde adesso spontaneamente alle prerogative di una autentica
‘arte sociale’, cedendo
il criterio dell’oltranza
lessicale e stilistica a
quello dell’intensificazione primitivizzante.
Popolane distrutte dagli stenti e dalla fatica,
vecchi navarchi riarsi
dal sole e dal disagio di
vivere, ubriachi e ossessi, descrivono l’uni-
Lorenzo Viani: La moglie del marinaio (1912-15) - Collezione privata
verso figurale del maturo espressionismo vianesco, raccontano episodi di un’epopea marinara e contadina irreversibilmente contagiata dall’esperienza
della perdita e del lutto
anche quando celebra
coralmente - come avviene nelle grandi composizioni Benedizione dei
morti del mare (1914-16)
e Il Volto Santo (191315) - i riti di una religiosità ancestrale. Il popolo raffigurato da Viani
è ormai al di là della cronaca e al di là anche della
storia: un’entità mistica.
E l’avvio della pratica
xilografica, negli stessi
fervidi anni che precedono lo scoppio del
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conflitto mondiale, supporta con l’avallo di una
tecnica di tradizione secolare questa ricerca linguistica portata ai limiti dell’essenzialità e
della scabra icasticità.
«Le faccie scolpite - secondo il lapidario commento di Viani - colarono sangue e lacrime».
Ma neppure dal paesaggio a lui più caro e familiare, una terra, la
Versilia, chiusa fra mare
e monti che esibisce per
chi la abita le sue contraddizioni di Eden negato, giungono all’artista segnali di riconciliazione. «Il mio mare
- scrive Viani - è quello
che sa di pece, d’aringhe, di musciame, di
tonnina, il mare che
frange tra ripe lutulenti,
mare torbato dagli spurghi delle fiumare e delle
chiaviche. [...] / Non il
mare climatico, quella
tal lavanda d’ametista
e benzuino, bleu oltremare, e biacca stemprata col giallo canario.
Non ombrelloni parasoli. Quando appare,
nei miei dipinti, un ombrello è quello del pastore, verde incerato al
ramarro, o quello del
Viatico che fiorisce sul
pietrato di qualche aia
desolata»; e così le Alpi
Apuane, viste «non
come un copertone
d’impalpo cromatico
gonfiato d’alito rincotto
nella cisterna addominale, ma come vertebre
gigantesche e ciclopiche. Se Icaro precipitasse sopra qualunque
parte di un mio quadro
Apuano rimarrebbe
sempre infilzato».
Nella distribuzione dei
colpi contro l’ostracismo formalista dei
tempi passati e presenti,
non manca una sibillina allusione ai rapporti intrattenuti con
il futurismo: «Futurismo? Come recidivo
specifico dico: Si! / Non
ebbi il Crisma e non ho
ascoltato il canto del
gallo». Ciò significa che
il futurismo, a cui pure
proprio in questi anni
va qualche significativa
concessione (e molte
più da parte del Viani
scrittore in prosa e in
versi), è liquidato come
una tentazione respinta:
respinta al pari di altre
soluzioni d’avanguardia, cubismo in primis,
da chi aveva fatto la sua
avanguardia tra le fila
dell’internazionalismo
anarco-socialista restando poi sempre fedele a un’idea dell’arte
a forte valenza semantica. Un passato da sovversivo che l’omaggio
al mussolinismo affidato al ritratto del Duce
sembrerebbe avere rimosso - «Nella tavola
psicografica del Duce
ho voluto assommare
tutto il quid di virilità
e nerbo che in accorti
sottintesi, è in tutta la
mia pittura. La complessità della Sua anima
mi ha portato verso la
simultaneità psicografica» - e tuttavia in Viani
mai smentito dalla solidale partecipazione al
dramma della condizione umana che la realtà complessiva della
sua opera disegnata e
dipinta testimonia.
Nel luglio 1936, intro-
ducendo quella che sarebbe stata davvero la
sua ultima mostra, Viani
affermerà: «Quest’arte
è cominciata con lo studio degli animali utili
all’Uomo: il bue e
l’asino, che, in una stalla,
riscaldarono il nostro
Signore, e termina con
una deposizione dalla
Croce. Presepe e Golgota due argini in cui,
tra il mutevole accordo
degli elementi, s’addensa e tragitta la moltitudine della mia gente
eroica». Tra i due eventi
espositivi si situano gli
episodi dei pazzi di
Maggiano (1933-34)
ritratti da Viani durante
la sua degenza presso la
vicina casa di cura di
Nozzano per curare
l’asma. Viani e la follia,
tema che la mostra prevista per l’estate prossima a Viareggio promette di approfondire,
rappresenta di fatto il
tema dei temi per riprendere daccapo il discorso su questo artista,
un Maestro che ha fatto
della sua dolorosa rinuncia a capire l’annuncio e il programma della
responsabilità morale
dell’arte.
nicoletta mainardi
Lorenzo Viani: Peritucco col fiocco rosso (1916-18)
- Collezione privata
Lorenzo Viani: Vele rosse e gialle (1913-14) - Collezione privata