Internet: palestra di apprendimento costruttivista – di Marco

Transcript

Internet: palestra di apprendimento costruttivista – di Marco
Creative Commons Deed
Attribuzione - Non commerciale - Non opere derivate 2.5 Italia
Tu sei libero:
●
di riprodurre, distribuire, comunicare al pubblico, esporre in pubblico, rappresentare,
eseguire e recitare quest'opera
Alle seguenti condizioni:
●
●
●
Attribuzione. Devi attribuire la paternità dell'opera nei modi indicati dall'autore
o da chi ti ha dato l'opera in licenza.
Non commerciale. Non puoi usare quest'opera per fini commerciali.
Non opere derivate. Non puoi alterare o trasformare quest'opera, ne' usarla
per crearne un'altra.
●
●
●
Ogni volta che usi o distribuisci quest'opera, devi farlo secondo i termini di questa licenza, che va
comunicata con chiarezza.
In ogni caso, puoi concordare col titolare dei diritti d'autore utilizzi di quest'opera non consentiti da questa
licenza.
http://creativecommons.org/licenses/by-nc-nd/2.5/it/ (1 di 2)20/05/2007 22.46.16
Creative Commons Deed
●
Nothing in this license impairs or restricts the author's moral rights.
Le utilizzazioni consentite dalla legge sul diritto d'autore e gli altri diritti non sono in alcun modo
limitati da quanto sopra.
Questo è un riassunto in linguaggio accessibile a tutti del Codice Legale (la licenza integrale).
http://creativecommons.org/licenses/by-nc-nd/2.5/it/ (2 di 2)20/05/2007 22.46.16
Dopo più di due anni la casa editrice, nonostante i materiali siano andati in stampa, non ha ritenuto di
vincolarmi con nessun contratto in merito al diritto d’autore - e quindi al copyright.
Ritengo pertanto di essere nel giusto a ritenere di mantenere la piena paternità intellettuale dei materiali
medesimi e di sottoporli pertanto a licenza Creative Commons, Attribuzione - Non commerciale - Non opere
derivate 2.5 Italia - http://creativecommons.org/licenses/by-nc-nd/2.5/it/
Flessibilità dei supporti, dei processi, degli ambienti e dimensione progettuale dei percorsi
formativi – Marco Guastavigna
(pubblicato in “Ambienti di apprendimento e nuove tecnologie”, Erickson, 2007)
Antropologia e scrittura
“Calamo e tavolette di argilla costituiscono uno dei dispositivi più antichi, che serviva ai contabili
sumeri per tracciare i segni della scrittura «cuneiforme» (dal latino cuneus, chiodo). Non è giunto
fino a noi nessun esemplare di calamo, ma sappiamo che era di giunco o di legno, e che, sulla base
delle caratteristiche della scrittura cuneiforme, dovevano essercene di tre tipo: «triangolare», per
tracciare gli «angoli»; a «punta incavata», per tracciare i «chiodi»; a «punta rotonda», per tracciare
le cifre. Ogni dispositivo, l’insieme cioè di supporto e di strumento, il più antico come il più
moderno, funziona sulla base di un gioco di vincoli che provoca conseguenze non marginali sui
processi di scrittura e sullo stesso testo prodotto. L’argilla usata per la scrittura cuneiforme pone,
per esempio, dei pesanti vincoli spaziali e temporali. Lo scriba è costretto innanzitutto a calcolare in
anticipo la superficie che gli sarà necessaria. Nel caso di testi giuridici, questo vincolo assume un
rilievo particolare. La tavoletta con su inciso il contratto viene posta in un involucro di argilla sui
margini del quale sono impressi i sigilli dei testimoni. Il testo della tavoletta è inciso anche su
questo involucro, spessio in maniera più estesa ed esplicita grazie alla maggiore superficie
disponibile. I vincoli spaziali sono dovuti anche al legame meccanico tra superficie e spessore della
tavoletta. La taglia delle tavolette è necessariamente limitata da questo fattore: le più piccole non
vanno oltre la grandezza di un francobollo, le più grandi possono raggiungere fino ad una trentina di
centimetri di lato. L’effetto più evidente di questo limite di superficie è la necessità di segmentare
testi più lunghi per distribuirli su più tavolette numerate in sequenza. È il caso dell’epopea di
Gilgamesh, un testo arrivato fino a noi quasi nella sua interezza, che è composto di circa 3.500
versi, incisi su dodici tavolette di trecento versi ciascuna. Il vincolo temporale è costituito dal fatto
che l’argilla secca rapidamente. Esposta al sole, la tavoletta indurisce in poche ore, e va quindi
scritta preferibilmente di getto, tutta in una volta. Ripensamenti e correzioni sono possibili solo
finché l’argilla è molle. Servendosi dell’estremità piatta del suo calamo, lo scriba può levigare la
superficie e incidere il nuovo testo, ma le tracce della correzione sono in parte visibili, come
testimoniano le tavolette giunte fino a noi. Le correzioni più frequenti sono state osservate verso la
fine delle linee e ciò è legato alla consuetudine di giustificare il testo a destra, evitando la divisione
delle parole.” (Scavetta, 1992, pp. 12-14).
La citazione è certo molto ampia, ma riteniamo che assolutamente giustificata dal fatto che Scavetta
coglie e riassume in modo assai efficace una prospettiva antropologica sul rapporto tra dispositivi
e processi di scrittura. E siamo certi che un’adeguata riflessione su questi aspetti, quando si voglia
ragionare sulla progettazione di ambienti di apprendimento in chiave costruttivista, renda possibile
comprendere meglio e in modo davvero illuminante uno dei valori aggiunti fondamentali – se non
quello più importante in assoluto - che le tecnologie digitali possono fornire all’elaborazione
intellettuale e, di conseguenza, alla didattica. L’esempio scrittura sull’argilla rende lampante che
l’uso di una tecnologia implica condizioni di carattere materiale che possono dare luogo a profondi
vincoli sugli aspetti operativi e, quindi, sui processi cognitivi.
Dispositivi e processi di scrittura, nel passato
Dispositivi e processi di scrittura
Dalla riflessione “antropo-tecnologica” sull’argilla svolta nel paragrafo precedente, è ricavabile lo
schema di relazioni tra dispositivi e processi di scrittura definito in figura, che ha un valore di
carattere generale: ciascuno dei suoi elementi costitutivi è infatti un punto di vista da assumere per
analizzare le possibili varianti delle condizioni di scrittura (nell’accezione non solo di redazione di
testi, ma in quella più generale di elaborazione intellettuale), ovvero una delle componenti fondanti
della progettazione di un ambiente di apprendimento e, più in generale, di produzione culturale.
Introdurre cambiamenti nelle caratteristiche dei dispositivi di scrittura significa infatti innescare una
catena di modificazioni. Quello delle tavolette di argilla era un contesto tecnologico in cui il
processo di scrittura doveva fare i conti con due fattori, dimensioni e tempo di degrado del
supporto; l’impiego di altri tipi di supporto, soprattutto della carta, ha implicato il passaggio ad
ambienti di elaborazione intellettuale non del tutto decondizionati dalla prima variabile, ma sempre
più dalla seconda, soprattutto quando si è approdati alla carta, i cui tempi di degrado sono calcolati
in 70 anni circa! Riflettiamo ancora sul fatto che, mentre nella scrittura a mano e in quella (in realtà
ormai scomparsa) con le macchine da scrivere facciamo ancora pienamente i conti con la spazialità
del foglio di carta1, l’essere legati al tempo di degrado del supporto nel corso dell’elaborazione è
invece così lontano nel tempo storico da non aver lasciato alcuna traccia nella nostra
rappresentazione mentale del processo stesso: ciò che agli scriba su argilla appariva una fatica
obbligata, “connaturata” all’attività di scrittura (contribuendo probabilmente a motivare il fatto che
saper scrivere fosse un mestiere riservato a pochi, quando non un elemento di potere), è del tutto
scomparso dal nostro panorama cognitivo.
Dispositivi e processi di scrittura, nel presente
Le attuali generazioni sono coinvolte un momento foriero di profonde novità negli aspetti
tecnologici e, di conseguenza, di potenzialità operative e cognitive: l’affiancarsi al supporto
tradizionale, rigido, di quello digitale, la cui caratteristica di base è una sorta di provvisoria
immaterialità del prodotto. Questo libro, per esempio, prima di essere stampato, è passato attraverso
varie fasi. In particolare, prima di diventare “carta”, anche solo come prima bozza, esso è stato via
via realizzato con un programma di word processing, sfruttando il più possibile le opportunità della
scrittura digitale, in particolare il vantaggio di intervenire sul testo residente nella memoria del
computer e salvato sul disco rigido tutte le volte che ciò si rendesse necessario, per correggere o per
apportare variazioni anche impegnative, avendo la consapevolezza che non si sarebbe dovuto
“riscrivere” tutto l’insieme e che non si sarebbe in alcun modo ridotta la leggibilità del prodotto
scritto finale. Noi autori abbiamo consapevolmente utilizzato una strategia di perfezionamento
progressivo dell’opera, valorizzando di conseguenza anche il confronto ed i reciproci suggerimenti.
Andando oltre il caso specifico, ogni processo di scrittura su supporto digitale può diventare
profondamente flessibile, perché stiamo in qualche modo decondizionandoci anche dalla variabile
spazio. Ovviamente tale decondizionamento ha effetti sul processo, e non sul risultato finale. Nel
caso di tecnologie digitali che mantengono il loro orientamento produttivo alla carta, come
l’esempio già citato, un programma di word processing, il prodotto finale manterrà infatti le
caratteristiche formali tipiche della stampa, tanto è vero che la scelta “vincente” delle interfacce di
comunicazione uomo-macchina dei personal computer è stata quella basata sul concetto di
WYSWIG, "what you see is what you get", ovvero “ciò che vedi (sullo schermo, nella versione
provvisoria) è quanto otterrai (sulla carta, nella versione definitiva)”, basata proprio sulla
smaterializzazione e conseguente manipolabilità della pagina cartacea. Sono per altro previste
regole formali anche nel caso di tecnologie digitali la cui destinazione finale sia invece la
visualizzazione del lavoro dell’Autore da parte di un Lettore che condividerà con lui lo schermo di
un computer o un qualche surrogato dello stesso (dal videofonino alla videoproiezione): tutti gli
oggetti elettronici (presentazioni mediante diapositive, immagini animate, pagine web, video e così
via) fanno infatti i conti con le possibilità di visualizzazione dello spazio dato dallo schermo e
l’utente deve essere messo nelle condizioni di vedere e di capire.
1
Nello scrivere a mano, carta-e-matita, dobbiamo per esempio affrontare, come gli scriba su argilla, il problema
dell’andare a capo e quindi tuttora esercitare, nel corso del processo di scrittura, un controllo sulle dimensioni grafiche
delle parole, facendo ciascuno conti separati con la propria grafia!
Spazio di scrittura
Il condizionamento implicato dalla rigidità dello spazio in cui compiere il processo di scrittura è
così costante nei supporti tradizionali e di conseguenza così radicato nella nostra rappresentazione
dei processi di elaborazione scritta che aver dimenticato una parte o doverne cancellare un’altra o,
peggio ancora, dover ridefinire la disposizione complessiva dell’insieme, sono tuttora momenti
concepiti nell’“immaginario cognitivo” come falle difficilmente recuperabili, errori strategici, che
rischiano di compromettere in modo definitivo il complesso dell’operazione. Di conseguenza, quale
soluzione abbiamo fino ad ora teso a dare a questo problema? Affidarci alle capacità di governo,
progettazione, preorganizzazione della nostra mente. Una buona strategia di progettazione e di
strutturazione preliminari di un testo o di una qualsiasi forma di elaborazione intellettuale sono
infatti garanzia di una “stesura” efficace: insomma, non siamo andati molto al di là, in termini di
decondizionamento complessivo, dalle condizioni cognitive dello scriba su argilla, che doveva
scrivere tutto di un fiato quanto con ogni evidenza doveva aver pensato prima, magari facendo una
scaletta su un’altra tavoletta! In un caso e nell’altro lo schema operativo e cognitivo complessivo
più efficace ed ergonomico si presenta infatti tendenzialmente unidirezionale, dalla regia mentale
iniziale alla stesura finale, sul supporto rigido, come illustrato in figura.
Impiego tendenziale del supporto rigido
Bene. L’affiancarsi al supporto rigido tradizionale di quello digitale e flessibile, consente di
utilizzare uno schema operativo e cognitivo nuovo, che introduce consapevolmente una relazione
dialettica tra regia mentale e prodotto intellettuale nello stadio processuale dell’immaterialità, che
consente di procedere a consapevoli verifiche in progress, come di nuovo illustrato in figura.
Potenzialità del supporto flessibile
Fino ad ora abbiamo fatto ricorso ad esempi presi dall’ambito “scrittura di testi”, ma lo schema che
illustra le potenzialità del supporto flessibile è applicabile anche ad altre elaborazioni intellettuali.
La possibilità di scattare una fotografia digitale e di verificarne su monitor la corrispondenza o
meno con le intenzioni obbedisce infatti esattamente alla medesima logica. Non a caso questa
procedura sta sostituendo, in questo caso anche con un abbattimento dei costi, l’abitudine dei
fotografi di moda di scattare una o più immagini con macchine a sviluppo immediato per avere
un’idea dell’efficacia della posa, delle scelte relative alle luci e così via, prima di lavorare con la
fotocamera professionale, procedura che introduceva a sua volta una distinzione tra prodotto
provvisorio e definitivo.
Flessibilità propedeutica: un’occasione per la didattica
Crediamo di aver chiarito esaurientemente come le trasformazioni operative conseguenti
all’introduzione del supporto digitale possano modificare le dinamiche e di conseguenza le strategie
dell’elaborazione intellettuale in termini generali. Vediamo ora come questa nuova situazione si può
riflettere sull’attività didattica. Già nelle prime fasi di riflessione sulle valenze formative delle
tecnologie informatiche, Calvani individuava nel “draft progressivo”, cioè nella possibilità di
vedere il proprio una potenzialità importantissima per la formazione (Calvani, 1989 p. 73). Da
allora sono passati quasi vent’anni, ma il concetto è più che mai centrale e fondante. Ha anzi esteso
il suo valore, perché nel frattempo da una parte sono cresciute in modo esponenziale le capacità di
lavoro dei computer e dall’altra sono stati ingegnerizzati e messi a punto ambienti digitali e
flessibili corrispondenti a pressoché tutte le attività di elaborazione intellettuale. Considerata anche
la significativa riduzione contestuale dei costi di macchinari e programmi, possiamo estendere
l’idea di una didattica fondata su strategie per prova e verifica, ovvero per ipotesi e conferma o
negazione, rese possibili dal procedere per progressivi perfezionamenti dalla scrittura di testi
(Guastavigna, 2005, p. 62) all’insieme dei percorsi didattici perché ogni elaborato è concepibile
come prodotto plastico, su cui si possono operare successivi cambiamenti, quando è necessario sulla
base di indicazioni e consigli degli insegnanti. Migliorare la propria elaborazione in progress,
essendo fin dalla partenza del processo, consapevoli di poterlo (e doverlo) fare, coincide infatti
sostanzialmente con la pratica di attività propedeutiche, attraverso le quali imparare
progressivamente le tecniche e i metodi migliori per raggiungere i diversi obiettivi dei percorsi
formativi di volta in volta affrontati. Acquisire in modo completo e attivo una strategia di questo
genere, da usare in modo ricorsivo, ovvero quando le circostanze formative propongono una “novità
cognitiva”, per arrivare al consolidamento ed all’empowerment effettivo, permette infatti ogni volta
di valorizzare momento per momento ciò che ciascuno effettivamente sa fare e conosce, in piena
coerenza con un’impostazione costruttivista della didattica. Potremo infatti acquisire un metodo
rigoroso di realizzazione delle mappe concettuali a partire dalla consapevolezza di poter in ogni
momento intervenire sul nome dei concetti e delle relazioni, sulla loro posizione assoluta e relativa;
allo stesso modo potremo operare calcoli e più in generale sperimentare diverse procedure di
soluzioni di problemi dati fino a trovare ciò che davvero ci convince; oppure potremo “sfogliare” le
diverse opportunità di rappresentazione grafica formale che ci permettono i moduli aggiuntivi dei
fogli elettronici o i programmi di schematizzazione fino a trovare quella che meglio corrisponde ai
nostri bisogni di comunicazione e raffigurazione di fenomeni; e poi potremo disegnare, anche
oggetti molto complessi, realizzare progetti, fumetti, filmati, manipolare musica e suoni in genere,
simulare situazioni e modelli e così via, sempre adottando, tutte le volte che si renda necessario una
strategia per ipotesi e verifica, con valenza esplorativa e propedeutica. Le generazioni attuali hanno
insomma l’occasione di affrontare con strumenti davvero promettenti una sfida socioculturale
veramente importante, che ci differenzi il più possibile dal mondo degli scriba. Siamo nelle
condizioni tecnologiche e materiali utili a far apprendere operazioni e processi cognitivi atti rendere
l’elaborazione intellettuale meno faticosa e contemporaneamente più produttiva e condivisa,
rendendola sempre meno un mestiere riservato e sempre più un diritto diffuso, un elemento sempre
meno di potere e sempre più di democrazia e di partecipazione. Uno degli elementi che ci rende
ottimisti sul piano antropologico è il fatto che adulti e giovani hanno l’occasione di crescere
insieme, di apprezzare insieme, a partire da esperienze comuni sul piano cognitivo, le nuove
condizioni di elaborazione intellettuale: avere competenze tecnologiche pienamente valide sul piano
della cittadinanza nella società della conoscenza significa, in estrema sintesi, sapere quali ambienti
digitali possono essere vantaggiosi nelle differenti situazioni conoscitive, quali ne siano gli oggetti
costitutivi e quali siano le procedure per modificare, se necessario progressivamente, le loro
proprietà, fino a raggiungere in modo efficace ed il più compiuto possibile i propri obiettivi. E
insegnanti e allievi del terzo millennio hanno l’occasione di costruire, insieme, ambienti di
apprendimento utili a questa finalità.
Centralità della progettazione collegiale
La scelta di analizzare le tecnologie digitali dal punto di vista delle opportunità che esse danno
all’apprendimento ha alcune implicazioni che non vanno taciute. Esclude che sia prioritario fare
delle tecnologie in quanto tali un oggetto di apprendimento. Nella scuola italiana è in realtà però
molto diffuso il modello dell’European Computer Driving License. È bene chiarire che l’idea che lo
scopo degli allevi sia il conseguimento di tale certificazione è assolutamente estranea al filo di
ragionamento che stiamo seguendo. Si tratta infatti di un percorso di tipo addestrativo, centrato
sulle tecnologie e non sulle persone, in piena contraddizione con uno dei principi fondamentali
dell’impostazione costruttivista, ovvero agganciare quello che le persone sanno, i modelli del
mondo e delle cose che si sono costruiti. L’ECDL funziona infatti su base prescrittiva,
disinteressandosi delle conoscenze già in possesso degli allievi ed anzi azzerandole, in nome del
rigore autoreferente del lessico e dei concetti tecnologici in quanto tali.
Nel paragrafo precedente abbiamo invece parlato di strumenti molto promettenti sul piano
socioculturale, in grado di fornire valenze di grande importanza complessiva e strutturale alla
progettazione di ambienti di apprendimento di tipo costruttivista. Ed abbiamo fatto, molto
rapidamente, alcuni esempi di attività conducibili con le strumentazioni digitali. Ciascun lettore è in
grado certamente di farne altri. Ora dobbiamo affrontare un problema forse inizialmente imprevisto,
ovvero la sovrabbondanza, l’eccesso di opportunità. Le attività che si possono svolgere con le
tecnologie digitali, e di conseguenza i percorsi formativi e gli ambienti di apprendimento che si
possono progettare ed apprestare sono moltissimi. Le risorse infrastrutturali, economiche,
professionali e temporali delle diverse unità scolastiche invece no. È utile quindi capire che la
progettazione relativa all’uso delle tecnologie digitali nel concreto dell’attività delle varie scuole
deve assumere dimensione collegiale: non è più sufficiente affidarsi all’iniziativa dei singoli
insegnanti. La progettazione e la messa in atto di ambienti di apprendimento che impieghino le
tecnologie saranno tanto più efficaci quanto più saranno il frutto di un’attenta analisi di tre fattori,
alla ricerca delle migliori intersezioni:
- priorità individuate dal piano
dell’offerta formativa, sia dal
punto di vista del recupero delle
difficoltà sia dal punto di vista
della
valorizzazione
delle
eccellenze;
- risorse
infrastrutturali,
professionali ed economiche
effettivamente
in
possesso
dell’unità scolastica;
- vantaggi didattici trasversali e
particolari
dei
differenti
programmi digitali.
Le pagine che seguono vogliono
pertanto essere una guida in questa
direzione: esse riportano infatti in modo
sistematico
riflessioni,
concettualizzazioni e materiali di lavoro
relativi a esperienze e prospettive di
attività
didattica
imperniate
su
programmi specifici e riguardanti campi
di conoscenza definiti.
Bibliografia
Calvani A., "Dal libro stampato al libro multimediale", La Nuova Italia, Firenze, 1990
Calvani A. (a cura di), "Scuola, computer, linguaggio, Loescher, Torino, 1989
Cardona G.R., “Antropologia della scrittura”, Loescher, Torino, 1981
Cardona G. R., “I linguaggi del sapere”, Laterza, Roma-Bari, 1990
Fiormonte D., Cremascoli F., "Manuale di scrittura", Bollati Boringhieri, Torino, 1998
Gaur A., “La scrittura. Un viaggio attraverso il mondo dei segni”, Edizioni Dedalo, Bari, 1997
Guastavigna M., "Scrivere con il computer", Edizioni Formazione '80, Torino, 1994
Guastavigna M., Perino O., Rosso L., "Imparare con il digitale. Computer e Internet per arricchire
gli apprendimenti", Carocci, Roma, 2005
Romei P., “Autonomia e progettualità, La Nuova Italia, Scandicci, 1995
Romei P., “Guarire dal mal di scuola", La Nuova Italia, Scandicci,1999
Scavetta D., "Le metamorfosi della scrittura. Dal testo all’ipertesto", La Nuova Italia, Firenze, 1992
Zinna M., "Le interfacce degli oggetti di scrittura. Teoria del linguaggio e ipertesti:" Meltemi
editore, Roma, 2004
Internet: palestra di apprendimento costruttivista – di Marco Guastavigna
(pubblicato in “Ambienti di apprendimento e nuove tecnologie”, Erickson, 2007)
Sociologia dell’innovazione
“In definitiva, il processo innovativo consiste in una stabilizzazione di relazioni tra le diverse
componenti di un artefatto, da un lato, e fra i vari attori dell’attività tecnologica dall’altro. Il quadro
socio-tecnico ordina le differenti relazioni e permette l’adeguamento fra le azioni individuali.
Contrariamente a ciò che si è sempre pensato, l’innovazione non è la somma di un geniale eureka e
di un processo di diffusione. Al contrario, essa è l’incontro di storie parallele, adeguamenti
successivi, confronto e negoziazione, riduzione dell’incertezza. Un processo di stabilizzazione che
riguarda tanto il funzionamento operativo della macchina quanto gli usi, tanto i progettisti quanto i
fruitori, tanto i produttori, quanto i venditori” (Flichy,1996, p. 242). La citazione riassume con
grande efficacia il nodo centrale della visione sociologica a proposito dell’innovazione tecnologica.
Essa mette in discussione con estrema lucidità il modello epidemiologico della sua diffusione, frutto
di un’ingenua versione determinista dei processi innovativi, che individua come solo paradigma di
riferimento dei processi innovativi le caratteristiche degli oggetti tecnologici così come sono stati
ingegnerizzati, e gli contrappone il modello negoziale, secondo il quale il quadro d’uso di una
tecnologia si va determinando nella dialettica sociale tra quadro di funzionamento tecnico previsto
dai progettisti e dai produttori ed impieghi effettivi da parte dei fruitori.
Il caso più significativo di
tecnologia della comunicazione
ingegnerizzata con obiettivi definiti
in modo molto preciso ed utilizzata
quasi all’opposto è il telefono:
pensato
come
tecnologia
dell’emergenza, tanto che i primi
contratti proibivano in modo
esplicito le chiacchiere, è divenuto
a tutti gli effetti, in virtù appunto
degli effettivi comportamenti d’uso
dei suoi fruitori, tecnologia della
conversazione. (Fischer, 1994;
Marvin, 1994; Ottaviano, 1997).
Il modello negoziale è però
applicabile anche al personal
computer: pensato come tecnologia
per
specialisti
del
settore
informatico, da impiegarsi per la
produttività personale, è diventato
tecnologia di massa, destinata al lavoro di gruppo, alla comunicazione e perfino all’intrattenimento1
domestico.
Adottare la prospettiva sociologica dell’innovazione tecnologica come frutto di negoziazione per
riflettere sul rapporto tra insegnanti e rete digitale ci sembra davvero fondamentale. In primo luogo,
infatti, è in piena coerenza con una visione costruttivista dei processi cognitivi individuali nel
sottolineare l’importanza di quanto è già in possesso del soggetto nella relazione con “nuovi”
materiali di apprendimento: sono conoscenze pregresse, obiettivi, scelte, azioni, in sintesi le
“cognizioni sociali” con cui i fruitori si accostano al quadro di funzionamento di “nuovi” oggetti
tecnologici, a concorrere a determinarne il quadro d’uso collettivo. In secondo luogo, funge da
antidoto contro l’infiltrazione sul piano teorico di una visione ingenua delle potenzialità delle
1
Il fenomeno dei videogiochi parla da solo. Ma non è un caso che mentre scriviamo sia sempre più evidente il processo
di fusione tra computer e televisione: dalla possibilità di acquistare il campionato di calcio attraverso la propria
connessione Internet a banda larga al concetto di “Media center”.
tecnologie della comunicazione e della informazione, svelando quanto sia ingiustificata la frequente
tendenza a visioni deterministe anche sul versante pedagogico e della progettazione didattica. Si
oscilla tra una versione di profilo più basso, attenta solo sul quadro di funzionamento (“Le
tecnologie digitali introducono in sé innovazione e quindi bisogna imparare ad usarle per quello che
sono.2”) ad un’illusoria palingenesi formativa globale, dove le tecnologie sono concepite quale
titanico grimaldello destinato a scardinare in modo totale la tradizione scolastica (“Internet e le TIC
rendono priva di senso ogni lezione frontale, ogni attività di apprendimento centrata
sull’insegnamento. La funzione della scuola attuale è venuta meno.3”). In terzo luogo, ci consente di
assumere, per quanto riguarda la pratica didattica, un punto di vista critico ma inclusivo, lontano
cioè da ogni atteggiamento prescrittivo: non proclameremo infatti la correttezza assoluta di una
qualche attività formativa e la conseguente assoluta inadeguatezza di altre, perché ciascuna singola
scelta d’uso, anzi, ha concorso e concorrerà validamente a costruire l’insieme delle prassi. Infine e
soprattutto, costituisce una chiave di lettura molto utile per comprendere quanto effettivamente
avvenuto in questi anni nella scuola del nostro Paese, in particolare per quanto riguarda l’uso di
Internet e quindi per fondare l’asse di ragionamento che costituirà il prosieguo del capitolo: non
possiamo infatti continuare a pensare di essere nella fase iniziale dell’introduzione delle tecnologie
della comunicazione e dell’informazione (TIC) ed a formulare ipotesi che non facciano i conti con
il quadro d’uso autentico. Così facendo, saremmo infatti in contraddizione piena con i presupposti a
cui ci riferiamo, dal punto di vista sia psicologico sia sociologico.
Una fase matura, dal punto di vista infrastrutturale
Nel tessuto socio-culturale generale le TIC hanno avuto negli ultimi anni una grandissima
diffusione. Pensiamo per esempio all’attuale capillare presenza nelle aziende, nelle istituzioni, nelle
università e nei centri di ricerca, presso molte utenze domestiche e pure presso molte scuole, anche
se non ancora in tutte, delle connessioni alla rete in banda larga4, le cui prime sperimentazioni
tecniche risalgono soltanto al 1999. La banda larga (soprattutto se associata ad una “tariffa piana 5”)
ha una potenzialità su cui vale la pena di riflettere: rendere del tutto indifferente dal punto di vista
operativo e cognitivo l’impiego di risorse a distanza o presenti sul PC locale. Nello stesso tempo la
sua fruibilità costituisce la discriminante fondamentale perché ciò sia effettivamente possibile. Non
sarebbe pertanto possibile (né onesto) presentare allo stesso modo le potenzialità formative delle
TIC ai colleghi di una scuola fornita di un’infrastruttura ricca ed a quelli di una scuola che soffra
2
Ci riferiamo a tutte le prospettive di formazione infotelematica fondata su concetti e percorsi autoreferenti, di pura
descrizione delle funzionalità degli strumenti, in primo luogo l’European Computer Driving License in tutti i suoi
livelli.
3
Si tratta di una posizione totalizzante, da noi resa con una sintesi forse un po’ brutale, ma molto diffusa. Sono
sostanzialmente su una posizione di questo genere Antinucci, 1999, Antinucci, 2001 e Parisi 2000. Agli “integrati” si
oppongono per altro anche in questo caso gli “apocalittici”, per esempio Postnam, 1993, Simone, 2000, Stoll, 2001
accomunati agli antagonisti dal bisogno di ricondurre le considerazioni ad un “unicum” concettuale, assolutamente
positivo in un caso, affatto negativo nell’altro.
4
Per “banda larga” si intende una tecnologia di connessione ad Internet che consenta il transito dei dati a velocità
elevata. L’effetto più significativo per l’utente sono la rapida comparsa delle pagine Internet richiamate, un uso veloce
della posta elettronica, la possibilità di scaricare dalla rete materiali anche di grandi dimensioni in tempi accettabili e di
fruire di filmati. Al momento le tecnologie di questo genere più diffuse sono le linee ADSL e quelle a fibre ottiche.
Sempre più spesso alla “banda larga” si associano tecnologie Wireless (“senza fili”), che permettono di collegare i
computer alla rete senza ricorrere a cavi.
5
Per tariffa piana (flat) si intende il pagamento di un abbonamento fisso (mensile, bimestrale, annuale) per la propria
connessione, indipendentemente dal tempo di collegamento o della quantità di dati in transito. È una forma di contratto
possibile anche per le connessioni non ad alta velocità (linea telefonica “normale” o ISDN), ma si combina ovviamente
meglio con la banda larga: è infatti la somma delle due condizioni a rendere possibile la visione delle risorse a distanza
come strumenti equivalenti a quelle presenti sul nostro PC o sulla rete locale ed a consentire di pensare davvero di fruire
di corsi a distanza, di interagire con comunità di lavoro e di apprendimento, di pubblicare materiali propri sfruttando
interfacce e “piattaforme” condivise attraverso Internet.
dell’assenza nella sua zona di tecnologie analoghe6. Nel primo caso l’uso di Internet può essere
visto, individualmente e socialmente, come un fatto ordinario; nel secondo caso conserverà a
ragione aspetti di straordinarietà: per decidere di aspettare davanti ad un monitor un bel po’ di
tempo, magari pagando in proporzione7, si deve avere una buona garanzia che ciò che troveremo in
rete sia davvero utile e significativo e che non esistano modi alternativi meno costosi per venirne in
possesso. Non a caso, le proposte di attività didattiche che costituiscono l’ossatura del volume
terranno conto in modo molto preciso di questo fattore.
Una fase matura, dal punto di vista istituzionale
Sperimentazione Multilab
“A differenza di quello che avviene in altre sperimentazioni in questo progetto i contenuti
disciplinari e gli specifici obiettivi di apprendimento non sono stabiliti a priori, ma saranno scelti
dalle singole scuole. Si intende in questo modo utilizzare tutto il potenziale applicativo delle
Tecnologie Didattiche dovuto alla loro intrinseca universalità, ma si intende anche permettere che
tale potenziale si esplichi, caso per caso, nei modi possibili sulla base della disponibilità e
dell'interesse dei docenti e degli studenti. La sperimentazione, cioè, funzionerà come un
"contenitore" solo parzialmente strutturato, nell'ambito del quale potranno avere luogo eventi
didattici differenziati. È quindi necessario formulare le ipotesi che stanno alla base della
sperimentazione in una forma generale che metta in evidenza il nesso fra l'uso delle tecnologie ed
alcuni grandi aspetti della didattica. In particolare si possono identificare tre aspetti principali: gli
apprendimenti ed i modelli culturali, i curricoli, l'organizzazione del lavoro didattico.” (Documento
di base della sperimentazione MULTILAB8). La citazione contiene il nucleo concettuale
fondamentale del “Progetto Multilab”, prima tappa di un’ampia iniziativa del Ministero
dell’Istruzione del nostro Paese sull’uso delle TIC nella didattica, sviluppatasi per un decennio a
partire dal 1995, il Programma di Sviluppo delle Tecnologie Didattiche.
Le caratteristiche del progetto sono chiarite molto bene mentre esso è in pieno corso: “Il progetto
Multilab interessa 141 scuole che sono (e già questo è l’elemento innovativo) di ogni ordine e
grado: 20 materne, 40 elementari, 40 le medie, 40 superiori. Non si è settorializzato l’aspetto
dell’informatica verso le scuole che fino ad adesso l’avevano maggiormente privilegiato (le
tecniche e le professionali). Sono interessate 7 scuole per ognuna delle 20 città prescelte: sono città
medio/piccole, ma anche alcune grandi (Napoli, Milano, Torino), con una certa vivacità di
iniziative. È finalizzato a costituire aule multimediali per la didattica, cioè la scelta è quella di
entrare con la tecnologia nell’aula e nella didattica quotidiana, non stiamo cercando di mettere in
piedi altri laboratori. Il laboratorio è una cosa ottima, ma comporta di solito qualcuno che ne ha la
chiave (in tutti i sensi, sia la chiave per chiuderlo, sia quella per manovrarlo, perchè è capace di far
funzionare le macchine). Invece noi pensiamo che questa introduzione dell’informatica abbia un
qualche ritorno soprattutto se gli insegnanti ripensano a un ritorno dell’attività didattica quotidiana
attraverso l’utilizzo del computer e del software a disposizione, utilizzando i mezzi che ci sono9”.
L’informatica non entra nella scuola come oggetto di apprendimento, ma come strumento
trasversale: essa è anzi concepita come potenziale dimensione multimediale della conoscenza e
6
La possibilità di attivare connessioni a banda larga dipende dalle condizioni dell’infrastruttura di connessione della
zona in cui si risiede. Al momento ci sono zone del nostro Paese che sono escluse da questa possibilità, tipicamente le
zone di montagna o a bassa densità abitativa, per le quali non vi è interesse da parte dei gestori dei servizi a compiere
gli investimenti tecnologici ed economici necessari.
7
Ci riferiamo alle tariffe “a consumo”, contratti in base ai quali l’utente paga in funzione del tempo di connessione (e,
sempre più raramente) in rapporto alla quantità di dati in transito.
8
Il testo completo del documento è visibile in http://www.alphacentauri.it/testi/normativa/multilab.htm
9
Dall’intervento dell’ispettore Sergio Vigiani “"Multimedialità e reti di comunicazioni nel sistema scolastico italiano:
opportunità per i disabili?" (http://www.handimatica.it/Handi1997/Convegni97/integrazione/vigiani.htm) nel Convegno
HANDImatica ’97, "La tecnologia per favorire l'integrazione scolastica: la formazione dei docenti", Bologna, 30
gennaio-1 febbraio 1997
dell’apprendimento. Le scuole prescelte appartengono a tutte le tipologie e sono di differenti zone
del Paese, in modo da verificare fattibilità ed efficacia di ipotesi di modificazione dell’attività
didattica ordinaria tra loro diverse, il più possibile coerenti con le esigenze dei diversi contesti,
anche se tutte riconducibili agli assi. Non dobbiamo dimenticare che siamo prima della scuola
disegnata dai provvedimenti relativi all’autonomia e che quindi la strada della definizione in prima
persona di progetti e di percorsi di formazione è assolutamente pionieristica. Per questa ragione e
per il fatto che il monitoraggio10 del progetto avvenne ed ebbe diffusione dopo che fu in realtà
avviata la seconda fase del Progetto di Sviluppo delle Tecnologie Didattiche, a far sì che per il
patrimonio pedagogico nazionale Multilab non sia del tutto un’occasione sprecata restano più le
parole-chiave (uso trasversale della multimedialità, modificazioni della didattica quotidiana,
verifica della fattibilità e dell’efficacia, progettazione variabile a seconda delle esigenze di
contesto), che l’analisi dei risultati. È poi necessaria un’altra osservazione, su cui riflettere a fondo:
in quegli anni la presenza di un collegamento Internet nelle scuole era ancora fatto assolutamente
eccezionale, e quindi per la diffusione dei risultati della sperimentazione venne scelta la forma
tradizionale, ovvero la stampa: questa fu certamente un’altra ragione per cui pochissimi vennero a
conoscenza non solo del contenuto dei rapporti di monitoraggio, ma persino della loro esistenza.
Programma di Sviluppo delle Tecnologie Didattiche 1997-2000
“Come già stato ampiamente pubblicizzato, anche attraverso dirette informative, questo Ministero
ha adottato un Programma di Sviluppo delle Tecnologie Didattiche nel periodo 1997-2000
finalizzato a porre tutte le istituzioni scolastiche in condizione di elevare la qualità dei processi
formativi attraverso l’uso generalizzato delle tecniche e delle tecnologie multimediali. Il
programma quadriennale - che qui si acclude e del cui testo si raccomanda attenta lettura- si pone
due obiettivi prioritari. Il primo (progetto Ia) rivolto agli insegnanti attraverso un’azione
generalizzata di formazione e la creazione in ogni scuola di "postazioni" multimediali di lavoro ad
essi riservate ; il secondo (progetto Ib) finalizzato all’utilizzo della multimedialità
nell’insegnamento di tutte le discipline.” (CM 282/97; Programma di sviluppo delle tecnologie
didattiche – di seguito PSTD11). La citazione raccoglie il senso complessivo del passo successivo
all’avvio di Multilab, annunciato il 24 aprile 1997 dal Ministero della Pubblica Istruzione, ovvero il
finanziamento di percorsi di formazione e di spazi infotelematici per l’orientamento e
l’esercitazione degli insegnanti da una parte, per l’uso delle TIC nella didattica dall’altra. Si trattava
quasi di un’inversione di tendenza rispetto a Multilab, o almeno di un’accelerazione: senza infatti
che fosse stata se non avviata certo pubblicizzata alcuna forma di verifica della fattibilità e
dell’efficacia dell’uso della multimedialità nei percorsi formativi, si sollecitavano tutte le scuole del
territorio nazionale ad attivarsi per definire progetti in funzione dei possibili finanziamenti. Fu un
periodo molto particolare, in cui, in assenza di principi pedagogici consolidati e di criteri certi ed
espliciti per la valutazione dei progetti12, si assistette da una parte al fiorire di ipotesi di vario genere
e natura, dall’altra, molto spesso, all’evidente, anche se ufficialmente mai ammessa né tanto meno
dichiarata, incapacità delle articolazioni locali della pubblica amministrazione di andare al di là,
nell’entrare nel merito dei progetti stessi, di indicatori quali la dimensione dell’unità scolastica e la
certezza del suo futuro13. Il “Rapporto di monitoraggio sul primo anno del PSTD” pubblicato nel
199914, e quindi nuovamente in ritardo per costituire davvero un feedback significativo per le
10
I questionari di monitoraggio furono distribuiti infatti nell’a.s. 1997/1998
(http://archivio.invalsi.it/archivio/ricerche/progetti-descrizioni/mosm.htm) e i risultati sono raccolti in Bolletta, 1998
11
Il testo completo del documento e gli allegati sono disponibili in http://www.alphacentauri.it/testi/normativa/cm_28297.htm
12
I progetti della tipologia 1b erano destinati alle scuole con esperienze, espressione assolutamente vaga e sulla base
della quale qualsiasi scala di valutazione non poteva essere frutto che di incerta soggettività dei valutatori, e non certo
per colpa di questi ultimi.
13
La prima fase del PSTD coincise infatti, oltre che con l’avvio dell’autonomia didattica e organizzativa, con i processi
di razionalizzazione del numero delle unità scolastiche, che videro soppressioni e fusioni di scuole.
14
Il testo completo del documento è ora disponibile in http://www.edscuola.it/archivio/statistiche/1a1b_99.html
decisioni successive alla prima tornata di finanziamenti, è molto articolato e molto significativo per
comprendere le difficoltà concettuali sottese all’insieme dell’operazione. In assenza di ipotesi
pedagogiche fondanti, infatti, si assiste ad una netta separazione dei diversi assi di indagine:
- caratteristiche anagrafiche e culturali della popolazione indagata;
- tipologie di scuole;
- competenze all’inizio ed alla fine dei percorsi di formazione;
- campi disciplinari coinvolti nei progetti didattici;
- implicazioni metodologiche dell’uso delle TIC;
- uso effettivo delle TIC nella didattica.
Il monitoraggio consente certamente una serie di confronti autoreferenti tra le diverse realtà
scolastiche, ma non è assolutamente in grado di sintetizzare alcuna indicazione sulla effettiva
valenza formativa dell’uso delle TIC, sia sul versante degli allievi sia su quello degli insegnanti.
L’uso di Internet, in particolare, è descritto puramente in termini di accesso e di conoscenze relative
al quadro di funzionamento. Più in generale, le variabili metodologiche sono analizzate in modo del
tutto distinto dall’impiego delle tecnologie e non vi è alcuna valutazione dei vantaggi formativi, dei
valori aggiunti (o meno) dall’uso degli ambienti digitali nell’apprendimento.
C’è stato chi, come Peresson, ha messo già nel 1998 in discussione l’intero impianto culturale del
progetto: “Non che il Pstd fosse esente da limiti e difetti: concentra la spesa unicamente
sull'hardware trascurando la creazione di una «biblioteca» di prodotti editoriali; concepisce lo
sviluppo di un piano di diffusione delle tecnologie didattiche separato e distinto dalla creazione
nella scuola di un centro di documentazione (biblioteca) perdendo un'opportunità che difficilmente
potrà riproporsi, come mostra l'indagine sulle biblioteche scolastiche condotta nei mesi scorsi dalla
Bdp (G. Peresson, Se queste sono biblioteche, «Giornale della Libreria», 111, 7-8, p. 00-00); risulta
assente qualunque indicazione formativa per gli insegnanti in merito ai problemi del diritto d'autore;
scambia pericolosamente l'uso della multimedialità con la realizzazione di prodotti multimediali;
ecc. Ma il Pstd ha avuto se non altro il merito di affrontare un problema strutturale: come non si può
pensare diffondere il piacere della lettura negli studenti, o di fare didattica della biblioteca, senza
libri e senza biblioteca, così non si possono diffondere le nuove tecnologie e nuovi prodotti per la
didattica multimediale senza hardware adeguato, che di fatto mancava nella scuola italiana.” 15. Noi
non siamo così negativi. Ci preme piuttosto segnalare che tra l’impostazione di Multilab e del
PSTD e le modalità con cui è condotto il monitoraggio vi è uno scarto, se non una contraddizione: i
progetti del Ministero si rivolgono infatti alle scuole, il monitoraggio le considera per quanto
riguarda le dotazioni hardware o la collocazione geografica, ma per quanto concerne le questioni
più direttamente didattiche preferisce rivolgersi all’insegnante come singolo. Questa tendenza, il
passaggio dalla dimensione collettiva e collegiale alla professionalità individuale trova il suo
coronamento nel progetto che prenderà il nome di ForTic.
ForTic, Piano Nazionale di Formazione sulle Competenze Informatiche e Tecnologiche del
Personale della scuola
Annunciato dalla C.M. 55 del 21 maggio 200216, realizzato concretamente sull’intero territorio
nazionale a partire dall’anno scolastico successivo, il piano ForTic è certamente la vicenda più
importante per quel che riguarda la questione di cui ci stiamo occupando, ovvero il rapporto tra
insegnanti ed Internet. Gli obiettivi del progetto sono molto chiaramente definiti: si tratta di formare
due figure specialistiche da una parte e di dare l’occasione di conoscere l’informatica di base a
quanti più insegnanti possibile dall’altra. Per le figure specialistiche si prefigurano due percorsi
distinti, il cosiddetto percorso B, destinato a costruire figure che eserciteranno funzioni di
counseling per quanto riguarda l’uso didattico delle TIC, ed il cosiddetto percorso C, distinto
ulteriormente a seconda del livello di specializzazione in C1 e C2, centrato su competenze di
gestione ed amministrazione di sistemi e di reti. L’informatica di base è oggetto del percorso A. Le
15
16
Il testo completo dell’intervento è leggibile in http://www.aie.it/mercati/visualizza.asp?ID=21
Il testo completo è disponibile in http://monfortic.invalsi.it/normativa/circ55.htm
iscrizioni di tipo B17 e C18 devono essere il frutto di designazioni dei dirigenti scolastici, sentiti i
collegi dei docenti, le altre sono affidate alla libera iniziativa degli insegnanti. Il MIUR 19 investe in
questa operazione i fondi provenienti dall’operazione di concessione delle licenze UMTS, in
coerenza con le deliberazioni in proposito del Consiglio dei Ministri e degli accordi comunitari
sull’e-government. Per l’occasione sono mobilitati a pieno ritmo i due più importanti enti
strumentali di natura culturale del MIUR medesimo, ovvero l’Istituto nazionale per la valutazione
del sistema di istruzione e di formazione (INVALSI – ww.invalsi.it) e l’Istituto nazionale di
documentazione per l’innovazione e la ricerca educativa (INDIRE – www.indire.it). Al primo sono
affidati il monitoraggio e di conseguenza le procedure di iscrizione dei corsisti, al secondo la
preparazione della piattaforma per l’erogazione della formazione20, in particolare sulla base del
fatto che l’INDIRE ha esperienza diretta, dal momento che ha già sviluppato corsi di formazione a
distanza via Internet rivolti agli insegnanti neo-assunti su Puntoedu nell’anno scolastico 2001-2002.
“Puntoedu è l'ambiente di apprendimento studiato da Indire per la formazione in rete. Utilizza una
metodologia di blended e-learning: la formazione online e gli incontri in presenza sono parte di un
unico percorso per l'utente in apprendimento. Puntoedu sperimenta una strategia didattica centrata
sul learning by doing. Carattere originale dell'ambiente è rappresentato dalla centralità dello
"studente" piuttosto che degli oggetti didattici. Per metodologia e architettura è un ambiente
collaborativo nel quale gli utenti possono comunicare, condividere e confrontarsi su esperienze
didattiche, lavorative e di ricerca con colleghi ed esperti.”21. Siamo insomma ad una svolta cruciale:
da una parte è definita con nettezza la differenza tra uso delle TIC per la gestione e l’organizzazione
della scuola (percorsi C) e per la didattica (percorsi B); dall’altra e soprattutto, molti docenti
vengono cooptati in situazioni di apprendimento diretto riguardante le risorse digitali in un contesto
che prevede l’uso di Internet come canale di comunicazione per l’erogazione di formazione a
distanza. L’impianto complessivo inoltre è esplicitamente costruttivista. Insomma, gli insegnanti
coinvolti nella formazione fanno esperienza in prima persona delle potenzialità che in prospettiva
dovranno utilizzare nella mediazione culturale rivolta agli allievi, tanto più che Puntoedu va oltre,
rivolgendosi in sequenza ai dirigenti scolastici, ai direttori dei servizi amministrativi, alle diverse
tornate di insegnanti neoassunti, ai docenti coinvolti nella formazione relativa all’impianto
metodologico e di contenuto della riforma scolastica e delle sue diverse sperimentazioni e che
intorno all’iniziativa istituzionale fioriscono, come vedremo, numerose altre attività ed aggregazioni
di documentazione, di riflessione, di dibattito che a loro volta utilizzano Internet come piattaforma
comunicativa di base.
17
Negli allegati alla C.M. 55/2002 è previsto anche un finanziamento una-tantum delle attività di counseling didattico,
1290 euro, la cui effettiva erogazione avrà luogo per altro solo nell’a.s. 2005, perché si prevede una figura di questo
genere per ogni attività scolastica.
18
Le procedure di individuazione e selezione dei corsisti di questo genere, considerando che al percorso C1 poteva
partecipare anche il personale ATA e che i fondi stanziati non permettevano la formazione di una persona per ogni unità
scolastica, furono molto confuse. Tuttora non è chiaro per altro come possano essere retribuite le funzioni esercitate, dal
momento che non risulta alcuno stanziamento di fondi.
19
Nel frattempo, il coordinamento delle attività relative all’innovazione tecnologica è stato affidato alla Direzione
Generale per i Sistemi Informativi (http://www.istruzione.it/innovazione/index.shtml), la cui “Mission” è “Contribuire
al miglioramento del servizio per i docenti, gli studenti e le famiglie, utilizzando nel modo più efficace l’innovazione
tecnologica”. Le condizioni, rispetto all’inizio del processo di accostamento delle istituzioni centrali dell’istruzione
italiana alle TIC, in particolare con la costituzione nel 1996 del Nucleo operativo per le tecnologie didattiche
(http://www.alphacentauri.it/testi/normativa/costituzione_notd.htm), sono profondamente cambiate; l’iniziativa è molto
più ampia ed è considerata non più sperimentale ma strategica per l’assetto complessivo, ma la dichiarazione di intenti
ha dal nostro punto di vista un altro motivo di interesse socio-culturale, dal momento che la sua vaghezza sottende in
realtà proprio la visione determinista a cui ci siamo riferiti all’inizio del capitolo (quel “nel modo più efficace” rivela
l’idea di un percorso in qualche modo predefinito, che si tratta soltanto di seguire). Non è un caso, di conseguenza, che
proprio nel momento in cui si avviano iniziative di formazione relative alle TIC di respiro nazionale, vengano proposti
modelli tra loro contradditori, come stiamo per vedere.
20
Nel caso della formazione di tipo C, un ruolo importante è stato svolto anche dall’Osservatorio Tecnologico del
MIUR (http://www.osservatoriotecnologico.it/fortic.htm), istituito a sua volta nell’anno scolastico 2000-2001
21
La citazione è presa dalla pagina introduttiva di http://puntoedu.indire.it/
Alle premesse ed alle intenzioni non seguono risultati davvero soddisfacenti: i punti critici culturali
e gli insuccessi organizzativi sono anzi assai numerosi ed alcuni problemi restano irrisolti
(Guastavigna, 2005). In particolare era fin dall’inizio, a volerla vedere, del tutto palese la
contraddizione tra l’impianto di insieme, la dichiarata attenzione alla specificità della didattica e la
prospettiva costruttivista complessiva che informa, come già detto, l’ambiente di apprendimento e
la riduzione, per quanto riguarda il percorso A, delle competenze22 nel campo della comunicazione
digitale alle pratiche23 tecnologiche del “syllabus” ECDL24 per utente generico, ovvero del lavoro
esecutivo d’ufficio, veicolate inoltre secondo un modello addestrativo, che non presta alcuna vera
attenzione alle esigenze di “senso” dei fruitori della formazione. In questa sede preferiamo però
analizzare una serie di fattori che, proprio perché sottoposti ad esame critico, possono contribuire a
rendere credibile l’uso delle potenzialità della comunicazione reticolare a distanza nella mediazione
didattica. Non è un caso che la seconda tornata di formazione degli insegnanti alle tecnologie
digitali della comunicazione, all’avvio mentre scriviamo queste note, abbia unificato in un unico
percorso i materiali con vocazione didattica, rinunciando ad ogni velleità addestrativa, di
alfabetizzazione meramente tecnica, astratta e decontestualizzata.
È infatti sotto gli occhi di tutti che la realtà del rapporto della scuola italiana con le TIC in generale
e con Internet in particolare è in evoluzione: dalla fase in cui l’obiettivo era un illusorio adattamento
alle nuove condizioni comunicative, siamo sempre più vicini ad una valutazione ragionata ed
attenta delle autentiche valenze formative delle nuove opportunità.
È per altro sempre più evidente che la possibilità di accesso a risorse culturali a distanza non
riguarda soltanto il rapporto con gli allievi, l’attività didattica in senso stretto, ma ha indotto e
sempre più indurrà significative modificazioni del profilo professionale:
a. Internet è fonte sempre più estesa, rapida, pervasiva di informazione, di interazione, di
collaborazione, di formazione, di materiali didattici spendibili in forma diretta ed indiretta
con gli allievi;
b. Internet per contro è penetrata e penetrerà nei comportamenti culturali e nell’immaginario
comunicativo degli allievi anche indipendentemente di un suo ingresso a scuola, spesso con
effetti non positivi, se non negativi, e non è possibile quindi non tenerne conto25;
c. Internet consente di esporre le idee e di esporsi, di dare al proprio pensiero, alle proprie
emozioni, alla propria identità personale dimensione pubblica, attraverso la collocazione in
rete di testi, immagini, filmati e così via;
d. Internet rende sempre più difficile separare in modo netto le occasioni di acquisizione
culturale ufficiali, intenzionali, “scolastiche” da quelle casuali, immersive, spontanee;
22
Riprendiamo ed adattiamo una sintetica definizione di competenza dalle riflessioni e dagli studi di Mario Ambel: le
competenze rappresentano l’insieme integrato (acquisibile in modo progressivo e graduale) di conoscenze, abilità e
atteggiamenti, che, sorretto da motivazioni adeguate, consente via via di compiere, in un contesto di apprendimento
(cooperativo), da soli o con altri, (nuove) esperienze conoscitive, relative a un determinato campo di sapere, dotate di
senso, per raggiungere scopi diversi, e di averne consapevolezza critica. (http://www.memorbalia.it/ - passim).
23
Usiamo l'espressione "pratiche", per dare maggior risalto alla differenza concettuale con le “competenze”. In realtà
avremmo anche potuto parlare di "abilità". Non che non si possa parlare di competenze tecnologiche. Questa
espressione ci pare però utile e corretta in un solo caso, ovvero quando anche il contesto e le finalità, e non solo le
azioni, le procedure, i dispositivi e così via, siano a loro volta autenticamente ed esclusivamente tecnologici. E questo a
scuola succede solo in alcune situazioni, in rapporto ad alcuni insegnamenti particolari e specifici o – pensiamo alla
formazione di tipo C – alle esigenze organizzative e gestionali delle unità scolastiche.
24
http://www.aicanet.it/ecdl/syllabus/syllabus.htm
25
Credo che a molti tra coloro che leggono sia capitato di osservare a scuola i comportamenti degli adolescenti su
Internet: se “lasciati fare”, ovvero se non indirizzati a compiti comunicativi significativi, aprono le proprie caselle di
posta, inviano sms, cercano luoghi dove chattare o, più genericamente, siti di puro intrattenimento e così via;
nell’utenza domestica dilaga il fenomeno dell’uso della rete per entrare in possesso di film, video e musica con modalità
molto discutibili quando non illecite. Nel periodo che immediatamente precede l’esame di Stato, poi, sono
frequentissimi i copia-e-incolla se non la stampa diretta di materiali il cui valore lascia molto spesso a desiderare,
spesso frettolosamente raccolto da siti definibili con un eufemismo culturalmente poco scrupolosi. Tra i tanti compiti
della scuola, si pone anche il tema dell’educazione alla correttezza tecno-comunicativa nella società della conoscenza.
e. Internet consente di arricchire gli strumenti di apprendimento tradizionali, di attuare
confronti, di decentrarsi26 e straniarsi, assumendo, magari temporaneamente, altri punti di
vista, altre prospettive oltre a quelle usuali27;
f. Internet cresce quantitativamente, migliora la propria offerta anche dal punto di vista della
qualità, modifica le modalità di interazione culturale, la stessa filiera editoriale: richiede
insomma strutturalmente un atteggiamento metacognitivo, l’acquisizione di strategie e allo
stesso tempo la disposizione mentale a verificarne costantemente l’adeguatezza e nel caso a
modificarle;
g. Internet qualifica gli insegnanti sempre meno come artefici primari del patrimonio di
conoscenze a cui gli allievi hanno accesso e sempre più come garanti 28 dello scopo ed
interpreti del senso e del significato dei processi di conoscenza degli allievi stessi.
Internet, insomma, rende il rapporto consapevole con l’apprendimento, con le sue modalità
individuali e condizioni sociali una necessità costante del percorso culturale e professionale di
ciascuno di noi. Vediamo ora quindi più da vicino vantaggi e punti critici di alcuni suoi aspetti
sociali e cognitivi fondamentali.
Caratteristiche socio-cognitive di Internet
“Scrittura” per richiamo e rimando
Cos’è Internet? Da un punto di vista descrittivo-funzionale si tratta di un insieme informativo a
struttura reticolare, costituita da unità informative compiute, le singole pagine, raggruppate in unità
informative di secondo livello, i singoli siti, e da collegamenti tra le unità diverse, dette gergalmente
(e con ogni probabilità del tutto inutilmente) link. Internet è insomma per sua natura e logica
ipertestuale; l’html (il codice in cui essenzialmente si realizzano le unità informative) è
essenzialmente un linguaggio di descrizione di “pagine” dotate e dotabili di collegamenti le une con
le altre. Esse contengono testo vero e proprio ma anche e sempre di più immagini, filmati, musica,
parlato e così via, a conferire all’insieme una dimensione multimediale, o, come si preferisce dire,
forse per vezzo, ipermediale. (…). Il dibattito sulla valenza cognitiva e pedagogica della fruizione e
della produzione di strutture informative a matrice ipertestuale, e quindi di segmenti di Internet, ha
fin da subito sottolineato come l’uso di un’esplicita sintassi di connessione tra le unità informative
possa andare in qualche modo al di là della linearità delle strutture informative tradizionali,
consentendo, in primo luogo, di accedere a percorsi diversi e differenziati, per quantità, qualità,
contestualizzazione delle unità informative utilizzate, all’interno di uno stesso campo di
conoscenza. Anche la distinzione forte tra Lettore (fruitore della struttura ipertestuale) a Autore
(produttore della stessa) ha sempre insistito sulla gestione da parte dell’uno e dell’altro di questi
26
Il primo grande risultato dell’ingresso di Internet nella scuola riguarda le TIC medesime: si è assistito infatti ad una
sorta di processo di “sprovincializzazione” delle unità scolastiche, presso molte delle quali la prospettiva diffusa
coincideva con la generalizzazione delle modalità d’uso dei colleghi considerati esperti in quella specifica situazione.
La rappresentazione mentale dei possibili utilizzi si è ampliata, aperta, arricchita: è stato ed è più che mai possibile
attraverso la rete vedere ipotesi e pratiche didattiche diverse dalle proprie, fare confronti, discutere.
27
Lo stesso compito hanno i libri, le pubblicazioni a stampa in generale. Il supporto digitale, la scrittura per rimando e
richiamo (cfr. infra), la connessione dei materiali culturali e delle persone in tempo reale, rendono i processi di
spostamento del baricentro comunicativo e di variazione del contesto di riferimento più immediati e praticabili, a costi
ridotti.
28
Non dimentichiamo la questione della tutela della navigazione ed in genere delle comunicazioni che coinvolgono
minori. Diamo più avanti nel volume suggerimenti su di un uso didattico costruttivo di strumenti che perseguono
proprio questo obiettivo; qui ci limitiamo a richiamare il problema, che si traduce nelle incombenze relative alla
redazione scuola per scuola di un “Documento programmatico sulla sicurezza” comprensivo “Politica per un uso
accettabile della rete” e a dare alcune indicazioni di approfondimento via Internet: la guida preparata dal garante della
privacy (http://www.garanteprivacy.it/garante/document?ID=1007740&DOWNLOAD=true), le indicazioni dell’Ufficio
scolastico regionale del Piemonte (http://www.siscas.net/dps/), il sito “Chi ha paura della rete?”, realizzato dal
CORECOM (http://www.italia.gov.it/chihapauradellarete/) in collaborazione con la Polizia delle telecomunicazioni.
elementi costitutivi. Successivamente si è colto anche un altro aspetto, ovvero il fatto che la
connettibilità virtuale e la connessione effettiva delle unità informative hanno un valore non
soltanto sintattico, di ordinamento e organizzazione del percorso, ma anche semantico, di
costruzione dei significati dell’esplorazione o dell’approfondimento del campo di conoscenza. A
carico del Lettore ipertestuale, infatti, sta la ricostruzione del senso delle connessioni, delle ragioni
che hanno spinto l’Autore a prevederle e metterle in atto. La piena comprensione delle ragioni delle
diverse connessioni, anzi, è condizione essenziale di una fruizione piena e soddisfacente delle
potenzialità della struttura informativa. A carico dell’Autore, quindi, c’è la responsabilità di
scegliere connessioni e modalità di avvio e segnalazione delle medesime il più possibile chiare ed
autoevidenti, in modo da non imporre al Lettore un carico cognitivo eccessivo. Misurarsi con la
fruizione e la produzione di strutture informative di questo genere, insomma, ha certamente per gli
allievi una valenza formativa importante, perché mette in moto processi cognitivi profondi e
contribuisce a fondare competenze comunicative trasversali. La possibilità di elaborare strutture
informative, scrivere, per richiamo (l’indicazione di un possibile collegamento ad un’altra unità
informativa) e richiamo (l’attivazione di tale collegamento) è certamente la novità socio-cognitiva
fondamentale che Internet introduce nell’elaborazione e nella mediazione culturale. Ne è un
esempio questo medesimo libro, che ricorre con grande frequenza alla citazione parziale di
materiali informativi per il resto reperibili via rete29, confidando nella capacità dei lettori di
discernere quando sia autenticamente utile attivare i percorsi di approfondimento, chiarimento,
esemplificazione, documentazione indicati ai fini della comprensione da parte di ciascuno dello
sviluppo del nostro ragionamento. L’impiego di risorse online a fini didattici vive di questa
dialettica tra percorsi potenziali e percorsi effettivi di fruizione; la formazione a distanza degli
insegnanti ne è stata e ne è un esempio. Non a caso la difficoltà segnalata da molti è stata proprio la
necessità di costruire da soli un proprio orizzonte di senso, una finalizzazione cognitiva
complessiva della lettura dei materiali proposti e delle esercitazioni svolte. Di nuovo non a caso uno
dei punti critici fondamentali della formazione degli insegnanti è stato la funzione dei tutor, cioè di
coloro a cui è affidato il compito di facilitare l’uso dei materiali di formazione in aula: troppo
spesso si è ridotto questo ruolo ad un possesso sufficientemente autonomo e disinvolto delle
pratiche tecnologiche necessarie per attivare i dispositivi e per sfogliare le risorse informative, con
il risultato di sconcertare profondamente i corsisti. Sostituiamo ora ai corsisti gli allievi ed al tutor
l’insegnante: il compito di quest’ultimo, a fronte di un’elaborazione culturale erogata e fruibile per
rimando e richiamo è mettere gli allievi, ciascun allievo, nelle condizioni di costruirsi un orizzonte
di senso, stimolando alla riflessione sulle ragioni dei possibili collegamenti e sulla necessità o meno
di attivarli, aiutando a verificare la corrispondenza o meno alle aspettative di quanto richiamato.
Strutture reticolari “formali” ed “informali”
La formazione degli insegnanti si è svolta e si sviluppa attualmente all’interno di strutture a
richiamo e rimando fortemente definite nel loro insieme, tanto è vero che spesso gli accessi sono
riservati a chi possiede un nome utente ed una password30. In genere, sono il frutto di un lavoro
redazionale, sono state realizzate da autori abbastanza esperti sui campi loro affidati, non sono
semplici liste di collegamenti, ma materiali più organici ed ampi, che comprendono introduzioni,
sintesi, nuclei espositivi chiaramente caratterizzati come tali, indicazioni sulla gerarchia logicodeduttiva degli argomenti, insomma aiuti ad una fruizione ragionata e ragionevole. Allo stesso
modo possono essere concepiti in linea generale i materiali da rivolgere agli allievi, sia che
intendiamo realizzarli direttamente, sia che ne siamo alla ricerca sulla rete. Ogni rimando e
richiamo, però, potrà essere occasione di uscita (è sufficiente un link in una pagina qualsiasi verso
29
Rispetto a poco tempo fa, abbiamo anche una garanzia in più: una buona certezza della stabilità e della longevità
degli indirizzi indicati, dal momento che la comunicazione e la documentazione attraverso Internet sono diventati nel
nostro Paese fatti ordinari sia per gli enti privati sia per quelli pubblici ed istituzionali.
30
È questo ovviamente il caso anche materiali dei tre percorsi ForTic, che sono però raggiungibili da chi fosse
interessato anche attraverso http://www.alphacentauri.it/testi/umts_accessodiretto.htm
un sito ancora diverso) dall’insieme in qualche modo predefinito. Già il tutor d’aula della
formazione degli insegnanti, ma ancor più l’insegnante in classe, dovrà essere pronto a far cogliere
come inserire il senso del collegamento ed il senso delle informazioni raggiunte nel quadro di
conoscenza che si va via via costruendo. Potrà accadere che si pervenga ad informazioni di scarso
valore scientifico, inutili, vaghe, contraddittorie e così via. Saper valutare il contenuto e
l’autorevolezza delle informazioni è un aspetto fondamentale della possibilità di costruire
conoscenza attraverso la rete. Non è un caso pertanto che tra gli esempi e gli strumenti didattici
presentati nel prosieguo del volume, sia dato ampio spazio alla ricerca guidata, in cui prima ancora
delle informazioni sono importanti i processi con cui esse sono raggiunte, valutate, trattate e
l’acquisizione della massima consapevolezza in proposito. La rete è una “zona di sviluppo
prossimale” virtuale, perché può stimolare all’interazione comunicativa ed informativa, ma vi è
bisogno che gli allievi (più in generale coloro che apprendono) siano affiancati dagli insegnanti (ed
i giovani dagli adulti, i bambini dai genitori) con attenzione ogni volta che sia necessario e che non
ne sia mai data scontata l’autonomia non tanto operativa, quanto culturale e cognitiva. Tanto più
che il panorama degli strumenti di ricerca è in continua trasformazione.
Motori mobili31
Il motore di ricerca al momento più usato è senza ombra di dubbio Google (www.google.it per la
versione italiana). Funziona per parole-chiave, ovvero riporta liste di pagine web in cui siano
presenti in forma significativa i termini inseriti dall’utente. È quindi uno strumento utile per coloro
che conoscono bene il lessico di settore del campo di conoscenza su cui compiono le loro indagini.
Le liste di pagine sono proposte in ordine descrescente di presunta pertinenza in rapporto alle
parole-chiave inserite, valutata in parte con procedure automatiche e in parte sulla base del numero
di collegamenti attivate a ciascuna pagina su altri siti, presupponendo che un alto numero di link sia
un indicatore di significatività. Sta poi all’utente valutare se la pertinenza presunta sia effettiva. Un
alto numero di parole-chiave garantisce un restringimento della ricerca, e quindi una più probabile
individuazione di informazioni significative: il problema, infatti, è ormai la sovrabbondanza, non la
carenza. Il restringimento della ricerca, che porta con sé una riduzione del rischio di perdersi e di
sprecare tempo, dipende dalle conoscenze di partenza del fruitore del motore. Questa
considerazione spazza via una delle illusorie affermazioni fatte con ingenuo entusiasmo all’arrivo
nell’immaginario collettivo dei motori, ovvero che essi fossero dei facilitatori assoluti della ricerca.
È però bene sapere che in qualche misura vengono attuati tentativi di venire incontro alle esigenze
operative e cognitive che si rivelino importanti sul piano socioculturale. È già possibile usufruire,
per esempio, di un servizio di suggerimento di parole-chiave: Google suggest32, infatti, intercetta
quanto l’utente comincia a scrivere e gli suggerisce di conseguenza termini e possibili combinazioni
con altre parole. Non solo: ciascuna delle combinazioni suggerite contiene anche un’indicazione
numerica di quante pagine corrispondano a quella potenziale ricerca. Il procedimento non è
risolutivo, ma è certamente un aiuto che può rivelarsi utile. Restano essenziali coaching e
scaffolding dell’insegnante. Sarebbe quanto mai errato pensare che essi si debbano esercitare solo a
proposito della comprensione del meccanismo: la questione si porrà anzi in modo ricorsivo, ovvero
tutte le volte che l’allievo o, meglio, il gruppo di allievi, affronterà nuove chiavi di ricerca.
Abbiamo citato nel paragrafo precedente il problema dell’autorevolezza delle fonti. Google
scholar33 lo prende di petto: attraverso di esso, infatti, è possibile fare ricerca solo su materiali
provenienti da Università, Centri di Ricerca ed altri enti ad alta credibilità socio-culturale. Il
rovescio della medaglia è la probabile difficoltà media dei materiali, destinati a specialisti del
settore. Abbiamo citato in modo indiretto il problema della possibile caducità degli indirizzi delle
31
Ampie e costantemente aggiornate informazioni sull’evoluzione dei modelli logico-operativi dei motori di ricerca
sono contenute in http://www.osservatoriotecnologico.it/internet/motori_ricerca_crescono.htm e in
http://www.osservatoriotecnologico.net/faq/navigazione_accreditata.htm
32
http://www.google.com/webhp?complete=1&l=en
33
http://scholar.google.com/
pagine (Url): ogni tanto qualcuna di essere può essere stata cancellata o spostata, anche se ciò, come
abbiamo già detto, attualmente avviene meno che nel passato. Sempre Google propone la funzione
“cache” che presenta in ogni caso all’utente la versione della pagina “copiata” sui suoi spazi; più
completo è Wayback Machine34, gigantesco archivio di pagine web, che di molti siti propone
addirittura una sorta di storicizzazione. Accanto alla “classica” rappresentazione dei risultati
attraverso liste a pertinenza presunta descrescente, ci sono modalità diverse, dai raggruppamenti a
grappolo35, a diversi tipi di rappresentazioni grafiche36. Potremmo continuare con altri esempi che
illustrano il processo di differenziazione e di specializzazione degli strumenti di ricerca37, ma
preferiamo sottolineare come i motori di ricerca siano emblematici di una continua negoziazione tra
soluzioni proposte dalle implementazioni tecnologica e problemi ed esigenze rivelati dall’uso da
parte dei fruitori: ciò che si rivela ostacolo tecnico, ma anche cognitivo, verrà via via eliminato o
almeno in qualche misura attenuato. Le motivazioni di questi processi sono a dire la verità
riconducibili per lo più ad esigenza di marketing, di mercato dell’informazione e della conoscenza,
me ne può trarre vantaggio anche la mediazione formativa. Dal nostro punto di vista questa costante
dialettica socioculturale è in ogni caso un aspetto essenziale, perché fa sì che l’insegnante debba
assumere un atteggiamento dinamico, con il quale accetta che il suo profilo di competenza nell’uso
didattico delle risorse tecnologiche sia aperto, in potenziale continua modificazione.
Implicazioni sociali del design
La dialettica tra esigenze e soluzioni è molto rilevante anche se si guarda ad Internet dal punto di
vista dell’usabilità e dell’accessibilità. Secondo Nielsen, gli utenti imparano a navigare dalla rete,
ed una pagina web è tanto più usabile, quanto più la sua fruizione è immediata, non richiede alcuna
riflessione sui meccanismi di funzionamento e rende immediatamente disponibile l’informazione
cercata (Nielsen, 2000). Il valore di una pagina Internet risiede appunto nell’informazione da essa
veicolata (in termini di significatività, completezza, rispondenza ai bisogni dell’utente e così via),
non nella ricercatezza del suo design e della sua impostazione grafica, che, quando sono troppo
curati nella direzione della differenziazione dalle altre pagine, spesso si traduce in inutili
complicazioni, perché mette l’utente nelle condizioni di doversi interrogare su come fruirne. Anche
le home-page (pagine iniziali dei diversi siti) devono obbedire ad una regola di fondo: identificare
con certezza il soggetto ed il progetto informativo, dare un’idea chiara della struttura, consentire un
rapido accesso alle informazioni essenziali e alle differenti articolazioni del sito (Nielsen, 2002).
Come testimonia il suo sito (useit.com: Jacon Nielsen on Usability and Web Design38), Nielsen
applica in modo integrale le proprie convinzioni, che si traducono addirittura in 113 regole e 1135
raccomandazioni, alcune delle quali riguardano il web writing (scrittura per il web), che deve in
primo luogo evitare le ridondanze e soprattutto centrarsi sull’utente e non sul lessico specifico
interno all’azienda o all’ente che produce il sito. Le posizioni di Nielsen, riassumibili nell’idea che
il design debba consapevolmente incorporare l’usabilità (ovvero la riduzione, se possibile a zero,
dei carichi cognitivi ed operativi relativi al funzionamento di un oggetto sull’utente dello stesso) e
che quindi vada in qualche modo promossa una standardizzazione delle pagine web, hanno
suscitato un ampio ed a volte aspro dibattito a livello internazionale. Molti si sono schierati
nettamente contro, sostenendo che questa impostazione deprimerebbe la creatività e il valore
espressivo della produzione per Internet. Berardi, per esempio, sostiene che c’è il rischio che la rete
si trasformi in un supermercato che vieta intelligenza e bellezza39. Non ci interessa in questa sede
decidere chi ha ragione e chi ha torto, anche perché questo modo di affrontare le questioni
34
http://www.archive.org/web/web.php
http://www.vivisimo.com/
36
http://www.webbrain.com e http://www.kartoo.com
37
A questo scopo rimandiamo alle pagine dell’Osservatorio tecnologico del MIUR citate ad inizio paragrafo.
38
http://www.useit.com/
39
http://www.mediamente.rai.it/divenirerete/010302/index.asp
35
problematiche è in genere una strada per rigettarne la complessità e ridursi a semplificazioni banali.
Ciò che importa è la relazione, chiaramente individuata da tutti coloro che hanno partecipato e che
partecipano al dibattito stesso, tra struttura e design dell’informazione e costruzione del significato,
interpretazione sociale. L’usabilità dei siti web, del resto, appartiene all’insieme più generale della
riflessione sul rapporto tra uomo ed oggetti, tra uomo e tecnologie, tra uomo ed interfacce 40, che
afferma la centralità dei soggetti, delle loro aspettative, conoscenze e abilità e nega ogni valore
cognitivo (ma anche commerciale) all’idea di adattamento ed adeguamento dell’individuo e dei
gruppi sociali al modo astratto di funzionare degli oggetti (Norman 1994, Norman 1995, Cooper
1999, Norman, 2000)41. L’usabilità è stato uno dei temi del percorso B di ForTic, quando nel
modulo 3 i corsisti sono stati invitati valutare alcuni siti da questo punto di vista; più in generale
questa prospettiva sulla rete ribadisce l’importanza di un rapporto con le informazioni critico non
soltanto, come è ovvio, sul piano dei contenuti, ma anche per quanto riguarda l’interfaccia di
comunicazione. Dal punto di vista della progettazione di ambienti di apprendimento che prevedano
l’impiego di Internet, un buon criterio pragmatico ci sembra questo: a parità di scientificità,
credibilità, autorevolezza, scegliamo quella pagine, quelle pagine, quel sito, il cui design ci sembri
più adatto alle abilità ed alle aspettative dei nostri allievi ed alle nostre capacità ed intenzioni di
mediazione.
Analogo al tema dell’usabilità è quello dell’accessibilità delle pagine web, definibile in estrema
sintesi e con buona approssimazione come la necessità di realizzare prodotti che non mettano in
difficoltà dispositivi di lettura e di fruizione diversi dai browser grafici di ultima generazione.
Quando si parla di accessibilità ci si riferisce soprattutto alle esigenze delle persone in condizione di
“disabilità”, vuoi personale, vuoi tecnologica (possesso di tecnologie non recentissime). Una delle
ragioni per evitare di produrre pagine con una grande quantità di immagini animate è il fatto che
ciò, soprattutto in assenza dell’accorgimento di associare a ciascuna di esse una descrizione testuale
alternativa, mette in evidente difficoltà, se non addirittura esclude, i cittadini della società della
conoscenza con problemi di vista, perché i dispositivi di cui essi dispongono per la fruizione delle
informazioni non sono per definizione in grado di decifrarle; l’altro è il fatto che una pagina del
genere crea un altro tipo di frattura, perché il suo “caricamento” da parte di un computer connesso
ad Internet con un modem lento, un processore poco potente e poca memoria RAM può essere così
difficoltoso ed esasperante da far sì che molti utenti rinuncino. L’accessibilità è un aspetto molto
importante della costruzione di una cittadinanza conoscitiva estesa a tutti. È recentissimo il primo
motore di ricerca “accessibile”, Yousearched42, e non a caso essa è stata oggetto nel nostro Paese di
un recente provvedimento di legge43; non a caso sul tema sono nate comunità di insegnanti che si
occupano con entusiasmo del problema, discutendo e scambiando tra loro le soluzioni.
Comunità in rete
40
L’interfaccia è quell’aspetto di una tecnologia (di un oggetto) che ci comunica informazioni sul suo e sul suo
funzionamento. Nel caso del personal computer è ormai diffusissima l’interfaccia grafica, fondata sulla nostra capacità
di elaborare simboli (icone, finestre, menu e così via) per capire quali azioni possiamo compiere e come, adottata ormai
da tutti i sistemi operativi, da Windows a Linux, passando per Mac OS e Mac OSX. Una buona interfaccia ci fa capire
immediatamente quali sono gli scopi e le modalità di funzionamento della tecnologia (dell’oggetto) a cui appartiene.
41
“L’uomo è alla ricerca di comprensione, cause e scopi. È bravissimo a ricordare le proprie esperienze, storie ed
eventi, ma non si destreggia altrettanto bene con le minuzie della vita moderna. Noi umani siamo attenti a ciò che ci
circonda e siamo eccezionalmente pronti a rilevare eventuali cambiamenti. Inoltre, riconosciamo la presenza di schemi
e significati anche quando essi sono oscuri e nascosti. Queste stesse caratteristiche, tuttavia, possono essere in conflitto
con le esigenze di una società industriale moderna, fondata sulla tecnologia. I conflitti sono esacerbati dal fatto che la
tecnologia ci viene imposta nei suoi termini e non nei nostri.” (Norman, 1995, p. 112)
42
http://www.yousearched.com/
43
Legge n. 4 del 9 gennaio 2004, “Disposizioni per favorire l’accesso dei soggetti disabili agli strumenti informatici” http://www.innovazione.gov.it/ita/comunicati/2003_12_17.shtml
Una delle comunità appena citate si chiama “Porte aperte sul web44”. Il suo argomento principale è,
come detto, l’accessibilità dei siti web. I partecipanti alla comunità hanno visto crescere la propria
competenza in proposito, discutono i problemi che via via si presentano, si scambiano consigli e
soluzioni, mettono ormai a disposizione anche di terzi l’esperienza accumulata, i modelli di pagina
accessibile costruiti e così via. Si tratta di un’esperienza di cooperazione e collaborazione la cui
intenzione risiede certo nelle persone, nella loro volontà individuale e collettiva di partecipazione,
ma la cui forma e continuità dipendono invece dalle potenzialità comunicative e interattive date
dalla rete. Non è un caso che nel momento in cui scriviamo la comunità stia discutendo
animatamente su due filoni di ulteriore sviluppo tecnologico, ma soprattutto socioculturale: la
realizzazione di un manuale scritto in modo cooperativo e paritario anche da coloro che non
appartengono al gruppo e la individuazione e l’adattamento di un Content Management System 45
alle esigenze dell’accessibilità. Porte aperte sul web induce ad una riflessione di valore generale; è
una comunità di lavoro e di apprendimento che deve la sua ricchezza e la sua vitalità a due aspetti:
la presenza di un’infrastruttura tecnologica che consente comunicazione interattiva a distanza,
l’individuazione di una tematica che richiede comunicazione interattiva a distanza. Le tecnologie
sono date, per cui nella vita di una comunità di rete può mancare solo il secondo dei due fattori a
giustificare e valorizzare il primo. Non è un caso che le comunità nate solo allo scopo di
sperimentare le potenzialità comunicative astratte di uno strumento tecnologico scivolino via via
nell’autoreferenza o nell’oblio. Tra le comunità long-life segnaliamo Didaweb46, da molto tempo
sulla breccia e capace negli anni di articolarsi in diverse istanze di lavoro e Vbasic.it47, che si ispira
ad un linguaggio di programmazione, ma soprattutto a C. Freinet e promuove da anni Progetti e
risorse per l'uso attivo del computer a scuola; una certa vitalità è dimostrata anche dal più recente
Gran Caffè scuola48, nato per mantenere vivi i rapporti tra i corsisti del più volte citato percorso
ForTic. In tutti i casi si tratta di gruppi virtuali che raccolgono persone: rappresentativa di una
diversa tipologia è invece la rete Dschola49, che collega tra loro scuole sedi di attività
particolarmente significative nel campo delle TIC in rapporto alla didattica: sono così nati e si sono
consolidati Centri di Servizio, Animazione e Sperimentazione in grado di fornire supporto e
consulenza sull’impiego delle TIC nel contesto formativo all’intero tessuto scolastico piemontese.
Nuovi concetti e nuovi modelli culturali, dall’open source all’open content a wikipedia
Il tema intorno a cui con più precisione e maggiore ampiezza si sono sviluppate comunità di lavoro
e di apprendimento di grande importanza e significato certo, in grado di raggiungere risultati
importanti è certamente l’open source. Il concetto stesso di software libero ed a codice aperto è
infatti fortemente legato alle istanze cooperative della rete:
“- Linux nasce e cresce, quantitativamente e qualitativamente, come prodotto di rete, su base
collaborativa, che fa dell’espansione e dell’adattamento alle diverse situazioni un principio
fondante: i modelli operativi non sono pertanto imposti, ma proposti, e ciascun soggetto, se ne è
capace, può ridefinirli e rimetterli in circolo;
- i diversi programmi e le diverse distribuzioni si caratterizzano spesso perché sono il risultato della
fatica di autentici “addetti ai lavori” di specifici settori, cioè di persone che hanno deciso di
costruire (o di adattare) un ambiente digitale in modo da avere risposte il più possibile soddisfacenti
ai bisogni di elaborazione da loro direttamente individuati e definiti; ciò ha come conseguenza
44
http://www.porteapertesulweb.it/
Un CMS è una tecnologia per la realizzazione di siti dinamici, che riducono quasi a zero la necessità che coloro che
scrivono i contenuti conoscano i codici di descrizione grafica e logica delle pagine. Gli dedichiamo una trattazione
specifica più avanti nel volume, descrivendo esperienze e diverse potenzialità degli strumenti di rete.
46
http://www.didaweb.net/index.php
47
http://www.vbscuola.it/
48
http://www.grancaffescuola.it/
49
http://www.dschola.it/
45
un’accresciuta, esplicita e consapevole dimensione socio-culturale dell’operazione di progettazione,
realizzazione, diffusione dei singoli software e delle distribuzioni;
- la documentazione che accompagna i programmi ha anch’essa un’impostazione dinamica e
collaborativa: spesso si appoggia infatti sulla nascita e sulla crescita di comunità di persone che
discutono sull’efficacia e sui possibili miglioramenti di un singolo programma o di un’intera
distribuzione50”.
L’open source non è ormai solo un concetto: si tratta di una sorta di movimento di opinione51
internazionale che propone un modello socio-culturale d’uso delle tecnologie dell’informazione e
della comunicazione fortemente alternativo rispetto a quello legato alla diffusione del software
commerciale tradizionale ed individua nella rete il veicolo ideale per la diffusione e la promozione,
anche nella scuola, sia dei risultati sia delle ragioni e delle motivazioni della propria ricerca. L’open
source è cioè un fenomeno socio-culturale e didattico che trae da Internet la propria linfa originale e
affida la propria riproduzione alla rete. Il rovescio della medaglia è il fatto che è possibile entrare in
contatto con il fenomeno in modo serio e completo solo attraverso la rete stessa.
Il concetto e la ricerca open source hanno prodotto una modificazione del punto di vista
socioculturale a proposito del copyright non solo per quanto riguarda il software, ma anche per
quanto riguarda l’elaborazione intellettuale nel suo insieme di fronta al passaggio e all’integrazione
con supporti e canali digitali, che ne mettono in primo piano manipolabilità e riproducibilità. Si
parla oggi di open content, di contenuti aperti, su cui l’esercizio del diritto d’autore, molto meno
limitato rispetto al passato dalle esigenze e dai vincoli dell’edizione e della distribuzione, può
articolarsi secondo modalità differenti da quelle tradizionali, che si traducono sostanzialmente nel
divieto di copia e modifica senza autorizzazione specifica, oltre che nel pagamento di royalties e
nell’obbligo di citare la fonte in caso di utilizzazione. Si è così sviluppato il movimento delle
Creative Commons Public Licenses52, che attualmente presentano 11 differenti combinazioni di
quattro scelte di base dell’autore iniziale: attribuzione della paternità originaria dell’opera;
concessione o meno della possibilità di realizzare opere derivate e modifiche; facoltà o meno di
impiegare l’opera a fini commerciali; applicazione alle opere derivate della medesima licenza
indicata in avvio. Le implicazioni formative dell’open content sono evidenti. Esso è il risultato di
una riflessione non solo di tipo giuridico ma di respiro socio-culturale generale sulla proprietà
intellettuale all’epoca della rete digitale. È bene che gli allievi siano resi partecipi della questione e
che un’eventuale realizzazione di ambienti di apprendimento si misuri con le sue potenzialità, dal
momento che è molto semplice comporre e rendere pubblica la CCPL più adatta alle nostre
esigenze53. È del resto già in rete un progetto con valenza anche didattica che si fonda proprio sul
concetto di open content: si tratta di Wikipedia54, enciclopedia plurilingue, della quale ciascun
navigatore può essere contemporaneamente autore oltre che utente. Riportiamo qui di seguito le
raccomandazioni sulla prospettiva ideale e mentale da assumere nella redazione o nella modifica di
una voce dell’enciclopedia; si tratta forse di un punto di vista per molti aspetti un po’ ingenuo ed
utopico, ma l’idea del rispetto universale è certamente un aspetto formativo da non trascurare nel
mondo attuale: “NPOV è l'acronimo dell'espressione inglese Neutral Point Of View, che significa
punto di vista neutrale. La politica di Wikipedia è che tutti gli articoli devono essere trattati da un
punto di vista neutrale. Secondo le idee del fondatore Jimbo Wales, NPOV è una regola assoluta e
50
da Guastavigna M., “Valutare i programmi Open Source. Un approccio critico al "software libero": vantaggi e
questioni aperte” - http://www.indire.it/content/index.php?action=read&id=1254
51
Significativa a questo proposito la campagna promossa via rete sulla direttiva europea che prevedeva un restrittivo
sistema di brevetti dei programmi informatici, che ha contribuito a determinarne la bocciatura in aula da parte del
Parlamento europeo a larghissima maggioranza.
52
http://www.creativecommons.it/
53
In http://www.creativecommons.it/ è possibile combinare le quattro scelte precedentemente citate come meglio ci
aggrada.
54
http://www.wikipedia.org/ nella versione internazionale originale e http://it.wikipedia.org/ in quella italiana.
non discutibile. L'uso del NPOV è perciò regola inderogabile di Wikipedia. Suo esatto contrario
può essere considerato il cosiddetto POV, punto di vista personale e/o unilaterale assolutamente da
evitare. Il NPOV è un concetto fondamentale in Wikipedia: un'Enciclopedia non assume alcuna
posizione, né di condivisione, né di rigetto di alcuna interpretazione dei fatti che descrive.
Un'Enciclopedia assume la sola posizione di un punto di vista neutrale, sul quale tutte le parti
interessate possano concordare. Non è naturalmente sempre possibile ottenere un accordo completo
su tutti i temi trattati: differenze ci sono e ci saranno sempre, ed è nel fondamento medesimo della
scienza moderna evitare di assumere valori assoluti come eternamente immodificabili. È però
possibile, ed anzi preferibile, riferirsi ad una razionale disamina degli argomenti trattati, di modo
che i concetti risultanti possano essere assunti da tutti i lettori come oggettiva base di
considerazione, come comune affidabile spunto gnoseologico. Wikipedia non assume pertanto
alcuna posizione di avallo o di ricusazione, nessuna idea è prevalente se non, per scientifico
ragionamento, abbia a rivelarsi effettivamente preferibile alla luce di oggettive ed obiettive
considerazioni generali. Non usate perciò questo spazio per esprimere posizioni personali
(ideologiche, politiche, filosofiche, religiose, di mera partigianeria o... tifoseria), sia perché
verrebbero in breve tempo sostituite o cancellate da altri utenti, sia perché gli stessi Amministratori
di sistema potrebbero ricorrere a spiacevoli rimedi protettivi. Cerchiamo perciò di meritare la libertà
che ci si concede di presentare argomenti dei quali desideriamo.”55.
Bibliografia
Antinucci F., "Computer per un figlio. Giocare, apprendere, creare", Laterza, Roma-Bari, 1999
Antinucci F., "La scuola si è rotta. Perché cambiano i modi di apprendere", Laterza, Roma-Bari,
2001
Bassi N., "OpenSource. Analisi di un movimento", Apogeo, Milano, 2002
Beniger J. R., "Le origini della società dell'informazione", Utet libreria-Telecom Italia, Torino,
1995
Berra M., Meo A. R., "Informatica solidale - Storia e prospettive del software libero", Bollati
Borighieri, Torino 2001
Bolletta R. (a cura di), “Monitoraggio Multilab. La formazione degli sperimentatori”, Rapporto n.2,
Frascati, Mpi-Cede, Giugno 1998.
Carlini F., "Lo stile del Web", Einaudi, Torino, 1999
Carlini. F., "Parole di carta e di web. Ecologia della comunicazione", Einaudi, Torino, 2004
Cooper A., "Il disagio tecnologico", Apogeo, Milano, 1999
Fischer C.S., "Storia sociale del telefono", Utet libreria-Telecom Italia, Torino, 1994
Flichy P. "L'innovazione tecnologica", Feltrinelli, Milano, 1996
Himanen P., "L'etica hacker", con un prologo di Linus Torvalds, Feltrinelli, Milano, 2001
Guastavigna M., “Si scrive flessibilità, si legge indeterminatezza” (Insegnare 6/2005http://www.noiosito.it/ssfsli.htm)
Guastavigna e altri, “La scuola ai tempi di Internet”, Scuola Insieme, 3-2006
Mansell R., "Le telecomunicazioni che cambiano", Utet libreria-Telecom Italia, Torino, 1996
Mantovani G., "Comunicazione e identità", Il Mulino, Bologna, 1995
Marvin C., "Quando le vecchie tecnologie erano nuove", Utet libreria-Telecom Italia, Torino, 1994
Nielsen J., "Web Usability", Apogeo, Milano, 2000
Nielsen J., Tahir M. "Homepage Usability - 50 siti web analizzati", Apogeo, Milano, 2002
Norman D.A., "Lo sguardo delle macchine", Giunti, Firenze, 1994
Norman D.A. "Le cose che ci fanno intelligenti", Feltrinelli, Milano, 1995
Norman D.A., "Il computer invisibile", Apogeo, Milano, 2000
Ortoleva P., "Per una storia dei media", Edizioni Anicia, Roma, 1994
Ottaviano C., "Mezzi per comunicare", Paravia, Torino, 1997
55
http://it.wikipedia.org/wiki/NPOV
Parisi D., “Scuola.it. Come il computer cambierà il modo di studiare dei nostri figli”, Mondadori,
Milano, 2000
Postman N., "Technopoly", Bollati Boringhieri, Torino, 1993
Rawlins G. J. E., "Le seduzioni del computer", il Mulino, Bologna, 1997
Simone R., "La terza fase. Forme di sapere che stiamo perdendo", Editori Laterza, Roma-Bari,
2000
Stallman R., "Software libero", Nuovi Equilibri, Viterbo, 2003
Stefik M., "Internet Dreams- Archetipi, miti e metafore", Utet libreria-Telecom Italia, Torino, 1997
Stoll C., "Confessioni di un eretico high-tech. Perché i computer nelle scuole non servono",
Garzanti, Milano, 2001
Thompson, J.B., "Mezzi di comunicazione e modernità", il Mulino, Bologna, 1998
Williams S., "Codice libero. Free as in freedom", Apogeo, Milano, 2003
Strumenti per guidare la navigazione – di Marco Guastavigna
(pubblicato in “Ambienti di apprendimento e nuove tecnologie”, Erickson, 2007)
La ricerca e l’uso della rete Internet mettono in gioco elementi operativi e cognitivi che, se
adeguatamente individuati e strutturati, sono molto adatti per la progettazione e la definizione di
ambienti di apprendimento di stampo costruttivista. Da un punto di vista generale, infatti il
“navigatore” è infatti chiamato a costruire “rotte” significative in base ad obiettivi di conoscenza
che gli sono chiari fin dall’inizio del percorso o che si vanno precisando in progress, in modo
serendipico. Compito dell’insegnante, o di un gruppo di insegnanti che agisca sullo stesso insieme
di allievi è assumersi, soprattutto nelle classi iniziali, compiti espliciti di mediazione culturale e,
pertanto, di messa a punto di strumenti che guidino la navigazione di rete verso obiettivi dotati di
senso e significato formativi; le operazioni necessarie per realizzare questo si caratterizza come
progettazione di un ambiente di apprendimento. Tra le possibilità attraverso cui esercitare una
funzione di guida culturale c’è quella di selezionare siti su cui indirizzare la navigazione degli
allievi. Tale selezione di siti può trovare collocazione in diversi strumenti per l’esplorazione
guidata, tra cui le “white list” dei browser e le cacce al tesoro digitali.
“White list”, un progetto di navigazione
Se i browser sono i programmi di navigazione, che cosa sono le white list (liste bianche
contrapposte a quelle nere, le “black list1”)? Sono elenchi di siti su cui non solo la navigazione è
giudicata priva di pericoli da coloro che le compilano, ma addirittura consigliata, perché i contenuti
sono stati valutati utili sul piano formativo. A compilare le white list sono coloro che
supervisionano la navigazione dei minori, in particolare dei bambini. In ambiente Macintosh è
possibile esercitare questo meccanismo di tutela attivando funzioni fornite dal sistema operativo:
Mac OS X incorpora infatti un browser, Safari, che può essere configurato dall’utente principale di
un computer (il genitore, che esercita la tutela sulle azioni dei propri figli, ma anche l’insegnante) in
modo che altri utenti possano navigare solo sui siti da lui scelti, senza poter andare su altri. Sempre
in ambiente Mac per coloro che possiedono sistemi operativi meno recenti e intendono agire in
modo simile, ci sono i browser per bambini, in particolare BumperCar 2.0- Web Browser for Kids e
KidsBrowser: tutti e due i programmi sono scaricabili in versione di prova2 e contengono una lista
di siti navigabili su cui genitori ed insegnanti possono intervenire, aggiungendo e togliendo risorse.
Il meccanismo delle “white list” è più convincente di quello delle “black list”, non solo dal punto di
vista della relazione educativa (proibire e censurare, anziché proporre e sollecitare è sempre meno
piacevole, nell’una e nell’altra direzione dell’azione educativa, e probabilmente anche meno
efficace), ma soprattutto dal punto di vista della garanzia del senso e del significato della
navigazione in termini di apprendimento. Definire una “white list” destinata ad un browser per
bambini significa infatti dare concretezza ad un progetto di esplorazione del web da parte del
bimbo o del gruppo-classe. Certo, è possibile selezionare i siti solo perché sono giudicati gradevoli
e risultano privi di contenuti diseducativi o che possano indurre turbamento e quindi adatta ad una
propedeutica della navigazione fondata sull’intrattenimento. Si può però operare, in particolare a
scuola, con un profilo formativo più alto: si possono infatti selezionare siti i cui contenuti siano
effettivamente collegati con i percorsi di apprendimento del bambino o del gruppo-classe, le cui
caratteristiche comunicative siano davvero adatte alle esigenze degli allievi nella varie situazioni e
1
Liste di siti a cui è interdetto l’accesso; accanto a questo modello, un altro modo di esercitare una sorta di censura
preventiva è l’inserimento di meccanismi di filtro dei contenuti. Non entriamo molto nel merito di queste modalità,
perché sono utili nelle situazioni in cui la navigazione viene condotta senza un autentico scopo di ricerca o laddove gli
studenti sono protagonisti di percorsi formativi di tipo addestrativo, in cui le tecnologie sono oggetto di apprendimento
fine a se stesso. In ogni caso il lettore interessato può trovare ampie informazioni sul sito http://www.ilfiltro.it/
2 Rispettivamente in http://www.freeverse.com/ e in http://www.app4mac.com/kidsbrowser.html.
siano quindi integrabili in modo preciso con le attività didattiche, consentendo un incremento
quantitativo e qualitativo della costruzione di conoscenza. I colleghi che apprezzino questa
impostazione e che operino in ambiente Windows, giudicheranno molto positivamente il browser
Kiddonet, scaricabile dalla rete gratuitamente3, e fornito inizialmente di una lista molto scarna: sarà
compito dell’insegnante riempire la “white list” di siti davvero utili e significativi per l’attività della
classe. Sempre in ambiente Windows operano i browser Kiwe4 e Veliero5, ambedue distribuiti a
pagamento e quindi forniti di ampie liste di siti, molti dei quali in lingua italiana, mentre Chibrow 6,
di origine americana, presenta all’inizio solo siti in lingua inglese. Segnalo ancora Win-baby7 che
consente di far usare in modo tutelato il personal computer nella sua globalità: se il supervisore lo
installa e ne decide l’avvio automatico all’accensione, esso infatti assume il pieno controllo delle
funzioni (che può essere disattivato solo inserendo una password) e fornisce, oltre ad un semplice
browser per bambini, anche un programma di posta elettronica a sua volta supervisionabile e tre
programmi ad interfaccia semplificata, per la scrittura, il disegno e la gestione dei files, ed alcuni
giochi. Chi fosse interessato al meccanismo appena descritto, ma avesse ancora Windows 98, può
ricorrere a Kiddesk8.
Cacce ai tesori della conoscenza, prototipo di ambiente di apprendimento
Anche nelle cacce al tesoro digitali come nel caso delle “white list” l’insegnante assume un ruolo
attivo, selezionando i siti su cui navigare, ovvero garantendone la significatività e l’utilità ai fini
dell’apprendimento. Vediamo un po’ meglio come sono strutturate9. L’insegnante individua un
argomento “focale” all’interno di quelli affrontati nel complesso dell’attività didattica e seleziona
una serie di siti (nelle versioni più semplici di caccia al tesoro anche uno solo) che lo riguardano. I
criteri di selezione sono gli stessi delle “white list”, che sono più adatte ai bambini, mentre questo
metodo può essere utilizzato in ogni ordine di scuola. Una volta individuati i siti, l’insegnante dovrà
produrre una serie di domande a cui sia possibile rispondere utilizzandone i contenuti. Agli allievi
verranno forniti la lista dei siti e le domande. Il medesimo argomento e i medesimi contenuti
possono essere affrontati a diversi livelli di complessità, quantitativa e qualitativa: i siti potranno
essere infatti recensiti in modo più o meno ampio e potranno essere fornite indicazioni più o meno
dirette su come utilizzarli per rispondere ai quesiti; le domande potranno essere formulate in modo
da rendere sufficiente il copia-e-incolla di una parte del sito (testo o immagine) contigua alle parolechiave o invece richiedere risposte più articolate, e così via. Il lavoro verrà in tutti i casi concluso da
una domanda finale, strutturata in modo da richiedere una rielaborazione complessiva delle
precedenti risposte e informazioni raccolte. Il tutto, dalla traccia da seguire alla raccolta dei risultati,
può essere realizzato con modalità diverse, dal foglio scritto a mano o stampato alla presentazione
attraverso diapositive elettroniche; ciò che conta sono infatti altri aspetti. In primo luogo, la ricerca
è esplicitamente guidata; in secondo luogo, la ricerca è esplicitamente garantita, non solo perché
ha effettiva attinenza con il percorso formativo nel suo insieme, ma anche perché è davvero
fattibile, in tempi e modi congruenti con il contesto operativo e le capacità degli allievi. Nel
selezionare i siti, formulare le domande relative e quella di rielaborazione dei risultati, l’insegnante
traccia infatti un disegno complessivo di senso e significato, considerato che lo schema-base per la
3
http://www.kiddonet.com/knSource/knBrowser.htm
http://www.kiwe.it/maini.htm
5
http://www.ilveliero.info/idea.htm
6
http://www.chibrow.com
7
http://www.finson.com/prodotti/catalogo/hge/Cd0996/demo.asp
8
http://www.tiflosystem.it/prodotti/didattica/kiddesk.htm
9
Mentre sui webquest, a cui dedichiamo in ogni caso altra parte del volume, sono numerose le pubblicazioni anche a
stampa, sulle cacce le informazioni sono in quantità minore. All’origine delle prime riflessioni sviluppate anche nel
nostro Paese, a cominciare dalle mie, ci sono le indicazioni contenute in http://www.aula21.net/cazas/index.htm.
4
loro realizzazione richiede anche un’introduzione e un’appendice, in cui gli insegnanti esplicitino
rispettivamente le ragioni della ricerca suggerita ed i criteri di valutazione dei risultati. Insomma,
non sembra esagerato considerare le cacce almeno un prototipo di ambiente di apprendimento
strutturato che utilizza le tecnologie. Quando, allora, utilizzare concretamente le cacce, considerato
anche il fatto che per l’insegnante esse prevedono un lavoro di preparazione abbastanza
impegnativo10? Ovviamente tutte le volte che lo si ritenga necessario ed utile ai fini di qualsivoglia
attività didattica11; è in ogni caso opportuno definire alcuni criteri di massima. Le cacce ai tesori
della conoscenza possono essere introdotte quando si vogliano affrontare contenuti particolarmente
dinamici, per la cui trattazione le tecnologie dell’informazione e della comunicazione tradizionale
in possesso della classe e della scuola (dai libri di testo a quelli della biblioteca, ai quotidiani ed alle
riviste) si rivelino insufficienti, inadatte o in ogni caso da integrare con le risorse digitali:
immaginiamo indagini di carattere socioculturale, temi di attualità su cui formare un’opinione
condivisa anche se provvisoria, un linguaggio comune, attraverso il confronto di tesi e pareri
raggiungibili via rete, questioni di carattere scientifico e relative all’innovazione tecnologica,
approfondimenti tematici di vario genere, dall’economia allo studio dell’ambiente, dal diritto
all’antropologia e così via. Accanto ad una scelta fondata sui contenuti, possiamo pensare ad un uso
delle “cacce” maggiormente imperniato su aspetti metodologici, con scopi di riflessione
metacognitiva. In questo caso la caccia avrà come oggetto un argomento già trattato nel percorso
didattico, anche semplicemente sul libro di testo, ed avrà lo scopo di rendere l’apprendimento il più
significativo possibile, ovvero di mettere gli allievi nelle condizioni di rivisitare secondo punti di
vista e percorsi diversi i nuclei di conoscenza già affrontati. In queste situazioni, senza che ciò
costituisca un vincolo, potrà essere interessante e produttivo proporre come domanda finale la
costruzione di una rigorosa mappa concettuale, che sistematizzi i concetti acquisiti e le relazioni tra
di essi individuate. In questo caso sarà bene concepire il quesito finale come “domanda focale”12
della mappa. È infatti più opportuno utilizzare cacce di questo genere in chiusura di un percorso di
apprendimento, mentre quelle dell’altro tipo sono più adatte a fasi iniziali e di avvio dell’analisi e
dell’organizzazione di una tematica.
10
Suggeriamo di pubblicare le proprie cacce su Internet, sul sito della scuola e/o sul proprio sito personale. In primo
luogo perché ciò faciliterà il lavoro dal punto di vista operativo, dal momento che la pagina sarà disponibile a tutti, a
scuola come a casa (quando vi siano problemi di costi, perché la connessione non è a tariffa piana, può essere
sufficiente ai fini della condivisione l’uso della rete locale della scuola e la consegna di una copia su supporto digitale
della caccia agli allievi). In secondo luogo perché così il materiale potrà essere utilizzato dai colleghi sia della propria si
di altre unità scolastiche, secondo un principio collaborativo tipico di Internet.
11
Esempi di cacce ed altre informazioni sono raggiungibili a partire da http://www.bibliolab.it/webquest.htm
12
La “domanda focale” è il perno cognitivo ed organizzativo di una mappa concettuale; essa definisce infatti la
prospettiva ed il principio logico e culturale che strutturano la rappresentazione della conoscenza.
Cacce al tesoro e apprendimento
Da dove partire per effettuare le selezioni di siti?
Abbiamo già parlato nell’introduzione di usabilità dei siti e suggerito di valutarli anche da questo
punto di vista. Nel caso della scuola superiore, ed in particolare quando si giudichi necessario
attivare una caccia al tesoro di riflessione e confronto relativamente ai contenuti di conoscenza, può
essere poi utile che l’insegnante effettui la selezione dei materiali su cui organizzare il lavoro degli
allievi utilizzando Google scholar, versione “accademica” di Google (http://scholar.google.com/),
che “limita” la ricerca a materiali elaborati da università, centri di ricerca, riviste specializzate dei
vari settori. Ciò garantirà un livello qualitativo alto dei materiali e maggiori possibilità di confronto,
anche se vanno messe in preventivo densità concettuale e ampiezza di trattazione. Nel caso delle
“white list” per i browser, può essere utile impiegare i motori di ricerca per bambini, come Baol
(http://www.baol.it/), il Nocchiero (http://www.ilveliero.info/nocchiero/cerca.htm). Dal momento
che uno degli aspetti fondati delle cacce ai tesori della conoscenza è la riutilizzazione di materiali
digitali prodotti da altri, è bene ricordare le regole del copyright ed essere a conoscenza
dell’esistenza di materiali sottoposti a Creative Commons License, delle quali abbiamo di nuovo
parlato in precedenza: qui ricordiamo che sono stati realizzati proprio di recente i primi motori di
ricerca dedicati a questa tematica, Creative commons find (http://creativecommons.org/find/) e
Creative commons search di Yahoo (http://search.yahoo.com/cc). Ovviamente, sarà sempre
possibile ricorrere a Wikipedia, che ricordiamo essere disponibile in più lingue.
Ambienti per l’interazione1 – di Marco Guastavigna e Dario Zucchini
(pubblicato in “Ambienti di apprendimento e nuove tecnologie”, Erickson, 2007)
I “blog”
Realizzare un blog è diventato ormai davvero agevole. Si sono moltiplicati in rete siti
che offrono questo servizio in forma gratuita2 e le modalità d’uso e di gestione di
questo ambiente per la comunicazione sono davvero facili3. Di conseguenza,
possiamo cominciare, anche sulla base di alcuni esempi, a riflettere su come usarli a
scuola. Riepiloghiamo in primo luogo le caratteristiche fondamentali di un blog, detto
anche weblog. Si tratta di sistema di pubblicazione di materiali su Internet molto
semplice, tanto è vero che inizialmente si trattava sostanzialmente di diari personali,
costituiti di pensieri, di indicazioni di collegamenti ad altri luoghi della rete e, anche
se non sempre, di commenti dei visitatori del blog alle suggestioni implicate dai
“post” (messaggi) dell’autore del blog. Aperto il blog presso un fornitore di servizi,
ovvero avendo ottenuto in cambio dei nostri dati identificativi un nome-utente ed una
password ed uno spazio per la pubblicazione, siamo infatti pressoché immediatamente
in grado di mettere in linea i nostri materiali, semplicemente scrivendoli, direttamente
dal nostro programma di navigazione, negli spazi a ciò dedicati dal servizio. La
pagina Internet che contiene il nostro lavoro sarà creata immediatamente, al momento
del suo “salvataggio”; allo stesso modo sarà aggiornata in tempo reale nel caso di
modifiche, inserimenti, eliminazioni. Il tutto senza bisogno avere alcuna nozione sul
codice HTML4. Conviene possedere una connessione ad Internet a tariffa piana, in
modo da poter scrivere senza avere il problema di pagare per il tempo di
collegamento: se si ha una connessione a consumo converrà procedere magari con il
copia-e-incolla di elaborazioni precedentemente sviluppate con un programma di
scrittura tradizionale. La struttura di fondo è rimasta sostanzialmente la medesima
(messaggi, link, commenti) anche ora, quando i blog hanno avuto un’evoluzione che
ha fatto sì che, accanto alla dimensione estemporanea della comunicazione, si siano
sviluppate forme più organiche ed organizzate di informazione5 e commento6. Questo
aspetto è stato indubbiamente favorito dalla possibilità per il “fondatore” del blog di
cooptare altri autori accanto a sé. Intorno ad alcuni blog sono nate vere e proprie
comunità di discussione, su temi vari: citiamo, per ragioni evidenti,
http://blogdidattici.splinder.com/, su cui si ragiona di diversi temi che riguardano il
rapporto tra TIC e didattica, dai blog stessi all’accessibilità delle pagine web, all’Open
Source e così via. Cominciano a nascere i motori di ricerca specificamente destinati a
1
Gli autori hanno pensato congiuntamente il contributo. Guastavigna ha poi steso il primo paragrafo,
Zucchini il secondo.
2
Citiamo a puro titolo esemplificativo http://www.splinder.com/, http://www.blogger.com/start e
http://blog.aruba.it/, ma le possibilità sono molto più numerose.
3
Consigliamo i colleghi di rivolgersi a servizi già predisposti, anche se è possibile implementare su di
un proprio server un blog del tutto autogestito, utilizzando per esempio Word Press
(http://www.wordpress-it.it/), perché la seconda soluzione rischia di spostare il fuoco dell’esperienza sugli
aspetti tecnici anziché sulle potenzialità comunicative.
4
Al momento della registrazione saremo invitati anche a scegliere un “Modello” per l’impaginazione
dei contenuti, la cui gestione sarà di volta in volta del tutto a carico del sistema remoto, del server su
cui sarà collocato il blog. Prima di “salvare”, anzi, potremo visualizzare un’anteprima dei risultati della
nostro lavoro ed apportare eventuali modifiche.
5
Per esempio http://www.wittgenstein.it/
6
Per esempio http://www.brodoprimordiale.net/
1
compiere ricerche in questa nuova realtà dell’interazione comunicativa7.Sono già
numerosi, per altro, gli insegnanti che hanno colto la valenza didattica di questi
strumenti ed hanno cominciato ad utilizzarli per far pubblicare direttamente ai loro
allievi contenuti significativi sulla rete. Tra i primi esempi troviamo
http://quintaa.clarence.com/,
http://secondonoi.blog.excite.it/
e
http://magicascuolaquinte.blog.aruba.it/, tutti della scuola primaria. Sono
sostanzialmente “diari di bordo”, ovvero modi per far conoscere all’esterno in modo
costante ed ordinato quanto fatto a scuola, ma anche sentimenti, emozioni, problemi,
considerazioni e ragionamenti sulle esperienze svolte. L’importanza formativa e
cognitiva di queste iniziative didattiche è evidente: gli allievi devono discutere,
selezionare, organizzare materiali comunicativi chiari, davvero in grado di far
comprendere agli interlocutori esterni il senso ed il valore delle loro azioni e dei loro
pensiero. Questo implica un’ampia e costante attività metacognitiva, particolarmente
valorizzata dalla discussione in gruppo, dalla necessità di prendere decisioni
negoziate e condivise. Il diario di bordo digitale può insomma essere concepito come
accompagnamento della didattica, rivolto a far crescere la consapevolezza degli
allievi in ordine allo sviluppo ed al significato dei momenti topici, delle fasi
fondamentali. In questa prospettiva, suggeriamo ai colleghi che volessero
incominciare ad utilizzare i blog di ragionare con gli allievi sui diversi profili dei
possibili utenti: altri allievi, insegnanti, genitori, naviganti generici della rete.
L’analisi dei diversi profili potrà essere un modo di indirizzare la scelta dei materiali
più significativi per l’uno e per l’altro e delle forme della comunicazione. I commenti
dall’esterno8 potranno essere un modo di verificare l’efficacia del proprio lavoro. Il
weblog può poi essere aperto ad altri gruppi-classe e quindi al confronto tra obiettivi e
pratiche formative, e così via, sempre all’insegna della crescita della consapevolezza e
dell’attività metacognitiva. Adottando le opportune cautele, si potrà anche pensare di
accreditare i singoli allievi ad agire individualmente sul web, ma ci appare più utile e
più facile da gestire, anche in termini di tutela, l’agire di gruppo, magari sostenuto
dalla videoproiezione. Nei casi più evoluti, il blog di classe potrà ambire a connotarsi
come giornalino digitale e quindi dovrà definire struttura, scadenze, mansioni
redazionali, pubblico. Ma per questa pratica didattica ci sono anche altre soluzioni
tecnocomunicative.
I CMS (Content management system)
Nati verso la fine dello scorso millennio, i Content Management Systems (sistemi per
la gestione dei contenuti) sono stati realizzati per condividere e ritrovare facilmente
informazioni in rete, con lo scopo di incrementare coordinamento e cooperazione a
supporto delle attività dei partecipanti al lavoro di insieme di una organizzazione
strutturata. I loro primi impieghi si sono avuti all’interno di una rete LAN, soprattutto
per attività collaborative di tipo aziendale, e successivamente su Internet, per facilitare
l’interazione di gruppi di lavoro anche molto ampi. Un CMS va installato su di un
server, che deve essere in possesso dell’utente principale o reso disponibile in modo
adeguato da un fornitore di servizi di “hosting” (ospitalità di materiali digitali
organizzati). La tecnologia mette l’utente principale (che ne diviene
7
Ci sono per esempio Bloogz (http://www.bloogz.com/), Blogdigger (http://www.blogdigger.com/),
Feedster (http://www.feedster.com/).
8
Tutte queste attività sul web mettono al centro la questione della tutela dei minori che interagiscono
con la rete. Sarà bene evitare di consentire, come spesso succede nei blog adulti, a chiunque di
collocare commenti ed utilizzare piuttosto l’opzione che consente di limitare questa opportunità ad
utenti del blog nel suo insieme, perché questi devono essere identificati con precisione al momento
della loro cooptazione nel lavoro.
2
“amministratore9”) e tutti quelli dallo stesso abilitati ad agire mediante nome-utente e
password di integrare notizie, link, documenti, agende, informazioni, spazi di
discussione (“forum”) e alcuni altri strumenti comunicativi personalizzabili. Tutti
coloro che fruiranno del CMS potranno utilizzare anche solo un normale browser,
senza essere vincolati dal sistema operativo, dalla configurazione di rete e dalle abilità
specifiche dell’utente. A fianco del browser potranno essere utilizzati i più diversi
ambienti di lavoro digitale, i cui prodotti potranno essere condivisi come file scaricati
nelle zone del CMS predisposte per tale azioni. Al momento dell’accredito degli
utenti, l’amministratore potrà assegnare a ciascuno funzionalità (privilegi) differenti,
per cui alcuni potranno modificare i documenti condivisi, altri soltanto leggerli e così
via. Con un CMS, insomma, come già nel caso del blog, ma in modo molto più
ampio a articolato, chiunque sarà messo nelle condizioni di produrre contenuti per il
web, senza pretendere che conosca conoscere codici e linguaggi particolari. La
ragione fondamentale per utilizzare a scuola un CMS è proprio questa: l’attenzione è
posta sulla qualità del contenuto, non sul funzionamento del contenitore. Non si tratta
di imparare ad usare un CMS, ma di sfruttarne le potenzialità per organizzare strutture
comunicative significative e produrre e mettere in circolazione contenuti interessanti e
leggibili. In un CMS le informazioni sono registrate in un database e non nelle pagine
html, che sono invece generate automaticamente dal sistema sulla base di una serie di
modelli di impaginazione modificabili dall’utente. Il CMS condivide infatti con il
blog l’idea di separare nettamente la gestione dell’aspetto informativo, che può così
essere affidato tranquillamente a coloro che sono esperti dei diversi settori di
conoscenza, da quella della impostazione grafica, che può essere affidata ad alcuni
utenti esperti o del tutto trascurata, utilizzando solo le opzioni preimpostate del
software. Proprio questo modo di combinare contenuti e grafica, accanto alla sua
modificabilità direttamente via browser, caratterizza un sito web dinamico, mentre un
sito statico va prodotto e modificato in locale, per poi essere trasferito su di un server
remoto. È evidente che il modello logico-operativo di sito dinamico del CMS è
assolutamente coerente con l’idea di apprendimento come costruzione collaborativa e
negoziata. Un sito web realizzato mediante CMS permette di integrare sul web
informazioni, notizie, comunicazioni, documentazioni, lezioni, elaborati, ricerche,
esperienze, comunicazioni di allievi ed insegnanti e così via. Il CMS trasforma il sito
web da vetrina o palestra per l’html in una “espansione di memoria collettiva” per le
persone che ci lavorano. Infatti qualsiasi attività didattica che utilizza le TIC produce
prima o poi dei contenuti in formato elettronico e i CMS nascono proprio per
organizzare e condividere questi contenuti. Allievi ed insegnanti saranno chiamati
inoltre a discutere costantemente dell’efficacia non solo delle singole unità di
comunicazione collocate, ma anche della struttura complessiva, che potrà di volta in
volta essere adattata: la struttura-base10 di un CMS propone infatti:
-
spazi per collocare notizie
-
spazi per collocare link, corredati o meno da un abstract di descrizione
-
spazi per collocare discussioni
-
spazi per condividere documenti.
9
Si definisce amministratore di una tecnologia l’utente che ne decide modalità di installazione, che è
responsabile della concessione d’accesso ed uso ad altri utenti, che stabilisce quali azioni può compiere
ciascuno di questi ultimi.
10
I CMS più diffusi forniscono infatti una struttura di insieme già predefinita di tipo molto generale: gli
utenti, all’atto della installazione ma anche successivamente, potranno modificarla ed integrarla
secondo le proprie esigenze.
3
Se una classe, od anche un gruppo più ampio, si costituisce in redazione, dovrà
discutere quindi:
-
quali sono i bisogni comunicativi del gruppo
-
quale ruolo affidare ai singoli componenti o a sottogruppi11
-
quale effettiva struttura dare in concreto alla propria specifica
implementazione del CMS, decidendo quali funzionalità attivare e quali nomi
assegnare alle diverse istanze comunicative.
Ad esempio, un contenitore di notizie di un CMS può servire indifferentemente la
pubblicazione di notizie di un giornalino (foto e testo notizia), le comunicazioni al
personale (solo notizia), le recensioni di libri (copertina del libro e testo recensione) e
le comunicazioni degli studenti (testo notizia)12. Usando un CMS non ci sarà così più
un unico individuo delegato alla pubblicazione sul sito (il webmaster o la webmistress
–sic!- dei tradizionali siti statici), ma ciascuno potrà aggiungere direttamente
informazioni e notizie, in base ai compiti assegnati. Ad esempio si può coinvolgere gli
studenti in laboratorio (fisica, chimica, ecc…) suddividendo i compiti con alcuni
studenti che si occupano della realizzazione dell’esperimento ed altri che si occupano
della documentazione scritta in diretta sui PC con l’ausilio di fotocamere e
videocamere. Al termine della lezione è possibile inviare tutto il materiale prodotto
direttamente sul CMS ed esso diventerà immediatamente visibile e consultabile sia da
casa sia da scuola (segnaliamo come esempio www.itismajo.it/chimica13). Gli studenti
possono fare vedere alla sera ai famigliari l’esperienza fatta a scuola, mentre il
docente può a sua volta consultare gli stessi elaborati con tutta calma. In qualsiasi
momento gli studenti ed i docenti potranno approfondire e correggere gli elaborati
prodotti. La conoscenza prodotta dallo studio e dal lavoro cooperativo trova nei CMS
il compagno ideale per conservazione e condivisione dei contenuti. La possibilità di
pubblicare direttamente in rete, inoltre, trasforma gli studenti da semplici fruitori ad
autori creativi delle tecnologie digitali. La stessa consapevolezza di poter esprimere il
proprio pensiero in rete può rimotivare trasversalmente gli studenti e
responsabilizzarli nella produzione di contenuti di maggiore qualità e nella
comprensione profonda dei criteri con cui valutare tale incremento.
In qualsiasi momento i compiti assegnati agli utenti e la struttura
dell’implementazione potranno essere ridiscussi e modificati; allo stesso modo la
redazione distribuita od ogni altra articolazione operativa e comunicativa potrà
crescere sul piano quantitativo e qualitativo. Non ci sono infatti limiti al numero di
autori su un sito, per cui tutti gli utenti che possono contribuire o lavorare in rete
possono avere una password personale.
11
Il CMS è più adatto per la scuola secondaria. Consigliamo di scegliere in ogni caso di affidare
compiti a gruppi piuttosto che a singoli sia per evitare dispersioni sia per esercitare più facilmente la
tutela. Nei casi più consolidati, quando si sia sviluppato il senso di appartenenza al progetto, sarà poi
possibile anche accreditare gli studenti singolarmente.
12
Alcuni esempi di CMS scolastici dove si può notare il diverso uso degli stessi strumenti e, in
particolare, dello strumento notizie/annunci (posizionato nella colonna centrale) sono www.dschola.it,
www.icbazzano.it, www.scuolevalsangone.it, www.avogadro.itis.to.it, www.itismajo.it/pavonenotizie
13
Il portale per la chimica dell’ITI Majorana è un esempio di convergenza tra Cooperative Learning,
TIC e CMS. Il video di presentazione chiarisce l’impostazione del progetto
www.itismajo.it/chimica/video.wmv
4
5
CMS in rete
Nome, indirizzo
OpenSourceCMS
http://www.opensourcecms.com/
Sharepoint Services
http://www.microsoft.com/italy/w
indowsserver2003/technologies/sh
arepoint/default.mspx
MD Prof
http://www.mdprof.com
e-xoopport
http://www.e-xoopport.it
ASP Nuke
http://www.aspnuke.it/
Word Press
http://www.wordpress-it.it/
School Tool
http://www.schooltool.org/
CMAP Server
http://cmap.ihmc.us/download/dl_
CmapServer.php
Caratteristiche
Il principale catalogo di CMS open-source.
Alcuni soddisfanno i requisiti di accessibilità.
CMS ad oggetti molto versatile e potente, con la
capacità di integrare frontpage con siti statici e
dinamici. Il prodotto è gratuito e richiede
Windows 2003 Server.
CMS italiano, derivato da MD Pro, appositamente
personalizzato per l’impiego scolastico.
Un CMS tutto Italiano, modulare e completo. In
arrivo una versione per le scuole.
CMS open-source per i server Microsoft.
Blog open-source più usato tra le soluzioni da
installare sul proprio server.
CMS basato su Plone per la gestione
amministrativa delle scuole.
Non è un CMS classico ma ha molte
caratteristiche di un CMS con in più l’approccio
grafico e gerarchico.
6
Uso di modelli e template per attrezzare un ambiente di apprendimento su base digitale – di
Marco Guastavigna
(pubblicato in “Ambienti di apprendimento e nuove tecnologie”, Erickson, 2007)
Gli “oggetti digitali” hanno una caratteristica molto importante, la riproducibilità, anche immediata,
in un numero pressoché illimitato di copie, ciascuna delle quali sarà esattamente identica
all’originale. Non a caso, nell’ultimo periodo, il mercato delle tecnologie si è sbizzarrito, a livello di
dispositivi hardware, nella produzione di strumenti integrativi rispetto alla struttura tradizionale del
computer (monitor, unità di lavoro, tastiera, stampante), dalle fotocamere ai microscopi, ma soprattutto in quella di unità di memoria per l’archiviazione di file, dai “pen drive” ai dischi rigidi esterni,
molto capaci e facilissimi da trasportare da un computer ad un altro, ai dischi rigidi esterni tascabili,
per non parlare delle varie versioni di lettori Mp3, destinati prioritariamente a file musicali, ma
spesso utilizzabili a loro volta per memorizzare e trasportare dati. Meno visibile e quindi meno nota,
ma molto importante dal punto di vista didattico, in particolare per quanto riguarda coaching e scaffolding negli ambienti di apprendimento, è la possibilità, data da numerosi programmi, di realizzare
“Modelli” (chiamati dai software in inglese “Templates”), ovvero file archiviati e trattati in modo
particolare, perché destinati ad essere “matrici” generative di altri file che ne avranno tutte le caratteristiche e che saranno manipolabili, modificabili e a loro volta salvabili, senza mai intaccare quelli
originali. Abbiamo così a disposizione una maniera sistematica e molto precisa di organizzare modularmente il lavoro, che garantisce contemporaneamente la massima malleabilità degli oggetti di
lavoro e la conservazione in automatico dello schema di riferimento.
Modelli per la scrittura
I Modelli di documento sono, come detto, molto diffusi. Sono facilmente ritrovabili e riconoscibili,
in primo luogo, in un programma di videoscrittura ricco, dal commerciale Word all’open source
Open Writer1, anche nella sua versione portatile2. Molti dei lettori si saranno già accorti che oltre al
tradizionale “foglio bianco” che costituisce il documento vuoto, su cui cominciare a scrivere, in
questi software è possibile attivare anche altri tipi di matrici di documenti fortemente caratterizzati,
per esempio moduli per fax e per vari tipi di pianificazione di attività, ma anche lettere formali, curriculum vitae, brochure, notiziari, volantini, diari, relazioni, accanto a strumenti di guida per la
compilazione di schede o l’organizzazione di appunti3. Ciascuno di questi Modelli ha impaginazione ed struttura definite, ed alcuni sono accompagnati da istruzioni su come stendere il testo. Alcuni
sono forse distanti da ipotesi di lavoro di tipo formativo perché fortemente legati alle necessità del
lavoro d’ufficio, ma altri possono essere invece davvero utili in diverse situazioni. Tutti forniscono
in ogni caso, forse prima ancora agli insegnanti che agli allievi, un messaggio comunicativo e didattico importante: ci sono tipologie testuali “socialmente condivise”, fondate e fondabili su un complesso di elementi riconoscibili e riutilizzabili, affrontabili e imparabili con percorsi espliciti. Può
quindi essere assai utile che gli insegnanti, in particolare quelli di italiano, nell’accingersi a organizzare il modelling e lo scaffolding di un ambiente per l’apprendimento della scrittura, sfoglino le
collezioni di modelli testuali offerte dai vari ambienti di word processing. Potranno così selezionare
quelli a loro giudizio impiegabili nei diversi contesti formativi, in particolare per quanto riguarda la
didattica dei testi espositivi e della scrittura di tipo documentale – la versione 2004 di Word contiene, tra gli altri, indicazioni sulle procedure per annotare, strutturare interviste ed anche organizzare
semplici argomentazioni. I Modelli potranno a loro volta essere aperti, modificati e salvati come
qualsiasi altro file; la sola avvertenza particolare è tenere sotto controllo il formato, il tipo di file,
utilizzato al momento del salvataggio: con il formato Modello di Word o di Open Writer, si realiz1
Tutta la “suite” a cui appartiene il programma è scaricabile in http://www.openoffice.org.
2 Si tratta di una versione del software destinata ad essere collocata su di un pen-drive per essere utilizzata direttamente
da lì, anche su diversi pc. Così come numerose altre applicazioni portatili si scarica da http://portableapps.com/.
3
Oltre ai Modelli forniti all’atto dell’installazione del programma, l’ambiente Office ne mette a disposizione altri, scaricabili a partire da http://r.office.microsoft.com/r/hlidTemplatesFromClientWithLogging/OF/11/EC010227111040/6.
zerà sempre una nuova matrice di documenti vuoti, che potrà poi essere richiamata e utilizzata per
produrre documenti che le si conformeranno. Il cambiamento di nome all’atto del salvataggio genererà quindi un nuovo Modello, parzialmente diverso da quello di partenza. Con questa procedura sarà possibile realizzare strutture guida e più in generale esercizi4 di qualsiasi tipo, sulla base dei quali
far lavorare ciascun singolo allievo senza mai doversi preoccupare che venga involontariamente
intaccato l’originale. Ovviamente, lo stesso obiettivo è realizzabile realizzando un documento
“semplice” e salvandone ogni volta una copia con un nome diverso, ma questo modo di procedere è
meno semplice e lineare; soprattutto, basta un piccolo errore e l’originale viene compromesso. Poiché Open Writer, come del resto tutta la suite Open Office, è di fatto gratuito, potrà essere utile installare le versioni del programma in lingua straniera: si possiederanno in questo modo Modelli5 di
documenti in diverse lingue, la cui utilità è autoevidente. La riproduzione su diversi computer di un
Modello realizzato altrove è molto semplice: basterà copiarlo nella cartella di destinazione destinata
dal programma ai Modelli stessi, indicata dal sistema al momento del salvataggio sul primo calcolatore6.
Modelli per diverse esigenze di apprendimento
Il meccanismo dei Modelli è condiviso anche da altre applicazioni digitali tra le più usate, dai software per la produzione di diapositive digitali (e quindi, per esempio, Power Point e Open Impress)
a quelli per il calcolo automatico (e quindi, per esempio, Excel e Open Calc). Anche in questi casi
sarà quindi possibile produrre in modo molto semplice esercitazioni e strutture di guida per diversi
tipi di elaborazioni7. L’uso del Modello (in inglese, come già detto, Template) è molto diffuso. Parecchi programmi presentano invece nel menu File la funziona Save as Template: il file sarà salvato
(a volte addirittura in una cartella creata apposta all’atto dell’installazione) attribuendogli automaticamente le particolari caratteristiche funzionali descritte inizialmente, che ne consentiranno la “riapertura” come matrice per ulteriori attività, che potranno essere sviluppate da utenti diversi, magari
anche secondo modalità e percorsi parzialmente differenti. Utilizzano questa modalità di produzione dei “Templates”, per esempio, Mind Manager8 e Concept Draw Mind Map Pro9, software per
l’elaborazione di mappe mentali. Inspiration10, ambiente per la realizzazione di vari tipi di rappresentazione della conoscenza, non ultime le mappe concettuali, propone invece, nel menu Utility, un
Template Wizard, cioè un modulo specifico di assistenza al salvataggio di un file come modello di
attività. Viene così dedicata molta cura anche alla descrizione delle funzioni assegnati al file, ma in
ambedue sarà possibile concepire di utilizzare i Template per costruire strumenti propedeutici, per
esempio mappe mentali da completare e mappe concettuali da correggere e viceversa. Anche Kidspiration, versione per bambini di Inspiration, votato molto esplicitamente alla didattica, propone
4
Esempi di lavori di questo genere sono disponibili in http://www.noiosito.it/paragrafi.zip,
http://www.noiosito.it/modelli.zip, http://www.noiosito.it/esel.zipe http://www.noiosito.it/esmb.zip. Tutti hanno valore
indicativo e non prescrittivo e possono essere sfruttati in primo luogo per meglio comprendere gli effetti pratici
dell’impiego di un modello. Si veda anche il box sul modello per l’argomentazione semplice .
5
I Modelli di Open Writer sono in linea generale compatibili con Word e viceversa. Più in generale, i software Open
Source garantiscono la piena “portabilità” dei file tra i tre principali sistemi operativi attualmente in uso, Linux,
Windows e Mac OS X.
6
In realtà i Modelli funzionano anche in modo più semplice: possono essere collocati dovunque ed attivati con un doppio click. Collocarli nelle cartelle definite dal programma all’atto dell’installazione è un modo come un altro di tenere
in ordine i materiali.
7
In http://www.pavonerisorse.to.it/cacrt/ricerca/ è scaricabile un lavoro che sfrutta in modo integrato i Modelli per la
scrittura e per il calcolo ai fini dell’organizzazione della ricerca. Si tratta in qualche misura di un esempio di ambiente
di apprendimento organizzato sulla base di un obiettivo di tipo costruttivista e centrato sull’uso delle tecnologie.
8
Una versione di prova del programma in lingua italiana è reperibile in
http://www.scatolepensanti.it/mindmanager/mindmanager_come_provarlo/mindmanager_come_provarlo_down.asp
9
Il trial di prova è scaricabile in http://www.conceptdraw.com/en/resources/suppdownl.shtml
10
Una versione di prova del programma è disponibile a partire da www.inspiration.com; dallo stesso indirizzo è reperibile anche il trial di Kidspiration.
un mago-assistente: nel menu Teacher è infatti prevista l’opzione Save With Activity Wizard – le
Activities sono realizzate appunto con il meccanismo dei Template e sono addirittura presentate direttamente all’apertura del programma. Più in generale tutti e tre gli ambienti forniscono infatti fin
dalla prima installazione all’utente collezioni di Templates di vario genere, che possono essere utilizzati come esempi oppure sfogliati per analizzarne e confrontarne le diverse logiche di rappresentazione grafica, magari fino a trovare quella più adatta alle nostre esigenze. Allo stesso modo, l’uso
dei Tipi di disegno di Microsoft Visio11 o dei Drawing Type di Smartdraw12, programmi per ricca
schematizzazione e rappresentazione visiva varia, potrà essere un’occasione per individuare riferimenti utili alle proprie esigenze di raffigurare fatti, fenomeni, risultati di indagini e così via. Molto
utile, in questi casi, considerata la possibilità di passare molto rapidamente da un Modello all’altro,
sarà la discussione collettiva dell’efficacia e delle potenzialità delle diverse opzioni proposte. La
necessità di portare a consapevolezza le ragioni di una scelta, ovvero in qualche modo le “regole”
logico-operative che caratterizzano le diverse rappresentazioni e le ragioni della loro efficacia o della loro inadeguatezza rispetto agli obiettivi del gruppo-classe, produrrà infatti apprendimento significativo, ed eviterà un atteggiamento di eccessiva immersione negli aspetti puramente tecnologici.
Un po’ diversa, infine, è la logica di Z-write13, programma di scrittura creativa per Macintosh: in
questo caso non è infatti previsto che l’utente possa salvare dei Modelli. È però possibile decidere
di utilizzare a questo scopo un file salvato normalmente: nel menu File è infatti presente la voce
Open as Template, che preserva l’originale da modifiche involontarie.
Modelli per intervenire sull’interfaccia di un programma
Nel caso di alcuni software, ad esempio Microsoft Office ed Open Office, la funzione dei Modelli
può andare molto al di là della semplice definizione di una struttura di elaborazione dei dati. Come
è probabilmente noto, l’interfaccia di un programma digitale si compone sostanzialmente di un “foglio” o di un piano di lavoro, sui quali avvengono le operazioni di elaborazione, di mezzi dedicati al
movimento e alla visualizzazione e di menu e barre degli strumenti per l’avvio ed il controllo delle
varie procedure applicabili all’oggetto del processo di elaborazione. In linea generale, all’avvio di
una sessione di lavoro, l’ambiente si struttura in un modo definito, ovvero propone menu (in genere
tutti quelli disponibili) e barre degli strumenti composte da icone sulle quali agire, definendo così
un’interfaccia – una modalità di comunicazione all’utente di cosa il programma possa fare e di come farla14. Ciascun utente impara abbastanza rapidamente ad intervenire sulle barre degli strumenti,
per visualizzare (solo) quelle che effettivamente gli interessano nel momento in cui gli servono. Il
Menu Strumenti degli ambienti citati ha una voce, Personalizzazione, lavorando sulla quale si può
fare molto di più: aggiungere e togliere voci ai Menu e icone alle Barre, ma anche produrre nuovi
Menu e nuove Barre degli strumenti, attuando quindi interventi anche molti significativi
sull’insieme dell’ambiente. Un ambiente di lavoro, una volta ristrutturato secondo le proprie esigenze attraverso questi interventi, può essere a sua volta salvato come Modello: è quindi possibile
intervenire ad adattare in modi diversi l’interfaccia e produrre una collezione non solo di strutture di
documenti, ma anche di veri e propri ambienti di lavoro differenziati: è addirittura possibile concepire e produrre, all’interno di una stessa logica operativa di fondo, una serie di Modelli che presentino all’inizio gli aspetti più immediati e fondanti e solo successivamente quelli più complicati e
11
La versione trial inglese di Visio 2003 è disponibile in http://www.microsoft.com/office/visio/prodinfo/trial.mspx
La più recente versione del programma è scaricabile in prova da http://www.smartdraw.com/downloads/index.htm
13
La versione trial è reperibile in http://www.stonetablesoftware.com/
14
Mentre scriviamo è stata resa disponibile la versione Beta di Office 12, che modifica profondamente la logica con cui
il software presenta le proprie funzionalità all’utente. La netta differenza tra menu e barre degli strumenti, per lo più
funzionalmente ridondanti tra loro, è ora assorbita dai “ribbon”, pannelli onnicomprensivi a forte vocazione iconografica. Chi voglia provare il nuovo prodotto (http://www.microsoft.com/italy/office/preview/beta/getthebeta.mspx), scoprirà che la funzione di salvataggio dei templates è stata per altro ulteriormente arricchita, perché è possibile associare al
modello delle procedure macro (sequenza automatizzate di azioni), che possono essere salvate come attive oppure essere rese inerti.
12
sfumati dell’ingegnerizzazione e dell’esplicitazione di oggetti e loro proprietà, fasi, procedure, costituenti un processo di elaborazione complesso, come è definibile un qualsiasi software da un punto di vista cognitivo. Rendere disponibile solo ciò che presumibilmente è davvero utile nei singoli
contesti operativi può evitare l’effetto di distrazione-confusione che spesso ha l’eccesso di icone e
quindi di opportunità operative, soprattutto in utenti poco avvezzi all’uso di ambienti molto articolati, che sono costretti a dedicare ai processi di individuazione e selezione delle operazioni da compiere tempo ed energie cognitive che, se adeguatamente assistiti, possono invece applicare
all’elaborazione ed alla definizione delle proprietà e delle modifiche da applicare all’oggetto si cui
stanno lavorando. Un percorso dal semplice15 al complesso16, dall’obiettivo di (far) concentrare inizialmente l’attenzione sugli elementi essenziali di un programma per poi via via (far) allargare lo
sguardo fino a individuarne tutte le componenti è del resto molto coerente con l’impostazione costruttivista, in termini non solo di scaffolding e coaching, ma anche di fading, perché persegue la
progressivamente acquisizione da parte dell’allievo di una completa autonomia nell’uso dei diversi
software.
In questa prospettiva proponiamo alla riflessione una distinzione tra gli oggetti-simbolo delle azioni
e delle funzioni attivabili con un’interfaccia, le icone. Esse sfruttano infatti tutte il meccanismo cognitivo dell’analogia, tanto è vero che sono ormai una sintassi di rappresentazione comune ai vari
sistemi operativi, ma questo non le rende del tutto equivalenti l’una con l’altra.
Vediamo alcuni esempi:
- l’icona del Cestino fa riferimento ad un oggetto utilizzato nell’esperienza materiale in forma
del tutto disgiunta rispetto alle funzioni del computer.
- l’icona della Stampante richiama un oggetto il cui uso è strettamente connesso alle funzioni
del computer ma è facilmente comprensibile perché contiene la soluzione ad un problema
immediatamente chiaro: trasferire le proprie elaborazioni su carta, su supporto tradizionale;
- l’icona del dischetto richiede un processo analogico del tutto autoreferente, ovvero riferito
alle esigenze del computer: rappresenta la soluzione più rapida per archiviare in memoria le
proprie elaborazioni ed assume perciò significato solo per chi abbia chiara questa esigenza
di trasferimento del lavoro su supporto digitale. Non sembri questo un discorso ozioso e
troppo sottile: i dischetti stanno sparendo da supermercati e negozi e la gran parte dei computer portatili – come per esempio il mio Macintosh Ibook G4 con cui sto scrivendo queste
note, a cui devo per altro dare atto di usare il più comprensibile “Registra” laddove altri usano il quasi miracolistico “Salva” – sono privi da un bel po’ di tempo del dispositivo di lettura e scrittura sui dischetti, giudicati ormai inutili ed in parte inaffidabili!
Gli interventi di adattamento dell’interfaccia nella complessa dialettica tra funzionamento (come agisce un programma), funzioni (a che cosa serve) ed esigenze, abilità ed aspettative dei potenziali
utenti sono insomma globalmente molto promettenti per la definizione di ambienti di apprendimento: essi possono essere attuati dall’insegnante ma anche dagli studenti più esperti, magari discutendo e confrontando scelte e proposte.
15
Si veda in proposito nel box 2 un esempio di estrema semplificazione dell’interfaccia di Word per Windows.
Si veda in proposito nel box 3 un esempio di adattamento dell’interfaccia di Word ad una impostazione didattica del
processo di composizione.
16
Box 1: Un Modello per l’argomentazione semplice
Presentiamo un esempio molto semplice di matrice per la realizzazione di esercitazioni; in questo caso (estratto da
http://www.noiosito.it/modelli.zip) siamo di fronte alla possibilità di elaborare argomentazioni guidate da una serie di
domande e/o da uno schema di riferimento. Ogni allievo può utilizzare il Modello per il proprio lavoro attuando tutte le
modifiche che ritiene necessarie. Domande e schema, anzi, andranno cancellati via via che il testo prenderà forma definitiva. Tutte queste azioni non produrranno alcuna conseguenza sul materiale originario.
Domande guida
1. Qual è il problema?
2. Quale opinione, che non ti convince, propongono altri?
3. Come è motivata quella opinione?
4. Perché quella opinione non ti convince?
5. Qual è la tua soluzione/opinione?
6. Come motivi la tua opinione?
Schema - tipo
1.
PROBLEMA CONSIDERATO
2.
TESI ALTRUI
3.
ELEMENTI DI PROVA DELLA TESI ALTRUI
4.
OBIEZIONI ALLA TESI ALTRUI
5.
ENUNCIAZIONE DELLA NOSTRA TESI
6.
ELEMENTI DI PROVA DELLA NOSTRA TESI
Box 2: Modelli per semplificare Word per Windows
L’immagine riproduce l’interfaccia estremamente essenziale a cui Word per Windows si conforma aprendo un Modello
finalizzato ad una sua estrema semplificazione: le icone sono grandi e comprendono soltanto operazioni essenziali di
gestione del documento. I Menu sono solo due e hanno nomi più rispondenti all’idea che si lavora su un testo.
Successivamente presentiamo un possibile sviluppo 17, in cui compare il Menu Azioni, coerentemente con il fatto che
sulla barra degli strumenti sono presenti Copia, Taglia, Incolla, Annulla, ovvero le principali opzioni utili a sfruttare la
flessibilità del supporto flessibile, a cui si aggiunge, con l’icona della Gomma, la funzione Cancella, allo scopo di rendere l’interfaccia pienamente coerente: tutte le possibilità operative sono infatti visibili ed attivabili nello stesso modo.
17
Altri
esempi
di
adattamenti
di
Word
http://xoomer.virgilio.it/marcoguastavigna/hugon2.htm
ad
esigenze
didattiche
sono
visibili
in
Box 3: Un modello per rappresentare il processo di composizione di un testo
In questo caso l’intervento sull’interfaccia è massiccio: ci sono quattro barre degli strumenti ed alcuni menu sono stati
rinominati in modo da corrispondere in modo preciso ai passaggi del processo di elaborazione di un testo.
Riproduciamo inoltre i menu Fasi (che presenta i momenti essenziali in cui tale processo è scomponibile, dalla progettazione alla stesura al controllo ortografico), Composizione (che raccoglie tutte le funzioni relative alla scrittura) e Manipolazioni (che riunisce tutte le possibilità di intervento di carattere grafico.
MATERIALI PER INSEGNANTI
Generatori di cacce ai tesori della conoscenza e di webquest – di Marco Guastavigna
(pubblicato in “Ambienti di apprendimento e nuove tecnologie”, Erickson, 2007)
A chi si rivolge la scheda? è diretta a tutti gli insegnanti, di ogni ordine di scuola e di ogni ambito
disciplinare, che vogliano attivare percorsi di ricerca guidati per le ragioni formative e secondo le
modalità didattiche indicate nel libro a proposito di cacce al tesoro1 e di webquest2.
Cosa contiene? descrive la logica operativa di due strumenti raggiungibili ed utilizzabili via rete,
che servono a realizzare cacce al tesoro e webquest secondo modelli standard.
1. Generatore di cacce al tesoro – http://www.aula21.net/cazas/cacce.htm
La pagina contiene la traduzione (realizzata da chi scrive) del generatore originale, realizzato in lingua spagnola (http://www.aula21.net/cazas/ayuda.htm) da Alejandro Valero Fernández sul sito aula21.net, coordinato da Francisco Muñoz de la Peña Castrillo, che ne cura il costante arricchimento
di materiali per la didattica e di riflessioni pedagogiche. Il generatore funziona in modo molto semplice, come per altro spiegato nella pagina di aiuto (http://www.aula21.net/cazas/caccia_ita.htm): si
tratta di compilare le voci previste, di cliccare sul pulsante crea la caccia al tesoro, posto in basso, e
di salvare la pagina che verrà appunto generata direttamente dal browser, avendo l’avvertenza di
impostare l’opzione (solo) HTML nella casella relativa al tipo di file. Da questo momento si disporrà sul proprio computer di una pagina web che potrà essere ulteriormente modificata con un qualsiasi programma in grado di gestire il formato html stesso. Il vantaggio di utilizzare un generatore è
molto evidente: il lavoro sarà realizzato avendo la garanzia di rispettare tutta la struttura prevista e,
nel caso di lavori multipli, ne sarà garantita la piena omogeneità. Il generatore, poi, funziona in modo del tutto indipendente dal sistema operativo utilizzato e allo stesso modo con tutti i browser attualmente in uso, ragion per cui si può lavorare senza dover disporre di risorse specifiche: anche chi
non ha l’ultima versione di Windows o chi utilizza un computer con software open source avrà gli
stessi risultati di chi possiede computer più aggiornati o con “programmi proprietari”. La modificabilità successiva della pagina garantisce per altro la possibilità di adattare il risultato standardizzato
alle specifiche esigenze delle diverse situazioni. Da non sottovalutare, infine, la possibilità di utilizzare il generatore anche in una delle lingue diverse dall’italiano. Le cacce realizzate potranno essere
utilizzate sul singolo PC, in rete locale, ma anche, ed è la soluzione che caldeggiamo, pubblicate su
Internet, in modo da essere a disposizione anche di altri, allievi ed insegnanti. In questo caso, raccomandiamo di prestare particolare attenzione alla voce “Titolo del progetto”, perché ciò che scriveremo in questo campo sarà utilizzato dal generatore anche per il tag title della pagina,
un’informazione essenziale dal punto di vista tecnico e comunicativo per il posizionamento sui motori di ricerca e per la riconoscibilità del contenuto. Sarà infatti questo “titolo” a caratterizzare la
pagina nella lista dei materiali ritrovati da una ricerca. Se si vuole essere davvero reperibili, è bene
pertanto ricorrere a titoli denotativi (per esempio “Caccia al tesoro sul petrolio”) piuttosto che connotativi (“L’oro nero”): la prima soluzione è molto più congruente con il fatto che molto probabilmente chi abbia necessità di materiali di questo genere inserirà in un motore le parole chiave “caccia tesoro petrolio”. Il fatto che la pagina sia così etichettata complessivamente otterrà
un’assegnazione di particolare pertinenza da parte del motore e l’utente, nel leggere il titolo, capirà
immediatamente che quel materiale risponde alle sue esigenze.
2. Generatore di webquest – http://www.aula21.net/Wqfacil/webit.htm
1
2
Inserire riferimento alla parte del volume
idem
Origini, destinazione e funzioni di questo secondo generatore sono sostanzialmente i medesimi del
primo. Anche in questo caso il vantaggio fondamentale sta nella possibilità di condividere un modello e di realizzare prodotti standard in modo molto semplice, con la conseguenza di potersi dedicare in misura maggiore al contenuto, ovvero alla significatività dei siti e del compito di ricerca ed
elaborazione assegnato, nonché ad una puntuale descrizione dei procedimenti da utilizzare. Anche
in questo caso raccomandiamo di rendere disponibili i materiali via web e di adottare accorgimenti
per renderli davvero reperibili da altri. Vediamo ora quali sono i limiti della soluzione proposta dai
due generatori. Uno è evidente: neretti, corsivi ed a capo devono essere gestiti con caratteri di controllo e non con il sistema WYSIWYG3 a cui ci hanno ormai da tempo abituato i programmi di
scrittura. Dal momento che si lavora on-line, inoltre, è bene non dimenticare che la soluzione migliore è una connessione ad Internet a tariffa piana. Il terzo problema è forse un po’ sommerso: poiché, appunto, si lavora on-line non vi è modo di avere un unico file su cui lavorare progressivamente. All’atto della creazione della “caccia” o del “webquest”, infatti, e dopo il relativo salvataggio,
non vi è modo di riutilizzare il file ottenuto con il generatore. Di fatto, insomma, il lavoro va fatto
in un’unica sessione. Per ovviare a questo inconveniente, vi sono due modi:
- lavorare con il generatore per l’impostazione complessiva e ricorrere ad un programma di editing di pagine web per le modifiche successive;
- accumulare e raffinare il materiale come più ci aggrada e ricorrere successivamente
al copia ed incolla dei materiali all’interno del generatore, facendo in questo caso
particolare attenzione al fatto che per e neretti, corsivi ed a capo andranno inseriti i
caratteri di controllo previsti dal generatore.
Suggeriamo infine di salvare e stampare per ambedue i generatori uno schema vuoto, in modo da
poter aver a portata di mano la struttura di massima, fino a quando essa non sia diventata una rappresentazione mentale sufficientemente chiara ed “automatizzata”.
3
What You See Is What You Get (quello che vedi è quello che ottieni): l’acronimo si riferisce al
fatto che da tempo con programmi non vi è discostamento alcuno tra quanto ottenuto in stampa o al
termine di un processo editoriale e quanto via via sviluppato. In questa logica, per esempio, il grasseto finale si ottiene pigiando un’icona che mette in grassetto il testo in corso di elaborazione, senza
dover ricorrere a caratteri di controllo, ovvero all’inserimento di comandi all’interno del testo.