La vita delle forme Fotografie, disegni e grafiche da
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La vita delle forme Fotografie, disegni e grafiche da
La vita delle forme Fotografie, disegni e grafiche da Picasso a Warhol di Silvia Ferrari Non soltanto ogni attività viene scoperta e definita nella misura della forma ch'essa assume, della curva ch'essa inscrive nello spazio e nel tempo, ma anche la vita agisce essenzialmente come creatrice di forme La vita è forma, e la forma è il modo della vita. (Henri Focillon, Vita delle forme) In queste parole di Henri Focillon risiede l'essenza della mostra odierna, che vuole essere anche un omaggio allo storico francese, i cui scritti rappresentano, a oltre sessant'anni dalla loro prima pubblicazione, imprescindibili modelli di lettura dell'opera d'arte. Scelta avvalorata dal fatto che nelle pagine dello storico francese il tema della vita - che distingue quest'anno le iniziative del Festival della Filosofia di Modena - viene affrontato non soltanto come parte di un legame indissolubile con la creazione artistica, ma anche in termini di rapporto di vera e propria similitudine formale con l'opera d'arte: "L'opera d'arte è un tentativo verso l'unico; s'afferma come un tutto, come un assoluto; e, nello stesso tempo, fa parte di un sistema di relazioni complesse". La mostra attuale è un itinerario tra le molteplici interpretazioni che i maggiori protagonisti dell'arte del XX secolo hanno dato di questa tematica vasta e pressoché inesauribile; nelle quattro sezioni in cui l'esposizione è suddivisa - le forme del corpo, le forme del volto, le forme del mondo, le forme del pensiero - si confrontano tra loro le opere di più di trecento artisti, selezionate dalle collezioni del disegno contemporaneo, della fotografia e della grafica della Galleria Civica di Modena. Esula da ogni intenzione classificatoria l'individuazione dei quattro grandi temi, che vogliono piuttosto presentarsi come possibili percorsi di lettura capaci di suggerirne infiniti altri. La cifra distintiva dell'intero allestimento vuole giocare invece sul dialogo reciproco tra opere realizzate con sensibilità e medium diversi a confronto sul medesimo soggetto, a dimostrazione della sua irriducibilità a una forma unica. La mostra, che si sviluppa nelle due sedi espositive della Palazzina dei Giardini e di Palazzo Santa Margherita, segna inoltre un momento significativo per la storia della Galleria Civica: anzitutto offre l'opportunità di esporre nuovamente molte opere appartenenti alla Collezione Don Casimiro Bettelli, di proprietà dell'Arcidiocesi di Modena-Nonantola, che la Curia ha recentemente affidato in comodato gratuito all'istituto modenese. In secondo luogo, si propone come anteprima di quello che sarà il futuro Museo d'Arte Contemporanea della città, che troverà l'anno prossimo la sua sistemazione definitiva ai piani superiori di Palazzo Santa Margherita. Infine, va sottolineata la presenza di un consistente nucleo di nuove acquisizioni, concentrate su opere dei grandi maestri della fotografia internazionale (dal Jupiter Portfolio di White, alle immagini di Plossu, Caponigro, Jodice), e sul disegno (dal gruppo di fogli di Cesare Peverelli recentemente donati alla Galleria Civica dagli eredi ai disegni di artisti giovani o giovanissimi come Chiesi, Di Giovanni, Guatta, Lorenzi, Tosca, Chiarini) a conferma dell'impegno e dell'attenzione che l'istituto modenese rivolge ai nuovi orizzonti della ricerca artistica. La Sala Grande di Palazzo Santa Margherita ospita le prime due sezioni incentrate sulla persona, luogo dell'identità, ma anche luogo fisico e sensuale dove l'esperienza della vita viene filtrata attraverso i sensi. Il percorso dedicato alle forme del corpo si apre con un gruppo di opere che focalizzano particolari stati e dinamiche, che coinvolgono il corpo da un punto di vista fortemente fisico. Attore di un gesto, un'azione, o uno sforzo impresso o subito, il corpo qui è simbolo dell'energia in moto e del dinamismo delle forme. Opere come Gladiatori di Giorgio De Chirico e lo Studio per Tito Minniti di Arturo Martini, sono esemplificativi dell'interpretazione, attraverso un segno plastico e marcato, dell'idea di forza esercitata o sofferta, della lotta tra corpi o del corpo con se stesso. L'atto che si imprime con violenza sull'esterno talvolta si carica di valenze psicologiche e si riversa sul soggetto come azione autodistruttiva e al tempo stesso ironica e surreale, come accade in Uomo che frusta la propria ombra di Parmiggiani e nella serigrafia di Henry Je la lance. Gioca sulla coppia di opposti attività/passività il gruppo di opere in cui il corpo in posa per l'artista è al centro di particolari atteggiamenti posturali: dalla posizione quasi acrobatica nel disegno di Lorenzi, a quella seduta delle figure di Rosai e Ferrazzi; dal corpo di Pascali rovesciato sotto alla propria Vedova blu, nella fotografia di Abate, al corpo in abbandono nell'immagine di Plossu. Con la sezione dedicata al corpo sociale, lo stato in cui l'uomo si pone in rapporto col mondo, si entra nella dimensione della comunicazione umana e in tutte le forme che le appartengono. Il dialogo, in particolare, è uno dei motivi più esplorati e sembra rappresentare ancora il simbolo più esplicito dell'apertura del sé all'altro: tre dei maggiori artisti presenti in mostra, ad esempio, Guttuso, Picasso e Campigli, lo interpretano attraverso il tema classico della conversazione e ad esso viene riservata un'attenzione vivissima anche da parte degli artisti più giovani, come Di Giovanni, nel disegno Berlinesi (Diario da bar). Di matrice meno esplicitamente figurativa è la sezione sulle metamorfosi del corpo; in apertura, nella fotografia di Mangano, dove una mano scompare immersa nella neve, viene anticipato un rovesciamento del rapporto interno/esterno, sviluppato anche da artisti come Astore, in cui il segno astratto mostra espliciti riferimenti all'organo genitale femminile, o Peverelli, che inventa creature aliene zoomorfiche, ma anche vagamente sensuali. Nell'ordine del fitomorfismo e dello zoomorfismo, e quindi della trasformazione della natura del corpo, si possono leggere le opere di Ponti (La donna-pesce) e di Parmiggiani (l'uomo-albero), mentre i personaggi geometrici di Brauner o gli uomini-tv di Parisi si muovono in un orizzonte di contaminazione meccanica del corpo, fino all'estremo del corpo-automa. Ancora del rovesciamento di rapporti tra forma e contenuto, tra forma e materia, narrano i fogli di Henry, incentrati su personaggi dalle curiose e bizzarre alterazioni delle proporzioni di gusto tutto surreale; l'opera di Vedova, in cui le forme si muovono nella sostanza indistinta della pittura in un annullamento assoluto dei confini tra figura e sfondo; la scomposizione onirica del corpo nel disegno a tecnica mista di Ricci. L'attenzione nei confronti della materia e delle alterazioni del suo stato è al centro delle ricerche artistiche di Leoncillo, Bottarelli, Minkkinen: il corpo perde la propria forma per ritornare ad essere pura materia oppure cambia il proprio stato in solido/liquido/aereo e rimane scioglimento, traccia, impronta. Sezione importante per ricchezza e qualità è quella riservata al nudo, genere che per eccellenza celebra il corpo per il valore formale e simbolico che ricopre da sempre nella storia delle arti visive. Nella lunga carrellata si va dai nudi provocatori e sensuali, dove il corpo è esibito come luogo del piacere, in prevalenza nella fotografia (Van der Elsken, Franco Fontana, Gorgoni), alle ricerche più formali sulla luce (Clergue, Monti, Shiraoka), fino agli esiti di più estrema essenzialità, i cui esempi si contano non solo nel disegno (Lucio Fontana, De Pisis, Bendini), ma anche in quelle immagini fotografiche dove il corpo è linea o chiaroscuro appena accennato (Hosoe, Hoshino). Sarebbe sufficiente l'immagine di Walker Evans Penny Picture, Savannah, che inizia il percorso attraverso le forme del volto, a raccontare come è cambiata la storia della ritrattistica nel XX secolo: la coincidenza tra la massificazione dell'individuo, il suo livellarsi e dissolversi nella collettività, e il diffondersi del mezzo fotografico ha portato ad una inusuale fioritura del ritratto, come risposta alla necessità sempre più pressante della ricerca della propria identità. Così, con un piacere catalogatorio e quasi collezionistico, l'immagine di Evans accumula ed esibisce il ritratto dell'uomo comune nel più popolare dei formati fotografici: la fototessera. Franco Vaccari, partendo da questo stesso prodotto di uso comune, lo trasforma in autoritratto coinvolgendo lo spettatore direttamente nella performance artistica. Se la fototessera fa emergere del volto il tratto che lo distingue come "faccia", ovvero come superficie organizzata, strutturata e dotata di un senso, allora possiamo veder alcune delle opere che seguono come dei possibili volti neutri, "gradi zero" dell'espressione, a partire dai quali ogni alterazione di forma genera un significato. Il ritratto fotografico di Zorio realizzato da Mussat Sartor mostra un viso imperturbabile e a nulla vale l'impronta sulla fronte della parola "odio" a cambiarne il senso di neutralità. Inequivocabile invece è la trasformazione della neutralità in riso nei volti nell'immagine di Weegee. Ogni passo successivo è un avvicinarsi alla destrutturazione della forma e alla dissoluzione della soglia minima di riconoscimento dell'oggetto "volto": è il caso della grafica di Appel, Téte mourtrie, dove questo aspetto emerge con un evidente legame al soggetto drammatico. Quando capita di scorgere un volto nelle forme di una roccia o delle nuvole ci si accorge di quanto forte sia nella nostra esperienza la struttura essenziale di un volto (occhi-naso-bocca): nel disegno ironico dei volti sui vasi di vetro di Parisi, nel profilo tracciato da un'unica esile linea di matita di Ponti, nei bizzarri collage stampati su plastica di Baj il gioco è rovesciato quasi in una sfida a ridurre al minimo la soglia di percezione, ma senza mai oltrepassarla. L'opera di Schifano, che interviene con un mascheramento parziale dei lineamenti di un ritratto ritagliato da una rivista di moda, dimostra la persistenza a livello percettivo di tale struttura essenziale. Certo il volto non è soltanto superficie che accoglie i lineamenti: se lo si osserva col proprio volume sferico, allora diventa "testa" ed entra nel dominio del corpo. Nei tre disegni di Pozzati, Manai e Pasquali, annullata la faccia-facciata del volto, emerge una testa modellata plasticamente come materia, con la solidità della pietra (Manai) o con il disfacimento della carne (Pasquali). Come a dire che risiede soprattutto nelle forme del viso la ricerca dell'identità. E' l'autoritratto il genere dove ancora questa ricerca viene sviluppata in profondità, con una continua tensione nel confronto con se stessi e con l'Altro, e dove si coglie ancora una stretta relazione con la tradizione della fisiognomica. Nella serie di autoritratti presenti in mostra pare prevalere l'intento sperimentale sull'immagine di sé: ne sono esempi i disegni di Chiesi, Cuoghi, Prampolini. Spagnulo si ritrae in un groviglio di forme astratte, Wainer Vaccari immagina il proprio doppio, mentre Vautier si raffigura attraverso la propria firma, con la grafia che lo identifica immediatamente in tutte le sue opere. Il confronto con l'Altro da sé, presente in un'ampia serie di opere, si risolve esemplarmente nel genere del ritratto sociale, come in alcune significative immagini di Lorca di Corcia, Goldin e McBride; nel ritratto di popoli di civiltà straniere, come gli splendidi ritratti fotografici ai nativi americani in Arizona realizzati a cavallo del XIX secolo da Vroman; o nei tanti ritratti di matrice più psicologica, in una versione contemporanea dell'antica consuetudine di considerare l'occhio come lo specchio dell'anima. La mostra prosegue con le altre due sezioni, ospitate nelle sale della Palazzina dei Giardini, che propongono la visione del mondo, il luogo della vita, e guardano alla vita cui la mente dà forma, ai sentimenti e alle suggestioni slegati da una necessità di rappresentazione figurativa; il Concetto spaziale di Lucio Fontana che accoglie lo spettatore all'entrata vuole essere introduzione e chiave di lettura di tale nuovo percorso tra le forme del mondo e le forme del pensiero. Le forme del mondo si incarnano prevalentemente nel paesaggio, sia naturale che artificiale, ma anche nella materia stessa di cui il mondo è costituito o da cui trae la propria origine. Al tema della genesi del mondo è dedicata una serie di opere che danno una visione ancora primigenia della terra: una simbolica Canoa di Zorio dà avvio a un viaggio iniziatico attraverso i segreti della materia, quella materia che il Cretto di Burri porta direttamente nell'opera. L'interpretazione del cosmo nelle Costellazioni di Dadamaino e alcuni lavori che alludono ad una forma evolutiva della materia (ad esempio le spirali nel lavoro di Cremaschi Tavola per una storia del mondo e nel disegno di Mattiacci All'improvviso nel bosco un'opera) raccontano di un luogo e di un tempo precedenti alla vita; le fotografie di Gianpaolo Barbieri e Musi, invece, evocano attraverso l'immagine del contenitore (uovo o vaso) l'idea della terra come madre e già creatrice della vita. Ancora fuori dalla visione antropocentrica del paesaggio, le fotografie di Izu emanano una spiritualità e una sacralità di luoghi dove la forza della natura si impossessa degli spazi degli uomini; e ancora della vita degli elementi parlano le immagini di Biasiucci. Seguono ritmi naturali di crescita fuori da ogni coordinata spazio-temporale anche le piante di pura invenzione tratte dalle tavole fotografiche di un immaginario Herbarium, quasi un trattato di biogenesi, realizzato da Joan Fontcuberta. Di questa poetica legata a una sorta di verginità del paesaggio, dove gli elementi vivono non ancora osservati dall'occhio umano, forse l'immagine più emblematica è la fotografia di Caponigro Cloud and Tree, una simbolica lotta tra un albero e una nuvola stagliati su un cielo vuoto, come uno scontro tra i due regni della terra e dell'aria. Del celebre maestro di Caponigro, White, viene presentato l'intero Jupiter Portfolio, dodici fotografie in bianco e nero che riassumono la sua vicenda artistica concentrata sullo studio della natura e dei suoi segni, dai quali fa emergere "una realtà altra", non immediatamente visibile ai nostri occhi. La riflessione sul paesaggio contemporaneo, nelle sue parvenze naturali, ma anche legato alla realtà urbana ed extraurbana, passa attraverso la concezione di uno spazio come luogo di confronto e sviluppo di relazioni con l'uomo; uno spazio costruito, o edificato, o comunque già ampiamente acquisito culturalmente. In questo orizzonte si snoda la lunga carrellata di paesaggi, per lo più fotografati: i bianchi e neri attentamente modulati nelle vedute di Brandt e Basilico, le distese panoramiche delle campagne scozzesi di Bernabini, conducono idealmente alla poetica del viaggio e appartengono a una concezione di paesaggio spiritualizzato dalla sensibilità dell'artista. Diverse le suggestioni degli scenari urbani e metropolitani di Olivo Barbieri, Francesco Jodice, Shiraoka, dove la città emerge nei suoi aspetti più legati all'attività e ai ritmi incessanti della vita notturna; da un diverso punto di vista, la città esplorata nel suo scheletro architettonico dà vita a paesaggi simbolici come quello di Chiesi, oppure agli studi sulle architetture di Aldo Rossi. Le forme del pensiero si incentra sul mondo delle passioni, su quell'aspetto non immediatamente visibile dell'esperienza umana, di cui pure mente e corpo sono intimamente intessuti. Di non facile interpretazione attraverso l'espressione artistica tradizionale, questo tema trova modo di affiorare pienamente nelle forme artistiche meno legate al linguaggio della figurazione e delle immagini. Un'intera sala è infatti dedicata a due diversi elementi costitutivi e fondativi del linguaggio artistico, attraverso i quali i moti dell'animo, i sentimenti e le suggestioni dell'inconscio emergono, facendosi forma, sulla superficie dell'opera: il colore e il segno. Opere come quelle di Mondrian, Arp e Accardi, giocate sui contrasti cromatici e sul bilanciamento dei campi di colore, animano un ritmo interno all'opera di toni, melodie, armonie con evidente rimando al sistema della composizione musicale, mentre artisti come Castellani, Mack e Lucio Fontana scelgono un unico tono cromatico a partire dal quale ritmano la superficie dell'opera con interventi di tagli, buchi, rilievi. Dal monocromatico, talvolta di impatto aggressivo per lo spettatore, come è nello stile Optical, ci si sposta a esiti più legati ai moti interiori: Olivieri, ad esempio, sfrutta le potenzialità del colore e della tecnica del carboncino per ottenere passaggi cromatici quasi impercettibili in atmosfere di sublime visionarietà. I lavori di Benati, nati dalla riflessione su tecniche, materiali e tematiche orientali, rappresentano il lirico approdo di un colore che è insieme gesto e segno. Profondi legami col mondo dell'inconscio e con i meccanismi che lo regolano, sono le opere incentrate sull'espressività del segno. Fogli come quelli di Afro, Scialoja e Gallizio, dove l'energia del gesto crea trame, grovigli o macchie sulla superficie, sono dettati da un'urgenza espressiva non filtrata dalla ragione. Lichtenstein gioca ironicamente a trasformare questa pennellata tipica dell'action painting in un retino regolare impiegato per la stampa su rotocalco, facendo collidere l'automatismo dell'uno con la rigida e razionale gabbia formale dell'altro. A queste ricerche si incrociano poi quelle di matrice più astratta e concettuale, guidate dal vaglio di una razionalità assoluta, come nel caso delle serigrafie di Lewitt. I diavoletti di Martegani e Ueda ci introducono alla dimensione onirica del sogno (o incubo) che genera paure, desideri, e fa affiorare immagini archetipiche appartenenti alla memoria o al rimosso: in una lunga sequenza di figure simboliche, dai Vecchi legni di Vender, agli interni decadenti di Goldoni, l'affiorare del perturbante conduce nei territori della religione e di una ritualità che investe ogni aspetto della vita umana, dalla nascita alla morte (Paladino, Ortiz, Arcangelo). L'ultima sezione, dedicata alla vita sognata, immaginata e inventata, conclude il percorso sulla vita, dell'uomo e delle forme. La libera immaginazione di alcune personalità artistiche di grande rilievo anima un universo di paesaggi surreali e astratti (Kandinsky, Melotti, Sowdon), di creature fantastiche e misteriose (Ernst, Magritte, Licini), di luoghi visti e reinventati dalla matita (Novelli, Guerzoni), forme solo all'apparenza non più legate all'esperienza del vissuto. Come affermava Picasso: "E dal punto di vista dell'arte non ci sono forme concrete o astratte, ma solamente forme, le quali non sono che bugie convincenti. E' fuori di dubbio che queste bugie sono necessarie alla parte mentale di noi stessi, perché è attraverso di esse che noi formiamo il nostro punto di vista estetico sulla vita". Mostra:"La vita delle forme. Fotografie, disegni e grafiche da Picasso a Warhol". A cura di: Walter Guadagnini e Silvia Ferrari Periodo: 19 settembre - 9 n