Fu un periodo molto strano per me. Ero tornata in una
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Fu un periodo molto strano per me. Ero tornata in una
Anticipazione di Elizabeth Pisani INDONESIA ECC. in libreria da ottobre 2015, add editore Fu un periodo molto strano per me. Ero tornata in una città che ribolliva di proteste politiche. Eppure, al di là delle manifestazioni, la mia vita procedeva come al solito. Se frequentare prostitute transessuali, marchette e gay della metà dei miei anni poteva essere descritto come “solito” – il mio lavoro, all’epoca, ruotava attorno a un’indagine sull’HIV e i comportamenti a rischio all’interno di quelle categorie. Lo trovavo disorientante. Le sale massaggio in cui uomini vendevano sesso ad altri uomini erano una new-entry nel panorama dell’intrattenimento di Jakarta, e l’ultima volta che avevo vissuto in città i bar per gay non esistevano. I trans, o waria, invece, avevano fatto parte della vita di Jakarta da che avevo memoria. Anche se la parola è una combinazione di wanita – donna – e pria – uomo –, i waria vivono in tutto e per tutto come donne, a volte con un marito. Molti hanno ancora gli organi maschili intatti, anche se diversi prendono ormoni femminili, e le mastoplastiche sono sempre più frequenti. Dal punto di vista culturale, svolgono un ruolo molto specifico. Sono accettati in parte per via di una lunga tradizione nata dai sacerdoti Bissu che spesso arrivavano sulle magnifiche golette commerciali costruite dai Bugis di Sulawesi meridionale. I Bissu di solito sono descritti come “intersessuali”: tuttora si dice che siano capaci di impersonare gli dei quando vanno in trance. Pur essendo fieramente islamico, il gruppo etnico dei Bugis ha sempre accettato questo dualismo. «Be’, certo che Dio parla attraverso i Bissu» mi ha detto la moglie del capo di un sub-distretto nella patria dei Bissu: «Perché Dio non ha sesso. Allah non è uomo o donna». Qualche minuto dopo – seduto nel suo soggiorno pieno di merletti e vestito di un bel sarong di seta – l’anziano/a Bissu della zona mi ha descritto come curava le perdite bianche del pene con le cipolle rosse, e mi ha chiesto un consiglio su cosa fare per le ulcere genitali. Se i Bissu celebrano ancora cerimonie pseudo-religiose, la maggioranza dei waria ha più probabilità di esibirsi nei cabaret. Un tempo, la loro condizione “sospesa” garantiva loro un ruolo politico. Un po’ come il giullare nel teatro di Shakespeare, i waria a volte dicevano la verità ai potenti quando a nessun altro era permesso. O almeno alle mogli dei potenti. Uno dei miei ricordi più vividi degli anni di Suharto è stato di aver visto un cabaret in cui alcuni waria in un salone di bellezza immaginario si prendevano cura delle loro “clienti”, gonfiando i capelli in acconciature matronali, applicando strati su strati di cerone, e sfornando perfette Ibu-Ibu: una replica del circolo di Tien, moglie di Suharto. Le chiacchiere tra le clienti ruotavano attorno alla moglie del ministro che aveva una tresca con l’oligarca, quali aziende straniere all’estero offrissero le migliori percentuali per affari corrotti, e consigli e trucchi che i loro Anticipazione di Elizabeth Pisani INDONESIA ECC. in libreria da ottobre 2015, add editore mariti avevano sviluppato per spremere soldi ai figli di Suharto. Erano cose di cui nessun altro all’epoca parlava apertamente. Il pubblico si sganasciava dalle risate, e batteva mani dalla manicure perfetta, deliziato di riconoscersi. Quasi tutte le spettatrici in sala erano vere, emblematiche Ibu-Ibu. Quando iniziai a pianificare l’indagine sull’HIV, quello status speciale era stato eroso dalla cacofonia di libertà di espressione scatenata dalle riforme democratiche. I cabaret continuavano, ma la maggioranza dei waria si manteneva lavorando in un salone di bellezza di giorno e/o vendendo sesso sulle strade dopo il tramonto. Così ogni notte uscivo con una squadra di intervistatori, che comprendeva tre waria fuori servizio, e solcavo i marciapiedi, invitando la gente a partecipare alla nostra indagine. Per strada, i waria sono specializzati nel mandare baci e mostrare parti del corpo, urlare e prendere in giro i possibili clienti che passano lentamente in auto o motocicletta. Prendevano in giro anche me, quegli uomini biologici che avrebbero voluto essere donne, forse offesi dalla mia scarsa femminilità. Perché non potevo camminare sui tacchi alti? Perché non avevo una manicure decente? «Senti, con permesso...» e tiravano fuori uno smalto per unghie dalle pochette, e io mi trovavo seduta sul marciapiede a mezzanotte passata con una prostituta transgender che mi dipingeva le unghie. Le serate erano costellate da scene madri; una notte, poco prima delle elezioni locali, quando il sindaco voleva mostrare il suo pugno di ferro contro le condotte immorali, ci fu un rastrellamento di prostitute e metà della squadra di ricerca fu arrestata. C’erano zuffe tra waria che volevano essere le responsabili dell’arruolamento per l’indagine nella loro area, membri dello staff che fuggivano con i clienti a metà intervista, e una volta rischiai di perdere tutti i campioni di sangue che avevamo raccolto perché i poliziotti a un posto di blocco videro le siringhe usate, mi scambiarono per una spacciatrice e cercarono di confiscarmi il kit. Erano notti impegnative, che di solito finivano con una consegna al laboratorio alle 3 o 4 del mattino. Alle otto, ero di nuovo sulla mia motocicletta, diretta verso la parte diurna del mio lavoro. Sulla strada, venivo spesso accostata da un adolescente vestito di bianco con un turbante a scacchi, membro del gruppo fondamentalista Laskar Jihad che all’epoca aveva dichiarato guerra ai cristiani nella provincia di Maluku Orientale. Scuoteva la cassetta delle offerte e distribuiva volantini in cui si prometteva una provincia ripulita dai cristiani. Era molto più scioccante della sbocciatura di bar gay o librerie che offrivano socialismo e orgasmi multipli. Anche se era facile beffarsi delle vaghe affermazioni della Pancasila, avevo dato per scontato che la tolleranza religiosa fosse fondamentale per la sopravvivenza dell’Indonesia. Invece, nelle lotte per il potere che duravano dalla caduta di Suharto, gli indonesiani si uccidevano a vicenda in nome della religione, senza che le autorità alzassero un dito.