6 Il CRM per incrementare la fidelizzazione, il valore e il

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6 Il CRM per incrementare la fidelizzazione, il valore e il
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Il CRM per incrementare la fidelizzazione, il valore e il numero dei clienti
di Ernesto Ciorra
“L’economia è quel sottile senso
di conservazione della propria vita attraverso
l’armonia dei profitti e delle perdite.”
Alda Merini
6.1 Introduzione
In questo capitolo vengono presentati metodologia e strumenti per realizzare concretamente in azienda un CRM
personalizzato, per incrementare fidelizzazione e valore dei clienti attuali e per acquisirne di nuovi ad alto potenziale.
Il CRM a cui si fa riferimento si concretizza in un approccio strategico e non si realizza adottando un software o
dotandosi di potenti risorse hardware. Questi rappresentano, infatti, solo un eventuale strumento operativo. Gli obiettivi di
questo CRM sono: la dettagliata e fondamentale conoscenza dei singoli clienti, il conseguente orientamento dei canali di
contatto e un’efficace gestione della relazione.
Nel capitolo, inoltre, vengono proposte definizioni e modalità di misurazione della loyalty. Loyalty che non costituisce
solo uno strumento per trattenere i clienti, ma soprattutto una strategia per valorizzarne il potenziale di spesa –
incrementandone il valore – e per acquisirne di nuovi. Questa loyalty assume la valenza di una strategia di sviluppo che, per
essere efficace, necessita di un’elevata personalizzazione del rapporto cliente-azienda. Personalizzazione che si può ottenere
soltanto ricorrendo a strumenti di conoscenza dettagliata del singolo cliente (Profiling, Wallet Model e Osservatorio del
Mercato). Strumenti che vengono utilizzati per orientare i canali di contatto con il cliente e gestire la relazione in maniera
personalizzata. Una loyalty, quindi, conseguibile con un CRM personalizzato di sviluppo.
I tre step per personalizzare il rapporto azienda-cliente e realizzare una strategia CRM sono dunque i seguenti:
conoscenza (del cliente), orientamento (dei canali di contatto) e gestione della relazione. Le aziende che percorreranno
questi step con successo personalizzeranno il rapporto con il cliente, conseguendo un vantaggio competitivo sostenibile.
Tale vantaggio sarà fondato proprio sulla capacità di conoscere e soddisfare i bisogni peculiari dei singoli clienti. Questi non
avranno alcun incentivo a essere infedeli, essendo soddisfatti nelle proprie esigenze specifiche. L’azienda potrà, inoltre,
valorizzare il potenziale di spesa della propria base clienti, aumentandone il valore. Infine, conoscendo i singoli clienti
prospect, potrà realizzare azioni di acquisizione mirate su quelli a maggior valore.
Agendo quindi sia sui clienti attuali che sui potenziali, le aziende che adotteranno il CRM personalizzato saranno in grado
di incrementare il valore della fondamentale voce dello stato patrimoniale. Quella voce che, sebbene assente nei bilanci, è in
grado di influenzare tutti i valori presenti: il cliente.
6.2 Chi fidelizzare?
In questo capitolo verrà trattato il tema della loyalty e di come un CRM personalizzato sia in grado di rafforzarla. 1 In
particolare, verrà affrontato il tema della loyalty del cliente all’azienda. Tuttavia, sia le categorie concettuali sia gli
strumenti e i modelli che verranno proposti possono essere impiegati per analizzare e gestire la loyalty di dipendenti,
azionisti, fornitori (inclusi quelli di capitale di prestito) e canali distributivi.
I contenuti delle problematiche della loyalty ai diversi interlocutori sono indubbiamente molto differenziati. Ma
l’approccio di metodo può essere comune.2
Peraltro, non casualmente, gli azionisti e i dipendenti vengono spesso chiamati “clienti interni”. Inoltre, spesso, la loro
fidelizzazione e la loyalty di fornitori e canali distributivi sono necessarie alla realizzazione di piani di fidelizzazione della
clientela finale. Infatti, in molti casi, se le aziende trascurano la loyalty degli stakeholders rischiano di pregiudicare anche
quella dei propri clienti.
Nelle aziende appartenenti alla cosiddetta net economy si è parlato molto di loyalty dei clienti e degli
strumenti informatici necessari per realizzarla. D’altra parte, l’enorme richiesta di titoli azionari
“marcati net economy”, negli anni scorsi ha distolto l’attenzione di queste aziende dalla loyalty degli
investitori.
Quando c’è stata la resa dei conti e sono iniziate le prime prese di beneficio, il nodo è venuto al pettine.
Le “newco” (le nuove aziende) sono state tradite dal loro orientamento one way sul cliente finale.
Hanno confidato su una fiducia illimitata dei mercati, dimenticando che i loro modelli di business in
molti casi ipotizzavano il conseguimento del pareggio economico dopo diversi anni. A patto di
arrivarci…
Alcune newco non hanno avuto il tempo di conseguire il pareggio, e sono state costrette a chiudere, non
in conseguenza della fragilità dei loro business plan, ma a causa di problemi di liquidità e di
capitalizzazione. Ovvero, a seguito di problemi di loyalty degli investitori e dei fornitori di capitale di
prestito. Investitori e fornitori di capitale di prestito spesso oggetto di comunicazione finanziaria
massiccia al momento dell’IPO e assolutamente trascurati in seguito…
Mi sembra importante, inoltre, evidenziare che le tecniche e le metodologie relative alla customer loyalty ben si
applicano, con gli opportuni adattamenti etici, anche al marketing elettorale 3 e quindi al “cliente” elettore. Sono stati
condotti in proposito numerosi studi, sul comportamento non fidelizzato di elettori che hanno votato uno schieramento su
base nazionale e un altro schieramento su base locale, o hanno espresso preferenze decisamente eterogenee in sede
uninominale e proporzionale.
Il CRM, come strumento per conseguire la loyalty, potrebbe quindi essere applicato in contesti notevolmente diversi da
quello azienda-cliente. D’altra parte, il CRM è finalizzato a migliorare la qualità e l’efficienza delle relazioni, a prescindere
dai soggetti protagonisti di queste relazioni.
6.3 I due ambiti della loyalty: fedeltà e fidelizzazione
La leggenda narra che, quando Voltaire non capiva, invitava gli interlocutori a chiarire i propri termini. In effetti, è
essenziale chiarirsi sui diversi termini utilizzati nella nostra lingua per tradurre l’espressione customer loyalty. Perché spesso
i termini utilizzati non sono tra di loro sinonimi, ma complementari.
In particolare, è necessario distinguere la fedeltà dalla fidelizzazione. La fedeltà indica la persistenza di un legame,
mentre la fidelizzazione ne esprime l’intensità. Un esempio consente di chiarire i due concetti.
Io compro tutti i venerdì il Corriere della Sera, assieme al Mondo. Negli altri giorni della settimana
non acquisto più il Corriere. Compro invece qualche volta altri giornali, e spesso il lunedì il Corriere
dello Sport o la Gazzetta. In ogni caso, leggo tutti i giorni le news sul web. Questa storia va avanti da
oltre un anno.
Io sono indubbiamente fedele al Corriere della Sera: lo acquisto da tempo con estrema regolarità.
Tuttavia non sono un cliente fidelizzato: destino una quota della mia spesa in quotidiani ad altri
giornali.
E allora, quando un cliente può essere definito fedele? Quando continua ad acquistare da uno stesso
fornitore e il suo intervallo di riacquisto è pari alla vita utile del prodotto o servizio. Vita utile che lui
stesso definisce, indipendentemente dalle caratteristiche intrinseche del prodotto o servizio. Per me,
nell’esempio di prima, il Corriere ha una vita utile di una settimana, e io lo riacquisto con quella
frequenza, quindi gli sono fedele.
E quando invece possiamo definire un cliente completamente fidelizzato a una marca? Quando, in
riferimento a una categoria merceologica, acquista solo prodotti o servizi di una marca. Tornando
all’esempio precedente, io non sono fidelizzato al Corriere della Sera perché acquisto anche altri
quotidiani.
Spesso le aziende esultano per risultati solo in apparenza lusinghieri, e vantano performance di loyalty
che in realtà sottintendono pericolosi segnali di alta fedeltà e bassa fidelizzazione. Un’analisi attenta dei
risultati aziendali potrebbe trasformare l’interpretazione di performance trionfalistiche in segnali di
rischio palese. Infatti, i sistemi aziendali consentono quasi sempre di misurare la fedeltà, quasi mai la
fidelizzazione.
Gli analisti di Borsa hanno rivisto verso il basso i loro moltiplicatori di valore sugli abbonati ai Free Internet Service Provider. Oltre ai
noti fattori di congiuntura, hanno pesato in tal senso le analisi degli score di fidelizzazione della base clienti.
Gli analisti si sono accorti infatti che, a curve di crescita quasi esponenziali degli abbonati,corrispondevano incrementi nei minuti di
connessione complessivi decisamente limitati. E, ancor più grave, decrementi nei margini medi per cliente.
Infatti, la gestione di un numero di account in crescita esponenziale comportava un significativo aumento dei costi fissi (per adeguare
le piattaforme informatiche), a cui non corrispondevano incrementi proporzionali nei ricavi variabili (ricavi cosiddetti da
retrocessione, sui minuti di traffico effettuati dai clienti).
Il problema risiedeva e risiede tuttora nel fatto che i clienti sottoscrivono anche cinque o sei abbonamenti con diversi Free ISP, salvo
poi utilizzare quello di cui, al momento della connessione, trovano libera la linea. Tuttavia, quei clienti risultano fedeli a tutti gli ISP a
cui sono abbonati, perché non disdicono i propri abbonamenti, stante la mancanza di clausole di utilizzo minimo e di costi fissi
d’abbonamento.
Il caso precedente dimostra come l’analisi del grado di fidelizzazione debba essere impiegata a
complemento di quella sul grado di fedeltà. Queste due analisi risultano, peraltro, fondamentali e
complementari nella stima del valore, attuale e potenziale, della base clienti. Valore che, in ultima
analisi, dovrebbe costituire una delle poste più importanti dello stato patrimoniale dell’impresa. La
posta in grado di determinare i futuri margini aziendali e, quindi, i futuri dividendi per l’azionista.
6.4 Come misurare il grado di fidelizzazione del cliente? I concetti di quota e gap di fidelizzazione e
di potenziale
Chiariti i concetti di fedeltà e di fidelizzazione, emerge un primo interrogativo: se il CRM implica la necessità di trattare
clienti diversi in maniera diversa, come misurare il grado di fidelizzazione dei singoli clienti? Come distinguere i clienti
fidelizzati da quelli di cui occorre incrementare il grado di fidelizzazione?
Un caso emblematico di alta fedeltà e tuttavia di fidelizzazione non sempre elevata è rappresentato dalla telefonia mobile italiana. In
questo settore è frequente la diffusione delle doppie e triple carte Gsm in capo a un unico cliente.
I gestori mobili vantano numeri enormi di abbonati fedeli. Tuttavia, un cliente che utilizza dal lunedì al venerdì durante il giorno TIM
e di sera Omnitel e nel week-end una scheda Wind, risulta fedele a tutti e tre i gestori. Il cliente potrebbe adottare questo
comportamento per risparmiare, godendo dei vantaggi delle singole tariffe, o perché non vuole essere contattato dai propri colleghi al
di fuori dell’orario di ufficio, o per svariati altri motivi. In ogni caso, la questione è: a quale gestore è fidelizzato? E come misurare il
suo grado di fidelizzazione?
L’esempio della telefonia mobile ci suggerisce che le misure di fidelizzazione adottabili non sono
univoche. La percentuale di minuti con i singoli gestori potrebbe esprimere il grado di fidelizzazione
del cliente a TIM, Omnitel e Wind. Altrettanto valide potrebbero essere le ripartizioni percentuali del
numero di chiamate, del fatturato o, ancor meglio, del margine generato con ciascun operatore mobile.
Le metriche più corrette dovrebbero rappresentare la quota che il cliente concede a un’azienda sulla
spesa che egli destina a una specifica categoria merceologica: la quota di fidelizzazione.
La quota di fidelizzazione – o di cliente, traducendo letteralmente l’espressione share of customer –
posseduta dall’azienda “x” esprime la percentuale della spesa del cliente destinata ai prodotti o servizi
dell’azienda “x” rispetto al totale della spesa del cliente nella categoria merceologica. Questa quota
esprime appunto il grado di fidelizzazione del cliente all’azienda “x”.
Quota di fidelizzazione =
Spesa in nostri prodotti o servizi/Spesa effettiva nella categoria
Al concetto di quota di fidelizzazione può essere associato quello di gap di fidelizzazione, inteso come
la differenza tra la spesa4 complessiva del cliente in prodotti o servizi di una specifica categoria
merceologica e la spesa negli equivalenti prodotti o servizi con il nostro brand.
Gap di fidelizzazione del cliente =
(Spesa effettiva nella categoria – Spesa effettiva in nostri prodotti o servizi)
Mentre la quota di fidelizzazione esprime (in percentuale) il grado di fidelizzazione del cliente a un
brand, il gap di fidelizzazione quantifica il valore eroso dai concorrenti sul singolo cliente e permette di
individuare i clienti su cui realizzare azioni di retention e win-back. La disamina complementare dei
due valori permette, infatti, di individuare i clienti in cui la quota dell’azienda è bassa e il cui gap è
molto alto. Questi clienti presentano le più interessanti prospettive in termini di win-back: alto valore
eroso (in termini di spesa) e minore quota.
Le aziende produttrici di automobili estere acquistano i dati relativi a tutte le transazioni che avvengono nel settore, tramite UNRAE
(una società che fornisce loro questi dati, attingendo dal database ACI). Queste aziende sono quindi in grado di verificare quali vetture
hanno acquistato i propri clienti, cliente per cliente e autovettura per autovettura.
I produttori di automobili misurano la propria quota di mercato, in valore e numero di autovetture
vendute, e calcolano la quota detenuta sui singoli segmenti di mercato. Possono, inoltre, verificare se i
singoli clienti hanno acquistato autovetture dei competitor e misurare quindi la quota di fidelizzazione e
il relativo gap. Possono verificare, ad esempio, se il singolo cliente che aveva acquistato un modello di
ridotta cilindrata ha acquistato anche l’ammiraglia dello stesso brand o se, invece, non risulta
fidelizzato.
In tal modo è possibile misurare la quota di fidelizzazione al gruppo aziendale, verificando la capacità
di quest’ultimo di fidelizzare il cliente con diversi brand, posizionandoli in maniera differenziata e
complementare.
In sintesi, i produttori di autovetture stimano il gap di fidelizzazione dei singoli clienti e individuano i
segmenti in cui la posizione competitiva dell’azienda risulta particolarmente debole. In tal modo,
possono realizzare azioni mirate di fidelizzazione dei clienti ad alto valore e alta fedeltà e di win-back
dei clienti ad alto valore e non fidelizzati. Inoltre, possono aggredire con mailing dedicati i clienti dei
concorrenti che hanno acquistato autovetture simili a quelle da loro commercializzate, ossia i clienti
prospect.
Abbiamo verificato che, per misurare correttamente il grado di fidelizzazione di un cliente, occorre
conoscere tutti i suoi acquisti in prodotti o servizi dell’azienda “x” e dei concorrenti di “x”. Sulla base
di questi dati potrebbe, infatti, essere quantificata la percentuale di spesa (o di minuti, margini ecc.)
allocata sui singoli brand. Ma le aziende non dispongono sempre di queste informazioni. O meglio, non
ne dispongono in maniera diretta.
Come ovviare a questa lacuna, e come stimare il posizionamento competitivo di un’azienda su un
singolo cliente? Stimando il potenziale del cliente, misurando gli acquisti che effettua in prodotti o
servizi della nostra azienda e quantificando quindi il gap di potenziale, inteso come differenza tra
quanto potrebbe spendere con noi e quanto spende realmente. In particolare, per spesa potenziale si
intende la spesa che il cliente potrebbe effettuare nella categoria, sulla base dei propri bisogni e delle
proprie possibilità economiche. La metodologia di stima del potenziale verrà approfondita in seguito.5
Tuttavia, è opportuno sottolineare come il potenziale sia concretamente calcolabile, assimilando il
singolo cliente ad altri che, trovandosi nella sua situazione in termini economici e di bisogni,6
acquistano valorizzando appieno il proprio potenziale.
Gap di potenziale =
(Spesa potenziale nella categoria – Spesa effettiva in nostri prodotti o servizi)
Analogamente a quanto effettuato in precedenza, sarà anche possibile stimare la quota di potenziale, ossia la quota
conquistata dall’azienda “x” sulla spesa potenziale del cliente in prodotti o servizi di una categoria merceologica.
Quota di potenziale =
Spesa in nostri prodotti o servizi/Spesa potenziale nella categoria
La quota di potenziale misura il grado di copertura da parte di un’azienda del potenziale di un cliente. I concetti di quota
e gap di potenziale rappresentano uno strumento, concretamente misurabile, utile per indirizzare le attività del management.
Un primario istituto di credito si domandava, tempo fa, come individuare tra i propri clienti in portafoglio le piccole e medie imprese e
i professionisti poco fidelizzati. L’obiettivo era infatti di stanare i clienti con posizioni aperte ma largamente inferiori, per importi
movimentati e servizi fruiti, rispetto alle proprie potenzialità. Quell’istituto pervenne a una stima del potenziale dei clienti SOHO
(Small Office Home Office) e professional che aveva in portafoglio e lanciò un’azione di direct marketing mirata sui clienti con minore
quota di potenziale e maggior valore potenziale (e quindi con maggiore gap). La redemption di quell’azione risultò doppia rispetto a
quella ottenuta con un’azione precedente, costata il 30% in più ma non mirata. E si trattò di redemption qualificata, ovvero sui clienti a
maggior valore potenziale…
L’analisi congiunta della quota e del valore potenziale (e quindi del gap rispetto a quanto speso con l’azienda “x”) si
rivela uno strumento utile per indirizzare campagne di presidio e di sviluppo del cliente. Infatti consente alle aziende di
individuare i clienti da riconquistare o sviluppare: quelli con il maggior potenziale impiegato con concorrenti o del tutto
inespresso.7
Proprio a questi clienti occorre rivolgersi per migliorare l’efficacia delle campagne di fidelizzazione, che dovrebbero
assumere il ruolo di campagne volte a incrementare il valore del cliente e non solo a difenderlo. Infatti, l’analisi del gap di
potenziale permette non solo di presidiare, ma anche di incrementare il valore del cliente: individuando i clienti a maggiore
potenziale, gli sforzi di presidio e di sviluppo dei clienti possono essere mirati su un numero circoscritto di clienti,
conseguendo economie di efficacia ed efficienza.
A questo fine vengono sovente costruite matrici, in cui negli assi vengono inseriti la quota di potenziale e il valore
potenziale8 dei singoli clienti. Un esempio è costituito dalla matrice proposta da Busacca (figura 6.1), che confronta il life
time value (una delle configurazioni adottabili di valore potenziale) con il grado di fidelizzazione (assimilabile alla quota di
fidelizzazione e alla quota di potenziale qui proposte). 9 Se l’azienda è in grado di posizionare i propri clienti in queste
matrici, può individuare cluster di clienti e macroazioni:
• retention e cross-selling, per i “diamanti”;
• recupero di valore inespresso (se è bassa la quota sul potenziale) o di valore eroso dai concorrenti (se è bassa la quota di
fidelizzazione), per le “sfide”;
• di valorizzazione della fedeltà acquisita, con cross-selling e brand-extension, per gli “ambasciatori”;
• di selezione, per i “marginali”.
Vedremo in dettaglio, nei prossimi paragrafi, come sia possibile quantificare il valore, il gap e la quota potenziale e come
sia possibile utilizzare metriche, strumenti e metodologie di customer loyalty per permettere all’azienda di incrementare il
valore generato dai propri clienti e, quindi, i margini aziendali che da questi derivano. Il CRM, in questo senso, è l’insieme
degli strumenti e delle risorse organizzative finalizzate a migliorare la relazione con i clienti aziendali, attuali e potenziali,
per incrementarne la loyalty e svilupparne il valore.
La loyalty non si configura, infatti, come una strategia di difesa, ma si esprime come una strategia di attacco in grado di
presidiare la quota di spesa dei clienti, valorizzarne il potenziale e incrementarne il valore.
Nel corso dei primi tre paragrafi è emerso che:
• i concetti espressi in questo capitolo potrebbero essere applicati anche alla loyalty degli stakeholders: azionisti,
dipendenti, fornitori, distributori;
• il CRM è finalizzato a migliorare qualità ed efficienza delle relazioni e quindi la loyalty di qualunque interlocutore.
L’impianto concettuale del CRM può essere, quindi, applicato a qualunque tipologia di relazione sociale, se ispirato a
criteri etici di trasparenza e reciprocità;
• la customer loyalty va misurata e analizzata in termini di fedeltà (continuità degli acquisti) e di fidelizzazione (quota di un
brand sul totale dei brand di una categoria merceologica);
• come misura di loyalty si può utilizzare il gap di potenziale: esprime la differenza tra quanto il cliente potrebbe
potenzialmente spendere in prodotti o servizi di una categoria merceologica e quanto effettivamente spende in prodotti e
servizi di un particolare brand, in quella categoria merceologica;
• il gap di potenziale può essere originato da un potenziale inespresso dai clienti o da un gap di fidelizzazione;
• il gap di fidelizzazione esprime la differenza tra la spesa totale ed effettiva del cliente in prodotti o servizi di una specifica
categoria merceologica e la spesa negli equivalenti prodotti o servizi con un brand;
• come ulteriori misure di loyalty possono essere utilizzate la quota di potenziale e quella di fidelizzazione;
• la quota di potenziale esprime la quota di acquisti effettuati da un cliente con un brand, rispetto al totale dei suoi acquisti
potenziali nella categoria merceologica;
• la quota di fidelizzazione – detta anche quota di cliente – esprime la quota di acquisti effettuati da un cliente con un
particolare brand, rispetto al totale dei suoi acquisti effettivi nella categoria merceologica;
• il gap e la quota di potenziale rappresentano il principale strumento operativo della loyalty e consentono di indirizzare
campagne di presidio e di sviluppo del cliente;
• per calcolare gap e quota di potenziale, è necessario stimare il valore potenziale dei singoli clienti;
• inoltre, la stima del valore e della quota di potenziale permettono di migliorare l’efficacia e l’efficienza di azioni
personalizzate volte a presidiare, sviluppare o recuperare valore dai singoli clienti;
• la loyalty è una strategia di attacco, perché ci permette di individuare clienti e aree non solo da presidiare ma anche da
sviluppare. Il CRM è lo strumento per conseguire miglioramenti di loyalty e quindi di margini aziendali e di valore
d’impresa.
6.5 QUALI LEVE PER FIDELIZZARE IL CLIENTE?
Occorre ora rispondere al quesito: “Quando il cliente è fidelizzato? E quando non lo è?”
Il cliente, in genere10 decide di rimanere fedele e fidelizzato a un fornitore di prodotti o servizi quando
si verifica la seguente disuguaglianza:
Soddisfazione attesa < (Soddisfazione attuale + costi di passaggio)11
È apparentemente banale: il cliente evita di cambiare fornitore se ritiene che il cambiamento non sia
fruttifero. Ovvero, se ritiene che la soddisfazione attesa, cambiando fornitore, sarà inferiore alla
soddisfazione che prova con l’attuale prodotto o servizio utilizzato, sommata ai costi di passaggio a un
altro fornitore.
Molto semplicemente: il cliente non cambia se ritiene di cambiare in peggio. Quest’affermazione
comporta almeno due rilevanti implicazioni. Infatti emerge che è possibile fidelizzare i clienti:
a. incrementandone la soddisfazione in fase d’uso;12
b. elevandone i costi di passaggio a un altro fornitore.
La teoria sulla soddisfazione dei clienti ha individuato diverse definizioni di soddisfazione della
clientela. In via intuitiva e generale, è possibile ipotizzare che essa sia direttamente correlata ai benefici
percepiti dal cliente e inversamente correlata al prezzo che il cliente paga13 e ai problemi che l’azienda
gli crea.
Quindi, in merito al punto a), per incrementare la soddisfazione un’azienda può tentare di:14
• far percepire che i propri prodotti offrono un gran numero di benefici (materiali o immateriali), rilevanti rispetto ai
bisogni dei clienti e differenziali rispetto a quelli offerti dai concorrenti;
• risolvere i problemi che i clienti incontrano nelle varie fasi del processo d’acquisto;
• far percepire i propri prodotti come maggiormente convenienti rispetto a quelli dei concorrenti.
In relazione al punto b), occorre precisare che per costi di passaggio qui si intendono tutti i costi che il
cliente deve affrontare se decide di cambiare fornitore. I costi possono essere monetari o non, legati
all’apprendimento, ad adempimenti legali o amministrativi, al cambiamento organizzativo, alla
riprogettazione di sistemi informativi o, semplicemente, derivanti dalla necessità di cambiare
un’abitudine. Alcuni esempi possono chiarire meglio l’importanza e la natura di questi costi.
Ho posseduto per diversi anni un vecchio cellulare, che funzionava con tecnologia analogica (Tacs), sebbene non potessi con quel
telefono inviare Sms e fruire degli ulteriori servizi a valore aggiunto disponibili solo tramite tecnologia digitale (Gsm). Mi terrorizzava
l’idea di cambiare telefonino: avrei dovuto leggermi le istruzioni, per capire come fruire dei nuovi servizi… Dopo diversi anni ho
ceduto: ho acquistato un modello Gsm, che cambierò solo per un altro della stessa marca. Infatti, se dovessi cambiare telefono e
prenderne uno di un’altra marca, mi troverei costretto a imparare a utilizzare il menù interno del nuovo cellulare, che sarebbe
certamente diverso da quello precedente. Il fastidio di dover apprendere informazioni nuove per utilizzare un prodotto di una nuova
marca è uno dei principali costi di passaggio al competitor. Nel caso in questione, anche la mia ritrosia a passare alla tecnologia Gsm
era imputabile alla presenza di costi di apprendimento. Che, oltre a sostanziarsi come costi di passaggio, rappresentavano per me un
vero e proprio costo d’ingresso all’intera tecnologia, a prescindere dal singolo fornitore che avrei poi scelto per acquistare il nuovo
cellulare!15
Quando si vuol dotare la rete vendita o il contact center di un nuovo sistema informativo, probabilmente migliore dal punto di vista dei
benefici offerti, spesso si incontrano le resistenze degli utilizzatori. I quali, dovendo imparare a utilizzare delle “maschere” diverse –
anche se più semplici – ostacolano il cambiamento. L’apprendimento su come utilizzare le nuove maschere costituisce per gli
utilizzatori un costo di passaggio.
Il ritardo nell’adozione dell’Euro deriva proprio dagli enormi costi di passaggio che dovranno affrontare le aziende nell’adeguare alla
nuova valuta i propri listini, i sistemi informativi, gli strumenti di calcolo ecc. Le perplessità che tuttora permangono sul passaggio alla
moneta unica europea riguardano poi i costi di apprendimento che sopporteranno le persone comuni, da sempre abituate con le proprie
valute nazionali.
I costi di passaggio sono positivamente correlati soprattutto a due variabili: la criticità associata al
prodotto o servizio da acquistare e l’incertezza circa i benefici realmente offerti dal nuovo prodotto o
servizio che si intende acquistare.16 In particolare, la criticità è legata all’impatto che la scelta avrà sul
cliente (in termini emotivi o funzionali) e al valore del prodotto o del servizio. Infatti, quanto maggiore
è il valore17 del prodotto o del servizio che si intende acquistare, tanto maggiori sono i rischi associabili
al cambiamento, considerato maggiormente critico, e quindi maggiori saranno i costi di passaggio
percepiti.18 A parità di condizioni, quindi, si rafforzano i costi di passaggio del cliente elevando:
• la criticità che questi lega all’acquisto e all’uso del prodotto o servizio (criticità in termini di impatto della scelta e di
valore percepito);
• l’incertezza sui benefici realmente offerti dal prodotto o servizio dei competitor.
Le campagne di comunicazione dei beni di lusso, ad esempio, sono volte a comunicare il concetto di unicità
dell’esperienza di acquisto e utilizzo dei singoli brand, aumentando i benefici che il cliente loro associa. Inoltre, sono
finalizzate a rendere “feticcio” l’oggetto comunicato (a prescindere dalla marca), al fine di trasmettere al cliente il concetto
che quel bene è fondamentale per comunicare specifiche valenze emotive. Le campagne sono quindi finalizzate a rendere
sempre più critico l’acquisto dell’oggetto, a prescindere dai messaggi associabili alla singola marca.
Esemplare in questo senso il caso Swatch, risposta adottata dai produttori di orologi di lusso svizzeri alla diffusione degli orologi
giapponesi a basso costo. Swatch, oltre a comunicare il brand, ha posto come obiettivo delle proprie campagne la rivalutazione
dell’orologio, a cui ha conferito una nuova valenza ideologica. Ha associato infatti a quell’oggetto una nuova funzione comunicativa,
rendendolo in grado di esprimere connotazioni, associate anche al brand, di giovanilità, libertà mentale e rottura degli schemi. Swatch
ha reso nuovamente critico l’acquisto dell’orologio, che in precedenza era scaduto a pura commodity, a causa dell’operato del
marketing delle aziende giapponesi. Swatch è riuscito ad associare al possesso di un orologio l’adesione a un’ideologia.
Un diverso esempio di costi di passaggio: le decisioni di cambiamento del sistema informativo di fatturazione si rivelano sempre
delicatissime. Il rischio che i manager percepiscono, nel caso in cui il nuovo sistema non funzioni, è che l’azienda non registri
correttamente o non fatturi una parte dei ricavi. Per questo, prima di cambiare il sistema, spesso per anni si preferisce provare a
modificarlo, con procedure e software che lo rendono sempre più ad hoc e per questo sempre meno sostituibile. La criticità del
prodotto deriva dalla rilevanza degli impatti della scelta e non soltanto dal costo (rilevante) del nuovo sistema di fatturazione.
Abbiamo verificato che, per fidelizzare il cliente, occorre incrementarne soddisfazione e costi di passaggio. E abbiamo
ricordato che la soddisfazione è legata positivamente ai benefici sperimentati dal cliente e negativamente ai problemi
verificatisi e al prezzo pagato.
Come è possibile, contemporaneamente, agire sulle componenti della soddisfazione e creare costi di passaggio? Ovvero,
come è possibile fidelizzare? Conoscendo i gusti del cliente e personalizzando di conseguenza l’offerta. Infatti, per questa
via l’azienda può:
• offrire un prodotto/servizio adatto ai gusti del cliente, quindi potenzialmente in grado di garantirgli i massimi benefici.
Spesso le aziende si sforzano di migliorare attributi di prodotto o servizio non ritenuti importanti dai clienti,
trascurandone altri di maggiore impatto sulle scelte. Se si conoscono gli attributi preferiti dai singoli clienti, è possibile
individuare prodotti personalizzati che facciano leva, cliente per cliente, sugli attributi maggiormente rilevanti. Conoscere
i gusti dei singoli clienti permette di limitare la spesa in attributi poco apprezzati e di concentrare gli sforzi aziendali sulle
features di prodotto preferite;
• individuare i problemi che maggiormente disturbano il cliente e sforzarsi di risolverli. Spesso le aziende impiegano
risorse economiche e tecniche per risolvere problemi non considerati rilevanti da tutti i clienti, ma solo da alcuni.
Individuando i problemi rilevanti per i propri singoli clienti, le aziende sono in grado di agire proprio su quei problemi,
rendendo più efficienti i propri investimenti in problem solving e migliorando acquisto e uso dei propri prodotti e servizi;
• migliorare la percezione di convenienza, a fronte di maggiori benefici comunicati e di minori problemi incontrati dal
cliente. Al cliente verrebbe fatto pagare solo ciò che apprezza, e non inutili migliorie che egli, in realtà, non è disposto a
pagare, o che comunque considera inutili sprechi. Conoscendo i gusti dei singoli clienti è possibile quindi proporre allo
stesso prezzo prodotti e servizi migliori, che il cliente sarà disposto a pagare di più, o dei quali percepirà una maggiore
convenienza;
• elevare il rischio di passaggio a un altro fornitore. Il cliente sa che l’attuale fornitore conosce i suoi gusti, perché nel
tempo glieli ha comunicati. Se decide di divenire infedele, si trova a un bivio. Deve imparare a dialogare con il nuovo
fornitore, comunicargli i propri gusti e sperare che quello personalizzi la propria offerta, non avendo alcuna certezza in
merito. In alternativa, deve accettare di acquistare un prodotto/servizio standardizzato, che prescinde dai suoi gusti. Con il
rischio che questo prodotto o servizio non offra benefici per lui rilevanti e che risulti meno conveniente dell’attuale. La
reciproca conoscenza (tra cliente e fornitore) costituisce un costo di passaggio per il cliente;
• enfatizzare specifiche valenze (connotative e denotative) della categoria merceologica, rendendo maggiormente critico
l’acquisto del prodotto/servizio in questione. A titolo puramente esemplificativo, un’azienda di orologi può decidere di
connotare il proprio brand in base ad attributi di precisione nella misurazione del tempo, alla resistenza a elevate
profondità marine o conferendogli valenze di lusso. O può decidere, con brand diversi, di aggredire clienti diversi,
utilizzando una formula di offerta differenziata. Fidelizzerà i clienti che hanno bisogni coerenti alle valenze che ha
associato al proprio prodotto e al proprio brand. D’altra parte, dovrà rendere fondamentale l’attributo che caratterizza il
suo singolo brand e posizionare quel brand come il migliore in base a quel singolo attributo. E potrà scegliere
quell’attributo analizzando i gusti dei suoi singoli clienti, o meglio, dei suoi migliori clienti, attuali o potenziali. In questo
modo, rafforzerà nei propri clienti il convincimento che quell’attributo è critico e che solo quella marca è in grado di
soddisfare il bisogno di quell’attributo.
Abbiamo visto che, conoscendo i gusti dei singoli clienti e personalizzando l’offerta in base a quei gusti, è possibile agire
su tutte le determinanti della disuguaglianza della loyalty. Quindi, conoscenza dei gusti dei singoli clienti e
personalizzazione dell’offerta sono gli strumenti necessari per una strategia di loyalty efficace ed efficiente.
Nel corso del paragrafo è emerso che:
• il cliente rimane fedele se la sua soddisfazione attesa, nel passaggio a un altro fornitore, è inferiore alla soddisfazione
attuale sommata ai costi di passaggio (disuguaglianza della loyalty);
• è possibile, quindi, fidelizzare il cliente incrementando la sua soddisfazione attuale o i costi di passaggio;
• la soddisfazione può essere aumentata ampliando i benefici che il cliente associa al nostro prodotto o servizio,
diminuendo i problemi che sperimenta e aumentando la sua percezione di convenienza;
• i costi di passaggio possono essere elevati incrementando: a. la criticità che il cliente lega all’acquisto e all’uso del
prodotto o servizio (criticità in termini di impatto della scelta e di valore percepito) e b. l’incertezza sui benefici
realmente offerti dal prodotto o servizio dei concorrenti;
• conoscere i bisogni e gusti del singolo cliente e personalizzargli l’offerta è il miglior modo per risolvere i suoi problemi,
offrirgli maggiori benefici, incrementare la sua percezione di convenienza e il suo livello di rischio in caso di infedeltà e
aumentare la criticità d’acquisto della categoria di prodotto/servizio;
• quindi, conoscenza del cliente e personalizzazione dell’offerta consentono di fidelizzare il cliente, agendo su tutte le
determinanti della disuguaglianza della loyalty.
6.6 Come fidelizzare il cliente?
Molto spesso loyalty e CRM vengono associati al progresso tecnologico, all’informatizzazione diffusa e al web. In effetti,
gli attuali processori elettronici consentono il trattamento di quantità di dati fino a pochi anni fa impensabili, mentre i
moderni sistemi di interconnessione e software rendono possibili la codificazione e la diffusione di informazioni su milioni
di clienti.19 O meglio, permettono di individuare e trattare informazioni specifiche su ognuno di quei milioni di clienti,
informazioni necessarie per realizzare azioni personalizzate (di loyalty, acquisizione e sviluppo del cliente), gestendo i
singoli clienti.
Proprio queste innovazioni, come vedremo nel prosieguo, rendono possibile il circolo virtuoso del CRM. Quel circolo
virtuoso che, basato sulla conoscenza delle esigenze specifiche dei singoli clienti, consente all’azienda di personalizzare la
propria offerta proprio in base a quelle esigenze specifiche. E di fidelizzare in maniera permanente i propri clienti.
Tuttavia, quando si parla di personalizzazione dell’offerta si incontrano le resistenze di chi sostiene che non sarebbe
possibile personalizzare, perché le tecnologie produttive non sarebbero perfettamente flessibili. Questa obiezione può essere
superata.
Infatti, occorre ricordare che la personalizzazione si basa sulla possibilità di far percepire al cliente che lo si sta trattando
in maniera differenziata, in funzione dei suoi bisogni peculiari. Quindi, non occorre progettare prodotti e servizi che abbiano
tutti i loro attributi disegnati secondo le necessità del cliente. È sufficiente che quei prodotti o servizi presentino alcuni
attributi personalizzati sulla base delle richieste formulate dal cliente. Ovvero: è sufficiente personalizzare ciò che il cliente
ritiene rilevante. E per questo, come detto, è necessario conoscere gusti, esigenze, motivazioni e atteggiamenti dei singoli
clienti.
Inoltre, in merito alla flessibilità produttiva, ritengo sia importante ribadire che, premesso un vincolo di flessibilità uguale
per tutti i competitor (data l’imitabilità e la diffusione delle tecnologie), saranno in grado di fidelizzare i propri clienti le
aziende che riusciranno a utilizzare la flessibilità disponibile per offrire attributi differenziali di prodotto o servizio
effettivamente apprezzati dai propri clienti, e non dai propri responsabili di marketing o produzione. Risulteranno vincenti,
quindi, le aziende che riusciranno a:
• ampliare al massimo la propria gamma d’offerta, stante la flessibilità tecnologica disponibile;
• orientare l’estensione della gamma (in termini di attributi di prodotto e servizio) in funzione e in coerenza con
l’eterogeneità dei gusti individuali dei propri clienti;
• proporre ai singoli clienti proprio le varianti di gamma più adatte ai loro peculiari gusti ed esigenze
A questo punto, emergono almeno tre interrogativi:
1. Come individuare gli attributi di prodotto/servizio su cui puntare, nei limiti della flessibilità massima ottenibile?
2. Come proporre ai clienti proprio le varianti di prodotto/servizio che questi stanno ricercando?
3. Come, all’interno dell’ampia gamma d’offerta, individuare e proporre quella più adatta al signor Rossi?
Anche in merito a questi interrogativi, l’esperienza insegna che: interagendo con i singoli clienti è possibile chiedere
direttamente a loro in base a quali attributi personalizzare i prodotti e, quindi, proporglieli direttamente.
Questa interazione caratterizza da anni i mercati BtoB. In questi contesti competitivi, i migliori clienti vengono gestiti da
personale di vendita dedicato, che spesso conosce le esigenze del cliente meglio di quanto le conosca il cliente stesso!
Tuttavia, spesso soltanto il venditore possiede questo patrimonio di conoscenze. L’assistenza tecnica, il Contact Center, si
trovano, quindi, spiazzati dal fatto che il cliente pretende di essere trattato da loro alla stregua di quanto avviene con il
venditore. I clienti non sono fidelizzati al fornitore, ma al suo venditore, e questa evenienza rende pericolosamente attuale il
problema della loyalty della rete di vendita, a cui si lega inscindibilmente la loyalty della base clienti. 20
Quindi, come chiarito nei precedenti capitoli, l’azienda dovrebbe acquisire le informazioni sui singoli clienti e gestirli
come se fosse un unico interlocutore. E questo è possibile se si dispone di strumenti che consentano di percorrere i seguenti
step:
a. conoscenza
b. orientamento
c. gestione della relazione
In quest’ottica, il venditore, l’assistenza tecnica, il Contact Center, il marketing dovrebbero tutti disporre delle stesse
informazioni sul cliente. E queste informazioni dovrebbero riguardare identità, gusti, comportamenti e valore potenziale dei
singoli clienti (conoscenza). E dovrebbero disporre di regole di gestione di clienti appartenenti agli stessi cluster21 e di piani
di azioni per quei gruppi di clienti (orientamento). Inoltre, informazioni e piani andrebbero condivisi da tutti i canali di
contatto che l’azienda adotta, per gestirlo in maniera unitaria e creare e alimentare una relazione di fiducia di lungo periodo
(gestione della relazione).
Percorrendo i tre step appena evidenziati, l’azienda potrebbe garantirsi, pur nei vincoli esistenti di flessibilità produttiva,
la conoscenza e la gestione personalizzata dei singoli clienti. Conoscenza e gestione personalizzata che costituiscono i punti
chiave del CRM e permettono, come verificato in precedenza, di:
• accrescere la fidelizzazione dei clienti, incrementandone benefici e costi di passaggio e riducendone i problemi in fase
d’acquisto e d’uso;
• incrementare di conseguenza il valore dei singoli clienti, avendone accresciuta la fidelizzazione, ovvero la quota di spesa
in prodotti e servizi della nostra azienda;
• valorizzare il potenziale di spesa in prodotti o servizi di una categoria merceologica, costruiti su un mix di attributi
congeniali al singolo cliente.
Prima di concludere il paragrafo, occorre sottolineare che le considerazioni espresse in termini di necessità di conoscenza
e gestione personalizzata dei clienti rimangono valide pressoché in tutte le industries, con importanza tuttavia differenziata
in funzione di alcune variabili settoriali.
Infatti, come ci ricordano Peppers & Rogers [2000], 22 i settori in cui i bisogni dei clienti sono molto eterogenei
necessitano di una maggiore flessibilità produttiva e logistica, perché è assolutamente prioritario per i diversi players
praticare un’esasperata personalizzazione dell’offerta. Tale personalizzazione consente di differenziare l’offerta facendo
leva proprio sull’eterogeneità dei bisogni.
D’altra parte, le aziende che operano in settori in cui il valore dei clienti è molto eterogeneo necessitano di elevati feedback informativi dai e sui clienti, per poter individuare e gestire in maniera differenziata i propri best clients, su cui allocare
le maggiori risorse aziendali. Queste aziende necessitano, quindi, di strumenti evoluti di conoscenza e di relazione con la
clientela, grazie ai quali discriminare valore e gestione dei clienti.
È possibile, inoltre, individuare settori in cui conoscenza e gestione personalizzata dei clienti appaiono maggiormente
rilevanti: quelli in cui sono particolarmente marcate eterogeneità dei bisogni e del valore dei clienti.
In questi settori risultano necessarie e strategiche tutte le competenze di gestione personalizzata dei clienti: conoscenza e
relazione dei singoli clienti e flessibilità produttiva e logistica.
Ogni azienda, per comprendere appieno quanto siano per lei importanti le competenze di gestione di un CRM
personalizzato, dovrebbe posizionare l’industry in cui opera nella mappa qui proposta 23 e verificare se dispone realmente di
quelle competenze, necessarie per acquisire vantaggi competitivi in quell’industry.
Il posizionamento dell’industry e dell’azienda nella mappa permette, inoltre, di individuare le competenze da sviluppare e
consente di approfondire gli eventuali gap che l’azienda manifesta.
Pur premesso quanto sopra, è possibile sostenere che in ogni settore economico la conoscenza dei clienti e la
personalizzazione dell’offerta costituiscono potenziali fonti di un vantaggio competitivo sostenibile nel medio periodo. A
patto di tradursi in azioni in grado di generare e alimentare una durevole relazione di fiducia, incrementando di conseguenza
fidelizzazione e valore della base clienti. A patto quindi di gestire in maniera efficace l’intero processo di conoscenzaorientamento-gestione della relazione, che nel suo complesso potremmo definire CRM.
Nel corso di questo paragrafo è emerso che:
• le imprese moderne possono, nei limiti della loro flessibilità produttiva, personalizzare l’offerta conoscendo i loro singoli
clienti (in termini di gusti, necessità e potenziale di spesa);
• le aziende BtoB hanno da tempo praticato questa strada, ma solo tramite le loro reti di vendita, non diffondendo spesso le
informazioni agli altri canali di contatto con i clienti;
• le moderne aziende possono personalizzare la propria offerta e conoscere i propri clienti dotandosi di strumenti di
conoscenza, orientamento e gestione della relazione;
• conoscenza, orientamento e gestione della relazione sono proprio i tre step necessari del CRM;
• percorrendo i tre step si ottengono incremento di fidelizzazione e di valore e maggiore valorizzazione del potenziale dei
singoli clienti;
• l’importanza della conoscenza dei clienti e della personalizzazione dell’offerta varia di settore in settore, ed è legata a
caratteristiche della domanda (eterogeneità del valore dei clienti e dei loro bisogni);
• in funzione dell’importanza di conoscenza dei clienti e di personalizzazione dell’offerta, per l’azienda sarà necessario
dotarsi rispettivamente di strumenti di conoscenza e relazione personalizzati con i clienti e di strutture produttive e
logistiche flessibili;
• in ogni caso, conoscendo i clienti e proponendo prodotti o servizi personalizzati, l’azienda è in grado di conseguire e
difendere un vantaggio competitivo, a patto di creare durevoli relazioni di fiducia.
6.7 Gli strumenti di conoscenza del cliente: Customer Profiling System, Wallet Model e Osservatorio
del Mercato
Per poter realizzare azioni mirate (progettate nella fase di orientamento e realizzate nella fase di gestione della relazione)
occorre, come più volte ribadito, conoscere i propri clienti, uno per uno, tramite tre macro-attività:
• caratterizzazione: per ogni cliente vengono raccolte e integrate le informazioni necessarie a individuarlo, descriverne e
prevederne i comportamenti;
• classificazione: sulla base delle informazioni di caratterizzazione e di eventuali ulteriori dati di ricerca, vengono creati
cluster di clienti (segmentazione) attuali e prospect, a cui proporre azioni ad hoc. In questa fase, vengono inoltre stimati il
valore potenziale dei singoli clienti attuali e prospect e la quota aziendale su quel valore;
• ascolto del cliente: sulla base di ricerche quantitative e qualitative e ascoltando i singoli clienti, si individuano gusti,
preferenze, atteggiamenti, motivazioni ed esigenze di campioni rappresentativi di particolari cluster di clienti o addirittura
dei singoli clienti.
Il Customer Profiling System è lo strumento per raccogliere e integrare le informazioni necessarie a
individuare un cliente, descriverne e prevederne i comportamenti. È, quindi, lo strumento necessario
per la caratterizzazione dei clienti.
Il Wallet Model è lo strumento tramite il quale vengono stimati il valore potenziale e la quota aziendale
su quel valore. È uno strumento quindi necessario per realizzare classificazioni sul valore e la quota sul
potenziale, fondamentali per orientare azioni personalizzate.
L’Osservatorio del Mercato è l’insieme degli strumenti messi in campo dall’azienda per ascoltare la
voce del cliente attuale o potenziale. L’Osservatorio può essere realizzato con indagini qualitative o
quantitative o raccogliendo le indicazioni direttamente dai singoli clienti.
In questo capitolo non verranno discusse le tecniche di segmentazione della domanda. Verranno,
invece, esposti contenuti e fondamenti metodologici dei tre principali strumenti di conoscenza della
domanda: il Customer Profiling System, il Wallet Model e l’Osservatorio del Mercato.
a. Il Customer Profiling System
Parlando di CRM, si ripete ossessivamente nei convegni e in letteratura che, per conoscere i singoli clienti e gestirli in
maniera integrata, occorre un Sistema in grado di aggregare, analizzare e visualizzare tutte le informazioni legate ai singoli
clienti. Si usa dire che questo Sistema deve avere una “chiave di lettura” per cliente, ovvero che deve consentire di associare
ai singoli clienti tutti i dati di transazione e relazione che li riguardano.
Il sistema a cui si fa riferimento è appunto il profiling, denominato Customer Profiling System (di
seguito CPS) quando l’oggetto di profilatura è il cliente. Il profiling è, semplificando, un sistema che
permette di:
• integrare dati e informazioni aziendali, spesso presenti in diversi sistemi aziendali, in un unico contenitore (generalmente,
un datawarehouse);
• aggregare quei dati e informazioni in maniera da associarli ai singoli clienti;
• fornire una serie di indicazioni sintetiche su ogni cliente: gli indicatori;
• effettuare analisi incrociate per singoli indicatori, dati e informazioni elementari.
Quando si realizza un profiling, la prima indicazione, ovvia quanto spesso disattesa, è quella del data
cleaning. È chiaro che se le informazioni che convergeranno sul profiling sono tra loro incoerenti o se
risultano poco affidabili, poco affidabile risulterà a maggior ragione tutto il sistema.
Il secondo aspetto da affrontare è quello della selezione delle informazioni e dei dati che dovranno
confluire nel datawarehouse. In azienda ci si domanda se nel CPS debbano confluire proprio tutte le
informazioni relative ai singoli clienti, o se sia possibile selezionarne solo una parte. Ci si chiede inoltre
se sia opportuno fermarsi alle informazioni disponibili, o se sia necessario integrare quelle
informazioni con dati ulteriori, eventualmente acquistati da società di ricerca o richiesti direttamente al
cliente.
A questo riguardo, mi è capitato di assistere almeno a due tipi di “sindromi” aziendali. La prima
sindrome, la più diffusa, è quella che definisco “dell’informatico one-way”.24 Questa “patologia”
consiste nel creare un enorme contenitore in cui confluiscono tutti i dati e le informazioni disponibili
sui sistemi aziendali, riaggregati per singolo cliente, senza individuare gli indicatori sintetici che il
management potrà concretamente utilizzare. In questo modo, come chiarito, non si realizza un CPS ma
si implementa un datawarehouse sui clienti, che offre potenzialmente milioni di output e quindi di
indicazioni ai “poveri” manager aziendali. I quali, in preda a crisi da data explosion, si rifiutano di
utilizzare il sistema tacciandolo di essere inutile. Il rischio concreto in questo caso è che il sistema non
divenga mai uno strumento di supporto all’operatività d’impresa.
La seconda sindrome è quella del “teorico universitario”.25 In questo caso, si prescinde dai dati
disponibili sui sistemi informativi e si cerca di realizzare un sistema ottimale, che fornisca indicatori
utili alla gestione aziendale. Si propongono quindi degli algoritmi standard da calcolare, nell’ipotesi
che questi – come verificato in dottrina – siano necessari per gestire i singoli clienti. Viene predisposto
quindi un sistema che dovrà essere alimentato con dati e informazioni da acquistare presso società
esterne, da richiedere ai clienti, da tracciare con appositi ulteriori sistemi informativi anch’essi da
realizzare. Il rischio in questo caso è legato al tempo e ai costi necessari per implementare il sistema. E
alla conseguente sfiducia aziendale verso un sistema che, per essere realizzato, necessita di ulteriori
sistemi da implementare.
Da entrambe le situazioni descritte, peraltro molto comuni, possono essere tratte anche lezioni in
positivo, oltre che avvertenze sugli errori da evitare.
Il primo suggerimento è quello di utilizzare i dati esistenti, traendone indicatori velocemente disponibili
per il management. D’altra parte, occorre evitare di limitarsi ai dati disponibili, ipotizzando release del
profiling successive, con cui migliorare profondità e ampiezza della base dati. Le release successive
saranno finalizzate a ottenere indicatori maggiormente utili agli obiettivi gestionali del management.
Una seconda indicazione consiste nel fornire in ogni caso indicatori di sintesi semplici da comprendere
e utilizzare e utili al management. In caso contrario, la naturale ostilità dei manager gestionali ai sistemi
informativi rischierebbe di confinare il profiling nel ristretto ambito dei tecnici, rendendolo di fatto
inutile.
Un terzo suggerimento è di tenere sempre conto delle specificità della singola azienda, in termini di
sistemi disponibili, di problematiche di mercato e di imperativi di strategia che il management si pone.
Per questo, a mio avviso, la definizione dei requisiti del profiling non può essere demandata ai
responsabili dei sistemi informativi, ma deve vedere coinvolti in prima linea i decisori aziendali.
In generale, per evitare di incorrere nelle due patologie descritte, nella progettazione del CPS è
opportuno seguire una serie di passi di metodo. Metodo che deve essere finalizzato a creare un sistema
aziendale in grado di supportare i canali di relazione nel conseguimento dei propri obiettivi strategici di
gestione dei singoli clienti, fornendo indicatori sui singoli clienti strumentali a quegli obiettivi. Questa
è la definizione di CPS che considero valida, che prescinde dalle architetture tecnologiche e dai singoli
requisiti del sistema. Definizione che implica la strumentalità del CPS alla gestione dei clienti e che ne
ribadisce la centralità come motore di conoscenza del CRM.
Per individuare gli indicatori – e quindi i dati e le informazioni necessari per calcolarli – da inserire nel
CPS, o più in generale in un profiling, è opportuno seguire un duplice approccio: top-down e bottomup. Con l’approccio top-down occorre individuare, assieme al management che gestisce il cliente:
• l’oggetto o gli oggetti da profilare: potrebbe essere necessario profilare il singolo cliente finale, i punti vendita, le catene
distributive, le centrali acquisti ecc.;
• gli obiettivi strategici che si pone il management in termini di gestione del cliente. È fondamentale individuare le macroazioni di gestione del cliente che il management intende realizzare nei prossimi due-tre anni, per progettare il CPS in
modo da renderlo utile alla gestione di quelle macro-azioni;
• le aree d’indagine degli indicatori, ossia le macro-aree di indicatori necessari al management per conseguire gli obiettivi
strategici in precedenza individuati.
Con l’approccio bottom-up è necessario, con gli esperti dei sistemi e dell’organizzazione aziendale:
• descrivere gli oggetti da profilare (clienti, punti vendita ecc.) in termini di flussi, processi organizzativi e attori coinvolti
nei processi;
• individuare in azienda i sistemi aziendali con cui vengono gestiti quei flussi e processi, effettuandone una approfondita
mappatura;
• dettagliare tutti i dati e le informazioni forniti dai sistemi aziendali in precedenza individuati.
La progettazione del CPS avverrà dunque basandosi sulle aree di indicatori (degli oggetti da profilare)
in grado di supportare gli obiettivi del management, ricorrendo a dati e informazioni disponibili e
pertinenti.
La selezione di dati e informazioni elementari avverrà tra quelli individuati sui sistemi censiti, e sarà
strumentale a rendere disponibili indicatori proprio nelle aree in grado di supportare gli obiettivi del
management. In questo modo il management disporrà di indicatori utili sui singoli clienti, in tempi
relativamente ridotti.
Potranno, inoltre, essere previsti estensioni e arricchimenti del CPS, per tener conto di dati e
informazioni non rilevati dai sistemi informativi aziendali, relativi a flussi e processi di gestione degli
oggetti da profilare, utili agli obiettivi del management.
Tuttavia, è opportuno che queste estensioni siano ipotizzate solo dopo la prima progettazione e
realizzazione del CPS. Perché è fondamentale che il CPS divenga quotidiano strumento di gestione del
cliente, utilizzato dai canali di contatto e relazione aziendale. Soltanto a seguito della concreta adozione
di questo strumento potrebbero essere individuate le informazioni necessarie e ulteriori da rilevare. E
l’individuazione di queste informazioni dovrebbe sorgere proprio dal confronto con il management e
gli utilizzatori, perché solo loro sarebbero in grado di individuare ulteriori indicatori e informazioni
realmente utili.
In genere, il CPS fornisce almeno quattro tipologie di informazioni e di relativi indicatori:
• anagrafico-descrittivi: consentono di individuare e descrivere l’oggetto di profiling. Per i clienti, ad es.: nome, sesso, età,
area geografica, partita iva. Per i punti vendita: ubicazione, numero di vetrine, metri quadri di esposizione ecc.;
• comportamentali: permettono di associare ai clienti tutti i dati di transazione e relazione con l’azienda. Es., i prodotti o
servizi acquistati, gli interventi di assistenza, le chiamate al Customer Care, i disservizi lamentati, le modalità di utilizzo
dei servizi ecc.;
• economici: consentono di creare un accounting per singolo cliente, associandogli costi e ricavi di pertinenza. L’indicatore
fondamentale in tema è il margine unitario, calcolabile con diverse configurazioni, in funzione degli obiettivi di analisi
individuati;
• predittivi: esprimono la probabilità che il singolo cliente assuma un comportamento. Supportano, ad esempio, l’analisi del
rischio di infedeltà totale (abbandono dell’azienda) o parziale (minore fidelizzazione) del cliente, dei rischi di frode o di
insolvenza.26
Come ribadito, i singoli indicatori da misurare e i singoli dati e informazioni da utilizzare andranno definiti caso per caso,
in funzione degli obiettivi del management e dei sistemi informativi aziendali concretamente disponibili.
In ogni caso, il profiling deve servire per supportare concretamente la gestione della relazione con il cliente,
migliorandone efficacia ed efficienza fornendo informazioni utili ai singoli canali di contatto e relazione. A questo fine, è
necessario discriminare l’accesso dei diversi canali a set distinti di indicatori di profiling, per evitare fenomeni di data
explosion, circoscrivendo l’output fornito agli indicatori effettivamente rilevanti.
Significativo è il caso di una grande azienda assicurativa statunitense, che alcuni anni fa decise di
realizzare un CPS dei propri clienti. Il management percepiva un grave problema di loyalty: il fatturato
negli ultimi due anni era diminuito del 18%, sebbene le acquisizioni di nuovi contratti, in numero e
valore, nello stesso periodo non fossero diminuite. Il calo di fatturato derivava quindi dalla fuga dei
clienti in portafoglio, una fuga che si concretizzava nel 13% di mancati rinnovi di polizze.
L’azienda non disponeva di sistemi informativi in grado di individuare tutte le polizze sottoscritte da
ogni singolo cliente. Infatti, i sistemi informativi erano stati progettati per monitorare, come elemento
di analisi, le polizze.
La compagnia assicurativa decise di progettare un sistema in grado di monitorare i singoli clienti. Fu,
quindi, progettato un CPS, che venne realizzato in poco meno di un anno. Quel CPS diede un risultato
in apparenza sconcertante: solo il 3% dei clienti non aveva rinnovato, nei due anni di crisi, le proprie
polizze. Il 3% dei clienti, che era in grado di generare circa il 18% del fatturato in relazione al 13%
delle polizze allora in circolazione…
A seguito delle analisi degli indicatori di CPS, furono avviate azioni mirate sui clienti a maggior valore.
Infatti, si stimò che il primo 20% dei clienti generava oltre il 65% del fatturato. Le liste di questi clienti
furono estratte dal CPS e fornite a marketing, vendite e caring, per realizzare campagne mirate di
acquisizione, gestione e win-back dei clienti.
L’analisi effettuata per progettare il CPS permise inoltre di segnalare la necessità di un ulteriore
profiling, sui singoli venditori. Infatti, da analisi sommarie era emerso che alcuni di essi disponevano di
portafogli in valore pari a 20 volte il portafoglio del venditore medio.
Fu quindi progettato e realizzato il profiling dei venditori. Una volta disponibile, questo sistema fornì
risultati e spiegazioni interessanti su quanto era avvenuto negli ultimi anni e ancora stava accadendo.
I migliori venditori, con i migliori portafogli, stavano passando alla concorrenza e portavano con sé i
migliori clienti. Di quel 3% di clienti risultati infedeli, circa l’80% era gestito da poco meno di 100
venditori (l’1% dei venditori) passati ai competitor negli ultimi tre anni.
L’utilizzo congiunto del CPS sui clienti e di quello sui venditori permise all’azienda assicurativa di
realizzare azioni mirate su entrambi, ridefinendo il pricing in maniera da premiare i grandi clienti,
riprogettando il sistema di incentivi sui venditori e lanciando una campagna di win-back sui venditori
in precedenza persi. In due anni l’azienda riuscì a recuperare il fatturato in precedenza eroso e a
incrementare i margini aziendali del 20%, selezionando la propria base clienti e concentrandosi su
quelli a maggior valore.
Le applicazioni del CPS sono svariate e riguardano le fasi di orientamento e di gestione della relazione, che saranno
descritte in dettaglio nei prossimi paragrafi. Ad esempio, utilizzando questo strumento, il Marketing27 può:
• individuare i clienti a maggior fatturato, o margine, e maggiore rischio di infedeltà, da presidiare. In generale, è possibile
mirare le azioni su cluster nominativi di clienti definiti in base a indicatori disponibili sui singoli clienti;
• trarre indicazioni puntuali dal comportamento dei singoli clienti, per individuare modalità concrete di personalizzazione
dell’offerta;
• misurare gli effetti delle azioni realizzate sui clienti, in termini sia economici (cambiamenti nel margine e fatturato del
cliente) sia di comportamento d’acquisto e d’uso dei prodotti e servizi;
mentre il Contact Center può:
• assegnare unità di gestione del contatto differenziate in funzione del margine prodotto dai singoli clienti;
• riservare ai migliori clienti processi e service level agreement (SLA) differenziati;
e, infine, le Vendite possono:
• supportare la forza vendita con profili di dettaglio dei singoli clienti, in termini di tipologie di utilizzo dei servizi,
fatturato e margini prodotti;
• prioritarizzare gli interventi dei venditori sui clienti a maggior rischio di infedeltà;
• assegnare obiettivi ai venditori sullo sviluppo del margine dei clienti in portafoglio e non solo sul fatturato o sul numero
di unità vendute.
b. Il Wallet Model
Con il Wallet Model vengono stimati il valore potenziale e la relativa quota aziendale. Disponendo di questi due valori,
l’azienda può posizionare i singoli clienti in matrici come quella proposta al paragrafo 3 (ponendo quei due valori sugli assi
della matrice). Tali matrici consentono di associare ai singoli clienti strategie relazionali e azioni personalizzate di loyalty,
acquisizione e sviluppo.
Per stimare il valore potenziale è opportuno seguire alcuni passi di metodo:
• acquisire il maggior numero di variabili disponibili su tutti i clienti, attuali e prospect;
• con appositi procedimenti statistici,28 individuare le variabili, tra quelle considerate, maggiormente correlate con il valore
potenziale del cliente (o con un’altra variabile target di cui si intende stimare il potenziale). La selezione delle variabili,
volendo stimare il valore potenziale, potrà essere effettuata rispetto a un campione significativo di clienti di cui si ipotizza
valorizzato appieno il potenziale;
• individuare cluster di clienti con comportamenti omogenei rispetto al potenziale di spesa (o ad altre variabili di cui
occorre stimare il potenziale);
• selezionare i migliori clienti all’interno dei singoli cluster, studiarne i comportamenti e ipotizzare che gli appartenenti ai
singoli cluster si potrebbero comportare come i migliori;
• quantificare29 il valore potenziale dei singoli cluster individuati;
• posizionare i singoli clienti all’interno di quei cluster, associando quindi a ogni cliente il suo valore potenziale.
Una volta misurato il valore potenziale, occorre quantificare la quota dell’azienda su quel potenziale. È
necessario quindi: misurare il valore30 dei singoli clienti in portafoglio, rapportarlo al potenziale in
precedenza stimato e calcolare la relativa quota
È importante sottolineare che il Wallet Model consente anche di individuare il potenziale dei clienti
attuali e potenziali rispetto a singoli servizi. A patto di disporre di un numero sufficiente e significativo
di variabili realmente correlate a un comportamento, il Wallet Model consente di misurare la
potenzialità di quel comportamento da parte del singolo cliente.
A titolo esemplificativo, può essere stimata la spesa potenziale in viaggi delle singole famiglie italiane,
disponendo di informazioni di dettaglio su quelle singole famiglie e individuando quali, tra le
informazioni considerate, sono maggiormente correlate con la spesa potenziale in viaggi. Inoltre, se si
individuano le variabili maggiormente correlate con la spesa potenziale in villaggi vacanze, o con la
spesa potenziale in crociere, è possibile stimare anche questi potenziali di dettaglio.
Un tour operator potrebbe quindi verificare, famiglia per famiglia, la sua quota su quel potenziale.
Potrebbe inoltre tentare di aggredire con azioni mirate le famiglie con il potenziale maggiore,
attualmente non proprie clienti (soltanto prospect). Inoltre, potrebbe decidere di inviare brochure mirate
su villaggi vacanze o crociere alle famiglie sue clienti con il maggior potenziale di spesa per quelle
singole modalità di vacanza.
Il Wallet Model nell’esempio in questione verrebbe utilizzato quindi a livello macro, su attuali e
prospect, e a livello di dettaglio sugli attuali.
E ancora: utilizzando l’impianto concettuale del Wallet Model è possibile individuare il potenziale di
punti vendita, reti distributive, aree geografiche, marchi o altri oggetti in grado di produrre valore
potenziale.
Inoltre: le aziende del largo consumo potrebbero quantificare il potenziale delle singole aree
geografiche e individuare le aree con la minore quota sul potenziale. In queste ultime potrebbero
decidere di aprire nuovi punti vendita, progettandoli in maniera da assegnare metri quadri espositivi ai
reparti con il maggior valore potenziale.
In questo modo potrebbero essere capitalizzate le informazioni disponibili sulle aree geografiche e sui
punti vendita attuali. Il Wallet Model orienterebbe inoltre l’allocazione di portafoglio-reparti dei singoli
punti vendita, ponendo le basi per il conseguimento di efficienze commerciali e logistiche.
Le applicazioni del Wallet Model sono svariate e riguardano le fasi di orientamento e di gestione della
relazione, che saranno descritte in dettaglio nei prossimi paragrafi. Ad esempio, utilizzando questo
strumento, il Marketing31 può:
•
individuare i clienti da trattenere, ad alto
valore e quota e quelli da sviluppare o
riconquistare (ad alto valore e bassa quota);
•
associare a quei clienti azioni
personalizzate di sviluppo, recupero, partnership,
mantenimento o gestione selettiva (azioni che
verranno individuate grazie al Wallet Model nella
fase di orientamento, oggetto del prossimo
paragrafo);
•
personalizzare il direct marketing in
funzione del valore potenziale dei singoli clienti
sui singoli prodotti o servizi;
•
individuare le opportunità di cross-selling e
di brand extension in funzione del valore
potenziale dei propri clienti verso specifici
prodotti o servizi;
mentre il Contact Center può:
•
creare portafogli dei clienti con maggiori
potenzialità, da assegnare a unità di Premium
Care;
•
assegnare priorità nel provisioning dei
prodotti o servizi ai migliori clienti;
•
garantire a questi ultimi una più efficace
risoluzione e una minore probabilità di
accadimento dei disservizi;
e infine, le Vendite possono:
•
individuare i clienti con il maggior
potenziale per i singoli prodotti o servizi,
segnalando ai venditori i prodotti o servizi da
proporre ai clienti;
•
assegnare obiettivi ai singoli venditori sulla
quota di potenziale dei clienti in portafoglio, e non
solo sulle vendite effettuate;
•
bilanciare i portafogli dei venditori,
assegnando loro clienti eterogenei per valore
potenziale e limitando così il rischio di infedeltà
dei venditori.
c. L’Osservatorio del Mercato
Per Osservatorio del Mercato, qui si intendono tutte le ricerche quantitative e qualitative sui clienti e le informazioni o le
comunicazioni da loro stessi fornite. Grazie all’Osservatorio si individuano gusti, preferenze, atteggiamenti, motivazioni ed
esigenze di campioni32 o di singoli clienti.
Le indagini campionarie vengono effettuate ormai da anni dalle aziende. Tuttavia, oggi si presentano
diverse opportunità per migliorarne l’efficacia e l’accuratezza e per integrarle con informazioni ottenute
direttamente dai singoli clienti. Infatti:
•
i campioni dei clienti da intervistare
possono essere estratti in maniera tale da
rappresentare specifici cluster di clienti,
individuati in precedenza con il profiling. Se, ad
esempio, una compagnia aerea intendesse
approfondire le motivazioni di infedeltà dei propri
clienti frequent-flyer che viaggiano sulla tratta
Roma-New York, potrebbe estrarre dal proprio
profiling l’elenco dei frequent-flyer su quella tratta
e costruire un campione rappresentativo proprio di
quell’universo;
•
in particolare, può essere notevolmente
migliorata la verifica dell’efficacia e
dell’efficienza delle campagne di comunicazione.
Diverse aziende verificano l’efficacia di campagne
di comunicazione dirette a precisi cluster di clienti
effettuando indagini a campione mirate. Vengono,
infatti, estratti i nominativi dei clienti da
intervistare proprio dalle liste – fornite dal CPS –
dei clienti appartenenti ai cluster oggetto di
campagna.33 In tal modo, si possono verificare gli
effetti indotti dalla campagna sul target prefissato,
evitando errori indotti da ricerche costruite su
campioni non rappresentativi dell’universo di
reale interesse;
•
le indagini per il lancio di nuovi prodotti o
servizi potrebbero essere condotte su clienti
potenziali selezionati grazie al Wallet Model.
Un’analisi sui clienti prospect ad alto potenziale
potrebbe ad esempio essere finalizzata a ridefinire
gli attributi di prodotto e servizio, per incontrare i
gusti di quel segmento di clientela;
•
le aziende possono costruire e gestire delle
relazioni direttamente con i singoli clienti tramite
il web, a costi accettabili e con un elevato scambio
di informazioni.34 Raccogliendo la voce del
cliente, l’azienda potrà arricchire il proprio
profiling con gusti e preferenze espressi
direttamente dal cliente, disponendo delle
informazioni necessarie per personalizzare in
maniera estremamente precisa la propria offerta;
•
il profiling potrà essere arricchito dai dati
di navigazione35 dei singoli clienti sui siti
aziendali;
•
gusti, preferenze e qualunque informazione
o contatto in genere proveniente dal cliente
(tramite Contact Center, vendite, assistenza
tecnica e gli altri eventuali punti di contatto e
relazione aziendali) possono essere oggi archiviati,
tracciati, elaborati e associati ai singoli clienti.
Questo è possibile grazie alle nuove tecnologie
digitali e ai moderni sistemi d’interconnessione.36
In questo modo è possibile disporre di una
memoria storica del cliente che costituisce il
principale strumento di conoscenza dell’azienda.
Memoria storica che è il complemento
fondamentale dei dati e delle informazioni forniti
dal profiling e dal Wallet Model.
Quando un cliente italiano invia una lettera di protesta ad American Express, questa lettera viene immediatamente digitalizzata. Il file
viene inviato a Brighton, in Inghilterra. Qui viene analizzato e risolto il problema e preparata la risposta, che viene inviata per iscritto
al cliente. Sia la lettera inviata da quest’ultimo, sia quella di risposta vengono immesse nel profiling aziendale, residente a Phoenix.
Le informazioni sui dati di transazioni effettuate, di anagrafica e di tutti i contatti per ogni singolo cliente, risiedono sul profiling e
sono consultabili worldwide.
Fino a pochi anni fa, si utilizzavano le indagini campionarie come il fondamentale strumento per ascoltare il cliente e
successivamente orientare le azioni dell’azienda. Probabilmente, nel corso dei prossimi anni le informazioni procurate
direttamente dal singolo cliente forniranno all’azienda indicazioni puntuali sui propri gusti, preferenze, atteggiamenti,
motivazioni ed esigenze. In questo senso, si passerà dalle ricerche sul cliente all’ascolto del cliente.
6.8 La fase di orientamento: il piano di azioni personalizzate
La fase di orientamento comporta il compimento di due macro-attività:
a. la progettazione del piano di azioni personalizzate;
b. l’orientamento vero e proprio dei canali di relazione con il cliente.
Con il piano di azioni personalizzate vengono individuate le azioni di loyalty, sviluppo e selezione sui singoli clienti in
portafoglio e le azioni di acquisizione dei clienti prospect. Con l’orientamento vero e proprio vengono utilizzati gli
strumenti di conoscenza e il piano di azioni personalizzate per indicare ai canali di relazione come gestire i singoli clienti.
Inoltre, l’azienda predispone la sua struttura organizzativa, i suoi processi ed educa i propri canali di contatto (CC, Vendite,
Marketing, Assistenza Tecnica ecc.) a gestire in maniera differenziata clienti differenti.
a. La progettazione del piano di azioni personalizzate
Utilizzando in maniera complementare Profiling, Wallet Model e Osservatorio del Mercato, l’azienda ottiene tutte le
informazioni sui clienti, attuali e potenziali, di cui necessita per individuare un piano di azioni mirate.
Tuttavia, la conoscenza dei clienti rappresenta una condizione necessaria ma non sufficiente alla progettazione di un
efficace piano di azioni personalizzate. A questo fine, è necessario infatti seguire un metodo preciso, che può essere espresso
in alcuni punti di massima (v. figura 6.3):
• analisi dei comportamenti di spesa dei singoli clienti in portafoglio e relativa segmentazione della base clienti.37 Questa
fase viene effettuata utilizzando il CPS;
• analisi del potenziale e della quota sul potenziale dei clienti inseriti nei cluster in precedenza individuati, ricorrendo al
Wallet Model;
• analisi sulla numerosità e il valore potenziale dei clienti prospect, grazie ancora al Wallet Model;
• individuazione delle priorità strategiche del piano di azioni personalizzate. Infatti, in funzione delle evidenze emerse nel
corso delle precedenti analisi, potrebbe essere necessario realizzare azioni:
1. di fidelizzazione, per incrementare la quota di fidelizzazione e limitare l’erosione dei competitor;
2. di valorizzazione del potenziale della base clienti, per incrementare la quota di potenziale inespresso;
3. di acquisizione di nuovi clienti, per sviluppare in numero e/o valore la base clienti;
4. di scrematura/selezione della base clienti, per migliorarne il valore medio.
Le priorità strategiche vanno individuate effettuando un’analisi di scenario sul proprio settore e sul proprio
posizionamento competitivo. Analisi di scenario che va effettuata ipotizzando scenari alternativi e risposte aziendali che si
intende attivare;
• selezione dei segmenti di clientela attuale o potenziale da aggredire con il piano;38
• analisi dei dati forniti dall’Osservatorio del Mercato su gusti, preferenze, atteggiamenti, motivazioni ed esigenze dei
clienti inseriti nei segmenti da aggredire. Se è necessario, possono essere progettate e realizzate ricerche o interviste
personali ad hoc. In particolare, se l’obiettivo del piano sono azioni di loyalty, è necessario ricostruire il processo
d’acquisto e d’uso del cliente e individuare i momenti di insoddisfazione e selezionare i benefici da proporre, i problemi
da risolvere e gli eventuali costi di passaggio da creare;39
• svolgimento di un benchmarking sulle azioni realizzate dai concorrenti nazionali, dalle aziende best practice operanti nel
proprio e in altri settori. Il benchmarking ha l’obiettivo di suggerire idee di successo (che andrebbero confortate da una
puntuale analisi dei risultati e delle motivazioni del successo…) e di individuare le lezioni da seguire, ovvero gli
insegnamenti mutuabili dall’esperienza altrui;
• sulla base delle analisi effettuate e del benchmarking è opportuno svolgere una serie di brainstorming40 con il
management aziendale coinvolgendo, se è possibile, esperti esterni di piani d’azione sulla clientela e manager di aziende
di successo operanti in altri settori;41
• classificazione delle azioni proposte nel corso dei brainstorming in macrocategorie e selezione delle macro-categorie da
realizzare. La selezione andrebbe effettuata scegliendo azioni che, per essere efficacemente implementate, necessitano di
competenze distintive disponibili o acquisibili in breve tempo in azienda;
• generazione del piano di massima, che comprende descrizione, processo di gestione operativa, valutazione economica e
tempistica delle singole azioni da realizzare;
• discussione con il top management del piano di massima e selezione delle azioni da realizzare;
• progettazione di dettaglio del piano: per ogni singola azione vengono approfonditi e definiti con precisione:
1. i processi di gestione operativa
2. gli impatti sui sistemi informativi interni e sull’organizzazione (in termini di processi, attori coinvolti e attività da
svolgere per il lancio dell’azione)
3. le implicazioni legali e fiscali
4. il piano di comunicazione
5. le valutazioni economiche e la tempistica;
• start-up operativo del piano: le singole azioni, nelle tempistiche e nelle modalità previste, vengono lanciate sui singoli
clienti per i quali sono state predisposte.
I punti in precedenza espressi, necessari per progettare un piano di azioni mirato sui singoli clienti, non
vengono seguiti in maniera sequenziale. È anzi necessario tornare spesso indietro nell’ideale sequenza
logica in precedenza descritta, ad esempio per individuare scenari competitivi e risposte d’azione
alternativi, per utilizzare segmentazioni differenti e valutarne gli impatti in termini di valore potenziale,
per riflettere su azioni non emerse dal brainstorming eppure di successo secondo il benchmarking.
Il processo di generazione del piano, come ogni processo fondamentalmente creativo,42 non può essere
soggetto a regole deterministiche e universalmente valide. Tuttavia, il valore del metodo qui proposto è
assimilabile a quello della check-list del pilota: ha la funzione di ricordare quali sono le principali
attività da svolgere, non di sostituirsi all’intuito e alle competenze umane.43
b. L’orientamento vero e proprio dei canali di relazione con il cliente
Come già chiarito, con le attività di orientamento stricto sensu l’azienda fornisce ai propri canali di relazione le indicazioni
necessarie per gestire in maniera differenziata clienti differenti.
Per utilizzare una metafora calcistica, occorre dare a chi gestisce la relazione con il cliente gli schemi
da seguire. È possibile indicare alcune attività tipiche di orientamento:
• progettare la struttura organizzativa dei canali di relazione per predisporli a trattare in maniera differenziata clienti
differenti. I clienti da preferire vengono generalmente selezionati ricorrendo agli indicatori economici del CPS o a quelli
di potenziale del Wallet Model. Ad esempio, il Contact Center di molte aziende prevede il riconoscimento tramite PIN
code dei migliori clienti, che vengono instradati su unità dedicate. Altre aziende dispongono di numeri verdi dedicati, che
destinano ai migliori clienti, gestiti da unità di Caring dedicate. Inoltre, spesso le unità di vendita e di assistenza tecnica
hanno dei service level agreement (SLA) differenziati in funzione delle tipologie di clienti da servire. A SLA differenziati
corrispondono spesso addirittura processi di gestione del provisioning o degli interventi di manutenzione gestiti da
aziende differenti. Vengono utilizzati gli strumenti di conoscenza e il piano di azioni personalizzate per indicare ai canali
di relazione come gestire i singoli clienti;
• permettere ai canali di relazione di fruire delle informazioni raccolte tramite gli strumenti di conoscenza del cliente.
Queste informazioni, integrate in un unico sistema aziendale centrato sul cliente (spesso proprio il CPS), vengono fornite
con livelli di dettaglio, accuratezza, ampiezza, profondità e modalità di visualizzazione differenziati in funzione degli
utilizzatori aziendali. È preferibile comunque fornire pochi indicatori utili e semplicemente consultabili agli operatori di
front-end, piuttosto che tante informazioni di dettaglio. In molte aziende l’operatore del contact center, quando riceve una
chiamata, dispone di informazioni sul valore del cliente che lo sta chiamando, ha evidenza di tutti i reclami che quel
cliente ha avanzato negli ultimi mesi, dispone di un indicatore che esprime il rischio che quel cliente divenga infedele.
Chiaramente, l’operatore del contact center non legge numeri, ma ha di fronte a sé un cruscotto di facile consultazione,
intuitivo, alimentato da Profiling, Wallet Model e osservatorio del mercato. Questo cruscotto presenta indicazioni
grafiche che permettono all’operatore di comprendere la situazione del cliente in linea, con poche rapide occhiate. Salvo
poi approfondire le singole questioni di dettaglio (ad es. sospesi di fatturazione, reclami, richieste di cessazioni di servizi
ecc.) prelevando dal CPS tutti i documenti digitalizzati riguardanti il cliente;
• comunicare il piano di azioni e renderle operative su tutti i canali di relazione. Nel corso della fase di orientamento, i
canali di gestione della relazione vengono coinvolti sia nella fase di progettazione, sia soprattutto nella fase di
condivisione e lancio delle azioni. Azioni che, concretamente, saranno implementate grazie al loro lavoro quotidiano;
• dotare i canali di relazione di regole e strumenti concreti di personalizzazione dell’offerta. Per personalizzare le azioni
sui singoli clienti, i canali di relazione debbono disporre di regole e strumenti concreti, facilmente utilizzabili ed efficaci
per personalizzare veramente le azioni che l’azienda intende proporre ai singoli clienti. Praticamente quasi tutte le
aziende consentono ai propri venditori BtoB di gestire in maniera discrezionale il pricing, all’interno di forbici di prezzi
che vengono definite dalla direzione vendite. Si stanno diffondendo da pochi anni processi di budget caring o budget di
contact center. In questi casi vengono assegnati agli operatori di care o del contact center dei portafogli di clienti e degli
obiettivi, di fidelizzazione e sviluppo del valore, sui clienti in portafoglio. Al raggiungimento degli obiettivi vengono
associati sistemi di incentivi mirati per gli operatori e anche un budget. Gli operatori possono destinare quel budget ai
singoli clienti del loro portafoglio in maniera pressoché discrezionale, al fine di incrementare la loro soddisfazione e
quindi conseguire gli obiettivi prefissati.
6.9 LA GESTIONE DELLA RELAZIONE: INTEGRAZIONE E COORDINAMENTO DEI CANALI DI CONTATTO
Per poter personalizzare l’offerta e la relazione con il cliente, l’azienda deve agire nei confronti del cliente in maniera
coerente con tutti i canali preposti alla gestione della relazione. Indipendentemente dal fatto che il cliente utilizzi oggi il
contact center, domani l’Assistenza tecnica, dopodomani si rivolga a un Venditore o invii una mail a un indirizzo segnalato
su un sito web aziendale, egli deve essere trattato in maniera coerente.
La coerenza implica che, se ha manifestato a un interlocutore aziendale suoi particolari gusti, esigenze,
propensioni all’acquisto, questi debbano essere noti a tutti i canali di contatto che in futuro contatterà.
In sintesi, per ottenere coerenza nella gestione del cliente e un’efficace personalizzazione della
relazione, è necessario che i canali di contatto siano perfettamente integrati e coordinati. Ovvero che
(figura 6.4):
• tutti i canali di contatto siano in grado di accedere istantaneamente a tutte le comunicazioni o informazioni scambiate
tra il cliente e l’azienda;
• in generale, tutte le informazioni di rilievo del cliente siano condivise dai canali di contatto;
• esista una o più azioni da realizzare sul singolo cliente, nella realizzazione della o delle quali siano coinvolti tutti i
canali di contatto;
• le segmentazioni sulle diverse tipologie di clientela, a cui corrispondono le differenti azioni da proporre, siano condivise
e uniche per tutti i canali di relazione. Le segmentazioni debbono, come più volte ribadito, essere nominative, e i canali
di relazione debbono poter riconoscere il singolo cliente e collocarlo in uno specifico segmento;
• esista un datawarehouse centrato sul cliente (eventualmente proprio il CPS, come in precedenza definito) che alimenti la
gestione della relazione con informazioni sempre aggiornate su tutte le comunicazioni avvenute tra cliente e azienda. Ciò
non implica necessariamente il fatto che tutte le informazioni relative al cliente risiedano in via esclusiva nello stesso
sistema informativo. Potrebbero infatti essere tracciate e archiviate su sistemi informativi indipendenti e tuttavia andare a
confluire sul Customer Datawarehouse (o sul CPS), per essere elaborate e sintetizzate in appositi indicatori, di facile
consultazione per i canali di relazione.
•
vengano valorizzate appieno le potenzialità del web, come strumento in grado di permettere la gestione della
relazione con un gran numero di clienti a costi accettabili. Come ci ricordano Wurster ed Evans, 44 le potenzialità del web
sono enormi e derivano dal fatto che questo strumento permette di gestire la relazione con i singoli clienti garantendo
livelli di profondità e di ampiezza informativa elevati, a costi contenuti. Infatti, fino a pochi anni fa una relazione intensa,
con un elevato scambio di informazioni, poteva essere gestita dalle aziende soltanto su pochi clienti, con degli account
dedicati o con dei punti vendita specializzati. In alternativa, alle aziende rimaneva la possibilità di destinare alla massa
dei clienti una comunicazione unidirezionale, limitata in termini di qualità di contenuti e di coinvolgimento. Quella
comunicazione esaltava le uniformità dei singoli clienti, mentre il web mira a raccogliere informazioni e a valorizzare le
differenze nei bisogni individuali. Quella comunicazione veniva realizzata in broadcasting, per il web si parla al contrario
di narrowcasting. In broadcasting si realizzavano campagne su elementi di bisogno aggreganti, campagne di advertising a
cui corrispondevano, per gestire il cliente, reti di vendita despecializzate e impersonali (GDO, negozi tradizionali e
vendite televisive o via posta). Oggi con il web è invece possibile generare, alimentare e arricchire una relazione
caratterizzata da un elevato feed-back informativo, qualitativamente di elevato livello, su una massa potenzialmente
infinita di clienti. Il tutto a costi marginali quasi nulli,45 dovendo sostenere solo costi iniziali di predisposizione del
sistema di relazione. Il web mira ad accrescere l’eterogeneità dei bisogni e offre potenzialmente maggiore ampiezza e
profondità informativa degli altri mezzi di comunicazione e vendita. La diffusione del web comporta quindi la necessità
sempre crescente di praticare il CRM personalizzato,46 che diviene sempre più realizzabile proprio grazie alla progressiva
diffusione del web.47
La fonte del vantaggio competitivo potenziale risiede proprio nella possibilità di utilizzare in maniera
sinergica tutti i canali di relazione con il cliente per:
• incrementare il patrimonio di conoscenza sul cliente;
• orientare gli stessi canali verso una gestione personalizzata dei singoli clienti, valorizzando la conoscenza acquisita;
• proporre benefici, risolvere problemi e incrementare costi di passaggio in maniera coerente a gusti, esigenze, motivazioni
e atteggiamenti dei singoli clienti;
• conseguire quindi un sistematico vantaggio sul cliente, proponendosi come l’azienda che meglio lo conosce e che quindi è
in grado di valorizzarne le diversità rispetto al cliente medio.
Il cliente si trova a un bivio: da una parte c’è l’azienda che pratica un efficace CRM personalizzato,
dall’altra i potenziali competitor. La prima ha dimostrato di conoscerlo, di apprezzare le sue peculiarità
e di personalizzare la propria offerta e relazione proprio su quelle peculiarità. I competitor invece non
lo conoscono ed egli stesso non ha sperimentato direttamente i benefici dei loro prodotti o servizi. Con
questi competitor dovrebbe imparare a comunicare, per poi spiegare loro i suoi specifici bisogni e
sperare che queste aziende gli garantiscano livelli di soddisfazione superiori agli attuali.
Il cliente che si troverà effettivamente di fronte a questo bivio, difficilmente ricorrerà a un altro
fornitore. Gli sforzi profusi in precedenza, da lui e dall’azienda di cui è attuale cliente, per conoscersi a
vicenda e per garantire un prodotto o servizio e una relazione su misura costituiscono il più efficace
costo di passaggio ad altri competitor.
L’azienda che lo serve avrà creato con lui una relazione di lungo periodo, caratterizzata dalla fiducia
del cliente e dalla personalizzazione del rapporto e dell’offerta. Questa relazione sarà basata su efficaci
strumenti di conoscenza del cliente, su azioni in grado di esaltare e valorizzare l’eterogeneità dei
bisogni del cliente e su una reale integrazione e un efficace coordinamento dei canali aziendali di
relazione. Canali finalizzati ad accrescere proprio conoscenza del cliente e personalizzazione della
relazione e dell’offerta, ponendo le solide basi per un circolo virtuoso in grado di costruire, rafforzare
e difendere un vantaggio competitivo di lungo periodo. Un vantaggio costruito su un CRM
personalizzato, in grado di valorizzare le differenze e non le uniformità dei singoli clienti. Un
vantaggio competitivo che comporta la fidelizzazione e la valorizzazione del potenziale dei clienti in
portafoglio e la possibilità di acquisire con successo quote crescenti di clienti prospect ad alto valore.
Un vantaggio competitivo, in ultima analisi, in grado di incrementare in maniera significativa e
duratura il valore economico dell’azienda.
Negli ultimi due paragrafi è emerso che:
• profiling, Wallet Model e osservatorio sono i tre fondamentali strumenti di conoscenza, necessari per caratterizzare,
classificare e ascoltare i singoli clienti;
• con il profiling si ottengono indicatori anagrafico-descrittivi, comportamentali, economici e predittivi;
• con il Wallet Model è possibile stimare il valore potenziale, la quota e il gap aziendale sul potenziale;
• con l’osservatorio del mercato viene ascoltata la voce del cliente, con indagini qualitative e quantitative o tramite la
relazione diretta con i singoli clienti;
• nella fase di orientamento occorre orientare i canali di contatto a gestire la relazione in maniera personalizzata con i
clienti e progettare un piano di azioni;
• il piano di azioni può essere finalizzato ad acquisizione, sviluppo, fidelizzazione o selezione dei clienti;
• a ogni cliente vanno associate azioni personalizzate sulla base dei suoi bisogni, esigenze, motivazioni, atteggiamenti e
possibilità di spesa;
• i canali di contatto, integrati e coordinati tra di loro anche grazie a strumenti di conoscenza mirati sui singoli clienti,
dovranno gestire la relazione in maniera personalizzata;
• la relazione personalizzata del CRM consente di acquisire un vantaggio competitivo difendibile;
• l’effetto del vantaggio competitivo acquisito sarà l’incremento di valore dei clienti attuali e l’acquisizione selettiva dei
migliori prospect.
Appendice
UN ESEMPIO DI CRM PERSONALIZZATO REALE
Oggi, 15 ottobre, mi sono recato nel bar sotto casa, dove vado ogni mattina per la colazione. Il barista mi ha visto entrare trafelato,
impegnato in una conversazione di lavoro al cellulare. Non mi ha chiesto nulla: mi ha servito la solita crostatina con la marmellata scura
che prendo ogni mattina. Il bar produce solo pochissime crostatine al giorno con quel tipo di marmellata, più costosa di quella chiara, che
serve alla maggioranza dei clienti. Le crostatine con la marmellata scura, quelle come la mia, sono riservate a pochi clienti, i migliori.
Oltre alla crostatina, il mio amico Amedeo (il barista), mi ha preparato il solito caffelatte, con il latte freddo e il caffè caldo, senza troppo
caffè. Io ho bevuto e mangiato, senza smettere di parlare al cellulare. Sono quindi andato alla cassa, dove ho pagato senza aver avuto
bisogno di dire al cassiere cosa avessi preso. Il cassiere, proprietario del bar, ha chiesto ad Amedeo se avessi preso “il solito”. Amedeo ha
annuito, e io ho tirato fuori la somma preventivata, che avevo preparato anzi tempo, e sono uscito dal bar. Ho richiesto, consumato e
pagato senza aver avuto bisogno di dire una sola parola. E ho avuto la crostatina che piace a me, riservatami in via esclusiva, con una
marmellata che altri possono giudicare indegna ma che per me è deliziosa. Ho bevuto esattamente ciò che volevo e voglio bere la mattina.
Dubito che cambierò bar nei prossimi mesi. E, semmai, consiglierò questo bar ad altri. Inoltre, da domani comprerò ogni giorno il
giornale proprio in quel bar, che da poche settimane ha aperto al proprio interno una rivendita di quotidiani. Il mio “solito” diventerà il
caffelatte, la crostatina e il mio quotidiano preferito...
Se qualche lettore è scettico sul caso presentato, sarò ben lieto di invitarlo a colazione.
Note
1. I contenuti di questo articolo derivano dall’esperienza acquisita nel corso di numerosi progetti di consulenza, a cui ho partecipato in qualità di
Associato di Busacca & Associati. Per la parte teorica è stato determinante il contributo di metodo ricevuto da Antonino Busacca, autore di un testo
base sulla loyalty, Costruire la fedeltà, edito nel 1998 dal Sole 24 Ore Libri. Sempre per il contributo di metodo sono debitore ad Andrea Farinet,
maestro di marketing e di etica fin dai tempi dell’università. Un ringraziamento particolare va a tutti i miei colleghi che, nel corso di anni di progetti
sulla customer loyalty, mi hanno permesso di imparare molto. Tra questi, in particolare ricordo Pietro Cum, Fabio Giardina, Vincenzo Gallucci,
Mauro Frescura e Carlo Stefanini. Un grazie ulteriore a chi mi ha aiutato nella stesura del capitolo. Preziosi in particolare sono stati i contributi di
Eleonora Ploncher, Davide Canciani, Gianluca Basso e Salvatore Manfré.
2. Per l’approfondimento dei temi legati alla fedeltà del cliente, dell’azionista e dei collaboratori aziendali si veda F. Reichheld [1997], Il fattore fedeltà,
Il Sole 24 Ore Libri.
3. Il vagare frequente dell’elettorato tra diversi schieramenti a seguito del crollo della Prima Repubblica si spiegherebbe proprio con la caduta di “brand”
consolidati (DC, PSI, PCI, MSI) e la necessità di costruire rapporti di fiducia con i nuovi “brand”. La disputa sul riutilizzo dei loghi storici di partito
sembra infatti ispirata proprio dall’esigenza di disporre di segni identificativi di marchio elettorale, riconoscibili dal cittadino e ricollegabili a un
rapporto fiduciario ed esperienziale pregresso.
4. Le misurazioni possono essere espresse sulla spesa, sulle unità metriche di prodotti e servizi acquistati (numero di pezzi, minuti di traffico, numero di
polizze assicurative, camere affittate d’albergo, …) o, ancor meglio, sui margini derivanti dai comportamenti dei clienti. Si farà qui riferimento alla
spesa, a titolo puramente esemplificativo.
5. Nel paragrafo 7 di questo capitolo.
6. Come si vedrà nel paragrafo 7, l’assimilazione in termini di bisogni e situazione economica avviene sulla base di un set di variabili descrittive della
situazione del cliente. Variabili di cui si riscontri un’elevata correlazione con i consumi. Consumi che vengono rapportati a quelli di clienti simili, ma
di cui è stata verificata la piena valorizzazione del potenziale.
7. I due gap descritti (fidelizzazione e potenziale) differiscono nel caso di clienti con potenziale inespresso, mentre coincidono per i clienti che
impiegano tutto il loro potenziale in prodotti o servizi dell’azienda considerata e/o dei suoi concorrenti. Nel caso di clienti non fidelizzati e con
potenziale parzialmente inespresso, la nostra azienda dovrà sia recuperare quote di spesa che i singoli clienti destinano ai nostri concorrenti, sia
proporre un mix d’offerta in grado di valorizzare il potenziale inespresso. Quindi sarebbe opportuno misurare entrambi i gap. Tuttavia, a parte le
doverose distinzioni di metodo, nella pratica il vero problema risiede nel fatto che spesso il gap di fidelizzazione non è misurabile, perché non sono
disponibili dati sulla spesa effettiva del cliente. Invece, il gap di potenziale può essere calcolato, facendo riferimento a metodologie di analisi statistica
alimentate da dati interni all’azienda e da dati acquistati all’esterno.
8. Per il valore potenziale possono essere considerate alternative configurazioni: la spesa effettuabile dal cliente nell’anno per la categoria merceologica,
il margine annuo potenziale, o il life time value (attualizzazione dei flussi futuri derivanti dal cliente, al netto dei costi). La definizione più corretta da
un punto di vista metodologico è probabilmente quella di life time value, tuttavia meno utilizzata nelle aziende, anche per le difficoltà insite nel
processo di stima.
9. La matrice qui proposta è tratta da A. Busacca [1998], pag. 65. Sostituendo al life time value il valore potenziale e al grado di fidelizzazione la quota
potenziale o la quota di fidelizzazione, si ottiene il posizionamento dei clienti calcolabile utilizzando le formule proposte in questa sede.
10. Esistono ovviamente delle eccezioni al principio generale qui esposto. Le ipotesi a monte del principio esposto sono almeno due: 1) che il cliente
possa scegliere, non subendo costrizioni di sorta; 2) che il prodotto o il servizio siano reperibili.
11. L’impianto concettuale qui proposto è tratto in gran parte da A.Busacca [1998].
12. Sulle differenze tra la soddisfazione nelle varie fasi del processo d’acquisto e d’uso, cfr. A.Busacca [1998].
13. Fanno eccezione a questo principio generale i beni di Giffen, caratterizzati da elasticità della domanda al prezzo positiva. Esempi ne siano alcuni beni
di lusso.
14. Cfr. A.Busacca [1998].
15. Spesso i costi di passaggio, in grado di incrementare la loyalty, rischiano di divenire un oneroso costo di ingresso, che preclude l’adozione di prodotti
e servizi ai clienti che non intendono sopportarlo. Su questi temi è interessante il contributo di P.Cum [1996], I costi di cambiamento, in Espansione
n. 5.
16. In generale, sui costi di transazione, sulle problematiche decisionali legate al cambiamento di fornitore e sull’accounting di queste decisioni, si vedano
in particolare, O.Williamson [1999], The economics of transaction costs, e, dello stesso autore, il fondamentale Markets and Hierarchies [1975].
17. Non necessariamente si tratta di valore economico. La scelta sull’università in cui mandare il proprio figlio potrebbe essere molto più critica
dell’acquisto di un’autovettura da cento milioni. Dipende, nel caso, dall’importanza associata all’istruzione della prole e dal valore ascritto a un
acquisto di quel genere.
18. Si veda in merito B. Busacca, Le risorse di fiducia dell’impresa, Torino, Utet, 1994.
19. Per l’approfondimento dei temi in questione, cfr. T. Wurster, P. Evans [2000], Bit Bang, Il Sole 24 Ore Libri.
20. Cfr. paragrafo 1 di questo capitolo.
21. Per cluster si intendono raggruppamenti di clienti omogenei in base a criteri selezionati.
22. D. Peppers, M. Rogers [2000], Impresa One-to-one, Apogeo Editore.
23. La mappa è stata ottenuta adattando quanto proposto in D. Peppers, M. Rogers, op. cit., al capitolo terzo.
24. Ho una profonda stima per gli informatici, e non intendo in alcun modo offenderne l’operato battezzando la sindrome in riferimento alla loro
categoria. Questa “sindrome” si diffonde tra gli informatici, i consulenti, i professori universitari, i manager e molte altre categorie professionali.
Tuttavia, nella mia pur limitata esperienza, l’ho verificata molto spesso proprio negli informatici. Da qui, il nome della sindrome.
25. Valgono anche per i professori universitari le considerazioni esposte nella nota precedente.
26. Questi indicatori vengono costruiti a partire da quelli in precedenza esposti, di solito valendosi di sistemi di intelligenza artificiale. Questi sistemi
cercano le “regole” a cui possono essere associati i comportamenti e verificano in che misura queste regole possono essere applicate ai singoli clienti.
27. Cfr. paragrafo 3 di questo capitolo.
28. Il procedimento è di tipo iterativo, e consiste nell’individuare le correlazioni statistiche esistenti tra le singole variabili di partenza e la variabile
oggetto di stima di potenziale. Non è comunque questo l’ambito per approfondire le questioni tecniche.
29. Si assume come potenziale il comportamento dei clienti con le migliori performance all’interno dei singoli cluster. Nel caso della spesa si assume
come potenziale il valore di spesa dei clienti migliori all’interno dei singoli cluster.
30. Come chiarito in precedenza, per valore si può intendere la spesa attuale, ad esempio mensile o annuale, o il life time value, concettualmente più
corretto ma meno facile da calcolare e maggiormente opinabile.
31. Cfr. paragrafo 3 di questo capitolo.
32. Per campione si intende un numero di clienti intervistati, rappresentativo di un maggior numero di clienti (universo di riferimento) su cui si intende
ottenere informazioni. Il campione deve essere rappresentativo, ovvero in grado di rappresentare, con un errore statistico accettabile (che va
quantificato), il fenomeno che si intende misurare.
33. In particolare, sull’utilizzo del profiling per migliorare la qualità delle ricerche su efficacia ed efficienza della comunicazione d’impresa, si veda E.
Ciorra [2000].
34. Su questi temi, cfr. il paragrafo 9 di questo capitolo.
35. Generalmente, i siti vengono dotati di singoli profiling della navigazione, che forniscono informazioni integrabili con il profiling tradizionale, a patto
di disporre di informazioni sul singolo navigatore. A questo fine, si richiede la registrazione del navigatore e spesso le aziende offrono incentivi anche
monetari per la “pulizia” dei dati di anagrafica dei navigatori.
36. Sull’impatto dei moderni sistemi d’interconnessione e delle nuove tecnologie digitali, si veda tra i vari, T. Wurster, P.Evans [2000].
37. Il profiling deve essere in grado di operare segmentazioni in maniera flessibile, facile e veloce. Infatti, nel corso del processo di generazione delle
azioni, è opportuno verificare l’impatto di segmentazioni alternative. Peraltro, una segmentazione ottimale non esiste e si sopporterà sempre il tradeoff tra numero di segmenti (che non dovrebbero essere troppi) e varianza di comportamenti all’interno dei singoli segmenti. L’ideale segmentazione è
quella del marketing personalizzato estremo, in cui a ogni singolo cliente corrisponde un segmento.
38. Si ricorda che i segmenti saranno sempre nominativi, ossia composti di singoli clienti di cui si conoscono i dati anagrafici, e non di teorici clienti
individuati in base a criteri anagrafici generali, desunti da ricerche di mercato.
39. Cfr. a questo riguardo i paragrafi precedenti di questo capitolo.
40. È opportuno ricordare tre regole – spesso disattese – per un efficace brainstorming: 1) non andrebbe svolto nello stesso luogo fisico in cui vengono
effettuate le normali attività lavorative; 2) nel corso delle sedute di brainstorming non deve mai essere espresso alcun giudizio sulle idee che vengono
proposte; 3) il moderatore non deve assumere atteggiamenti di limitazione dei soggetti particolarmente “estroversi”, semmai può cercare di “sbloccare
i timidi”.
41. Occorre ricordare che la creatività nasce proprio dall’accostamento di matrici culturali, cognitive, esperienziali e professionali diverse. Confinare la
fase creativa del piano di azioni ai “tecnici” dell’azienda o del settore è potenzialmente limitante.
42. Il processo creativo è per sua natura complesso, non immediatamente conseguente, imprevedibile e per questo dotato di particolare fascino. Sui temi
della complessità, si veda in particolare E. Morin [1993], Introduzione al pensiero complesso, Milano, Sperling & Kupfer.
43. Non viene qui affrontata la questione relativa alle determinanti organizzative in grado di stimolare o limitare la creatività. Determinanti che hanno un
effetto notevole sull’efficacia nella generazione del piano. In merito, è interessante e innovativo il contributo di G. Hammel [2001], Leader della
rivoluzione, Il Sole 24 Ore Libri.
44. Cfr. T. Wurster, P. Evans [2000].
45. Si parla in questo caso di costi quasi-fissi, ossia di curve dei costi a scalini, laddove occorre adeguare la potenza dei server di connessione e delle
piattaforme informatiche solo al superamento di quantità elevate di clienti.
46. Aumentando l’eterogeneità dei bisogni dei clienti, aumenta la necessità di produzione e logistica flessibili, come chiarito nel paragrafo 6 di questo
capitolo. A parità di eterogeneità del valore della base clienti, aumenta la necessità di gestire i clienti in ottica di CRM personalizzato.
47. Il grafico è un adattamento da T. Wurster, P. Evans [2000].