Agnes Grey pdf

Transcript

Agnes Grey pdf
Quando Agnes Grey di Acton Bell fu pubblicato per la
prima volta, il mondo sembrò accorgersene ben poco,
forse perché il romanzo uscì in volume insieme a Cime
Tempestose di Ellis Bell, una storia tanto più interessante,
o forse perché il mondo era ancora tutto preso dal «caso»
Jane Eyre (1) di Currer Bell. Fra i tre, Agnes Grey
arrivava ultimo, e a molta distanza. E tale è rimasto: il
sommario resoconto della Brontë delle sommarie
avventure di Agnes ha suscitato assai scarso interesse,
nonostante la stessa Agnes dichiari che il suo racconto
«avrebbe potuto rivelarsi utile per alcuni e gradevole per
altri».
Comunque, continua con decisione Agnes Grey, «sarà
la gente a giudicare da sola». Va detto però che il giudizio
della gente non coincide esattamente con l'indifferenza
della gente. In questo saggio io mi propongo proprio di far
diminuire quell'indifferenza e di lasciare che a pronunciare
la sentenza su Agnes Grey sia George Moore, che lo
riteneva un romanzo «perfetto». D'altra parte, durante la
lettura di Agnes Grey ci si rende conto che la gente non
giudica, ma viene piuttosto sottoposta a giudizio.
L'esperienza che Agnes Grey fa del mondo - il suo
entrarvi e il suo allontanarsene - modella il suo giudizio, e
la protagonista emette giudizi dal principio alla fine. (2)
Le vicende di Agnes Grey si possono facilmente (e
forse utilmente?) riassumere. Agnes, la minore di due
sorelle, lascia il suo solitario villaggio natale, dove il denaro
scarseggia, per diventare istitutrice. La sua destinazione è
Wellwood House, la residenza di recente costruzione dei
Bloomfield, una famiglia di arricchiti i cui figli si rivelano
indisciplinati e incontrollabili. Alla fine Agnes viene
licenziata. Dopo un periodo di riposo a casa dei suoi,
riparte per sistemarsi questa volta presso i Murray di
Horton Lodge, una famiglia di ceto superiore ai
Bloomfield. Qui Agnes riesce ad avere più fortuna,
nonostante i suoi allievi e la stessa signora Murray la
mettano duramente alla prova. Qui inoltre Agnes Grey fa
la conoscenza del signor Weston, il coadiutore locale, i cui
principi morali coincidono coi suoi. A causa della morte del
padre, Agnes ritorna a casa e si unisce alla madre in una
nuova impresa. Madre e figlia insieme (intanto la sorella
maggiore di Agnes si è sposata con un rispettabile vicario)
aprono una scuola in una cittadina di mare.
Agnes Grey si prende una breve vacanza per far visita
alla sua ex alunna Rosalie Murray, che nel frattempo ha
sposato Lord Ashby di Ashby Hall, dimora persino più
imponente di Horton Lodge. (3) Agnes e la madre sono
riuscite a ottenere un certo successo quando rientra in
scena il signor Weston. Ora anche lui è diventato vicario di
un villaggio a sole due miglia di distanza. Quando Agnes
accetta di sposare Weston si conclude quella parte di
storia della sua vita cui il lettore può avere accesso.
Anche se l'esperienza di Agnes conosce ai suoi occhi alti
e bassi, in questa semplice narrazione c'è spazio per poche
sorprese. E tuttavia io vorrei adesso riraccontare Agnes
Grey, dividendo la mia personale versione del primo
romanzo di Acton Bell in quattro parti disuguali che non
sempre si susseguono come nel libro. Il mio intento è di
disturbare l'apparente equilibrio del romanzo, per avere
così la possibilità di esporre quella che io ritengo la «vera
storia» di Agnes Grey (e di Acton Bell, e di Anne Brontë).
A mio avviso, si tratta davvero di una storia di parole, che
parla attraverso le parole e delle parole, attenta al modo
in cui vengono usate o abusate, ascoltate o inascoltate,
dette o non dette, ripetute o perdute, rubate o ritrovate;
una storia di silenzio forzato (di Agnes, istitutrice nubile)
contrapposto a chiacchiere vuote e ingannevoli (dei
padroni di Agnes e dei loro figli), raccontata una seconda
volta al contrario quando Agnes Grey, che ha ormai
acquisito facilità di parola, si rivolge ai suoi lettori, le cui
parole (fatta eccezione per le mie) rimangono inespresse.
Il parallelo tra il lettore e l'insieme BloomfieldMurray-Ashby rispettivamente le parti quattro e due
della formula cui alludevo in precedenza - è stabilito in
modo molto esplicito. Ha il suo cardine nella natura che il
mondo, in cui il lettore e l'insieme Bloomfield-MurrayAshby si trovano entrambi, finirà per rivelare: domanda
alla quale la giovane Agnes, ancora reclusa nella canonica,
desidera fortemente dare una sua risposta. E il mondo
visto di là sembra davvero grande, nonostante la
famigliola viva «nel più assoluto isolamento». La madre di
Agnes, per esempio, ha rinunciato alla propria ricca (cioè
mondana) famiglia per sposare il padre di Agnes, che a
sua volta si affligge continuamente per il sacrificio della
moglie. Mentre la madre di Agnes, quando non si occupa
dell'educazione privata delle figlie, racconta loro storie
della sua fanciullezza, il padre decide di rischiare il suo
modesto patrimonio «fuori», nel mondo, mettendolo nelle
mani di un «amico cortese», un mercante la cui nave,
sfortunatamente, fa naufragio. Entrambe le azioni, i
racconti materni e la speculazione paterna, risvegliano in
Agnes «il segreto desiderio di conoscere un po' il mondo»,
i racconti della madre per la loro patina mondana, la
speculazione paterna perché Agnes, ripercorrendo
involontariamente le orme del padre, pensa che fuori, nel
mondo, riuscirà a far fruttare in qualche modo il suo
piccolo tesoro.
Fino a questo punto, il mondo si presenta come un
luogo del quale si raccontano storie, un luogo nel quale il
denaro può essere goduto e/o perduto per sempre, e un
luogo che vale la pena di perdere per amore. Agnes, per
venire in aiuto al recente tracollo economico della famiglia,
desidera provare a rischiare fuori, nel mondo, i beni che
possiede: la sua inclinazione per la gioventù, la sua
saggezza e la sua prudenza - peraltro mai messe alla
prova -, e il suo carattere ambizioso. In altre parole,
Agnes desidera istruire i bambini del mondo.
Ma che dire delle sue effettive capacità di assolvere un
compito tanto degno? «Tieni la bocca chiusa, bambina
cattiva», è la risposta della signora Grey al progetto; ma
col tempo Agnes, abituata a tenere la bocca chiusa, ottiene
l'approvazione della famiglia e parte alla scoperta del
mondo. Da questo momento, al termine del capitolo I, il
ritmo della narrazione di Agnes - fino a ora un agile
riassunto
meramente
informativo
rallenta
considerevolmente per seguire la partenza della giovane
eroina in ogni dettaglio, compresa la sua ultima
conversazione «premondana». Agnes è a bordo di un
calesse preso in affitto e guidato da Smith, il merciaio,
droghiere e venditore di tè del suo villaggio natale:
«Mattina fredda, signorina Agnes» osservò Smith. «E buia
pure; magari però arriviamo a destinazione prima che si
metta a piovere sul serio.»
«Sì, lo spero» risposi, cercando di restare calma.
«Ha fatto una bella bagnata ieri sera.»
«Sì.»
«Ma il vento freddo che tira magari la terrà buona.»
«Forse.»
La conversazione non è facile per la povera Agnes, ma
per il suo lettore le parole sono irrilevanti, poiché nel
momento in cui Agnes lascia la sua casa e si accosta al
mondo («Il calesse si avviò; mi guardai indietro; la cara
mamma e mia sorella erano ancora sulla porta, a
guardarmi e a salutarmi con la mano»), si accosta anche a
me lettore. In effetti, la sintonia che si stabilisce tra Agnes
e il lettore è il culmine del capitolo, la meta a cui tutto il
capitolo tende. Questa sintonia è fondata sulla solitudine
di Agnes, su quella che diventerà la sua alienazione
quotidiana. Agnes Grey è sul punto di imparare qualcosa
del mondo, così come il lettore, leggendo quel che lei
scrive, impara qualcosa di lei.
Che Agnes Grey parli assai poco è già stato stabilito
con chiarezza. A casa le parole non sono necessarie.
L'ultima notte in cui le due sorelle dividono il loro
«lettino», per esempio, Agnes vi si inginocchia accanto e
invoca una benedizione sulla sua famiglia: Per celare la
mia emozione, mi nascosi il viso tra le mani, e presto le
trovai bagnate di lacrime. Vidi, alzandomi, che anche lei
aveva pianto; ma nessuna di noi parlò; e ci coricammo in
silenzio, stringendoci più forte l'una all'altra per la
consapevolezza che ci saremo presto separate.
Alla fine del capitolo I questa silenziosa comprensione
reciproca è stata lasciata per sempre alle spalle. Agnes
non rimane molto a lungo a Wellwood, la prima stazione
del suo viaggio per il mondo, ma il tempo che vi trascorre
viene impiegato con profitto - un corso di studio intensivo
il cui titolo potrebbe essere «Le parole del mondo».
A Agnes «davvero non riusciva possibile conversare»
quando giunge per la prima volta a Wellwood; ma Mary
Ann Bloomfield è «molto loquace» sui pregi della sua
bambola e il signorino Tom parla continuamente «come
un conferenziere». Solo in seguito Agnes comprende che
cosa davvero significhi la loro prontezza, e precisamente
quando i suoi ardenti argomenti, ordini e suppliche si
rivelano del tutto inefficaci. Le «alte grida e i tristi
lamenti» emessi da Tom «per simulare il pianto», per
esempio, sono «senza lacrime». Le parole della nonna di
Tom, che Agnes considerava una «vecchietta simpatica,
chiacchierona e di buon cuore», sono in realtà «ipocrite e
false». Le parole di Papà Bloomfield, pronunciate con toni
«aspri», «penetranti» o «acuti e dispettosi», sono
essenzialmente violente minacce contro i suoi figli o
allusioni a quanto stiano diventando indisciplinati quei
bambini.
Ma le parole di Mamma Bloomfield sono le più
istruttive. Sin dall'inizio a Agnes viene ordinato di non
punire i bambini a lei affidati. «Pazienza, Fermezza, e
Perseveranza», decide, sono le sue uniche armi - scritte
con la maiuscola, molto probabilmente, per valorizzare la
loro apparente autorità. Le ragioni del licenziamento di
Agnes, tuttavia, sono giustificate dalla signora Bloomfield
con la sua mancanza «di sufficiente fermezza e di
attenzione diligente e perseverante». E' come se Agnes,
con i suoi «vestiti casalinghi, la sua faccia di tutti i giorni e
le sue parole franche», fosse stata derubata: le sue parole
cariche di valori le sono state strappate e rovinate,
convertite in un rimprovero. Si noti come Agnes ripete ed
enfatizza le parole usate contro di lei; in realtà vuole
riprendersele: Incrollabile fermezza, assoluta diligenza,
instancabile perseveranza, continua attenzione erano
proprio le qualità di cui andavo segretamente fiera; grazie
alle quali avevo sperato con il tempo di superare tutte le
difficoltà e ottenere infine successo.
Avrei voluto dire qualcosa per giustificarmi, ma
quando cercai di parlare mi mancò la voce; e preferii
restare in silenzio e sopportare come un'imputata che si
riconosce colpevole, pur di non dare prova di emozione e
di non abbandonarmi alle lacrime che già mi riempivano
gli occhi.
Quel silenzio, che non durerà per sempre, costa caro.
Agnes Grey ritorna a casa consapevole del fatto che le sue
parole sarebbero state inutili contro la verbosità del
mondo, vuota, o ipocrita, o falsa, oppure egoista. Ma
consapevole anche che al mondo esiste qualcosa di più di
Wellwood.
Horton Lodge, la casa della famiglia Murray, è diversa
e nello stesso tempo esattamente identica a Wellwood.
Anche lì, le parole sono ambigue, mutevoli, infide. Anche
lì, le parole pronunciate da una bocca subiscono un
inquietante cambiamento quando vengono ripetute da
un'altra. Anche lì, il silenzio di Agnes la avvilisce, le fa
mettere ancora una volta in dubbio il suo rispetto per se
stessa.
E a Horton Lodge è ancora più evidente che il modo di
parlare delle persone è spia della loro natura morale, e che
stare ad ascoltare le chiacchiere del mondo, la completa
vacuità delle parole, potrebbe non portare a niente di
buono.
Nella famiglia Murray vi sono due figlie: Matilda, il
maschiaccio, le cui continue imprecazioni - imparate dal
padre e dal cocchiere di famiglia - sembrano incorreggibili,
e Rosalie, la civetta, la cui bellezza e «naturale» buon
carattere conquistano Agnes a dispetto dei suoi modi
frivoli. Rosalie ha sedici anni, tre o quattro meno della sua
istitutrice. Progressivamente, Rosalie impara a riporre la
propria fiducia in Agnes «la sola in casa a professare
costantemente buoni principi, a dire abitualmente la
verità, e in generale a cercare di piegare gli impulsi e le
inclinazioni al dovere», con il risultato che la sua
conversazione diventa a suo modo sincera. I discorsi di
Rosalie all'istitutrice vengono riportati nei particolari e per
esteso. Non andiamo al ballo - il ballo ci viene raccontato.
Inconsapevole del fatto che le sue parole rivelano
molto più di quanto lei pensi, e che quanto dice viene
registrato con cura nella memoria della sua ascoltatrice,
Rosalie è, con perfetta innocenza, un libro aperto. Dice
tutto.
La storia che racconta è fondamentale per la
narrazione che la sua ascoltatrice alla fine rende pubblica.
Rosalie, graziosa figlia di un ricco proprietario terriero, è
in realtà la controfigura mondana di Agnes Grey. La sua
esperienza della parola avviene in parallelo a quella
dell'istitutrice, l'una ironica ombra dell'altra, l'una piena di
parole, l'altra che rimanda di continuo la rivelazione della
parola. Agnes Grey si trattiene a Horton Lodge tanto a
lungo da essere testimone oculare della storia che ha per
argomento la formale presentazione della sua pupilla in
società - e cioè il mercato del matrimonio, il suo flirtare
con qualsiasi uomo si interessi a lei, il suo acconsentire a
sposare il partito migliore (il più ricco e di più nobile
famiglia) e infine la celebrazione delle nozze. Non appena
ritorna dalla chiesa Rosalie vola letteralmente nella sala
da studio dove la sua ascoltatrice la sta aspettando: «Ora,
signorina Grey, sono Lady Ashby» esclamò. «E' fatta! il
mio destino è segnato... non è più possibile tornare
indietro. Sono venuta a ricevere le vostre congratulazioni
e a congedarmi da voi; e subito partirò... per Parigi, Roma,
Napoli, la Svizzera, Londra...
Oh, quante cose vedrò e sentirò prima di tornare! Ma
non dimenticatemi; io non vi dimenticherò, anche se sono
stata cattiva.
Via, perché non vi congratulate con me?»
Agnes Grey augura cautamente alla sua ex allieva
autentica felicità e ogni benedizione, restando in disparte
mentre la giovane sposa lascia la casa della sua
fanciullezza per andare alla scoperta del mondo - un
viaggio con una meta assai più lontana di quello che Agnes
aveva un tempo pensato di intraprendere. Ma per
Rosalie, come lei stessa teme, non c'è possibilità di voltarsi
indietro: una volta entrato nel mondo degli aristocratici, il
viaggiatore non ritorna mai più.
L'ultimo capitolo della storia di Rosalie, così come ci
viene raccontato dalla sua istitutrice di un tempo, è forse il
più interessante. Agnes ormai non è più al servizio dei
Murray, ma, come sottolinea Rosalie con il suo invito
insistente a Ashby Hall - dove ora vive con il marito e la
suocera -, «dovete venire e verrete; morirò se non venite.
Voglio che veniate in visita come un'amica, e vi fermiate a
lungo». Agnes Grey rimane solo per pochi giorni, un
periodo non abbastanza lungo per soddisfare la povera
Rosalie, ma sufficiente per farsi un'idea chiara della nuova
esistenza della sua pupilla, idea indispensabile a tracciare
le coordinate morali della vita che la stessa Agnes
vorrebbe condurre un giorno.
Le due giovani donne non si reincontreranno mai più.
Al momento della loro separazione, Agnes ha completato il
suo personale viaggio per il mondo (Ashby Park è una
«casa principesca» e di gran lunga la residenza più
grandiosa che Agnes abbia mai visto) e di sua spontanea
volontà se ne allontana, lasciando Rosalie al proprio
destino.
Rosalie, presa in trappola tra una suocera oppressiva e
un marito geloso, sente che «la vita, la salute e la bellezza
se ne vanno, inavvertite e non godute». Nemmeno il figlio
(mai chiamato con un nome proprio) la interessa, e, dal
momento che il bimbo è in realtà una bimba, (4) alla fine
diventerà addirittura una minaccia per la madre. I nuovi
beni di Rosalie, riportati dal viaggio in Europa, non le
danno piacere. E per di più la giovane non è autorizzata ad
andare a divertirsi a Londra. In breve, per Rosalie i
cancelli della prigione sono chiusi a chiave.
Prima della sua partenza, Agnes, senza farsi notare da
suocera e marito, dà qualche consiglio a Rosalie: Dissi
quello che potevo per confortarla e le diedi quei consigli
che credevo più necessari, suggerendole dapprima di
cercare di migliorare il marito con la dolcezza dei
ragionamenti, con l'esempio, con la persuasione; quando
poi avesse fatto tutto il possibile, se ancora lo avesse
trovato incorreggibile, di cercare di non pensare a lui - di
avvolgersi nella sua propria integrità e preoccuparsi il
meno possibile per lui.
Soltanto qualcuno che sia a conoscenza di tutte le
esperienze di Agnes Grey come istitutrice - e istitutrice di
Rosalie - può apprezzare appieno il capovolgimento che ha
qui luogo. Quello che un tempo la madre di Rosalie aveva
suggerito all'istitutrice dei suoi figli - «di essere sempre
mite e paziente» e di usare solo «persuasione e dolci
proteste» - è l'amara medicina che viene ora consigliata
alla stessa Rosalie. E con questa prescrizione Agnes Grey
se ne va.
C'era però stato un tempo in cui le due storie - di
Agnes e di Rosalie - si erano intrecciate, e cioè quando
entrambe erano interessate allo stesso uomo. Il signor
Weston fa il suo ingresso nella storia di Agnes da una
porta laterale e nascosta. Avendo sentito che in città è
arrivato un nuovo coadiutore, Agnes ne chiede una
descrizione a Rosalie: «Oh, un uomo impossibile! Si
chiama Weston. Posso descrivervelo con tre parole: uno
zuccone sciocco, brutto e stupido. Sono quattro, ma non
importa... basta ora parlare di lui.»
Tra le parole di Rosalie, che già significano più di
quanto lei creda, ce n'è davvero una di troppo. Dopo
questo primo segnale, la presenza del signor Weston nel
vicinato acquista progressivamente un'importanza
sempre maggiore nell'esistenza di Agnes e Rosalie,
ciascuna a suo modo. Rosalie, che è ancora alla ricerca del
marito adatto, esamina e commenta ogni uomo che le
capita a tiro, mentre Agnes, anche lei nubile, osserva con
cautela e in silenzio.
Tuttavia, prima che Rosalie si renda conto della
«idoneità» del signor Weston, il rettore, Hatfield, è stato
preso all'amo, pescato, e quindi ributtato in acqua. Questo
episodio - quando il pesce viene respinto - mi sembra
l'esemplificazione più efficace di come il mondo usi le
parole. Rosalie racconta ogni particolare della vicenda alla
sua silenziosa istitutrice. La giovane ha deliberatamente
ingannato il signor Hatfield, coinvolgendolo in parecchie
conversazioni private, e quando alla fine il rettore si
dichiara, lo respinge altezzosamente. Prendendo
allegramente possesso del ruolo di narratore, Rosalie
ripete l'intero incontro. Quando il povero, mortificato
signor Hatfield chiede «Ma siate sincera, signorina
Murray; se io avessi la ricchezza di sir Hugh Meltham, o le
prospettive del suo figlio maggiore, anche allora mi
rifiutereste? rispondetemi con sincerità, sul vostro
onore», Rosalie gli risponde che lo avrebbe sicuramente
rifiutato lo stesso, una «grossa bugia», confessa alla sua
istitutrice allibita, detta per umiliare ulteriormente il
corteggiatore. Prima di andarsene Hatfield, in precedenza
un maestro dell'adulazione, prende un «tono umile», e
prega il suo perduto amore di non rivelare nulla a
proposito di «questo». Passa poi alla minaccia: «Anch'io
posso parlare; avete disprezzato il mio amore, ma non
potrete disprezzare...». Rosalie esige subito una
spiegazione: «"Che cosa intendete, signore?" ho chiesto, e
quasi battevo il piede a terra dalla collera.
«"Intendo che questa vicenda ai miei occhi appare
dall'inizio alla fine come un caso lampante di... di civetteria
- è il minimo che si possa dire - un caso tale che non vi
farebbe certo piacere veder rivelato ai quattro venti, per
di più con le aggiunte e le esagerazioni delle vostre rivali,
che sarebbero felici di divulgare la cosa se soltanto gliene
offrissi l'occasione. Ma vi prometto, sul mio onore di
gentiluomo, che non una parola, non una sillaba che possa
recarvi danno mi sfuggirà dalle labbra, purché voi..."
«"D'accordo, d'accordo, non ne parlerò" ho detto allora
"potete contare sul mio silenzio, se la cosa vi è di
conforto."
«"Lo promettete?"
«"Sì" ho risposto, perché a quel punto volevo liberarmi
di lui.
«"Vi lascio dunque, per sempre!" ha detto, con un tono
molto dolente e innamorato; e con uno sguardo in cui
l'orgoglio lottava invano con la disperazione, si è
allontanato, ansioso, senza dubbio, di tornare a casa per
potersi chiudere nel suo studio a piangere... seppure non
scoppierà in singhiozzi prima di arrivarci.»
Il signor Hatfield è esperto di discorsi audaci, di
insinuazioni e pettegolezzi almeno quanto lo è di discorsi
amorosi e di discorsi che vanno messi a tacere; ma i
discorsi di Rosalie sono ancora più mondani: non solo le
parole di richiamo rivolte allo sfortunato Hatfield, ma la
sua intera narrazione - che sta per fare alla madre e alla
sorella -, costituisce un tradimento. Insomma, come ho già
osservato, la mondana Rosalie dice tutto.
Il signor Weston è tutto un altro paio di maniche, ma
Rosalie non sembra rendersene conto. Le sue intenzioni
dichiarate («Oh se uno spirito amico gli sussurrasse
queste parole all'orecchio!» pensa la silenziosa Agnes),
anche se non portano a nulla, capitano giusto a sproposito.
Infatti il tempismo è essenziale, la posta in gioco
insignificante. Il modo in cui il mondo usa le parole è stato
ampiamente dimostrato, il suo potere ampiamente
sperimentato. A Agnes - circondata da «bambini antipatici
e ragazze ignoranti, malconsigliate» - sembra di percepire
il suo intelletto guastarsi, il suo cuore pietrificarsi, la sua
anima contrarsi. «Le compagnie consuete esercitano
spesso grande, reciproco influsso sulla mente e sui modi.
Coloro dei quali vediamo costantemente le azioni,
ascoltiamo costantemente le parole, non possono non
condurci, sia pure contro la nostra volontà, lentamente,
gradualmente, impercettibilmente forse, a agire e parlare
come loro»; un pensiero terribile per chi aveva portato
con sé dalla canonica come i suoi beni più preziosi saggezza
e prudenza. Come potrebbe Agnes Grey definire il mondo
ora che sa quanto può essere pericoloso?
Abbiamo così raggiunto il fulcro dell'intuizione morale
di Agnes nei riguardi del mondo; ma fortunatamente il
mondo non è fatto solo di quelli che Agnes definisce «i vari
Bloomfield, Murray, Hatfield, Ashby, eccetera, eccetera».
Fortunatamente quella rarità del signor Weston, «come la
stella del mattino», è apparso all'orizzonte, sorgente
luminosa che cambierà per sempre la visione del mondo di
Agnes. Ovviamente Weston è un uomo di poche parole, un
uomo di parola, e un uomo cui basta un'unica parola («sì»,
la sola risposta alla sua domanda di matrimonio). Quando
questa parola viene pronunciata la storia di parole di
Agnes - e cioè la storia della sua lotta con le parole - ha
finalmente termine. Tra Agnes Grey e Weston sono
necessarie pochissime parole, e queste sono semplici e
chiare.
Si pensi per esempio al mazzo di giacinti offerto a
Agnes dal signor Weston, il quale osserva, sorridendo,
che: sebbene mi avesse visto così poco negli ultimi due
mesi, non aveva dimenticato che i giacinti erano tra i miei
fiori preferiti. Era un gesto compiuto semplicemente come
un atto di benevolenza, senza alcuna cerimonia o
particolare cortesia, senza alcuno sguardo che potesse
venire interpretato come una «riverente, tenera
adorazione» (vedi Rosalie Murray); ma era pure qualcosa
scoprire che quella mia frase senza importanza veniva
ricordata con tanta attenzione.
Affermazioni insignificanti non sono prive di significato
per queste due persone, le cui parole sono sempre pesate,
sempre pesanti.
Naturalmente le sole parole che Weston pronuncia a
suo favore sottolineano proprio questo aspetto: «Spero di
non essere stato troppo precipitoso», aggiunge dopo
essersi dichiarato alla tremante Agnes: Ma voi certo
sapevate che non sono uomo da lusingare e dire tenere
sciocchezze, o semplicemente da esprimere l'ammirazione
che provo; e che in me una parola o uno sguardo vogliono
dire più delle frasi melate e delle ardenti affermazioni di
molti altri uomini.
Ovviamente Agnes Grey e Weston erano fatti l'uno
per l'altro.
Quando si reincontrano, nel penultimo capitolo della
«vera storia» di Agnes Grey, il mondo e le maniere del
mondo semplicemente scompaiono.
E' mattino presto. Agnes ha attraversato la città di
mare nella quale lei e sua madre hanno aperto la loro
scuola ed è arrivata da sola alla spiaggia. La marea ha
«cancellato le orme più profonde del giorno prima». Il
mondo si è svuotato. Agnes, di ritorno da Ashby Park, si
sente «rinfrescata, deliziata, rinvigorita» (5) - e là, a
grande distanza, lontano da tutto il mondo, c'è «un uomo
con la macchia scura di un cane». Quando il cane si slancia
di un balzo addosso a Agnes tributandole una
«entusiastica accoglienza», abbiamo già capito tutto. Chi
ha bisogno di parole?
Quanto poi effettivamente sappiamo della felicità
coniugale di Agnes è un'altra questione, e la risposta può
essere tutto oppure niente.
Ma ora il quadro si capovolge, e io ritorno alla formula
sottesa a questo saggio, dalla quale ero partita: Agnes
Grey è una storia di silenzio forzato contrapposto a
chiacchiere vuote o ingannevoli (sto autocitandomi) - una
storia raccontata una seconda volta al contrario quando
alla fine Agnes parla chiaro mentre il mondo ascolta in
silenzio. Che cosa ha a che fare la voce narrante di Agnes,
o piuttosto la sua voce parlante, con la storia che
racconta? Da dove deriva questa sua scioltezza? Il mondo,
inteso come pubblico, è ora diventato qualcosa che
richiede parole, che causa l'esistenza di parole, che divora
parole; e Agnes Grey, di sua spontanea volontà, traduce la
sua vita nient'altro che in parole da sottoporre - come dice
all'inizio - al giudizio del mondo. Come Rosalie Murray,
Agnes racconterà tutto, e lo racconterà al mondo.
Ma non proprio tutto. Non vengono spese parole per la
vita domestica del signore e della signora Weston;
davvero la loro felicità non può essere espressa a parole.
Quando li vediamo per l'ultima volta, stanno fissando,
fianco a fianco, in silenzio, un «inquieto mondo di acque»,
lontano dal mondo verboso della città. Nell'acqua i due
spariscono insieme - per non essere mai più visti (se si
eccettua il più che sommario riassunto dell'ultimo
capitolo). Quando Agnesnarratore riemerge da quella
«oscurità», con una nuova immagine e una nuova
fisionomia, il suo modo di raccontare è in parte familiare,
in parte insolito.
Ci si aspetta, per esempio, che Agnes Grey sia breve,
senza fronzoli, senza improvvise digressioni. I titoli dei
capitoli sono concise anticipazioni rigorosamente
informative dei contenuti; diciannove dei venticinque in
cui è diviso il romanzo sono composti dall'articolo seguito
da un sostantivo. La successione cronologica del romanzo
procede senza interruzioni, in una continua progressione
temporale. Le coordinate spaziotemporali di Agnes Grey
sono precisate con attenzione; il lettore non può mai
perdersi, o avere dei dubbi. La narrazione in prima
persona è continua dall'inizio alla fine. Non vi sono sogni
raccontati, diari, prediche o lettere. Non sono specificati
nomi di luoghi, mancano riferimenti a eventi o personaggi
storici. Non ci sono singolari coincidenze, il testo non è
intessuto di simboli e immagini figurate. Metafore e
similitudini scarseggiano. Non ci aspetteremmo (e non
troviamo) nessun tipo di eccesso.
Questa moderazione del linguaggio non è quella del
mondo, ma in Agnes Grey la protagonista si è
reimpossessata delle parole del mondo. Leggendo Agnes
Grey, il mondo è costretto ad ascoltare le proprie parole,
ma a ascoltarle incastonate nel resoconto rigoroso e franco
di Agnes Grey, trasformate in esempi, semplici campioni
subordinati a un nuovo fine e a una nuova autorità. Un
tempo Agnes Grey ha mandato alla ventura nel mondo la
sua indole entusiasta e fiduciosa, e ora vi manda la sua
storia. Ma le due iniziative sono diverse. Questa volta, per
esempio, Agnes è molto cauta. La sua oscurità, alcuni
nomi cambiati e il tempo che intanto è trascorso la
proteggeranno, ci dice nella prima pagina, le
consentiranno di narrare gli avvenimenti dal suo punto di
vista, di raccontare al mondo le storie del mondo, di
rompere finalmente il suo silenzio. Un tempo, quando si
dibatteva tra i suoi «mondani» allievi, le parole restavano
l'unica risorsa consentita a Agnes Grey; ora sono tutto ciò
di cui ha bisogno. Sono l'espressione della sua superiorità
morale.
Il semplice allontanamento dal mondo verso la felicità
della vita insieme a Weston non è abbastanza per Agnes
Grey. Il mondo così come lei lo ha conosciuto può essere
sottomesso
soltanto
imponendogli
il
silenzio,
impadronendosi delle sue parole, delle quali ricorda
perfettamente il tono, di cui imita spesso i suoni,
denunciandone scrupolosamente la vacuità. Nessun
singolo esempio può trasmettere il gusto della parodia di
Agnes, la sua sicura padronanza del modo di esprimersi
del mondo. Proprio lei, che aveva temuto un tempo di
giungere a parlare come parla il mondo, trova infine il
modo di farlo con perfetta impunità. Per esempio: la
signora Bloomfield presenta il figlio come un «ragazzo
generoso e nobile», ma quando Agnes ci dice che «ha
cercato invano quello spirito nobile e generoso di cui
parlava la madre» le parole sono diventate ironiche.
Analogamente, quando la signora Murray ricorda a Agnes
che ha «amici influenti, pronti a continuare a proteggerla e
a trattarla con tutti i riguardi» e Agnes la ringrazia «per i
suoi "riguardi"», la parola ha acquisito una sfumatura
diversa. E quando Rosalie fa presente a Agnes che
dovrebbe ricevere da casa degli «eleganti e signorili
bigliettini» e non lunghe, detestabili lettere scritte su
«fogli enormi e volgari», Agnes replica: «La brava gente di
casa mia» risposi «sa benissimo che, più le lettere sono
lunghe e più mi fanno piacere. Mi dispiacerebbe molto
ricevere da qualcuno di loro un bigliettino signorile; e
credevo foste voi stessa troppo signorile, signorina
Murray, per parlare della "volgarità" di lettere scritte su
fogli larghi.»
Sulla scelta di parole di Rosalie Murray, Agnes Grey è
particolarmente eloquente. Quando vengono ripetute da
Agnes, queste parole sono state giudicate e condannate quando vengono ripetute da Agnes, tutte le parole del
mondo sono state messe alla prova, e la loro autonomia si
è spenta alla luce del suo severo esame. Prendiamo per
esempio il discorso di Rosalie «Ora, signorina Grey, sono
Lady Ashby!», citato sopra. Viene pronunciato poco dopo
l'inizio del capitolo XVIII, intitolato Gioia e lutto. Siamo
appena venuti a sapere che il padre di Agnes potrebbe
avere una malattia mortale, Agnes non ha potuto vedere il
signor Weston per molte settimane, e le è stato portato
via persino il cagnolino. In mezzo a questa desolazione
irrompe la sposa: «volò nella sala da studio, rossa in viso
per l'emozione, e ridente... ridente di gaiezza e a un tempo
di spavalda disperazione o almeno così mi parve» (corsivo
mio). In Agnes Grey tutto quanto viene raccontato è
accompagnato da questa riserva.
E si può dire che il suono vuoto delle parole di Rosalie
così come sono state ascoltate dalla sua triste istitutrice
riecheggi in ogni pagina.
Le parole del mondo si sono spente nel silenzio quando
arriva il tempo di leggere Agnes Grey, e tuttavia la
presenza del mondo non ha per questo minore significato.
Eccoci così giunti alla quarta parte del mio saggio, quella
più interessante, o almeno che interessa di più a me.
Perché dopo tutto solo il lettore di Agnes Grey ha davvero
la possibilità di far esistere la sua storia; può darle una
voce; se il suo racconto non viene letto, anche Agnes resta
silenziosa. Ma chi è questo lettore? Chi nel mondo legge
effettivamente Agnes Grey?
E' stato detto che l'anonimato dei lettori è il valore più
essenziale sostenuto da un romanzo; (6) ma Agnes Grey
(il cui personale anonimato non è però mai messo in
discussione) sa bene a chi si rivolge. I suoi lettori sono
stati presi dal mondo - quel mondo che sta per essere
giudicato - e sono sin troppo noti.
«Risparmio ai miei lettori la descrizione della mia gioia
nel tornare a casa», commenta Agnes, come se fossero
incapaci di apprezzare un'esperienza così poco mondana, e
ancora «Non annoierò i miei lettori descrivendo la mia
partenza da casa in quella buia mattina d'inverno», come
se la loro sensibilità mondana dovesse trovare questa
commozione intollerabile. Qualsiasi esplicito riferimento di
Agnes Grey ai lettori tradisce questa sfiducia: (7) la loro
pazienza si sta esaurendo, o la sospettano di rivendicare la
condizione di martire, oppure troveranno la narrazione
tediosa, la protagonista del tutto assurda e ne saranno
«nauseati». In breve, Agnes conosce così bene i suoi
lettori da poter mettere loro in bocca le parole - e in
Agnes Grey non esiste potere più grande. Accade proprio
dopo che il signor Weston si è ricordato dei giacinti:
Ebbene, che cosa c'è di notevole in tutto questo? Perché
l'ho raccontato? Perché era tanto importante da farmi
passare una serata lieta, una notte di sogni gradevoli e
una mattina di felici speranze.
Vuota letizia, sciocchi sogni, speranze infondate,
diranno i lettori.
I lettori di Agnes Grey sono diventati, volenti o
nolenti, la voce della saggezza mondana. Come la signora
Bloomfield, con un furto ormai familiare si impadroniscono
delle parole di Agnes e ne annullano il valore. O meglio:
viene detto che se ne impadroniscono.
A questo punto Weston e Agnes cominciano
gradualmente a avvicinarsi e di questi lettori mondani non
si hanno più notizie né vi si allude più. Non possono, così
come il resto del mondo, sapere nulla di questa unione
(senza parole): per loro è un libro chiuso.
Ma che cosa possiamo dire di quel lettore che Agnes si
rifiuta di prendere in considerazione, il lettore che non si
può nominare, quell'unico in tutto il mondo che sa tutto?
L'esistenza di un lettore come questo costituisce a mio
avviso la premessa fondamentale a Agnes Grey. Questo
lettore segreto accompagna Agnes attraverso la storia
della sua vita esattamente come il suo diario segreto - mai
nominato fino all'ultima pagina del romanzo - la
accompagna lungo l'intero arco della sua esistenza.
Ovviamente io mi identifico con quel lettore. Alla fine del
capitolo I divento la confidente non riconosciuta di Agnes
Grey e non abbandono mai il suo fianco.
La mia storia, per quanto ancora non raccontata, non è
raccontabile. Comincia quando Agnes Grey e il signor
Smith si allontanano dal suo paese natale. Si sono appena
trovati d'accordo sul fatto che il tempo è freddo, tetro e
incerto; ma per un momento «un raggio di sole obliquo»
illumina la canonica ormai lontana. Si osservi con quanta
schiettezza Agnes Grey comunica la sua reazione alla vista
di questo effetto luminoso: Giungendo le mani, invocai con
fervore la benedizione sui suoi abitanti, e mi affrettai a
voltarmi di nuovo, perché vedevo che il sole si
allontanava; evitai accuratamente di lanciare un altro
sguardo, per non vederla immersa nell'ombra cupa, come
tutto il paesaggio.
Il carattere confidenziale di questa confessione di fede
e superstizione insieme determina e definisce il ruolo che
io devo interpretare mentre Agnes racconta il suo viaggio
alla scoperta del mondo. E' un momento significativo,
destinato a essere ricordato diciassette capitoli dopo,
quando Agnes (ormai a Horton Lodge) immagina «nuvole
nere che si addensano sulle [sue] colline native» e «il
rabbioso borbottare di una tempesta che stava per
scoppiare e gettare la desolazione nella [sua] casa». E
queste stesse parole vengono ricordate ancora
successivamente, quando «un forte e lungo temporale» si
placa e il sole torna a splendere proprio mentre il signor
Weston si dichiara. Io so che cosa pensare di quelle nuvole
nere e di quel sole splendente.
Ma la mia lettura di Agnes Grey è ancora più
attendibile di così.
La mia comprensione non ha bisogno di parole davvero la mancanza di parole è la sua unità di misura, la
stessa mancanza di parole che ratifica il legame di Agnes
con la sua famiglia, il suo cane e ovviamente il signor
Weston. In questo modo Agnes Grey, romanzo composto
di parole, riesce davvero a screditare il potere della
parola. Io non sono interpellata direttamente; la nostra
conoscenza reciproca è sottintesa. Per esempio, io deduco
la costante fiducia di Agnes nel significato profetico del
tempo metereologico da un modo di narrare che dal canto
suo permette questa interpretazione senza imporla però
mai direttamente.
E in realtà le dichiarazioni di Agnes Grey sono
destinate a quei lettori mondani di cui comincia a
immaginare l'esistenza non appena ha percorso le venti
miglia fino a Wellwood House e ha iniziato a comprendere
davvero come è fatto il mondo. Di questi lettori viene
detto che diventano scontenti, annoiati o ostili. Sono loro
che avvertono il sottofondo ironico di queste accuse.
L'ironia di Agnes Grey - presente sin dal momento in cui il
cosiddetto «amico cortese» salpa per mare con il
patrimonio di famiglia - è riservata esclusivamente alle
mie orecchie. Dipende direttamente dalla sua fiducia
scossa. Tra i Bloomfield la sua fiducia, e quindi la sua
confidenza, diventano incerte e indirette, e le sue parole in lotta contro il modo in cui il mondo usa le parole diventano ironiche. Io sono il lettore che sente e
comprende questo impulso.
All'inizio del capitolo IV, per esempio, Agnes Grey si
rifiuta di parlare delle sue recenti vacanze di Natale;
dichiara che riferirà soltanto la metà delle vessazioni che
deve subire a Wellwood House per non mettere alla prova
la pazienza del lettore; e immagina di suscitare contrarietà
e confusione nel caso in cui trascurasse di descrivere i suoi
allievi uno per uno. Ovviamente, Agnes ha i nervi a fior di
pelle. La tensione cresce e Agnes prosegue rivelando la
stupidità e la cattiva volontà di Nonna Bloomfield, il
freddo rifiuto da parte di Mamma Bloomfield di punire i
figli quando hanno commesso degli errori, la collera di
Bloomfield padre di fronte agli scherzi dei bambini, e la
violenza dei bambini stessi: un gruppo di personaggi che
con i loro eccessi frustrano e sconcertano l'istitutrice, le cui
mani sono legate, le cui parole sono vane, la cui fiducia
viene quasi fatta crollare del tutto.
Ma il vero argomento di questo triste capitolo non
sono, a mio avviso, gli orrori del comportamento dei
Bloomfield - bensì la quotidiana sopportazione di questo
comportamento, l'instancabile esercizio dell'autocontrollo
da parte di Agnes. Circondata da un totale disordine e
fortemente tentata di lasciarsi andare, Agnes nonostante
tutto resiste. I bambini decidono di «farla infuriare», ma
falliscono nel loro intento. Il pensiero della compassione
dei suoi familiari le rende difficile trattenere le lacrime, e
tuttavia riesce a trattenerle. Le critiche di Papà
Bloomfield - «Parola mia» dice, «c'è da perdere la
pazienza!» - la fanno prorompere nella sua più sdegnosa
parodia, ma non prima che egli abbia sbattuto dietro di sé
la porta della sala da studio: «C'è davvero da perdere la
pazienza!» brontolai tra me alzandomi; e, afferrato
l'attizzatoio, lo passai più volte tra la brace smuovendola
con inconsueta energia, per placare la mia collera con il
pretesto di rianimare il fuoco.
Betty, la cameriera dei Bloomfield, ha appena perso il
posto perché non può trattenersi dal picchiare i piccoli
Bloomfield. «Non so come ci riusciate voi» confessa alla
signorina Grey alla fine del capitolo, «io non sono mica
riuscita a tenere ferme le mani». E Agnes non replica.
La nostra reciproca identificazione cresce e si
approfondisce in parallelo con il proseguire delle
avventure mondane di Agnes. Per esempio, non sono
necessarie parole per spiegarmi a che cosa si riferiscono le
sue «luminose visioni» del futuro a Horton Lodge; e anche
in seguito, quando Agnes dichiara che «non è necessario
analizzare» tutti i suoi pensieri, o quando le vengono in
mente «altri pensieri», io so quali sono. Senza divulgare
quelle visioni e quei pensieri, sono disposta a rivelare che
riguardano il signor Weston. La fiducia di Agnes nella mia
intuizione si rafforza insieme all'intensità del suo interesse
per Weston, al punto che quello che Agnes non dice di lui è
più importante di quello che dice, (8) poiché la sua
reticenza, così come la sua ironia, è diventata uno
strumento di comunicazione.
Il capitolo XIII, Le primule, segna questa
trasformazione. Qui per la prima volta Agnes Grey, con in
mano tre primule, parla apertamente al signor Weston,
che le ha raccolte per lei, di quella che potrebbe essere la
loro felicità. E' un momento importante, seguito subito
dalla consapevolezza da parte di Agnes che non sarà mai
più aperta con il lettore. Il legame è indubbio: «"Dio gli
conceda per quella casa una compagna degna di essere
scelta"» pensa Agnes quando è di nuovo sola. «"E sarebbe
delizioso se..." Ma che importanza hanno i miei pensieri?»
A questo punto Agnes si ferma, si rivolge direttamente al
lettore con il seguente rifiuto: Ho cominciato questo libro
con il proposito di non nascondere nulla, affinché quanti lo
desiderano possano guardare nel cuore di una loro sorella:
ma vi sono alcuni pensieri che tutti gli angeli del cielo
possono guardare - ma non i nostri fratelli umani neppure i migliori e più cari tra loro.
Il fatto che io sia in grado di indovinare i pensieri
nascosti di Agnes Grey, per quanto nascosti, costituisce il
suo segreto proposito. Il resto del racconto conferma
questa intenzione. L'ultimo paragrafo di questo capitolo,
per esempio, descrive solo dei fatti fatti che devono
parlare da soli: Le primule, poi, due le tenni in un
bicchiere in camera finché non furono completamente
appassite e la cameriera le buttò via, e i petali della terza li
misi tra le pagine della mia Bibbia: sono ancora là, e
intendo conservarli per sempre.
Il pensiero di Agnes Grey si articola in tre punti:
intendo conservare questi fiori, intendo dire che il mio
affetto per il signor Weston si è consolidato per sempre, e
intendo fartelo comprendere. Il pensiero di Agnes, con
una nuova sicurezza, va al di là dello spazio e
dell'ontologia, e - lasciamo parlare i fatti - si è conservato
nelle pagine di un libro.
Questo gesto si colloca a metà strada nel racconto di
Agnes. Quello che segue - sino alla fine della storia presume la nostra comprensione reciproca e la mia decisa
simpatia. Per esempio, io so bene perché Agnes si sente
così rinfrescata quella fatidica mattina sulla spiaggia: si è
appena separata per sempre dalla povera Rosalie Murray.
E, in precedenza, io comprendo davvero Agnes quando si
reca in chiesa per guardare «una forma e un viso» senza
nome, o quando confessa di prestare molta più attenzione
di prima al proprio modo di vestire, o quando rivela in tre
quartine piene di sentimento la follia del suo desiderio ma forse non c'è bisogno di raccontare tutta la storia.
Probabilmente questo saggio è già abbastanza lungo anche
senza ulteriori tradimenti delle confidenze di Agnes Grey.
Un'ultima osservazione. La progressiva fiducia di
Agnes Grey nell'esistenza di un unico lettore in tutto il
mondo che capisca davvero che cosa intende dire, coincide
ovviamente con la sua progressiva fiducia nell'unico uomo
al mondo che merita la sua stima e la sua progressiva
speranza che proprio lei potrà rivelarsi l'unica donna al
mondo di cui si fida quest'uomo degno di stima. In Agnes
Grey un unico desiderio sottinteso spinge avanti sia la vita
sia la storia: tra tutti, esisterà la persona giusta. Trovare
la persona giusta, essere la persona giusta, raccontare la
storia alla persona giusta, e che importanza ha il resto del
mondo? Lasciamo pure che il resto del mondo, dove le
parole sono tutto, continui a parlare.
Lasciamolo giudicare per se stesso. Quello che accade
tra Agnes Grey e Edward Weston è «troppo bello e sottile
per essere definito a parole» ma il giusto lettore lo ha
comunque compreso; è entrato a far parte di un chiuso e
silenzioso circolo formato da pochi eletti moralmente
degni, e non dirà più una parola.
Janet H. Freeman (Due parole su Agnes Grey, in
«Cahiers Victoriens et Edouardiens», 34, ottobre 1991,
pp. 109-26; trad. di Orsetta NOTE: (1) Per i pochi
commenti su Agnes Grey che fecero seguito all'uscita del
romanzo, cfr. The Brontës: The Critical Heritage, a cura di
Miriam Allot, Routledge & Kegan, London 1974.
(2) Terry Eagleton definisce Agnes Grey «sostenuta
dalle sue convinzioni morali pressoché assolute», che non
l'abbandonano mai.
Cfr. Terry Eagleton, Myths of power. A Marxist Study
of the Brontës, Macmillan Press, London 1975.
(3) Priscilla Costello ha sottolineato come le diverse
famiglie descritte in Agnes Grey forniscano un
«microcosmo della società vittoriana». Cfr. Priscilla
Costello, A New Reading of Anne Brontë's «Agnes Grey»,
in «Brontë Society Transactions», 19, 1987, pp. 113-18.
(4) La presenza della bambina a Ashby Hall va ad
aggiungersi a tre generazioni di donne di condizione
sociale elevata, ciascuna a suo modo una reclusa.
(5) Il confronto con Ashby Hall è condotto
minuziosamente, nei dettagli. Là, per esempio, la notte
sopraggiunge lentamente, qui invece siamo sul far del
giorno.
(6) Cfr. D.A. Miller, The Novel and the Police,
University of California Press, Berkeley 1988, p. 162.
(7) La Agnes Grey cui si fa qui riferimento potrebbe
avere la stessa funzione del narratore «distaccato» di cui
parla Robin R.
Warhol,
contrapponendolo
al
narratore
«accattivante»; cfr. Robin R.
Warhol, Toward a Theory of the Engaging Narrator:
Earnest Interventions in Gaskell, Stowe, and Eliot, in
«Publications of the Modern Language Association of
America», 101, (ottobre 1986), pp.
811-18.
(8) Il signor Weston viene descritto per la prima volta
da Agnes Grey come la negazione del signor Hatfield. E'
tutto quello che non è Hatfield. Dati i sermoni e il
comportamento di Hatfield, «mi rallegrava vedere che il
nuovo coadiutore, per quanto potevo capire, non gli
somigliava in nessuno di questi aspetti».
Innocenti
I. la canonica
In ogni storia vera è racchiusa una morale; in alcune
può essere difficile trovarla e, dopo averla trovata, è così
povera e piccola che non valeva la pena schiacciare il
guscio per quella noce rinsecchita. Non posso giudicare io
se sia o non sia questo il caso per la mia storia. A volte
penso che possa rivelarsi utile per alcuni e gradevole per
altri; ma sarà la gente a giudicare da sola: protetta dalla
mia oscurità, dal trascorrere degli anni e da alcuni nomi
inventati, inizio senza timori la mia avventura; e rivelerò
in tutta sincerità al pubblico quel che non confiderei
all'amica più cara.
Mio padre era un ecclesiastico dell'Inghilterra
settentrionale, rispettato, e a ragione, da chiunque lo
conoscesse; da giovane, aveva vissuto confortevolmente
del modesto beneficio della sua parrocchia a cui si univa la
rendita di una proprietà. Mia madre, che lo aveva sposato
contro il parere della famiglia, figlia di un gentiluomo di
campagna, era una donna coraggiosa. Inutilmente le
fecero notare che, se avesse sposato il povero parroco,
avrebbe dovuto rinunciare alla carrozza e alla cameriera
personale e al lusso e alla raffinatezza che la ricchezza
permette e che per lei erano poco meno che elementari
necessità della vita. Una carrozza e una cameriera
personale erano senza dubbio piacevoli; ma, grazie al
Cielo, lei aveva due piedi con cui camminare e due mani
per occuparsi di se stessa. Non era certo il caso di
disprezzare una casa elegante e terreni spaziosi; ma lei
preferiva vivere con Richard Grey in una casa di
campagna piuttosto che in un palazzo con qualsiasi altro
uomo al mondo.
Comprendendo che le parole erano inutili, suo padre
disse infine ai due innamorati che potevano sposarsi se
proprio lo volevano; ma, se lo avessero fatto, sua figlia
avrebbe perduto anche la più piccola parte della sua
ricchezza. Si aspettava che la notizia raffreddasse l'ardore
di entrambi; si ingannava. Mio padre sapeva troppo bene
quanto valesse mia madre per non comprendere che
costituiva da sola una preziosa ricchezza: purché
accettasse di nobilitare il suo umile focolare, lui era lieto di
sposarla a qualsiasi condizione; quanto a lei, preferiva
dover lavorare pur di non essere separata dall'uomo che
amava, di cui si sarebbe dedicata con gioia a costruire la
felicità e che già era unito a lei con il cuore e l'anima. La
sua dote andò dunque a ingrassare la borsa di una sorella
più saggia, che aveva sposato un uomo molto ricco;
mentre lei, amorevolmente compianta da tutti i suoi
stupefatti conoscenti, andò a seppellirsi nella modesta
canonica di un villaggio tra le colline di... Pure, nonostante
tutto, a dispetto della temerarietà di mia madre e delle
bizzarre idee di mio padre, credo che potreste cercare per
tutta l'Inghilterra senza trovare una coppia più felice.
Di sei figli, soltanto mia sorella Mary e io superammo i
pericoli della primissima e della prima infanzia. Più
giovane di cinque o sei anni, io ero sempre considerata la
bambina, la prediletta della famiglia; padre, madre,
sorella, tutti congiuravano per viziarmi: non mi resero
capricciosa e ribelle con una sciocca indulgenza, ma
inerme e dipendente dagli altri con la continua tenerezza,
inadatta a affrontare le tempeste della vita.
Mary e io crescemmo nel più assoluto isolamento. Mia
madre, che aveva un'ottima educazione, una buona
cultura e amava il lavoro, si occupò interamente della
nostra istruzione, con l'eccezione del latino che ci insegnò
nostro padre: di conseguenza non andammo neppure a
scuola; poiché non c'era vita di società nel vicinato, i nostri
unici rapporti col mondo erano rappresentati di quando in
quando da un cerimonioso tè in compagnia dei principali
agricoltori e commercianti del vicinato (giusto per non
venire accusate di essere troppo orgogliose per
frequentare i vicini), e da una visita annuale a casa del
nostro nonno paterno; dove vedevamo soltanto lui, la cara
nonna, una zia nubile e due o tre signore e signori anziani.
A volte la mamma ci divertiva raccontandoci storie e
aneddoti della sua giovinezza, che ci piacevano moltissimo
ma risvegliavano - quanto meno in me - il segreto
desiderio di conoscere un po' il mondo.
Pensavo che dovesse essere stata molto felice, ma non
sembrava rimpiangere mai il passato. Mio padre però, che
per natura non era né sereno né allegro, spesso si
tormentava inutilmente pensando ai sacrifici che la sua
cara moglie aveva fatto per lui; e si affannava a escogitare
continui progetti per accrescere la sua modesta fortuna, a
vantaggio suo e nostro. Mia madre lo rassicurava invano
ripetendogli di essere felice: purché lui mettesse da parte
qualcosa per noi ragazze, avremmo avuto tutto il
necessario in abbondanza per il presente e il futuro; ma il
risparmio non era il forte di mio padre. Non arrivava a
indebitarsi (se non altro, ci pensava mia madre a evitarlo),
ma, finché aveva danaro, lo spendeva; gli piaceva avere
una casa comoda e vedere la moglie e le figlie ben vestite e
ben servite; inoltre era una natura caritatevole e amava
aiutare i poveri per quanto poteva; o, avrebbe detto
qualcuno, più di quanto poteva.
Ma un giorno un amico cortese gli suggerì il mezzo di
raddoppiare la sua fortuna personale in un colpo solo, e di
aumentarla poi fino a somme incalcolabili. Era un
mercante, un uomo intraprendente e di indubbio talento,
che si trovava in difficoltà nelle sue imprese commerciali
per mancanza di capitale, ma era generosamente pronto a
dare a mio padre una buona percentuale dei suoi profitti,
se soltanto lui gli avesse affidato il danaro di cui poteva
disporre; era certo di potergli promettere che, qualsiasi
somma avesse deciso di dargli, gli avrebbe reso il cento
per cento. La piccola proprietà venne subito venduta e il
ricavato consegnato tutto all'amico mercante; che, con
altrettanta rapidità, caricò la nave e si preparò al viaggio.
Mio padre era entusiasta; lo eravamo tutti al pensiero
di quelle luminose prospettive. Per il momento, è vero,
dovevamo accontentarci dell'esiguo beneficio della
parrocchia; mio padre, tuttavia, sembrava convinto che
non dovessimo limitarci rigorosamente a quella; così, con
un conto aperto da Jackson, un altro da Smith e un terzo
da Hobson, tirammo avanti ancora meglio di prima;
sebbene mia madre sostenesse che avremmo fatto meglio
a restare entro certi limiti, poiché, dopo tutto, le nostre
prospettive di ricchezza erano incerte: se mio padre
avesse affidato l'intera amministrazione della casa a lei,
non si sarebbe mai trovato in ristrettezze; ma per una
volta mio padre fu incorreggibile.
Quante ore felici abbiamo trascorso, Mary e io,
lavorando accanto al camino o vagabondando sulle colline
rivestite d'erica o indugiando sotto il salice piangente
(l'unico albero del giardino degno di questo nome), a
parlare tra noi o con i nostri genitori della felicità futura, di
quello che avremmo fatto, e visto e avuto; senza alcun
fondamento per i nostri castelli in aria se non le ricchezze
che avrebbero dovuto inondarci grazie ai traffici di quel
degno mercante.
Nostro padre non era migliore di noi: soltanto fingeva
di non parlare sul serio, esprimendo le sue luminose
speranze e le sue ottimistiche attese con frasi scherzose e
burlesche che mi sembravano sempre molto spiritose e
divertenti. Nostra madre si rallegrava e rideva, felice della
sua gioia e del suo ottimismo; ma temeva che attribuisse
troppa importanza alla cosa; e una volta la sentii
sussurrare mentre lasciava la stanza: «Dio voglia che non
venga deluso! Non so come lo sopporterebbe.»
La delusione venne; e fu amara. Venne per tutti noi
come un colpo di tuono la notizia che la nave su cui
viaggiava la nostra fortuna aveva fatto naufragio e era
affondata con tutto il carico, e con molti uomini
dell'equipaggio, incluso lo sventurato mercante. Io soffrivo
per lui; soffrivo per il crollo di tutti i nostri castelli in aria;
ma con la forza di ripresa della gioventù superai presto il
colpo.
La ricchezza attraeva, ma la povertà non spaventava
una ragazza inesperta come me. Anzi, a voler dire la
verità, vedevo qualcosa di entusiasmante nell'idea di
trovarci in ristrettezze e di poter contare sulle sole nostre
risorse. Avrei soltanto voluto che papà, mamma e Mary la
pensassero come me; allora, invece di piangere sulle
passate sventure, avremmo potuto darci tutti gaiamente
da fare per porvi rimedio; quanto più grandi erano le
difficoltà, e dure le privazioni attuali, tanto più grande
avrebbe dovuto essere la gaiezza nel sopportare le
privazioni, la forza nel combattere contro le difficoltà.
Mary non si lamentava, ma non faceva che pensare
alla disgrazia e cadde in un abbattimento da cui nessun
mio tentativo seppe sollevarla. Non riuscivo in alcun modo
a farle vedere il lato positivo della cosa, come facevo io; al
contrario, temevo a tal punto di venire accusata di puerile
frivolezza o di stolida insensibilità che tenevo
accuratamente per me molte delle mie idee felici e dei
miei progetti confortanti, sapendo che non sarebbero stati
apprezzati.
Mia madre pensava soltanto a consolare mio padre, a
pagare i nostri debiti e a fare tutte le economie possibili;
ma lui era stato abbattuto in modo irrimediabile dalla
sventura: salute, forza, vitalità, tutto crollò sotto quel
colpo; non si riprese mai interamente. Mia madre cercava
invano di rasserenarlo, facendo appello alla sua devozione,
al suo coraggio, al suo affetto per lei e per noi. Proprio
quell'affetto era il suo maggior tormento: se aveva
desiderato così ardentemente accrescere la sua fortuna
era stato per noi, era stato l'affetto per noi a dare tanta
forza alle sue speranze, a caricare ora di tanta amarezza la
sua sventura. Si tormentava per il rimorso di non aver
ascoltato il consiglio di mia madre, che lo avrebbe quanto
meno salvato dall'ulteriore peso dei debiti; si
rimproverava
vanamente
di
averla
privata
dell'importanza sociale, degli agi, del lusso della sua
precedente condizione per portarla a faticare con lui nelle
preoccupazioni e la povertà. Gli rodeva l'anima vedere
quella donna splendida, istruita e elegante, un tempo
corteggiata e ammirata, trasformata in una energica e
attiva casalinga, le mani e la mente sempre prese da
faccende domestiche e domestica economia. Abilissimo nel
tormentare se stesso, trasformava in nuovi motivi di
sofferenza la spontaneità con cui lei compiva quei doveri,
la gaiezza con cui sopportava quei rovesci, la gentilezza
che le impediva di imputare a lui la più lieve colpa. La
mente corrodeva il corpo e provocava un disordine
nervoso, e i nervi a loro volta aggravavano i turbamenti
della mente: tra azione e reazione, la sua salute soffrì
seriamente; e nessuna di noi riusciva a convincerlo che la
realtà della situazione non era cupa, senza speranza, come
gliela raffigurava la sua immaginazione malata.
Il comodo phaeton venne venduto, insieme al grasso e
robusto pony che lo trainava - il nostro vecchio, caro pony
che avevamo deciso dovesse finire in pace i suoi giorni
senza passare mai in altre mani; la piccola rimessa e la
scuderia furono affittate; il servitore e la più efficiente
delle due cameriere (perché la più costosa) vennero
licenziati. Aggiustavamo, rivoltavamo, rammendavamo i
vestiti finché lo permetteva la decenza; il cibo, sempre
molto sobrio, venne ora semplificato in modo mai visto,
con l'eccezione dei piatti preferiti di mio padre; si facevano
penose economie su carbone e candele: due candele
ridotte a una, e quell'una usata il meno possibile; il
carbone risparmiato con la massima cura nel focolare
semivuoto, soprattutto quando nostro padre era fuori per
i suoi doveri di parroco o era a letto malato; allora
sedevamo con i piedi sul parafuoco, muovendo
regolarmente la brace che si spegneva e aggiungendo ogni
tanto un po' di polvere e cenere di carbone, giusto per
tenerla accesa. I tappeti si ridussero col tempo a mostrare
la trama, e vennero rammendati e riparati più dei nostri
vestiti. Per risparmiare la spesa di un giardiniere, Mary e
io ci impegnammo a tenere in ordine il giardino; e alla
cucina e ai lavori di casa che non riusciva a fare una sola
cameriera pensavano mia madre e mia sorella, con un
piccolo aiuto occasionale da parte mia: piccolo, perché,
sebbene io mi considerassi una donna, ero ancora una
bambina ai loro occhi; e mia madre, come molte donne
attive e energiche, non aveva figlie molto attive; questo
per una ragione precisa: essendo lei stessa così abile e
zelante, non era mai tentata di affidare il suo lavoro a
un'assistente, ma era al contrario pronta a pensare e agire
per gli altri oltre che per sé; e, di qualsiasi lavoro si
trattasse, era portata a pensare che nessuno sapesse farlo
come lei; di conseguenza, quando mi offrivo di aiutarla, mi
sentivo rispondere: «No, tesoro, non c'è ragione, non
avresti niente da fare qui. Vai a aiutare tua sorella, o
portala fuori con te: dille che non deve stare sempre
seduta e sempre in casa; lo credo bene che ha l'aria magra
e afflitta».
«Mary, la mamma dice che devo aiutarti; o portarti
fuori a passeggio con me: dice che per forza hai l'aria
magra e afflitta se te ne stai sempre in casa.»
«Tu non puoi aiutarmi, Agnes, e io non posso uscire
con te: ho troppo da fare.»
«Allora lascia che ti aiuti.»
«Non puoi, non puoi proprio, cara bambina. Vai a
esercitarti al piano, o gioca col gatto.»
C'era sempre molto cucito da fare; ma non mi avevano
insegnato a tagliare nessun tipo di vestito, e anche nel
cucito non andavo oltre semplici orli e cuciture: entrambe
asserivano che era più semplice fare loro il lavoro
piuttosto che prepararlo per me; e inoltre preferivano
vedermi continuare nei miei studi o svagarmi: avrei avuto
tutto il tempo di starmene curva sul lavoro come una
signora rispettabile quando il mio gattino preferito fosse
diventato un vecchio gattone saggio. Date le circostanze, la
mia oziosità non era priva di scuse, anche se non mi
rendevo molto più utile del gatto.
Per tutto il tempo delle nostre difficoltà economiche,
ho sentito una sola volta mia madre lamentarsi della
mancanza di danaro.
All'avvicinarsi dell'estate, ci disse: «Sarebbe una gran
bella cosa se vostro padre potesse passare qualche
settimana al mare. Sono certa che l'aria salmastra e il
cambiamento d'ambiente gli farebbero un gran bene. Ma
non c'è danaro» aggiunse con un sospiro.
Tutte e due ci augurammo con passione che la cosa
fosse possibile, lamentando vivamente che non lo fosse.
«Che volete» esclamò lei «non serve a niente
lamentarsi. Ma forse si potrebbe dopo tutto fare qualcosa
per rendere possibile il progetto. Mary, tu disegni molto
bene. Che ne diresti di fare qualche altro quadro nel tuo
stile migliore, di farli incorniciare con gli acquarelli che hai
già, e di cercare di venderli a un mercante d'arte che abbia
il buon senso di riconoscerne il merito?»
«Ne sarei felicissima, mamma, se davvero pensi che
siano vendibili, e per qualsiasi somma accettabile.»
«In ogni caso, vale la pena provare, cara; tu pensa a
fare i quadri, e io cercherò di trovare un compratore.»
«Vorrei poter fare qualcosa anch'io» esclamai.
«Tu, Agnes? E chi può dirlo? Anche tu disegni bene; se
scegli un soggetto semplice, credo proprio che riuscirai a
ottenere un risultato che saremo tutti fieri di esporre.»
«Ma io ho un'altra idea in testa, mamma, e ce l'ho da
molto... solo, preferivo non dirla.»
«Davvero? parlacene, per favore.»
«Mi piacerebbe fare l'istitutrice.»
Mia madre diede in un'esclamazione stupita e scoppiò
a ridere. Mia sorella, stupefatta, lasciò cadere il lavoro:
«Tu, Agnes, istitutrice! Ma che idea ti sei messa in
mente?».
«Non ci vedo niente di straordinario. Non pretendo di
saper insegnare a ragazze grandi; ma potrei certo
insegnare alle bambine... e mi piacerebbe molto... mi sono
tanto cari i bambini. Lasciamelo fare, mamma!»
«Ma, tesoro mio, non hai ancora imparato a badare a
te stessa; e per trattare con i bambini piccoli ci vuole più
giudizio e esperienza che per i grandi.»
«Mamma, ho compiuto diciotto anni, e sono
perfettamente in grado di badare a me stessa e anche agli
altri. Non puoi sapere quanto io possa essere saggia e
prudente, perché non sono mai stata messa alla prova.»
«Ma rifletti» intervenne Mary «che cosa faresti in una
casa piena di estranei, senza me o la mamma per
sostenerti... e dover badare non solo a te ma a una nidiata
di bambini, e nessuno a cui chiedere consiglio? Non
sapresti nemmeno come vestirti.»
«Credete, perché faccio sempre quello che mi dite, che
non sappia decidere da sola; mettetemi alla prova - non
chiedo altro - e vedrete che cosa so fare.»
In quel momento entrò mio padre, a cui venne
spiegato l'argomento della nostra discussione.
«La mia piccola Agnes istitutrice!» esclamò, e, triste e
abbattuto com'era, rise all'idea.
«Sì, papà, e non protestate anche voi contro la mia
idea; mi piacerebbe tanto; e sono certa che ci riuscirei
benissimo.»
«Ma non potremmo fare a meno di te, cara» e gli
tremò una lacrima negli occhi mentre aggiungeva: «No,
no! Siamo in una situazione triste, è vero, ma certo non
siamo a questo punto».
«No infatti» intervenne mia madre. «Non c'è nessuna
necessità di fare un passo simile; è soltanto un capriccio di
Agnes. Tieni la bocca chiusa, tu, bambina cattiva; sei
molto pronta a lasciarci, vedo, ma sai bene che noi non
possiamo separarci da te.»
Quel giorno lasciai che mi mettessero a tacere, e anche
nei giorni successivi; ma non abbandonai il mio amato
progetto. Mary prese il materiale da disegno e si mise
seriamente al lavoro. Anch'io presi il mio; ma mentre
disegnavo pensavo a altro.
Sarebbe stato bellissimo fare l'istitutrice. Vedere il
mondo; iniziare una nuova vita; agire liberamente;
esercitare facoltà inutilizzate; mettere alla prova una forza
sconosciuta; guadagnarmi da vivere e guadagnare
qualcosa per aiutare mio padre, mia madre e mia sorella,
oltre a liberarli dell'impegno di pensare al cibo e ai vestiti
per me; far vedere a papà che cosa sapeva fare la sua
piccola Agnes; convincere la mamma e Mary che non ero
una creatura inerme e spensierata come loro credevano. E
quanto sarebbe stato gradevole vedersi affidata la cura e
l'educazione dei bambini! Qualsiasi cosa dicessero gli altri,
mi sentivo perfettamente all'altezza del compito: il nitido
ricordo dei miei pensieri e sentimenti di quando ero
bambina mi avrebbe guidato meglio dei suggerimenti del
consigliere più saggio e maturo. Dovevo soltanto volgermi
dai miei piccoli allievi a quello che io ero alla loro età, e
subito avrei saputo come conquistare la loro fiducia e il
loro affetto; come risvegliare il pentimento di chi aveva
sbagliato; come dare forza ai timorosi e consolare gli
afflitti; come rendere possibile la virtù, desiderabile
l'istruzione, amabile e comprensibile la religione.
Compito ammirevole aiutare il fiore dell'idea a
sbocciare. (1)
Ammaestrare le giovani piante e vedere, di giorno in
giorno, schiudersi le gemme. Sotto la spinta di tanti
motivi, ero decisa a perseverare; ma il timore di
scontentare mia madre o addolorare mio padre mi impedì
per parecchi giorni di riprendere l'argomento.
Infine, tornai a parlarne con mia madre da sola a sola;
e a gran fatica riuscii a convincerla a promettermi il suo
aiuto. Venne poi ottenuto il consenso riluttante di mio
padre; quindi, sebbene Mary continuasse a sospirare in
segno di disapprovazione, la mia cara, buona mamma
cominciò a cercarmi un posto. Scrisse ai parenti di mio
padre e lesse gli annunci sui giornali: con i suoi parenti
aveva da tempo rotto ogni rapporto, se si esclude qualche
formale lettera d'occasione, e non si sarebbe mai rivolta a
loro per un caso come questo. Ma l'isolamento dei miei
genitori era stato così lungo e così completo, che
passarono parecchie settimane prima che si trovasse un
posto conveniente. Finalmente, con mia grande gioia, si
stabilì che mi occupassi dei bambini di una certa signora
Bloomfield, che la mia cara, rispettabilissima zia Grey
aveva conosciuto in gioventù e definiva una donna molto a
posto. Il marito era un commerciante in pensione che
aveva fatto una bella fortuna, ma non era disposto a
offrire più di venticinque sterline all'istitutrice dei figli. Io
però ero lieta di accettare pur di non rifiutare il posto,
come avrebbero invece preferito i miei genitori.
Passarono altre settimane per i preparativi, e come mi
sembrarono lunghe e noiose! Eppure, in complesso, furono
felici, piene di speranze e di ardenti attese. Aiutavo con un
piacere tutto particolare a cucire i miei nuovi vestiti,
quindi a preparare i bagagli. Ma vi era anche un po'
d'amarezza in quest'ultima occupazione; e quando fu
compiuta, quando tutto fu pronto per la mia partenza e si
avvicinò l'ultima notte a casa, nel mio cuore si gonfiò
un'angoscia improvvisa. I miei cari avevano l'aria così
triste e mi parlavano con tanta dolcezza, che frenavo a
stento le lacrime; ma continuavo a fingermi allegra. Avevo
fatto con Mary l'ultima passeggiata sulla landa, l'ultimo
giro nel giardino e intorno alla casa; avevo dato per
l'ultima volta il becchime, insieme a lei, ai nostri piccioni
domestici, le belle creature che avevamo abituato a
beccare il cibo dalle nostre mani. Avevo accarezzato per
un'ultima volta le loro piume di seta mentre mi si
radunavano in grembo. Avevo baciato teneramente i miei
preferiti, la coppia di candidi piccioni con la coda a
ventaglio; avevo suonato l'ultimo brano sul vecchio caro
pianoforte e cantato l'ultima canzone per papà. Non
proprio l'ultima, speravo, ma l'ultima per quello che mi
sembrava un periodo molto lungo. E forse, quando avrei
fatto nuovamente tutte quelle cose, le avrei fatte con
sentimenti diversi: le circostanze potevano essere mutate,
e la casa poteva non essere più la mia dimora.
Senza dubbio sarebbe stato diverso il mio caro amico,
il gattino: stava già diventando una bella gatta; e al mio
ritorno, anche per una breve visita a Natale, avrebbe
probabilmente dimenticato la sua compagna di giochi e le
sue allegre imprese. Con lei avevo davvero giocato per
l'ultima volta, e le accarezzai la morbida pelliccia lucente -
mentre la gatta si sistemava, facendo le fusa, per
dormirmi in grembo -, con un senso di tristezza che non
mi fu facile nascondere. Poi, all'ora di coricarci, quando mi
ritirai con Mary nella stanza tranquilla, dove già i miei
cassetti erano stati liberati e la parte riservata a me della
libreria era vuota - e dove ormai lei avrebbe dovuto
dormire sola, in una triste solitudine, come disse - il cuore
mi mancò. Mi sentii egoista, mi sentii in torto per averla
voluta lasciare a ogni costo; e quando ancora una volta mi
inginocchiai accanto al nostro letto, invocai la benedizione
su di lei e sui nostri genitori con un fervore senza
precedenti. Per celare la mia emozione, mi nascosi il viso
tra le mani, e presto le trovai bagnate di lacrime. Vidi,
alzandomi, che anche lei aveva pianto; ma nessuna di noi
parlò; e ci coricammo in silenzio, stringendoci più forte
l'una all'altra per la consapevolezza che ci saremo presto
separate.
Il mattino portò nuove speranze e nuovo coraggio.
Sarei partita presto; perché la carrozza che mi avrebbe
portato (un calessino preso a nolo da Smith, il merciaio,
droghiere e mercante di tè del villaggio) potesse tornare
in giornata. Mi alzai, mi lavai, mi vestii, consumai in fretta
la colazione, scambiai un tenero abbraccio con i miei
genitori e mia sorella, baciai il gatto, con grande scandalo
di Sally, la cameriera, le strinsi la mano, salii sul calessino,
mi tirai il velo sul viso, e allora, ma non prima di allora,
scoppiai a piangere.
Il calesse si avviò; mi guardai indietro; la cara mamma
e mia sorella erano ancora sulla porta, a guardarmi e a
salutarmi con la mano. Ricambiai il saluto e pregai con
tutto il cuore Dio perché le benedicesse. Scendemmo il
fianco della collina, e non le vidi più.
«Mattina fredda, signorina Agnes» osservò Smith. «E
buia pure; magari però arriviamo a destinazione prima
che si metta a piovere sul serio.»
«Sì, lo spero» risposi, cercando di restare calma.
«Ha fatto una bella bagnata ieri sera.»
«Sì.»
«Ma il vento freddo che tira magari la terrà buona.»
«Forse.»
Qui finì il nostro colloquio. Attraversammo la valle e
cominciammo a salire il versante opposto. Mi voltai
nuovamente a guardare: vidi il campanile, e alle sue spalle
la vecchia, grigia casa parrocchiale, immersa in un raggio
di sole obliquo, un raggio debole, malato, ma il villaggio e
le colline circostanti erano tutte al buio, e io salutai quel
raggio vagabondo come un segno di buon augurio per la
mia casa.
Giungendo le mani, invocai con fervore la benedizione
sui suoi abitanti, e mi affrettai a voltarmi di nuovo, perché
vedevo che il sole si allontanava; evitai accuratamente di
lanciare un altro sguardo, per non vederla immersa
nell'ombra cupa, come tutto il paesaggio.
NOTE: (1) La citazione, incompleta, è dalle Stagioni
(1726-1730) di James Thomson («La primavera», vv.
1152-53): «Compito ammirevole! educare la mente in
germoglio,@ aiutare il fiore dell'idea a sbocciare@».
(Ndt)
II. Prime lezioni nell'arte di insegnare
Durante il viaggio, ritrovai l'entusiasmo e guardai con
gioia alla nuova vita in cui stavo per entrare. Ma, sebbene
non fosse passata di molto la metà di settembre, le nuvole
pesanti e il forte vento di nordest rendevano la giornata
fredda e malinconica; e il viaggio sembrava lunghissimo,
perché, come osservò Smith, le strade erano «pesanti di
fango»; e senza dubbio era pesante anche il suo cavallo; si
trascinava su per le colline, e le scendeva strisciando
prudentemente, degnandosi di scuotere i fianchi in un
modesto trotto soltanto quando la strada era in perfetta
pianura o appena dolcemente inclinata, il che accadeva
raramente in quelle zone aspre: arrivammo a destinazione
che era quasi l'una. Pure, quando varcammo il maestoso
cancello di ferro, quando percorremmo agevolmente il
viale carrozzabile, piano e ben tenuto, fiancheggiato da
prati disseminati di giovani alberi, quando ci avvicinammo
alla dimora di Wellwood, nuova ma imponente, che si
innalzava dai boschi di nuovi pioppi cresciuti in fretta
come funghi, mi sentii mancare il cuore, e mi augurai che
fosse lontana ancora qualche chilometro. Per la prima
volta in vita mia dovevo cavarmela da sola: non era
possibile tirarsi indietro ora. Dovevo entrare in casa, e
presentarmi ai suoi sconosciuti abitanti. Ma come dovevo
farlo? E' vero che avevo quasi diciannove anni; ma, grazie
alla esistenza ritirata che avevo condotto e alle cure
protettive di mia madre e mia sorella, ero consapevole che
molte ragazze di quindici anni, o anche più giovani,
avevano più garbo e maturità nei modi, erano più a loro
agio e più disinvolte di me. Tuttavia, se la signora
Bloomfield fosse stata una donna dolce e materna, le cose
potevano ancora andare bene; con i bambini, certo, mi
sarei trovata subito a mio agio, e con il signor Bloomfield
speravo di dover avere ben pochi rapporti.
"Stai calma" mi dissi "stai calma in qualsiasi
circostanza"; e seguii così alla lettera la mia decisione, e
ero così impegnata a calmarmi i nervi e a placare il battito
nervoso del cuore, che quando venni introdotta nell'atrio e
condotta alla presenza della signora Bloomfield, quasi
dimenticai di rispondere al suo garbato saluto; in seguito
mi sono resa conto che il poco che avevo detto lo avevo
pronunciato con una voce agonizzante o addormentata.
D'altra parte la signora aveva modi raggelanti, come
compresi quando ebbi il tempo di riflettere. Era una bella
donna alta, magra, con i capelli neri, freddi occhi grigi e
una carnagione molto pallida.
Mi mostrò tuttavia la mia stanza con impeccabile
cortesia e mi lasciò sola a togliermi gli abiti da viaggio,
chiedendomi di scendere poi a prendere qualcosa. Mi
sgomentò vedermi allo specchio: il vento freddo mi aveva
gonfiato e arrossato le mani, arruffato i capelli, mi aveva
dato un colorito violaceo; come non bastasse, il colletto era
terribilmente spiegazzato, il vestito inzaccherato di fango,
i piedi calzati di robuste scarpe nuove, e non c'era niente
da fare perché non avevano portato su il mio bagaglio; mi
pettinai come potevo, cercai di stendere l'ostinatissimo
colletto, cominciai a scendere pesantemente le scale
confortandomi con pensieri filosofici, e trovai, sia pure a
fatica, la stanza in cui mi attendeva la signora Bloomfield.
Mi condusse nella sala da pranzo dove era stato
apparecchiato per la famiglia. Mi servirono bistecche e
patate mezze fredde; e mentre pranzavo lei mi sedeva di
fronte osservandomi (o così mi parve) e cercando di fare
un po' di conversazione: un susseguirsi di osservazioni
banali pronunciate con rigida cortesia; ma la colpa era
probabilmente più mia che sua, perché davvero non mi
riusciva possibile conversare. Tutta la mia attenzione era
concentrata sul pranzo: non per un divorante appetito, ma
perché le bistecche erano molto dure e io avevo le mani
intorpidite, quasi paralizzate dopo cinque ore al vento
gelido. Avrei preferito mangiare le patate e lasciare la
carne, ma avendone sul piatto una bella fetta, non potevo
essere tanto scortese da lasciarla; dopo molti goffi e vani
tentativi di tagliarla con il coltello o di lacerarla con la
forchetta o di squartarla con l'aiuto di entrambi, sentendo
sempre su di me lo sguardo della temibile signora, finii per
afferrare disperatamente nei pugni coltello e forchetta,
come una bambina di due anni, e mi misi al lavoro con
tutta la mia forza. Ma era necessario che mi scusassi per
questo; con una debole risatina dissi: «Ho le mani così
intorpidite dal freddo che non riesco a tenere la forchetta
e il coltello».
«Immagino che ormai sarà fredda» rispose, con una
gelida, immutabile solennità che non valse certo a
rassicurarmi.
Conclusa la cerimonia, mi condusse di nuovo nel
soggiorno e suonò per chiamare i bambini.
«Non li troverete molto avanti negli studi» disse
«perché ho avuto ben poco tempo di occuparmi io della
loro educazione, e fino a questo momento abbiamo
pensato fossero troppo giovani per avere un'istitutrice;
ma credo siano bambini intelligenti, in grado di imparare,
soprattutto il maschietto: è a mio avviso il migliore del
piccolo gregge, un ragazzo generoso, nobile, che deve
essere guidato, ma non subire imposizioni, e che dice
sempre la verità. Rifugge dall'inganno» ecco una buona
notizia. «Sua sorella Mary Ann ha bisogno di essere
sorvegliata, ma in complesso è un'ottima bambina;
soltanto vorrei fosse tenuta quanto più possibile lontana
dalla nursery perché ha ormai sei anni e potrebbe
prendere cattive abitudini dalle bambinaie. Ho fatto
mettere il suo lettino nella vostra stanza, e se non vi
dispiace sorvegliarla mentre si lava e si veste e occuparvi
dei suoi vestiti, non avrà più alcun bisogno della cameriera
della nursery.»
Risposi che ero pronta a farlo; e in quel momento
entrarono i miei giovani allievi, con le due sorelline più
piccole. Il signorino Tom Bloomfield era un ragazzetto alto
di sette anni, snello, con i capelli chiarissimi, gli occhi
azzurri, il nasetto all'insù e la carnagione chiara. Anche
Mary Ann era alta, scura come la madre, ma con un
visetto rotondo e le guance colorite. La seconda sorella,
Fanny, era molto graziosa; la signora Bloomfield mi
assicurò che era una bambina dolcissima che aveva
bisogno di essere incoraggiata: non aveva ancora imparato
nulla, ma tra pochi giorni avrebbe compiuto quattro anni e
allora avrebbe potuto cominciare a imparare a leggere e
venir promossa alla sala da studio. L'ultima era Harriet,
una cosina grassoccia, allegra, giocherellona di neanche
due anni, che avrei preferito a tutti gli altri - ma che non
era in alcun modo affidata alle mie cure.
Parlai come meglio sapevo ai miei piccoli allievi e cercai
di rendermi simpatica; con poco successo, temo, perché la
presenza della madre mi metteva a disagio. Loro al
contrario erano privi di qualsiasi timidezza. Sembravano
bambini vivaci, spavaldi, e mi augurai di stabilire presto
rapporti amichevoli con loro, soprattutto con il maschietto
di cui la madre aveva tracciato un ritratto così lusinghiero.
Mary Ann aveva qualcosa di lezioso e un'ansia di farsi
notare che osservai con dispiacere. Ma il fratello esigeva
tutta la mia attenzione; se ne stava ben dritto tra me e il
fuoco, con le mani dietro la schiena, parlando come un
conferenziere, interrompendosi ogni tanto per rivolgere
un secco rimprovero alle sorelle quando facevano troppo
chiasso.
«O Tom, che tesoro sei!» esclamò la madre. «Vieni a
dare un bacio alla mamma; e poi non vuoi mostrare alla
signorina Grey la tua aula e i tuoi bei libri nuovi?»
«Non voglio darti un bacio, mamma; ma la mia aula e i
miei libri nuovi alla signorina Grey glieli faccio vedere.»
«E la mia aula e i miei libri nuovi, Tom» intervenne
Mary Ann.
«Sono anche miei.»
«Sono miei» rispose decisamente lui. «Venite,
signorina Grey, vi faccio da guida.»
Dopo che mi furono mostrati l'aula e i libri, con qualche
battibecco tra fratello e sorella che feci del mio meglio per
calmare o attenuare, Mary Ann mi portò la sua bambola e
diventò molto loquace parlando dei suoi bei vestitini, del
suo lettino, del suo cassettone e dei suoi altri
possedimenti; ma Tom le disse di chiudere il becco per
permettere alla signorina Grey di vedere il suo cavallo a
dondolo che, dandosi molta importanza, trascinò da un
angolo al centro della stanza chiedendomi a gran voce di
guardarlo bene. Poi, ordinando alla sorella di tenergli le
redini, ci montò sopra e mi costrinse a stare in piedi dieci
minuti per osservare con quanta virile abilità usava la
frusta e gli speroni. Nel frattempo però ammiravo la bella
bambola di Mary Ann con tutti i suoi accessori; poi dissi a
Tom che era uno splendido cavallerizzo ma speravo che
non avrebbe usato tanto la frusta e gli speroni quando
avesse cavalcato un vero pony.
«Oh, sì che lo farò!» ribatté continuando con rinnovato
ardore. «Ci darò dentro con tutte le forze. Parola mia, lo
farò sudare.»
Rimasi scandalizzata; speravo però col tempo di
riuscire a cambiarlo.
«Adesso dovete mettervi il cappello e lo scialle» disse il
piccolo eroe «e vi mostrerò il mio giardino.»
«Anche il mio» disse Mary Ann.
Tom alzò il pugno in un gesto minaccioso; lei lanciò un
grido stridulo, corse a ripararsi da me e gli fece le smorfie.
«Sono certa, Tom, che non colpiresti mai tua sorella!
Mi auguro di non vederti mai fare una cosa simile.»
«Ogni tanto vi capiterà: devo farlo qualche volta, per
tenerla in riga.»
«Ma non tocca a te tenerla in riga, lo sai bene, tocca
a...»
«Va bene, adesso mettetevi il cappello.»
«Non saprei: è una giornata così fredda e nuvolosa, e
minaccia pioggia... e io ho fatto un lungo viaggio, lo sai.»
«Non importa, dovete venire. Non accetto scuse»
rispose quell'inflessibile giovane gentiluomo. E poiché era
il primo giorno che ci conoscevamo, pensai che tanto
valeva accontentarlo. Faceva troppo freddo perché Mary
Ann uscisse, e lei rimase con la mamma; con grande
sollievo del fratello, che preferiva avermi tutta per sé.
Il giardino era grande e armonioso; oltre a splendide
dalie, c'erano altri bei fiori ancora freschi; ma il mio
compagno non mi diede il tempo di ammirarli: dovevo
andare con lui, percorrendo l'erba bagnata, in un angolo
remoto e isolato, il punto più importante della proprietà,
perché là c'era il suo giardino. Due aiuole rotonde, piantate
con piante diverse. In una c'era una bella rosa e mi fermai
per ammirarne i fiori.
«Oh, non dovete badare a quello!» esclamò lui con aria
sprezzante. «E' soltanto il giardino di Mary Ann; guardate,
questo è il mio.»
Soltanto dopo aver osservato ogni fiore e ascoltato la
lunga descrizione di ogni pianta, potei infine allontanarmi;
ma prima, con gran pompa, colse un polianto e me lo offrì,
come chi mi facesse un favore straordinario. Sull'erba,
vicino al suo giardino, vidi certi aggeggi di corde e
bastoncini e chiesi che cosa fossero.
«Trappole per uccelli.»
«Perché li prendi?»
«Papà dice che fanno danni.»
«E che cosa ne fai dopo averli presi?»
«Dipende. Qualche volta li do al gatto; qualche volta li
taglio a pezzetti col temperino; ma il prossimo che prendo
voglio arrostirlo vivo.»
«E perché vuoi fare una cosa così orribile?»
«Per due ragioni; primo, per vedere fino a quanto
rimane vivo, e poi per vedere che sapore ha.»
«Ma dovresti saperlo che è male, è molto crudele fare
cose del genere. Ricorda che gli uccelli sentono la
sofferenza come te; e pensa se a te piacerebbe.»
«Oh, non ha importanza! Io non sono un uccello, e non
sento quello che faccio a loro.»
«Ma una volta o l'altra lo sentirai, Tom; certo ti hanno
detto dove vanno i cattivi quando muoiono; e se non la
smetti di torturare uccellini innocenti, ricorda che ci
andrai anche tu e soffrirai proprio quello che hai fatto
soffrire a loro.»
«Oh, sciocchezze, non ci andrò! Papà sa come tratto gli
uccelli e non mi rimprovera mai: dice che è proprio quello
che faceva lui quando era bambino. L'estate scorsa mi ha
dato un nido pieno di passerotti, e mi ha visto strappargli
le ali e le zampe e le teste e non mi ha detto niente;
soltanto che erano sudici e dovevo stare attento a non
sporcarmi i pantaloni; e c'era anche lo zio Robson, che ha
riso e ha detto che ero un bravo ragazzo.»
«Ma che cosa direbbe tua mamma?»
«Oh, a lei non importa! dice che è un peccato uccidere i
graziosi uccellini che cantano, ma con i brutti passeri e i
topi e i ratti posso fare quello che mi pare. Quindi, lo
vedete anche voi, signorina Grey, che non è una cosa
crudele.»
«Continuo a pensare che lo sia, Tom; e forse tuo padre
e tua madre lo penserebbero anche loro, se ci
riflettessero.» "Tuttavia" aggiunsi tra me "dicano pure
quello che vogliono, sono decisa a non lasciarti fare niente
del genere, finché posso impedirlo."
Poi mi portò sui prati a vedere le trappole per le talpe,
quindi nella corte della fattoria a vedere le trappole per le
donnole, e una di queste, con sua grande gioia,
racchiudeva una donnola morta; infine nella scuderia, a
vedere non i bei cavalli da traino, ma un puledrino ancora
brado che era stato allevato, mi disse, proprio per lui, e
che avrebbe cavalcato appena fosse stato addestrato a
dovere.
Cercavo di divertire il bambino, e ascoltavo tutte le
sue chiacchiere con la maggiore indulgenza possibile;
poiché ero decisa, se vi era in lui capacità di affetto, a
cercare di conquistarmelo; poi, con il tempo, avrei potuto
fargli comprendere i suoi errori; ma cercai invano quello
spirito nobile e generoso di cui parlava la madre, pur
rendendomi conto che aveva una certa intelligenza e uno
spirito penetrante, quando voleva.
Rientrammo in casa che era quasi l'ora del tè. Il
signorino Tom mi disse che, essendo il padre assente, lui,
io e Mary Ann avremmo avuto la gioia di prendere il tè
con la mamma; perché, quando il padre era assente, la
mamma mangiava sempre con loro a merenda invece di
pranzare alle sei. Subito dopo aver preso il tè, Mary Ann
andò a letto, ma Tom ci onorò della sua compagnia e della
sua conversazione fino alle otto. Poi, la signora Bloomfield
mi illuminò ulteriormente sul carattere e le capacità dei
suoi figli, su quello che dovevano imparare, su come
bisognava trattarli, e mi ammonì a parlare soltanto con lei
dei loro difetti. Mia madre mi aveva avvertito di parlarne
il meno possibile proprio con lei, perché alla gente non
piace sentir parlare dei difetti dei propri figli: conclusi che
non dovevo parlarne affatto. Verso le nove e mezzo la
signora Bloomfield mi invitò a dividere con lei una cena
frugale di carne fredda e pane. Mi sentii sollevata quando
finimmo di mangiare e lei prese il candeliere della camera
da letto e si ritirò per riposare. Sebbene desiderassi infatti
trovarla simpatica, la sua compagnia mi infastidiva; e non
riuscivo a non sentire che era fredda, solenne e scostante:
proprio l'opposto della dolce, affettuosa signora che la mia
speranza aveva immaginato.
III. Qualche altra lezione
Il mattino successivo mi sentivo entusiasta e piena di
speranza a dispetto delle delusioni già subite; ma scoprii
che vestire Mary Ann non era cosa da poco, perché i suoi
folti capelli dovevano essere impomatati, divisi in tre
lunghe trecce e legati con fiocchi: compito che, non
essendovi abituata, trovai molto difficile. Lei mi disse che
la sua bambinaia lo faceva in metà tempo e, agitandosi
continuamente per l'impazienza, mi rese ancora più lenta.
Finita la pettinatura, andammo nell'aula, dove trovai
l'altro mio allievo e chiacchierai con entrambi in attesa di
scendere per la prima colazione. Conclusa anche la
colazione e scambiate poche cortesi parole con la signora
Bloomfield, tornammo nell'aula e cominciammo il lavoro
della giornata. I miei allievi erano davvero molto indietro;
ma Tom, sebbene contrario a qualsiasi forma di fatica
mentale, non era privo di capacità. Mary Ann non sapeva
quasi leggere, e era così distratta e disattenta che non
riuscivo a concludere molto con lei. Ma con grande fatica e
pazienza giunsi a farle fare qualcosa nel corso della
mattina, poi accompagnai i miei giovani allievi in giardino
e nei terreni vicini per una piccola ricreazione prima di
pranzo. E là le cose andarono meglio, non fosse stato che
loro non pensavano certo di passeggiare con me: ero io
che dovevo andare con loro, dovunque volessero
condurmi. Dovevo correre, camminare o restare ferma
secondo i loro desideri. Mi sembrava un capovolgere
l'ordine delle cose; e lo trovavo doppiamente sgradevole,
perché in questa, come nelle occasioni successive,
sembrava preferissero i posti più sporchi e le occupazioni
più sgradevoli. Ma non c'era niente da fare; o dovevo
seguirli o restare separata da loro, sembrando di
conseguenza trascurata nei miei doveri. Quel giorno
avevano una passione particolare per uno stagno in fondo
al prato, dove giocarono con bastoncini e sassi per più di
mezz'ora. Temevo che la madre li vedesse dalla finestra e
mi rimproverasse di lasciargli sciupare i vestiti e bagnarsi
le mani e i piedi invece di fargli fare esercizio; ma non
c'erano ragionamenti, ordini o preghiere che riuscissero a
strapparli di là. Se la madre non li vide, li vide qualcun
altro: un uomo a cavallo aveva varcato il cancello e stava
risalendo il viale; si fermò a pochi passi da noi e
chiamando i bambini con una voce acuta e dispettosa
ordinò di «tenersi lontani da quello stagno».
«Signorina Grey» aggiunse «(immagino siate la
signorina Grey), mi stupisce che gli permettiate di
sporcarsi così i vestiti. Non vedete come si è macchiata il
vestito la signorina Bloomfield? e che le calze del signorino
Bloomfield sono fradice? e nessuno dei due ha i guanti!
Che guaio, che guaio! Permettetemi di chiedervi, in futuro,
di tenerli almeno in una condizione decente.» Poi, dopo
aver parlato, si volse e continuò a cavalcare verso casa.
Era il signor Bloomfield.
Mi sembrò strano che chiamasse i figli «signorina» e
«signorino», e ancor più strano che parlasse tanto
scortesemente a me, che ero la loro istitutrice, e una
perfetta sconosciuta per lui. Poco dopo suonò il
campanello che ci chiamava a pranzo. Io pranzai all'una
con i bambini, mentre lui e la signora Bloomfield
consumavano la seconda colazione alla stessa tavola. La
sua condotta non contribuì a innalzarlo nella mia stima.
Era un uomo di statura normale piuttosto al disotto che al
disopra della media, esile più che robusto, fra i trenta e i
quarant'anni; aveva la bocca grande, un colorito pallido e
spento, occhi di un azzurro slavato e capelli del colore della
canapa. Aveva davanti un cosciotto di montone arrosto:
servì la signora Bloomfield, i bambini e me, chiedendomi
di tagliare la carne per i bambini; poi, dopo aver girato e
rigirato il montone nel piatto e averlo guardato da
angolature diverse, dichiarò che era immangiabile e chiese
il manzo freddo.
«Cosa c'è che non va nel montone, caro?» volle sapere
la moglie.
«E' troppo cotto. Non sentite, signora Bloomfield, che
così ha perso tutto il gusto? E non vedete che tutto quel
bel sugo rosso si è asciugato?»
«Bene, credo che il manzo vi piacerà.»
Gli servirono il manzo, e lui cominciò a tagliarlo, ma
con un'espressione di luttuosa scontentezza.
«Cosa c'è che non va nel manzo, signor Bloomfield? Mi
sembrava fosse molto buono.»
«E infatti lo era, era molto buono. Non avevo mai visto
un pezzo più bello; ma è rovinato» rispose mestamente.
«E come?»
«Come! Non vedete come è stato tagliato? Che guaio,
che guaio! E' una vergogna.»
«Devono averlo tagliato male in cucina, perché io l'ho
tagliato proprio a puntino ieri.»
«Ma certo che lo hanno tagliato male in cucina:
selvaggi! Che guaio, che guaio! Si è mai visto un così bel
pezzo di manzo completamente rovinato? Ricordate che in
futuro, quando un piatto discreto lascia questa tavola, non
devono toccarlo in cucina.
Ricordatelo, signora Bloomfield!»
Per quanto catastrofico fosse lo stato del manzo, il
signor Bloomfield riuscì a tagliarsene qualche bella fetta
che cominciò a mangiare in silenzio. Quando ruppe il
silenzio, la sua voce era meno querula mentre chiedeva
che cosa ci fosse per pranzo.
«Tacchino e gallo cedrone» fu la breve risposta.
«E che altro?»
«Pesce.»
«Che qualità di pesce?»
«Non lo so.»
«Non lo sapete?» ripeté lui, alzando uno sguardo
solenne dal piatto e tenendo la forchetta e il coltello a
mezz'aria per lo stupore.
«No. Ho detto al cuoco di comprare del pesce, senza
specificare quale.»
«Questo poi è il colmo! Una signora pretende di
dirigere la casa e non sa nemmeno che pesce c'è per
pranzo! pretende di ordinare del pesce e non specifica
quale!»
«Forse, signor Bloomfield, vorrete ordinare voi stesso
il pranzo in futuro.»
Non dissero altro; e mi fece molto piacere lasciare la
stanza con i miei allievi, poiché non mi ero mai vergognata
tanto in vita mia, né mi ero sentita tanto a disagio per
qualcosa di cui non avevo colpa.
Nel pomeriggio riprendemmo le lezioni; poi uscimmo
di nuovo; poi prendemmo il tè nell'aula; poi vestii Mary
Ann per il dolce; e quando lei e il fratello scesero in sala da
pranzo ne approfittai per cominciare una lettera a casa;
ma i bambini tornarono prima che l'avessi finita.
Alle sette misi a letto Mary Ann; poi giocai con Tom
fino alle otto, quando anche lui andò a letto; allora finii la
lettera e tirai fuori i vestiti, cosa che non avevo ancora
avuto il tempo di fare, e infine andai a letto anch'io.
Ma questa è la descrizione di una giornata
particolarmente felice.
Istruire e sorvegliare i miei allievi non divenne più
facile quanto più ci abituavamo gli uni agli altri: divenne
più arduo con il progressivo rivelarsi dei loro caratteri. Il
termine «istitutrice» riferito a me era una beffa: i miei
allievi erano abituati all'obbedienza meno di un puledro
selvaggio. La paura del carattere stizzoso del padre e il
timore dei castighi che infliggeva quando andava in
collera, li teneva a freno se lui era nelle immediate
vicinanze. Le ragazze avevano un certo timore anche della
collera della madre; e Tom si lasciava qualche volta
indurre a fare quello che lei voleva dalla speranza di un
premio; ma io non avevo premi da offrire; e quanto ai
castighi, mi fecero capire che i genitori se ne riservavano il
privilegio; tuttavia, si aspettavano che tenessi a freno i
miei allievi. Altri bambini potevano forse essere guidati
dal timore della collera e dal desiderio dell'approvazione;
ma su di loro non avevano alcun effetto.
Al signorino Tom non bastava rifiutarsi di obbedire:
doveva imporre agli altri l'obbedienza e si dimostrava
risoluto a mettere in riga non soltanto le sorelle, ma anche
la sua istitutrice, usando con violenza le mani e i piedi; e
poiché era un ragazzo alto e forte per la sua età, la cosa
presentava parecchi inconvenienti. Un paio di schiaffi ben
dati, in occasioni simili, avrebbero potuto sistemare
facilmente le cose; ma lui avrebbe certamente raccontato
qualche bugia alla madre, che gli avrebbe creduto, avendo
una così incrollabile fiducia nella sua sincerità - sebbene io
avessi già scoperto che non era per nulla impeccabile;
decisi così di non picchiarlo, neppure per difendermi; e nei
momenti in cui era particolarmente violento, non potevo
far altro che gettarlo supino e tenergli fermi i piedi e le
mani finché non si calmava un poco.
Alla difficoltà di impedirgli di fare quel che non doveva
si aggiungeva quella di costringerlo a fare quel che
doveva. Spesso rifiutava decisamente di imparare, o di
ripetere le lezioni o soltanto di leggere il libro. Anche in
questo caso una bella bacchettata sarebbe stata utile; ma,
avendo poteri molto limitati, dovevo servirmi nel modo
migliore di quelli che avevo. Non c'erano ore fisse per lo
studio e per il gioco: decisi dunque di assegnare ai miei
allievi compiti che, con un po' di attenzione, potevano fare
in breve tempo; fino a quando non erano stati portati a
termine, per quanto io potessi essere stanca e loro cattivi,
soltanto un diretto intervento dei genitori mi induceva a
lasciarli uscire dall'aula; anche se ero costretta a
appoggiare la sedia dove sedevo contro la porta per
impedirlo. Pazienza, fermezza e perseveranza erano le
mie sole armi, e decisi di usarle al massimo.
Ero risoluta a mantenere sempre le minacce e le
promesse che facevo: dovevo dunque badare a non
minacciare o promettere nulla che non potessi mantenere.
Avrei tenuto a freno ogni mio inutile nervosismo e
malumore: quando si comportavano in modo accettabile,
sarei stata dolce e gentile quanto potevo, per stabilire la
più chiara distinzione possibile tra una buona e una cattiva
condotta; avrei poi ragionato con loro nel modo più
semplice e efficace. Quando li rimproveravo, o rifiutavo di
accontentarli dopo una colpa più grave, lo avrei fatto con
tristezza piuttosto che andando in collera; avrei scelto gli
inni e le preghiere per loro in modo che fossero semplici e
comprensibili; e quando avessero detto le preghiere la
sera e chiesto perdono delle colpe commesse, avrei
ricordato le mancanze della giornata, con gravità ma con
molta dolcezza, per evitare di suscitare ribellione; chi era
stato cattivo avrebbe dovuto dire inni penitenziali; chi era
stato relativamente buono inni gioiosi; e avrei impartito
qualsiasi nozione, per quanto possibile, in modo divertente
e piacevole, con l'aria di pensare soltanto al loro
immediato divertimento.
Speravo così, con il tempo, di giovare ai bambini, di
ottenere l'approvazione dei genitori; e di convincere i miei
cari a casa che non mancavo di abilità e prudenza come
loro credevano. Sapevo di dover affrontare difficoltà molto
grandi; ma sapevo (o quanto meno credevo) che una
incrollabile pazienza e perseveranza potessero superarle;
al mattino e alla sera imploravo per questo l'aiuto divino.
Ma o i bambini erano incorreggibili o i genitori
irragionevoli o io mi ingannavo nelle mie idee o non
sapevo realizzarle: perché le mie migliori intenzioni e i più
strenui sforzi non avevano altro risultato se non quello di
far ridere i bambini, scontentare i genitori e tormentare
me.
L'istruzione era un compito arduo per il corpo come
per la mente.
Dovevo inseguire i miei allievi per prenderli, per
portarli o trascinarli al tavolino, e non di rado ero
costretta a tenerceli con la forza fino alla fine della lezione.
Tom lo mettevo spesso in un angolo, sedendomi davanti a
lui su una sedia e tenendo in mano il libro con la semplice
lezione che doveva ripetere o leggere prima di venir
liberato. Non era tanto forte da spingere via me con tutta
la sedia, e se ne stava là in piedi torcendosi tutto e facendo
le smorfie più grottesche - buffe, senza dubbio, per uno
spettatore neutrale, ma non per me - e lanciando alte
grida e tristi lamenti, che dovevano simulare il pianto, ma
senza lacrime. Sapevo che lo faceva soltanto per
indispettirmi; di conseguenza, pur tremando dentro di me
di impazienza e dispetto, mi sforzavo coraggiosamente di
frenare ogni manifestazione di collera e fingevo di
rimanere calma e indifferente, aspettando che si degnasse
di finirla con quel passatempo e si preparasse a fare una
corsa in giardino, dando un'occhiata al libro e leggendo o
ripetendo le poche parole che doveva dire.
A volte decideva di scrivere male, e dovevo tenergli la
mano per impedirgli di macchiare o sciupare
deliberatamente il foglio. Spesso minacciavo di dargli
un'altra riga da scrivere se non avesse scritto meglio:
allora rifiutava ostinatamente di scrivere anche quella; e
io, per tenere fede alla mia minaccia, dovevo infine
stringergli le dita sulla penna e muovergli di forza la mano
finché, a dispetto della sua resistenza, la riga fosse in
qualche modo completata.
Eppure Tom non era il più difficile dei miei allievi;
qualche volta, con mia grande gioia, aveva il buon senso di
capire che la politica migliore per lui era finire i compiti e
andare in giardino a giocare fino a che lo raggiungessimo io
e le sorelle; il che spesso non accadeva mai, perché Mary
Ann seguiva raramente in questo il suo esempio.
Sembrava che il suo passatempo preferito fosse quello di
rotolarsi sul pavimento. Si lasciava cadere come un peso
morto; e quando, con gran difficoltà, riuscivo a sradicarla
dal pavimento, era necessario continuare a sorreggerla
con un braccio, mentre con l'altro tenevo il libro da cui
doveva leggere o sillabare la lezione.
Quando il peso morto di quella robusta bambina di sei
anni diventava eccessivo per un braccio, la trasferivo
all'altro; se tutte e due le braccia erano stanche del peso,
la portavo in un angolo e le dicevo che ne sarebbe uscita
quando avesse ritrovato l'uso dei piedi e si fosse messa
dritta; ma in genere lei preferiva starsene sdraiata là,
immobile come un pezzo di legno, fino all'ora di pranzo o
del tè, quando, non potendo privarla del pasto, dovevo
liberarla, e lei si trascinava fuori con un sorrisetto di
trionfo sulla faccia rotonda e colorita.
Spesso rifiutava ostinatamente di pronunciare una
determinata parola durante una lezione; e ora rimpiango
le fatiche perdute a cercare di vincere la sua ostinazione.
Se avessi ignorato la cosa, come fosse di nessuna
importanza, invece di affannarmi invano a combatterla,
sarebbe stato meglio per me e per lei; ma consideravo un
dovere imprescindibile soffocare sul nascere quella cattiva
tendenza; e lo sarebbe stato, se ci fossi riuscita; se i miei
poteri fossero stati meno limitati, avrei forse potuto
imporle l'obbedienza; ma, stando le cose come stavano,
era una continua gara di forza tra lei e me, che di consueto
era lei a vincere; e ogni vittoria la incoraggiava e
rafforzava per una lotta futura.
Inutilmente
ragionavo,
lusingavo,
pregavo,
minacciavo, rimproveravo; inutilmente la tenevo in casa
impedendole di giocare, o, se dovevo farla uscire, rifiutavo
di giocare con lei o di parlarle gentilmente o di avere
qualcosa a che fare con lei; inutilmente cercavo di
spiegarle i vantaggi dell'obbedire e dell'essere di
conseguenza amati e trattati con dolcezza, e gli svantaggi
dell'ostinarsi in un assurdo capriccio. A volte, quando mi
chiedeva di fare qualcosa per lei, rispondevo: «Sì,
volentieri, Mary Ann, purché tu dica quella parola.
Andiamo! farai meglio a dirla subito e non avrai più
fastidi.»
«No.»
«Allora naturalmente non posso fare niente per te.»
Quando io avevo la sua età o ero più piccola, venire
trascurata o essere in disgrazia erano i castighi più
terribili; ma su di lei non avevano alcun effetto.
A volte, esasperata in modo intollerabile, la scuotevo
con forza, o le tiravo i capelli o la mettevo nell'angolo; e lei
mi puniva con urla acute, stridule, penetranti, che mi
trapassavano il capo come una lama. Sapeva che lo
detestavo, e quando aveva urlato al massimo mi guardava
con vendicativa soddisfazione esclamando: «Questo è per
voi!»
E ricominciava a urlare
ininterrottamente
costringendomi a chiudermi le orecchie. Spesso a quelle
urla orribili saliva la signora Bloomfield chiedendo cosa
fosse successo.
«Mary Ann è stata cattiva, signora.»
«Ma perché grida in quel modo terribile?»
«Grida perché fa i capricci.»
«Non ho mai sentito un fracasso simile! Sembra che la
stiate uccidendo. Perché non è in giardino con il fratello?»
«Perché non vuole finire la lezione.»
«Mary Ann deve fare la brava bambina e finire la
lezione» diceva allora alla figlia con aria indulgente. «E
spero di non dover mai più sentire grida così orribili.»
E fissando su di me i freddi occhi di pietra con uno
sguardo inconfondibile, chiudeva la porta e se ne andava.
A volte cercavo di cogliere di sorpresa quella
ragazzetta ostinata e le chiedevo con aria indifferente la
parola mentre lei pensava a altro; spesso cominciava a
dirla, ma subito si riprendeva con uno sguardo
provocatorio che sembrava dire: «Sono troppo furba per
te; non riuscirai a prendermi neanche con l'astuzia».
In un'altra occasione, finsi di dimenticare tutto; e
parlai e giocai con lei come sempre fino al momento di
metterla a letto; allora, chinandomi su di lei che era tutta
sorridente e felice, proprio prima di andarmene dissi
senza mutare la gaiezza e la dolcezza della voce: «E ora,
Mary Ann, dimmi quella parola prima che ti dia il bacio
della buona notte: adesso sei una brava bambina e certo la
dirai.»
«No non la dirò.»
«Allora non ti darò un bacio.»
«Non m'importa.»
Invano le espressi la mia pena; invano indugiai
aspettando un segno di pentimento; non le importava
davvero, e la lasciai sola, al buio, stupita più che da tutte le
altre da quest'ultima prova di insensata ostinazione. Da
bambina, non avrei potuto immaginare castigo più
doloroso del rifiuto da parte di mia madre di darmi il bacio
della buona notte: la semplice idea era terribile; non
avevo mai provato altro che l'idea, perché,
fortunatamente, non avevo mai commesso una colpa
giudicata degna di tale castigo; ricordo però che una volta,
per una mancanza di mia sorella, nostra madre ritenne
opportuno infliggerlo a Mary; non so che cosa lei
provasse; ma non mi sarà facile dimenticare le mie
lacrime di compassione e la mia sofferenza per lei.
Altra noiosa caratteristica di Mary Ann era la sua
incorreggibile tendenza a correre nella nursery per
giocare con le sorelline e la bambinaia. Era in fondo una
cosa naturale, ma, essendo contraria all'esplicito desiderio
della madre, naturalmente gliela proibivo e mi studiavo in
ogni modo di tenerla con me; ma questo non faceva che
accrescere la sua passione per la nursery; più lottavo per
tenerla lontana, più spesso lei ci andava e più a lungo ci
restava; con grande disappunto della signora Bloomfield
che, ne ero certa, avrebbe dato a me tutta la colpa.
Altro momento difficile era la vestizione al mattino:
una volta non voleva lavarsi; un'altra non voleva vestirsi
se non poteva indossare un certo vestito, che sapevo non
sarebbe piaciuto alla madre; un'altra volta ancora urlava e
scappava se cercavo di toccarle i capelli. Di conseguenza,
quando, dopo molta fatica e stanchezza, riuscivo a portarla
giù, spesso la colazione era quasi finita, e mi toccavano gli
sguardi severi di «mamma» e le osservazioni dispettose di
«papà», dette per me se non a me: poiché poche cose lo
indispettivano quanto la mancanza di puntualità ai pasti.
Infine, tra le seccature meno gravi, c'era la mia
incapacità di soddisfare la signora Bloomfield
nell'abbigliamento della figlia; e i capelli della bambina
erano sempre «inguardabili». A volte, come grave
rimprovero per me, faceva lei stessa da parrucchiera e poi
si lamentava amaramente del fastidio.
Quando nella sala da studio arrivò la piccola Fanny,
sperai che sarebbe stata se non altro mite e inoffensiva;
ma pochi giorni, se non poche ore, bastarono a distruggere
quell'illusione: trovai in lei una bambina dispettosa,
intrattabile, portata alla menzogna e all'inganno già alla
sua tenera età, e pericolosamente incline a esercitare le
sue due armi predilette di offesa e difesa: sputare in faccia
a quelli che le dispiacevano e muggire come un toro
quando i suoi irragionevoli desideri non venivano esauditi.
Poiché di consueto se ne stava buona in presenza dei
genitori, e loro erano convinti si trattasse di una bambina
particolarmente dolce, le sue menzogne venivano credute
e le sue urla facevano pensare che io la trattassi
duramente e in modo sbagliato; quando poi anche i loro
occhi prevenuti si resero conto delle sue cattive
disposizioni, capii che ne davano la colpa a me.
«Come sta diventando cattiva Fanny!» diceva la
signora Bloomfield al marito. «Non vedete, caro, come è
cambiata da quando è entrata nella sala da studio? Presto
sarà cattiva come gli altri due; e mi dispiace dire che di
recente anche loro sono peggiorati.»
«Potete dirlo forte» era la risposta. «Pensavo anch'io
la stessa cosa. Credevo che sarebbero migliorati con
un'istitutrice; invece non fanno che peggiorare; non so
come vadano le cose con l'istruzione, ma la loro condotta,
questo lo vedo, non migliora per nulla: diventano ogni
giorno più maleducati, sporchi, disordinati.»
Sapevo che quelle parole venivano dette per me; e
queste, come altre insinuazioni simili, mi addoloravano
ben più di una aperta accusa; contro una accusa aperta
avrei avuto il coraggio di difendermi; invece, in questo
caso, ritenevo più saggio reprimere ogni risentimento,
soffocare ogni ripugnanza e continuare a fare con
perseveranza del mio meglio; per quanto infatti fosse
sgradevole quel posto, desideravo appassionatamente non
perderlo. Pensavo, se fossi riuscita a continuare con
incrollabile fermezza e integrità, che i bambini sarebbero
diventati più umani: ogni mese li avrebbe resi un po' più
maturi e di conseguenza più trattabili; perché un bambino
di nove o dieci anni capriccioso e ingovernabile come
erano loro a sei e sette sarebbe stato anormale.
Inoltre mi dicevo con piacere che, rimanendo al mio
posto, aiutavo i miei genitori e mia sorella; lo stipendio era
piccolo, è vero, ma guadagnavo pur sempre qualcosa, e,
esercitando una rigorosa economia, sarei riuscita a
mettere qualcosa da parte per loro, se mi avessero fatto
l'onore di accettare. Infine, avevo ottenuto quel posto di
mia volontà; ero stata io a attirarmi tutte quelle pene e
ero decisa a sopportarle; no, ben più di questo, non
rimpiangevo il passo che avevo fatto, e mi sentivo ansiosa
di dimostrare ai miei cari che ero già in grado di affrontare
quell'incarico e di svolgerlo bene fino alla fine; se qualche
volta trovavo umiliante sottomettermi così passivamente,
o intollerabile lottare così incessantemente, pensavo alla
mia casa e mi dicevo: Possono schiacciarmi, ma non mi
vinceranno!
E' a te che penso, non a loro. (1)
Verso Natale ebbi il permesso di fare una visita a casa;
ma la vacanza sarebbe stata soltanto di due settimane.
«Ho pensato» disse la signora Bloomfield «che non vi
interessasse un soggiorno più lungo, essendo passato poco
tempo da quando avete visto i vostri cari.»
Non la disingannai; ma ignorava quanto fossero state
lunghe per me, e faticose, quelle quattordici settimane di
assenza; con quanta ansia avessi desiderato la vacanza,
quanto fossi delusa di vederla accorciata. Ma lei non ne
aveva colpa; non le avevo mai parlato dei miei sentimenti,
e non potevo aspettarmi che li indovinasse; non ero stata
da lei per un anno intero e aveva diritto di non
concedermi una vacanza intera.
NOTE: (1) Altra citazione parziale (e non
perfettamente esatta), questa volta da Byron, Stanze a
Augusta (vv. 22-24). E' difficile dire se Anne Brontë
intenda deliberatamente cambiare i versi che cita, per
meglio adattarli alle circostanze del romanzo, o se citi a
memoria, sbagliando involontariamente; qui tra l'altro ha
eliminato la rima; nell'originale («Possono schiacciarmi,
ma non colmarmi di disprezzo;@
Possono torturarmi, ma non mi vinceranno;@ E' a te
che penso, non a loro@») la stanza è a rima alternata
Abab e contemn («colmarmi di disprezzo») rima con them
(«loro»), come pursue me del primo verso della stanza
(«Molte sofferenze mi perseguitano») rima con subdue
me del terzo. (Ndt)
IV. La nonna
Risparmio ai miei lettori la descrizione della mia gioia
nel tornare a casa, della mia felicità durante il soggiorno il godimento di un breve intervallo di riposo e libertà in
quel luogo così caro e familiare, tra coloro che mi amavano
e che amavo - e della pena nel dovermi congedare ancora
una volta, e per così lungo tempo, da loro.
Tuttavia, tornai con indomito vigore al mio lavoro, un
compito più arduo di quel che possa immaginare chiunque
non abbia provato un'angoscia simile a quella di vedersi
affidata la cura e la guida di un gruppo di ribelli dispettosi
e turbolenti che neppure i più strenui sforzi riescono a
piegare al dovere; essendo nello stesso tempo
responsabile di loro di fronte a un potere maggiore che
esige quel che non può essere ottenuto senza l'appoggio
della più forte autorità del superiore, il quale rifiuta di
dare tale appoggio, per indolenza o nel timore di riuscire
sgradito al gruppo di ribelli.
Riesco a immaginare ben poche situazioni più
estenuanti di quella in cui, pur desiderando ansiosamente
di riuscire, pur affannandosi a compiere il proprio dovere,
si vedono i nostri sforzi beffati e annullati da chi è sotto di
noi e ingiustamente biasimati e mal giudicati da chi è al di
sopra.
Non ho ricordato neppure la metà delle cattive
inclinazioni dei miei allievi, o dei guai che nascevano dalla
mia pesante responsabilità, nel timore di abusare della
pazienza dei lettori; come forse ho già fatto; ma il mio
scopo, nello scrivere le ultime pagine, non era di divertire,
bensì di giovare a quelli che potevano essere interessati
alla cosa; chi non aveva alcun interesse le avrà senza
dubbio saltate dopo un'occhiata superficiale, forse con
un'espressione di impazienza per la prolissità dell'autore;
ma se un padre o una madre ne hanno tratto qualche utile
indicazione o una sventurata istitutrice ne ha avuto il più
piccolo giovamento, mi considero ampiamente
ricompensata delle mie fatiche.
Per evitare confusioni, ho parlato dei miei allievi uno a
uno, descrivendo le loro caratteristiche; ma in tal modo
non posso aver dato una buona idea di che cosa
significasse essere tormentata da tutti e tre insieme;
quando, come succedeva spesso, erano tutti decisi a
«essere cattivi e fare i dispetti alla signorina Grey e farla
infuriare».
A volte, in situazioni simili mi ha colpito il pensiero: "Se
loro mi vedessero ora!"; mi riferivo naturalmente ai miei
cari, e l'idea di come mi avrebbero compatito mi ha
indotto a compatirmi - tanto che mi è stato estremamente
difficile frenare le lacrime; ma le ho frenate fino al
momento in cui i miei piccoli aguzzini andavano a pranzo o
a letto (le mie uniche prospettive di salvezza), e allora,
nella felicità della solitudine, mi sono concessa il lusso di
un pianto senza freni. Ma era una debolezza a cui non
cedevo spesso: avevo troppo da fare, i momenti di libertà
erano troppo preziosi per accordare molto tempo a inutili
lamenti.
Ricordo in particolare un tempestoso pomeriggio di
neve, in gennaio, poco dopo il mio ritorno; i bambini erano
tornati dal pranzo dichiarando tutti a gran voce che
volevano «fare i cattivi» e avevano tenuto fede al loro
proposito, sebbene io mi fossi arrochita la voce e
indolenzita i muscoli della gola nel vano tentativo di
convincerli a non farlo. Avevo inchiodato Tom nell'angolo
da cui, gli avevo detto, non sarebbe uscito prima di finire il
compito che gli avevo assegnato. Frattanto Fanny si era
impadronita della mia borsa da lavoro e ci frugava - e ci
sputava - dentro. Le dissi di smetterla, ma fu
naturalmente inutile.
«Bruciala, Fanny!» gridò Tom; e a questo ordine lei si
affrettò a obbedire. Balzai per salvarla dal fuoco e Tom
saettò verso la porta.
«Mary Ann, butta il suo scrittoio dalla finestra!» gridò:
e il mio prezioso scrittoio da tavolino, con tutte le mie
lettere, le mie carte, il mio poco contante e i miei oggetti
preziosi, rischiò di venir scaraventato dalla finestra del
terzo piano. Mi precipitai a salvarlo. Tom era intanto
uscito dalla stanza e correva giù per le scale seguito da
Fanny. Avendo salvato lo scrittoio, li rincorsi per
agguantarli, e Mary Ann si affrettò a seguirmi. Mi
sfuggirono tutti e tre e corsero in giardino, dove si
tuffarono nella neve, urlando e gridando con entusiasmo.
Che cosa dovevo fare? Se li avessi seguiti, non sarei
probabilmente riuscita a catturarne neppure uno e li avrei
soltanto spinti a allontanarsi ancora; se non li seguivo,
come potevo riportarli dentro? e che cosa avrebbero
pensato di me i loro genitori se avessero visto o sentito i
figli che si scalmanavano, senza cappello, senza cuffietta,
senza guanti e senza stivaletti, nella neve soffice e alta?
Mentre me ne rimanevo così incerta, appena fuori dalla
porta, cercando, con la severità dello sguardo e l'asprezza
delle parole di indurli alla sottomissione, sentii una voce
alle mie spalle che esclamava in tono aspro e penetrante:
«Signorina Grey! Ma è mai possibile? Che cosa d....lo vi è
venuto in mente?»
«Non riesco a farli rientrare, signore» dissi volgendomi
e scorgendo il signor Bloomfield, i capelli ritti sulla testa,
gli occhi slavati fuori dalle orbite.
«Ma io esigo che rientrino!» gridò, avvicinandosi con
un'aria inferocita.
«Allora dovete chiamarli voi, signore, se non vi
dispiace, perché a me non danno retta» risposi facendomi
indietro.
«Rientrate tutti, sporchi mocciosi, o vi frusto uno per
uno!» ruggì lui; e i bambini obbedirono all'istante. «Ecco,
vedete! Vengono appena uno li chiama.»
«Sì, quando siete voi a parlare.»
«E' infatti molto strano che proprio voi, a cui i bambini
sono affidati, non riusciate a avere alcun controllo su di
loro! E adesso eccoli che sono saliti con i piedi sporchi di
neve. Andate da loro e cercate almeno di sistemarli in
modo decente.»
Era allora ospite in casa la madre del signor
Bloomfield; e, salendo le scale e passando davanti alla
porta del soggiorno, ebbi la soddisfazione di sentire la
vecchia signora che declamava a gran voce dicendo alla
nuora (riuscii a distinguere soltanto le parole più
enfatiche): «Poveri noi!... mai in tutta la mia vita...!
...rischiavano di morire davvero...! Pensi, mia cara, che sia
una persona come si deve?
Credi a me...»
Non sentii altro, ma bastava.
La vecchia signora Bloomfield era stata molto
premurosa e gentile con me; e sinora l'avevo considerata
una vecchietta simpatica, chiacchierona e di buon cuore.
Veniva spesso da me a parlarmi confidenzialmente,
scuotendo e chinando la testa e gesticolando con le mani e
muovendo gli occhi come fanno le vecchie signore di una
certa classe, sebbene non ne avessi conosciuta nessuna
che lo facesse a tal punto; simpatizzava perfino con me
per i guai che mi davano i bambini e lasciava capire a
volte, con mezze frasi interrotte da cenni del capo e
significativi ammiccamenti, di essere consapevole di
quanto poco saggio fosse il comportamento della loro
mamma, che limitava così strettamente il mio potere e
trascurava di sostenermi con la sua autorità. Quel modo di
esprimere disapprovazione non mi piaceva molto; e in
genere rifiutavo di accettarlo o di capire più di quello che
veniva detto apertamente; quanto meno, non ero mai
andata oltre un implicito riconoscimento che, se le cose
fossero state regolate in modo diverso, il mio compito
sarebbe stato meno difficile e io sarei stata meglio in grado
di istruire e guidare i miei allievi; ma ora dovevo essere
doppiamente cauta. Sinora, pur vedendo che la vecchia
signora aveva i suoi difetti (tra questi una forte tendenza
a proclamare le sue perfezioni), ero sempre stata pronta a
scusarli e a riconoscerle tutte le virtù che professava di
avere e perfino a immaginarne altre taciute. La gentilezza,
che era stata il cibo della mia vita per tanti anni, di
recente mi era mancata così totalmente che ne accoglievo
con gratitudine e gioia ogni sia pur piccola manifestazione.
Non è dunque strano che io mi fossi affezionata alla
vecchia signora, e che mi rallegrassi del suo arrivo e mi
dolessi della sua partenza.
Ma ora, le poche parole fortunatamente o
sfortunatamente ascoltate avevano completamente
rivoluzionato le mie idee nei suoi confronti: ora vedevo in
lei una donna ipocrita e falsa, una adulatrice, e una spia
delle mie parole e delle mie azioni. Senza dubbio sarebbe
stato nel mio interesse rivolgermi a lei con lo stesso
sorriso gaio e lo stesso tono di rispettosa cordialità; ma
non avrei potuto neppure se lo avessi voluto; i miei modi
mutarono con i miei sentimenti e divennero così freddi e
riservati che lei non poté non notarlo. Lo notò infatti, e
allora cambiarono anche i suoi modi: il cenno familiare del
capo diventò un rigido inchino, il sorriso benevolo cedette
il passo a un fiero sguardo da Gorgone; la sua vivace
loquacità venne trasferita da me ai «cari bambini», che lei
viziava e coccolava più assurdamente di quanto avesse
mai fatto la madre.
Confesso di essere rimasta un po' turbata dal
cambiamento: temevo le conseguenze della sua
scontentezza e feci anche qualche sforzo per riguadagnare
il terreno perduto, riuscendovi all'apparenza più di quanto
avessi potuto sperare. Una volta, per pura cortesia, le
chiesi della sua tosse: all'istante il suo viso lungo si distese
in un sorriso, e lei mi dedicò la storia particolareggiata di
quella e di altre sue infermità, seguita dalla descrizione
della sua virtuosa pazienza, esprimendosi con la consueta
enfasi declamatoria che nessun linguaggio scritto potrebbe
rendere.
«Ma c'è un rimedio a tutto, mia cara, la rassegnazione»
qui scosse la testa «la rassegnazione alla volontà celeste!»
sollevò le mani e gli occhi. «Mi ha sempre sostenuto in
tutte le mie prove e mi sosterrà sempre» ripetuti cenni di
assenso. «Naturalmente non tutti possono dire la stessa
cosa» cenno di diniego «ma io sono tra le persone pie,
signorina Grey» cenno di assenso molto significativo e
scuotimento della testa. «E, grazie al Cielo, lo sono sempre
stata» altro cenno di assenso «e ne vado fiera!» mani
enfaticamente giunte e scossa del capo. E dopo molte frasi
della Scrittura, citate male o senza alcun rapporto con il
suo discorso, e molte esclamazioni devote, così grottesche
nello stile e nell'espressione, se non in se stesse, che
preferisco non ripeterle, si allontanò, scuotendo la grossa
testa con soddisfatto buon umore - se non altro nei propri
confronti - e lasciandomi la speranza che fosse dopo tutto
meschina più che malvagia.
Alla sua visita successiva a Wellwood House arrivai a
dire che ero lieta di vederle un così bell'aspetto. L'effetto
fu magico: le parole, che erano soltanto un segno di
cortesia, vennero accolte come un lusinghiero
complimento; il viso si illuminò tutto, e da quel momento
divenne garbata e benevola come più non si sarebbe
potuto desiderare, quanto meno all'apparenza. Da quel
che vedevo ora di lei e che sentivo dai bambini, sapevo
che, per conquistarmi la sua cordiale amicizia, dovevo
soltanto farle qualche complimento ogni volta che se ne
presentava l'occasione; ma questo era contro i miei
principi; e in mancanza di questo la capricciosa vecchia
signora presto mi privò nuovamente del suo favore, e
credo mi abbia segretamente danneggiato.
Non poteva influenzare molto la nuora a mio sfavore,
poiché esisteva una reciproca antipatia tra lei e quella
signora, che lei dimostrava soprattutto con calunnie e
biasimi segreti e l'altra con l'estrema freddezza e formalità
della sua condotta: nessuna lusinga e adulazione della più
anziana poteva sciogliere il muro di ghiaccio che la più
giovane erigeva tra loro due. Ma con il figlio la vecchia
signora aveva maggior successo: ascoltava tutto quello
che lei diceva, purché riuscisse a calmare il suo
temperamento nervoso e evitasse di irritarlo con le
asprezze del proprio; e ho ragione di credere che abbia
fortemente aggravato le sue prevenzioni nei miei
confronti. Gli diceva che io trascuravo vergognosamente i
bambini, che neppure sua moglie si prendeva cura di loro
come avrebbe dovuto, e che doveva seguirli lui
personalmente, o si sarebbero rovinati.
Così esortato, il signor Bloomfield si dava spesso la
pena di osservare i loro giochi dalla finestra; a volte li
seguiva in giardino, e spesso li sorprendeva proprio
mentre giocavano presso lo stagno proibito, parlavano con
il cocchiere nella scuderia o sguazzavano nel sudiciume del
cortile della fattoria, mentre io me ne stavo stancamente a
guardarli, avendo ormai esaurito ogni energia nel
tentativo di farli allontanare; spesso cacciava
all'improvviso la testa nell'aula mentre i bambini
mangiavano e li trovava a schizzare il latte sulla tavola e
sui vestiti, a mettere le dita nelle tazze loro o altrui o a
litigare per il cibo come un branco di tigrotti. Se in quel
momento io non parlavo, ero complice della loro
deplorevole condotta; se (come accadeva spesso) alzavo la
voce per ristabilire l'ordine, mi comportavo con indebita
violenza e davo il cattivo esempio alle bambine con quel
tono e quel linguaggio rude.
Ricordo un pomeriggio di primavera in cui, per la
pioggia, i bambini non potevano uscire; ma, per una
straordinaria fortuna, avevano finito tutti le lezioni e non
erano scesi a dar fastidio ai genitori, abitudine che mi
irritava molto ma che, nei giorni di pioggia, non riuscivo
quasi mai a evitare; perché al piano di sotto trovavano
cose nuove con cui divertirsi, soprattutto quando c'erano
visitatori; e la madre, sebbene mi ordinasse di tenerli
nell'aula, non li rimproverava mai quando la lasciavano né
si dava la pena di rimandarli indietro. Ma quel giorno
sembravano contenti della loro residenza attuale, e, fatto
ancor più prodigioso, erano pronti a giocare tra loro senza
appellarsi a me e senza litigare. La loro occupazione era
piuttosto strana: erano tutti accoccolati per terra davanti
alla finestra con un mucchio di giocattoli rotti e di uova di
uccello, o piuttosto di gusci di uova, perché il contenuto
era fortunatamente stato tolto. Avevano rotto i gusci e li
pestavano riducendoli a pezzettini, non immaginavo a
quale scopo; ma finché se ne stavano tranquilli e non
facevano niente di veramente riprovevole, non me ne
curavo; con un senso di calma inconsueta, sedevo accanto
al camino finendo di cucire un vestito per la bambola di
Mary Ann e pensando, concluso quel lavoro, di cominciare
una lettera a mia madre. Di colpo la porta si aprì e il viso
opaco del signor Bloomfield guardò dentro.
«Tutto tranquillo! Che cosa state facendo?» chiese.
"Oggi almeno" pensai "non fanno niente di male."
Ma lui era di parere diverso. Avvicinandosi alla
finestra e vedendo che cosa facevano i bambini, chiese
rabbiosamente: «Che diamine state combinando?».
«Stiamo triturando gusci d'uovo, papà!» gridò Tom.
«Come osate fare un simile pasticcio, demonietti? Non
vedete che disastro fate con il tappeto?» Era un tappeto di
lana scura, molto comune. «Signorina Grey, sapevate che
cosa stanno facendo?»
«Sì, signore.»
«Lo sapevate?»
«Sì.»
«Lo sapevate! e ve ne state seduta là e li lasciate
continuare senza una parola di rimprovero!»
«Non pensavo facessero niente di male.»
«Niente di male! Ma guardate un po'! Guardate il
tappeto... si è mai visto niente di simile in una casa per
bene? Non mi meraviglio che la vostra stanza sia un
porcile, che i vostri allievi siano peggio di un branco di
maiali... no, non mi meraviglio... Parola mia, c'è da perdere
la pazienza!» e se ne andò, sbattendo la porta con un colpo
che fece ridere i bambini.
"C'è davvero da perdere la pazienza!" brontolai tra me
alzandomi; e, afferrato l'attizzatoio, lo passai più volte tra
la brace smuovendola con inconsueta energia, per placare
la mia collera con il pretesto di rianimare il fuoco.
In seguito, il signor Bloomfield non faceva che venire a
controllare se tutto era in ordine nella sala da studio. E
poiché i bambini seminavano in continuazione sul
pavimento pezzi di giocattoli rotti, rametti, pietre, stoppie,
foglie e altre cose che non potevo impedirgli di portare
dentro o costringerli a raccogliere e che la servitù si
rifiutava di pulire, dovevo passare molti dei miei preziosi
momenti liberi in ginocchio sul pavimento per mettere
faticosamente ordine. Una volta dissi che non avrebbero
avuto la cena prima di aver raccolto tutto dal tappeto;
Fanny avrebbe avuto la sua quando avesse raccolto una
certa quantità di cose, Mary Ann dopo averne raccolte il
doppio, e Tom doveva pulire il resto.
Mirabile a dirsi, le bambine fecero la loro parte; ma
Tom era talmente infuriato che piombò sulla tavola,
rovesciò il pane e il latte per terra, colpì le sorelline, buttò
a calci il carbone fuori dal secchio, cercò di rovesciare
tavolino e sedie, pronto a mettere a ferro e fuoco tutta la
stanza; ma io lo afferrai e, mandando Mary Ann a
chiamare la mamma, lo tenni fermo a dispetto di calci,
pugni, grida e insulti, finché non arrivò la signora
Bloomfield.
«Che cosa ha fatto il mio ragazzo?» chiese.
Quando tutto le venne spiegato, si limitò a chiamare la
cameriera della nursery perché mettesse in ordine la
stanza e portasse la cena al signorino Bloomfield.
«Ecco qua!» gridò Tom con aria trionfante, alzando la
testa dal piatto con la bocca quasi troppo piena per
parlare. «Ecco qua, signorina Grey: lo vedete, no? ho
avuto la cena a vostro dispetto, e non ho tirato su neanche
uno spillo!»
La sola persona in tutta la casa a avere autentica
simpatia per me era la bambinaia; poiché aveva sofferto le
stesse pene, seppure in minor misura, non avendo il
compito di insegnare e non essendo altrettanto
responsabile per la condotta dei bambini.
«Oh, signorina Grey» mi diceva «siete nei guai con
quei bambini.»
«E' proprio così, Betty; e immagino sappiate che cosa
significa.»
«Ah, sì che lo so! Ma non sto a affannarmi come voi. E
poi, vedete, qualche volta uno schiaffo glielo mollo: e ai
piccoli, quando capita, gli do una bella sculacciata: come si
dice, non c'è una cura migliore. Però, ho perso il posto per
questo.»
«Davvero, Betty? Avevo sentito che ve ne andavate.»
«Eh, sì, cara signorina, sì! Sono tre settimane che la
padrona mi ha licenziato. Me lo aveva detto prima di
Natale che cosa faceva se li picchiavo di nuovo; ma non ci
sono mica riuscita a tenere ferme le mani. Non so come ci
riuscite voi, perché la signorina Mary Ann è molto peggio
delle sorelle!»
V. lo zio
Oltre alla vecchia signora, c'era un altro parente le cui
visite mi disturbavano molto: si trattava dello «zio
Robson», il fratello della signora Bloomfield; un tipo alto,
pieno di sé, i capelli scuri e la carnagione pallida come la
sorella, un naso che sembrava avere a sdegno la terra
intera, e occhietti grigi, spesso semichiusi, il cui sguardo
era un misto di autentica stupidaggine e ostentato
disprezzo per tutto quanto lo circondasse. Era un uomo
robusto, pesante, ma in qualche modo riusciva a farsi una
vita di vespa; il che, insieme alla rigidezza innaturale del
corpo, rivelava che l'altero, virile signor Robson,
spregiatore del sesso femminile, non disdegnava di
portare il busto.
Non si degnava quasi mai di notarmi; se lo faceva,
aveva una certa alterigia insolente nella voce e nei modi
da cui capivo che non era un gentiluomo, sebbene egli si
proponesse l'effetto contrario. Ma non era per questo che
le sue visite mi erano sgradite, bensì per il male che
faceva ai bambini: incoraggiando le loro cattive inclinazioni
e distruggendo in qualche minuto il poco bene che mi
aveva richiesto mesi di fatica.
Di Fanny e della piccola Harriet raramente aveva la
condiscendenza di occuparsi, ma Mary Ann era una sua
prediletta. Incoraggiava continuamente la sua tendenza a
una leziosa vanità (che io avevo fatto del mio meglio per
soffocare), parlando del suo bel visino e riempiendole la
testa di idee presuntuose relative al suo aspetto (che io le
avevo insegnato a considerare come polvere paragonato al
perfezionamento della sua mente e dei suoi modi); e non
ho mai visto una bambina sensibile alla lusinga come
Mary Ann. Tutto quello che in lei o suo fratello era
sbagliato, lo zio lo incoraggiava, ridendone, se non proprio
lodandolo: la gente non sa quanto male faccia ai bambini
ridendo delle loro mancanze e scherzando su quello che i
loro veri amici hanno cercato di insegnargli a aborrire.
Senza essere un vero ubriacone, il signor Robson
ingollava vino in quantità e ogni tanto beveva con molto
piacere un bicchiere di brandy e acqua. Cercava con
grande zelo di insegnare al nipote a imitarlo in questo e a
credere che, quanto più vino e alcool riusciva a tenere
bene, e quanto più gli piacevano, tanto più dava prova di
virilità e coraggio e si innalzava al di sopra delle sorelle. Il
signor Bloomfield non aveva grandi obiezioni, perché la
sua bevanda preferita era gin e acqua; e ne prendeva una
generosa quantità ogni giorno, centellinandola in
continuazione: proprio a questo io attribuivo il suo colorito
spento e il suo cattivo carattere.
Robson incoraggiava Tom, con la parola e con
l'esempio, anche a perseguitare le creature inferiori.
Poiché veniva spesso per cacciare sulla proprietà del
cognato, portava con sé i cani preferiti; e li trattava con
tanta brutalità che, povera com'ero, avrei dato in qualsiasi
momento una sovrana perché uno di loro lo mordesse,
purché riuscisse a farlo impunemente. A volte, quando era
d'umore molto benevolo, andava a caccia di nidi con i
bambini, e questo mi irritava e mi dispiaceva
enormemente: con sforzi tenaci e continui, mi lusingavo
infatti di essere riuscita a fargli in parte comprendere la
crudeltà di quello svago, e speravo, con il tempo, di
instillare in loro un certo senso di giustizia e umanità; ma
dieci minuti a caccia di nidi con lo zio Robson, o soltanto
una sua risata al racconto delle loro passate barbarie,
bastavano a distruggere di colpo l'effetto di tutti i miei
ragionamenti e ammonimenti. Per fortuna quella
primavera, con un'unica eccezione, non presero mai altro
che nidi vuoti o uova, non avendo la pazienza di aspettare
che i piccoli fossero nati; quell'unica volta, Tom, che era
stato con lo zio nella proprietà vicina, corse pieno di gioia
in giardino tenendo tra le mani una nidiata di uccellini
appena nati.
Mary Ann e Fanny, che stavo appunto allora
accompagnando fuori, si precipitarono a ammirare la sua
preda e a chiedere un uccellino per una.
«No, neanche uno!» gridò Tom. «Sono tutti miei: lo zio
Robson li ha dati a me - uno, due, tre, quattro, cinque non potete toccarne neanche uno! no, neanche uno ve ne
faccio toccare!» continuò con aria esultante, appoggiando il
nido a terra e standoci sopra a gambe divaricate, le mani
nelle tasche dei calzoni, curvo in avanti, il viso contorto
nelle smorfie più diverse per l'estrema gioia.
«Ma mi vedrete mentre li faccio fuori. Gliene faccio
passare di tutti i colori, io! Vedrete se non è vero! Lo
vedrete se non mi ci diverto con questo nido.»
«Ma Tom» dissi «non ti permetterò di torturare quegli
uccellini.
Vanno uccisi subito o riportati dove li hai presi, perché
gli uccelli adulti possano continuare a nutrirli.»
«Voi non sapete dove li ho presi: lo sappiamo soltanto
io e lo zio Robson.»
«Ma se non me lo dirai, li ucciderò io stessa, per
quanto detesti farlo.»
«Non vi azzardate. Non vi azzardate a toccarli! perché
sapete che papà e mamma e lo zio Robson si
arrabbierebbero. Ah, ah, vi ho preso in castagna,
signorina!»
«In un caso come questo farò quello che ritengo giusto
senza consultare nessuno. Se tuo padre e tua madre non
approvano, mi dispiacerà offenderli; ma naturalmente le
opinioni di tuo zio Robson non hanno alcuna importanza
per me.»
E con queste parole - spinta dal senso del dovere rischiando di sentirmi male e di suscitare la collera dei
miei datori di lavoro, presi una grossa pietra che era stata
messa in piedi dal giardiniere come trappola per i topi, poi,
dopo avere ancora una volta cercato invano di convincere
il piccolo tiranno a lasciar riportare indietro gli uccelli, gli
chiesi che cosa intendeva farne. Con gioia diabolica, lui
cominciò a snocciolare una sfilza di torture; e mentre era
impegnato a elencarle, feci cadere la pietra sulle sue
future vittime e le schiacciai.
Le grida che seguirono a quella temeraria offesa
furono altissime, terribili gli insulti; lo zio Robson stava
risalendo il viale con il fucile e si era giusto allora fermato
per prendere a calci la cagna.
Tom corse verso di lui, dichiarando che gli avrebbe
fatto prendere a calci me invece di Juno. Il signor Robson
si appoggiò al fucile ridendo come un matto alla violenta
collera del nipote e alle imprecazioni e gli insulti di cui mi
ricopriva.
«Sei proprio un tipo simpatico tu!» disse infine
prendendo il fucile e continuando verso casa. «E ne ha di
coraggio poi il ragazzo.
Che sia maledetto se ho mai visto una carognetta più
in gamba. E' ormai troppo grande per essere governato
dalle donne: non ha paura di sfidare madre, nonna e
istitutrice. Ah, ah, ah! Non ci badare, Tom, ti porterò
un'altra nidiata domani.»
«Se lo farete, signor Robson, ucciderò anche quella»
ribattei.
«Bah» esclamò lui; e dopo avermi onorato con
un'occhiata sfacciata, che io sostenni, contrariamente a
quel che si aspettava, senza un fremito, si allontanò con
aria di supremo disprezzo e rientrò in casa.
Tom andò allora a dirlo alla mamma. Lei non era solita
parlare molto di qualsiasi argomento; ma quando mi vide,
il suo aspetto e i suoi modi erano più cupi e gelidi del
consueto.
Dopo alcuni commenti sul tempo, osservò: «Mi
dispiace, signorina Grey, che riteniate necessario
interferire nei giochi del signorino Bloomfield; era molto
turbato dal fatto che abbiate distrutto i suoi uccelli.»
«Quando i giochi del signorino Bloomfield consistono
nel far soffrire creature sensibili» risposi «ritengo sia mio
dovere interferire.»
«Sembrate aver dimenticato» rispose placidamente
«che tutte le creature sono state create a nostro
beneficio.»
Io pensavo che si potesse avere qualche dubbio su
quella dottrina, ma risposi soltanto: «Se è così, non
abbiamo il diritto di tormentarle per divertirci.»
«Credo» ribatté lei «che non si possa paragonare il
divertimento di un bambino al benessere di creature
senz'anima.»
«Ma per il bene del bambino, non bisognerebbe
incoraggiarlo a divertirsi in tal modo» risposi, con tutta la
mitezza possibile, per far perdonare quell'insolita tenacia.
«"Beati i misericordiosi perché troveranno
misericordia."»
«Oh, certo, ma questo si riferisce alla nostra condotta
nei confronti degli altri esseri umani.»
«"Il giusto ha cura del suo bestiame" (1)» mi azzardai
a aggiungere.
«Non mi sembra che voi abbiate mostrato molta cura»
rispose con una risatina amara «uccidendo tutte quelle
povere bestie in quel modo terribile e facendo tanto
soffrire il povero ragazzo per un capriccio.»
Ritenni prudente non aggiungere altro.
Non ero mai stata tanto vicina a una lite con la signora
Bloomfield; e non avevo mai scambiato tante parole con
lei in una sola volta dal giorno del mio arrivo.
Ma il signor Robson e la vecchia signora Bloomfield
non erano i soli ospiti il cui arrivo a Wellwood House mi
creasse problemi; ogni visitatore me ne creava; non tanto
perché non si curavano di me (sebbene la loro condotta
sotto tale punto di vista mi sembrasse strana e
sgradevole), quanto perché mi riusciva impossibile tenere
lontani i bambini, come mi veniva ripetutamente chiesto
di fare: Tom voleva a ogni costo parlare con loro, e Mary
Ann voleva essere ammirata. Né l'uno né l'altra avevano
alcun senso di vergogna o soltanto di comune modestia.
Interrompevano chiassosamente e senza alcun rispetto la
conversazione degli adulti, li indispettivano con le
domande più impertinenti, si appendevano al collo degli
uomini, gli si arrampicavano sulle ginocchia; senza esserne
richiesti, gli stavano sempre attorno o gli cercavano nelle
tasche, tiravano il vestito alle signore, le spettinavano,
rovinavano i colletti e le infastidivano chiedendo i gioielli.
La signora Bloomfield aveva tanto buon senso da
sentirsene scandalizzata e infastidita, ma non tanto da
impedirlo: si aspettava fossi io a farlo. Ma come avrei
potuto - quando gli ospiti, con i loro bei vestiti e i loro visi
nuovi, non facevano che lusingarli e viziarli per
compiacere i genitori - come avrei potuto, io, con i miei
vestiti casalinghi e la mia faccia di tutti i giorni, e le mie
parole franche, trascinarli via? Mi impegnavo fino allo
spasimo per riuscirci: cercando di divertirli mi studiavo di
attirarli accanto a me; usando la poca autorità che
possedevo e la severità di cui osavo dar prova, mi
sforzavo di impedirgli di tormentare gli ospiti; e
rimproverando la loro condotta incivile, di farli
vergognare perché non la ripetessero. Ma non
conoscevano la vergogna; sdegnavano l'autorità che non
fosse appoggiata dalla minaccia; e di cortesia e affetto non
si poteva neppure parlare, perché o non avevano cuore, o,
se lo avevano, era così ben custodito e nascosto che io, pur
con tutti i miei sforzi, non avevo ancora scoperto come
toccarlo.
Ma presto le mie pene giunsero al termine - prima di
quanto mi aspettassi o desiderassi; in una serata mite
verso la fine di maggio in cui mi rallegravo per le vacanze
imminenti, e mi compiacevo di essere riuscita a ottenere
qualche risultato con i miei allievi - se non altro per
quanto riguardava l'insegnamento, poiché gli avevo fatto
entrare qualcosa in testa, e li avevo infine condotti a
comportarsi un po', soltanto un po', più ragionevolmente e
a finire le lezioni in tempo per lasciarsi spazio per la
ricreazione invece di tormentare me e loro stessi tutto il
giorno senza alcun costrutto la signora Bloomfield mi
mandò a chiamare e mi disse con calma che dopo l'estate
non avrebbe più avuto bisogno di me. Mi assicurò che il
mio carattere e la mia condotta erano impeccabili; ma i
bambini avevano fatto così pochi progressi dal mio arrivo,
che il signor Bloomfield e lei si sentivano in dovere di
cercare altri sistemi di educazione. Sebbene superiori per
capacità e doti a molti bambini della loro età, erano
decisamente inferiori nei risultati: avevano modi rozzi e
un carattere ribelle. E questo lo attribuiva a mancanza di
sufficiente fermezza e attenzione diligente e perseverante
da parte mia.
Incrollabile fermezza, assoluta diligenza, instancabile
perseveranza, continua attenzione erano proprio le qualità
di cui andavo segretamente fiera; grazie alle quali avevo
sperato con il tempo di superare tutte le difficoltà e
ottenere infine successo.
Avrei voluto dire qualcosa per giustificarmi, ma
quando cercai di parlare mi mancò la voce; e preferii
restare in silenzio e sopportare come un'imputata che si
riconosce colpevole, pur di non dare prova di emozione e
di non abbandonarmi alle lacrime che già mi riempivano
gli occhi.
Così venni licenziata, e così tornai a casa. Che cosa
avrebbero pensato di me? incapace, dopo tutte le mie
vanterie, di conservare per un solo anno il posto di
istitutrice di tre bambini piccoli, la cui madre era stata
definita proprio da mia zia una persona molto a posto.
Essendo stata pesata sulle bilance, ero stata trovata
mancante: (2) non potevo sperare che accettassero di
mettermi nuovamente alla prova. Era un pensiero
sgradito: indispettita, esausta, delusa, sempre più pronta
a apprezzare e amare la mia casa, non ero tuttavia ancora
stanca di avventura, né ero disposta a rinunciare ai miei
sforzi. Sapevo che non tutti i genitori erano come i signori
Bloomfield, e ero certa che non tutti i bambini fossero
come i loro. La famiglia successiva non poteva non essere
diversa, e ogni cambiamento non poteva non essere per il
meglio. Le avversità mi avevano maturato, l'esperienza
mi aveva ammaestrato: ero ansiosa di riscattare il mio
onore perduto agli occhi di coloro la cui opinione valeva
per me più di quella del mondo intero.
NOTE: (1) In Anne Brontë, le citazioni bibliche,
dall'Antico e dal Nuovo Testamento, esplicite o implicite,
non sono soltanto numerose (caratteristica comune a
quasi tutti gli autori inglesi dell'Ottocento), ma hanno un
particolare senso di intensità e familiarità; si sente che per
l'autrice la lettura, la conoscenza della Bibbia era davvero
parte integrante del suo quotidiano. Qui cita da Matteo, 5,
7 e dai Proverbi, 12, 10. (Ndt)
(2) Cfr. Daniele, 5, 27 (L'interpretazione che il profeta
dà della seconda parola scritta misteriosamente sul muro
durante il banchetto di Baldassàr: Tekel). (Ndt)
VI. Di nuovo la canonica
Per qualche mese rimasi tranquillamente a casa,
godendomi serenamente la libertà e il riposo e l'affetto
sincero dei quali ero stata così a lungo privata; e portando
attentamente avanti i miei studi, per riguadagnare quello
che avevo perduto durante il soggiorno a Wellwood House
e accumulare nuove ricchezze per il futuro.
La salute di mio padre era ancora molto malferma, ma
non peggiore dell'ultima volta in cui lo avevo visto; e ero
lieta di poterlo rallegrare con il mio ritorno e distrarre
cantandogli le sue canzoni preferite.
Nessuno si dimostrò felice del mio insuccesso o disse
che avrei fatto meglio a ascoltare il suo consiglio e a
rimanermene tranquilla a casa. Tutti erano lieti di
riavermi con loro e mi trattavano con maggiore affetto del
consueto per ripagarmi delle sofferenze patite; ma
nessuno voleva toccare un solo scellino di quello che avevo
guadagnato con tanta gioia e messo da parte con tanta
cura nella speranza di dividerlo con loro. Economizzando
di qua, risparmiando di là, quasi tutti i debiti erano stati
pagati. Mary aveva avuto successo con i suoi disegni; ma
mio padre aveva insistito perché anche lei tenesse per sé
il frutto del suo ingegno. Tutto quello che rimaneva dopo
gli acquisti per il nostro modesto guardaroba e le altre
spese occasionali, ci diceva di metterlo alla cassa di
risparmio; poiché non potevamo sapere, aggiungeva,
quando avremmo dovuto contare soltanto su quello per
mantenerci; sentiva infatti di non avere ancora molto
tempo da vivere, e Dio soltanto sapeva che cosa ne
sarebbe stato di nostra madre e di noi dopo la sua morte.
Povero caro papà! se si fosse preoccupato meno delle
angosce che ci minacciavano dopo la sua morte, sono certa
che quel temuto avvenimento non avrebbe avuto luogo
così presto. Mia madre non gli permetteva mai di pensarci
se riusciva a impedirlo.
«Oh, Richard» esclamò una volta «se soltanto
allontanassi dalla mente pensieri così tristi, vivresti a
lungo quanto noi; almeno tanto da vedere le ragazze
sposate e da diventare felicemente nonno con un'arzilla
vecchietta per compagna.»
Mia madre rideva, e rise anche mio padre; ma la risata
si spense presto in un sospiro triste.
«Sposate! povere piccole, senza un soldo» disse.
«Vorrei sapere chi le sposerebbe.»
«Non le sposerà nessuno che non si senta onorato di
poterle avere.
Non ero senza un soldo io quando tu mi hai sposata? e,
se non altro, hai finto di essere molto soddisfatto
dell'acquisto. Ma non ha importanza che si sposino o no:
possiamo trovare mille modi onesti di guadagnarci da
vivere. E mi stupisce, Richard, che tu ti preoccupi della
nostra povertà nell'eventualità della tua morte; credi che
potrebbe avere la minima importanza paragonata al
dolore di perderti? sai bene che questo divorerebbe ogni
altra preoccupazione, e tu dovresti fare il possibile per
evitarcelo: e niente vale una mente serena per tenere
sano il colpo.»
«Lo so, Alice, faccio male a lamentarmi così, ma non so
farne a meno; devi prendermi come sono.»
«Non intendo prenderti come sei se posso cambiarti»
rispose mia madre: ma la durezza delle sue parole era
smentita dalla calda tenerezza del tono e dalla dolcezza del
sorriso; mio padre tornò a sorridere, meno tristemente e
meno fugacemente del solito.
«Mamma» dissi, appena ebbi l'occasione di parlarle da
sola «il mio danaro è poco e non durerà a lungo; se
riuscissi a aumentarlo, almeno una delle ansie di papà si
calmerebbe. Non so disegnare bene come Mary: la cosa
migliore è che mi metta a cercare un altro posto.»
«Davvero vuoi provare di nuovo, Agnes?»
«Senza dubbio.»
«Eppure, cara, pensavo che ne avessi avuto
abbastanza.»
«Lo so» ribattei. «Non tutti sono come i signori
Bloomfield...»
«Alcuni sono peggiori» mi interruppe lei.
«Ma non molti, credo, e sono certa che non tutti i
bambini sono come i loro: io e Mary non eravamo così;
facevamo sempre quello che ci si diceva di fare, vero?»
«In genere sì; ma io non vi ho viziato; e non eravate
proprio due angeli: Mary aveva un fondo di tranquilla
ostinazione, e il tuo umore non era sempre perfetto; ma in
complesso eravate due ottime bambine.»
«So che qualche volta ero imbronciata, e mi avrebbe
fatto piacere vedere qualche volta imbronciati anche quei
bambini; perché in quel caso li avrei capiti; ma non
capitava mai, poiché era impossibile offenderli, ferirli o
farli vergognare: era impossibile che fossero infelici, se
non quando si arrabbiavano.»
«Se era impossibile, allora non era colpa loro: non puoi
pretendere che la pietra sia malleabile come l'argilla.»
«No, ma è davvero sgradevole vivere con bambini così
insensibili e incomprensibili. Non puoi amarli; e se anche
potessi, il tuo affetto sarebbe completamente sprecato:
non potrebbero ricambiarlo, né stimarlo né capirlo. - Ma
in ogni caso, anche se dovessi imbattermi in un'altra
famiglia simile, il che è improbabile, ho alle spalle tutta
l'esperienza che ho fatto, e affronterei meglio le cose; e per
concludere questo mio preambolo, lasciatemi provare
ancora.»
«Vedo, ragazza mia, che non ti scoraggi facilmente, e
questo mi fa piacere. Però, lasciatelo dire, sei molto più
pallida e magra di quando sei partita la prima volta; e non
possiamo permettere che tu ti rovini la salute per
guadagnare più danaro, che sia per te o per gli altri.»
«Anche Mary dice che sono cambiata; e la cosa non mi
stupisce, perché vivevo costantemente in uno stato di
agitazione e di ansia: la prossima volta sono decisa a
prendere le cose con calma.»
La discussione durò ancora un poco, poi mia madre
promise nuovamente di aiutarmi, purché io aspettassi con
pazienza; e io lasciai che affrontasse lei l'argomento con
mio padre quando e come lo giudicasse più opportuno,
certa che sarebbe riuscita a ottenerne il consenso.
Frattanto guardavo con grande interesse le inserzioni
sui giornali e rispondevo a tutte le «Cercasi istitutrice»
che mi sembrassero accettabili; ma mostravo
rispettosamente a mia madre tutte le mie lettere e tutte
le risposte, quando ne ricevevo; e, con mio grande
dispiacere, lei me le faceva respingere una dopo l'altra:
questi erano persone dappoco, quelli pretendevano
troppo, quegli altri offrivano troppo poco.
«Le tue doti non sono quelle di qualsiasi figlia di un
ecclesiastico povero, Agnes» mi diceva «e non devi
buttarle via.
Ricorda che hai promesso di essere paziente; non c'è
nessuna fretta: hai tutto il tempo che vuoi e puoi avere
ancora molte occasioni.»
Infine mi consigliò di mettere io stessa un'inserzione
spiegando le mie capacità.
«Musica, canto, disegno, francese, latino, tedesco: non
è poco» mi disse. «A molti farà piacere ottenere tanto da
una sola istitutrice, e questa volta cercherai una famiglia
più elevata, la famiglia di un vero gentiluomo; poiché da
una famiglia simile otterrai il dovuto rispetto più
facilmente che da quei commercianti fieri del loro
portafogli, da quegli arroganti parvenus. Ho conosciuto
molta gente tra l'aristocrazia che trattava le istitutrici
come membri della famiglia; sebbene altri, lo riconosco,
siano insolenti e esigenti al massimo; in tutte le classi c'è
del bene e del male.»
Scrissi e spedii in fretta l'inserzione. Delle due famiglie
che risposero, una soltanto accettò di darmi le cinquanta
sterline che mia madre mi aveva detto di indicare come
stipendio; e io esitavo a impegnarmi, temendo che i
bambini fossero troppo grandi e che i genitori volessero
una persona più autorevole e più esperta di me, se non più
istruita. Mia madre però mi convinse a non rifiutare per
quel motivo; sarei andata benissimo, mi disse, purché mi
fossi liberata della mia esitazione e avessi acquistato
maggior fiducia in me stessa. Dovevo soltanto esporre con
onestà e semplicità le mie conoscenze e le mie qualifiche,
dire quali fossero le condizioni che chiedevo e poi
aspettare i risultati.
La sola condizione che mi azzardai a proporre fu di
avere una vacanza di due mesi durante l'anno per poter
tornare a casa in estate e a Natale. La sconosciuta signora
non fece obiezioni e affermò di non dubitare che le mie
conoscenze si sarebbero rivelate soddisfacenti; ma
nell'assumere una istitutrice, considerava questo aspetto
secondario: abitando nelle vicinanze di O..., poteva
trovare tutti gli insegnanti di cui avesse bisogno per
supplire a eventuali carenze in quel campo; ai suoi occhi,
subito dopo una moralità impeccabile, i requisiti più
essenziali erano un carattere mite e gaio e una natura
compiacente.
A mia madre la cosa non piacque affatto e sollevò
molte obiezioni, calorosamente appoggiata da mia sorella;
decisa però a non lasciarmi nuovamente ostacolare,
superai tutte le loro perplessità; e, dopo aver ottenuto il
consenso di mio padre, che era stato avvertito poco tempo
prima delle transazioni in corso, scrissi una lettera molto
garbata alla mia ignota corrispondente, e infine ci
accordammo.
Era deciso che l'ultimo giorno di gennaio avrei assunto
il mio nuovo incarico di istitutrice nella famiglia del signor
Murray, di Horton Lodge, nei pressi di O..., a un centinaio
di chilometri dal nostro villaggio: distanza impressionante
per me, che nei miei vent'anni di soggiorno su questa
terra non mi ero mai allontanata da casa più di trenta
chilometri; tanto più che tutti i membri della famiglia e
tutti gli abitanti del vicinato erano assolutamente
sconosciuti a me e ai miei cari. Ma questa circostanza
rendeva le cose più emozionanti. In una certa misura, mi
ero ormai liberata di quella mauvaise honte che mi aveva
prima oppresso; provavo una piacevole eccitazione al
pensiero di entrare in un ambiente a me ignoto e di farmi
strada da sola tra i suoi sconosciuti abitanti. Ora pensavo
di poter davvero vedere un po' il mondo: la casa del signor
Murray era nei pressi di una città grande e non in una
zona manifatturiera, dove la gente non aveva altra
occupazione che quella di far soldi; la sua posizione sociale,
da quel che potevo capire, sembrava più elevata di quella
del signor Bloomfield; era senza dubbio uno di quegli
autentici gentiluomini di campagna di cui parlava mia
madre, che avrebbe trattato l'istitutrice con la
considerazione dovuta a una signorina rispettabile e
istruita, guida e insegnante dei suoi figli, e non come una
domestica di grado elevato. Inoltre, i miei allievi, che
erano più grandi, sarebbero certo stati più ragionevoli, più
docili all'insegnamento e meno terribili degli altri; non
sarebbero stati altrettanto confinati alla sala da studio e
non avrebbero avuto bisogno di continua fatica e
incessante attenzione; e infine, alle mie speranze si
unirono luminose visioni che non avevano alcun rapporto
con la cura dei bambini e i compiti di una istitutrice. I
lettori sappiano dunque che non potevo pretendere di
essere considerata una martire dell'amore filiale, che non
esitava a sacrificare pace e libertà al solo scopo di
risparmiare danaro per il benessere dei genitori. Senza
dubbio, il benessere di mio padre e il futuro
mantenimento di mia madre avevano larga parte nei miei
calcoli; e cinquanta sterline mi sembravano una somma
non indifferente. Dovevo avere abiti adatti alla mia
posizione; sembrava anche che dovessi dar fuori da lavare
la mia roba e pagarmi i quattro viaggi annuali tra Horton
Lodge e casa mia; ma senza dubbio, con molta e attenta
economia, venti sterline, o poco di più, sarebbero bastate
per queste spese, il che significava trenta o poco meno per
la banca: un bell'aumento del nostro capitale! Dovevo
proprio lottare per mantenerlo questo posto, comunque
fosse: per il mio onore nei confronti dei miei cari e per i
concreti servizi che potevo rendergli conservandomi il
lavoro.
VII. Horton Lodge
Il 31 gennaio fu una giornata aspra, tempestosa, con
un forte vento di tramontana e una continua tormenta di
neve che si accumulava a terra e turbinava nell'aria. I
miei avrebbero voluto che rimandassi la partenza; ma io,
temendo di impressionare sfavorevolmente i miei datori
di lavoro con una mancanza di puntualità proprio all'inizio,
non volli venir meno all'impegno.
Non annoierò i miei lettori descrivendo la mia partenza
da casa in quella buia mattina d'inverno: i teneri saluti, il
lungo, lungo viaggio fino a O..., le solitarie attese di una
diligenza o di un treno nelle locande - poiché vi erano
allora alcune linee ferroviarie - e infine l'incontro a O... con
il servitore del signor Murray, che era stato mandato con
il phaeton per accompagnarmi a Horton Lodge.
Dirò soltanto che la neve aveva creato tanti ostacoli ai
cavalli come alle macchine a vapore, che non giunsi alla
fine del viaggio prima che fosse buio già da qualche ora, e
che all'ultimo si scatenò una tempesta tanto accecante da
rendere i pochi chilometri tra O... e Horton Lodge un
viaggio lungo e difficile. Io sedevo rassegnata, con la neve
fredda e pungente che mi entrava sotto la veletta e mi
cadeva in grembo, senza vedere nulla e chiedendomi come
gli sventurati cavallo e cocchiere riuscissero, sia pure in
qualche modo, a farsi strada; si trattava, è vero, di un
avanzare faticoso, strisciante, a voler essere generosi.
Infine ci fermammo; e, al richiamo del cocchiere,
qualcuno aprì sui cardini cigolanti quelli che mi parvero i
cancelli del parco. Allora avanzammo su una strada più
agevole, e a tratti scorgevo una informe massa bianca,
senza dubbio un albero coperto di neve, che penetrava le
tenebre.
Dopo parecchio tempo ci fermammo di nuovo, davanti
al maestoso portico di una vasta dimora le cui finestre
arrivavano fino a terra.
Mi alzai a fatica per la neve che mi copriva, e scesi
dalla carrozza pensando che un'accoglienza cortese e
ospitale mi avrebbe ricompensato delle fatiche e della
durezza del viaggio. Un uomo vestito di nero d'aspetto
signorile mi aprì la porta e mi fece entrare in una vasta
anticamera illuminata da una lampada color ambra
appesa al soffitto; mi condusse poi in un corridoio e,
aprendo la porta di una stanza sul retro, mi disse che era
la sala da studio.
Entrando, vidi due ragazze e due ragazzetti, i miei
futuri allievi, pensai. Dopo un saluto formale, la ragazza
più grande, che si gingillava con un canovaccio e un cestino
pieno di matassine di lana da ricamo, mi chiese se
desideravo salire.
Naturalmente risposi di sì.
«Matilda» disse allora «prendi una candela e mostrale
la sua stanza.»
Matilda, una ragazza robusta sui quattordici anni,
ancora con le gonne corte e i mutandoni, scrollò le spalle e
fece una smorfia, ma prese una candela e mi precedette
su per le scale (due piani alti e ripidi), e lungo uno stretto
corridoio, fino a una stanza piccola ma non priva di
comodità. Poi mi chiese se volevo del tè o del caffè; stavo
per rispondere di no; ma, ricordando che non avevo preso
nulla dalle sette del mattino, e poiché mi sentivo di
conseguenza venir meno, dissi che avrei preso volentieri
una tazza di tè. Con la breve affermazione che lo avrebbe
detto «alla Brown», la signorina se ne andò; e quando mi
ero già tolta il pesante mantello bagnato, lo scialle, il
cappello, eccetera, entrò una leziosa donzella per dirmi
che le signorine volevano sapere se desideravo prendere il
tè in camera o nella sala da studio. Con il pretesto della
stanchezza, preferii prenderlo in camera. Lei si allontanò,
e tornò poco dopo con un vassoietto, appoggiandolo sul
cassettone che fungeva da toletta.
La ringraziai e le chiesi per che ora mi avrebbero
atteso la mattina dopo.
«Le signorine e i signorini fanno colazione alle otto e
mezzo, signora» rispose. «Si alzano presto; ma non fanno
mai lezione prima di colazione: credo che dovrebbe andare
bene se vi alzaste subito dopo le sette.»
La pregai di volere avere la cortesia di svegliarmi alle
sette e lei si ritirò assicurandomi che lo avrebbe fatto. Io,
rotto finalmente il mio lungo digiuno con una tazza di tè e
qualche fettina sottile di pane e burro, sedetti accanto al
fuoco languente e mi divertii piangendo di gusto; poi dissi
le preghiere e mi preparai, sentendomi molto sollevata,
per coricarmi. Osservando però che non avevano portato
il mio bagaglio, mi misi a cercare il campanello; non
trovandone alcuna traccia, presi la candela e mi
avventurai nel lungo corridoio, e giù per le ripide scale, in
un viaggio di scoperta.
Incontrai una donna ben vestita e le dissi quello che
volevo; ma con molta esitazione, ignorando se si trattava
di un membro dei ranghi più alti del personale o della
signora Murray: si rivelò la sua cameriera personale.
Con l'aria di chi concede un favore straordinario, si
impegnò a farmi portare il bagaglio. Rientrai nella stanza,
attesi a lungo interrogandomi, temendo fortemente che
avesse dimenticato o trascurato di tener fede alla
promessa, incerta se dovessi continuare a aspettare,
andare a letto o scendere di nuovo, quando le mie
speranze vennero infine rianimate da un suono di voci e di
risa accompagnato da un rumore di passi lungo il
corridoio; una cameriera dall'aria rozza e un uomo, né
l'uno né l'altra molto rispettosi nei miei confronti,
entrarono portando il mio bagaglio.
Io richiusi la porta appena uscirono; presi alcune cose
dai bagagli e infine mi coricai; lieta di farlo, perché ero
stanca nel corpo e nello spirito.
La mattina dopo mi svegliai con una strana desolazione
e insieme con un forte senso di novità e una sorta di
curiosità senza gioia per l'ignoto che mi aspettava; mi
sentivo come se un incantesimo mi avesse trascinato via e
io fossi stata precipitata dalle nuvole su una terra lontana
e sconosciuta, completamente isolata da qualsiasi
paesaggio noto; o come un seme di cardo portato dal
vento in un angolo di terreno sconosciuto e poco
congeniale dove sarà costretto a rimanere a lungo prima
di poter mettere radici e germogliare, traendo nutrimento
da quello che sembra così estraneo alla sua natura; se
tuttavia potrà mai germogliare. Ma questi paragoni non
esprimono i miei sentimenti; e nessuno che non abbia
vissuto una vita ritirata e sedentaria come la mia può
immaginarli: forse neppure se sa che cosa significhi
svegliarsi una mattina e ritrovarsi a Port Nelson, in Nuova
Zelanda, con un mondo di acque (1) tra lui e tutto quel che
gli è noto.
Non mi sarà facile dimenticare con quale strano
sentimento alzai la veneziana e guardai il mondo
sconosciuto: soltanto una vasta, bianca, vuota distesa si
offrì al mio sguardo; una distesa di deserti perduti nella
neve, boschi dai rami appesantiti. (2)
Scesi nella sala da studio senza grande ansia di
ritrovare i miei allievi, ma con una certa curiosità per
quello che una conoscenza più approfondita mi avrebbe
rivelato. Una cosa, tra altre di più evidente importanza,
avevo deciso: dovevo chiamarli subito signorina e
signorino. Mi sembrava un puntiglio raggelante e
innaturale tra i bambini di una famiglia e la loro
insegnante e compagna di ogni giorno; soprattutto quando
i bambini erano ancora molto piccoli, come a Wellwood
House; ma anche là, il fatto che io chiamassi i piccoli
Bloomfield soltanto con il loro nome era stato considerato
una libertà offensiva, come si erano premurati di farmi
capire i genitori chiamandoli sempre puntigliosamente
signorina e signorino Bloomfield quando parlavano con
me. Ero stata molto lenta a capirlo, perché mi sembrava
così assurdo; ma ora avevo deciso di essere più saggia e di
iniziare con tutte le formalità e le cerimonie che ogni
membro della famiglia avrebbe potuto esigere; e in verità
sarebbe stato meno difficile, perché i ragazzi erano molto
più grandi; eppure quelle due piccole parole - signorina e
signorino - si rivelavano sorprendentemente efficaci nel
distruggere ogni familiarità aperta e amabile e nello
spegnere ogni barlume di cordialità che poteva esistere
tra noi.
Poiché non ho il coraggio di fare dono di tutta la mia
noia ai lettori, come Dogberry, (3) non continuerò a
tediarli descrivendo minuziosamente le scoperte e le
azioni di quel giorno e del successivo. Senza dubbio
saranno lieti di accontentarsi di un breve schizzo dei
diversi membri della famiglia e di una panoramica dei
primi uno o due anni del mio soggiorno.
Per cominciare dal capofamiglia, il signor Murray era,
a quanto si diceva, uno squire di campagna chiassoso e
gioviale; appassionato di caccia alla volpe, esperto di
cavalli, abile e attivo agricoltore, un vero bon vivant. A
quanto si diceva, ripeto, perché, con l'eccezione della
domenica, quando andava in chiesa, non lo vedevo mai; se
non mi accadeva, attraversando l'atrio o passeggiando in
giardino, di incontrare la figura di un signore alto, robusto,
con le guance rosse e il naso ancora più rosso; in tali
occasioni, se mi passava tanto vicino da poter parlare, non
dimenticava in genere un brusco cenno del capo
accompagnato da un «'giorno, signorina Grey» o da un
altro saluto simile. Spesso, sentivo da lontano la sua
risata; e ancora più spesso lo sentivo imprecare e
bestemmiare contro i valletti, lo staffiere, il cocchiere o
altri inermi dipendenti.
La signora Murray era una bella donna elegante sui
quaranta, che non aveva bisogno né di rosso né di
imbottiture per abbellirsi; il suo principale godimento
sembrava consistere nell'offrire ricevimenti o nel
frequentarli e nel vestirsi all'ultimissima moda.
La vidi soltanto alle undici della mattina successiva al
mio arrivo, quando mi onorò di una sua visita, come mia
madre avrebbe potuto entrare in cucina per vedere una
nuova sguattera; no, non proprio così; perché mia madre
l'avrebbe accolta subito dopo il suo arrivo e non avrebbe
atteso il giorno successivo; e soprattutto le avrebbe
parlato in modo più cortese e amichevole e avrebbe
pronunciato qualche parola di conforto prima di fornirle
un chiaro e semplice elenco dei suoi doveri; la signora
Murray non fece nulla di simile. Entrò nella sala da studio
di ritorno dalla stanza della governante, dove era andata a
ordinare il pranzo, mi salutò, rimase due minuti accanto al
fuoco, disse qualche parola sul tempo e sul viaggio
«piuttosto faticoso» che dovevo avere fatto ieri; accarezzò
il figlio più piccolo, un ragazzo di dieci anni, che si era
appena pulito la bocca e le mani sul suo vestito dopo aver
mangiato un buon boccone preso dalla dispensa della
governante; mi disse che era un ragazzo tanto dolce e
buono; e subito veleggiò fuori dalla stanza, con un sorriso
di compiacimento stampato sul volto, convinta, senza
dubbio, di aver fatto più che abbastanza per il momento e
di essere stata inoltre deliziosamente benevola. I ragazzi
condividevano evidentemente la sua opinione, e io
soltanto la pensavo diversamente.
In seguito venne da me ancora una o due volte,
quando i ragazzi erano assenti, per illuminarmi sui miei
doveri nei loro confronti.
Per le ragazze, sembrava soltanto ansiosa di saperle
quanto più possibile superficialmente attraenti e
provviste di nozioni che facessero bella figura, purché
questo non fosse per loro fonte di alcun fastidio o
problema; e io dovevo agire di conseguenza: studiarmi in
ogni modo di divertirle e di compiacerle, di istruirle,
raffinarle, renderle garbate senza che loro dovessero
compiere praticamente alcuno sforzo, senza che io potessi
esercitare alcuna autorità. Per i ragazzi le cose erano più o
meno identiche; ma invece di instillare in loro raffinatezza
e doti da sfoggiare in società, dovevo cacciargli in testa
tutta la grammatica latina che potevo e tutto il Delectus di
Valpy, (4) per prepararli agli studi scolastici - sempre che,
si intende, questo non fosse per loro causa di alcuna fatica.
John a volte era un po' troppo «vivace» e Charles «un po'
nervoso e noiosetto».
«Ma in ogni caso, signorina Grey» aggiunse «mi
auguro che voi sappiate tenervi a freno e essere sempre
mite e paziente; soprattutto con il caro piccolo Charles: è
così terribilmente nervoso e suscettibile e ignaro di tutto
quello che non sia tenerezza. Vorrete scusarmi se vi dico
queste cose; ma a dire il vero, ho sempre trovato che le
istitutrici, anche le migliori, mancavano da questo punto di
vista. Erano prive di quello spirito di mitezza e di pace di
cui san Matteo, o un altro degli evangelisti, (5) dice che è
preferibile all'eleganza delle vesti: voi certo ricorderete il
brano a cui alludo, essendo figlia di un ecclesiastico. Ma
non dubito che vi rivelerete soddisfacente in questo come
in tutto il resto. E ricordate, in qualsiasi circostanza,
quando qualcuno dei ragazzi si comporta davvero male, se
persuasione e dolci proteste non valgono, mandate uno
degli altri a dirmelo; perché io posso parlare ai ragazzi con
una franchezza che in voi potrebbe essere sconveniente.
Rendeteli felici quanto più potete, signorina Grey, e sono
certa che riuscirete benissimo.»
Osservai che la signora Murray, così sollecita del
benessere e della felicità dei suoi figli, di cui parlava
continuamente, non parlava mai del mio; pure, i ragazzi
erano a casa loro, circondati da gente che li amava, e io ero
un'estranea tra estranei; e allora non conoscevo ancora
abbastanza il mondo per non stupirmi molto di tale
anomalia.
La signorina Murray, Rosalie, sui sedici anni quando io
arrivai, era una ragazza molto graziosa; e nel volgere di
due anni, quando con il tempo la sua persona si fece più
piena e sviluppata e il suo portamento e i suoi modi più
aggraziati, diventò veramente bella; di una bellezza non
comune. Era alta e snella, ma non magra; la figura
perfetta, un colorito chiarissimo, ma non privo della rosea
luminosità della buona salute; i capelli, che pettinava in
una profusione di lunghi riccioli, erano di un castano quasi
biondo; gli occhi azzurro chiaro, ma così luminosi e
splendenti che nessuno li avrebbe voluti più scuri; gli altri
lineamenti erano piccoli, non regolarissimi e senza nulla
che li distinguesse: ma nell'insieme non si poteva non
definirla una ragazza incantevole. Vorrei poter dire della
sua mente e del suo carattere quello che posso dire del
suo aspetto.
Non pensate tuttavia che debba fare terribili
rivelazioni: era vivace, gaia, e sapeva essere amabilissima
se non ci si opponeva alla sua volontà. Nei miei confronti,
al mio arrivo, si comportò con altera freddezza, poi
divenne insolente e prepotente; ma, con il progredire della
reciproca conoscenza, lasciò da parte tutte quelle arie e
con il tempo mi si affezionò quanto era possibile per lei
affezionarsi a una persona del mio carattere e nella mia
posizione: dimenticava molto raramente, per più di
mezz'ora di seguito, che io ero una dipendente, figlia di un
ecclesiastico povero. Pure, credo che in complesso mi
rispettasse più di quanto avvertisse lei stessa; perché ero
la sola in casa a professare costantemente buoni principi, a
dire abitualmente la verità, e in generale a cercare di
piegare gli impulsi e le inclinazioni al dovere; questo non lo
dico, s'intende, per lodarmi, ma per mostrare in quale
infelice stato si trovasse la famiglia a cui dedicavo in quel
momento il mio lavoro. E in nessuno di loro quella triste
mancanza di principi mi addolorava quanto nella stessa
signorina Murray; non soltanto perché mi dimostrava
simpatia; ma perché in lei vi erano tanti aspetti gradevoli
e accattivanti che, a dispetto delle sue mancanze, avevo
affetto per lei - quando non destava il mio sdegno o non
mi irritava mostrando troppo palesemente i suoi difetti.
Che erano dovuti, come ero decisa a credere, alla sua
educazione più che al suo carattere: nessuno le aveva mai
insegnato con chiarezza la differenza tra il bene e il male;
come ai suoi fratelli e sorelle, le era stato permesso, fin
dall'infanzia, di tiranneggiare balie, istitutrici e cameriere;
non le avevano insegnato a moderare i suoi desideri, a
dominarsi, o a tenere a freno la sua volontà, o a sacrificare
il proprio piacere per il bene degli altri; dotata di un
umore naturalmente buono, non era mai violenta o
imbronciata, ma, viziata costantemente e abituata a
sdegnare la ragione, era spesso testarda e capricciosa; non
aveva mai coltivato la sua mente: la sua intelligenza, nel
migliore dei casi, era superficiale; aveva molta vivacità, un
certo intuito, e qualche disposizione per la musica e le
lingue straniere, ma fino a quindici anni non si era data la
pena di imparare nulla; poi, il desiderio di fare bella figura
aveva risvegliato le sue facoltà e l'aveva spinta a
applicarsi, ma soltanto per apprendere le nozioni che le
fosse possibile sfoggiare in società; e quando arrivai io, le
cose non cambiarono: trascurava tutto tranne il francese,
il tedesco, la musica, il canto, la danza, il piccolo punto e un
po' di disegno disegni che potessero ottenere il massimo
effetto con il minimo di fatica e di cui ero in genere io a
eseguire le parti principali. Per la musica e il canto, oltre
alle mie lezioni saltuarie, aveva il miglior maestro della
zona; e in quelle arti, come nella danza, divenne senza
dubbio molto brava. Alla musica dedicava addirittura
troppo tempo, come non mancavo di dirle, pur essendo la
sua istitutrice: ma sua madre pensava che se la musica le
piaceva non poteva mai dedicare troppo tempo
all'apprendimento di un'arte così piena di attrattive.
Del piccolo punto non sapevo nulla, se non quello che
imparavo dalla mia allieva e dalla mia osservazione; ma
appena venni iniziata, subito si servì di me in mille modi, e
tutti gli aspetti più noiosi del lavoro ricadevano sulle mie
spalle: sistemare il telaio, fermare il canovaccio, scegliere
le lane e le sete, riempire gli sfondi, contare i punti,
correggere gli errori e finire i lavori di cui lei si era
stancata.
A sedici anni la signorina Murray era ancora una
monella, sebbene non più di quanto sia naturale e
accettabile in una ragazza di quella età; ma a diciassette,
tale caratteristica, come ogni altra cosa, cominciò a cedere
il campo alla passione dominante e venne assorbita nella
pervadente ambizione di attrarre e abbagliare l'altro
sesso. Ma di lei ho parlato abbastanza; passiamo ora a sua
sorella.
La signorina Matilda Murray era un vero ragazzaccio
di cui non è necessario dire molto. Aveva circa due anni e
mezzo meno della sorella; i lineamenti erano più grandi, la
carnagione molto più scura. Forse poteva diventare una
donna di maestosa bellezza; ma aveva l'ossatura troppo
grande e era troppo goffa per poter essere mai una
ragazza graziosa, e per il momento non le importava
molto.
Rosalie era consapevole di tutte le sue attrattive, le
giudicava anche maggiori di quel che fossero e le
considerava più di quel che avrebbe dovuto, quando pure
fossero state tre volte tanto; Matilda pensava di essere
passabile, ma la cosa la lasciava indifferente; ancora meno
si preoccupava di coltivare la mente e di apprendere.
Imparava le lezioni e si esercitava nella musica in un
modo che sembrava fatto per la disperazione di ogni
istitutrice. Per quanto fossero brevi e facili i suoi compiti,
se pure li eseguiva li eseguiva in modo trascurato, quando
e come capitava; ma in genere nei momenti meno adatti e
nel modo meno utile per lei e meno soddisfacente per me;
nella mezz'ora di esercizi al piano, strimpellava
atrocemente e non mi risparmiava gli insulti: perché la
interrompevo correggendola o perché non correggevo i
suoi errori prima che li commettesse o per altre cause
altrettanto irragionevoli.
Una o due volte volli protestare seriamente con lei per
questa condotta irrazionale; ma in entrambi i casi ricevetti
tali osservazioni dalla madre da convincermi che, se
volevo conservare il posto, dovevo lasciare che la
signorina Matilda facesse quello che voleva.
Finita la lezione, però, finiva di consueto anche il suo
cattivo umore: quando cavalcava il suo vivacissimo pony o
giocava con i cani o con i fratelli e la sorella, ma
soprattutto con il prediletto John, era felice come
un'allodola.
Come essere animale, Matilda era perfetta, piena di
vita, di vigore, di attività; come essere intelligente, era
barbaramente ignorante, indocile, trascurata e irrazionale,
e di conseguenza era una disperazione per chi aveva il
compito di coltivare la sua intelligenza, migliorare i suoi
modi e aiutarla a acquistare quelle doti di grazia e
portamento che, a differenza della sorella, disprezzava
come tutto il resto; in parte la madre si rendeva conto di
tali carenze, e mi ammoniva spesso sul modo di formare il
gusto di Matilda e di cercare di destare e nutrire le acque
morte della sua vanità; e di ottenere la sua attenzione
verso gli obiettivi desiderati con un'abile, discreta
adulazione - cosa che io non volevo fare; e mi spiegava
come appianare e addolcire il sentiero dell'istruzione
affinché lei potesse scivolarvi sopra senza alcuno sforzo cosa che io non potevo fare, poiché nulla può venire
davvero insegnato senza qualche sforzo da parte di chi
apprende.
Come essere morale, Matilda era stordita, testarda,
violenta e insensibile alla ragione. Testimonianza dello
stato deplorevole della sua mente era tra l'altro il fatto che
aveva imparato dal padre a imprecare come un soldato.
La madre si scandalizzava molto di quelle «abitudini
poco signorili» e si chiedeva «dove mai le avesse prese».
«Ma voi saprete presto liberarla, signorina Grey»
diceva. «E' soltanto un'abitudine, e se voi glielo farete
osservare con garbo ogni volta che lei lo fa, sono certa che
non tarderà a liberarsene.»
Non soltanto io glielo «facevo osservare con garbo»:
cercavo di farle capire quanto fosse sbagliato, e offensivo
per la gente ammodo; ma era tutto inutile: in risposta
ottenevo soltanto una risata indifferente accompagnata
da: «Oh, signorina Grey, come siete scandalizzata! Mi fa
proprio piacere!»
O da: «Non posso farci niente; papà non me lo avrebbe
dovuto insegnare: ho imparato tutto da lui; e forse
qualcosa dal cocchiere».
Suo fratello John, vale a dire il signorino Murray,
aveva circa undici anni al mio arrivo: un bel bambino sano
e robusto, in complesso sincero e di buon carattere, che
avrebbe potuto essere un bravo ragazzo se fosse stato
educato; ma al momento era rozzo come un cucciolo
d'orso, chiassoso, ribelle, indocile, ineducato, ineducabile quanto meno da un'istitutrice sotto gli occhi della madre;
probabilmente a scuola i suoi insegnanti avranno fatto di
meglio: poiché venne mandato a scuola, con mio grande
sollievo, nell'anno del mio arrivo; in uno stato, è vero, di
scandalosa ignoranza del latino come delle altre cose più
utili seppure più trascurate: il che, senza dubbio, sarebbe
stato attribuito al fatto che la sua istruzione era stata
affidata a una istitutrice ignorante, che aveva avuto la
presunzione di occuparsi di qualcosa in cui era affatto
incompetente.
Del fratello venni liberata soltanto un anno dopo,
quando anche lui fu spedito a scuola in un identico e
vergognoso stato di ignoranza.
Il signorino Charles era il tesoro della mamma. Aveva
poco più di un anno meno di John, ma era molto più
piccolo, più pallido e meno attivo e robusto; un bambino
dispettoso, vigliacco, capriccioso, egoista, attivo soltanto
quando si trattava di combinare guai, intelligente soltanto
nell'inventare bugie: non semplicemente per nascondere i
propri sbagli, ma, mosso da vera e propria malizia, per
danneggiare gli altri; a farla breve, il signorino Charles era
per me una vera spina: vivere in buona armonia con lui
metteva a dura prova la pazienza; sorvegliarlo era ancora
più difficile; istruirlo, o fingere di istruirlo, era
semplicemente inconcepibile.
A dieci anni non era in grado di leggere correttamente
la riga più facile nel libro più semplice; e poiché, per
rispettare i principi di sua madre, bisognava dirgli ogni
parola prima ancora che avesse il tempo di esitare o di
esaminarne l'ortografia, né si poteva mai fargli sapere, per
stimolarlo, che altri ragazzi erano più avanti di lui, non c'è
da stupirsi se fece ben pochi progressi nei due anni in cui
mi occupai della sua istruzione.
Bisognava ripetergli brevissime parti della grammatica
latina e di ogni altra materia fino a quando non decideva di
dire che le conosceva, poi era necessario aiutarlo a
ripeterle a sua volta: se commetteva sbagli nelle
facilissime somme di aritmetica, bisognava mostrarglieli
subito, rifacendo per lui il calcolo, invece di lasciare che
esercitasse lui la sua intelligenza trovandoli da solo; di
conseguenza, non faceva naturalmente nessuno sforzo per
evitare gli sbagli, ma spesso scriveva le cifre a caso, senza
fare alcun calcolo.
Non rispettavo sempre quelle regole: sarebbe stato
contro la mia coscienza farlo; ma era ben raro che potessi
azzardarmi a cambiarle sia pure minimamente senza
incorrere nella collera del mio piccolo allievo, e in seguito
della sua mamma, a cui lui riferiva le mie trasgressioni
esagerandole maliziosamente o aggiungendovi particolari
inventati; mi trovai spesso di conseguenza sul punto di
dimettermi dal posto o di venir licenziata; ma per amore
di quanti mi attendevano a casa, soffocavo il mio orgoglio e
tenevo a freno il mio sdegno, e riuscii a tenere duro fino a
quando il mio piccolo aguzzino venne mandato a scuola, il
padre avendo dichiarato che l'istruzione domestica «non
andava per lui, era chiaro come il sole; sua madre lo vizia
vergognosamente, e l'istitutrice non ne tira fuori nulla».
Ancora qualche osservazione su Horton Lodge e quel
che vi accadeva, e per il momento ho finito le aride
descrizioni.
La casa era di tutto rispetto, superiore a quella del
signor Bloomfield per antichità, dimensioni e ricchezza; il
giardino non era disegnato con altrettanto gusto; ma
invece dei prati ben curati, dei giovani alberi sorretti da
palizzate, dei boschetti di pioppi, e della abetaia, c'era un
vasto parco, con cervi e begli alberi antichi. La campagna
circostante era gradevole, se campi fertili, alberi in fiore,
verdi, tranquilli sentieri fiancheggiati da siepi ridenti di
fiori selvatici potevano renderla tale; ma appariva
tristemente piatta a chi fosse nata e cresciuta tra le aspre
colline di...
Eravamo a circa tre chilometri dalla chiesa del
villaggio: la carrozza di famiglia veniva dunque utilizzata
ogni domenica mattina e a volte più spesso.
I signori Murray giudicavano sufficiente mostrarsi in
chiesa una sola volta la domenica; ma spesso i ragazzi
preferivano andarci una seconda volta piuttosto che
vagare nel parco tutto il giorno senza niente da fare.
Se qualcuno dei miei allievi preferiva andare a piedi e
prendermi con sé, per me era una fortuna; altrimenti in
carrozza dovevo sedere schiacciata nell'angolo più lontano
dal finestrino aperto, con la schiena ai cavalli, in una
posizione che mi faceva sempre star male; quando non ero
addirittura costretta a uscire dalla chiesa durante la
funzione, le mie preghiere erano comunque turbate da un
senso di languore e di malessere e dal tormentoso timore
di sentirmi ancora peggio; e in genere mi accompagnava
un pesante mal di testa per tutta la giornata, che sarebbe
stata altrimenti una gradita giornata di riposo e di
tranquillo, santo godimento.
«E' molto strano, signorina Grey, che la carrozza vi
faccia sempre star male: a me non succede mai»
osservava la signorina Matilda.
«Neanche a me» diceva sua sorella «ma immagino che
mi succederebbe se mi mettessi dove siede lei: un posto
orribile, signorina Grey, non capisco come possiate
sopportarlo!»
"Sono costretta a sopportarlo, perché non mi viene
lasciata alcuna scelta" avrei potuto rispondere; ma per
non offendere i loro sentimenti mi limitavo a dire: «Oh, è
un tragitto breve, e purché non mi senta male in chiesa
non ha importanza.»
Se mi venisse chiesto di descrivere le occupazioni
abituali di una giornata, lo troverei molto difficile.
Prendevo i pasti nella sala da studio con i miei allievi,
all'ora che preferivano: a volte suonavano per il pranzo
quando ancora non era cotto; a volte lo tenevano a
freddarsi più di un'ora e poi si lamentavano perché le
patate erano fredde, e nel sugo, gelato, galleggiavano
macchie gialle di grasso; qualche volta prendevano il tè
alle quattro; spesso gridavano con i domestici perché il tè
non era pronto alle cinque precise; e quando i loro ordini
venivano eseguiti, per incoraggiare la puntualità lo
tenevano a aspettare sul tavolo fino alle sette o alle otto.
Le ore di studio erano organizzate con lo stesso
disordine; non mi veniva mai chiesto che cosa ne pensassi
o che cosa mi riuscisse più comodo. A volte Matilda e John
decidevano di «finirla con quella pestifera faccenda prima
di colazione» e mandavano la cameriera a chiamarmi alle
cinque e mezzo, senza farsi scrupolo e senza scusarsi; a
volte mi dicevano di tenermi pronta alle sei precise, io mi
vestivo in gran fretta, scendevo, trovavo la stanza vuota,
e dopo avere atteso a lungo scoprivo che avevano
cambiato idea e che erano ancora a letto; oppure, se era
una bella mattina d'estate, la Brown veniva a dirmi che le
signorine e i signorini si erano presi una vacanza e erano
usciti; allora mi toccava aspettare la prima colazione fino a
sentirmi svenire di debolezza: loro avevano mangiato
qualcosa prima di uscire.
Spesso facevamo lezione all'aria aperta, e io non avrei
avuto nulla in contrario se non avessi più di una volta
preso freddo sedendo sull'erba umida o esponendomi alla
rugiada della sera o a qualche insidiosa corrente che non
sembrava avere alcun effetto su di loro.
Andava benissimo che loro fossero forti e rotti a tutto,
ma senza dubbio avrebbero potuto imparare a avere un
po' di considerazione per chi non lo era altrettanto.
Tuttavia, non devo biasimarli per quella che forse era
colpa mia, poiché accettavo sempre senza obiezioni di fare
lezione dove volevano; preferendo scioccamente
rischiarne le conseguenze per non essere di disturbo a
loro.
Il modo indecoroso in cui seguivano le lezioni non era
meno singolare della capricciosa bizzarria di cui davano
prova nella scelta del tempo e del luogo. Mentre mi
ascoltavano o ripetevano quello che avevano imparato, se
ne stavano sdraiati su un divano, distesi sul tappeto, si
stiravano, sbadigliavano, parlavano tra loro o guardavano
fuori dalla finestra; ma io non potevo smuovere il fuoco o
chinarmi a raccogliere il fazzoletto che mi era caduto senza
essere accusata di distrazione da uno dei miei allievi,
senza sentirmi dire che «alla mamma non sarebbe
piaciuto sapermi così trascurata».
La servitù, vedendo con quanto poco rispetto
l'istitutrice veniva trattata dai genitori e dai figli, si
comportava di conseguenza.
Li ho spesso difesi, rischiando io stessa, contro la
tirannia e l'ingiustizia dei loro padroncini; e ho sempre
cercato di dare il minor disturbo possibile: ma loro non si
curavano affatto del mio benessere, ignoravano le mie
richieste, trascuravano le mie istruzioni. Non tutta la
servitù, ne sono certa, si sarebbe comportata così; ma la
servitù in genere, ignorante e poco abituata a ragionare e
a riflettere, si lascia sviare facilmente dalla trascuratezza e
dal cattivo esempio dei suoi superiori; e questi ultimi, non
credo proprio fossero dei migliori.
A volte mi sentivo avvilita dalla vita che conducevo e
mi vergognavo di accettare quelle umiliazioni; altre volte
mi trovavo sciocca a preoccuparmene tanto e temevo di
essere tristemente priva di umiltà cristiana, o di quella
carità che è paziente, è benigna, non cerca il suo interesse,
non si adira, tutto crede, tutto sopporta. (6)
Ma, con il tempo e la pazienza, le cose cominciarono a
migliorare: lentamente, è vero, quasi impercettibilmente;
però mi liberai dei miei allievi maschi (un non piccolo
vantaggio), e le ragazze, come già ho accennato parlando
di una di loro, diventarono un po' meno insolenti e
cominciarono a dar prova di una certa stima.
La signorina Grey era una creatura strana: non
adulava mai e non le lodava abbastanza; ma quando
parlava bene di loro, o di qualcosa che le riguardava,
potevano essere certe che si trattava di un
apprezzamento assolutamente sincero.
Era in complesso molto gentile, tranquilla e pacifica,
ma alcune cose le facevano perdere la pazienza; non che
gliene importasse molto, certo, ma tanto valeva tenerla di
buon umore, perché quando era di buon umore parlava
con loro e qualche volta era molto simpatica e divertente a
suo modo: un modo molto diverso da quello della mamma,
ma andava bene, tanto per cambiare. Aveva una sua
opinione su ogni argomento e non la cambiava: opinioni
spesso molto noiose, perché pensava sempre a che cosa
era bene e che cosa era male e aveva una strana
reverenza per quello che riguardava la religione e una
inspiegabile simpatia per le persone per bene.
NOTE: (1) L'espressione «mondo di acque» (world of
waters), che ritorna nel capitolo finale, è presa da Milton,
Il Paradiso perduto, III, II.
(Ndt)
(2) Nuova citazione lievemente inesatta dalle Stagioni
di Thomson («L'inverno», vv. 802-3); la Brontë
sostituisce tossed a lost e heavy laden a heavyloaded (il
senso sostanzialmente non cambia, anche se tossed è un
modo più drammatico per esprimere il concetto dei
deserti «perduti» nella neve). (Ndt)
(3) Cfr. Shakespeare, Molto rumore per nulla, III, V,
20-22; Dogberry, il capo della ronda di notte che si trova
a svolgere nella commedia il ruolo di un bizzarro e confuso
deus ex machina, si imbroglia sempre nelle parole e finisce
spesso, nell'ansia di essere cortese, per rivelarsi offensivo;
in questo caso, dopo aver ricordato che i paragoni sono
sempre «odorosi», si dichiara pronto a fare dono di tutta
la sua noia, quando pure fosse mille volte quella che è.
(Ndt)
(4) Si tratta di un testo di latino molto usato
nell'Ottocento, il Delectus Sententiarum et Historiarum di
Richard Valpy, di cui la stessa Anne Brontë possedeva una
copia, e che anche Charlotte Brontë cita, in Jane Eyre.
(Ndt)
(5) Significativamente, un personaggio come la signora
Murray sbaglia la citazione biblica, che non soltanto non è
in Matteo ma non è in nessuno dei quattro Vangeli; è dalla
I Lettera di San Pietro, 3, 3-4: «Il vostro ornamento non
sia quello esteriore [...]; cercate piuttosto di adornare
l'interno del vostro cuore con un'anima incorruttibile
piena di mitezza e di pace». (Ndt)
(6) Cfr. I Lettera ai Corinzi, 13, 4-7. (Ndt)
VIII.
Il «debutto in società»
A diciotto anni la signorina Murray sarebbe emersa
dalla tranquilla oscurità della sala da studio al pieno
fulgore del bel mondo - o di quello che, del bel mondo, si
poteva avere fuori da Londra: suo padre infatti non
intendeva rinunciare ai piaceri e agli impegni agresti
neppure per un soggiorno di poche settimane in città.
Avrebbe fatto il suo debutto il 3 gennaio, a uno
splendido ballo che la mamma intendeva offrire a tutta
l'alta nobiltà e alla élite della piccola aristocrazia di O... e
delle vicinanze, nel raggio di trenta chilometri. Pensava
naturalmente a quell'evento con la più sfrenata
impazienza e aspettandosene stravaganti delizie.
«Signorina Grey» mi disse una sera, un mese prima
della memorabile giornata, mentre io leggevo una lunga e
interessantissima lettera di mia sorella che la mattina
avevo appena scorso per controllare che non vi fossero
brutte notizie e avevo messo da parte non avendo trovato
prima un momento tranquillo per leggerla «signorina
Grey, mettete via quella stupida noiosa lettera e statemi a
sentire! Sono certa che la mia conversazione sia molto più
divertente.»
Sedette sullo sgabello ai miei piedi; io, soffocando un
sospiro esasperato, cominciai a piegare la lettera.
«Dovreste dire alla brava gente di casa vostra di non
annoiarvi con lettere così lunghe» osservò «e soprattutto
ditegli che scrivano su una carta da lettere decente e non
su quei fogli enormi, che sono così volgari. Dovreste
vedere come sono eleganti e signorili i bigliettini che la
mamma scrive alle amiche.»
«La brava gente di casa mia» risposi «sa benissimo
che, più le lettere sono lunghe e più mi fanno piacere. Mi
dispiacerebbe molto ricevere da qualcuno di loro un
bigliettino signorile; e credevo foste voi stessa troppo
signorile, signorina Murray, per parlare della "volgarità"
di lettere scritte su fogli larghi.»
«Ma l'ho detto soltanto per scherzare. Adesso voglio
parlare del ballo; e dirvi che dovete assolutamente
rimandare le vacanze a dopo il ballo.»
«E perché? Io non parteciperò al ballo.»
«No, ma vedrete le stanze decorate e sentirete la
musica e soprattutto vedrete me nel mio bellissimo
vestito nuovo. Sarò così incantevole che voi mi
adorerete... dovete proprio fermarvi.»
«Mi piacerebbe vedervi; ma avrò molte occasioni di
vedervi non meno incantevole a uno degli innumerevoli
balli e ricevimenti futuri, e non posso deludere i miei cari
rimandando di tanto il mio ritorno.»
«Oh, ma non ci badate ai vostri cari! Ditegli che non vi
permettiamo di andare.»
«Vedete, per essere sincera, sarei delusa anch'io: sono
ansiosa di vederli non meno di quanto loro lo siano di
vedere me - forse di più.»
«Ma è così poco tempo.»
«Quasi due settimane secondo i miei calcoli; e inoltre
non sopporto l'idea di passare il Natale lontano da casa:
senza dire che mia sorella si sposa.»
«Davvero? quando?»
«Non prima del mese prossimo: ma voglio essere
presente per aiutarla nei preparativi e per godere della
sua compagnia finché l'abbiamo con noi.»
«Perché non me lo avete detto prima?»
«L'ho saputo solo da questa lettera, che voi definite
stupida e noiosa e mi impedite di leggere.»
«Chi sposa?»
«Il signor Richardson, il titolare (1) di una parrocchia
vicina.»
«E' ricco?»
«No, soltanto agiato.»
«E' bello?»
«No, soltanto passabile.»
«Giovane?»
«No, soltanto di mezza età.»
«Oh, povera me, che pianto! E la casa com'è?»
«Una tranquilla canonica, con un portico ricoperto
d'edera, un giardino all'antica e...»
«O basta! mi fate star male. Ma come fa a
sopportarlo?»
«Immagino che non soltanto saprà sopportarlo, ma
che sarà molto felice. Non mi avete chiesto se il signor
Richardson è un uomo buono, saggio o amabile; avrei
risposto di sì a tutte queste domande: quanto meno, è
quel che pensa Mary, e spero che non si sia ingannata.»
«Ma povera creatura, come può pensare di passare la
vita là, chiusa con quell'antipatico vecchio, e senza
nessuna speranza di cambiamento?»
«Non è vecchio; ha soltanto trentasei o trentasette
anni, e mia sorella ne ha ventotto, e è tranquilla e posata
come ne avesse cinquanta.»
«Oh, allora così va meglio: sono bene assortiti: ma lo
chiamano il "degno signor parroco"?»
«Non lo so; ma se lo fanno, credo che lui meriti
l'aggettivo.»
«Terribile! e lei porterà un grembiulino bianco e
preparerà focacce e pudding?»
«Non saprei per quanto riguarda il grembiulino bianco,
ma immagino che ogni tanto preparerà focacce e pudding:
non sarà una gran fatica, perché lo ha già fatto.»
«E girerà con un modesto scialle e un largo cappello di
paglia distribuendo opuscoli edificanti e brodo di ossa ai
parrocchiani poveri del marito?»
«Non saprei proprio; ma sono certa che farà del suo
meglio per farli star bene nel corpo e nella mente,
seguendo l'esempio di nostra madre.»
NOTE: (1) Nell'originale, vicar, vale a dire «parroco di
una parrocchia le cui decime sono nelle mani di laici»;
Hatfield è rector, «parroco di una parrocchia che ha
conservato le decime»; e Weston, prima di diventare a
sua volta vicar, è curate, coadiutore, viceparroco, pagato
generalmente, come qui è il caso, dal parroco titolare. Non
essendo l'ordinamento della chiesa anglicana uguale a
quello della chiesa cattolica, non è sempre facile rendere
l'espressione inglese con un'espressione italiana che
corrisponda pienamente alla realtà delle cose; nella chiesa
cattolica il rettore (con cui è stata tradotta la parola
rector) designava anticamente il parroco, ma adesso
indica (oltre al rettore di un seminario) il sacerdote che
regge una chiesa non parrocchiale (né cattedrale o
capitolare, o di una comunità religiosa). (Ndt)
IX. Il ballo
«E adesso, signorina Grey» esclamò la signorina Murray
appena io entrai nella sala da studio dopo essermi tolta gli
abiti di fuori al mio ritorno dalle quattro settimane di
vacanza «adesso chiudete la porta, sedete e vi racconterò
tutto del ballo.»
«No, d........e, no!» gridò la signorina Matilda. «Non
puoi tenere il becco chiuso? e lasciarmi parlare della mia
nuova giumenta - un vero schianto, signorina Grey, una
bella purosangue...»
«Stai zitta, Matilda, e lasciami raccontare per prima.»
«No, no, Rosalie; ci metterai tanto di quel do.....o
tempo a raccontare: deve ascoltare prima me; possa
essere impiccata se non farà così.»
«Mi dispiace sentire, signorina Matilda, che non vi
siete ancora liberata da quella orribile abitudine.»
«Non so che farci; ma non dirò mai più una brutta
parola, se mi state a sentire e dite a Rosalie di tenere
chiuso quel suo maledetto becco.»
Rosalie protestò, e io cominciai a temere che mi
avrebbero strappato in due; ma la signorina Matilda
aveva una voce più forte, e sua sorella infine cedette e le
permise di raccontare per prima; ero dunque condannata
a ascoltare un lungo resoconto della sua meravigliosa
giumenta, dei suoi genitori e del suo pedigree, del suo
ritmo, del suo movimento, della sua vivacità, eccetera
eccetera, e dello straordinario coraggio e abilità di Matilda
stessa nel cavalcarla; concluso con l'affermazione che
sapeva saltare un cancello a cinque sbarre «in un
battibaleno» e che papà aveva detto che al prossimo
raduno di caccia lei avrebbe potuto essere presente e
mamma le aveva ordinato un abito da amazzone rosso
scarlatto.
«Oh, Matilda, quante fandonie racconti!» esclamò sua
sorella.
«Be'» rispose la ragazza senza lasciarsi scomporre
«sono certa che potrei saltare un cancello a cinque sbarre
se provassi, e papà dirà che posso partecipare alla caccia e
mamma ordinerà l'abito da amazzone quando io glielo
chiederò.»
«Bene, adesso basta, cara Matilda, e cerca di
comportarti da signora. Signorina Grey, vorrei proprio
che le diceste di non usare parole tanto scandalose; insiste
nel chiamare "giumenta" il suo cavallo: è incredibilmente
scandaloso! E poi usa espressioni orribili nel descriverlo:
certamente le ha imparate dai mozzi di stalla. Mi fa
diventare isterica quando comincia.»
«Le ho imparate da papà, idiota! e dai suoi amici»
ribatté la signorina, facendo vigorosamente schioccare un
frustino che aveva l'abitudine di tenere in mano. «Non
sono da meno di nessuno nel giudicare i cavalli.»
«Ma adesso basta, sei una ragazza scandalosa. Mi
verrà davvero una crisi di nervi se continui così. E ora,
signorina Grey, ascoltate me; vi parlerò del ballo. Sono
certa che moriate dalla voglia di sentirlo. Che ballo è stato!
Non avete mai visto o sentito o letto o sognato niente di
simile in vita vostra! Gli addobbi, gli intrattenimenti, la
cena, la musica erano indescrivibili! e gli ospiti poi! C'erano
due lord, tre baronetti e cinque signore titolate, e altre
signore e gentiluomini a centinaia. Delle signore, certo,
non mi importava molto: servivano soltanto a farmi
sentire di buon umore con me stessa, tanto erano per la
maggior parte brutte e goffe; e le più belle, mi ha detto
mamma - le bellezze più incredibilmente straordinarie non erano niente paragonate a me. E quanto a me,
signorina Grey, mi dispiace tanto che non mi abbiate
vista! Ero incantevole... non è vero, Matilda?»
«Potevi andare.»
«No, lo ero davvero - almeno, mamma ha detto che lo
ero... e anche la Brown e la Williamson. La Brown ha detto
che certo nessun gentiluomo poteva vedermi senza
innamorarsi all'istante; quindi, posso permettermi di
essere un po' vanitosa. Lo so che mi considerate una
ragazza sventata, presuntuosa, frivola; ma non dovete
credere che io attribuisca tutto alle mie attrattive
personali: do una parte del merito al parrucchiere, e una
parte al mio delizioso vestito - domani ve lo mostrerò velo bianco su raso rosa... e un taglio così bello! e una
collana e un braccialetto di perle grandi così!»
«Sono certa che foste molto bella; ma dovreste
davvero rallegrarvene tanto?»
«Oh, no... non per quello soltanto; ma vedete, sono
stata così ammirata; e ho fatto tante conquiste in una sola
sera... vi stupirebbe sentire...»
«Ma a che cosa vi serviranno?»
«A che cosa mi serviranno? Ma come può una donna
fare una domanda simile?»
«Mi sembra che una conquista sia abbastanza, e anche
troppo, se la conquista non è stata reciproca.»
«Lo sapete bene che su queste cose non sono mai
d'accordo con voi.
Aspettate adesso: vi dirò i miei più grandi ammiratori
- quelli che si sono fatti soprattutto notare quella sera e in
seguito: perché da allora sono stata a due ricevimenti.
Purtroppo i due aristocratici, Lord G... e Lord F..., erano
sposati, o mi sarei forse degnata di essere particolarmente
amabile con loro; ma non l'ho fatto, anche se Lord F..., che
odia sua moglie, era palesemente molto colpito da me.
Mi ha chiesto due volte di ballare con lui, è un ottimo
ballerino, tra l'altro, e anch'io lo sono... non potete
immaginare quanto ballassi bene... io stessa ne ero
stupita. Anche lui mi faceva molti complimenti... - ne
faceva troppi, a dire la verità - e mi è parso conveniente
prendere un'aria altera e un po' scostante; ma ho avuto il
piacere di vedere quella brutta bisbetica di sua moglie
diventare verde di rabbia e dispetto...»
«Oh, signorina Murray, non vorrete dire sul serio che
una cosa simile poteva farvi piacere! Per quanto bisbetica
o...»
«Sì, lo so che non è bene... ma non importa! Una volta
o l'altra mi deciderò a essere buona, ma adesso non fate la
predica, siate gentile... Non vi ho ancora detto neanche la
metà... Vediamo... Oh, sì, volevo dirvi quanti
inequivocabili ammiratori ho avuto: uno era sir Thomas
Ashby; sir Hugh Meltham e sir Broadley Wilson sono due
vecchi decrepiti, buoni solo per stare in compagnia con
papà e mamma.
Sir Thomas è giovane, ricco, allegro; ma è brutto come
il peccato; però la mamma dice che dopo averlo conosciuto
per qualche mese non ci baderei più. Poi c'era Harry
Meltham, il figlio più giovane di sir Hugh: piuttosto bello e
simpatico per amoreggiarci un po'; ma è un cadetto, e può
andar bene solo per questo; poi c'era il giovane signor
Green, abbastanza ricco ma di una famiglia che non conta
niente, un ragazzone stupido, un vero scioccone di
campagna; e poi il nostro rettore, il signor Hatfield, che
dovrebbe considerarsi un umile ammiratore; ma temo che
abbia dimenticato di annoverare l'umiltà tra le sue virtù
cristiane.»
«Era al ballo il signor Hatfield?»
«Sì, certo. Pensavate fosse troppo virtuoso per
andarci?»
«Pensavo potesse considerarlo poco adatto a un
ecclesiastico.»
«No davvero. Non ha offeso l'abito ballando, questo no,
ma faticava molto a trattenersi, pover'uomo: sembrava
morisse dalla voglia di chiedermi almeno una danza... A
proposito, ha un nuovo coadiutore: quel vecchietto del
signor Bligh ha finalmente ottenuto la tanto desiderata
parrocchia e se n'è andato.»
«E com'è il nuovo?»
«Oh, un uomo impossibile! Si chiama Weston. Posso
descrivervelo con tre parole: uno zuccone sciocco, brutto e
stupido. Sono quattro, ma non importa... basta ora parlare
di lui.»
Ritornò infatti a parlare del ballo e mi descrisse
nuovamente la sua condotta quella sera e ai molti
ricevimenti ai quali era stata in seguito; e mi diede nuovi
particolari su sir Thomas Ashby e sui signori Meltham,
Green e Hatfield e sulla incancellabile orma che aveva
lasciato nei loro cuori.
«E quale dei quattro preferite?» chiesi, soffocando il
terzo o quarto sbadiglio.
«Li detesto tutti!» ribatté lei scuotendo i riccioli
luminosi in un vivace gesto di sdegno.
«Il che significa, immagino, che vi piacciono tutti, ma
quale vi piace di più?»
«No, li detesto davvero; ma Harry Meltham è il più
bello e più simpatico e il signor Hatfield il più intelligente,
sir Thomas il meno raccomandabile e il signor Green il più
stupido. Ma quello che mi toccherà prendere, immagino,
se sono destinata a prendere uno di loro, è sir Thomas
Ashby.»
«No di certo, se è poco raccomandabile e lo detestate.»
«Oh, non mi importa che sia un poco di buono: lo
rende più simpatico; e quanto a detestarlo... non mi
dispiacerebbe poi molto diventare Lady Ashby di Ashby
Park se proprio devo sposarmi; ma se potessi restare
sempre giovane, vorrei restare sempre nubile. Mi
piacerebbe divertirmi davvero e civettare con tutti fino al
momento di diventare una zitella; allora, per sfuggire tale
vergogna, dopo aver fatto diecimila conquiste, spezzare
tutti quei cuori tranne uno, sposando un marito di nascita
nobile, ricco, indulgente, che altre cinquanta signore si
disputavano.»
«Finché avete queste idee, restate nubile, mi
raccomando, e non sposatevi mai, neppure per sfuggire la
vergogna di rimanere zitella.»
X. la chiesa
«Dunque, signorina Grey, che cosa pensate del nuovo
coadiutore?» mi chiese la signorina Murray al nostro
ritorno dalla chiesa la domenica successiva alla ripresa del
mio lavoro.
«Non potrei dirlo» risposi. «Non l'ho neppure sentito
predicare.»
«D'accordo, ma lo avete visto, no?»
«Sì, ma non posso pensare di giudicare il carattere di
un uomo dopo un solo sguardo al suo viso.»
«Ma non è brutto?»
«Non mi è parso tale; non mi dispiace quel tipo di
fisionomia: ma la sola cosa che davvero ho notato in lui è il
suo stile di lettura; e mi è sembrato buono... molto
migliore, in ogni caso, di quello del signor Hatfield. Ha letto
come volesse dare forza a ogni singolo brano: sembrava
che neppure le persone più distratte potessero evitare di
ascoltare e neppure le più ignoranti potessero non capire;
e le preghiere le leggeva come non stesse leggendo, ma
pregando con fervore e sincerità dal profondo del cuore.»
«Oh, sì, non sa fare altro; nel servizio divino riesce a
cavarsela bene; ma al di fuori di quello non ha idee.»
«Come fate a saperlo?»
«Oh, lo so benissimo; sono cose che capisco molto
bene. Avete visto come è uscito di chiesa? camminando
dritto davanti a sé, quasi ci fosse stato soltanto lui - senza
guardare né a destra né a sinistra: era chiaro che pensava
unicamente a uscire dalla chiesa e forse a tornare a casa
per il pranzo: non c'erano altre idee in quel testone
sciocco.»
«Immagino avreste voluto vedergli lanciare
un'occhiata al banco dello squire» risposi, ridendo di quella
veemente ostilità.
«Questa poi! Mi sarei offesa moltissimo se avesse
osato tanto» ribatté lei, scuotendo il capo in un gesto
altero; poi, dopo una breve riflessione, aggiunse: «In
fondo, immagino che possa andare per il posto che occupa,
ma sono lieta di non dover contare su di lui per i miei
svaghi, ecco tutto. Avete visto come si è precipitato fuori il
signor Hatfield per fare in tempo a salutarmi e a aiutarci a
salire in carrozza?»
«Sì» risposi, aggiungendo tra me: "E mi è parso poco
dignitoso per un ecclesiastico volare giù dal pulpito tutto
ansioso di stringere la mano allo squire e di aiutare sua
moglie e le figlie a salire in carrozza; per di più sono
seccata con lui perché me ne ha quasi chiuso fuori".
Sebbene infatti gli stessi proprio di fronte e fossi
vicinissima al predellino della carrozza, aspettando di
salire, insisteva nell'aiutare le altre signore e nel chiudere
la portiera, finché non lo aveva fermato qualcuno della
famiglia dicendogli che l'istitutrice non era ancora salita;
allora, senza una parola di scuse, se ne era andato
salutando e lasciando che fosse lo staffiere a finire il suo
compito. Nota bene: Il signor Hatfield non parlava mai con
me, né sir Hugh o Lady Meltham, né il signor Harry o la
signorina Meltham, né il signor Green o le sue sorelle, né
alcuno dei frequentatori della chiesa: per essere precisi,
nessun visitatore di Horton Lodge mi rivolgeva mai la
parola.
La signorina Murray ordinò nuovamente la carrozza
nel pomeriggio per sé e la sorella: disse che faceva troppo
freddo per passeggiare in giardino, e inoltre pensava che
Harry Meltham sarebbe andato in chiesa.
«Infatti» aggiunse, sorridendo con aria allusiva alla sua
bella immagine riflessa nello specchio «nelle ultime
domeniche è stato un fedele esemplare: lo avreste creduto
un perfetto cristiano. E potete venire con noi, signorina
Grey, voglio che lo vediate; è tanto migliorato da quando è
tornato dall'estero... non potreste immaginare quanto! E
per di più avrete l'occasione di rivedere il bel signor
Weston e di sentirlo predicare.»
Lo sentii infatti predicare e mi piacque molto la verità
evangelica della sua dottrina, così come la fervida
semplicità dei suoi modi e la chiarezza e la forza del suo
stile.
Era un piacevole cambiamento ascoltare sermoni simili
dopo essere stati abituati agli aridi, tediosi discorsi del suo
predecessore e alle declamazioni ancora meno edificanti
del rettore, che se ne veniva veleggiando lungo la navata,
o piuttosto turbinando come una tromba d'aria, con la
tonaca di ricca seta svolazzante e frusciante contro i
banchi, e saliva sul pulpito come un conquistatore sul
carro trionfale; poi, sprofondando sul cuscino di velluto in
un atteggiamento di studiata eleganza, rimaneva qualche
tempo inginocchiato in silenzioso raccoglimento; quindi
borbottava una Colletta, diceva in fretta il Padre Nostro,
si alzava, si toglieva un immacolato guanto color lavanda
per offrire ai fedeli la vista degli anelli luccicanti, si
passava lievemente le dita tra i bei capelli arricciati, tirava
fuori un fazzoletto di percalle, recitava un brevissimo
brano o soltanto una frase della Scrittura come epigrafe
della sua omelia, e infine pronunciava l'omelia, che si
poteva considerare ben costruita, sebbene troppo studiata
e artificiale per soddisfare me; le tesi erano enunciate con
chiarezza, le argomentazioni erano condotte con logica
serrata; pure, era a volte difficile ascoltarlo in silenzio fino
alla fine, senza esprimere in qualche modo
disapprovazione o impazienza.
I suoi temi preferiti erano la disciplina ecclesiastica, i
riti e le cerimonie, la successione apostolica, il dovere di
rispettare il clero e di obbedirgli, la colpa orrenda del
dissenso, (1) l'assoluta necessità di osservare tutte le
forme di devozione, la riprovevole presunzione di alcuni
individui che cercavano di pensare con la loro testa su
argomenti relativi alla religione o di farsi guidare dalla loro
interpretazione delle Scritture, e, di quando in quando
(per compiacere i parrocchiani importanti), la necessità
per i poveri di obbedire con deferenza ai ricchi; e
appoggiava le sue massime e le sue esortazioni con
citazioni tratte dai Padri della Chiesa, che sembrava
conoscere molto meglio degli apostoli e degli evangelisti e
considerare importanti almeno quanto loro.
Ma ogni tanto pronunciava un sermone di diversa
natura, che alcuni avrebbero definito ottimo, ma che era
cupo e severo e rappresentava la Divinità come un
maestro terribile e non come un Padre benevolo.
Eppure, ascoltandolo, ero portata a pensare che
quell'uomo fosse sincero in ogni sua parola;
evidentemente aveva mutato opinione e era diventato
profondamente religioso, cupo e austero, ma sempre
devoto; di consueto però tali illusioni venivano dissipate,
all'uscita dalla chiesa, ascoltando la sua voce impegnata in
un gaio colloquio con qualcuno dei Meltham o dei Green o
degli stessi Murray: spesso rideva del suo sermone e si
augurava di aver dato materia di riflessione a quei
bricconi; a volte esultava al pensiero che la vecchia Betty
Holmes avrebbe ora rinunciato alla colpevole indulgenza
della pipa, che da più di trent'anni ormai era il suo
conforto quotidiano, che George Higgins per la paura
avrebbe evitato di passeggiare la domenica, e Thomas
Jackson avrebbe avuto tristi crisi di coscienza e avrebbe
visto scossa la sua ferma speranza di una gioiosa
resurrezione nell'ultimo giorno.
Di conseguenza, potevo soltanto concludere che il
signor Hatfield era di quelli che legano pesanti fardelli e li
impongono sulle spalle della gente, ma loro non vogliono
muoverli neppure con un dito, e annullano la parola di Dio
in nome della loro tradizione insegnando come dottrina
divina i precetti degli uomini. (2) Mi rallegrava vedere che
il nuovo coadiutore, per quanto potevo capire, non gli
somigliava in nessuno di questi aspetti.
«Ebbene, signorina Grey, che cosa pensate adesso di
lui?» chiese la signorina Murray quando salimmo in
carrozza dopo il servizio.
«Continuo a non pensarne niente di male» risposi.
«Niente di male!» ripeté lei stupita. «Che intendete?»
«Intendo che non penso di lui peggio di quanto
pensassi prima.»
«Non peggio! Lo credo bene: piuttosto il contrario!
Non è molto migliorato?»
«Oh, sì, molto davvero» annuii, avendo infine scoperto
che si riferiva a Harry Meltham e non al signor Weston.
Meltham si era fatto alacremente avanti per parlare alle
signorine, come non avrebbe osato fare se fosse stata
presente la madre; le aveva anche garbatamente aiutate a
salire in carrozza, e non aveva cercato di chiudermi fuori
come il signor Hatfield; né mi aveva, si intende, offerto il
suo aiuto (non lo avrei accettato se lo avesse fatto), ma,
finché la portiera era rimasta aperta, se ne era stato lì a
chiacchierare e a fare smancerie con loro, e poi si era tolto
il cappello e si era allontanato verso casa; ma io quasi non
mi ero accorta di lui. Le mie due compagne, tuttavia,
erano state più attente osservatrici, e, mentre la carrozza
procedeva, parlarono tra loro non soltanto del suo aspetto,
delle sue parole e delle sue azioni, ma di ogni lineamento
del suo volto, di ogni suo capo di abbigliamento.
«Non lo avrai tutto per te, Rosalie» disse la signorina
Matilda per concludere. «Mi piace: sono certa che sarebbe
un compagno simpatico e divertente per me.»
«Puoi prendertelo, Matilda» rispose sua sorella
ostentando indifferenza.
«E sono sicura» continuò l'altra «che mi ammira non
meno di quanto ammira te, vero, signorina Grey?»
«Non so; non conosco i suoi sentimenti.»
«Come volete, però è vero!»
«Mia cara Matilda, nessuno ti ammirerà mai se non ti
liberi di quei tuoi modi rozzi e goffi.»
«Oh, sciocchezze! A Harry Meltham piacciono quei
modi, e anche agli amici di papà.»
«Forse potrai conquistare vecchi signori e figli cadetti;
ma nessun altro, ne sono certa, si incapriccerà mai di te.»
«Non mi importa; non sto sempre a pensare ai soldi
come te e la mamma. Se mio marito può mantenere
qualche buon cavallo e qualche buon cane, mi basterà; il
resto può andare al diavolo!»
«Se ti servi di espressioni così sconvenienti, non dubito
che nessun vero gentiluomo si azzarderà mai a
avvicinarti... Insomma, signorina Grey, non dovreste
permetterle di parlare così.»
«Non posso impedirglielo, signorina Murray.»
«E ti sbagli di grosso, Matilda, se credi che Harry
Meltham ti ammiri: ti assicuro che non è così.»
Matilda si preparava a rispondere con rabbia; ma per
fortuna il nostro viaggio era giunto alla fine, e la lite venne
interrotta dallo staffiere che apriva la portiera e
abbassava il predellino.
NOTE: (1) Con il nome dissenters si indicano quanti
non aderiscono alla established Church, alla religione
ufficiale anglicana, ma a un'altra delle confessioni cristiane
nate dalla Riforma. E' possibile tuttavia che qui si parli più
generalmente di chi, pur non aderendo a un'altra
confessione religiosa, dissente dalle dottrine e dall'autorità
della chiesa anglicana. (Ndt)
(2) Cfr. Matteo, 23, 4 e 15, 6-9: le accuse di Gesù agli
scribi e ai farisei. (Ndt)
XI. Gli affittuari
Avendo ormai una sola allieva - sebbene questa sola
riuscisse a darmi preoccupazioni come tre o quattro
allieve normali e sebbene sua sorella prendesse ancora
lezioni di tedesco e disegno - disponevo di molto più
tempo per me di quanto mai avessi avuto il bene di
averne da che mi ero imposta il giogo di istitutrice; e
dividevo il mio tempo libero tra la corrispondenza con i
miei cari, la lettura, lo studio, gli esercizi di musica, di
canto, eccetera eccetera, e le passeggiate nel parco o nei
campi vicini, con le mie allieve, se richiedevano la mia
compagnia, sola in caso contrario.
Spesso, quando non avevano sotto mano
un'occupazione più gradevole, le signorine Murray si
svagavano recandosi in visita dagli affittuari poveri della
proprietà del padre per riceverne il lusinghiero omaggio o
per ascoltare le vecchie storie o i pettegolezzi delle
vecchiette loquaci; o forse per godere del piacere più puro
di rallegrare la povera gente con la loro confortante
presenza e i loro occasionali regali, donati con tanta
facilità, accolti con tanta gratitudine. A volte mi veniva
chiesto di accompagnare una delle sorelle o entrambe in
queste visite; e a volte mi domandavano di andare da sola
per mantenere una promessa che erano pronte a fare,
molto meno a mantenere, per portare qualche piccolo
dono o fare la lettura a qualcuno che era malato o aveva
una natura riflessiva: strinsi così alcune amicizie tra gli
affittuari, e a volte li andavo a trovare per conto mio.
Di consueto mi dava maggior soddisfazione andare da
sola, poiché le signorine Murray, soprattutto per le
carenze nella loro educazione, si comportavano con gli
inferiori in un modo cui mi era molto sgradito assistere.
Non si mettevano mai con il pensiero al loro posto e di
conseguenza non avevano alcun rispetto per i loro
sentimenti, considerandoli una categoria di persone
assolutamente diversa da loro.
Guardavano mangiare quelle povere creature facendo
osservazioni scortesi sul loro cibo e sui loro modi, ridevano
della semplicità delle loro idee e delle loro espressioni
dialettali, tanto che alcuni di loro neppure osavano
parlare; chiamavano apertamente le persone anziane
«vecchi pazzi» o «stupide vecchie», e tutto questo senza
avere alcuna intenzione di offenderli.
Io vedevo bene che la gente era spesso offesa e irritata
da quel comportamento, anche se il loro timore delle
«gran signore» li tratteneva dall'esprimere qualsiasi
risentimento, ma loro non se ne accorgevano mai.
Pensavano che quei contadini, essendo poveri e ineducati,
dovessero essere anche stupidi e rozzi; e quanto a loro,
che gli erano superiori, purché si degnassero di parlargli e
di donargli qualche moneta o qualche vestito, avevano il
diritto di divertirsi, anche a loro spese; e gli altri dovevano
adorarle come angeli di luce, che si degnavano di
provvedere alle loro necessità e di illuminare le loro umili
dimore.
Feci numerosi tentativi per liberare le mie allieve da
quelle ingannevoli convinzioni senza risvegliare il loro
orgoglio, facile da offendere, ben meno da placare, ma con
scarsi risultati; e non so quale delle due fosse la più
riprovevole: Matilda era più brusca e chiassosa; ma da
Rosalie, che era già una donna e aveva un aspetto da vera
signora, sarebbe stato lecito attendersi di meglio; eppure
era sconsiderata all'estremo e sgarbata come una
sventata ragazzetta di dodici anni.
In una bella giornata dell'ultima settimana di febbraio
stavo passeggiando nel parco, godendo della triplice gioia
della solitudine, della lettura di un libro e del bel tempo,
poiché la signorina Matilda era fuori per la sua cavalcata
quotidiana e la signorina Murray era andata in carrozza
con la mamma per alcune visite mattutine. A un tratto mi
dissi che avrei dovuto abbandonare quei piaceri egoisti, e
il parco con il luminoso baldacchino azzurro del cielo, il
canto del vento dell'ovest tra gli alberi spogli, la neve che
ancora indugiava negli avvallamenti ma si scioglieva in
fretta al sole, e l'aggraziato cerbiatto che brucava l'erba
umida, già verde e fresca dell'imminente primavera... e
andare alla casa di una certa Nancy Brown, una vedova il
cui figlio lavorava tutto il giorno nei campi, affetta da una
infiammazione agli occhi che già da qualche tempo le
impediva di leggere, con suo grande dispiacere, giacché
era una donna di natura riflessiva e seria.
Andai dunque e la trovai sola, come sempre, nella
casetta buia, che odorava di fumo e di chiuso, ma era
ordinata e pulita al massimo. Era seduta accanto al
modesto fuoco (poche braci ancora accese e qualche
fascina), impegnata a lavorare a maglia, con un piccolo
cuscino di tela di sacco ai piedi, preparato per la sua dolce
amica, la gatta, che vi si era accoccolata sopra, con la lunga
coda attorno alle zampette vellutate e gli occhi semichiusi
che fissavano con aria sognante il basso parafuoco un po'
storto.
«Ebbene, Nancy, come state oggi?»
«Abbastanza bene, signorina, gli occhi non migliorano,
ma io mi sento più tranquilla di prima» rispose, alzandosi
per accogliermi con un sorriso sereno che mi rese felice,
poiché Nancy soffriva di malinconia religiosa.
Mi rallegrai con lei del mutamento. Era infatti una
grande benedizione, rispose, e se ne dichiarò «proprio
davvero grata», aggiungendo: «Se piacerà a Dio di
conservarmi la vista e guarirmi, così posso leggere di
nuovo la Bibbia, sarò felice come una regina».
«Spero che Dio vi ascolti, Nancy» dissi «e intanto
verrò io a leggervi, quando ho un po' di tempo.»
Con parole di gioia e gratitudine, la povera donna si
preparava a avvicinarmi una sedia, ma io le risparmiai la
fatica, e lei cominciò a smuovere il fuoco e a aggiungere
qualche altra fascina alle braci morenti; poi, prendendo la
Bibbia consunta dallo scaffale, la spolverò accuratamente
e me la porse. Le chiesi se ci fosse un punto particolare
che desiderava sentire.
«Ecco, signorina Grey, se per voi va bene, mi
piacerebbe sentire il capitolo nella I Lettera di san
Giovanni che dice: "Dio è amore; chi sta nell'amore dimora
in Dio e Dio dimora in lui".»
Dopo una breve ricerca, trovai quelle parole nel quarto
capitolo.
Quando arrivai al versetto 7, lei mi interruppe, e,
profondendosi in scuse superflue per la libertà che si
prendeva, mi pregò di leggere molto lentamente, perché
potesse capire bene tutto, e di indugiare su ogni parola;
sperava che volessi scusarla, perché era una povera
donna semplice.
«Le persone più sagge» risposi «potrebbero riflettere
un'ora intera su ognuno dei versetti, e trarne grande
giovamento; anch'io preferisco leggerli piano.»
Finii dunque il capitolo leggendo molto lentamente, ma
anche, per quanto potevo, molto espressivamente. Nancy
ascoltò con la massima attenzione e mi ringraziò con
grande sincerità al termine della lettura. Rimasi un attimo
in silenzio per darle il tempo di riflettere; ma lei,
sorprendendomi, ruppe il silenzio chiedendomi se mi
piaceva il signor Weston.
«Non saprei» risposi, stupita da quella improvvisa
domanda. «Penso che predichi molto bene.»
«Ah, è proprio vero; e parla anche molto bene.»
«Davvero?»
«Sì. Ma forse non lo avete ancora visto... non tanto da
parlargli molto?»
«No, non vedo mai nessuno tanto da parlargli molto,
tranne le due signorine Murray.»
«Ah, sono signorine gentili e buone, ma non sanno
parlare come parla lui!»
«Dunque viene a trovarvi, Nancy?»
«Sì, viene, signorina, e gliene sono molto grata. Viene a
trovare tutti noi, povera gente, molto più spesso del
signor Bligh, o del rettore; e fa bene a venire, perché è
sempre il benvenuto; e non potremmo dire lo stesso del
rettore: c'è gente che dice di averne una gran paura.
Quando va in una casa, dicono che trova sempre qualcosa
che non va, e comincia a rimproverarli appena passa la
porta; ma forse pensa che sia suo dovere dirgli quello che
non va; e spesso viene apposta a rimproverare chi non è
andato in chiesa, o chi non si inginocchia e non si alza in
piedi quando lo fanno gli altri, o chi va alla chiesa
metodista, o qualcosa del genere; ma non posso dire che
da me abbia mai trovato molto da ridire. E' venuto a
trovarmi una o due volte, prima che arrivasse il signor
Weston, quando mi sentivo tanto turbata; e stando anche
male di salute, mi feci coraggio e lo mandai a chiamare, e
per venire è venuto. Ero piena di angoscia, signorina Grey
- grazie a Dio, ora è passata - ma quando prendevo la
Bibbia, non riuscivo a trarne conforto. Proprio quel
capitolo che avete appena letto mi confondeva come gli
altri. "Chi non ama non ha conosciuto Dio" mi faceva
paura, perché sentivo di non amare né Dio né gli uomini
come avrei dovuto, e non mi riusciva, per quanto
provassi.
E il capitolo prima, dove dice: "Chiunque è nato da Dio
non commette peccato", e un altro punto ancora: "Pieno
compimento della legge è l'amore", (1) e molti altri,
signorina; vi stancherei, se dovessi dirveli tutti... Ma
sembrava che tutti mi condannavano e mi mostravano
che non ero sulla strada giusta; e, non sapendo come
trovarla, mandai Bill a chiedere al signor Hatfield se
voleva avere la bontà di venire da me un giorno; e quando
lui è venuto, gli ho detto tutti i miei dubbi.»
«E lui che cosa ha risposto, Nancy?»
«Ecco, signorina Grey, sembrava che ridesse di me.
Forse mi sbaglio, ma fece una specie di fischio, e aveva un
sorrisetto sulle labbra; e disse: "Oh, sono tutte
sciocchezze! Siete stata dai metodisti, cara la mia donna".
Ma io ho risposto che non mi ero mai nemmeno avvicinata
ai metodisti. E allora lui disse: «"Dovete venire in chiesa,
dove sentirete le Scritture spiegate nel modo giusto,
invece di restarvene a meditare sulla Bibbia a casa."
«Ma io risposi che andavo sempre in chiesa quando
stavo bene in salute; ma in quell'inverno così freddo, non
mi azzardavo a andare tanto lontano, con i reumatismi che
mi tormentavano in quel modo.
«E lui allora: "Vi farà bene ai reumatismi camminare
fino alla chiesa; niente è meglio di un po' di esercizio per i
reumatismi. In casa camminate bene, no? perché non
potete camminare fino in chiesa?
La verità è" continuò "che cominciano a piacervi
troppo i vostri comodi. E' sempre facile trovare delle scuse
per non fare il proprio dovere".
«Ma voi lo sapete, signorina Grey, che non era così.
Però gli dissi che avrei provato. "Ma sentite, signore" dissi
"se vado in chiesa, non credo che mi sentirò meglio. Voglio
che mi vengano cancellati i peccati, voglio sentire che non
mi vengono più imputati e che l'amore di Dio torna a
riempire il mio cuore; e se non riesco a trarre conforto
dalla lettura della Bibbia e dalle preghiere che dico in casa,
come potrà farmi bene andare in chiesa?"
«"La chiesa" dice lui "è il luogo stabilito da Dio per il
suo culto. E' vostro dovere andarci più spesso che potete.
Se volete conforto, dovete cercarlo nel compimento del
dovere..." e disse molte altre cose, ma non ricordo tutte le
sue belle parole. Ma il succo era questo: che dovevo
andare in chiesa più spesso che potevo, portare con me il
libro di preghiera e leggere tutte le risposte dopo il
chierico e alzarmi in piedi e inginocchiarmi e sedermi e
fare tutto come dovevo, e ricevere la cena del Signore in
ogni occasione e badare alle sue prediche e a quelle del
signor Bligh, e tutto sarebbe andato per il meglio: se
continuavo a fare il mio dovere, avrei infine ottenuto
conforto.
«"Ma se non riuscite a ottenere conforto in questo
modo" aggiunse "non c'è niente da fare."
«"In questo caso, signore" chiesi "mi giudichereste una
reproba?"
«"Ebbene" fa lui "se fate del vostro meglio per entrare
in paradiso e non ci riuscite, dovete essere tra quelli che
cercano di entrare dalla porta stretta e non ci
riusciranno." (2)
«E poi mi chiese se avevo visto qualcuna delle signore
della Hall quella mattina; e io gli dissi che avevo visto le
signorine avviarsi lungo Moss Lane; e lui diede un calcio
alla mia povera gatta e se ne andò dietro alle signorine
allegro come un'allodola; ma io ero molto triste. Le sue
ultime parole mi erano entrate nel cuore e stavano là
pesanti come una palla di piombo, e io ero stanca di
doverla portare.
«Però seguii il suo consiglio; pensavo che lo dicesse per
il mio bene, anche se aveva un'aria proprio strana... ma
sapete com'è, signorina, è ricco e giovane, e gente così non
può capire i pensieri di una povera vecchia come me. Ma
in ogni caso feci del mio meglio per fare quello che mi
aveva detto... ma forse vi annoio, signorina, con le mie
chiacchiere.»
«Oh, no, Nancy! Continuate, raccontatemi tutto.»
«Dunque, i miei reumatismi migliorarono - non so se
fu per l'andare in chiesa o no - ma in una domenica gelida
mi venne questa infreddatura agli occhi. L'infiammazione
non mi venne tutta d'un colpo, ma poco per volta... ma
non era degli occhi che volevo parlarvi, vi stavo parlando
delle mie angosce, e a dire la verità, signorina Grey, non
credo che migliorarono per il fatto di andare in chiesa, o
migliorarono proprio molto poco, che non vale la pena di
parlarne; la mia salute migliorò, ma non mi risanò l'anima.
Stavo a ascoltare e ascoltare i sacerdoti e leggevo e
rileggevo il libro di preghiere; ma era come un risuonare
di bronzo e un tintinnare di cembalo: (3) le prediche non
le capivo e il libro di preghiera mi serviva soltanto a farmi
capire quanto ero malvagia, se leggevo tante parole buone
senza trarne alcun vantaggio; anzi a volte mi pareva una
fatica e un compito duro, e non una benedizione e un
privilegio, come dovrebbe essere per ogni buon cristiano.
Sembrava che tutto per me fosse chiuso e buio. E poi,
quelle parole terribili: molti cercheranno di entrare, e non
potranno. Sembrava che mi avessero inaridito lo spirito.
«Ma una domenica che il signor Hatfield parlava del
sacramento, notai quando disse: "Se qualcuno di voi non
può placare la sua coscienza, ma richiede ulteriore
conforto o consiglio, venga da me, o da un altro discreto e
dotto ministro della parola di Dio, e riveli la sua pena". (4)
Così la domenica successiva, di mattina, entrai in sacrestia
e ricominciai a parlare al rettore... Faticai a prendermi
quella libertà, ma pensai che quando era in gioco la mia
anima non dovevo lasciarmi fermare da un piccolo
ostacolo. Ma lui disse che in quel momento non aveva
tempo di badare a me.
«"E in ogni caso" aggiunse "non ho niente da dirvi che
non vi abbia già detto prima... accostatevi al sacramento,
naturalmente, e continuate a fare il vostro dovere; e se
questo non vi aiuta, niente potrà aiutarvi. Quindi non
continuate a seccarmi."
«Allora me ne andai. Ma sentii il signor Weston - c'era
il signor Weston, signorina, era la sua prima domenica a
Horton, e stava in sacrestia con la cotta e aiutava il rettore
a vestirsi.»
«Sì, Nancy.»
«E lo sentii chiedere al signor Hatfield chi ero, e lui
rispose: "Oh, è una vecchia pazza".
«E ci rimasi molto male, signorina Grey; ma tornai al
mio banco e cercai di fare il mio dovere come prima; ma
non trovai pace. E mi accostai anche al sacramento, ma mi
sembrava di mangiare e bere la mia condanna. Tornai a
casa piena di angoscia.
«Ma il giorno dopo, prima che avessi riordinato la casa
- perché a dire la verità, signorina, non me la sentivo di
pulire e riordinare e lavare e così me ne stavo a far niente
nel disordine - ecco che entra il signor Weston: pensate un
po'! Allora cominciai a pulire e riordinare e darmi da fare;
e pensavo che mi avrebbe rimproverato per la mia
pigrizia come avrebbe fatto il signor Hatfield; ma mi
sbagliavo: mi disse soltanto buon giorno, con aria
tranquilla. Gli spolverai una sedia e pulii il camino; ma non
avevo dimenticato le parole del rettore, così gli dissi: «"Mi
sembra strano, signore, che facciate lo sforzo di venire
tanto lontano a trovare una vecchia pazza come me."
«Lui sembrò colto di sorpresa; ma cercò di
persuadermi che il rettore scherzava; quando vide che
non ci credevo disse: "Ebbene, Nancy, non dovreste
badarci troppo: il signor Hatfield era un po' di cattivo
umore in quel momento; sapete che nessuno di noi è
perfetto: perfino Mosè diceva cose poco sagge. (5) Ma
adesso sedetevi un momento, se avete tempo, e ditemi i
vostri dubbi e le vostre paure; e io cercherò di
liberarvene."
«Così mi sedetti di fronte a lui. Era un estraneo, capite,
signorina, e perfino più giovane del signor Hatfield, credo;
e non mi era parso bello come lui di primo acchito, e
piuttosto imbronciato; ma parlava con tanta gentilezza... e
quando la gatta, poverina, gli saltò in grembo, si limitò a
carezzarla e farle un sorriso: questo mi sembrò un buon
segno; perché una volta, quando aveva fatto lo stesso con
il rettore, lui l'aveva buttata giù, con rabbia, poverina. Ma
non si può pretendere che un gatto conosca le buone
maniere come un cristiano, capite, signorina Grey.»
«Naturalmente no, Nancy. Ma che cosa ha detto allora
il signor Weston?»
«Niente; mi ascoltava con tutta la pazienza e
l'attenzione possibile, e senza mai l'aria di ridere di me;
così io ho continuato e gli ho detto tutto, come ho detto a
voi... e anche di più.»
«"Bene" dice allora lui "il signor Hatfield ha fatto
benissimo a dirvi di perseverare nel vostro dovere; ma
quando vi ha consigliato di andare in chiesa, di seguire
bene l'ufficio divino, eccetera, non intendeva dire che in
questo si esauriva tutto il dovere di un cristiano; pensava
soltanto che in chiesa avreste potuto apprendere che altro
dovevate fare e che sareste giunta a trovare gioia in quelle
pratiche, invece di trovarle soltanto un dovere e un peso.
E se gli aveste chiesto di spiegarvi quelle parole che vi
turbano tanto, credo vi avrebbe detto che, se molti
cercheranno di entrare per la porta stretta ma non vi
riusciranno, sono i loro peccati a impedirlo; proprio come
un uomo con un grosso sacco in spalla che voglia passare
per una porta stretta e lo trova impossibile, se non si
libera del sacco. Ma voi, Nancy, immagino non abbiate
peccati dei quali non sareste lieta di liberarvi, se sapeste
come?»
«E io: "Dite proprio la verità, signore".
«"Bene" continua lui "conoscete il primo e più grande
comandamento - e il secondo che è simile al primo - i due
comandamenti (6) dai quali dipendono tutta la Legge e i
Profeti? Dite che non riuscite a amare Dio; a me sembra
che, se riflettete bene a chi è Dio, non potete farne a
meno. E' vostro padre, il vostro amico migliore; ogni
benedizione, ogni cosa buona, piacevole, utile viene da Lui;
e ogni cosa cattiva, ogni cosa che avete motivo di odiare, di
evitare, viene da Satana, Suo nemico, come è nostro
nemico; e proprio per questo Dio si è manifestato nella
carne, per distruggere le opere del diavolo: in una parola
Dio è amore; (7) e più amore abbiamo in noi, più Gli siamo
vicini e più possediamo il Suo spirito."
«"Bene, signore" dico io "se riesco a pensare sempre a
queste cose, credo che riuscirei a amare Dio; ma come
posso amare il mio prossimo, quando mi irrita e è ostinato
e quando è spesso pieno di peccati?" (8)
«"Può sembrare difficile" risponde lui "amare il
proprio prossimo, in cui spesso c'è tanto male e le cui colpe
risvegliano il male che è in noi; ma pensate che Lui lo ha
creato e che Lui lo ama; e chi ama Colui che ha generato,
ama anche chi da Lui è stato generato. E se Dio ci ha
amato tanto da donarci il Suo unico Figlio perché morisse
per noi, anche noi dobbiamo amarci l'un l'altro. Ma se non
riuscite a provare concreto affetto per quelli che non vi
amano, potete almeno cercare di fare a loro quello che
vorreste fosse fatto a voi; potete studiarvi di avere
compassione per le loro mancanze e di perdonare le loro
offese, e di fare tutto il bene che potete a quanti vi
circondano. E se vi abituate a farlo, Nancy, lo stesso sforzo
che farete vi porterà a amarli in qualche misura, per non
parlare della buona volontà che la vostra bontà farà
nascere, quando pure non vi fosse in loro altro di buono.
Se amiamo Dio e desideriamo servirlo, cerchiamo di
essere simili a Lui, di compiere le Sue opere, di operare
per la Sua gloria, che è il bene dell'uomo, di affrettare
l'avvento del Suo regno, che è la pace e la felicità di tutti:
per quanto impotenti possiamo sembrare, facendo nella
nostra vita tutto il bene che possiamo, i più umili tra noi
possono fare molto a tale scopo; e viviamo nell'amore,
perché Egli possa dimorare in noi e noi in Lui. Quanta più
felicità diamo agli altri, tanta più ne riceveremo, anche qui
sulla terra, e tanto più grande sarà la nostra ricompensa
nei Cieli quando ci riposeremo delle nostre fatiche."
«Credo, signorina, che siano state queste le sue precise
parole, perché me le sono ripetute tante di quelle volte. E
poi ha preso quella Bibbia e ne ha letto dei brani e me li ha
spiegati in modo chiaro come il sole: e mi sembrava che
una nuova luce mi irrompesse nell'anima; e mi sentivo
proprio un calore al cuore e desideravo soltanto che ci
fossero anche il povero Bill e tutti a sentire e a rallegrarsi
con me.
«Quando se ne andò, venne Hannah Rogers, una
vicina, una del mio prossimo, e mi chiese di aiutarla a fare
il bucato. Le dissi che in quel momento non potevo, perché
non avevo ancora messo su le patate per pranzo né lavato
i piatti della colazione. Lei allora cominciò a trattarmi male
e a dirmi pigra e oziosa. Prima ero un po' seccata; ma non
le ho detto niente di male; le ho detto soltanto, con un'aria
bella tranquilla, che c'era stato da me il nuovo coadiutore;
ma avrei fatto in fretta e poi sarei andata a aiutarla. Lei
allora si addolcì; e io mi sentii in cuore dell'affetto per lei e
in men che non si dica eravamo amiche.
«E' proprio vero, signorina Grey che "una risposta
gentile calma la collera, una parola pungente eccita l'ira".
(9) E non soltanto in quelli a cui si parla, ma anche in noi
stessi.»
«E' vero, Nancy, se soltanto ce ne ricordassimo
sempre.»
«Già, se ce ne ricordassimo!»
«E il signor Weston è mai tornato a trovarvi?»
«Sì, più di una volta; e da quando la mia vista è tanto
peggiorata, rimane anche mezz'ora a leggermi; ma, lo
sapete, signorina, ha altra gente da cui andare e altre cose
da fare, che Dio lo benedica! E la domenica successiva
tenne un sermone così bello! Il testo era: "Venite a me,
voi tutti, che siete affaticati e oppressi e io vi ristorerò" e
quei due versetti benedetti che seguono. (10) Voi non
c'eravate, signorina, eravate a casa vostra allora, ma quel
sermone mi ha dato tanta felicità! e anche adesso sono
felice, ringraziando Dio! e adesso è un piacere per me fare
qualche lavoretto per i vicini - quello che può fare una
povera vecchia mezza cieca... e loro li accolgono con bontà,
proprio come ha detto lui. Lo vedete, signorina, adesso sto
lavorando un paio di calze: sono per Thomas Jackson; è
un vecchio bizzarro e abbiamo avuto molte liti, e in certi
momenti anche serie. Così ho pensato che la cosa migliore
che potevo fare era di lavorargli un paio di calze ben calde;
e da allora mi sono messa a trovarlo molto più simpatico,
povero vecchio. E' successo proprio come aveva detto il
signor Weston.»
«Mi rallegra molto vedervi così felice, Nancy, e così
saggia; ma adesso devo andare; mi vorranno alla Hall»
dissi; e dopo averla salutata mi allontanai, promettendo di
tornare quando avessi avuto tempo e sentendomi felice
quasi quanto lei.
Un'altra volta, andai a fare la lettura a un povero
contadino malato di tisi all'ultimo stadio. Le signorine
erano andate a trovarlo e gli era stata strappata la
promessa di fargli la lettura; ma per loro era troppa fatica,
così pregarono me di farlo al loro posto. Andai volentieri e
anche là sentii cantare le lodi del signor Weston, dal
malato e dalla moglie. L'uomo mi disse di trarre grande
conforto e vantaggio dalle visite del nuovo coadiutore, che
andava spesso a trovarlo, e era «un tipo tutto diverso» dal
signor Hatfield, che prima dell'arrivo dell'altro era andato
qualche volta da lui, e in quelle occasioni insisteva sempre
per tenere aperta la porta di casa per far entrare l'aria
fredda perché a lui faceva comodo, senza pensare che
avrebbe fatto male al malato, poi apriva il libro di
preghiera e leggeva in gran fretta una parte dell'ufficio per
i malati e poi subito se ne andava, se non si fermava a
rimproverare aspramente la povera donna o a fare
qualche osservazione distratta, per non dire crudele, che
serviva a accrescere, ben più che a alleviare, le pene di
quella sventurata coppia.
«Mentre» concluse l'uomo «il signor Weston prega con
me in modo molto diverso e mi parla con tanta bontà e
spesso mi legge anche qualcosa e mi siede accanto come
un fratello.»
«Proprio come un fratello!» esclamò la moglie. «E circa
tre settimane fa, vedendo come tremava dal freddo il
povero Jem e com'era misero il fuoco, ci ha chiesto se la
nostra riserva di carbone stava finendo. Gli dissi che era
così e che non eravamo in condizioni di procurarcene altro
- ma non l'ho detto perché lui mi aiutasse, dovete
credermi; però lui ci mandò un sacco di carbone il giorno
dopo; e da allora abbiamo sempre avuto un bel fuoco: una
vera benedizione, in questo inverno. Ma lui è fatto così,
signorina Grey, quando va in casa di povera gente a
trovare qualcuno, si accorge di quello di cui hanno più
bisogno, e se pensa che loro non ce la fanno a
procurarselo, non dice niente, ma lo procura lui per loro; e
non sono mica tanti che lo farebbero, avendo pochi soldi
come ne ha lui; perché vedete, signora, non ha niente con
cui vivere se non quello che gli dà il rettore, e dicono che
sia ben poco.»
Ricordai allora, con una sorta di esultanza, che era
stato spesso definito rozzo e volgare dall'amabile signorina
Murray perché aveva soltanto un orologio d'argento e
abiti meno lindi e freschi di quelli del signor Hatfield.
Rientrando a Horton Lodge mi sentivo molto felice e
ringraziavo Dio di avere ora qualcosa a cui pensare,
qualcosa su cui indugiare per distrarmi dalla stanca
monotonia, dalla solitaria fatica della mia vita presente,
poiché ero davvero molto sola; mai, da un mese all'altro,
da un anno all'altro, se non nei brevi intervalli di riposo a
casa, incontravo qualcuno a cui potessi aprire il cuore o
con cui potessi esprimermi liberamente nella speranza di
trovare simpatia, o soltanto comprensione; qualcuno, se
non la povera Nancy Brown, con cui potessi trascorrere
qualche momento di rapporto sociale; qualcuno la cui
conversazione fosse tale da rendermi migliore, più saggia
o più felice di prima; e neppure qualcuno - o così mi
sembrava - che potesse trarre grandi benefici dalla mia
conversazione. I miei soli compagni erano stati bambini
antipatici e ragazze ignoranti, malconsigliate; e spesso la
solitudine assoluta era un sollievo, ardentemente
desiderato e apprezzato, dalla loro estenuante sciocchezza.
Ma era un autentico male doversi limitare a simili
compagnie, sia per gli effetti immediati, sia per quelli
probabili.
Mai mi giungeva dall'esterno un'idea nuova o un
pensiero stimolante; e quelli che nascevano in me
venivano in larga misura tristemente schiacciati sul
nascere, o condannati a ammalarsi e a morire perché non
riuscivano a vedere la luce.
Le compagnie consuete esercitano spesso grande,
reciproco influsso sulla mente e sui modi. Coloro dei quali
vediamo
costantemente
le
azioni,
ascoltiamo
costantemente le parole, non possono non condurci, sia
pure contro la nostra volontà, lentamente, gradualmente,
impercettibilmente forse, a agire e parlare come loro. Non
ho la presunzione di stabilire fino a che punto si estende
questa irresistibile forza di assimilazione; ma se un uomo
civilizzato fosse costretto a trascorrere una dozzina di anni
in mezzo a una razza di selvaggi intrattabili, se non avesse
il potere di migliorarli, mi chiedo davvero se, al termine di
quel periodo, non diventerebbe lui stesso un barbaro. E io,
non potendo rendere migliori le mie compagne, temevo
molto che sarebbero state loro a rendermi peggiore, a
portare gradualmente i miei sentimenti, le mie abitudini,
le mie capacità al loro livello, senza tuttavia comunicarmi
la loro gaia frivolezza e la loro vivacità. Già mi sembrava
di sentire che la mia mente si andava deteriorando, il mio
cuore pietrificando, la mia anima inaridendo, e tremavo al
timore che le mie stesse percezioni morali venissero
intaccate, che la distinzione tra il bene e il male si
confondesse, e che tutte le mie facoltà migliori venissero
soffocate infine dall'influsso negativo di una vita come
quella.
Attorno a me si infittivano i rozzi vapori terrestri e
accerchiavano il mio cielo interiore; e così sorse infine
innanzi a me il signor Weston, apparendomi come la stella
del mattino all'orizzonte, per salvarmi dal timore delle
tenebre assolute; e io mi rallegrai al pensiero di avere ora
un soggetto di contemplazione superiore, non inferiore a
me. Ero felice di vedere che il mondo non era fatto
soltanto di Bloomfield, Murray, Hatfield, Ashby, eccetera
eccetera; e che la grandezza umana non era soltanto un
sogno della mia immaginazione. Quando di una persona
sentiamo dire qualcosa di bene e niente di male, è facile e
gradevole immaginare di più; in breve, non è necessario
analizzare tutti i miei pensieri, ma la domenica era
diventata per me un giorno particolarmente felice (ero
ormai quasi abituata all'angolo posteriore della carrozza),
perché mi piaceva ascoltarlo, e mi piaceva anche vederlo,
pur sapendo che non era bello, e forse neppure piacente;
ma non era certo brutto.
Di statura di poco - appena di poco - superiore alla
media, aveva una corporatura perfettamente regolare,
largo di spalle e forte; la linea del suo viso sarebbe stata
definita troppo squadrata per essere bella, ma ai miei
occhi annunciava un carattere deciso; i capelli castani non
erano accuratamente arricciati come quelli del signor
Hatfield, ma spazzolati semplicemente all'indietro sulla
fronte grande e bianca; le sopracciglia erano
probabilmente troppo pronunciate, ma di sotto le
sopracciglia gli occhi avevano una forza straordinaria,
castani, non grandi e piuttosto infossati, ma
incredibilmente luminosi e espressivi; anche la bocca era
piena di carattere, tale da rivelare un uomo sicuro negli
scopi che si prefiggeva, abituato al pensiero, e quando
sorrideva... ma di questo ancora non parlerò perché allora
non lo avevo mai visto sorridere; e, a dire il vero, il suo
aspetto non mi sembrava quello di un uomo facile al
sorriso, né di un uomo quale veniva descritto dai contadini
del villaggio. Mi ero formata presto un'opinione su di lui, e,
a dispetto delle critiche della signorina Murray, ero certa
che fosse un uomo dalla mente forte, dalla fede salda e
dalla pietà ardente, ma pensoso e severo; e quando scoprii
che, alle sue altre qualità, si aggiungevano un'autentica
benevolenza e una dolce, delicata bontà, la scoperta mi
allietò tanto più quanto meno mi ero attesa di farla.
NOTE: (1) Rispettivamente: I Lettera di san Giovanni,
4, 8 e 3, 9; Lettera ai Romani, 13, 10. (Ndt)
(2) Cfr. Luca, 13, 24. (Ndt)
(3) Cfr. I Lettera ai Corinzi, 13, 1: «Se anche parlassi le
lingue degli uomini e degli angeli, ma non avessi la carità,
sono come un bronzo che risuona o un cembalo che
tintinna». (Ndt)
(4) La frase, citata a memoria dal Book of Common
Prayer, testo fondamentale della liturgia anglicana, si
trova nella prima Esortazione pronunciata durante l'ufficio
divino domenicale, o di un giorno festivo, subito prima
della comunione. (Ndt)
(5) Cfr. Salmo 106, 33: «Perché avevano inasprito
l'animo suo@ ed egli [Mosè] disse parole insipienti@».
(Ndt)
(6) «Amerai il Signore Dio tuo con tutto il cuore, con
tutta la tua anima e con tutta la tua mente. [...] Amerai il
prossimo tuo come te stesso.» (Matteo, 22, 37-39) (Ndt)
(7) Cfr. I Lettera di san Giovanni, 4, 8 e 16. E' in
particolare sulla I Lettera di san Giovanni che si basa, qui
e più avanti, l'argomentazione di Weston. (Ndt)
(8) Il concetto che in italiano esprimiamo con la parola
«prossimo», in inglese si rende con neighbours, «vicini»: è
probabilmente per questo che Nancy Brown sembra
limitare il concetto di «prossimo» ai suoi vicini di casa,
come Hannah Rogers di cui parla più avanti. (Ndt)
(9) Citazione dai Proverbi, 15, 1. (Ndt)
(10) Matteo, 11, 28; che prosegue con: «Prendete il
mio giogo sopra di voi e imparate da me, che sono mite e
umile di cuore, e troverete ristoro per le vostre anime. Il
mio giogo infatti è dolce e il mio carico leggero». (Ndt)
XII. L'acquazzone
La mia visita successiva a Nancy Brown avvenne nella
seconda settimana di marzo: avevo infatti molti momenti
liberi durante il giorno, ma raramente potevo contare su
un'ora intera tutta per me, poiché non avrebbe potuto
esservi ordine o regolarità in una vita in cui tutto era
affidato al capriccio della signorina Matilda e di sua
sorella; qualsiasi occupazione scegliessi, quando non ero
impegnata direttamente con loro o qualcosa che le
riguardasse, dovevo, per così dire, tenere sempre i fianchi
cinti, i sandali ai piedi, il bastone in mano; (1) infatti, non
arrivare immediatamente quando mi chiamavano era
considerata una colpa grave e imperdonabile non soltanto
dalle mie allieve e dalla loro madre, ma perfino dalla
cameriera che entrava tutta affannata a chiamarmi:
«Dovete andare immediatamente nella sala da studio,
signorina: le signorine sta aspettando!»
Orrore degli orrori! stavano aspettando la loro
istitutrice!
Ma quella volta ero certa di poter disporre di un'ora o
due dal momento che Matilda si preparava a una lunga
cavalcata e Rosalie si stava vestendo per un ricevimento
da Lady Ashby; colsi dunque l'occasione per andare a
trovare la vedova, che vidi piuttosto preoccupata per la
gatta, assente tutto il giorno. La consolai con tutte le
prove della natura vagabonda dell'animale che riuscii a
ricordare.
«Ho paura dei guardacaccia» ribatté lei «non faccio che
pensarci.
Se i signorini fossero stati a casa, avrei pensato che le
avessero scatenato contro i cani per farle del male, come
hanno fatto per tanti gatti di povera gente; ma adesso non
c'è questo pericolo.»
Gli occhi di Nancy andavano meglio, ma ancora non
bene: stava cucendo una camicia della festa per il figlio,
ma mi disse che riusciva a lavorarci soltanto molto poco,
una volta ogni tanto; e così il lavoro andava avanti
lentamente, eppure quel povero ragazzo ne aveva proprio
bisogno. Le offrii di aiutarla un po', dopo averle letto,
poiché avevo tutto il tempo quel pomeriggio e non dovevo
tornare prima di sera. Lei accettò con gioia la mia offerta.
«Così mi farete anche un po' di compagnia, signorina»
aggiunse. «Mi sento sola senza la gatta.»
Ma dopo aver finito di leggerle e aver fatto una mezza
cucitura, con il grosso ditale di Nancy adattato al mio dito
con un pezzetto di carta arrotolata, venni interrotta
dall'arrivo del signor Weston, con la famosa gatta tra le
braccia. Vidi allora che sapeva sorridere, e aveva un
sorriso gradevolissimo.
«Vi ho reso un servizio, Nancy» cominciò; poi,
vedendomi, mi salutò con un leggero inchino. Per il signor
Hatfield, o qualsiasi altro gentiluomo del luogo, sarei al
contrario stata invisibile. «Ho liberato la vostra gatta»
continuò «dalle mani, o piuttosto dal fucile, del
guardacaccia del signor Murray.»
«Dio vi benedica, signore» esclamò con gratitudine
Nancy, prossima alle lacrime per la gioia mentre prendeva
dalle braccia di lui la sua amatissima gatta.
«Non perdetela d'occhio» le disse «e non lasciatela
andare nei pressi della conigliera, perché il guardacaccia
ha detto che le sparerà, se la trova di nuovo là. Lo
avrebbe fatto anche oggi, se non avessi fatto a tempo a
fermarlo. Credo stia piovendo, signorina Grey» proseguì a
voce più bassa, vedendo che io avevo messo da parte il
lavoro e mi preparavo a andarmene. «Non andatevene
per me, mi fermerò soltanto pochi minuti.»
«Dovete fermarvi tutti e due finché passa la pioggia»
intervenne Nancy, ravvivando il fuoco e mettendovi
accanto un'altra sedia. «C'è posto per tutti qui!»
«Qui ci vedo meglio, grazie, Nancy» ribattei portando
il lavoro vicino alla finestra, dove lei ebbe la bontà di
lasciarmi tranquilla, mentre prendeva una spazzola per
togliere i peli del gatto dalla giacca del signor Weston,
asciugava con cura il suo cappello dalla pioggia e dava la
cena alla gatta, sempre continuando a parlare: ora
ringraziando il suo amico ecclesiastico per quello che
aveva fatto; ora chiedendosi come avesse fatto la gatta a
trovare la conigliera; ora lamentando le probabili
conseguenze di quella scoperta. Lui la ascoltava in silenzio,
con un sorriso benevolo, e infine si sedette cedendo ai suoi
pressanti inviti, ma ripetendo che non intendeva fermarsi
a lungo.
«Devo andare in un'altra casa» spiegò «e vedo»
guardando il libro sul tavolo «che qualcun altro vi ha già
fatto la lettura.»
«Sì, signore, la signorina Grey è stata tanto buona da
leggermi un capitolo; e adesso mi aiuta a cucire una
camicia per il mio Bill... ma ho paura che là abbia freddo.
Non volete venire accanto al fuoco, signorina?»
«No, grazie, Nancy, non ho freddo. Devo andare
appena finisce l'acquazzone.»
«Ma come, signorina! avete detto che potevate
fermarvi fino a sera!» esclamò quella vecchietta irritante,
e il signor Weston prese il cappello.
«No, signore, no, non ve ne andate mentre piove tanto
forte!» esclamò allora lei.
«Ma vedo che tengo la vostra visitatrice lontana dal
fuoco.»
«No, non è così, signor Weston» risposi, sperando non
ci fosse niente di grave in una menzogna di quel genere.
«No di certo!» annuì vigorosamente Nancy. «C'è tutto
lo spazio che si vuole!»
«Signorina Grey» lui disse in tono scherzoso, come
sentisse il bisogno di cambiare argomento, che avesse o
non avesse qualcosa di preciso da dire «vorrei che
parlaste in mio favore al signor Murray quando lo vedete.
Era presente quando ho salvato la gatta di Nancy, e non
approvava il mio gesto. Gli ho detto che a mio avviso era
più facile per lui fare a meno di tutti i suoi conigli che per
Nancy fare a meno del suo gatto; per questa audace
affermazione sono stato fatto oggetto di un linguaggio non
proprio da gentiluomo, e temo di aver risposto con un
certo calore.»
«Oh, povera me, signore! spero che non abbiate fatto
baruffa con il padrone a causa della gatta! Non sopporta
che gli si risponda... non lo sopporta proprio.»
«Oh, non ha importanza, Nancy: la cosa non mi
preoccupa; io non ho detto niente di molto scortese; e
immagino che il signor Murray sia abituato a usare un
linguaggio pittoresco quando è in collera.»
«Proprio così, signore, è una vergogna.»
«E adesso bisogna davvero che vada; devo andare in
una casa a più di un chilometro da qui; e certo non
vorreste che tornassi col buio; inoltre, ha quasi smesso di
piovere: vi saluto dunque Nancy; buona sera anche a voi,
signorina Grey.»
«Buona sera, signor Weston... ma non contate su di me
per parlare in vostro favore al signor Murray, perché non
lo vedo mai... mai in modo da potergli parlare.»
«Davvero? Allora non c'è niente da fare» rispose con
un tono di dolente rassegnazione; poi aggiunse, con un
mezzo sorriso tutto particolare: «Ma non preoccupatevi;
immagino che il signor Murray abbia motivo di scusarsi
più di me» e uscì di casa.
Io continuai a cucire finché la luce me lo permise; poi
mi congedai da Nancy, frenando la sua gratitudine
eccessiva con l'assicurarle che avevo fatto per lei soltanto
quel che lei senza dubbio avrebbe fatto per me, se fosse
stata lei al mio posto e io al suo, quindi mi avviai in fretta
verso Horton Lodge; e là, entrando nella sala da studio,
trovai il tavolino del tè in gran disordine, il vassoio tutto
sporco di tè e la signorina Matilda di umore furioso.
«Signorina Grey, dove siete stata? Ho preso il tè
mezz'ora fa e me lo sono dovuto preparare da sola e berlo
da sola! Vorrei davvero che foste tornata prima!»
«Sono stata da Nancy Brown. Credevo non foste
ancora tornata dalla cavalcata.»
«Come avrei potuto cavalcare con la pioggia, me lo
spiegate? Quel d.....o acquazzone è stato già abbastanza
seccante: è arrivato proprio mentre ero in piena
cavalcata; e poi dover tornare e non trovare nessuno per
il tè! e voi lo sapete bene che non so fare il tè come mi
piace.»
«Non ho pensato alla pioggia» risposi; e infatti non
avevo mai pensato che l'avrebbe costretta a tornare a
casa.
«Naturalmente no, voi eravate al riparo e non avete
certo pensato agli altri.»
Sopportai i suoi rozzi rimproveri con calma
stupefacente, addirittura con allegria, sapendo di avere
fatto del bene a Nancy Brown ben più che del male a lei; e
forse anche altri pensieri mi aiutarono a restare di buon
umore e a farmi sembrare ottima la tazza di tè freddo e
troppo carico e gradevole la tavola disordinata, e stavo
quasi per dire - il viso arcigno della signorina Matilda. Ma
lei se ne andò subito nelle scuderie e mi lasciò a godere in
solitudine il mio pasto.
NOTE: (1) Cfr. Esodo, 12, 11. (Ndt)
XIII. Le primule
Ora la signorina Murray andava sempre in chiesa due
volte: amava troppo l'ammirazione per sopportare di
perdere una sola occasione di ottenerla, e era
assolutamente certa di ottenerla ovunque si mostrasse;
fossero o non fossero presenti Harry Meltham e il signor
Green, senza dubbio vi sarebbe stato qualcuno che non
sarebbe rimasto insensibile al suo fascino, oltre al rettore,
a cui le sue funzioni imponevano di consueto di essere
presente.
Se il tempo lo consentiva, lei e sua sorella tornavano
poi a casa a piedi: Matilda perché detestava lo spazio
chiuso della carrozza; lei perché ne detestava la solitudine,
e amava la compagnia che rallegrava il primo chilometro
del percorso dalla chiesa ai cancelli del signor Green, nei
cui pressi iniziava la strada privata per Horton Lodge,
situata nella direzione opposta; mentre la strada
principale portava dritta alla dimora ancora più lontana di
sir Hugh Meltham. Vi era dunque sempre la possibilità di
essere accompagnata fino a quel punto o da Harry
Meltham, con o senza la signorina Meltham, o dal signor
Green, probabilmente con una o due delle sorelle e
qualsiasi gentiluomo fosse in visita da loro.
Che io camminassi con le signorine o andassi in
carrozza con i loro genitori dipendeva esclusivamente
dalla loro capricciosa volontà: se decidevano di
«prendermi», andavo con loro; se, per motivi che nessuno
conosceva meglio di loro, sceglievano di andare da sole, io
sedevo in carrozza; preferivo camminare, ma la riluttanza
a imporre la mia presenza a qualcuno che non la
desiderava mi lasciava sempre passiva in queste come in
altre occasioni simili; e non chiedevo mai la ragione del
loro mutamento di volontà. Era d'altronde la miglior
politica: obbedire e compiacere era compito dell'istitutrice,
pensare soltanto ai propri comodi quello delle allieve. Ma
quando camminavo con loro, la prima parte del tragitto si
rivelava in genere molto seccante. Nessuno tra le signore
e i signori che ho ricordato si accorgeva di me: era
sgradevole camminare al loro fianco, come se ascoltassi
quello che dicevano o desiderassi essere creduta una di
loro, mentre parlavano tra loro ignorandomi, e se il loro
sguardo, nella conversazione, si posava casualmente su di
me, sembrava guardassero nel vuoto: come non mi
vedessero o fossero ansiosi di lasciar credere che non mi
vedevano.
Non era meno sgradevole camminare dietro di loro,
con l'aria di chi riconosce così la propria inferiorità; perché
al contrario mi sentivo all'altezza dei migliori tra loro e
desideravo che lo sapessero e non pensassero che io
vedevo in me una semplice domestica, troppo consapevole
del proprio posto per camminare al fianco di signore e
signori tanto eleganti... anche se le sue signorine
decidevano di averla con loro e perfino si degnavano di
parlare con lei, quando non avevano a portata di mano
compagnia migliore.
Di conseguenza - quasi mi vergogno a confessarlo ma è
la verità mi davo molto da fare (quando camminavo al
loro fianco) per sembrare del tutto inconsapevole della
loro presenza o perfettamente indifferente, come fossi
interamente assorta nelle mie riflessioni o nella
contemplazione dell'ambiente; se invece restavo indietro,
a attrarre la mia attenzione era un uccello o un insetto, un
albero o un fiore, e dopo averlo attentamente esaminato,
continuavo a camminare da sola, lentamente, fino a
quando le mie allieve si erano congedate dai loro compagni
entrando nella solitaria strada privata.
Ricordo in particolare una di queste occasioni, un bel
pomeriggio di fine marzo; il signor Green e le sue sorelle
avevano rimandato indietro la carrozza vuota per godere
del sole luminoso e dell'aria profumata in una passeggiata
verso casa insieme ai loro ospiti, il capitano Qualcuno e il
tenente Qualcunaltro (due bellimbusti dell'esercito), e alle
signorine Murray, che erano naturalmente riuscite a
raggiungerli.
Una compagnia come quella era graditissima a Rosalie;
ma io, non trovandola altrettanto gradita, rimasi indietro
e cominciai a studiare le piante e gli insetti sul ciglio
erboso e sulle siepi in germoglio, fino a quando la
compagnia mi sopravvanzò di parecchio e io riuscii a
sentire il canto felice dell'allodola: allora la mia
misantropia si sciolse all'aria pura e dolce, al calore del
sole; ma ne presero il posto tristi ricordi della mia prima
infanzia, e l'ansia per le gioie passate o per un più
luminoso futuro.
Mentre vagavo con lo sguardo sulle scarpate verdi di
giovane erba e di piante, da cui si alzavano le siepi in
germoglio, desideravo intensamente un fiore familiare che
mi ricordasse le vallate boscose o le verdi colline di casa: le
scure brughiere erano naturalmente fuori questione. Una
scoperta come quella tanto desiderata mi avrebbe senza
dubbio commosso fino alle lacrime; ma in quel momento la
commozione era una delle mie gioie maggiori.
Infine riuscii a scorgere, alte fra le radici contorte di
una quercia, tre belle primule: occhieggiavano con tanta
dolcezza dal loro nascondiglio, che, soltanto a guardarle, gli
occhi mi si riempirono di lacrime; ma crescevano così in
alto, che cercai invano di coglierne una o due e di portarle
con me per poter sognare; non mi era possibile
raggiungerle senza arrampicarmi per la scarpata, e mi
trattenne dal farlo un suono di passi dietro di me; stavo
per andarmene quando mi sorpresero le parole:
«Permettetemi di coglierle per voi, signorina Grey»
pronunciate con il tono grave e basso di una voce ben
conosciuta.
I fiori vennero subito raccolti e offerti alla mia mano.
Era il signor Weston, naturalmente: chi altri si sarebbe
data la pena di fare tanto per me?
Lo ringraziai; non saprei dire se lo facessi con calore o
freddamente, ma so che non espressi neppure la metà
della gratitudine che provavo. Forse era sciocco provare
comunque gratitudine, ma in quel momento mi sembrò
che quella fosse una bella testimonianza della sua natura
generosa, un gesto di cortesia che non avrei potuto
ripagare, ma non avrei mai dovuto dimenticare: tanto era
per me inconsueto essere oggetto di tali gentilezze, e
pensare di riceverne... da chiunque nel raggio di cento
chilometri da Horton Lodge.
Pure, non per questo non provavo un certo imbarazzo
in sua presenza, e mi misi a seguire le mie allieve molto
più rapidamente di prima; tuttavia, se il signor Weston
avesse capito e mi avesse lasciato passare senza
aggiungere una parola, me ne sarei probabilmente pentita
un'ora dopo; ma non lo fece. Un passo rapido per me era
per lui il suo passo consueto.
«Le vostre signorine vi hanno lasciato sola» disse.
«Sì, hanno una compagnia molto più gradevole.»
«Allora non datevi la pena di raggiungerle.»
Rallentai il passo; ma subito rimpiansi di averlo fatto; il
mio compagno non parlava; non avevo nulla da dire e
temevo che lui si trovasse nella stessa situazione. Alla fine,
tuttavia, ruppe il silenzio chiedendo, con il tono
quietamente brusco che gli era caratteristico, se mi
piacevano i fiori.
«Sì, molto» risposi «soprattutto i fiori selvatici.»
«A me piacciono i fiori selvatici» disse «gli altri non mi
interessano perché non ho ricordi particolari legati a loro...
se non uno o due. Quali fiori preferite?»
«Le primule, i giacinti e i fiori dell'erica.»
«Non le violette?»
«No, perché, come avete detto voi, non ho ricordi
particolari legati alle violette; non crescono violette nelle
colline e le valli che circondano casa mia.»
«Deve essere un gran conforto per voi avere una casa,
signorina Grey» osservò lui dopo una breve pausa. «Per
quanto lontana, e raramente visitata, è sempre una meta
a cui guardare.»
«Lo è tanto, che non potrei vivere, credo, se non
l'avessi» risposi, con un entusiasmo di cui subito mi pentii,
pensando che la mia frase fosse parsa sciocca.
«Oh, sì che potreste!» ribatté lui con un sorriso serio.
«I legami che ci avvincono alla vita sono più forti di
quanto immaginiate, o di quanto immagini chiunque non
abbia sperimentato con quale durezza possono venir tesi
senza spezzarsi. Forse sareste molto triste senza una casa,
ma potreste vivere, anche voi, e forse senza tanta
tristezza. Il cuore umano è come la gomma: pochissimo
basta a gonfiarlo, e moltissimo non riesce a farlo
scoppiare. Se poco più che nulla lo turba, ci vuole poco
meno che tutto per spezzarlo. Come nelle membra visibili
della nostra struttura, c'è nel cuore una forza intrinseca
che gli dà forza contro la violenza esterna. Ogni colpo che
lo scuote serve a indurirlo contro il colpo futuro; come il
lavoro continuo indurisce la pelle delle mani e ne rafforza i
muscoli invece di indebolirli: e così una giornata di duro
lavoro, che potrebbe ferire le mani di una signora, non
lascia traccia su quelle di un contadino.
«Parlo per esperienza, in parte per esperienza
personale. Una volta pensavo come voi: per lo meno ero
convinto che soltanto la casa e gli affetti familiari
rendessero tollerabile la vita, che un'esistenza priva di
quegli affetti sarebbe diventata un fardello molto pesante;
ma adesso non ho una casa - se non volete onorare del
nome di "casa" le due stanze che affitto a Horton - e meno
di un anno fa ho perso l'ultima e la più cara delle persone
care; eppure, non soltanto sono rimasto vivo, ma non sono
interamente privo di speranza e consolazione, anche per
questa vita; però devo riconoscere che mi è impossibile
entrare anche nella più umile delle case contadine, al
calare del giorno, e vedere gli abitanti riuniti serenamente
accanto a un fuoco allegro, senza provare un sentimento
quasi di invidia per la loro felicità domestica.»
«Non potete sapere quale felicità vi aspetti» ribattei
«siete soltanto all'inizio del viaggio.»
«La migliore felicità possibile è già mia: la possibilità e
la volontà di rendermi utile.»
Ci stavamo avvicinando a una staccionata che dava su
un sentiero verso una fattoria, dove immagino che il
signor Weston intendesse rendersi «utile», perché si
congedò da me, scavalcò la staccionata e percorse il
sentiero con il consueto passo saldo e agile, lasciandomi
sola a meditare le sue parole mentre proseguivo per la
mia strada.
Avevo già saputo che aveva perso la madre non molti
mesi prima di venire a Horton. Era dunque lei l'ultima e la
più cara delle persone care; e non aveva una vera casa.
Provai pena per lui dal profondo del cuore; piansi quasi
per lui. Era quella, mi dissi, la causa di quella nube di
precoce gravità che gli velava così spesso la fronte e lo
faceva considerare un uomo imbronciato e severo dalla
caritatevole signorina Murray e da tutta la sua cricca.
"Ma non è" pensai "triste come lo sarei io in una
situazione simile; conduce una vita attiva, e ha davanti a
sé un vasto campo per rendersi utile; può farsi degli amici,
può farsi anche una casa, se vuole, e senza dubbio una
volta o l'altra vorrà; e Dio gli conceda per quella casa una
compagna degna di essere scelta e che la renda felice... ne
faccia una casa quale lui merita di avere. E sarebbe
delizioso se..." Ma che importanza hanno i miei pensieri?
Ho cominciato questo libro con il proposito di non
nascondere nulla, affinché quanti lo desiderano possano
guardare nel cuore di una loro sorella: ma vi sono alcuni
pensieri che tutti gli angeli del cielo possono guardare ma non i nostri fratelli umani - neppure i migliori e più
cari tra loro.
Ormai i Green erano entrati in casa e le signorine
Murray avevano preso la strada privata, dove mi affrettai
a seguirle. Trovai le due ragazze immerse in una vivace
discussione sui rispettivi meriti dei due giovani ufficiali;
ma, vedendomi, Rosalie si interruppe a metà frase
esclamando con maliziosa allegria: «Oh, oh, signorina
Grey, eccovi finalmente! Non mi sorprende che siate
rimasta così indietro, e non mi sorprende che difendiate
sempre con tanto vigore il signor Weston quando io ne
parlo male: capisco tutto adesso!»
«Andiamo, signorina Murray, non siate sciocca»
ribattei cercando di ridere bonariamente «sapete bene
che queste sciocchezze non mi fanno alcun effetto.»
Ma lei continuò a dire sciocchezze intollerabili, mentre
la sorella la aiutava con opportune invenzioni coniate per
l'occasione, così che ritenni necessario dire qualcosa per
difendermi.
«Quanto chiasso inutile!» esclamai. «Che c'è di strano
se la strada del signor Weston, per pochi metri, coincideva
con la mia, e se lui ha voluto scambiare qualche parola
durante il tragitto? Non ho mai parlato con lui prima,
tranne una volta, potete credermi.»
«Dove, dove e quando?» esclamarono con vivacità.
«A casa di Nancy.»
«Ah, allora lo avete incontrato là» esclamò Rosalie con
una risata esultante. «Adesso sì, Matilda, che ho capito
perché le piace tanto andare da Nancy Brown! Ci va per
amoreggiare con il signor Weston.»
«Non vale neppure la pena di controbattere una
sciocchezza simile!... Vi dico che l'ho visto là soltanto una
volta... e non potevo sapere che sarebbe venuto.»
Per quanto mi irritassero la loro sciocca gaiezza e le
loro noiose accuse, il mio imbarazzo non durò a lungo:
dopo essersi divertite un po' a mie spese, tornarono al
tenente e al capitano; e mentre discutevano e chiosavano,
il mio sdegno si calmò rapidamente; ne dimenticai presto
la causa e volsi i miei pensieri in una direzione più
gradevole.
Proseguimmo così verso il parco e entrammo in casa;
mentre salivo le scale per andare in camera, avevo un solo
pensiero, il mio cuore era colmo di un solo ardente
desiderio. Entrata nella mia stanza e chiusa la porta, caddi
in ginocchio e innalzai una preghiera fervida ma non
impetuosa. «Sia fatta la tua volontà» mi sforzavo di
ripetere, ma subito aggiungevo: «Padre, tutto è possibile a
Te, e possa questa essere la Tua volontà». Per quel
desiderio, per quella preghiera uomini e donne avrebbero
riso di me... «Ma, Padre, Tu non la disprezzerai!» dissi, e
sentii che era così. Mi sembrava di pregare per la felicità
di un altro non meno ardentemente che per la mia... che
fosse anzi quella che soprattutto il mio cuore desiderava.
Forse ingannavo me stessa; ma quel pensiero mi dava il
coraggio di chiedere e la forza di sperare che non chiedevo
invano.
Le primule, poi, due le tenni in un bicchiere in camera
finché non furono completamente appassite e la cameriera
le buttò via, e i petali della terza li misi tra le pagine della
mia Bibbia: sono ancora là, e intendo conservarli per
sempre.
XIV. Il rettore
Il giorno successivo fu bello come il precedente.
Terminata la prima colazione, la signorina Matilda, dopo
poche brevi lezioni affrontate alla brava e senza alcun
profitto, dopo aver pestato rabbiosamente il pianoforte
per un'ora, furiosa con me e con lo strumento perché la
madre non voleva darle vacanza, si era rifugiata nei suoi
luoghi preferiti, le scuderie, il cortile e i canili; e la
signorina Murray era uscita per una tranquilla
passeggiata in compagnia di un romanzo alla moda,
lasciandomi nell'aula al lavoro su un acquarello che avevo
promesso di fare per lei e che lei voleva assolutamente
finissi quello stesso giorno.
Ai miei piedi era accucciato un piccolo rough terrier;
era della signorina Matilda, che lo detestava e intendeva
venderlo, affermando che era viziato. Era al contrario un
ottimo rappresentante della sua razza; ma lei dichiarava
che non era bravo a fare nulla e che non aveva nemmeno
l'intelligenza di riconoscere la padrona.
Lo aveva comprato quando era ancora un cuccioletto e
all'inizio aveva insistito che fosse lei soltanto a toccarlo;
ma, stancandosi presto di un cucciolo così inerme e noioso,
era stata felice di cedere alle mie preghiere e di affidarlo a
me; portando amorevolmente il cagnolino dall'infanzia
all'adolescenza, mi ero naturalmente conquistata il suo
affetto; e quella ricompensa mi sarebbe parsa di gran
valore e di molto superiore alla pena che mi ero data, se la
gratitudine del povero Snap non lo avesse esposto a
parole aspre e a dispettosi calci e pizzicotti della sua
padrona, e non gli avesse fatto correre ora il pericolo di
essere «addormentato per sempre» o venduto a un
padrone rozzo e spietato. Ma che cosa avrei potuto fare?
Non potevo certo farmi odiare dal cane
maltrattandolo, né lei era pronta a conquistarlo con la
dolcezza.
Comunque, mentre lavoravo di pennello, entrò la
signora Murray un po' affannata e a vele spiegate.
«Signorina Grey» cominciò «come potete starvene
seduta a disegnare in una giornata così?» pensava lo
facessi per libera scelta. «Mi stupisce che non vi mettiate
il cappello e non usciate con le signorine.»
«Credo, signora, che la signorina Murray stia leggendo,
mentre la signorina Matilda gioca con i cani.»
«Se cercaste voi di svagare un poco la signorina
Matilda, lei non sarebbe costretta a cercare così spesso
per divertirsi la compagnia di cani e cavalli, e di staffieri; e
se foste un po' più gaia e loquace con la signorina Murray,
lei non se ne andrebbe con tanta frequenza per i campi in
compagnia di un libro. Ma non voglio darvi dispiacere»
aggiunse, vedendo, immagino, che avevo le guance in
fiamme e che mi tremava la mano per un'emozione non
benevola.
«Cercate di non essere tanto suscettibile, vi prego!
altrimenti non si riesce a parlare con voi. E ditemi se
sapete dove è andata Rosalie e perché le piace tanto la
solitudine.»
«Dice che le piace essere sola quando ha un libro
nuovo da leggere.»
«Ma perché non lo legge nel parco o in giardino?
perché deve andare per i campi e i viali? e perché succede
così spesso che la incontri il signor Hatfield? Mi ha detto la
settimana scorsa che le ha cavalcato a fianco lungo Moss
Lane; e oggi sono certa di avere visto proprio lui dalla
finestra del mio boudoir, che camminava in fretta oltre i
cancelli, verso il prato in cui lei va tanto spesso. Vorrei che
andaste a vedere se è là; e che le ricordaste con dolcezza
che è sconveniente per una signorina del suo rango e con
le sue prospettive andarsene a zonzo da sola, aperta alle
attenzioni di chiunque abbia la presunzione di rivolgerlesi,
come a una povera ragazza trascurata che non ha un
parco in cui passeggiare, né amici che si curino di lei e le
dicano che suo padre si arrabbierebbe molto se sapesse
che lei tratta il signor Hatfield con la familiarità con cui
temo lo tratti.
Se voi... se qualsiasi istitutrice avesse soltanto la metà
dell'attenzione di una madre, della cura ansiosa di una
madre, io potrei risparmiarmi questa fatica; e voi
vedreste da sola la necessità di tenerla d'occhio e di
rendere gradevole la vostra compagnia per...
Andate, andate insomma, non c'è tempo da perdere»
esclamò, vedendo che io avevo messo via gli acquarelli e
aspettavo, in piedi nel vano della porta, che lei
concludesse il suo discorso.
La signora Murray aveva visto giusto: trovai la
signorina Murray nel suo prato preferito, subito fuori dal
parco, e purtroppo non sola; l'alta e bella figura del signor
Hatfield le camminava lentamente a fianco.
Mi si poneva un serio dilemma. Era mio dovere
interrompere quel têteàtête; ma come dovevo farlo? Il
signor Hatfield non si sarebbe certo lasciato allontanare da
una persona senza importanza come me; e andare a
mettermi all'altro fianco della signorina Murray, imporle
la mia sgradita presenza fingendo di non vedere il suo
compagno, era una scortesia di cui non potevo rendermi
colpevole; né avevo il coraggio di chiamarla dall'alto del
prato gridando che qualcuno la voleva.
Scelsi un compromesso: mi incamminai lentamente ma
risolutamente verso di loro; se la mia presenza non avesse
allontanato lo spasimante, li avrei oltrepassati dicendo alla
signorina Murray che la chiamava la mamma.
Rosalie era senza dubbio incantevole mentre
passeggiava pigramente indugiando sotto gli ippocastani
che già mettevano le prime gemme e stendevano i lunghi
rami sulla palizzata del parco, il libro chiuso in una mano e
nell'altra un grazioso ramo di mirto con cui giocherellava
amabilmente... i riccioli lucenti che sfuggivano copiosi dal
cappellino, sfiorati dolcemente dalla brezza, il viso
luminoso acceso dalla vanità soddisfatta, i ridenti occhi
azzurri, che ora guardavano maliziosamente il suo
ammiratore, ora si abbassavano sul rametto di mirto. Ma
Snap, che mi precedeva correndo, la interruppe nel bel
mezzo di una risposta tra l'impertinente e il giocoso,
afferrandole il vestito e tirandolo con forza finché il signor
Hatfield lo colpì pesantemente in testa con il bastone da
passeggio e Snap tornò da me uggiolando e piangendo
forte con gran divertimento del reverendo gentiluomo;
tuttavia, vedendomi così vicina, dovette pensare che era
meglio prendere congedo; e mentre mi chinavo a
carezzare ostentatamente il cane per mostrare quanto
disapprovassi la sua severità, gli sentii dire: «Quando vi
vedrò di nuovo, signorina Murray?»
«In chiesa, immagino» ribatté lei «sempre che non vi
troviate di nuovo a passare da queste parti per il vostro
lavoro nell'istante preciso in cui io mi trovo a passeggiare
qui.»
«Potrei fare in modo di avere sempre lavoro da queste
parti, se sapessi con esattezza quando e dove trovarvi.»
«Ma io non potrei davvero dirvelo: sono così poco
metodica che non so mai oggi che cosa farò domani.»
«Allora datemi questo intanto per confortarmi» disse,
e, in parte scherzando in parte con molta serietà, tese la
mano a prendere il rametto di mirto.
«No davvero, non voglio darvelo!»
«Vi prego, vi prego, datemelo! Sarò l'uomo più infelice
del mondo se non lo farete. Non potete essere tanto
crudele da negarmi un favore così facile da concedere
eppure così desiderato e apprezzato» supplicò
ardentemente, come se la sua vita dipendesse da quel
gesto.
Ero ormai a pochissimi metri da loro, in impaziente
attesa che se ne andasse.
«Prendetelo allora» disse Rosalie «e andate!»
Lui accolse con gioia il dono, mormorò qualcosa che la
fece arrossire e che Rosalie accompagnò con un gesto
sdegnoso del capo, ma con una risatina che rivelava come
il suo sdegno fosse simulato; quindi, con un elegante
inchino, si allontanò.
«Avete mai visto un uomo simile, signorina Grey?» mi
chiese allora Rosalie volgendosi verso di me. «Sono
proprio felice che siate venuta! Temevo di non riuscire a
liberarmi di lui... e avevo tanta paura che papà lo
vedesse.»
«Era da molto tempo qui con voi?»
«No, non da molto, ma è così impertinente: e me lo
trovo sempre accanto, con il pretesto che gli affari o i suoi
doveri ecclesiastici richiedono la sua presenza da queste
parti, mentre in realtà sta in agguato in attesa della mia
modesta persona per balzarmi addosso appena mi vede.»
«Vostra madre dice che non dovreste uscire dal parco
o dal giardino senza una persona discreta e grave come
me per farvi da chaperon e allontanare gli intrusi. Ha visto
il signor Hatfield che si affrettava oltre i cancelli del parco
e mi ha mandato subito perché vi cercassi e mi occupassi
di voi e inoltre vi ammonissi...»
«Oh, la mamma è insopportabile. Come se non potessi
badare a me stessa! Mi ha già annoiato prima con il signor
Hatfield, e io le ho detto che poteva fidarsi di me - che non
dimenticherei mai il mio rango e la mia situazione neppure
per l'uomo più incantevole che esista al mondo. Vorrei che
cadesse in ginocchio domani stesso e mi implorasse di
sposarlo, per mostrare alla mamma quanto si sbaglia a
pensare che potrei mai... Oh, è davvero esasperante...
Pensare che io sia tanto sciocca da potermi innamorare! E'
davvero poco dignitoso per una donna. Amore! Detesto la
parola. Riferita a una persona del nostro sesso, la
considero una vera offesa: potrei ammettere forse di
avere una preferenza; ma non per qualcuno come il
povero signor Hatfield che non ha neppure settecento
sterline l'anno. Mi piace parlargli, perché è tanto
intelligente e divertente - vorrei che sir Thomas Ashby
avesse la metà della sua simpatia - e inoltre deve pure
esserci qualcuno con cui amoreggiare, e nessun altro ha
tanto buon senso da venire qui; e quando usciamo la
mamma non mi permette di flirtare con nessuno se non
con sir Thomas... se c'è; e se non c'è sono legata mani e
piedi, nel timore che qualcuno inventi una storia esagerata
e gli faccia credere che sono fidanzata, o prossima a
fidanzarmi, con qualcun altro; o, il che è più probabile, nel
timore che quella peste di sua madre veda o sappia
qualcosa di me e deduca che non sono una moglie degna
del suo straordinario rampollo; come se quello non fosse il
più grande scapestrato della cristianità, e qualsiasi donna
normalmente onesta non fosse mille volte troppo per lui.»
«E' vero, signorina Murray? e vostra madre lo sa e
vuole ugualmente che voi lo sposiate?»
«Ma naturalmente! Ne sa più lei di me su sir Thomas,
credo: me lo tiene nascosto per evitare che io mi scoraggi,
perché non sa quanto poco mi importi di queste cose.
Perché davvero non sono cose che contano molto: metterà
la testa a posto quando si sposa, come dice la mamma, e i
libertini pentiti sono i migliori mariti, lo sanno tutti.
Vorrei che non fosse così brutto - di questo soltanto mi
preoccupo ma non c'è da scegliere qui in campagna, e papà
non ci permette di andare a Londra...»
«Mi sembra che il signor Hatfield andrebbe molto
meglio.»
«Ah, senza dubbio, se fosse padrone di Ashby Park;
ma il fatto è che io devo diventare padrona di Ashby Park,
chiunque sia a dividerlo con me.»
«Ma il signor Hatfield intanto è convinto di piacervi;
non pensate quanto sarà amara la sua delusione quando
scoprirà di essersi ingannato?»
«No davvero! Sarà il giusto castigo della sua
presunzione, per aver osato credere che io potessi amarlo.
Niente mi piacerebbe quanto togliergli il velo dagli occhi.»
«Allora, quanto prima lo farete tanto meglio sarà.»
«No... ve lo ripeto, mi piace divertirmi con lui. Inoltre,
non è proprio convinto di piacermi. A questo sto molto
attenta; non sapete come sia abile. Può forse presumere
di pensare che riuscirebbe a farsi amare da me, e per
questo lo punirò come merita.»
«Bene, cercate soltanto di non fornire troppi validi
pretesti a tale presunzione» ribattei.
Ma le mie esortazioni si rivelarono vane; servirono
soltanto a accrescere la sua ansia di nascondermi i suoi
desideri e i suoi pensieri. Non mi parlò più del rettore; io
però vedevo bene che la sua mente, se non il suo cuore,
pensava ancora a lui, e che era decisa a avere un altro
incontro; se infatti, in ossequio al desiderio di sua madre,
io ero ora la compagna delle sue passeggiate, la signorina
Murray continuava a vagabondare per i campi e i viali più
vicini alla strada; a volte parlava con me, a volte leggeva il
libro che teneva in mano, ma sempre si interrompeva ogni
tanto per guardarsi attorno, o cercare se qualcuno venisse
lungo la strada; e se passava un uomo a cavallo, capivo
dalle parole offensive con cui imparzialmente definiva lo
sventurato cavaliere, chiunque fosse, che lei lo odiava
perché non era Hatfield.
"Senza dubbio" pensavo "non gli è indifferente come
crede o come vorrebbe far credere agli altri; e la
preoccupazione di sua madre non è infondata come lei
afferma."
Passarono tre giorni, e il signor Hatfield non si fece
vedere. Nel pomeriggio del quarto, stavamo passeggiando
lungo la palizzata del parco, nel famoso campo, ognuna
provvista di un libro (poiché badavo sempre a portare con
me qualcosa da fare nei momenti in cui lei non richiedeva
la mia conversazione), quando interruppe di colpo la mia
lettura esclamando: «Oh, signorina Grey, abbiate la
compiacenza di andare da Mark Wood e di dare una
mezza corona alla moglie da parte mia... avrei dovuto
dargliela o mandargliela già da una settimana, ma l'ho
dimenticato.
Ecco!» aggiunse gettandomi il borsellino e parlando
molto in fretta.
«Non preoccupatevi di tirarla fuori adesso, ma
prendete il borsellino e dategli quello che volete... verrei
con voi, ma voglio finire questa parte. Verrò a
raggiungervi quando avrò finito di leggerla.
Fate presto, mi raccomando... e... Oh, aspettate, non
sarebbe meglio che faceste un po' di lettura a Mark
Wood? Correte a casa a prendere un libro edificante... Uno
qualunque andrà bene.»
Feci quello che mi veniva chiesto; tuttavia,
sospettando qualcosa per il modo affrettato e improvviso
con cui mi parlava, mi voltai a guardare prima di uscire
dal campo, e vidi il signor Hatfield che stava entrando dal
cancello. Mandandomi a casa a cercare un libro, aveva
evitato di stretta misura che io lo incontrassi sulla strada.
"Non importa!" pensai. "Non succederà in fondo nulla
di male. Il povero Mark sarà contento della mezza corona,
e forse anche del libro edificante; e se il rettore riesce
davvero a conquistare il cuore della signorina Rosalie,
servirà soltanto a abbassarle un po' la cresta; e se poi
davvero dovessero sposarsi, lei si salverebbe da una sorte
molto peggiore; sarebbe una moglie adatta a lui, come lui
un marito adatto a lei.»
Mark Wood era il contadino tisico di cui ho parlato in
precedenza, che stava ormai rapidamente consumandosi.
Con la sua liberalità, la signorina Murray ottenne davvero
la benedizione del morente; (1) se infatti la mezza corona
poteva essere a lui di ben poca utilità, Mark ne era lieto
per la moglie e i figli, che presto lo avrebbero perduto.
Dopo aver letto qualche tempo per confortare e
ammaestrare lui e la moglie oppressa dalla desolazione, li
lasciai; ma non avevo ancora fatto cinquanta metri
quando incontrai il signor Weston, diretto a quella stessa
casa.
Mi salutò gravemente, spontaneamente, come era sua
abitudine; si fermò per chiedere notizie del malato e della
sua famiglia, e, con inconsapevole, fraterno disprezzo delle
formalità, mi prese di mano il libro che avevo letto a
Mark, lo sfogliò, fece alcuni commenti, pochi ma giusti, e
me lo restituì; poi mi disse di un povero sofferente che era
appena andato a trovare, mi parlò un poco di Nancy
Brown, fece qualche osservazione sul mio piccolo amico, il
rough terrier, che gli saltellava ai piedi, sulla bellezza del
tempo e infine si allontanò.
Non ho citato nei particolari le sue parole pensando
che non possano interessare i lettori come interessavano
me, non certo perché le abbia dimenticate. No; le ricordo
bene; poiché non feci che ripetermele quel giorno e per
molti giorni, non so quante volte, ripensando a tutte le
intonazioni della sua voce profonda, chiara, a ogni sguardo
dei suoi penetranti occhi scuri, al bagliore del suo sorriso
così bello e così fugace. Temo che questa mia confessione
sembrerà molto assurda, ma ormai l'ho scritta; e quanti la
leggeranno non conoscono chi l'ha scritta.
Mentre continuavo a camminare, intimamente felice e
in armonia con tutto quanto mi circondava, la signorina
Murray si affrettò a raggiungermi; la sua andatura vivace,
il viso acceso e il sorriso radioso dimostravano che anche
lei, a suo modo, era felice. Correndo verso di me, mi prese
sottobraccio e, senza riprendere fiato, cominciò: «Dovete
sentirvi molto onorata, signorina Grey, perché sono
venuta a dirvi la novità prima di averne accennato a
chiunque altro.»
«E quale novità?»
«Oh, straordinaria! Prima di tutto, dovete sapere che
il signor Hatfield è arrivato all'improvviso appena voi ve
ne siete andata. Ero così ansiosa, temendo che papà o
mamma lo vedessero... ma sapete bene che non potevo
richiamarvi, e così... Oh, no, non posso raccontarvi tutto
ora, perché vedo Matilda nel parco, e devo andare a
rivelarle il mistero. Ma insomma, Hatfield è stato
insolitamente audace, indicibilmente lusinghiero, e tenero
come non mai - o almeno, ha cercato di esserlo, ma senza
grandi risultati perché la tenerezza non è il suo forte. Vi
dirò un'altra volta tutto quello che mi ha detto.»
«Ma che cosa avete detto voi? questo mi interessa
molto di più.»
«Anche questo vi dirò, un'altra volta. Proprio in quel
momento ero di ottimo umore; ma, pur essendo molto
graziosa e benevola, sono stata bene attenta a non
compromettermi in alcun modo. Quello sventurato, però,
quel presuntuoso ha voluto interpretare a modo suo
l'amabilità del mio umore, e infine si è sentito autorizzato
dalla mia indulgenza a... pensate un po'... a farmi una
dichiarazione in piena regola!»
«E voi?»
«Io mio sono drizzata fieramente, e, con la maggior
freddezza possibile, ho espresso il mio stupore,
augurandomi che non avesse scorto nulla nella mia
condotta tale da giustificare le sue speranze.
Avreste dovuto vedere che muso lungo ha fatto allora!
E' diventato pallidissimo. Io gli ho detto che lo stimavo e
tutto quello che si deve dire, ma che non potevo davvero
accettare la sua offerta; e che se anche lo avessi fatto,
papà e mamma non avrebbero mai e poi mai dato il loro
consenso.»
«"Ma se loro lo dessero" mi ha chiesto "voi non
dareste il vostro?"
«"No di certo, signor Hatfield" ho risposto, con una
fredda risolutezza che ha spento all'istante ogni speranza.
Oh, se lo aveste visto: era orribilmente mortificato,
schiacciato dalla sua delusione.
Quasi mi faceva pena!
«Ha fatto un ultimo disperato tentativo. Dopo un lungo
silenzio, mentre lottava per mantenersi calmo, e io per
mantenermi seria perché sentivo un gran desiderio di
ridere, il che avrebbe rovinato tutto - ha detto, con un
pallidissimo sorriso: «"Ma siate sincera, signorina
Murray; se io avessi la ricchezza di sir Hugh Meltham, o le
prospettive del suo figlio maggiore, anche allora mi
rifiutereste? rispondetemi con sincerità, sul vostro onore."
«"Senza dubbio" ho risposto "non farebbe alcuna
differenza."
«Era una grossa bugia, ma sembrava ancora così
sicuro del suo fascino, che ho deciso di non lasciargli
neppure un centimetro di terra sotto i piedi. Mi ha
guardato a lungo in viso; ma io avevo un'aria così seria che
non poteva immaginare non stessi dicendo la verità.
«"Allora è tutto finito, immagino" ha detto, e
sembrava stesse per morire lì, di colpo, per il dispiacere e
l'intensità della disperazione. Ma era rabbioso, non
soltanto deluso. Era là, che soffriva in modo indicibile, e io
gli stavo davanti, causa spietata di tutta la sua sofferenza,
assolutamente impenetrabile all'artiglieria del suo fascino
e delle sue parole, calma, fredda, orgogliosa; non poteva
non provare un certo risentimento, e ha cominciato, con
singolare amarezza: «"Non mi aspettavo davvero questo,
signorina Murray. Potrei parlare della vostra passata
condotta, delle speranze che mi avete incoraggiato a
nutrire; ma eviterò di farlo, purché..."
«"Niente purché, signor Hatfield!" l'ho interrotto,
ormai davvero offesa dalla sua insolenza.
«"Allora, lasciate che lo chieda come un favore" ha
risposto, abbassando la voce e prendendo un tono più
umile. "Lasciate che io vi chieda di non parlare di questo
con nessuno. Se voi non parlerete, non ci saranno per
nessuno dei due conseguenze sgradevoli... nessuna,
intendo, se non quelle assolutamente inevitabili: i miei
sentimenti, cercherò di tenerli per me, se non posso
annientarli; cercherò di perdonare, se non posso
dimenticare la causa della mia sofferenza.
Voglio credere, signorina Murray, che voi ignoriate
quale danno mi avete arrecato. Né vorrei che lo sapeste;
ma se, oltre al danno che già mi avete arrecato perdonatemi, ma, consapevolmente o inconsapevolmente,
lo avete fatto - se lo aggravate rendendo pubblica questa
sventurata vicenda, o soltanto accennandovi, allora
scoprirete che anch'io posso parlare; avete disprezzato il
mio amore, ma non potrete disprezzare..."
«Non è andato oltre, ma si è morso le labbra esangui, e
aveva un'aria così feroce che ero davvero spaventata.
Però l'orgoglio mi ha sostenuta, e ho risposto
sdegnosamente: «"Non vedo per quale ragione, secondo
voi, dovrei parlarne con qualcuno; ma se intendessi farlo,
non mi fermereste con le minacce, e non è da gentiluomo
cercare di farlo."
«"Perdonatemi, signorina Murray" ha detto allora "vi
ho amato così intensamente - e ancora vi adoro così
profondamente che non vorrei dovervi offendere; ma, se è
vero che non ho mai amato, né mai potrò amare una
donna come ho amato voi, è altrettanto vero che non sono
mai stato trattato così male da una donna. Al contrario, ho
sempre trovato il vostro sesso la più dolce e tenera e
cortese delle creature di Dio, finora." (Pensate quanta
presunzione per dire una cosa simile.) "E la novità e la
durezza della lezione che mi avete dato oggi, e l'amarezza
di venir deluso in quello da cui dipendeva la felicità della
mia vita, dovranno scusare la mia apparente asprezza.
Se la mia presenza vi è sgradita, signorina Murray" ha
aggiunto (poiché io mi guardavo attorno per dimostrare
quanto poco mi curassi di lui, ha pensato, immagino, che
fossi stanca della sua presenza)
"se la mia presenza vi è sgradita, signorina Murray,
dovete soltanto promettermi il favore che vi ho chiesto, e
ve ne libererò subito.
Molte signore - alcune di questa stessa parrocchia sarebbero felicissime di accettare quello che voi avete
sdegnosamente calpestato sotto i piedi. E naturalmente
sarebbero portate a odiare una donna la cui eccezionale
bellezza ha allontanato irrimediabilmente da loro il mio
cuore e resi ciechi i miei occhi al loro fascino; un solo
accenno alla verità, fatto da me a una di loro, basterebbe a
far nascere tante chiacchiere contro di voi da mettere a
serio rischio le vostre prospettive e indebolire le vostre
probabilità di successo con ogni altro uomo che voi, o
vostra madre, desideraste catturare."
«"Che cosa intendete, signore?" ho chiesto, e quasi
battevo il piede a terra dalla collera.
«"Intendo che questa vicenda ai miei occhi appare
dall'inizio alla fine come un caso lampante di... di civetteria
- è il minimo che si possa dire - un caso tale che non vi
farebbe certo piacere veder rivelato ai quattro venti, per
di più con le aggiunte e le esagerazioni delle vostre rivali,
che sarebbero felici di divulgare la cosa se soltanto gliene
offrissi l'occasione. Ma vi prometto, sul mio onore di
gentiluomo, che non una parola, non una sillaba che possa
recarvi danno mi sfuggirà dalle labbra, purché voi..."
«"D'accordo, d'accordo, non ne parlerò" ho detto allora
"potete contare sul mio silenzio, se la cosa vi è di
conforto."
«"Lo promettete?"
«"Sì" ho risposto, perché a quel punto volevo liberarmi
di lui.
«"Vi lascio dunque, per sempre!" ha detto, con un tono
molto dolente e innamorato; e con uno sguardo in cui
l'orgoglio lottava invano con la disperazione, si è
allontanato, ansioso, senza dubbio, di tornare a casa per
potersi chiudere nel suo studio a piangere... seppure non
scoppierà in singhiozzi prima di arrivarci.»
«Ma avete già infranto la vostra promessa!» esclamai,
inorridendo alla sua slealtà.
«Oh, soltanto con voi... so che voi non lo ripeterete.»
«No, naturalmente no; ma voi dite che lo direte a
vostra sorella; e lei lo dirà ai vostri fratelli quando
torneranno a casa, e alla Brown lo dirà subito, se non
sarete voi stessa a dirglielo, e la Brown lo dirà a tutti, o
farà in modo che lo sappiano tutti.»
«No, no, non lo farà... Non glielo diremo, se non
facendole promettere la massima segretezza.»
«Ma come potete aspettarvi che lei mantenga la sua
parola meglio della sua padrona tanto più illuminata?»
«D'accordo, sì, allora non ne saprà nulla» disse la
signorina Murray seccamente.
«Ma lo direte a vostra madre, certo, e lei lo dirà a
vostro padre.»
«Certo che lo dirò alla mamma: è proprio questo che
mi fa soprattutto piacere. Adesso potrò convincerla che si
ingannava nei suoi timori per me.»
«Oh, è questo dunque il punto? Mi chiedevo che cosa
vi entusiasmasse tanto.»
«Sì; e mi fa piacere avere abbassato la cresta del
signor Hatfield con tanta eleganza; e poi... dovete pure
concedermi un po' di vanità femminile; non fingerò certo
di essere priva dell'attributo più essenziale del nostro
sesso. Se aveste visto l'intensità con cui il povero Hatfield
faceva la sua ardente dichiarazione e la sua lusinghiera
proposta, e la sua profonda sofferenza, che nessuno sforzo
dell'orgoglio poteva nascondere, al mio rifiuto, avreste
riconosciuto che ho buoni motivi per sentirmi
soddisfatta.»
«Quanto più grande era la sua sofferenza, direi, e tanto
minori i motivi di soddisfazione» ribattei.
«Oh, sciocchezze!» esclamò lei, scuotendosi in un gesto
di dispetto. «O non riuscite a capirmi o non volete. Se non
credessi alla vostra magnanimità, penserei che mi
invidiate. Ma forse capirete almeno questa causa di
soddisfazione - valida quanto tante altre: sono molto
compiaciuta con me stessa per la mia prudenza, il mio
controllo, la mia spietatezza, e scusate se è poco; non mi
sono lasciata cogliere alla sprovvista, non ero confusa
neppure un po', o imbarazzata, o turbata; ho agito e
parlato proprio come dovevo, e sono stata sempre
padrona di me. E si trattava di un uomo di gran
bell'aspetto - Jane e Susan Green dicono che è bello da
incantare: immagino siano due delle signore che secondo
lui sarebbero felici di averlo - ma in ogni caso era un
compagno intelligente, spiritoso, gradevole; non
intelligente come intendete voi, ma quel tanto che basta
per renderlo divertente; un uomo di cui non ci si dovrebbe
vergognare in nessun ambiente; di cui non ci si
stancherebbe in fretta; e, per essere sincera, mi piaceva...
da qualche tempo mi piaceva più di Harry Meltham; e lui
evidentemente mi idolatrava; eppure, anche se mi ha
sorpreso sola e impreparata, ho avuto la saggezza, e la
fierezza, e la forza di rifiutarlo, e di rifiutarlo
sdegnosamente, freddamente: di questo ho ragione di
andare fiera.»
«E andate altrettanto fiera di avergli detto che, se
avesse avuto la ricchezza di sir Hugh Meltham, non
avrebbe fatto nessuna differenza, mentre non era vero; e
di avergli promesso di non rivelare a nessuno la sua
disavventura, senza alcuna intenzione di mantenere la
promessa?»
«Certo! che altro potevo fare? Avreste forse voluto
che... Ma vedo, signorina Grey, che non siete di buon
umore. Ecco Matilda; vedrò che cosa ne pensano lei e la
mamma.»
Si allontanò da me, offesa dalla mia mancanza di
simpatia e convinta, senza dubbio, che io la invidiavo. Non
era così: quanto meno, ne sono fermamente convinta. Mi
dispiaceva per lei; ero stupefatta, nauseata dalla sua
spietata vanità; mi chiedevo perché sia data tanta bellezza
a quelli che ne fanno un uso così cattivo, e negata a alcuni
che ne trarrebbero vantaggio per loro e per gli altri.
Ma conclusi che Dio sa quello che è giusto. Forse ci
sono uomini vanitosi, egoisti e senza cuore come lei, e
forse donne così possono essere utili per punirli.
NOTE: (1) Cfr. Giobbe, 29, 13. (Ndt)
XV. La passeggiata
«Vorrei davvero che Hatfield non fosse stato tanto
precipitoso!» esclamò Rosalie il giorno dopo, alle quattro,
mentre deponeva il ricamo con un terribile sbadiglio e
guardava con impazienza verso la finestra.
«Non c'è motivo di uscire ora e non c'è niente di bello
da aspettarsi. Le giornate sono sempre così lunghe e
noiose senza ricevimenti per ravvivarle; e non ce ne sono
questa settimana, e neppure la prossima, che io sappia.»
«E' un peccato che tu sia stata tanto cattiva con lui»
ribatté Matilda a cui erano indirizzati quei lamenti. «Non
verrà più; e io sospetto che dopo tutto ti piacesse. Speravo
che lo prendessi come tuo spasimante e lasciassi a me il
caro Harry.»
«Oh, il mio spasimante deve essere un vero Adone,
Matilda, ammirato da tutti, se devo contentarmi di uno
solo. Mi dispiace aver perduto Hatfield, lo riconosco; ma il
primo uomo passabile, o il primo gruppo di uomini, che
venga a prendere il suo posto, sarà il benvenuto.
Domani è domenica... mi chiedo proprio che aspetto
avrà e se sarà in grado di condurre tutto l'ufficio. Molto
probabilmente, dirà di avere un'infreddatura e lascerà il
posto al signor Weston.»
«No di certo» ribatté Matilda in tono sprezzante.
«Potrà essere uno sciocco, ma non è tanto debole.»
Sua sorella si offese un poco; ma i fatti dimostrarono
che Matilda aveva ragione. L'innamorato deluso compì
come sempre i suoi doveri pastorali. Rosalie, è vero,
dichiarò che era molto pallido e aveva un'aria desolata:
forse era davvero un po' più pallido, ma la differenza,
seppure esisteva, era appena avvertibile. Quanto all'aria
desolata, non sentii certo la sua risata risuonare dalla
sacrestia come di consueto, né la sua voce forte
pronunciare frasi scherzose, sebbene la sentissi
rimproverare il sacrestano in modo da lasciare stupefatta
la congregazione; e nel suo andare e venire dal pulpito
all'altare c'era molta pomposa solennità, ma si avvertiva
ben meno quell'irriverente, compiaciuta, o piuttosto
deliziata arroganza, con cui era solito incedere... quell'aria
che sembrava dire: «Mi adorate e mi riverite, voi tutti, lo
so; ma se qualcuno non lo fa, lo sfido all'ultimo sangue».
Ma il cambiamento più notevole stava nel fatto che
mai una volta volse lo sguardo verso il banco del signor
Murray e non uscì dalla chiesa prima che noi ce ne fossimo
andati.
Indubbiamente, per il signor Hatfield il colpo era stato
duro; ma il suo orgoglio gli imponeva di fare ogni sforzo
per nasconderne gli effetti. Era stato deluso nella certezza
di conquistarsi non soltanto una moglie molto bella e ai
suoi occhi molto attraente, ma una il cui rango e la cui
ricchezza avrebbero fatto risplendere attrattive assai
inferiori; di conseguenza, era senza dubbio avvilito dal
rifiuto e profondamente offeso dalla condotta della
signorina Murray.
Sarebbe stato per lui di non poco conforto sapere
quanto Rosalie fosse rimasta delusa vedendolo così poco
turbato, trovandolo in grado di non guardare dalla sua
parte neppure una volta nel corso di tutti e due gli uffici,
sebbene questo dimostrasse, a quanto lei affermava, che
Hatfield aveva sempre pensato a lei, altrimenti il suo
sguardo, se non altro per caso, si sarebbe posato su di lei;
ma se quello sguardo si fosse davvero posato su di lei,
allora avrebbe affermato che era perché non poteva
resistere al suo fascino. E gli avrebbe fatto probabilmente
un certo piacere vedere quanto Rosalie fosse annoiata e
insoddisfatta tutta la settimana (o per buona parte della
settimana) per la mancanza della sua consueta fonte di
emozione e svago; e quanto spesso rimpiangesse di averlo
«finito così presto», come un bambino che, avendo
divorato troppo in fretta il dolce, se ne stia seduto a
succhiarsi le dita e a lamentare invano la sua avidità.
Infine, in una bella mattina, mi venne chiesto di
accompagnarla per una passeggiata al villaggio.
Ufficialmente andava a acquistare lana di un certo colore
in un negozio abbastanza elegante frequentato soprattutto
dalle signore del vicinato; ma in realtà... credo non sia
poco caritatevole immaginare che andasse nella speranza
di incontrare per via il signor Hatfield o un altro
ammiratore; infatti, mentre camminavamo, continuava a
chiedersi «che cosa avrebbe fatto o detto Hatfield se lo
avessimo incontrato», eccetera eccetera; quando
oltrepassammo i cancelli del signor Green, «si chiedeva se
fosse a casa, quello stupidone»; al passaggio della carrozza
di Lady Meltham «si chiedeva che cosa facesse Harry in
una giornata così bella»; poi cominciò a prendersela con il
fratello maggiore che era stato «tanto sciocco da sposarsi
e andare a vivere a Londra».
«Perché» chiesi «credevo che anche voi voleste vivere
a Londra.»
«Sì, perché qui ci si annoia; ma ci si annoia ancora di
più da quando lui se ne è andato; e se non fossi sposato,
potrei sposare lui invece dell'odioso sir Thomas.»
Poi, osservando le tracce degli zoccoli di un cavallo
sulla strada fangosa, «si chiedeva se era il cavallo di un
gentiluomo» e concludeva che doveva essere così, perché
le orme erano troppo piccole per essere state fatte da un
«grosso, goffo cavallo da tiro»; e poi «si chiedeva chi
potesse essere il cavaliere» e se lo avremmo incontrato al
suo ritorno, perché era certa che doveva essere passato
quella mattina; infine, quando entrammo nel villaggio e
vedemmo in giro soltanto alcuni dei suoi umili abitanti, «si
chiedeva perché quegli stupidi non se ne stessero in casa;
certo lei non aveva nessuna voglia di vedere le loro brutte
facce e i loro vestiti sporchi e volgari: non era per quello
che era venuta a Horton!».
Mentre io, lo confesso, mi chiedevo a mia volta,
segretamente, se avremmo incontrato o soltanto visto
qualcun altro; e quando passammo davanti a casa sua,
arrivai a chiedermi se non fosse alla finestra.
Entrando nel negozio, la signorina Murray volle che io
rimanessi sulla porta mentre lei faceva i suoi acquisti e le
dicessi se passava qualcuno. Ma non si vedeva nessuno,
purtroppo, tranne gli abitanti, a parte Jane e Susan Green
che scendevano la sola strada del villaggio, di ritorno
probabilmente da una passeggiata.
«Che stupide sono!» borbottò Rosalie quando uscì dal
negozio.
«Perché mai non hanno con loro quell'idiota del
fratello? perfino lui sarebbe meglio che niente.»
Tuttavia, le salutò con un sorriso allegro e con proteste
di felicità non inferiori alle loro per quel lieto incontro. Si
misero al suo fianco, prendendola in mezzo, e
passeggiarono tutte e tre insieme, chiacchierando e
ridendo, come fanno le ragazze quando si trovano insieme,
se appena appena si conoscono. Ma io, sentendomi di
troppo, le lasciai alle loro chiacchiere allegre e rimasi
indietro, come facevo sempre in simili circostanze: non
desideravo davvero camminare accanto alla signorina
Green o alla signorina Susan come una sordomuta che non
poteva parlare e a cui non si poteva parlare.
Ma questa volta non rimasi sola a lungo. All'inizio mi
parve molto strano che, proprio mentre pensavo a lui, il
signor Weston passasse di là e mi avvicinasse; ma in
seguito, dopo aver riflettuto, mi dissi che non c'era niente
di strano, se non forse il fatto che mi rivolgesse la parola:
in una mattina così, e vicino alla sua abitazione, era più
che naturale che fosse fuori; e quanto alla coincidenza che
io stessi pensando a lui, non facevo altro, con pochissimi
intervalli, da quando avevamo iniziato la passeggiata; non
c'era dunque nulla di notevole.
«Siete di nuovo sola, signorina Grey» mi disse.
«Sì.»
«Che tipo sono quelle signorine, le signorine Green?»
«Non saprei dire.»
«E' strano: vivete vicino e le vedete così spesso!»
«Ecco, direi che sono ragazze vivaci, di buon carattere;
ma credo che voi dobbiate conoscerle meglio di me,
perché io non ho mai neppure scambiato una parola con
loro.»
«Possibile? Non hanno l'aria particolarmente discreta
e silenziosa.»
«E molto probabilmente non lo sono con la gente della
loro stessa classe sociale; ma ritengono di muoversi in una
sfera molto diversa dalla mia.»
Non rispose alle mie parole; ma dopo una breve pausa
disse: «Immagino sia per circostanze come queste,
signorina Grey, che voi sentite di non poter vivere senza
una casa vostra?»
«Non proprio. Vedete, amo troppo la compagnia per
poter vivere senza amici, e i soli amici che ho, e che
probabilmente avrò mai, sono quelli di casa; se la casa non
ci fosse... no, se loro non ci fossero più, non dico che non
potrei, ma preferirei non vivere in un mondo così
deserto.»
«Ma perché parlate dei soli amici che probabilmente
avrete mai?
Siete così poco socievole che non riuscite a farvene?»
«No, ma non me ne sono mai fatta sinora; e nella mia
situazione attuale non mi è possibile farmene qualcuno, o
anche soltanto avere normali conoscenze. Può darsi che in
parte la colpa sia mia, ma non del tutto spero.»
«La colpa è in parte della società, e in parte, direi, dei
vostri vicini diretti, e in parte anche vostra: molte signore
nella vostra situazione farebbero in modo di essere notate
e considerate. Ma le vostre allieve dovrebbero essere in
qualche modo delle compagne per voi; non sono certo
molto più giovani.»
«Oh, sì, qualche volta sono una compagnia piacevole;
ma non posso definirle amiche, né loro penserebbero a
chiamarmi tale: hanno altre amiche più adatte ai loro
gusti.»
«Forse siete troppo saggia per loro. Come passate il
vostro tempo libero, leggendo?»
«Leggere è il mio passatempo preferito, quando ho il
tempo per farlo e i libri da leggere.»
Dai libri in genere, passò a parlare di alcuni libri in
particolare, e trascorreva rapidamente da un argomento
all'altro: nel giro di mezz'ora si finì per discutere di
parecchie cose, relative ai gusti e alle opinioni, ma senza
molti commenti da parte sua; era evidentemente
desideroso di scoprire i miei pensieri e le mie preferenze
ben più che di comunicare i suoi. Non aveva il tatto o
l'abilità per ottenere il suo scopo portandomi
sapientemente a esprimere i miei sentimenti e le mie idee
con l'espressione, reale o apparente, dei suoi, o per
guidare con impercettibili tocchi la conversazione verso gli
argomenti dei quali desiderava parlare. Ma quel tono
dolcemente diretto, quella assoluta e deliberata
franchezza non erano certo tali da offendermi.
"E perché dovrebbe interessarsi alle mie facoltà morali
e intellettuali?" mi chiedevo. "Che importanza ha per lui
quello che io penso e sento?"
E mi batteva il cuore in risposta alla domanda.
Ma Jane e Susan Green arrivarono presto a casa.
Mentre se ne stavano ferme al cancello, cercando di
convincere la signorina Murray a entrare, io speravo che il
signor Weston se ne andasse affinché lei non lo vedesse
con me quando si voltava; purtroppo però, i suoi impegni
- una visita al povero Mark Wood - lo portavano a
compiere la nostra stessa strada, quasi fino alla fine.
Pure, appena vide che Rosalie si era congedata dalle
sue amiche e che io mi preparavo a raggiungerla, fece per
allontanarsi, continuando più rapidamente il cammino;
ma, quando si tolse cortesemente il cappello passandole
davanti, con mio grande stupore Rosalie, invece di
ricambiare il saluto con un rigido, freddo inchino, gli si
avvicinò con uno dei suoi sorrisi più dolci, e,
camminandogli al fianco, cominciò a parlargli con la
massima gaiezza e affabilità; continuammo così insieme la
strada.
Dopo una breve pausa nella conversazione, il signor
Weston si rivolse in particolare a me, riferendosi a
qualcosa di cui avevamo già parlato; ma, prima che io
potessi rispondere, rispose la signorina Murray e continuò
sullo stesso argomento: lui le fece eco, e da allora fino alla
fine della passeggiata lei monopolizzò interamente la sua
conversazione.
Forse era dovuto alla mia insulsaggine, alla mia
mancanza di tatto e di sicurezza; ma mi sembrava di aver
subito un torto; tremavo di apprensione; e ascoltavo piena
di invidia la loro conversazione facile, scorrevole, e
osservavo con ansia il sorriso luminoso con cui lei di tanto
in tanto lo guardava, poiché lei camminava un po' più
avanti con lo scopo preciso (pensai) di essere vista oltre
che udita.
Se la sua conversazione era leggera e frivola, era però
divertente, e lei non restava mai a corto di argomenti o di
parole per esprimerli. Non c'era ora nessuna impertinente
spavalderia nella sua condotta, come accadeva quando era
con il signor Hatfield; soltanto una dolce, scherzosa
vivacità che ritenevo dovesse apparire particolarmente
gradita a un uomo con il carattere e i gusti del signor
Weston.
Quando lui si allontanò, Rosalie rise e mormorò tra sé:
«Ero certa che ci sarei riuscita!»
«Riuscita a far cosa?» chiesi.
«A conquistare quell'uomo.»
«Ma che intendete dire?»
«Intendo dire che andrà a casa e sognerà di me. L'ho
colpito dritto al cuore.»
«Come potete saperlo?»
«Da molti infallibili indizi, e soprattutto dallo sguardo
che mi ha lanciato allontanandosi. Non era uno sguardo
impudente - no, questo devo ammetterlo - era uno
sguardo di riverente, tenera adorazione.
Vedo che non è quello sciocco che credevo!»
Non risposi, perché avevo il cuore in gola, o così mi
sembrava, e non potevo fidarmi a parlare.
"Oh, Signore, allontanate questo pericolo!" esclamai
silenziosamente. "Per lui, non per me."
La signorina Murray fece molte osservazioni prive di
importanza mentre attraversavamo il parco, ma io (pure
con tutta la riluttanza a lasciare anche soltanto
intravedere i miei sentimenti) riuscii a rispondere solo a
monosillabi.
Non capivo se lei volesse tormentarmi o soltanto
divertirsi, e non me ne importava molto; ma pensavo al
povero e alla sua pecorella piccina, e al ricco con il suo
bestiame in gran numero; (1) e temevo non sapevo che
cosa per il signor Weston, indipendentemente dalle mie
speranze calpestate.
Fui molto felice di entrare in casa e di trovarmi
nuovamente sola nella mia stanza. Il mio primo impulso
era di buttarmi sulla sedia accanto al letto, di
abbandonare la testa sul cuscino e sfogarmi in un pianto
disperato; il desiderio di pianto era in me imperioso; ma
dovevo ahimè frenarmi e inghiottire i miei sentimenti
ancora per un poco: ecco infatti il campanello, l'odioso
campanello che annunciava il pranzo nella sala da studio; e
dovevo scendere con il viso calmo, e sorridere e ridere e
dire sciocchezze... sì, e dovevo anche mangiare, se mi
riusciva, come se tutto andasse bene, come se fossi
appena tornata da una piacevole passeggiata.
NOTE: (1) In 2 Samuele, 12, 1-6, il profeta Natan
rimprovera David per aver sposato Betsabea, moglie di
Uria, dopo aver fatto morire quest'ultimo, narrandogli del
ricco che aveva migliaia di capi e che tuttavia prende al
povero la sua unica pecora; Agnes palesemente paragona
se stessa al povero. (Ndt)
XVI. La sostituzione
La domenica successiva era una giornata d'aprile buia
e cupa, di pesanti nuvole nere e forti piogge. Nessuno dei
Murray voleva andare in chiesa il pomeriggio, tranne
Rosalie, decisa a andare come sempre; ordinò dunque la
carrozza e io andai con lei, non malvolentieri, certo, perché
in chiesa potevo guardare senza timore, timidezza o
rimproveri una forma e un viso per me più graditi delle
più belle creazioni di Dio; potevo ascoltare senza essere
disturbata una voce più dolce alle mie orecchie della più
bella musica; potevo sembrare in comunione con
quell'anima che suscitava in me un così profondo interesse
e assorbire i suoi pensieri più puri e le più sante
aspirazioni, senza alcuna macchia su tale felicità, se non i
rimproveri segreti della mia coscienza che troppo spesso
mi sussurrava che io mi ingannavo e offendevo Dio
rendendogli il culto con un cuore rivolto alla creatura più
che al Creatore.
A volte questi pensieri mi turbavano seriamente; a
volte riuscivo a placarli riflettendo.
Non è l'uomo che amo, ma la sua bontà.
"Tutto quello che è puro, amabile, onorato, quello che
è virtù e merita lode, tutto questo sia oggetto dei vostri
pensieri." (1)
E' giusto che noi veneriamo Dio nelle Sue opere; e non
ne conosco altre in cui risplendano tanti Suoi attributi,
tanta parte del Suo stesso spirito come in questo Suo
servo fedele che sarebbe ottusa insensibilità in me, che ho
così pochi affetti a occuparmi il cuore, conoscere e non
apprezzare.
Subito dopo la fine dell'ufficio la signorina Murray
lasciò la chiesa. Ci toccò aspettare in piedi nel portico,
perché pioveva e la carrozza non era ancora arrivata. Mi
chiedevo perché fosse uscita così in fretta, non vedendo né
il giovane Meltham né il signor Green; ma scoprii presto
che il suo scopo era di assicurarsi un colloquio con il signor
Weston appena fosse uscito, come subito fece; dopo averci
salutate entrambe, avrebbe proseguito per la sua strada
se lei non lo avesse trattenuto; prima con alcuni commenti
su quel tempo sgradevole, poi chiedendogli se avrebbe
avuto la bontà di venire il giorno dopo a parlare con la
nipote della vecchia portiera, perché la ragazza aveva la
febbre e desiderava vederlo. Lui promise che lo avrebbe
fatto.
«E quando sarà più probabile che possiate venire,
signor Weston? La vecchia portiera vorrà sapere quando
deve aspettarvi... gente come lei, lo sapete, si preoccupa di
avere la casa in perfetto ordine, se riceve la visita di gente
ammodo, più di quanto noi immaginiamo.»
Straordinario esempio di riguardo per gli altri da parte
della sventata signorina Murray.
Il signor Weston disse a quale ora del mattino avrebbe
cercato di venire. La carrozza era ormai arrivata e lo
staffiere aspettava, con un ombrello aperto, di scortare la
signorina Murray. Io mi preparavo a seguirla; ma anche il
signor Weston aveva un ombrello e si offrì di ripararmi
dalla pioggia, che cadeva con forza.
«No grazie» risposi «la pioggia non mi disturba.»
Facevo sempre sciocchezze quando venivo colta di
sorpresa.
«Ma immagino che neppure vi piaccia?... in ogni caso,
un ombrello non può certo nuocervi» ribatté lui, con un
sorriso che dimostrava che non si era offeso, come si
sarebbe offeso del mio rifiuto un uomo dal carattere
peggiore o dotato di minore intuito.
Non potevo negare la verità delle sue parole e andai
con lui fino alla carrozza; mi offrì anche la mano per
aiutarmi a salire, cortesia superflua, che tuttavia accettai
nel timore di offenderlo. Mi lanciò soltanto uno sguardo,
un breve sorriso al momento del congedo... un attimo
appena, ma in quello sguardo io lessi, o credetti di leggere,
un significato che mi accese in cuore una fiamma di
speranza più viva di quante mai mi avessero riscaldato.
«Avrei mandato lo staffiere a accompagnarvi,
signorina Grey, se aveste aspettato un minuto... non era
necessario che vi serviste dell'ombrello del signor
Weston» osservò Rosalie, il bel viso velato da una nuvola
tutt'altro che amabile.
«Sarei venuta anche senza ombrello, ma il signor
Weston si è offerto di ripararmi con il suo e non avrei
potuto rifiutare, più di quanto ho fatto, senza offenderlo»
risposi sorridendo placidamente, poiché la mia intima
felicità rendeva divertente quello che in altri momenti mi
avrebbe ferito.
La carrozza si era mossa. La signorina Murray si chinò
in avanti e guardò fuori dal finestrino mentre
oltrepassavamo il signor Weston, che camminava verso
casa lungo il viale e non si voltò.
«Imbecille!» esclamò lei, tornando a appoggiarsi allo
schienale con un gesto indispettito. «Non sai che cosa hai
perso non voltandoti a guardare.»
«Che cosa ha perso?»
«Un mio cenno di saluto, che lo avrebbe sollevato fino
al settimo cielo.»
Non risposi. Vedevo che era di cattivo umore, e la cosa
mi faceva segretamente piacere; non il pensiero che lei
fosse indispettita, ma che ritenesse di avere motivo di
esserlo. Mi faceva pensare che le mie speranze non
nascessero soltanto dai miei desideri e dalla mia
immaginazione.
«Intendo prendermi il signor Weston al posto del
signor Hatfield» disse la mia compagna dopo una breve
pausa, ritrovando in parte la sua consueta gaiezza. «Il
ballo a Ashby Park si svolgerà martedì; e la mamma
pensa che molto probabilmente sir Thomas mi chiederà in
moglie in quell'occasione - spesso le dichiarazioni
avvengono nell'intimità di una sala da ballo, quando gli
uomini si lasciano più facilmente intrappolare e le donne
sono più seducenti - ma se devo sposarmi così presto,
voglio sfruttare al massimo il tempo che mi resta: Hatfield
non dovrà essere il solo a mettere il cuore ai miei piedi e a
implorarmi invano di accettare quel dono indegno di me.»
«Se intendete fare del signor Weston una delle vostre
vittime» dissi con finta indifferenza «dovrete compiere
passi tali che vi sarebbe poi difficile tirarvi indietro
quando lui vi chiedesse di realizzare le speranze che avete
suscitato.»
«Non credo che mi chiederà proprio di sposarlo - né io
lo vorrei... sarebbe davvero in lui una presunzione
eccessiva - ma voglio che senta il potere che ho su di lui: in
verità, sentirlo lo ha già sentito, voglio che lo riconosca; e
qualsiasi fantasiosa speranza nutra, dovrà tenerla per sé e
limitarsi a divertirmi con il solo risultato di tali speranze...
per qualche tempo.»
"Oh, se uno spirito amico gli sussurrasse queste parole
all'orecchio!" esclamai silenziosamente. Ero troppo
sdegnata per avventurarmi a rispondere a alta voce; e
quel giorno non parlai più del signor Weston, né se ne
parlò in mia presenza.
Ma il mattino successivo, poco dopo colazione, la
signorina Murray entrò nella stanza dove sua sorella era
impegnata con me nei suoi studi - o meglio, nelle sue
lezioni, perché di studi non è il caso di parlare - e disse:
«Matilda, voglio fare una passeggiata con te verso le
undici.»
«Oh, no, non posso, Rosalie! Devo dare ordini per la
nuova briglia e la nuova coperta da sella e parlare
all'acchiappatopi dei suoi cani... verrà la signorina Grey
con te.»
«No, devi venire tu» ribatté Rosalie; e, chiamando la
sorella alla finestra, le sussurrò una spiegazione, al che
l'altra acconsentì.
Ricordai che le undici era l'ora in cui il signor Weston
intendeva far visita alla portiera; e, ricordandolo,
compresi tutto.
A pranzo, ebbi di conseguenza la gioia di un lungo
rendiconto di come il signor Weston le avesse raggiunte
mentre passeggiavano; e di come avessero passeggiato e
conversato a lungo con lui, trovandolo un compagno molto
gradevole; e di come lui dovesse essere, e in verità
palesemente fosse, incantato da loro e dalla loro
stupefacente benignità, eccetera eccetera.
NOTE: (1) Lettera ai Filippesi, 4, 8. (Ndt)
XVII. Confessioni
Poiché sono in vena di confessioni, tanto varrà
riconoscere che in quel periodo mi occupavo del mio modo
di vestire più di quanto avessi mai fatto... il che non è dire
molto perché fino a quel momento ero stata piuttosto
trascurata da questo punto di vista... ma ora non era
insolito che io passassi perfino due minuti contemplando la
mia immagine allo specchio, sebbene non riuscissi mai a
trarre conforto da tale contemplazione: non trovavo
alcuna bellezza in quei lineamenti marcati, in quel viso
pallido, magro, e nei capelli di un castano scuro molto
comune; si leggeva forse intelligenza nella fronte, forse gli
occhi grigio scuro erano espressivi, ma che importanza
aveva?... una bassa fronte greca e grandi occhi neri privi
di sentimento sarebbero stati considerati preferibili.
E' sciocco desiderare la bellezza. La gente di buon
senso non la desidera per sé né la cerca negli altri. Se la
mente è ben coltivata e il cuore ha sentimenti giusti, a
nessuno importa l'aspetto esterno.
Questo ci dicevano le insegnanti quando eravamo
bambine; e questo diciamo noi ora ai bambini. Parole
giudiziose e giuste, senza dubbio; ma tali affermazioni
sono sorrette dall'esperienza concreta?
Siamo per natura pronti a amare quello che ci dà
piacere, e che cosa è più piacevole di un bel viso... quando
se non altro non sappiamo nulla di male di chi lo possiede?
Una bambina ama il suo uccellino... Perché?... Perché è
vivo e senziente, perché è inerme e inoffensivo. Anche un
rospo vive e è senziente, e non è meno inerme e
inoffensivo; ma la bambina, che al rospo non farebbe certo
del male, tuttavia non lo ama come l'uccellino, con il suo
corpicino aggraziato, le piume morbide e i vividi occhietti
parlanti. Se una donna è bella e amabile, viene lodata per
entrambe le caratteristiche, ma soprattutto per la prima,
da quasi tutta l'umanità; se al contrario è sgradevole
nell'aspetto e nel carattere, si protesta contro la sua
bruttezza come contro la sua colpa peggiore, poiché a
quanti la guardano dà il dispiacere maggiore; mentre, se è
bruttina e buona, per poco che abbia modi discreti e vita
solitaria, nessuno sa nulla della sua bontà, se non le più
strette conoscenze; ma gli altri saranno pronti a farsi
un'opinione sfavorevole della sua mente e del suo
carattere, se non altro per giustificare la propria istintiva
antipatia per qualcuno così poco favorito dalla natura;
accadrà il contrario nei confronti di una donna la cui
angelica bellezza nasconde un cuore vizioso o ricopre di un
falso, ingannevole fascino difetti e errori che in un'altra
non sarebbero tollerati.
Chi è dotato di bellezza ne sia grato e ne faccia buon
uso, come di ogni altro talento; (1) chi ne è privo, si consoli
e faccia quello che può; senza dubbio, sebbene spesso
sopravvalutato, è un dono di Dio, che non si deve
disprezzare. Molti condivideranno questi pensieri, tra
quanti hanno sentito di poter amare e hanno compreso di
essere degni di venire amati, e tuttavia non hanno potuto,
mancando di bellezza o per altre ragioni simili, dare e
ricevere quella felicità che quasi sembrano fatti per
provare e donare. Tanto varrebbe che l'umile lucciola
disprezzasse la facoltà di dare luce, senza la quale il
maschio errabondo le passerebbe e ripasserebbe accanto
migliaia di volte e non le si poserebbe mai vicino; potrebbe
sentire sopra e attorno a sé il ronzio del suo amore alato,
lui cercandola invano, lei ansiosa di venir trovata, ma
senza la facoltà di far sentire la sua presenza, senza voce
per chiamarlo, senza ali per seguire il suo volo... il maschio
cercherebbe un'altra compagna, la lucciola vivrebbe e
morirebbe sola.
Tali erano le mie riflessioni in quel periodo. Potrei
continuare e continuare a parlare, potrei scandagliare più
a fondo e rivelare altri pensieri, proporre domande alle
quali i lettori troverebbero difficile dare risposta, e trarne
deduzioni che sconvolgerebbero i loro pregiudizi o forse li
farebbero sorridere, poiché non riuscirebbero a
comprenderle; ma preferisco evitarlo.
Ritornerò dunque alla signorina Murray. Accompagnò
la madre al ballo di martedì; splendidamente vestita, si
intende, e entusiasta delle sue prospettive e del suo
fascino. Poiché Ashby Park distava quasi quindici
chilometri da Horton Lodge, dovettero partire piuttosto
presto, e io avevo deciso di passare la serata con Nancy
Brown, che non vedevo da molto tempo, ma la mia cortese
allieva badò a non permettermi di passarla né da Nancy
Brown né in alcun altro luogo oltre i confini della sala da
studio, dandomi un brano di musica da copiare, che mi
tenne occupata fino all'ora di coricarmi.
Verso le undici della mattina successiva, appena uscita
dalla sua stanza, venne a darmi le ultime novità. Sir
Thomas aveva infatti chiesto la sua mano al ballo,
circostanza che faceva onore alla sagacia di sua madre, o
piuttosto alla sua abilità strategica; sono portata a credere
che avesse fatto i suoi piani e poi ne avesse predetto
l'esito.
La domanda era stata naturalmente accettata, e il
futuro sposo doveva venire quel giorno a parlare con il
signor Murray.
Rosalie si rallegrava al pensiero di diventare padrona
di Ashby Park; era eccitata all'idea della cerimonia nuziale
con il suo splendore e la sua pompa, della luna di miele
passata all'estero e dei divertimenti di cui sperava di
godere in seguito a Londra e altrove; sembrava piuttosto
soddisfatta per il momento anche di sir Thomas, poiché di
recente lo aveva visto molto, aveva ballato con lui, ne
aveva ascoltato i complimenti; ma, in complesso, appariva
spaventata all'idea di doversi unire così presto a lui:
desiderava che la cerimonia venisse rimandata almeno di
qualche mese; e anch'io me lo auguravo. Sembrava
terribile affrettare tanto un matrimonio così poco
promettente e non dare a quella povera ragazza il tempo
di pensare e di ragionare sul passo irrevocabile che stava
per compiere.
Non intendevo certo rivendicare «la cura ansiosa di
una madre», ma ero stupefatta e scandalizzata dalla
mancanza di cuore della signora Murray, o dalla sua
indifferenza per il vero bene della figlia; e con
ammonimenti e esortazioni che non venivano ascoltati
cercavo invano di rimediare a quel male. La signorina
Murray non faceva che ridere di quel che le dicevo; e
scoprii presto che la sua riluttanza per un matrimonio
immediato nasceva soprattutto dal desiderio di fare il
maggior numero di vittime tra i giovani di sua conoscenza
prima che le diventassero impossibili altre malizie del
genere. Proprio per questo, prima di confidarmi il segreto
del suo fidanzamento, mi aveva fatto promettere di non
parlarne con nessuno. E quando lo compresi, quando la
vidi immergersi più temerariamente che mai negli abissi
di una civetteria senza cuore, non provai più alcuna pena
per lei.
"Qualsiasi cosa accada" pensai "lo merita. Sir Thomas
non è certo indegno di lei; e quanto prima le verrà
impedito di ingannare e ferire altri uomini, tanto meglio
sarà."
Il matrimonio era fissato per il primo di giugno. Tra il
ballo fatale e quella data c'erano poco più di sei settimane;
ma, con l'abilità di Rosalie e la sua infaticabile attività, si
poteva fare molto anche in un tale periodo, tanto più che
sir Thomas passava la maggior parte del tempo a Londra,
dove andava, a quanto si diceva, per sistemare le cose con
il suo legale e fare altri preparativi per le prossime nozze.
Cercava tuttavia di supplire alla sua assenza con un
flusso costante di bigliettini amorosi, che non attiravano
però l'attenzione dei vicini né aprivano i loro occhi come
avrebbero fatto delle visite; e l'acido, altero riserbo della
vecchia Lady Ashby la tratteneva dal diffondere la notizia,
mentre la sua salute cagionevole le impediva di venire a
trovare la futura nuora; in complesso il fidanzamento
rimase segreto molto più di quanto di consueto accada.
A volte Rosalie mi mostrava le lettere del fidanzato
per convincermi che sarebbe stato un marito tenero e
devoto. Mi mostrava anche le lettere di un altro, lo
sventurato signor Green, che non aveva il coraggio, o,
come lei disse, «la grinta», di perorare personalmente la
sua causa, ma che non si scoraggiava per un solo rifiuto;
non poteva impedirsi di continuare a scrivere.
Non lo avrebbe fatto se avesse visto le smorfie che il
suo bell'idolo faceva leggendo i suoi patetici appelli
d'amore e avesse ascoltato la sua risata sdegnosa e gli
epiteti offensivi di cui lo gratificava per la sua
perseveranza.
«Perché non gli dite subito che siete fidanzata?» le
chiesi.
«Oh, non voglio che lo sappia. Se lo sapesse, lo
saprebbero anche le sue sorelle, e poi tutti, e allora non ci
sarebbe più spazio per le mie... bene, lasciamo andare.
Inoltre, se glielo dicessi, penserebbe che il mio
fidanzamento sia il solo ostacolo, e che lo accetterei se fossi
libera, e io non potrei sopportare che nessun uomo, e lui
meno di tutti, pensasse una cosa simile. Del resto non mi
importa nulla delle sue lettere» aggiunse sdegnosamente
«scriva pure quanto gli pare e prenda l'aria idiota quanto
vuole quando lo incontro: serve soltanto a divertirmi.»
Frattanto il giovane Meltham veniva spesso in visita o
passava davanti alla casa; e, a giudicare dalle proteste e
dai rimproveri di Matilda, sua sorella gli prestava più
attenzione di quanto richiedesse la cortesia: in altre parole
amoreggiava animatamente con lui per quanto glielo
permetteva la presenza dei genitori.
Fece anche qualche tentativo di riconquistare il signor
Hatfield; ma, vedendoli fallire, ripagò l'altera indifferenza
di lui con uno sprezzo ancora più altero, e ne parlava con
sdegno e antipatia come prima aveva parlato del suo
coadiutore.
In tanta attività, non perdeva mai di vista per un solo
istante il signor Weston. Coglieva ogni opportunità di
incontrarlo, sperimentava ogni astuzia per affascinarlo, lo
corteggiava con ostinata perseveranza come se davvero lo
amasse, e amasse lui soltanto, e la felicità di tutta la sua
vita dipendesse dal veder ricambiato il suo amore. Io non
riuscivo a comprendere una simile condotta. Se l'avessi
letta in un romanzo, l'avrei giudicata troppo irreale; se
l'avessi sentita da altri, l'avrei ritenuta un errore o
un'esagerazione; ma quando la vedevo con i miei occhi, e
ne soffrivo, potevo soltanto concludere che la vanità
eccessiva, come l'ubriachezza, indurisce il cuore, rende
schiave le facoltà e perverte i sentimenti, e che i cani non
sono le sole creature che, anche piene fino al gozzo,
vogliono quello che non possono divorare e negano anche
il più piccolo boccone a un fratello affamato.
Divenne ora molto generosa con i poveri del villaggio.
Le sue conoscenze tra loro si fecero più numerose, le sue
visite alle loro povere case più lunghe e frequenti di
quanto mai fossero state. Si guadagnò di conseguenza la
fama di una signorina molto benevola e caritatevole; e i
loro elogi venivano senza dubbio riferiti al signor Weston,
che lei aveva così l'occasione quotidiana di incontrare in
questa o quella casa o nel percorso dall'una all'altra;
spesso, poi, riusciva a capire, dalle loro chiacchiere, dove
lui si sarebbe recato nei vari momenti della giornata, a
battezzare un bambino, a visitare i vecchi, i malati, gli
afflitti o i morenti; e con molta abilità preparava in
conseguenza i suoi piani.
In tali escursioni si faceva accompagnare qualche volta
dalla sorella, che, non so con quali mezzi, aveva convinto o
costretto a partecipare ai suoi intrighi, qualche volta
andava sola: mai con me; venivo così privata del piacere
di vedere il signor Weston o di ascoltare la sua voce, sia
pure mentre conversava con un'altra, e sarebbe stato un
piacere molto grande, sebbene doloroso e mescolato a
sofferenza.
Non potevo vederlo neppure in chiesa, perché la
signorina Murray, con qualche pretesto di poco conto,
decise di sedere lei in quell'angolo del banco di famiglia che
avevo sempre occupato sin dal mio arrivo; o dovevo avere
la presunzione di mettermi tra il signore e la signora
Murray, o dovevo sedere voltando le spalle al pulpito,
come naturalmente facevo.
E ora non tornavo mai a casa a piedi con le mie allieve:
dicevano che la mamma pensava non fosse bello vedere
tre persone della famiglia a piedi e due soltanto in
carrozza; dal momento che loro preferivano camminare
quando il tempo era bello, toccava a me l'onore di andare
con gli anziani.
«Inoltre» dicevano «voi non camminate veloce come
noi; rimanete sempre indietro, lo sapete bene.»
Sapevo che erano soltanto pretesti, ma non facevo
obiezioni e non contraddicevo mai quelle affermazioni,
conoscendo benissimo i motivi che le ispiravano.
E nel pomeriggio, nel corso di quelle memorabili sei
settimane, non andai affatto in chiesa. Se avevo il
raffreddore o qualche piccolissima indisposizione, ne
approfittavano per farmi stare a casa; e spesso mi
dicevano che neanche loro sarebbero tornate in chiesa
quel giorno, e poi fingevano di cambiare idea e uscivano
senza dirmelo, facendo in modo che io non scoprissi mai il
cambiamento di programma prima che fosse troppo tardi.
Al loro ritorno a casa in una di queste occasioni, mi
riferirono animatamente la conversazione avuta con il
signor Weston mentre camminavano verso casa.
«E ha chiesto se eravate malata, signorina Grey» disse
Matilda «ma noi abbiamo risposto che stavate bene,
soltanto non volevate venire in chiesa: così penserà che
siate diventata miscredente.»
Anche gli incontri casuali durante la settimana
venivano attentamente evitati; per impedirmi di andare
dalla povera Nancy Brown o da chiunque altro, la
signorina Murray badava a trovarmi un'occupazione per
tutte le ore libere. C'era sempre un disegno da finire, della
musica da copiare, o qualche lavoro da fare, tali da
impedirmi di concedermi più di una breve passeggiata nel
parco, qualsiasi cosa facessero lei o la sorella.
Una mattina, avendo cercato e intercettato il signor
Weston, vennero tutte allegre a riferirmi del loro incontro.
«Ha chiesto di nuovo di voi» disse Matilda, ignorando
l'imperioso cenno della sorella perché tenesse la bocca
chiusa. «Si meravigliava che non foste mai insieme a noi e
temeva che foste di salute cagionevole, dal momento che
uscite così poco.»
«Ma non è vero, Matilda, che sciocchezze dici!»
«Oh, questa sì è una bugia, Rosalie. E' vero, lo sai
benissimo; e tu hai risposto... basta, Rosalie, accidenti! non
darmi questi pizzicotti! E Rosalie, signorina Grey, ha
risposto che state benissimo ma che siete sempre sepolta
nei libri e niente altro vi dà piacere.»
"Che idea deve farsi di me!" pensai.
«E la vecchia Nancy» chiesi «domanda mai di me?»
«Sì, e noi le diciamo che vi piace tanto leggere e
disegnare che non avete tempo per fare altro.»
«Ma non è la verità; se le aveste detto che sono tanto
occupata che non mi viene lasciato il tempo per fare altro,
sarebbe stato molto più vicino alla verità.»
«Non lo credo proprio» ribatté la signorina Murray
accalorandosi di colpo. «Direi che avete molto tempo
libero, ora che avete così poche lezioni da dare.»
Era inutile cercare di discutere con ragazze così
irragionevoli e viziate; e io rimasi in silenzio. Ero ormai
abituata a rimanere in silenzio quando venivano dette
cose che mi riuscivano sgradite; e a prendere
un'espressione tranquilla e sorridente quando avevo il
cuore pieno di amarezza. Soltanto chi ha provato i miei
stessi sentimenti può immaginare che cosa sentissi
mentre sedevo fingendo una sorridente indifferenza,
costretta a ascoltare il racconto degli incontri con il signor
Weston, che sembravano divertirsi tanto a farmi, a
sentire di lui cose che, conoscendo il suo carattere, sapevo
esagerate e inesatte, se non vere e proprie menzogne cose offensive per lui e lusinghiere per loro, soprattutto
per la signorina Murray, che io bruciavo dal desiderio di
confutare, o, quanto meno, di mettere in dubbio; ma non
osavo farlo, temendo di esprimere, con la mia incredulità,
il mio interesse per lui.
Sentivo altre cose che pensavo o temevo fossero sin
troppo vere; ma anche allora dovevo nascondere la mia
ansia per lui, il mio sdegno nei loro confronti, fingendo
noncuranza; e altre ancora - semplici accenni di qualcosa
che era stato detto o fatto - delle quali desideravo
angosciosamente sapere di più, ma non osavo rivolgere
domande.
Passava così malinconicamente il tempo. Non potevo
neppure confortarmi dicendomi: "Presto si sposerà, e
allora potrò tornare a sperare".
Subito dopo il suo matrimonio sarebbero incominciate
le vacanze; e al mio ritorno da casa, molto probabilmente
il signor Weston sarebbe partito, poiché mi era stato detto
che lui e il rettore non andavano d'accordo (per colpa del
rettore, s'intende) e che si preparava a andare in un'altra
parrocchia.
No - oltre alla speranza in Dio - il mio solo conforto era
pensare che, sebbene lui non lo sapesse, ero degna del suo
amore più di Rosalie Murray, con tutto il suo fascino e i
suoi incanti; poiché io sapevo apprezzare i suoi grandi
meriti, e lei no; io mi sarei dedicata tutta a farlo felice; lei
avrebbe distrutto la sua felicità per la momentanea
soddisfazione della propria vanità.
"Oh, se soltanto conoscesse la differenza!" esclamavo
tra me con passione. "Ma no! Non vorrei che leggesse nel
mio cuore... ma se soltanto potesse vedere la sua vacuità,
la sua indegna, crudele frivolezza... allora lui sarebbe
salvo, e io sarei... sarei quasi felice, quand'anche non
dovessi vederlo più."
Temo che a questo punto i miei lettori siano nauseati
dalla debolezza e la stoltezza che ho rivelato così
apertamente. Allora non le lasciai mai trasparire, e non lo
avrei fatto neppure se mia sorella o mia madre fossero
state con me.
Ero abile e decisa nell'arte di dissimulare - in questo
caso, intendo. Oltre a me stessa soltanto il Cielo era
testimone delle mie preghiere, le mie lacrime, i miei
desideri, le mie paure e i miei lamenti.
Quando siamo assediati da sofferenze e ansie, o
oppressi a lungo da sentimenti forti che dobbiamo tenere
per noi, per i quali non possiamo ricevere né cercare
comprensione da nessun essere vivente, e che tuttavia
non possiamo, o non vogliamo, distruggere interamente,
spesso cerchiamo conforto nella poesia - e spesso lo
troviamo - in effusioni poetiche di altri, che sembrino in
armonia con le nostre circostanze, o in un tentativo
personale di dare voce a quei pensieri e quei sentimenti in
versi forse meno musicali, ma più appropriati e dunque
più penetranti e congeniali, e momentaneamente più
confortanti o più forti nel risollevare e liberare il cuore
gonfio e oppresso.
Due o tre volte prima di allora, a Wellwood House e
dove ora mi trovavo, quando soffrivo di nostalgia avevo
cercato conforto in questa segreta fonte di consolazione; e
ora tornai di nuovo a cercarla, con ben maggiore avidità,
poiché sembrava ne avessi maggior bisogno. Conservo
ancora questi ricordi di sofferenze e esperienze passate,
come pietre miliari che indichino, nel cammino lungo la
valle della vita, circostanze particolari.
Le tracce ormai sono cancellate; l'aspetto del paesaggio
è forse diverso, ma la pietra è ancora là a ricordarmi
com'erano le cose quando venne piantata nel terreno.
Se i lettori dovessero essere curiosi di conoscere
queste mie effusioni poetiche, eccone un breve esempio: i
versi possono sembrare freddi e languidi, ma a farli
nascere è stata una sofferenza tumultuosa.
Oh, mi hanno rapito la speranza a cui si afferrava il
mio spirito; mi negano di udire quella voce che è delizia e
gioia del mio animo.
Non mi concedono di vedere quel volto che è per me
delizia e gioia; hanno strappato da me il tuo sorriso, mi
hanno privato del tuo amore.
Prendano pure quel che possono prendere; a me
rimane un grande tesoro: un cuore che ama pensare a te e
sente il valore del tuo.
Sì! Di questo almeno non potevano privarmi; potevo
pensare a lui giorno e notte e sentivo che meritava si
pensasse a lui. Nessuno lo conosceva come io lo conoscevo;
nessuno poteva apprezzarlo come io lo apprezzavo;
nessuno poteva amarlo come io... come io avrei potuto
amarlo, se fosse stato possibile; ma questo era il male. Che
diritto avevo di pensare tanto a qualcuno che non pensava
a me? Non era sciocco?... non era sbagliato?
Eppure, se provavo tale gioia nel pensare a lui, e se
tenevo per me i miei pensieri e non li comunicavo a
nessuno, che male poteva esserci in questo? Così mi
dicevo.
E quei ragionamenti mi impedivano di cercare davvero
di scuotermi dalle mie catene.
Ma, se quei pensieri mi portavano gioia, era un piacere
doloroso, turbato, troppo vicino all'angoscia; un piacere
che mi faceva male più di quanto comprendessi. Era un
compiacimento che una donna più saggia e esperta si
sarebbe senza dubbio negato.
Tuttavia... com'era doloroso distogliere gli occhi dalla
contemplazione di quell'oggetto luminoso e costringerli a
posarsi sul panorama che mi circondava, opaco, grigio,
desolato, sul sentiero solitario, senza gioia e speranza che
mi si apriva dinnanzi.
Era male essere così priva di gioia, così oppressa; avrei
dovuto cercare un amico in Dio e trovare nel fare la Sua
volontà la gioia e l'occupazione della mia vita; ma la fede
era debole, e la passione troppo forte.
In quel tempo di sofferenza avevo altre due cause di
pena. La prima può sembrare una cosa da nulla, ma mi
costò più di una lacrima: Snap, il mio piccolo compagno
muto, dal viso ruvido ma dagli occhi luminosi e dal cuore
caldo, la sola cosa mia che mi amasse, venne portato via e
affidato alle tenere cure dell'acchiappatopi del villaggio,
noto per la brutalità con cui trattava i suoi schiavi canini.
L'altra era molto seria: le lettere da casa mi
comunicavano che la salute di mio padre peggiorava. Non
si parlava di concreti timori, ma io ero divenuta paurosa e
depressa, e non potevo non temere che ci attendesse una
terribile sventura. Mi sembrava di vedere le nuvole nere
che si addensavano attorno alle mie colline native, di udire
il rabbioso borbottare di una tempesta che stava per
scoppiare e gettare la desolazione nella nostra casa.
NOTE: (1) La parola «talento» (talent) non è usata
probabilmente in senso generico, ma come riferimento
alla parabola dei talenti (cfr. Luca, 19, 12-27). (Ndt)
XVIII. Gioia e lutto
Giunse infine il primo giugno; e Rosalie Murray
diventò Lady Ashby.
Era splendidamente bella nell'abito nuziale.
Al ritorno dalla chiesa dopo la cerimonia, volò nella sala
da studio, rossa in viso per l'emozione, e ridente... ridente
di gaiezza e a un tempo di spavalda disperazione... o così
mi parve.
«Ora, signorina Grey, sono Lady Ashby» esclamò. «E'
fatta! il mio destino è segnato... non è più possibile tornare
indietro. Sono venuta a ricevere le vostre congratulazioni
e a congedarmi da voi; e subito partirò... per Parigi, Roma,
Napoli, la Svizzera, Londra...
Oh, quante cose vedrò e sentirò prima di tornare! Ma
non dimenticatemi; io non vi dimenticherò, anche se sono
stata cattiva.
Via, perché non vi congratulate con me?»
«Non posso rallegrarmi con voi» dissi «finché non so se
questo cambiamento è veramente per il meglio; ma spero
sinceramente che lo sia; e vi auguro di essere felice e di
avere ogni benedizione.»
«Bene, vi saluto allora... la carrozza mi aspetta, e mi
chiamano.»
Mi salutò con un rapido bacio e stava per affrettarsi
via, ma, tornando indietro di colpo, mi abbracciò con un
affetto che non l'avrei creduta capace di esprimere e si
allontanò con gli occhi pieni di lacrime.
Povera ragazza! In quel momento le volli veramente
bene; e le perdonai di tutto cuore il male che aveva fatto a
me... e anche a altri; non ne era pienamente consapevole,
ne ero certa; e pregai Dio che anch'egli volesse perdonarla.
Per il resto di quella giornata di festosa tristezza,
rimasi sola.
Sentendomi troppo inquieta per dedicarmi a qualsiasi
occupazione costante, vagai senza meta con un libro in
mano per parecchie ore, pensando più che leggendo,
poiché avevo molte cose a cui pensare; e la sera utilizzai la
mia libertà per andare a trovare la mia vecchia amica
Nancy; per scusarmi della lunga assenza, che doveva
esserle parsa così scortese, così piena di trascuratezza,
spiegandole quanto fossi stata occupata, e per parlarle o
leggerle o lavorare per lei, quello che più le avesse fatto
piacere, e naturalmente per darle le notizie di quella
giornata importante, e forse per avere da lei in cambio
qualche informazione relativa all'attesa partenza del
signor Weston. Ma lei sembrava non saperne nulla, e io
sperai, come sperava lei, che si trattasse di una notizia
falsa.
Fu molto felice di vedermi; ma fortunatamente i suoi
occhi erano ormai quasi completamente guariti e lei era
praticamente indipendente dal mio aiuto. Le nozze la
interessavano molto; ma, mentre io la divertivo con i
particolari di quella giornata di festa, con gli splendori del
ricevimento nuziale e della sposa, lei spesso sospirava e
scuoteva la testa e si augurava che potesse venirne
qualcosa di buono: come me, sembrava considerare
quell'evento causa di dolore più che di gioia. Rimasi a
lungo a parlarle di quello e di altre cose; ma non venne
nessuno.
Devo confessarlo che a volte guardavo la porta
desiderando, e quasi aspettandomi, di vederla aprirsi per
lasciar entrare il signor Weston, come una volta era
accaduto? e che, tornando per i viali e i campi, spesso mi
fermavo a guardarmi attorno e camminavo più
lentamente del necessario - sebbene fosse una bella
serata, non era infatti una serata calda - e provai infine un
senso di vuoto e di delusione quando arrivai a casa senza
avere incontrato, o neppure intravisto da lontano,
nessuno, se non qualche contadino di ritorno dai campi?
Ma si avvicinava la domenica: allora lo avrei visto; ora
che la signorina Murray non c'era più, potevo tornare a
occupare il mio vecchio angolo... lo avrei visto; e dal suo
sguardo, dalle parole, dai modi avrei potuto capire se il
matrimonio di lei lo avesse molto turbato.
Fortunatamente non notai in lui ombra di differenza;
aveva l'aspetto che aveva avuto due mesi prima: voce,
sguardo, modi, tutto era immutato; nelle sue parole si
avvertiva la consueta penetrante, limpida sincerità, la
stessa imperiosa chiarezza nel suo stile, la stessa
appassionata semplicità in tutto quello che diceva e
faceva, che si imprimeva non nello sguardo e nell'udito,
ma nel cuore di chi lo ascoltava.
Andai a casa a piedi con la signorina Matilda, ma lui
non ci raggiunse. Matilda ora non aveva nulla che la
distraesse, e sentiva tristemente la mancanza di una
compagna. I fratelli a scuola, la sorella sposata e partita,
lei troppo giovane per fare il suo ingresso in società, che,
seguendo l'esempio di Rosalie, cominciava a considerare
con piacere - se non altro pensando alla compagnia di
determinate classi di uomini - in quel periodo monotono
dell'anno; niente partite di caccia, neppure si poteva
tirare... lei a questo non avrebbe preso parte, ma era
sempre qualcosa vedere il padre o il guardacaccia uscire
con i cani e parlare, al loro ritorno, dei vari uccelli che
avevano messo nel carniere. Ora le veniva negato anche il
conforto che avrebbe potuto darle la compagnia del
cocchiere, dello staffiere, dei cavalli, dei levrieri e dei
pointer; poiché la madre, essendo riuscita, a dispetto degli
svantaggi della vita in campagna, a maritare in modo così
soddisfacente la prima figlia, orgoglio del suo cuore
materno, aveva cominciato a occuparsi seriamente della
seconda, e, sinceramente allarmata dai suoi modi rudi,
convinta che fosse ormai tempo di operare un
mutamento, si era infine decisa a esercitare la sua autorità
e aveva rigorosamente proibito i cortili, le scuderie, i canili
e la rimessa. Si intende che non veniva obbedita; ma, pur
essendo stata sino ad allora così indulgente, una volta che
si fosse risvegliata non aveva un carattere mite come
quello che esigeva nell'istitutrice, e non ci si poteva
opporre impunemente alla sua volontà; dopo molte
discussioni tra madre e figlia, molte violente esplosioni di
collera alle quali mi vergognavo di assistere, nelle quali si
faceva ricorso spesso all'autorità del padre perché
confermasse con giuramenti e minacce le disattese
proibizioni materne... poiché anche lui vedeva bene che
«Tilly» sarebbe stata splendida come ragazzo ma non era
certo quello che doveva essere una signorina... Matilda
scoprì infine che la cosa più semplice era tenersi lontana
dai luoghi vietati, sempre che non le riuscisse ogni tanto di
andarci di nascosto eludendo l'attenta sorveglianza
materna.
Non si pensi che io me la cavassi senza molte accuse, e
molti impliciti rimproveri che non erano meno pungenti
per non essere espressi apertamente, ma piuttosto
ferivano più a fondo poiché impedivano, proprio per
questo, una difesa. Spesso mi veniva chiesto di distrarre la
signorina Matilda con altri svaghi e di ricordarle i precetti
e le proibizioni della madre. Lo facevo per quanto mi era
possibile; ma lei non voleva lasciarsi svagare contro la sua
volontà e non poteva svagarsi contro i suoi gusti; e
sebbene io non mi limitassi soltanto a ricordare, i miti
rimproveri di cui potevo servirmi non avevano alcun
effetto.
«Cara signorina Grey, è davvero molto strano...
immagino non possiate farci nulla se non è nella vostra
natura, ma è strano che non riusciate a conquistare la
fiducia di quella ragazza e a renderle la vostra compagnia
gradita almeno quanto quella di Robert o Joseph.»
«Loro possono parlare molto meglio di me delle cose
che più la interessano» rispondevo.
«Ebbene, ecco una confessione davvero singolare da
parte della sua istitutrice. Mi chiedo chi dovrebbe formare
il gusto di una giovinetta se non lo fa l'istitutrice. Ho
conosciuto istitutrici che si sono identificate così
pienamente con la reputazione di eleganza, saggezza e
cortesia delle allieve, che si sarebbero vergognate di dire
una sola parola contro di loro; e sentire il minimo biasimo
rivolto alle loro allieve era più grave che venir criticate
personalmente... Per quanto mi riguarda lo trovo molto
naturale.»
«Davvero, signora?»
«Sì; è naturale: per l'istitutrice l'eleganza e i buoni
risultati dell'allieva sono più importanti dei suoi, per lei
come per tutti gli altri. Se vuole riuscire bene nella sua
professione, deve dedicarvi tutte le sue energie; tutte le
sue idee e le sue ambizioni devono concentrarsi su tale
scopo. Quando vogliamo capire i meriti di una istitutrice,
guardiamo naturalmente le giovani donne che afferma di
avere istruito e giudichiamo di conseguenza. L'istitutrice
giudiziosa lo sa; sa che, pur vivendo personalmente
nell'ombra, le virtù e i difetti delle sue allieve saranno
visibili a tutti, e che, se non dimentica se stessa per
dedicarsi alla loro formazione, non può sperare di riuscire.
Capite, signorina Grey, è come per ogni altro commercio o
professione; chi desidera riuscire deve dedicarsi corpo e
anima al suo lavoro, e se comincia a cedere all'indolenza o
all'eccessiva autoindulgenza, viene rapidamente distaccato
da altri rivali più saggi: non c'è molta differenza tra chi
rovina le proprie allieve per la trascuratezza e chi le
corrompe con il cattivo esempio. Vorrete perdonarmi se
ho discretamente accennato a queste cose... è soltanto per
il vostro bene, lo capirete. Molte signore vi parlerebbero
con ben altro vigore; e molte non si darebbero affatto la
pena di parlarvi, ma cercherebbero senza dire nulla una
sostituta.
Questa sarebbe naturalmente la soluzione più
semplice; ma io comprendo i vantaggi di un posto come
questo per una persona nella vostra situazione; e non
desidero separarmi da voi, poiché sono certa che andreste
benissimo se soltanto rifletteste a queste cose e cercaste
di impegnarvi un po' di più; allora, non ne dubito,
acquistereste presto quel tatto delicato che è la sola
qualità di cui siate priva per poter esercitare la giusta
influenza sulla mente della vostra allieva.»
Stavo per dare alla signora una buona idea di quanto
fossero fallaci le sue convinzioni, ma lei si allontanò
maestosamente appena ebbe concluso il suo discorso.
Avendo detto quello che desiderava dire, non rientrava
nei suoi piani attendere una risposta: a me toccava
ascoltare, non parlare.
Tuttavia, come ho detto, Matilda finì per cedere in una
certa misura all'autorità di sua madre (peccato che non
l'avesse esercitata prima), e, privata così di quasi ogni
fonte di svago, non le restavano che lunghe cavalcate con
lo staffiere e lunghe passeggiate con l'istitutrice, e visite
alle case e alle fattorie della proprietà di suo padre, per
ammazzare il tempo chiacchierando con i vecchi e le
vecchie che vi abitavano.
In una di queste passeggiate incontrammo per caso il
signor Weston.
Era quello che avevo atteso tanto a lungo; ma ora, per
un momento, desiderai che io o lui fossimo altrove:
sentivo il cuore battere con tale violenza che temevo di
esprimere in qualche modo la mia emozione; ma credo che
lui mi guardasse appena, e presto mi calmai.
Dopo un breve saluto rivolto a entrambe, chiese a
Matilda se avesse notizie di sua sorella.
«Sì» rispose. «Era a Parigi quando ha scritto: stava
bene e era molto felice.»
Pronunciò in tono enfatico l'ultima parola,
accompagnandola con un'occhiata furba e impertinente.
Lui sembrò non accorgersene, ma rispose, con eguale
enfasi e grande serietà: «Spero che continui a esserlo.»
«Pensate sia probabile?» mi azzardai a chiedere,
poiché Matilda era corsa dietro al cane che dava la caccia a
un leprotto.
«Non saprei dirlo. Forse sir Thomas è migliore di
quanto io immagini, ma, da tutto quanto ho sentito e visto,
sembra un peccato che una donna così giovane, e gaia e...
interessante, per esprimere molti concetti con una sola
parola, la cui maggiore, se non la sola colpa sembra essere
la sventatezza... non una colpa da poco, è vero, poiché chi
la possiede è esposto a quasi ogni altra colpa e soggetto a
molte tentazioni; sembra tuttavia un peccato che sia stata
sprecata con un uomo così. Immagino fosse desiderio di
sua madre?»
«Sì; e anche il suo, credo, poiché rideva sempre dei
miei tentativi di dissuaderla da quel passo.»
«Dunque avete cercato di dissuaderla? Avrete se non
altro la soddisfazione di sapere che non è colpa vostra se il
matrimonio non dovesse avere buon esito; quanto alla
signora Murray, non so come possa giustificare la sua
condotta; se la conoscessi abbastanza bene glielo
chiederei.»
«Sembra una condotta contro natura; ma alcuni
pensano che il rango e la ricchezza siano il bene supremo;
e se possono conquistarlo per i loro figli, pensano di avere
fatto il loro dovere.»
«E' vero; ma non è strano che gente di esperienza, che
è stata sposata, giudichi in modo così sbagliato?»
Matilda stava tornando ansante, in mano il corpo
lacerato del leprotto.
«Era vostra intenzione uccidere quella lepre o salvarla,
signorina Matilda?» chiese Weston, stupito dalla sua
espressione allegra.
«Ho finto di volerla salvare» rispose sinceramente lei
«perché è così clamorosamente fuori stagione; ma mi ha
fatto più piacere vederla uccisa. Però, potete testimoniare
entrambi che non potevo farci nulla; Prince era deciso a
prenderla, e l'ha afferrata alla schiena e l'ha uccisa in un
minuto! Non è stata una bella caccia?»
«Molto bella! per una signorina all'inseguimento di un
leprotto.»
C'era nella sua voce un quieto sarcasmo che a lei non
sfuggì; si strinse nelle spalle, e, volgendosi e sbuffando in
modo espressivo, mi chiese se mi fossi divertita allo
spettacolo.
Risposi che non ci trovavo nulla di divertente, ma
riconobbi di non avere osservato con molta attenzione la
scena.
«Non avete visto come si è voltato di scatto, proprio
come una lepre adulta, e non lo avete sentito urlare?»
«Sono felice di poter rispondere di no.»
«Ha gridato proprio come un bambino.»
«Povera creaturina! Che cosa ne farete?»
«Venite... lo lascerò nella prima casa a cui arriviamo.
Non voglio portarlo a casa, perché papà non mi sgridi per
aver lasciato che il cane lo uccidesse.»
Il signor Weston si era allontanato, e anche noi
riprendemmo il cammino; mentre ritornavamo, però,
dopo aver depositato il leprotto a una fattoria e aver
mangiato in cambio panpepato e bevuto vino di ribes, lo
incontrammo che ritornava a sua volta dall'aver compiuto
la propria missione, quale che fosse. Teneva in mano un
mazzo di bei giacinti che mi offrì, dicendomi, con un
sorriso, che, sebbene mi avesse visto così poco negli ultimi
due mesi, non aveva dimenticato che i giacinti erano tra i
miei fiori preferiti.
Era un gesto compiuto semplicemente come un atto di
benevolenza, senza alcuna cerimonia o particolare
cortesia, senza alcuno sguardo che potesse venire
interpretato come una «riverente, tenera adorazione»
(vedi Rosalie Murray); ma era pure qualcosa scoprire che
quella mia frase senza importanza veniva ricordata con
tanta attenzione; era qualcosa che avesse notato con tanta
esattezza da quanto tempo ero diventata invisibile.
«Mi hanno detto» osservò «che eravate un vero topo
di biblioteca, signorina Grey, così assorta nei vostri studi
da aver dimenticato ogni altro piacere.»
«Sì, e infatti è vero» esclamò Matilda.
«No, signor Weston, non dovete crederlo: è una
vergognosa calunnia.
Queste signorine amano troppo fare affermazioni
casuali a spese dei loro amici, e dovreste essere molto
cauto nell'ascoltarle.»
«Spero in ogni caso che questa affermazione sia
infondata.»
«Perché? Siete contrario a che le donne si dedichino
allo studio?»
«No; ma sono contrario al fatto che chiunque, uomo o
donna, si dedichi tanto agli studi da dimenticare tutto il
resto. Se non in circostanze particolari. Considero uno
studio molto intenso e costante una perdita di tempo e un
danno per la mente oltre che per il corpo.»
«Io non ho né il tempo né il desiderio di macchiarmi di
queste colpe.»
Ci separammo di nuovo.
Ebbene, che cosa c'è di notevole in tutto questo?
Perché l'ho raccontato? Perché era tanto importante da
farmi passare una serata lieta, una notte di sogni
gradevoli e una mattina di felici speranze.
Vuota letizia, sciocchi sogni, speranze infondate,
diranno i lettori, e io non mi permetterò di negarlo: troppo
spesso tali sospetti sorgevano anche nella mia mente; ma i
nostri desideri sono come la pietra focaia: l'acciarino delle
circostanze non fa che produrre scintille, che svaniscono
immediatamente se non cadono sulla pietra focaia dei
nostri desideri; allora prendono subito fuoco, e la fiamma
della speranza si accende all'istante.
Ma ahimè, quella stessa mattina la mia vacillante
fiamma di speranza venne dolorosamente estinta da una
lettera di mia madre: mi parlava con tanta gravità della
malattia di mio padre da farmi temere vi fosse scarsa o
nessuna speranza di guarigione; per quanto vicine fossero
le vacanze, tremavo al pensiero che potessero giungere
troppo tardi perché io riuscissi a vederlo di nuovo in
questo mondo. Due giorni dopo, una lettera di Mary mi
diceva che era in pericolo di vita e che la sua morte
sembrava imminente.
Chiesi immediatamente il permesso di anticipare le
vacanze e di partire subito.
La signora Murray mi guardò, stupita dall'insolita
energia, dal coraggio con cui formulavo la mia richiesta, e
rispose che non vedeva la necessità di affrettarsi; ma
infine mi diede il permesso, affermando tuttavia che «non
c'era motivo di agitarsi tanto: dopo tutto poteva rivelarsi
un falso allarme; e se non era così... ebbene, si trattava del
normale corso degli eventi: tutti dobbiamo morire un
giorno, e non dovevo immaginare di essere la sola persona
che soffrisse al mondo», e concludendo che potevo
prendere il phaeton per andare a O...
«E invece di lamentarvi, signorina Grey, rallegratevi
per i privilegi di cui godete. Ci sono molti poveri
ecclesiastici la cui famiglia piomberebbe nella rovina a
causa della loro morte; ma voi, come vedete, avete amici
influenti pronti a continuare a proteggervi e a trattarvi
con tutti i riguardi.»
La ringraziai per quei «riguardi» e corsi nella mia
stanza a prepararmi in fretta per la partenza. Indossati
scialle e cappellino e cacciate in fretta poche cose nella
valigia più grande, scesi. Ma avrei potuto fare le cose con
più calma, poiché nessun altro aveva fretta; e dovetti
aspettare ancora a lungo l'arrivo del phaeton.
Finalmente arrivò alla porta, e io mi misi in viaggio;
che triste viaggio, e com'era diverso dai miei precedenti
ritorni a casa!
Essendo ormai tardi per l'ultima diligenza diretta a ...
dovetti noleggiare un calesse per quindici chilometri e poi
una carretta che mi portasse su per le aspre colline. Erano
le dieci e mezzo quando arrivai a casa. Non erano a letto.
Nel corridoio mi vennero incontro mia madre e mia
sorella, tristi, silenziose, pallide! Ero così turbata e
atterrita che non riuscivo a parlare per chiedere quello
che tanto desideravo, pure temevo di sapere.
«Agnes» disse mia madre, lottando per tenere a freno
una forte emozione.
«Oh, Agnes!» esclamò Mary, e scoppiò a piangere.
«Come sta?» chiesi, attendendo con il fiato sospeso la
risposta.
«E' morto!»
Era la risposta che mi aspettavo; ma il colpo non fu per
questo meno terribile.
XIX. La lettera
Le spoglie di mio padre erano state sepolte; e noi, il
viso triste, gli abiti scuri, indugiavamo alla tavola della
colazione, facendo piani per il futuro.
La forza d'animo di mia madre non era venuta meno
neppure sotto il peso di quel dolore: il suo coraggio,
schiacciato e oppresso, non si era tuttavia infranto. Mary
desiderava che io tornassi a Horton Lodge e che nostra
madre andasse a vivere con lei e il signor Richardson nella
canonica: disse che suo marito lo desiderava quanto lei, e
che una sistemazione come quella non poteva non giovare
a tutti, poiché la compagnia e l'esperienza di mia madre
sarebbero state per loro di inestimabile valore, e loro
avrebbero fatto tutto il possibile per renderla felice. Ma
né ragionamenti né preghiere ottennero alcun risultato:
mia madre era decisa a non andare con loro; non certo
perché mettesse in dubbio per un solo momento le
intenzioni e la bontà della figlia; ma dichiarava che, finché
Dio le dava forza e salute, se ne sarebbe servita per
guadagnarsi da vivere e non essere di peso a nessuno,
quando pure la sua dipendenza non fosse sentita come un
peso. Se si fosse potuta permettere di alloggiare come
inquilina nella canonica di..., l'avrebbe scelta di preferenza
a ogni altra come sua dimora; ma, le cose non stando così,
non sarebbe mai vissuta sotto quel tetto se non come
visitatrice, a meno che una malattia o una sventura non
rendessero necessaria la sua presenza, o fino a quando
l'età o la salute non le impedissero di mantenersi da sola.
«No, Mary» disse «se tu e Richardson avete qualche
risparmio, mettetelo da parte per la vostra famiglia;
Agnes e io penseremo a procurarci il cibo. Avendo avuto
due figlie da allevare, non ho dimenticato le mie
conoscenze... con l'aiuto di Dio smetterò questi continui
rimpianti» aggiunse, mentre le lacrime si inseguivano sul
suo viso a dispetto degli sforzi per frenarle; ma se le
asciugò e, scuotendo risolutamente il capo, continuò: «Mi
darò da fare e cercherò una casa piccola, in una posizione
gradevole in un distretto molto popolato ma sano, dove
prenderemo un certo numero di ragazze come allieve
interne - se riusciamo a trovarle - e tutte le allieve
esterne che vorranno venire o che saremo in grado di
istruire. I parenti e i vecchi amici di vostro padre saranno
senza dubbio in grado di inviarci alcune allieve o di
aiutarci con le loro raccomandazioni: alle mie conoscenze
non mi rivolgerò. Che cosa ne dici, Agnes, sei disposta a
lasciare il lavoro che hai ora e a provare?»
«Dispostissima, mamma; e il danaro che ho da parte
servirà per ammobiliare la casa. Lo ritirerò subito dalla
banca.»
«Quando sarà necessario: prima dobbiamo trovare la
casa e sistemare i particolari.»
Mary si offrì di prestarci il poco che possedeva; mia
madre però rifiutò, dicendo che dovevamo iniziare su basi
molto economiche; sperava che tutto o parte del mio
danaro, unito a quello che avremmo ottenuto dalla
vendita del mobilio e a quel poco che il caro papà era
riuscito a mettere da parte per lei dopo che i debiti erano
stati pagati, ci sarebbe bastato fino a Natale, quando,
auspicabilmente, i nostri sforzi congiunti avrebbero
fruttato qualcosa.
Si decise che sarebbe stato questo il nostro
programma; e che si sarebbero messi subito in moto
ricerche e preparativi; mentre mia madre si dava da fare
con quelli, io sarei tornata a Horton Lodge al termine delle
mie quattro settimane di vacanza, e mi sarei licenziata
quando tutto era già avviato per un rapido inizio della
nostra scuola.
Stavamo discutendo di queste cose la mattina di cui ho
parlato, due settimane circa dopo la morte di mio padre,
quando portarono una lettera per mia madre, che si fece
più accesa in volto vedendola, quel volto di recente così
pallido per le ansiose veglie e il terribile dolore.
«Di mio padre!» mormorò, mentre strappava in fretta
la busta.
Da molti anni non aveva più notizie dalla sua famiglia.
Comprensibilmente curiosa di conoscere il contenuto
della lettera, la osservai mentre leggeva, e mi stupii
vedendo che si mordeva il labbro e si accigliava come
fosse in collera. Dopo averla letta, la gettò sul tavolo in un
gesto che appariva privo di riguardo e disse con un sorriso
sdegnoso: «Vostro nonno ha avuto la bontà di scrivermi.
Dice che senza dubbio mi sono pentita da molto tempo del
mio «malaugurato matrimonio» e che, se soltanto sono
pronta a riconoscerlo, e a confessare di essermi ingannata
nel trascurare i suoi consigli e di averne giustamente
sofferto, tornerà a fare di me una signora - se questo è
possibile dopo il mio lungo avvilimento - e ricorderà le mie
ragazze nel suo testamento. Prendi il mio scrittoio, Agnes,
e porta via queste cose... risponderò subito, ma prima,
poiché è possibile che io vi privi entrambe di una eredità,
è giusto dirvi che cosa intendo scrivere.
«Dirò che si inganna se pensa che io possa rimpiangere
la nascita delle mie figlie (che sono state l'orgoglio della
mia vita e saranno probabilmente il conforto della mia
vecchiaia), o i trent'anni passati insieme al migliore e più
caro degli amici; se anche le nostre disgrazie fossero state
tre volte quel che sono state (sempre che non ne avessi
avuto io la colpa), mi rallegrerei ancora maggiormente di
averle potute dividere con vostro padre e di avergli
potuto dare il conforto che ero in grado di dargli; se poi le
sue sofferenze durante la malattia fossero state dieci volte
quello che erano, non rimpiangerei di averlo vegliato e di
aver lavorato per alleviarle; se avesse sposato una donna
più ricca, sarebbe stato egualmente colpito da sventure e
difficili prove; ma sono tanto egocentrica da pensare che
nessuna altra donna avrebbe potuto confortarlo e aiutarlo
a sopportarle meglio di me: non perché io sia superiore
alle altre, ma perché ero fatta per lui, e lui per me; e non
posso certo rimpiangere le ore, i giorni, gli anni di felicità
che abbiamo conosciuto insieme, e che nessuno di noi
avrebbe avuto senza l'altro, così come non posso
rimpiangere il privilegio di essere stata la sua infermiera
nel tempo della malattia e il suo conforto in quello
dell'afflizione.
«Siete d'accordo, ragazze? o dovremo dire che siamo
tutte molto pentite di quello che è accaduto negli ultimi
trent'anni; che le mie figlie vorrebbero non essere mai
nate; ma, avendo avuto questa sventura, saranno grate
per qualsiasi briciola il loro nonno avrà la bontà di
gettargli?»
Naturalmente, applaudimmo entrambe la decisione di
nostra madre; Mary sparecchiò la tavola; io portai lo
scrittoio; la lettera venne scritta in fretta e in fretta
spedita; e da quel giorno non avemmo più alcuna notizia di
nostro nonno fino a quando, molto tempo dopo, non
leggemmo della sua morte sui giornali: tutti i suoi beni,
naturalmente, erano stati lasciati ai nostri ricchi,
sconosciuti cugini.
XX. Il congedo
Per la nostra scuola prendemmo in affitto una casa a
A..., la stazione termale alla moda, e ottenemmo per
cominciare la promessa di due o tre allieve. Io tornai a
Horton Lodge verso la metà di luglio, lasciando mia madre
a concludere l'affare della casa, a procurarsi altre allieve, a
vendere il mobilio della nostra vecchia casa, e a arredare
la nuova.
Spesso proviamo pena per i poveri, poiché non hanno
tempo per piangere i loro cari morti e la necessità li
costringe a lavorare anche durante le afflizioni più
profonde; ma non è forse l'attività il miglior rimedio per
un dolore che ci opprime... il più sicuro antidoto alla
disperazione? Potrà recare un conforto aspro; può
sembrare duro doversi preoccupare delle ansie della vita
quando non siamo in grado di goderne le gioie, venir
pungolati a lavorare quando il cuore sta per spezzarsi, e lo
spirito tormentato implora riposo per poter piangere in
pace; ma il lavoro non è meglio delle altre cose che
desideriamo? e quelle piccole, tormentose ansie non sono
meno dolorose di un continuo meditare il grave dolore che
ci opprime?
Inoltre, non è possibile avere ansie, preoccupazioni,
fatiche, senza speranza - fosse pure soltanto la speranza di
compiere il nostro dovere senza gioia, di portare a termine
un progetto necessario, di sfuggire a una nuova seccatura.
In ogni caso, ero lieta che mia madre avesse tante
occupazioni da poter esercitare ogni facoltà di un
organismo che amava l'azione. I nostri gentili vicini
deploravano che lei, un tempo così ricca e importante per
posizione sociale, dovesse ridursi a tale estremità nel
momento del dolore; ma io sono convinta che avrebbe
sofferto tre volte tanto se fosse stata lasciata nella
ricchezza, libera di rimanere nella sua casa, teatro della
felicità di un tempo e della recente afflizione, senza alcuna
grave necessità che le impedisse di indugiare sul suo lutto
e di piangerlo.
Non mi dilungherò sui sentimenti con i quali lasciai la
vecchia casa, il giardino così noto, la piccola chiesa del
villaggio - allora doppiamente cara, poiché mio padre, che
per trent'anni aveva insegnato e pregato tra quelle mura,
ora dormiva sotto le sue pietre - e le vecchie colline nude,
incantevoli nella loro profonda solitudine, interrotte dalle
strette vallate ridenti di boschi verdi e acqua lucente - la
casa in cui ero nata, teatro di tutti i miei primi ricordi,
luogo in cui, per tutta la mia vita, avevano avuto il loro
centro i miei affetti terreni; e la lasciavo per non tornarvi
più. E' vero, tornavo a Horton Lodge dove, tra molti mali,
rimaneva per me una fonte di piacere; ma era un piacere
confuso con troppa pena, e il mio soggiorno, ahimè, si
limitava a sei settimane.
E anche di questo tempo prezioso, i giorni passavano
senza che io lo vedessi; se non in chiesa, non lo vidi per
due settimane dopo il mio ritorno. Mi sembrò un tempo
molto lungo: e, poiché ero spesso fuori con la mia allieva
vagabonda, la mia speranza naturalmente era sempre
viva, e veniva seguita dalla delusione; dicevo allora al mio
cuore: "Ecco una prova convincente - se soltanto avessi il
buon senso di vederla o la sincerità di riconoscerla - che
lui non prova nulla per te. Se pensasse a te soltanto la
metà di quel che tu pensi a lui, avrebbe trovato il modo di
incontrarti già molte volte: questo devi pur capirlo
riflettendo ai tuoi sentimenti. Basta dunque con questa
sciocchezza; non hai alcun fondamento per la tua
speranza; allontana subito da te questi pensieri dolorosi e
questi sciocchi desideri e volgiti al tuo dovere e alla vita
monotona, vuota che ti si apre innanzi. Avresti dovuto
saperlo che tanta felicità non era per te".
Ma infine lo vidi. Mi venne incontro improvvisamente
mentre attraversavo un campo, di ritorno da una visita a
Nancy Brown, che avevo colto l'occasione di farle mentre
Matilda Murray cavalcava la sua giumenta purosangue.
Doveva aver saputo della grave perdita che avevo
subito; non mi espresse la sua simpatia, non mi fece le
condoglianze, ma le prime, o quasi le prime parole che
pronunciò furono: «Come sta vostra madre?», e non si
trattava di una domanda ovvia, poiché non gli avevo mai
neppure detto di avere una madre: doveva averlo
appreso da altri, se davvero lo sapeva - e inoltre c'erano
un'autentica benevolenza e una profonda, commovente,
discreta simpatia nel tono e nel modo della domanda.
Lo ringraziai cortesemente e dissi che stava bene, per
quanto era possibile.
«Che cosa farà?» mi chiese allora. Molti l'avrebbero
trovata una domanda impertinente e avrebbero dato una
risposta evasiva; ma un simile pensiero neppure mi
attraversò la mente, e gli risposi spiegando brevemente
ma chiaramente i progetti e le prospettive di mia madre.
«Dunque» disse «lascerete presto questo villaggio.»
«Sì, tra un mese.»
Tacque un momento, come riflettesse. Quando parlò di
nuovo, speravo che esprimesse dispiacere per la mia
partenza; ma disse soltanto: «Immagino che non vi
dispiaccia andarvene?»
«E' vero... per alcune cose» risposi.
«Soltanto alcune... mi chiedo che cosa vi sia che ve lo fa
rimpiangere!»
Questa domanda mi irritò, in una certa misura perché
mi imbarazzava; avevo una sola ragione di rimpianto; e
era un profondo segreto, su cui lui non aveva il diritto di
interrogarmi e di turbarmi.
«Come» dissi «perché dovreste pensare che il posto
non mi piaccia?»
«Me lo avete detto voi» fu la decisa risposta. «Quanto
meno, avete detto che non potevate vivere serena senza
amici; e che non avevate amici qui, né la possibilità di
farvene... e inoltre so che non potete non detestare questo
posto.»
«Ma, se ricordate, ho detto - o intendevo dire - che
non potevo vivere serena senza avere un solo amico al
mondo: non ero tanto irragionevole da volerne uno
sempre accanto. Penso che potrei essere felice in una casa
piena di nemici se...» no, quella frase non potevo
continuarla... tacqui e aggiunsi in fretta: «E inoltre non si
può lasciare un luogo in cui si è vissuti per due o tre anni
senza provare un certo rimpianto».
«Rimpiangerete di separarvi dalla signorina Murray,
la sola allieva e compagna che vi sia rimasta?»
«Immagino di sì, in qualche misura; da sua sorella mi
sono separata con un certo dolore.»
«Questo posso immaginarlo.»
«Ebbene, la signorina Matilda non vale meno della
sorella... per un aspetto almeno vale di più.»
«In quale aspetto?»
«E' sincera.»
«E l'altra non lo è?»
«Non la chiamerei insincera, ma bisogna riconoscere
che ha una certa astuzia.»
«Astuta, dite? Ho visto in lei sventatezza e vanità, e
ora» aggiunse, dopo una breve pausa «posso credere che
fosse anche astuta, ma in modo tanto raffinato da
assumere l'aspetto di una estrema semplicità e di una
assoluta franchezza. Sì» proseguì in tono riflessivo
«questo spiega alcune piccole cose che mi avevano lasciato
perplesso.»
Poi portò la conversazione su argomenti più generali.
Si congedò da me soltanto quando avevamo quasi
raggiunto i cancelli del parco: si era senza dubbio
allontanato dalla sua strada per accompagnarmi fino a
quel punto, poiché tornò sui suoi passi e scomparve lungo
Moss Lane, che avevamo oltrepassato qualche tempo
prima. Non rimpiangevo davvero quella circostanza: se vi
era posto nel mio cuore per il dolore, era dolore che infine
si fosse congedato da me... che non mi camminasse più al
fianco, che quel breve intervallo di incantevole compagnia
fosse finito. Non aveva detto una sola parola d'amore, o
accennato a sentimenti di tenerezza o affetto, pure io mi
ero sentita supremamente felice. Essergli vicino, sentirlo
parlare... come parlava lui; e sentire che mi trovava degna
della sua conversazione... in grado di comprendere e
apprezzare nel loro giusto valore le sue parole... a me
bastava.
"Sì, Edward Weston, potrei davvero essere felice in
una casa piena di nemici, se avessi soltanto un amico che
mi amasse sinceramente, profondamente e fedelmente, e
se questo amico foste voi - quand'anche dovessimo essere
lontani, e potessimo avere scarse notizie l'uno dell'altra, e
anche meno di frequente potessimo vederci...
quand'anche fatica, angoscia e ansie dovessero
circondarmi, pure... sarebbe una felicità troppo grande
perché io possa sognarla!
Tuttavia, chi può dirlo" mi dicevo, mentre percorrevo
il parco "chi può dire che cosa mi porterà questo mese. Ho
vissuto quasi ventitré anni e ho sofferto molto e
conosciuto poco piacere: è davvero probabile che tutta la
mia vita sarà così rannuvolata? Non è forse possibile che
Dio ascolti le mie preghiere, disperda queste fosche ombre
e ancora mi conceda qualche raggio del sole celeste? Mi
negherà del tutto quelle benedizioni liberalmente
dispensate a altri, che non le chiedono né le riconoscono
quando le ricevono? Forse che non posso ancora sperare e
confidare?"
Sperai infatti e confidai... per qualche tempo; ma,
ahimè, ahimè, il tempo scorreva via; a una settimana
seguiva l'altra, e, a parte un'occhiata lontana e due brevi
incontri nei quali non ci scambiammo quasi una sola
parola - mentre passeggiavo con la signorina Matilda non
lo vidi più, se non, si intende, in chiesa.
E ora era giunta l'ultima domenica e l'ultimo ufficio.
Durante il sermone mi sentii spesso prossima alle lacrime
- l'ultimo sermone suo che avrei udito... il migliore che mai
avrei udito, di questo ero certa. Era finito... la
congregazione si stava disperdendo; e io dovevo seguire
gli altri... lo avevo visto e avevo sentito la sua voce,
probabilmente, per l'ultima volta.
Fuori dalla chiesa, Matilda venne fermata dalle due
signorine Green. Avevano molte cose da chiederle della
sorella, e chissà quali altre ancora. Desideravo soltanto
che smettessero di parlare, perché potessimo tornare in
fretta a Horton Lodge: ero ansiosa di tornare nella
solitudine della mia stanza, o di qualche angolo isolato del
giardino, per potermi abbandonare ai miei sentimenti e
pronunciare piangendo il mio ultimo saluto e deplorare le
mie false speranze e le mie vane illusioni... una volta
soltanto e poi basta con gli sterili sogni... da allora
null'altro che la sobria, solida, triste realtà mi avrebbe
occupato la mente; mentre prendevo questa decisione,
una voce bassa accanto a me disse: «Credo che partiate
questa settimana, signorina Grey?»
«Sì» risposi. Mi aveva colto di sorpresa; e se fossi stata
portata alle reazioni isteriche, in quel momento mi sarei
certamente tradita.
Ringrazio Dio di non esserlo.
«Bene» disse il signor Weston «volevo salutarvi... non
è probabile che vi veda ancora prima che partiate.»
«Buon giorno, signor Weston» dissi... E quanto lottai
per dirlo con calma! Gli diedi la mano. Lui la strinse per
qualche secondo nella sua.
«E' possibile che ci incontriamo ancora» osservò. «Ha
importanza per voi che ci incontriamo ancora o no?»
«Sì, sarei molto lieta di rivedervi.»
Non potevo dire di meno. Lui mi strinse con dolcezza la
mano e se ne andò. Ora ero di nuovo felice... sebbene più
che mai prossima alle lacrime. Se fossi stata costretta a
parlare in quel momento, avrei concluso le mie parole
singhiozzando; anche così, non riuscii a trattenere le
lacrime che mi bagnavano gli occhi. Mi incamminai
accanto alla signorina Murray, distogliendo il viso e
ignorando alcune osservazioni, finché lei urlò che ero o
sorda o stupida, e allora (ritrovato il controllo di me),
come chi si risvegli da un vuoto improvviso di memoria,
alzai lo sguardo e le chiesi che cosa aveva detto.
XXI. La scuola
Lasciai Horton Lodge e raggiunsi mia madre nella
nostra nuova casa di A... La trovai in buona salute,
spiritualmente rassegnata, addirittura serena, sebbene
quieta e sommessa. Avevamo soltanto tre allieve interne
e una mezza dozzina di esterne per cominciare; ma, con la
dovuta attenzione e diligenza, speravamo di accrescere in
breve tempo il numero di entrambe.
Mi dedicai con la necessaria energia ai compiti della
mia nuova vita; la chiamo nuova perché vi era in realtà
una notevole differenza tra lavorare con mia madre in una
scuola nostra e lavorare come una dipendente pagata, in
mezzo a estranei, disprezzata e calpestata da vecchi e
giovani; per le prime settimane non fui affatto infelice. «E'
possibile che ci incontriamo ancora» e «Ha importanza per
voi che ci incontriamo ancora o no?»: quelle parole mi
riecheggiavano all'orecchio e mi riposavano sul cuore;
erano il mio segreto sostegno e il mio conforto.
"Lo vedrò di nuovo. Verrà, o scriverà." Non c'era
promessa troppo luminosa o troppo incredibile perché la
speranza me la sussurrasse all'orecchio. Non credevo
neppure alla metà di quel che mi diceva; fingevo di
riderne; ma ero pronta a credere molto più di quanto
pensassi: altrimenti, perché mi balzava il cuore quando
sentivo un colpo battuto alla porta, e la cameriera che
andava a aprire veniva a dire a mia madre che c'era un
signore che la cercava? e perché ero di cattivo umore per
il resto della giornata, se il signore si rivelava un
insegnante di musica venuto a offrire i suoi servigi alla
nostra scuola? e che cosa mi fermò un istante il respiro,
quando, avendo il postino portato due lettere, mia madre
disse: «Tieni, Agnes, questa è per te» e me ne gettò una?
e che cosa mi fece salire il sangue al viso quando vidi che
l'indirizzo era in una grafia maschile? e perché, oh, perché
mi invase quel gelido, sconvolgente senso di delusione,
quando la aprii e vidi che era soltanto una lettera di Mary,
di cui, per qualche motivo, il marito aveva scritto
l'indirizzo al suo posto?
Ero dunque giunta a questo: che fosse una delusione
per me ricevere una lettera dalla mia unica sorella perché
non era stata scritta da qualcuno che era relativamente
un estraneo? Cara Mary! e aveva scritto una lettera così
affettuosa - convinta che mi avrebbe fatto tanto piacere
riceverla - non ero degna di leggerla!
E credo che, nel mio sdegno contro me stessa, l'avrei
davvero messa da parte finché non fossi giunta a impormi
un più giusto atteggiamento mentale, e fossi divenuta più
meritevole dell'onore e del privilegio di leggerla; ma mia
madre mi guardava, ansiosa di sapere quali notizie
portasse; così la lessi e poi gliela diedi, e poi andai nell'aula
a occuparmi delle allieve; ma tra i temi e i compiti di
matematica, tra la correzione di un errore e il rimprovero
per un dovere trascurato, interiormente mi ammonivo
con ben più aspra severità.
"Che pazzo devi essere" diceva la mia mente al mio
cuore, o il mio Io più severo al mio Io più tenero "come hai
potuto sognare che ti scrivesse? Su che cosa basi questa
speranza... o quella che lui vorrà vederti o si darà qualsiasi
pena per te... o anche soltanto penserà ancora a te?"
"Su che cosa basi...", e allora la speranza mi metteva
davanti agli occhi quell'ultimo, breve incontro, e mi
ripeteva le parole che io avevo racchiuso come un tesoro
nella mia memoria.
"E allora, che importanza avevano quelle parole?... Chi
ha mai fondato le sue speranze su un terreno così franoso?
Che cosa c'era in quelle parole che qualsiasi semplice
conoscente non possa dire a un altro? Certo che è possibile
che vi incontriate ancora; avrebbe potuto dirlo anche se tu
fossi partita per la Nuova Zelanda; ma questo non
significava che lui intendesse rivederti; e quanto alla
domanda successiva, chiunque avrebbe potuto rivolgerla,
e tu come hai risposto? Con una risposta sciocca, banale,
come quella che avresti dato al signorino Murray o a
qualunque persona con cui fossi stata in rapporti appena
educati."
"Ma" insisteva la speranza "il tono e il modo in cui ha
parlato..."
"Oh, queste sono sciocchezze! parla sempre in tono
molto espressivo; e in quel momento c'erano là le Green e
la signorina Matilda Murray, e altra gente che passava, e
lui era costretto a starti vicino e a parlare molto piano, se
non voleva che tutti sentissero quel che diceva, e
naturalmente - anche se non era niente di particolare preferiva di no."
"Ma, soprattutto, quella stretta di mano, forte e dolce,
che sembrava voler dire: Abbi fiducia, e molte altre cose troppo incantevoli, quasi troppo lusinghiere per venir
ripetute, anche soltanto a se stessi."
"Follia, assoluta follia - troppo assurda perché debba
venir
contraddetta...
semplici
invenzioni
dell'immaginazione di cui dovresti vergognarti. Se provi a
riflettere al tuo aspetto poco attraente, al tuo brusco
riserbo, alla tua sciocca timidezza, che devono farti
sembrare fredda, spenta, goffa, e forse perfino di cattivo
carattere... se soltanto tu avessi riflettuto bene a queste
cose fin dall'inizio, non avresti mai nutrito pensieri tanto
presuntuosi; e adesso che sei stata tanto sciocca, devi
pentirtene e emendarti e non pensarci più."
Non posso dire di aver sempre obbedito alle mie stesse
ingiunzioni; ma ragionamenti come questo divennero
sempre più efficaci con il passare del tempo e con il
silenzio del signor Weston; e infine rinunciai alla speranza,
perché anche il mio cuore riconosceva che era vana. Ma
continuavo a pensare a lui; a coltivare la sua immagine
nella mia mente; a custodire come oggetti preziosi ogni
parola, ogni sguardo, ogni gesto che la mia memoria
riusciva a ricordare; a meditare sulle sue perfezioni, sulle
sue caratteristiche, e, in breve, su tutto quello che di lui
avevo visto, sentito, immaginato.
«Agnes, l'aria di mare e il cambiamento a te non fanno
bene, credo; non ti ho mai vista così abbattuta. Forse è
perché stai troppo seduta e ti preoccupi per la scuola; devi
imparare a prendere le cose con serenità, e a essere più
attiva e allegra; devi fare un po' di esercizio appena ti è
possibile e lasciare a me i compiti più noiosi: serviranno a
farmi esercitare la pazienza, e forse a mettere un po' alla
prova il mio carattere impulsivo.»
Così mi parlò mia madre mentre lavoravamo una
mattina durante le vacanze di Pasqua. Le assicurai che i
miei compiti non erano troppo pesanti, che stavo bene; se
poi c'era qualcosa che non andava, sarebbe sparito appena
fossero passati i difficili mesi della primavera; all'arrivo
dell'estate sarei stata forte e sana come lei desiderava
vedermi; ma intimamente le sue parole mi colpirono.
Sentivo che mi si indebolivano le forze, che perdevo
l'appetito, che diventavo inquieta e depressa; se davvero
lui non poteva amarmi e io non potevo più rivederlo; se mi
veniva impedito di provvedere alla sua felicità, impedito
per sempre di conoscere le gioie d'amore, di benedire e
essere benedetta, allora la vita sarebbe stata un peso, e se
il Padre celeste mi avesse chiamata a sé, sarei stata felice
di poter riposare; ma non sarebbe stato bene morire e
lasciare mia madre... Figlia indegna, egoista, se potevo
dimenticarla anche solo per un minuto! Non era forse
affidata in larga misura a me la sua felicità, e inoltre il
benessere delle nostre giovani allieve? Dovevo dunque
rifuggire dal lavoro che Dio mi aveva posto davanti perché
non si adattava al mio gusto? Non era Lui a sapere che
cosa dovevo fare, e dove dovevo operare? e potevo forse
desiderare di abbandonare il Suo servizio prima di aver
finito il mio compito e sperare di entrare nella Sua pace
senza aver lavorato per guadagnarla? "No; con il Suo aiuto
mi risolleverò e compirò diligentemente il dovere che mi è
stato dato. Se la felicità non è per me in questo mondo, mi
studierò di fare la felicità di quanti mi stanno attorno, e la
ricompensa l'avrò nel mondo futuro."
Così dissi al mio cuore, e da allora mi permisi di
pensare a Edward Weston solo ogni tanto, come un dono
speciale per occasioni speciali; e, fosse l'avvicinarsi
dell'estate, o l'effetto di quelle buone risoluzioni, o il
passare del tempo, o tutte queste cose insieme, ritrovai la
mia tranquillità mentale, e tornarono, lentamente ma
costantemente, anche la salute e il vigore fisico.
Ai primi di giugno ebbi una lettera da Lady Ashby, l'ex
signorina Murray. Mi aveva già scritto due o tre volte,
dalle diverse tappe del suo viaggio di nozze, sempre di
buon umore e dichiarandosi molto felice. Ogni volta mi
stupivo che non mi avesse dimenticato in tutta quella
gaiezza, in quel mutare di panorami. Ma poi vi fu una
pausa; e sembrò che mi avesse al contrario dimenticato,
poiché passarono più di sette mesi senza una sua lettera.
Naturalmente, la cosa non mi spezzava il cuore, sebbene
mi chiedessi spesso come stava; e quando arrivò quella
inattesa missiva, mi fece piacere riceverla.
Era datata da Ashby Park dove si era infine sistemata,
dopo aver diviso il suo tempo tra il Continente e la
Metropoli. Si scusava molto per avermi trascurato tanto a
lungo, mi ripeteva di non avermi dimenticato e che aveva
spesso pensato di scrivermi eccetera eccetera, ma ne era
sempre stata impedita da qualcosa. Riconosceva di aver
condotto una vita molto frivola, e io certo l'avrei giudicata
molto cattiva e spensierata, ma, ciò nonostante, pensava
molto, e tra l'altro pensava che le avrebbe fatto grande
piacere vedermi.
«Siamo qui già da parecchi giorni» scriveva. «Non c'è
nessun amico con noi, e probabilmente ci annoieremo
molto. Sapete che non ho mai desiderato vivere con mio
marito come due tortorelle nel loro nido, quando pure egli
fosse l'essere più meraviglioso che mai abbia portato una
giacca; quindi abbiate pietà di me e venite. Immagino che
le vacanze di mezza estate comincino per voi in giugno,
come per tutti gli altri, dunque non potete invocare
mancanza di tempo, e dovete venire, e verrete: morirò se
non venite. Voglio che veniate in visita come amica e vi
fermiate a lungo. Non c'è nessuno qui, come ho già detto,
se non sir Thomas e la vecchia Lady Ashby; ma non
dovete preoccuparvi per loro: non ci daranno molto
fastidio con la loro compagnia; e voi avrete una stanza
tutta per voi quando vorrete ritirarvi in solitudine e
moltissimi libri da leggere quando la mia compagnia non vi
distrarrà abbastanza. Non ricordo se vi piacciono i
bambini; se è così, potrete avere la gioia di vedere il mio...
senza dubbio il bambino più incantevole del mondo... tanto
più che non ho il fastidio di allattarlo - ero decisa a non
accollarmi questa fatica. Purtroppo è una bambina, e sir
Thomas non me lo ha mai perdonato; però, purché
veniate, prometto che sarete la sua istitutrice appena
impara a parlare e la educherete nel modo giusto, e ne
farete una donna migliore della sua mamma; e vedrete
anche il mio barboncino, uno splendido seduttore
importato da Parigi, e due bei quadri italiani di gran
valore... Dimentico l'autore... senza dubbio voi saprete
scoprirvi straordinarie bellezze, che mi farete notare,
perché io ammiro soltanto per sentito dire... e inoltre
molte eleganti curiosità che ho acquistato a Roma e
altrove;... e infine vedrete la mia nuova casa, la splendida
casa e le terre che desideravo così ardentemente. Ahimè,
di quanto l'attesa del possesso ne supera la gioia!... Ecco
un gran bel sentimento! Sono diventata una signora molto
grave, credetemi:... venite, vi prego, magari soltanto per
vedere questo stupefacente cambiamento. Scrivetemi a
giro di posta per dirmi quando cominciano le vostre
vacanze e dite che verrete il giorno successivo e vi
fermerete fino al penultimo giorno... se volete avere pietà
della vostra affezionata Rosalie Ashby»
Mostrai questa strana lettera a mia madre e mi
consigliai con lei per decidere che cosa fare. Lei mi suggerì
di andare; e io andai, non scontenta di rivedere Lady
Ashby, e anche la sua bambina, e di fare il possibile per
darle conforto e consiglio, poiché immaginavo che fosse
infelice, altrimenti non mi si sarebbe rivolta in quel modo;
sentivo tuttavia, come si comprenderà facilmente, che,
accettando l'invito, compivo un grosso sacrificio per lei e
facevo in molti modi violenza ai miei sentimenti, ben
lontana dall'essere estasiata al pensiero che la moglie del
baronetto mi onorasse di un invito come amica.
Decisi tuttavia che la visita sarebbe durata soltanto
alcuni giorni al massimo; e non negherò di aver tratto
conforto dal pensiero che, essendo Ashby Park non molto
lontana da Horton, avrei forse potuto vedere il signor
Weston, o, quanto meno, sapere qualcosa di lui.
XXII. La visita
Ashby Park era senza dubbio una dimora incantevole.
L'esterno era maestoso, l'interno comodo e elegante, il
parco grande e bello, soprattutto grazie ai superbi alberi
secolari, ai bei branchi di daini, al vasto specchio d'acqua e
agli antichi boschi che si estendevano alle sue spalle,
poiché non vi erano avvallamenti a movimentare il
paesaggio, e pochi di quei rilievi ondulati che donano tanto
fascino ai panorami dei parchi.
Ecco dunque il luogo che Rosalie Murray aveva tanto
desiderato possedere da volerlo ottenere a qualsiasi
condizione, qualsiasi prezzo si dovesse pagare per
diventarne la padrona, chiunque dovesse esserle
compagno nell'onore e la gioia di tale possesso. Bene: non
intendo biasimarla ora.
Mi ricevette con molta cortesia; sebbene io fossi figlia
di un ecclesiastico povero, istitutrice e maestra di scuola,
mi accolse con sincero piacere nella sua casa; e - il che mi
sorprese abbastanza si diede da fare perché la mia visita
fosse gradevole. Comprendevo, è vero, che si aspettava di
vedermi profondamente colpita dalla magnificenza che la
circondava; e confesso che mi irritavano i suoi evidenti
sforzi per mettermi a mio agio, per evitare che io fossi
sopraffatta da tanto splendore, intimorita all'idea di
conoscere suo marito e sua suocera, vergognosa del mio
aspetto umile - non lo ero affatto; poiché, sebbene i miei
abiti fossero semplici, avevo badato che non fossero né
trasandati né poveri, e mi sarei sentita perfettamente a
mio agio se la mia benevola ospite non si fosse data
visibilmente tanta pena perché io lo fossi; quanto poi alla
magnificenza che la circondava, nulla di quanto vedevo mi
colpiva o mi turbava quanto il cambiamento avvenuto nel
suo aspetto.
Fosse per le frivolezze e i lussi di un'esistenza alla
moda o per qualche altro male, un periodo di poco più di
dodici mesi aveva avuto l'effetto che ci si potrebbe
aspettare da un numero eguale di anni nell'assottigliare la
sua figura piena, nell'appannare la freschezza del suo
incarnato, nello spegnere la vivacità dei suoi gesti e
l'esuberanza del suo spirito.
Avrei voluto sapere se era infelice; ma sentivo che non
toccava a me chiederlo; potevo cercare di conquistarmi la
sua fiducia; ma, se voleva nascondermi le sue pene
coniugali, non intendevo disturbarla con domande
indiscrete.
All'inizio mi limitai dunque a discorsi generici sulla sua
salute e il suo benessere, e a qualche commento sulla
bellezza del parco e della bambina che avrebbe dovuto
essere un bambino, una piccolina delicata di sette o otto
settimane che sua madre sembrava guardare senza
grande interesse o affetto, come del resto io mi aspettavo
da lei.
Poco dopo il mio arrivo, ordinò alla sua cameriera di
condurmi nella mia stanza e di controllare che avessi tutto
quello che desideravo; la stanza era piccola, senza pretese,
ma comoda.
Quando scesi - dopo essermi tolta gli abiti da viaggio e
essermi vestita pensando ai sentimenti della mia
aristocratica ospite - mi condusse lei stessa nella stanza
che potevo occupare quando preferivo essere sola, o
quando lei era impegnata con i visitatori o costretta a
stare con la suocera, o comunque nell'impossibilità di
godere, come disse lei stessa, del piacere della mia
compagnia. Era un salottino piccolo, silenzioso, ordinato, e
non mi dispiacque poter disporre di quel porto in cui
rifugiarmi.
«E qualche volta» mi disse «vi mostrerò la biblioteca;
non ho mai guardato da vicino gli scaffali, ma immagino sia
piena di libri molto saggi, e potete andare a prendere
quello che volete; e adesso vi offrirò una tazza di tè: sarà
presto ora di pranzo, ma ho pensato, dal momento che
eravate abituata a pranzare all'una, che forse avreste
preferito prendere adesso una tazza di tè, e pranzare
quando noi facciamo colazione; inoltre potete prendere il
tè qui, nella vostra stanza, evitando di dover pranzare con
Lady Ashby e sir Thomas, il che sarebbe piuttosto
imbarazzante... non proprio imbarazzante, ma... insomma,
sapete che cosa intendo: ho pensato che non vi sarebbe
piaciuto molto... tanto più che forse qualche volta potremo
avere altri ospiti.»
«Senza dubbio» risposi «preferisco le cose come avete
detto voi; se non avete obiezioni, preferirei consumare
tutti i pasti in questa stanza.»
«Perché?»
«Perché immagino che sarebbe più gradito a Lady
Ashby e a sir Thomas.»
«Niente affatto!»
«In ogni caso sarebbe più gradito a me.»
Sollevò qualche lieve obiezione, ma cedette subito; e
vidi bene che la mia proposta la sollevava molto.
«Adesso venite in salotto» disse. «Sento già il
campanello; (1) ma non andrò ancora; è inutile vestirsi
quando non c'è nessuno a vederti; e voglio parlare un po'
con voi.»
Il salotto era una stanza imponente, ammobiliata con
grande eleganza; ma io vidi la sua giovane padrona che mi
guardava mentre entravamo, come a osservare se ero
colpita dallo spettacolo, e, di conseguenza, decisi di
prendere un'aria di gelida indifferenza, come se non
vedessi nulla che fosse degno di nota... ma soltanto per un
momento: subito la coscienza mi sussurrò: "Perché dovrei
deluderla per salvare il mio orgoglio? No, sacrificherò
piuttosto il mio orgoglio per darle un'innocente
soddisfazione". E mi guardai attorno senza finzioni e le
dissi che era una stanza di proporzioni nobili, ammobiliata
con molto gusto. Lei non parlò molto, ma vidi che era
contenta.
Mi mostrò il suo grasso barboncino francese che se ne
stava raggomitolato su un cuscino di seta e i due bei
quadri italiani che tuttavia non mi diede il tempo di
esaminare; dicendo che li avrei guardati meglio un altro
giorno, insistette nel farmi ammirare il piccolo orologio
ornato di pietre preziose che aveva portato da Ginevra,
poi mi fece fare il giro della stanza per mostrarmi altri
oggetti d'arte che aveva importato dall'Italia, un elegante
orologio, e parecchi busti, graziose statuette, e bei vasi,
tutti elegantemente scolpiti in marmo bianco. Ne parlava
con animazione, e ascoltò i miei ammirati commenti con
un sorriso compiaciuto, che presto tuttavia svanì, e a cui
seguì un malinconico sospiro, come si dicesse quanto
erano insufficienti tutti quegli oggetti alla felicità del cuore,
e quanto tristemente incapaci di accontentarne le
insaziabili esigenze.
Poi, distendendosi su un divano, mi invitò a sedermi in
una poltrona dirimpetto - non vicino al fuoco, ma davanti
a una finestra spalancata, poiché ricorderete che si era in
estate, in una dolce, calda sera della seconda metà di
giugno; e io rimasi per un momento in silenzio, godendo
l'aria pura, immobile, e l'incantevole panorama del parco,
ricco di prati e fogliame, immerso nell'oro del sole
sottolineato dalla lunga ombra del giorno declinante. Ma
dovevo mettere a frutto quella pausa: avevo domande da
fare, e, come accade per il poscritto nelle lettere femminili,
le più importanti dovevano venire per ultime.
Cominciai dunque a chiedere dei signori Murray e
della signorina Matilda e dei signorini.
Seppi che papà aveva la gotta che lo rendeva terribile,
e che non voleva rinunciare ai suoi vini raffinati e ai pranzi
e le cene abbondanti e aveva litigato con il medico perché
aveva osato dirgli che nessuna medicina poteva curarlo
finché viveva così liberamente; che mamma e gli altri
stavano bene: Matilda era ancora ribelle e spavalda, ma
aveva una istitutrice alla moda, era molto migliorata e
presto sarebbe stata introdotta in società; e John e
Charles (che erano a casa per le vacanze) erano, a quanto
sembrava, «bei ragazzi audaci, disobbedienti, dispettosi».
«E come stanno tutti gli altri?» chiesi. «I Green per
esempio?»
«Ah, il signor Green ha il cuore spezzato» rispose con
un sorriso languido. «Non ha ancora superato la delusione,
e immagino non lo farà mai. E' destinato a diventare un
vecchio scapolo, mentre le sorelle fanno il possibile per
sposarsi.»
«E i Meltham?»
«Oh, vanno avanti come sempre, immagino, ma di loro
so molto poco, tranne che di Harry» aggiunse, arrossendo
appena e tornando a sorridere. «L'ho visto spesso quando
eravamo a Londra: appena ha saputo che eravamo là, è
venuto con il pretesto di andare dal fratello, e o mi seguiva
dovunque, come un'ombra, o mi incontrava, come un
riflesso, a ogni angolo. Ma non prendete quell'aria
scandalizzata, signorina Grey; io sono stata molto discreta,
vi assicuro; d'altro canto, non ci si può impedire di essere
ammirate.
Povero ragazzo! Non era il solo a adorarmi, ma era
certo quello che si notava di più, e credo fosse anche il più
devoto. E quel detestabile... sì, ecco, sir Thomas, ha deciso
di offendersi della sua presenza, o delle mie continue
spese, o di qualcos'altro - non so bene che cosa - e da un
momento all'altro mi ha spedita in campagna, dove dovrò
fare l'eremita, immagino, per tutta la mia esistenza.»
E si morse il labbro e guardò con un'espressione
vendicativa e accigliata la bella proprietà che un tempo
aveva tanto desiderato poter dire sua.
«E il signor Hatfield» chiesi «che cosa ne è stato di
lui?»
Lei tornò a farsi ridente e rispose con gaiezza: «Oh, ha
fatto la corte a un'anziana zitella e l'ha sposata, da non
molto tempo, mettendo sul piatto della bilancia il suo
portafogli ben fornito contro la sua bellezza svanita, e
sperando di trovare nell'oro il conforto che gli è stato
negato nell'amore, ah, ah!»
«Bene, credo che sia tutto ora, manca soltanto... il
signor Weston: di lui che ne è stato?»
«Non saprei proprio. E' partito da Horton.»
«Da quanto tempo? e dove è andato?»
«Non so nulla di lui» rispose sbadigliando «se non che
è partito circa un mese fa, non ho certo chiesto per dove»
volevo domandare se si trattava di una parrocchia o
soltanto di un altro incarico come coadiutore, ma pensai
fosse meglio non farlo «e tutti erano desolati dalla sua
partenza» continuò «con grande noia del signor Hatfield: a
Hatfield non piaceva perché aveva troppa influenza sulla
gente comune e non era abbastanza conciliante e
remissivo con lui... e per altri imperdonabili peccati, che
non conosco. Ma adesso devo proprio andare a cambiarmi
per il pranzo; ormai suonerà il secondo campanello, e se
vado a pranzo vestita così, Lady Ashby non la finirà mai di
protestare. E' strano che non si possa essere padrone in
casa propria! Suonate il campanello e io chiamerò la mia
cameriera e dirò che vi portino del tè. Ma pensate un po' a
quella donna intollerabile...»
«Chi, la vostra cameriera?»
«No, mia suocera... e che sbaglio ho fatto! Invece di
lasciare che se ne andasse in un'altra casa, come lei aveva
proposto quando ci siamo sposati, sono stata tanto sciocca
da chiederle di vivere qui e di continuare a dirigere la casa
al mio posto; prima di tutto, speravo che avremmo
trascorso la gran parte del tempo in città, e inoltre,
giovane e inesperta com'ero, ero spaventata all'idea di
avere un esercito di servitori da affrontare e pranzi da
ordinare e ricevimenti da organizzare, e tutto il resto, e
pensavo che potesse aiutarmi con la sua esperienza; senza
neanche immaginare che si sarebbe rivelata
un'usurpatrice, una tiranna, un incubo, una spia, un essere
in tutto e per tutto detestabile. Vorrei fosse morta!»
Si volse poi a dare gli ordini al valletto, che era rimasto
impalato nel vano della porta da mezzo minuto e aveva
sentito l'ultima parte della sua tirata, e senza dubbio stava
meditando sulle parole di lei a dispetto dell'inflessibile
immobilità da statua che riteneva giusto assumere nel
salotto.
Quando io osservai poi che doveva averla sentita, lei
rispose: «Oh, non importa! Non mi preoccupo mai dei
valletti; sono come automi: non li riguarda quello che
dicono o fanno i loro superiori; non oserebbero ripeterlo;
quanto a quello che pensano - se hanno l'impudenza di
pensare - nessuno naturalmente se ne dà pena. Sarebbe
davvero bella se dovessimo tenere la bocca chiusa a causa
dei servi!»
E corse via per vestirsi in fretta, lasciandomi a cercare
da sola la strada per il mio salottino dove, a suo tempo, mi
venne servito il tè; dopo averlo bevuto rimasi a pensare
alla condizione passata e presente di Lady Ashby; e alle
scarsissime informazioni che avevo avuto sul signor
Weston e alle deboli possibilità di vederlo di nuovo o di
avere sue notizie nel corso della mia vita spenta e
tranquilla, che, da ora in poi, sembrava non offrirmi
alternativa se non giorni di vera e propria pioggia e giorni
di cupe nuvole grigie senza pioggia.
A lungo andare, tuttavia, mi stancai dei miei pensieri, e
avrei voluto sapere dove trovare la biblioteca di cui aveva
parlato la mia ospite, e mi chiedevo se dovevo restarmene
là, a non far niente, fino all'ora di coricarmi.
Non essendo tanto ricca da possedere un orologio, non
potevo sapere che ora fosse se non guardando le ombre,
che lentamente si allungavano, dalla finestra da cui si
godeva una vista laterale, con un angolo del parco, un folto
di alberi i cui rami più alti erano stati colonizzati da una
compagnia innumerevole di rumorose cornacchie, e un
muro alto con un massiccio cancello in legno, che senza
dubbio comunicava con il cortile delle scuderie poiché dal
parco vi si giungeva attraverso un'ampia strada carraia.
Presto l'ombra del muro si estese a tutta la zona del parco
che io potevo vedere, costringendo la luce dorata a ritrarsi
centimetro per centimetro e a rifugiarsi infine sulle cime
degli alberi. Infine, anche i rami rimasero in ombra,
l'ombra delle colline lontane, o della terra stessa; e io,
simpatizzando con le laboriose cornacchie, rimpiansi di
vedere la loro abitazione, immersa così poco tempo prima
in una luce gloriosa, prendere il colore cupo, feriale del
mondo terrestre, o del mio mondo interiore. Per un
momento, gli uccelli che si innalzavano più in alto dei
compagni riuscivano ancora a ricevere sulle ali lo
splendore della luce, che dava alle loro piume nere il tono
e lo splendore di un vivido oro rosso; poi, anche questo
svanì.
Il tramonto giunse furtivamente - le cornacchie si
fecero più silenziose - io divenni più stanca; e mi augurai
di poter tornare a casa domani stesso.
Quindi si fece buio; e stavo pensando di suonare per
una candela e di andare a letto, quando comparve la mia
ospite, scusandosi di avermi trascurato tanto a lungo e
dandone tutta la colpa a «quella vecchia malefica», come
chiamava la suocera.
«Se non rimango con lei in salotto mentre sir Thomas
beve il vino» disse «non me lo perdona; e se me ne vado
appena lui torna - come ho fatto una o due volte - è
un'offesa imperdonabile verso il suo caro Thomas. Lei non
è mai stata tanto irrispettosa verso suo marito - per non
parlare di affetto poi, le mogli di oggi non ci pensano
neppure, probabilmente; ma ai suoi tempi era diverso... E
a che cosa serve poi restare in salotto, quando lui non fa
che brontolare e rimproverare se è di cattivo umore, dire
disgustose sciocchezze se è di buon umore, e
addormentarsi sul divano se è troppo istupidito per fare o
l'una o l'altra cosa, come succede quasi sempre adesso,
quando non ha altro da fare che stordirsi col vino.»
«Ma non potreste cercare di occupare la sua mente
con qualcosa di meglio e convincerlo a rinunciare a tali
abitudini? So che avete forza di persuasione e quelle
qualità adatte a distrarre un uomo che molte donne
vorrebbero possedere.»
«Pensate dunque che dovrei darmi la pena di
distrarlo! No; non è questa la mia idea di una moglie. E'
compito del marito riuscire gradito alla moglie, e non
viceversa; e se lui non è soddisfatto di lei così com'è - e
per di più grato di possederla - non ne è degno: ecco tutto.
E non mi darò certo da fare, credetemi, per persuaderlo: è
già difficile sopportarlo così com'è senza tentare di
cambiarlo. Mi dispiace però di avervi lasciato tanto a
lungo sola, signorina Grey.
Che cosa avete fatto?»
«Ho soprattutto guardato le cornacchie.»
«Povera me, come dovete esservi annoiata! Devo
proprio mostrarvi la biblioteca; e voi suonate pure
qualsiasi cosa desideriate, come fareste in una locanda, e
mettetevi a vostro agio. E' egoismo in me volervi felice,
perché voglio che restiate e non mettiate in atto la
terribile minaccia di andarvene tra un giorno o due.»
«Non vorrei tenervi ancora lontana dal salotto questa
sera, perché adesso sono stanca e voglio andare a
dormire.»
NOTE: (1) Nell'originale, dressingbell: il campanello
che suonava per annunciare non che il pranzo era pronto,
ma che era l'ora di vestirsi per andare a pranzo. (Ndt)
XIII. Il parco
La mattina dopo, scesi poco prima delle otto, come mi
rivelò un orologio che batteva lontano le ore. Non c'era
traccia di colazione.
Aspettai un'ora prima che arrivasse, sempre
desiderando invano di poter trovare la biblioteca; e dopo
aver consumato una solitaria colazione, aspettai ancora
circa un'ora e mezza, ansiosa e a disagio, chiedendomi che
cosa dovessi fare.
Finalmente Lady Ashby entrò a salutarmi. Mi disse
che aveva appena fatto colazione e voleva che io facessi
una passeggiata con lei nel parco. Mi chiese da quanto
tempo ero in piedi, si dichiarò molto dispiaciuta quando io
glielo dissi e promise nuovamente di mostrarmi la
biblioteca.
Suggerii che sarebbe forse stato meglio se lo avesse
fatto subito, così non avrebbe più dovuto preoccuparsi di
ricordarlo e dolersi di averlo dimenticato. Lei mi
accontentò, purché io non intendessi leggere o pensare ai
libri proprio ora, poiché voleva mostrarmi i giardini e
passeggiare con me nel parco prima che facesse troppo
caldo, come, a dire la verità, già faceva. Naturalmente
accettai e così uscimmo per la passeggiata.
Mentre camminavamo nel parco, parlando di quello
che la mia compagna aveva veduto e sentito durante i suoi
viaggi, ci oltrepassò un uomo a cavallo. Quando si volse,
passando, e mi guardò in viso, potei vedere bene che
aspetto avesse. Era alto, magro e scarno, le spalle
lievemente curve, il viso pallido, ma come gonfio, e
sgradevolmente arrossato alle palpebre, lineamenti
comuni e un aspetto languido e spento in contrasto con
l'espressione sinistra della bocca e degli occhi opachi,
senza vita.
«Detesto quell'uomo!» sussurrò Lady Ashby con
amara passione, mentre lui si allontanava al piccolo trotto.
«Chi è?» chiesi, rifiutando di immaginare che parlasse
così di suo marito.
«Sir Thomas Ashby» rispose con calma terribile.
«E davvero lo detestate, signorina Murray?» chiesi,
poiché ero troppo scandalizzata per ricordare quale fosse
ora il suo nome.
«Sì, signorina Grey, lo detesto, e lo disprezzo! e se lo
conosceste, non mi biasimereste per questo.»
«Ma sapevate com'era prima di sposarlo.»
«No; credevo soltanto di saperlo; non lo conoscevo
nemmeno a metà.
Lo so che voi mi avevate avvertita; e vorrei avervi
ascoltato - ma ormai è tardi per rimpiangere - e poi la
mamma avrebbe dovuto capire le cose meglio di noi due;
e non ha mai parlato contro il matrimonio: al contrario. E
inoltre credevo che mi adorasse e mi avrebbe lasciato fare
quello che volevo: all'inizio, ha finto che fosse così; ma
adesso di me non gli importa nulla. Di questo non soffrirei
certo; potrebbe fare quello che vuole se soltanto io fossi
libera di divertirmi e di vivere a Londra, o di avere
qualche amicizia qui... ma è lui a voler fare quello che
vuole - e io sono una prigioniera, una schiava. Appena ha
visto che potevo divertirmi senza di lui e che altri mi
apprezzavano più di lui, quello sciagurato egoista ha
cominciato a accusarmi di essere una civetta e di spendere
troppo e a insultare Harry Meltham a cui non è degno di
pulire le scarpe; e poi, non ha forse voluto riportarmi in
campagna, a vivere la vita di una monaca, per evitare che
lo disonorassi o lo rovinassi? come se lui non fosse stato
dieci volte peggiore sotto tutti i punti di vista, con le sue
scommesse e il gioco d'azzardo e le sue ballerinette e la
sua Lady Questo e signora Quest'altro, sì, e il suo vino e i
bicchieri di brandy e acqua... che animale! Oh, darei
diecimila volte il mondo per essere ancora la signorina
Murray! E' troppo triste sentire che la vita, la salute e la
bellezza se ne vanno, inavvertite, non godute, per un
animale come lui!» esclamò, scoppiando quasi in lacrime
per l'amarezza.
Provavo certo molta pena per lei, per la falsa idea che
si faceva della felicità e per l'indifferenza al dovere come
per lo sciagurato compagno a cui il destino l'aveva legata.
Dissi quello che potevo per confortarla e le diedi quei
consigli che credevo più necessari, suggerendole dapprima
di cercare di migliorare il marito con la dolcezza dei
ragionamenti, con l'esempio, con la persuasione; quando
poi avesse fatto tutto il possibile, se ancora lo avesse
trovato incorreggibile, di cercare di non pensare a lui - di
avvolgersi nella sua propria integrità e preoccuparsi il
meno possibile per lui. La esortai a cercare conforto nel
compiere il suo dovere verso Dio e gli uomini, a porre la
sua fiducia nel Cielo, a consolarsi curando e nutrendo la
sua bambina, e le dissi che sarebbe stata ampiamente
ricompensata dall'osservazione dei progressi della piccola
in salute e saggezza e dal suo sincero affetto.
«Ma non posso dedicarmi tutta alla bambina» ribatté
«potrebbe morire: non è affatto improbabile.»
«Con l'affetto e le cure, molti bambini fragilissimi sono
diventati uomini o donne sani e forti.»
«Ma potrebbe diventare intollerabile come il padre e
io finirei per odiarla.»
«Non è affatto probabile; è una bambina e somiglia
molto alla madre.»
«Non importa; preferirei un maschio... non fosse che il
padre non gli lascerebbe nessuna eredità, se può
sperperarla adesso. Che piacere posso trarre dal vedere
una bambina crescere e eclissarmi e godere di quelle gioie
che a me sono per sempre negate? Ma, quand'anche
sapessi essere tanto generosa da godere di questo, è
soltanto una bambina, e non posso riporre tutte le mie
speranze in una bambina; è poco meglio che dedicarsi tutti
a un cane. E quanto alla saggezza e alla bontà che avete
cercato di insegnarmi, immagino siano cose giustissime e
sacrosante; e se avessi vent'anni di più, potrei trarne
profitto; ma dobbiamo godere la vita finché siamo giovani,
e se gli altri non ce lo permettono, allora non possiamo non
odiarli per questo!»
«Il modo migliore per godere la vita è fare quello che è
giusto e non odiare nessuno. Scopo della religione non è
insegnarci a morire ma a vivere; e quanto prima si
diventa saggi e buoni, tanta più felicità ci si assicura. E ora,
Lady Ashby, ho un altro consiglio da darvi: non fatevi una
nemica di vostra suocera. Non tenetela a distanza e non
guardatela con gelosa diffidenza. Non l'ho mai vista, ma ne
ho sentito dire bene e male, e immagino che, pur essendo
fredda e altera e forse esigente con gli altri, sappia nutrire
affetto profondo per quanti riescono a conquistarlo;
sebbene legata ciecamente al figlio, non è priva di principi
o incapace di ragionare; se soltanto sapeste accontentarla
un poco, e adottare modi aperti, amichevoli, e confidarle le
vostre pene... le vere pene, quelle di cui avete il diritto di
lamentarvi... credo fermamente che lei diverrebbe, col
tempo, la vostra amica sincera, un conforto e un sostegno
per voi, invece dell'incubo di cui parlate.»
Temo però che i miei consigli non influissero molto su
quella giovane donna sventurata; vedendo che potevo
rendermi così poco utile, il mio soggiorno a Ashby Park
divenne doppiamente penoso. Ma dovevo pur rimanere
quel giorno e il giorno seguente, avendolo promesso;
insistetti tuttavia, resistendo a ogni preghiera e lusinga
perché prolungassi la visita, per partire la mattina
successiva, dichiarando che mia madre si sarebbe sentita
sola senza di me e che aspettava con impazienza il mio
ritorno.
Pure, avevo il cuore gonfio quando mi congedai dalla
povera Lady Ashby e la lasciai nella sua casa principesca.
Era un'ulteriore prova, e non piccola, della sua infelicità,
che si afferrasse al conforto della mia presenza e
desiderasse ardentemente la compagnia di qualcuno i cui
gusti e le cui idee le erano così poco congeniali, che aveva
completamente dimenticato nei momenti di felicità,
qualcuno la cui presenza sarebbe stata una noia più che un
piacere se avesse potuto veder realizzati soltanto la metà
dei suoi desideri più veri.
XXIV. La spiaggia
La nostra scuola non si trovava al centro della città:
entrando a A... da nordovest si incontra una fila di case
d'aspetto molto dignitoso ai due lati della grande strada
bianca, con un piccolo giardino davanti, veneziane alle
finestre e una fuga di gradini che conduce alla bella porta
con la maniglia d'ottone. In una delle più grandi vivevamo
mia madre e io, con le ragazze che i nostri amici e altri
clienti avevano deciso di affidarci. Di conseguenza
eravamo parecchio lontano dal mare, da cui ci divideva un
labirinto di strade e case. Ma il mare era la mia gioia; e
spesso attraversavo la città per il piacere di una
passeggiata lungo la riva, con le mie allieve, o sola o con
mia madre durante le vacanze. Era per me un incanto in
tutte le stagioni e a tutte le ore, ma soprattutto quando
una brezza marina muoveva vivamente l'atmosfera e
nella luminosa freschezza di un mattino d'estate.
Il terzo giorno dal mio ritorno da Ashby Park mi
svegliai presto... dalla persiana filtrava luminoso il sole, e
io mi dissi che sarebbe stato molto piacevole attraversare
la città tranquilla e fare una passeggiata solitaria sulla
spiaggia mentre quasi tutti erano ancora a letto. Non
tardai molto a prendere la mia decisione né a metterla in
pratica. Non volevo certo disturbare mia madre, e scesi
senza far rumore le scale e silenziosamente aprii la porta.
Ero pronta, vestita e già uscita quando l'orologio della
chiesa batté un quarto alle sei.
Perfino nelle strade si avvertiva un senso di fresco
vigore; e quando uscii dalla città, quando sentii sotto i
piedi la sabbia e volsi il viso verso la vasta baia luminosa...
nessuna lingua può descrivere l'effetto del profondo,
limpido azzurro del cielo e dell'oceano, del luminoso sole
del mattino sul semicerchio di aspre rocce sormontate da
verdi colline ondulate e sulla spiaggia liscia, vasta, e sugli
scogli bassi che sorgevano dal mare, rivestiti di alghe e
muschio, simili a isolette erbose, e soprattutto sulle
lucenti, scintillanti onde. E l'indicibile purezza e freschezza
dell'aria! il caldo era appena tale da rendere più gradita la
brezza, e il vento muoveva appena il mare, e le onde
venivano spumeggiando e scintillando alla spiaggia, come
folli di gioia. Null'altro era in movimento, non c'era
nessuno tranne me. Le mie orme erano le prime a
stamparsi sulla sabbia intatta, salda; null'altro l'aveva
calpestata da quando la marea della notte precedente
aveva cancellato le orme più profonde del giorno prima e
l'aveva lasciata intatta e eguale, se non dove l'acqua,
ritraendosi, si era lasciata dietro le tracce delle pozze
increspate e dei piccoli rigagnoli.
Rinfrescata, deliziata, rinvigorita, camminavo
dimenticando tutte le mie ansie, sentendomi le ali ai piedi,
certa di poter continuare almeno per sessanta chilometri
senza stancarmi, provando una sorta di gioia esilarante
che non avevo più conosciuto dalla primissima giovinezza.
Verso le sei e mezzo, tuttavia, cominciarono a uscire gli
staffieri per far prendere aria ai cavalli dei padroni: prima
uno, poi un altro, finché vi furono una dozzina di cavalli e
cinque o sei cavalieri; ma questo non mi riguardava
perché non sarebbero arrivati fino alle basse rocce alle
quali io mi stavo avvicinando. Quando le raggiunsi, e
camminai sopra le alghe umide e scivolose (rischiando di
cadere in una delle numerose pozze di chiara acqua
marina che giacevano tra roccia e roccia) fino a un piccolo
promontorio muscoso circondato dal mare spumeggiante,
mi volsi a guardare chi altro fosse in movimento. Vidi
soltanto gli staffieri con i cavalli e un uomo con la macchia
scura di un cane che gli correva davanti, e un
carroserbatoio che usciva dalla città a prendere l'acqua
per i bagni. Tra uno o due minuti, le macchine per i bagni
si sarebbero messe in movimento, e allora gli anziani
signori dalle abitudini regolari e le pie quacchere
sarebbero venuti a fare la loro salutare passeggiata
mattutina. Ma, per quanto interessante fosse un tale
spettacolo, non potevo attendere di vederlo, poiché in
quella direzione il sole e il mare mi abbagliavano, al punto
che potei dare soltanto un'occhiata, e subito mi volsi a
godere della vista e del suono del mare che batteva contro
il promontorio, senza grande forza, poiché l'impeto era
frenato dall'intrico di alghe e dalle invisibili rocce sotto il
livello dell'acqua; altrimenti sarei stata presto inzuppata
dagli spruzzi.
Ma la marea si avvicinava; l'acqua si alzava; le
insenature e i bacini si riempivano; i rigagnoli si
allargavano: era tempo di cercare un luogo più sicuro; mi
incamminai, tornai incespicando e scivolando sulla sabbia
liscia e vasta, e decisi di arrivare a una ardita sporgenza
tra le rocce e poi tornare indietro.
Sentii alle mie spalle un suono ansimante, e subito un
cane mi venne a saltare e scodinzolare ai piedi. Era Snap,
il mio Snap, il piccolo terrier scuro, dal pelo ruvido!
Quando lo chiamai, mi saltò fino al viso, uggiolando di
gioia.
Felice quasi quanto lui, lo presi in braccio e lo baciai più
volte.
Ma come era arrivato là? Non era certo caduto dal
cielo, né poteva essere venuto solo: doveva essere stato o
il suo padrone, l'acchiappatopi, o qualcun altro, a portarlo;
frenando la mia entusiastica accoglienza e cercando di
frenare anche la sua, mi guardai attorno, e vidi... il signor
Weston!
«Il vostro cane vi ricorda bene, signorina Grey» disse,
stringendo con calore la mano che io gli tendevo senza
sapere bene che cosa stessi facendo. «Vi alzate presto.»
«Non sempre così presto» ribattei, con straordinaria
calma, se si pensa a tutte le circostanze.
«Fino a dove intendete arrivare nella vostra
passeggiata?»
«Stavo pensando di tornare; credo sia ormai tempo.»
Guardò l'orologio - un orologio d'oro ora - e mi disse
che erano soltanto le sette e cinque.
«Ma senza dubbio, passeggiate già da molto» aggiunse,
volgendosi verso la città; io mi incamminai lentamente in
quella direzione ripercorrendo i miei passi; e lui mi
camminò al fianco.
«In che zona della città vivete?» chiese. «Non sono
mai riuscito a scoprirlo.»
Non era mai riuscito a scoprirlo? Aveva dunque
cercato di farlo?
Gli dissi dove abitavo.
Lui chiese come andasse la nostra occupazione; risposi
che andava benissimo, che avevamo avuto molte più
allieve dopo le vacanze di Natale e ne aspettavamo altre
ancora al termine di queste vacanze.
«Dovete essere un'ottima insegnante» osservò.
«No, lo è mia madre; è così brava nell'organizzare le
cose, e così attiva, e intelligente e gentile.»
«Mi piacerebbe conoscere vostra madre. Vorrete
presentarmi a lei se vengo a trovarvi?»
«Con molto piacere.»
«E mi concederete il privilegio di un vecchio amico, di
venire a trovarvi ogni tanto?»
«Sì, se... immagino di sì.»
Era una risposta molto stupida, ma non mi sentivo in
diritto di invitare qualcuno a casa di mia madre senza che
lei lo sapesse; se avessi detto «sì, se mia madre non ha
nulla in contrario», sarebbe parso che io dessi alla sua
domanda un significato diverso da quello apparente;
dunque, immaginando che lei non avrebbe avuto nulla in
contrario, aggiunsi «immagino di sì», ma avrei detto certo
parole più sensate e gentili se fossi stata padrona di me.
Continuammo a camminare per un minuto in silenzio, ma
presto fu il signor Weston a romperlo (con mio grande
sollievo), parlando della bellezza della mattinata e della
baia, quindi dei vantaggi che A... offriva paragonata a
molte altre località di villeggiatura più alla moda.
«Non mi avete chiesto perché sia venuto a A...»
osservò. «Non potete pensare che sia tanto ricco da
esserci venuto soltanto in vacanza.»
«Ho saputo che avete lasciato Horton.»
«Ma non avete saputo che mi è stata affidata la
parrocchia di F...?»
Si trattava di un villaggio a circa tre chilometri da A...
«No» risposi. «Viviamo così isolate dal mondo, anche
qui: è molto difficile che mi giungano notizie, se non
attraverso la "...Gazette".
Ma spero che vi piaccia la nuova parrocchia, e che io
possa rallegrarmene con voi.»
«Penso che mi piacerà di più tra un anno o due,
quando avrò operato alcuni cambiamenti ai quali tengo
molto, o quanto meno avrò compiuto dei progressi in tale
direzione; ma potete fin da ora rallegrarvi con me, poiché
mi piace molto avere da solo la responsabilità di una
parrocchia senza nessuno che possa interferire, che
blocchi i miei progetti o tarpi le ali ai miei tentativi; inoltre
ho una bella casa in una zona piuttosto gradevole e
trecento sterline l'anno; a essere sincero, posso
lamentarmi soltanto della solitudine, e posso desiderare
soltanto una compagna.»
Mi guardò mentre finiva di parlare; e il lampo dei suoi
occhi scuri sembrò incendiarmi il viso, con mio grande
sgomento, poiché era intollerabile manifestare confusione
in quella circostanza.
Mi studiai dunque di rimediare e togliere ogni
riferimento personale a quella osservazione, rispondendo
in fretta, e male, che, se aspettava di essere conosciuto
nella sua zona, avrebbe avuto molte possibilità di
accontentare i suoi desideri scegliendo tra le abitanti di
F... e dei luoghi vicini o tra le frequentatrici di A..., se
aveva bisogno di una scelta tanto vasta; senza riflettere al
complimento implicito nelle mie parole, finché lui non me
lo fece notare.
«Non sono tanto presuntuoso da crederlo, anche se
siete voi a dirmelo; ma quando pure fosse così... sono
piuttosto difficile nella scelta di una compagna per la vita,
e forse non ne troverei nessuna che mi convenga tra le
signore di cui parlate.»
«Se cercate la perfezione, non la troverete mai.»
«Non cerco la perfezione; non ne ho il diritto,
essendone io stesso così lontano.»
La conversazione venne interrotta dal passaggio di un
carroserbatoio, poiché eravamo giunti alla zona della
spiaggia in piena attività; per i successivi otto o dieci
minuti, tra i carri e i cavalli e gli asini e gli uomini, non ci fu
spazio per la conversazione, finché non volgemmo le spalle
al mare e cominciammo a salire la strada ripida che
portava in città. Qui il mio compagno mi offrì il braccio,
che io accettai, sebbene non con l'intenzione di
appoggiarmi.
«Non venite spesso sulla spiaggia, credo» mi disse
«perché io ci sono venuto molte volte, di mattina e di sera,
da quando sono arrivato, e non vi ho mai visto prima; e
molte volte, percorrendo la città, ho cercato la vostra
scuola, ma non ho pensato alla strada in cui si trova; e una
o due volte ho chiesto, ma senza ottenere la risposta che
cercavo.»
Superato il pendio della strada, stavo per ritrarre il
mio braccio, ma una stretta leggera mi informò
tacitamente che lui non era d'accordo, e io cedetti.
Parlando di argomenti diversi, entrammo in città, e
percorremmo numerose vie; vedevo che si allontanava
dalla sua strada per accompagnarmi, a dispetto del lungo
cammino che ancora lo attendeva; temendo che potesse
così trovarsi a disagio per semplice gentilezza, osservai:
«Temo di portarvi lontano dalla vostra strada, signor
Weston... credo che la via per F... sia in tutt'altra
direzione.»
«Vi lascerò alla fine della prossima strada» rispose.
«E quando verrete a conoscere la mamma?»
«Domani, se Dio vorrà.»
Alla fine della prossima strada io ero quasi arrivata.
Tuttavia lui si fermò, augurandomi buon giorno, e chiamò
Snap, che sembrava incerto se seguire la vecchia padrona
o il nuovo padrone, ma trotterellò via dopo essere stato
chiamato.
«Non vi offrirò di restituirvelo, signorina Grey» disse
sorridendo il signor Weston «perché gli sono affezionato.»
«Oh, non lo voglio; ora che ha un buon padrone, questo
mi basta.»
«Dunque siete certa che io sia un buon padrone?»
L'uomo e il cane si allontanarono, e io tornai a casa,
piena di gratitudine per il Cielo che mi donava tanta
felicità e pregando che le mie speranze non venissero
nuovamente infrante.
XXV. Conclusione
«Allora, Agnes, non devi fare altre passeggiate così
lunghe prima di colazione» disse mia madre, notando che
bevevo una seconda tazza di caffè e non mangiavo nulla,
prendendo a pretesto il caldo e la fatica della lunga
passeggiata.
Era vero che mi sentivo febbricitante, e stanca.
«Sei sempre estrema in tutto: se avessi fatto una
breve passeggiata tutte le mattine e continuassi a farlo, ti
gioverebbe.»
«Sì, mamma, farò così.»
«Ma così è peggio che restartene a letto o curva sui
libri; ti sei fatta venire la febbre.»
«Non lo farò di nuovo.»
Mi stavo lambiccando il cervello per trovare come
dirle del signor Weston, poiché doveva pur sapere che
sarebbe venuto domani. Aspettai però che la colazione
fosse stata sparecchiata e che io fossi più calma e mi
sentissi più fresca; allora, dopo essermi seduta a
disegnare, cominciai: «Oggi ho incontrato un vecchio
amico sulla spiaggia, mamma.»
«Un vecchio amico! E chi può essere?»
«Per essere sincera, due vecchi amici. Uno era un
cane» e le ricordai Snap, di cui avevo già in precedenza
raccontato la storia, e riferii della sua improvvisa
ricomparsa e della entusiastica accoglienza «e l'altro»
continuai «era il signor Weston, il coadiutore di Horton.»
«Weston! Non ne ho mai sentito parlare prima.»
«Sì invece: ne ho parlato più volte, credo, ma non lo
ricordi.»
«Ti ho sentito parlare del signor Hatfield.»
«Il signor Hatfield era il rettore della parrocchia e il
signor Weston il coadiutore; ne ho parlato a volte
contrapponendolo al signor Hatfield, come molto più
efficace nel suo ministero. Bene, questa mattina era sulla
spiaggia con il cane - lo ha comprato, immagino,
dall'acchiappatopi; e mi ha riconosciuto subito, come il
cane, probabilmente proprio grazie al cane; e ho parlato
con lui, e, quando lui mi ha chiesto della scuola, ho detto
qualcosa di te, mamma, e della tua abile direzione e lui ha
osservato che gli avrebbe fatto piacere conoscerti e mi ha
chiesto se te lo avrei presentato, se si fosse preso la libertà
di venire a trovarmi; io ho detto di sì.
Ho fatto bene?»
«Certo. Che uomo è?»
«Molto rispettabile, credo; ma lo vedrai domani. E' il
nuovo parroco di F..., e poiché è là soltanto da alcune
settimane, immagino non si sia fatto ancora amici e cerchi
un po' di compagnia.»
L'indomani venne. E con quale febbrile ansia e attesa
io passai il tempo tra la prima colazione e mezzogiorno,
quando lui fece la sua comparsa.
Dopo averlo presentato a mia madre, portai il mio
lavoro vicino alla finestra e sedetti attendendo i risultati
dell'incontro.
Si trovarono subito bene insieme, con mia grande
soddisfazione, poiché ero ansiosa di vedere che cosa
avrebbe pensato mia madre di lui. Non si fermò a lungo;
ma quando si alzò per congedarsi, lei disse che le avrebbe
fatto piacere vederlo in qualsiasi momento avesse potuto
venire; e quando lui uscì, ebbi la gioia di sentirle dire: «Un
uomo pieno di buon senso, direi! Ma perché sei rimasta
seduta là, Agnes» aggiunse «e hai parlato così poco?»
«Perché conversavate così bene, mamma; ho pensato
non fosse necessario il mio aiuto; e inoltre era venuto a
trovare te, non me.»
Da quel giorno venne spesso, più volte nel corso di una
settimana.
In genere parlava soprattutto con mia madre; non era
strano, poiché era un'ottima conversatrice. Quasi
invidiavo la sua conversazione agevole, eloquente, priva di
impacci, e l'intelligenza che ogni sua parola rivelava; e
tuttavia non la invidiavo: a volte rimpiangevo, sì, le mie
manchevolezze per amore di lui, ma mi dava grande
piacere ascoltare le due persone al mondo che più amavo
e onoravo discorrere insieme con tanta amicizia, con tanta
saggezza, con tanta eleganza.
Non rimanevo però sempre in silenzio, né venivo
trascurata. Venivo notata quasi quanto desideravo
esserlo: non mancavano le parole dolci e gli sguardi ancora
più dolci, le delicate attenzioni, troppo belle e sottili per
essere definite a parole e di conseguenza indescrivibili, ma
sentite nel profondo del cuore.
Tra noi, presto non ci furono più cerimonie: il signor
Weston veniva come un ospite atteso, benvenuto in
qualsiasi momento, che non disturbava mai la routine
della nostra casa. Mi chiamava «Agnes», timidamente
all'inizio, ma, vedendo che non offendeva nessuno, sembrò
preferirlo di molto al «signorina Grey» e io condividevo la
sua preferenza.
Come erano tediosi e cupi i giorni in cui non veniva!
tuttavia non tristi, poiché avevo con me, a rallegrarmi, il
ricordo della sua ultima visita e la speranza della
successiva. Ma quando passavano due o tre giorni senza
che venisse, mi sentivo davvero molto ansiosa
assurdamente, irragionevolmente ansiosa poiché lui aveva
il suo lavoro e gli affari della parrocchia di cui occuparsi: e
temevo la fine delle vacanze, quando avrebbe avuto inizio
anche il mio lavoro e sarei stata qualche volta
nell'impossibilità di vederlo, e qualche volta... quando mia
madre era nell'aula, sarei stata costretta a stare sola con
lui, situazione che non desideravo... quanto meno non in
casa: incontrarlo fuori e passeggiare accanto a lui non si
era davvero rivelato sgradevole.
Una sera, però, nell'ultima settimana delle vacanze,
arrivò inatteso, poiché un forte e lungo temporale nel
pomeriggio aveva quasi distrutto le mie speranze di
vederlo; ma ora il temporale era finito e il sole era tornato
a splendere.
«Una bella serata, signora Grey» disse entrando.
«Agnes, vorrei che faceste una passeggiata con me a...»
nominò un punto della costa, una collina alta dal lato della
terraferma, e verso il mare uno strapiombo dalla cui vetta
si godeva di una vista superba. «La pioggia ha spento la
polvere e rinfrescato e schiarito l'aria, e il panorama sarà
magnifico. Verrete?»
«Posso andare, mamma?»
«Sì, certo.»
Mi andai a preparare e tornai dopo pochi minuti,
sebbene avessi dedicato naturalmente più cure al mio
vestito di quel che avrei fatto per un giro da sola nei
negozi.
Il temporale aveva avuto un effetto benefico sul
tempo, e la sera era assolutamente deliziosa. Il signor
Weston volle offrirmi il braccio: parlò pochissimo mentre
percorrevamo le strade affollate, ma camminava molto in
fretta e sembrava grave e distratto.
Mi chiedevo che cosa avesse e provavo l'indefinito
timore che pensasse a qualcosa di sgradevole; incerte
ipotesi sulla natura dei suoi pensieri mi turbavano non
poco e mi rendevano grave e silenziosa. Ma le mie fantasie
svanirono quando giungemmo alla tranquilla periferia
della città, poiché appena fummo in vista della vecchia,
venerabile chiesa, e della collina che si ergeva contro il
profondo mare azzurro, vidi che il mio compagno era
tornato di buon umore.
«Ho camminato troppo in fretta per voi, Agnes» disse.
«Nell'ansia di uscire dalla città, ho dimenticato di pensare
a quello che poteva essere più agevole per voi; ma ora
andremo piano come vorrete: vedo, da quelle nuvole
leggere, a ovest, che ci sarà un bel tramonto e avremo il
tempo di ammirarlo sul mare, anche camminando a passo
lentissimo.»
Giunti a metà circa della collina, piombammo
nuovamente nel silenzio, e, come sempre, fu lui il primo a
romperlo.
«La mia casa è sempre solitaria e vuota, signorina
Grey» osservò sorridendo «e ora conosco tutte le signore
della mia parrocchia e anche molte di questa città; e altre
le conosco di vista e di fama; ma nessuna di loro può
soddisfarmi come compagna... a dire il vero, c'è una sola
persona al mondo che può farlo; e questa siete voi; e
voglio conoscere la vostra decisione.»
«Parlate seriamente, signor Weston?»
«Seriamente! Pensate che potrei scherzare su un
argomento simile?»
Mise la mano sulla mia, appoggiata al suo braccio: deve
averla sentita tremare... ma ora non aveva molta
importanza.
«Spero di non essere stato troppo precipitoso» disse
con grande serietà. «Ma voi certo sapevate che non sono
uomo da lusingare e dire tenere sciocchezze, o
semplicemente da esprimere l'ammirazione che provo; e
che in me una parola o uno sguardo vogliono dire più delle
frasi melate e delle ardenti affermazioni di molti altri
uomini.»
Mormorai che non volevo lasciare mia madre né devo
fare nulla senza il suo consenso.
«Ho già parlato alla signora Grey mentre voi
indossavate il cappellino» fu la risposta. «Ha detto che
avevo il suo consenso, purché ottenessi il vostro; io le ho
chiesto, se avessi avuto tanta felicità, di venire a vivere
con noi, poiché ero certo che voi voleste così; ma lei ha
rifiutato, dicendo che adesso può permettersi di assumere
un'assistente e che avrebbe continuato a occuparsi della
scuola finché non si fosse potuta costituire una rendita tale
da mantenerla in comoda agiatezza in una casa d'affitto; e
frattanto avrebbe diviso le vacanze tra noi e vostra
sorella, e sarebbe stata molto soddisfatta se voi eravate
felice. E così ho vinto le vostre obiezioni nei suoi riguardi.
Ne avete altre?»
«No, nessuna.»
«Mi amate dunque?» chiese, stringendomi con fervore
la mano.
«Sì.»
Qui mi interrompo. Il mio diario, da cui sono partita
per tracciare queste pagine, non va molto oltre. Potrei
continuare per anni; ma mi accontenterò di aggiungere
che non dimenticherò mai quella gloriosa sera estiva e
ricorderò sempre con gioia profonda quella collina ripida e
aspra, e l'orlo del precipizio dove rimanemmo insieme
contemplando lo splendore del sole al tramonto riflesso
sull'inquieto mondo di acque ai nostri piedi - il cuore colmo
di gratitudine verso il Cielo e di felicità e di amore - quasi
troppo colmo perché potessimo parlare.
Poche settimane dopo, quando mia madre aveva
trovato un'assistente, divenni la moglie di Edward Weston
e non ho mai avuto occasione di rimpiangerlo e sono certa
che non mi accadrà mai. Abbiamo avuto le nostre prove e
sappiamo che ne conosceremo ancora; ma le affrontiamo
bene insieme e cerchiamo di farci forza e di darci
reciprocamente forza per affrontare la separazione finale,
la più grave di tutte le sofferenze per chi rimane; ma, se
guardiamo alla gloria del Cielo oltre la vita, dove entrambi
potremo incontrarci ancora, dove peccato e dolore sono
sconosciuti, senza dubbio anche questa prova può venir
sopportata; frattanto, cerchiamo di vivere per la gloria di
Colui che ha cosparso di tante benedizioni il nostro
cammino.
Edward, con il suo strenuo lavoro, ha operato
sorprendenti cambiamenti nella sua parrocchia, e è
stimato e amato dai residenti, come merita, poiché,
qualsiasi difetto possa avere come uomo (e nessuno ne è
interamente privo), sfido chiunque a biasimarlo come
pastore, marito o padre.
I nostri figli, Edward, Agnes e la piccola Mary,
promettono bene; la loro educazione per il momento è
affidata principalmente a me; e non mancheranno di
nessuna delle buone cose che l'affetto di una madre può
dare.
La nostra modesta rendita è più che sufficiente alle
nostre esigenze; e con l'economia appresa in tempi più
duri, e non cercando mai di imitare i nostri più ricchi
vicini, riusciamo non soltanto a vivere nella comodità e la
contentezza, ma a avere ogni anno qualcosa da mettere da
parte per i nostri figli e qualcosa da dare a chi ha bisogno.
Ora, credo di aver detto tutto quanto andava detto.
Fine