Agnes Grey pdf
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Agnes Grey pdf
Quando Agnes Grey di Acton Bell fu pubblicato per la prima volta, il mondo sembrò accorgersene ben poco, forse perché il romanzo uscì in volume insieme a Cime Tempestose di Ellis Bell, una storia tanto più interessante, o forse perché il mondo era ancora tutto preso dal «caso» Jane Eyre (1) di Currer Bell. Fra i tre, Agnes Grey arrivava ultimo, e a molta distanza. E tale è rimasto: il sommario resoconto della Brontë delle sommarie avventure di Agnes ha suscitato assai scarso interesse, nonostante la stessa Agnes dichiari che il suo racconto «avrebbe potuto rivelarsi utile per alcuni e gradevole per altri». Comunque, continua con decisione Agnes Grey, «sarà la gente a giudicare da sola». Va detto però che il giudizio della gente non coincide esattamente con l'indifferenza della gente. In questo saggio io mi propongo proprio di far diminuire quell'indifferenza e di lasciare che a pronunciare la sentenza su Agnes Grey sia George Moore, che lo riteneva un romanzo «perfetto». D'altra parte, durante la lettura di Agnes Grey ci si rende conto che la gente non giudica, ma viene piuttosto sottoposta a giudizio. L'esperienza che Agnes Grey fa del mondo - il suo entrarvi e il suo allontanarsene - modella il suo giudizio, e la protagonista emette giudizi dal principio alla fine. (2) Le vicende di Agnes Grey si possono facilmente (e forse utilmente?) riassumere. Agnes, la minore di due sorelle, lascia il suo solitario villaggio natale, dove il denaro scarseggia, per diventare istitutrice. La sua destinazione è Wellwood House, la residenza di recente costruzione dei Bloomfield, una famiglia di arricchiti i cui figli si rivelano indisciplinati e incontrollabili. Alla fine Agnes viene licenziata. Dopo un periodo di riposo a casa dei suoi, riparte per sistemarsi questa volta presso i Murray di Horton Lodge, una famiglia di ceto superiore ai Bloomfield. Qui Agnes riesce ad avere più fortuna, nonostante i suoi allievi e la stessa signora Murray la mettano duramente alla prova. Qui inoltre Agnes Grey fa la conoscenza del signor Weston, il coadiutore locale, i cui principi morali coincidono coi suoi. A causa della morte del padre, Agnes ritorna a casa e si unisce alla madre in una nuova impresa. Madre e figlia insieme (intanto la sorella maggiore di Agnes si è sposata con un rispettabile vicario) aprono una scuola in una cittadina di mare. Agnes Grey si prende una breve vacanza per far visita alla sua ex alunna Rosalie Murray, che nel frattempo ha sposato Lord Ashby di Ashby Hall, dimora persino più imponente di Horton Lodge. (3) Agnes e la madre sono riuscite a ottenere un certo successo quando rientra in scena il signor Weston. Ora anche lui è diventato vicario di un villaggio a sole due miglia di distanza. Quando Agnes accetta di sposare Weston si conclude quella parte di storia della sua vita cui il lettore può avere accesso. Anche se l'esperienza di Agnes conosce ai suoi occhi alti e bassi, in questa semplice narrazione c'è spazio per poche sorprese. E tuttavia io vorrei adesso riraccontare Agnes Grey, dividendo la mia personale versione del primo romanzo di Acton Bell in quattro parti disuguali che non sempre si susseguono come nel libro. Il mio intento è di disturbare l'apparente equilibrio del romanzo, per avere così la possibilità di esporre quella che io ritengo la «vera storia» di Agnes Grey (e di Acton Bell, e di Anne Brontë). A mio avviso, si tratta davvero di una storia di parole, che parla attraverso le parole e delle parole, attenta al modo in cui vengono usate o abusate, ascoltate o inascoltate, dette o non dette, ripetute o perdute, rubate o ritrovate; una storia di silenzio forzato (di Agnes, istitutrice nubile) contrapposto a chiacchiere vuote e ingannevoli (dei padroni di Agnes e dei loro figli), raccontata una seconda volta al contrario quando Agnes Grey, che ha ormai acquisito facilità di parola, si rivolge ai suoi lettori, le cui parole (fatta eccezione per le mie) rimangono inespresse. Il parallelo tra il lettore e l'insieme BloomfieldMurray-Ashby rispettivamente le parti quattro e due della formula cui alludevo in precedenza - è stabilito in modo molto esplicito. Ha il suo cardine nella natura che il mondo, in cui il lettore e l'insieme Bloomfield-MurrayAshby si trovano entrambi, finirà per rivelare: domanda alla quale la giovane Agnes, ancora reclusa nella canonica, desidera fortemente dare una sua risposta. E il mondo visto di là sembra davvero grande, nonostante la famigliola viva «nel più assoluto isolamento». La madre di Agnes, per esempio, ha rinunciato alla propria ricca (cioè mondana) famiglia per sposare il padre di Agnes, che a sua volta si affligge continuamente per il sacrificio della moglie. Mentre la madre di Agnes, quando non si occupa dell'educazione privata delle figlie, racconta loro storie della sua fanciullezza, il padre decide di rischiare il suo modesto patrimonio «fuori», nel mondo, mettendolo nelle mani di un «amico cortese», un mercante la cui nave, sfortunatamente, fa naufragio. Entrambe le azioni, i racconti materni e la speculazione paterna, risvegliano in Agnes «il segreto desiderio di conoscere un po' il mondo», i racconti della madre per la loro patina mondana, la speculazione paterna perché Agnes, ripercorrendo involontariamente le orme del padre, pensa che fuori, nel mondo, riuscirà a far fruttare in qualche modo il suo piccolo tesoro. Fino a questo punto, il mondo si presenta come un luogo del quale si raccontano storie, un luogo nel quale il denaro può essere goduto e/o perduto per sempre, e un luogo che vale la pena di perdere per amore. Agnes, per venire in aiuto al recente tracollo economico della famiglia, desidera provare a rischiare fuori, nel mondo, i beni che possiede: la sua inclinazione per la gioventù, la sua saggezza e la sua prudenza - peraltro mai messe alla prova -, e il suo carattere ambizioso. In altre parole, Agnes desidera istruire i bambini del mondo. Ma che dire delle sue effettive capacità di assolvere un compito tanto degno? «Tieni la bocca chiusa, bambina cattiva», è la risposta della signora Grey al progetto; ma col tempo Agnes, abituata a tenere la bocca chiusa, ottiene l'approvazione della famiglia e parte alla scoperta del mondo. Da questo momento, al termine del capitolo I, il ritmo della narrazione di Agnes - fino a ora un agile riassunto meramente informativo rallenta considerevolmente per seguire la partenza della giovane eroina in ogni dettaglio, compresa la sua ultima conversazione «premondana». Agnes è a bordo di un calesse preso in affitto e guidato da Smith, il merciaio, droghiere e venditore di tè del suo villaggio natale: «Mattina fredda, signorina Agnes» osservò Smith. «E buia pure; magari però arriviamo a destinazione prima che si metta a piovere sul serio.» «Sì, lo spero» risposi, cercando di restare calma. «Ha fatto una bella bagnata ieri sera.» «Sì.» «Ma il vento freddo che tira magari la terrà buona.» «Forse.» La conversazione non è facile per la povera Agnes, ma per il suo lettore le parole sono irrilevanti, poiché nel momento in cui Agnes lascia la sua casa e si accosta al mondo («Il calesse si avviò; mi guardai indietro; la cara mamma e mia sorella erano ancora sulla porta, a guardarmi e a salutarmi con la mano»), si accosta anche a me lettore. In effetti, la sintonia che si stabilisce tra Agnes e il lettore è il culmine del capitolo, la meta a cui tutto il capitolo tende. Questa sintonia è fondata sulla solitudine di Agnes, su quella che diventerà la sua alienazione quotidiana. Agnes Grey è sul punto di imparare qualcosa del mondo, così come il lettore, leggendo quel che lei scrive, impara qualcosa di lei. Che Agnes Grey parli assai poco è già stato stabilito con chiarezza. A casa le parole non sono necessarie. L'ultima notte in cui le due sorelle dividono il loro «lettino», per esempio, Agnes vi si inginocchia accanto e invoca una benedizione sulla sua famiglia: Per celare la mia emozione, mi nascosi il viso tra le mani, e presto le trovai bagnate di lacrime. Vidi, alzandomi, che anche lei aveva pianto; ma nessuna di noi parlò; e ci coricammo in silenzio, stringendoci più forte l'una all'altra per la consapevolezza che ci saremo presto separate. Alla fine del capitolo I questa silenziosa comprensione reciproca è stata lasciata per sempre alle spalle. Agnes non rimane molto a lungo a Wellwood, la prima stazione del suo viaggio per il mondo, ma il tempo che vi trascorre viene impiegato con profitto - un corso di studio intensivo il cui titolo potrebbe essere «Le parole del mondo». A Agnes «davvero non riusciva possibile conversare» quando giunge per la prima volta a Wellwood; ma Mary Ann Bloomfield è «molto loquace» sui pregi della sua bambola e il signorino Tom parla continuamente «come un conferenziere». Solo in seguito Agnes comprende che cosa davvero significhi la loro prontezza, e precisamente quando i suoi ardenti argomenti, ordini e suppliche si rivelano del tutto inefficaci. Le «alte grida e i tristi lamenti» emessi da Tom «per simulare il pianto», per esempio, sono «senza lacrime». Le parole della nonna di Tom, che Agnes considerava una «vecchietta simpatica, chiacchierona e di buon cuore», sono in realtà «ipocrite e false». Le parole di Papà Bloomfield, pronunciate con toni «aspri», «penetranti» o «acuti e dispettosi», sono essenzialmente violente minacce contro i suoi figli o allusioni a quanto stiano diventando indisciplinati quei bambini. Ma le parole di Mamma Bloomfield sono le più istruttive. Sin dall'inizio a Agnes viene ordinato di non punire i bambini a lei affidati. «Pazienza, Fermezza, e Perseveranza», decide, sono le sue uniche armi - scritte con la maiuscola, molto probabilmente, per valorizzare la loro apparente autorità. Le ragioni del licenziamento di Agnes, tuttavia, sono giustificate dalla signora Bloomfield con la sua mancanza «di sufficiente fermezza e di attenzione diligente e perseverante». E' come se Agnes, con i suoi «vestiti casalinghi, la sua faccia di tutti i giorni e le sue parole franche», fosse stata derubata: le sue parole cariche di valori le sono state strappate e rovinate, convertite in un rimprovero. Si noti come Agnes ripete ed enfatizza le parole usate contro di lei; in realtà vuole riprendersele: Incrollabile fermezza, assoluta diligenza, instancabile perseveranza, continua attenzione erano proprio le qualità di cui andavo segretamente fiera; grazie alle quali avevo sperato con il tempo di superare tutte le difficoltà e ottenere infine successo. Avrei voluto dire qualcosa per giustificarmi, ma quando cercai di parlare mi mancò la voce; e preferii restare in silenzio e sopportare come un'imputata che si riconosce colpevole, pur di non dare prova di emozione e di non abbandonarmi alle lacrime che già mi riempivano gli occhi. Quel silenzio, che non durerà per sempre, costa caro. Agnes Grey ritorna a casa consapevole del fatto che le sue parole sarebbero state inutili contro la verbosità del mondo, vuota, o ipocrita, o falsa, oppure egoista. Ma consapevole anche che al mondo esiste qualcosa di più di Wellwood. Horton Lodge, la casa della famiglia Murray, è diversa e nello stesso tempo esattamente identica a Wellwood. Anche lì, le parole sono ambigue, mutevoli, infide. Anche lì, le parole pronunciate da una bocca subiscono un inquietante cambiamento quando vengono ripetute da un'altra. Anche lì, il silenzio di Agnes la avvilisce, le fa mettere ancora una volta in dubbio il suo rispetto per se stessa. E a Horton Lodge è ancora più evidente che il modo di parlare delle persone è spia della loro natura morale, e che stare ad ascoltare le chiacchiere del mondo, la completa vacuità delle parole, potrebbe non portare a niente di buono. Nella famiglia Murray vi sono due figlie: Matilda, il maschiaccio, le cui continue imprecazioni - imparate dal padre e dal cocchiere di famiglia - sembrano incorreggibili, e Rosalie, la civetta, la cui bellezza e «naturale» buon carattere conquistano Agnes a dispetto dei suoi modi frivoli. Rosalie ha sedici anni, tre o quattro meno della sua istitutrice. Progressivamente, Rosalie impara a riporre la propria fiducia in Agnes «la sola in casa a professare costantemente buoni principi, a dire abitualmente la verità, e in generale a cercare di piegare gli impulsi e le inclinazioni al dovere», con il risultato che la sua conversazione diventa a suo modo sincera. I discorsi di Rosalie all'istitutrice vengono riportati nei particolari e per esteso. Non andiamo al ballo - il ballo ci viene raccontato. Inconsapevole del fatto che le sue parole rivelano molto più di quanto lei pensi, e che quanto dice viene registrato con cura nella memoria della sua ascoltatrice, Rosalie è, con perfetta innocenza, un libro aperto. Dice tutto. La storia che racconta è fondamentale per la narrazione che la sua ascoltatrice alla fine rende pubblica. Rosalie, graziosa figlia di un ricco proprietario terriero, è in realtà la controfigura mondana di Agnes Grey. La sua esperienza della parola avviene in parallelo a quella dell'istitutrice, l'una ironica ombra dell'altra, l'una piena di parole, l'altra che rimanda di continuo la rivelazione della parola. Agnes Grey si trattiene a Horton Lodge tanto a lungo da essere testimone oculare della storia che ha per argomento la formale presentazione della sua pupilla in società - e cioè il mercato del matrimonio, il suo flirtare con qualsiasi uomo si interessi a lei, il suo acconsentire a sposare il partito migliore (il più ricco e di più nobile famiglia) e infine la celebrazione delle nozze. Non appena ritorna dalla chiesa Rosalie vola letteralmente nella sala da studio dove la sua ascoltatrice la sta aspettando: «Ora, signorina Grey, sono Lady Ashby» esclamò. «E' fatta! il mio destino è segnato... non è più possibile tornare indietro. Sono venuta a ricevere le vostre congratulazioni e a congedarmi da voi; e subito partirò... per Parigi, Roma, Napoli, la Svizzera, Londra... Oh, quante cose vedrò e sentirò prima di tornare! Ma non dimenticatemi; io non vi dimenticherò, anche se sono stata cattiva. Via, perché non vi congratulate con me?» Agnes Grey augura cautamente alla sua ex allieva autentica felicità e ogni benedizione, restando in disparte mentre la giovane sposa lascia la casa della sua fanciullezza per andare alla scoperta del mondo - un viaggio con una meta assai più lontana di quello che Agnes aveva un tempo pensato di intraprendere. Ma per Rosalie, come lei stessa teme, non c'è possibilità di voltarsi indietro: una volta entrato nel mondo degli aristocratici, il viaggiatore non ritorna mai più. L'ultimo capitolo della storia di Rosalie, così come ci viene raccontato dalla sua istitutrice di un tempo, è forse il più interessante. Agnes ormai non è più al servizio dei Murray, ma, come sottolinea Rosalie con il suo invito insistente a Ashby Hall - dove ora vive con il marito e la suocera -, «dovete venire e verrete; morirò se non venite. Voglio che veniate in visita come un'amica, e vi fermiate a lungo». Agnes Grey rimane solo per pochi giorni, un periodo non abbastanza lungo per soddisfare la povera Rosalie, ma sufficiente per farsi un'idea chiara della nuova esistenza della sua pupilla, idea indispensabile a tracciare le coordinate morali della vita che la stessa Agnes vorrebbe condurre un giorno. Le due giovani donne non si reincontreranno mai più. Al momento della loro separazione, Agnes ha completato il suo personale viaggio per il mondo (Ashby Park è una «casa principesca» e di gran lunga la residenza più grandiosa che Agnes abbia mai visto) e di sua spontanea volontà se ne allontana, lasciando Rosalie al proprio destino. Rosalie, presa in trappola tra una suocera oppressiva e un marito geloso, sente che «la vita, la salute e la bellezza se ne vanno, inavvertite e non godute». Nemmeno il figlio (mai chiamato con un nome proprio) la interessa, e, dal momento che il bimbo è in realtà una bimba, (4) alla fine diventerà addirittura una minaccia per la madre. I nuovi beni di Rosalie, riportati dal viaggio in Europa, non le danno piacere. E per di più la giovane non è autorizzata ad andare a divertirsi a Londra. In breve, per Rosalie i cancelli della prigione sono chiusi a chiave. Prima della sua partenza, Agnes, senza farsi notare da suocera e marito, dà qualche consiglio a Rosalie: Dissi quello che potevo per confortarla e le diedi quei consigli che credevo più necessari, suggerendole dapprima di cercare di migliorare il marito con la dolcezza dei ragionamenti, con l'esempio, con la persuasione; quando poi avesse fatto tutto il possibile, se ancora lo avesse trovato incorreggibile, di cercare di non pensare a lui - di avvolgersi nella sua propria integrità e preoccuparsi il meno possibile per lui. Soltanto qualcuno che sia a conoscenza di tutte le esperienze di Agnes Grey come istitutrice - e istitutrice di Rosalie - può apprezzare appieno il capovolgimento che ha qui luogo. Quello che un tempo la madre di Rosalie aveva suggerito all'istitutrice dei suoi figli - «di essere sempre mite e paziente» e di usare solo «persuasione e dolci proteste» - è l'amara medicina che viene ora consigliata alla stessa Rosalie. E con questa prescrizione Agnes Grey se ne va. C'era però stato un tempo in cui le due storie - di Agnes e di Rosalie - si erano intrecciate, e cioè quando entrambe erano interessate allo stesso uomo. Il signor Weston fa il suo ingresso nella storia di Agnes da una porta laterale e nascosta. Avendo sentito che in città è arrivato un nuovo coadiutore, Agnes ne chiede una descrizione a Rosalie: «Oh, un uomo impossibile! Si chiama Weston. Posso descrivervelo con tre parole: uno zuccone sciocco, brutto e stupido. Sono quattro, ma non importa... basta ora parlare di lui.» Tra le parole di Rosalie, che già significano più di quanto lei creda, ce n'è davvero una di troppo. Dopo questo primo segnale, la presenza del signor Weston nel vicinato acquista progressivamente un'importanza sempre maggiore nell'esistenza di Agnes e Rosalie, ciascuna a suo modo. Rosalie, che è ancora alla ricerca del marito adatto, esamina e commenta ogni uomo che le capita a tiro, mentre Agnes, anche lei nubile, osserva con cautela e in silenzio. Tuttavia, prima che Rosalie si renda conto della «idoneità» del signor Weston, il rettore, Hatfield, è stato preso all'amo, pescato, e quindi ributtato in acqua. Questo episodio - quando il pesce viene respinto - mi sembra l'esemplificazione più efficace di come il mondo usi le parole. Rosalie racconta ogni particolare della vicenda alla sua silenziosa istitutrice. La giovane ha deliberatamente ingannato il signor Hatfield, coinvolgendolo in parecchie conversazioni private, e quando alla fine il rettore si dichiara, lo respinge altezzosamente. Prendendo allegramente possesso del ruolo di narratore, Rosalie ripete l'intero incontro. Quando il povero, mortificato signor Hatfield chiede «Ma siate sincera, signorina Murray; se io avessi la ricchezza di sir Hugh Meltham, o le prospettive del suo figlio maggiore, anche allora mi rifiutereste? rispondetemi con sincerità, sul vostro onore», Rosalie gli risponde che lo avrebbe sicuramente rifiutato lo stesso, una «grossa bugia», confessa alla sua istitutrice allibita, detta per umiliare ulteriormente il corteggiatore. Prima di andarsene Hatfield, in precedenza un maestro dell'adulazione, prende un «tono umile», e prega il suo perduto amore di non rivelare nulla a proposito di «questo». Passa poi alla minaccia: «Anch'io posso parlare; avete disprezzato il mio amore, ma non potrete disprezzare...». Rosalie esige subito una spiegazione: «"Che cosa intendete, signore?" ho chiesto, e quasi battevo il piede a terra dalla collera. «"Intendo che questa vicenda ai miei occhi appare dall'inizio alla fine come un caso lampante di... di civetteria - è il minimo che si possa dire - un caso tale che non vi farebbe certo piacere veder rivelato ai quattro venti, per di più con le aggiunte e le esagerazioni delle vostre rivali, che sarebbero felici di divulgare la cosa se soltanto gliene offrissi l'occasione. Ma vi prometto, sul mio onore di gentiluomo, che non una parola, non una sillaba che possa recarvi danno mi sfuggirà dalle labbra, purché voi..." «"D'accordo, d'accordo, non ne parlerò" ho detto allora "potete contare sul mio silenzio, se la cosa vi è di conforto." «"Lo promettete?" «"Sì" ho risposto, perché a quel punto volevo liberarmi di lui. «"Vi lascio dunque, per sempre!" ha detto, con un tono molto dolente e innamorato; e con uno sguardo in cui l'orgoglio lottava invano con la disperazione, si è allontanato, ansioso, senza dubbio, di tornare a casa per potersi chiudere nel suo studio a piangere... seppure non scoppierà in singhiozzi prima di arrivarci.» Il signor Hatfield è esperto di discorsi audaci, di insinuazioni e pettegolezzi almeno quanto lo è di discorsi amorosi e di discorsi che vanno messi a tacere; ma i discorsi di Rosalie sono ancora più mondani: non solo le parole di richiamo rivolte allo sfortunato Hatfield, ma la sua intera narrazione - che sta per fare alla madre e alla sorella -, costituisce un tradimento. Insomma, come ho già osservato, la mondana Rosalie dice tutto. Il signor Weston è tutto un altro paio di maniche, ma Rosalie non sembra rendersene conto. Le sue intenzioni dichiarate («Oh se uno spirito amico gli sussurrasse queste parole all'orecchio!» pensa la silenziosa Agnes), anche se non portano a nulla, capitano giusto a sproposito. Infatti il tempismo è essenziale, la posta in gioco insignificante. Il modo in cui il mondo usa le parole è stato ampiamente dimostrato, il suo potere ampiamente sperimentato. A Agnes - circondata da «bambini antipatici e ragazze ignoranti, malconsigliate» - sembra di percepire il suo intelletto guastarsi, il suo cuore pietrificarsi, la sua anima contrarsi. «Le compagnie consuete esercitano spesso grande, reciproco influsso sulla mente e sui modi. Coloro dei quali vediamo costantemente le azioni, ascoltiamo costantemente le parole, non possono non condurci, sia pure contro la nostra volontà, lentamente, gradualmente, impercettibilmente forse, a agire e parlare come loro»; un pensiero terribile per chi aveva portato con sé dalla canonica come i suoi beni più preziosi saggezza e prudenza. Come potrebbe Agnes Grey definire il mondo ora che sa quanto può essere pericoloso? Abbiamo così raggiunto il fulcro dell'intuizione morale di Agnes nei riguardi del mondo; ma fortunatamente il mondo non è fatto solo di quelli che Agnes definisce «i vari Bloomfield, Murray, Hatfield, Ashby, eccetera, eccetera». Fortunatamente quella rarità del signor Weston, «come la stella del mattino», è apparso all'orizzonte, sorgente luminosa che cambierà per sempre la visione del mondo di Agnes. Ovviamente Weston è un uomo di poche parole, un uomo di parola, e un uomo cui basta un'unica parola («sì», la sola risposta alla sua domanda di matrimonio). Quando questa parola viene pronunciata la storia di parole di Agnes - e cioè la storia della sua lotta con le parole - ha finalmente termine. Tra Agnes Grey e Weston sono necessarie pochissime parole, e queste sono semplici e chiare. Si pensi per esempio al mazzo di giacinti offerto a Agnes dal signor Weston, il quale osserva, sorridendo, che: sebbene mi avesse visto così poco negli ultimi due mesi, non aveva dimenticato che i giacinti erano tra i miei fiori preferiti. Era un gesto compiuto semplicemente come un atto di benevolenza, senza alcuna cerimonia o particolare cortesia, senza alcuno sguardo che potesse venire interpretato come una «riverente, tenera adorazione» (vedi Rosalie Murray); ma era pure qualcosa scoprire che quella mia frase senza importanza veniva ricordata con tanta attenzione. Affermazioni insignificanti non sono prive di significato per queste due persone, le cui parole sono sempre pesate, sempre pesanti. Naturalmente le sole parole che Weston pronuncia a suo favore sottolineano proprio questo aspetto: «Spero di non essere stato troppo precipitoso», aggiunge dopo essersi dichiarato alla tremante Agnes: Ma voi certo sapevate che non sono uomo da lusingare e dire tenere sciocchezze, o semplicemente da esprimere l'ammirazione che provo; e che in me una parola o uno sguardo vogliono dire più delle frasi melate e delle ardenti affermazioni di molti altri uomini. Ovviamente Agnes Grey e Weston erano fatti l'uno per l'altro. Quando si reincontrano, nel penultimo capitolo della «vera storia» di Agnes Grey, il mondo e le maniere del mondo semplicemente scompaiono. E' mattino presto. Agnes ha attraversato la città di mare nella quale lei e sua madre hanno aperto la loro scuola ed è arrivata da sola alla spiaggia. La marea ha «cancellato le orme più profonde del giorno prima». Il mondo si è svuotato. Agnes, di ritorno da Ashby Park, si sente «rinfrescata, deliziata, rinvigorita» (5) - e là, a grande distanza, lontano da tutto il mondo, c'è «un uomo con la macchia scura di un cane». Quando il cane si slancia di un balzo addosso a Agnes tributandole una «entusiastica accoglienza», abbiamo già capito tutto. Chi ha bisogno di parole? Quanto poi effettivamente sappiamo della felicità coniugale di Agnes è un'altra questione, e la risposta può essere tutto oppure niente. Ma ora il quadro si capovolge, e io ritorno alla formula sottesa a questo saggio, dalla quale ero partita: Agnes Grey è una storia di silenzio forzato contrapposto a chiacchiere vuote o ingannevoli (sto autocitandomi) - una storia raccontata una seconda volta al contrario quando alla fine Agnes parla chiaro mentre il mondo ascolta in silenzio. Che cosa ha a che fare la voce narrante di Agnes, o piuttosto la sua voce parlante, con la storia che racconta? Da dove deriva questa sua scioltezza? Il mondo, inteso come pubblico, è ora diventato qualcosa che richiede parole, che causa l'esistenza di parole, che divora parole; e Agnes Grey, di sua spontanea volontà, traduce la sua vita nient'altro che in parole da sottoporre - come dice all'inizio - al giudizio del mondo. Come Rosalie Murray, Agnes racconterà tutto, e lo racconterà al mondo. Ma non proprio tutto. Non vengono spese parole per la vita domestica del signore e della signora Weston; davvero la loro felicità non può essere espressa a parole. Quando li vediamo per l'ultima volta, stanno fissando, fianco a fianco, in silenzio, un «inquieto mondo di acque», lontano dal mondo verboso della città. Nell'acqua i due spariscono insieme - per non essere mai più visti (se si eccettua il più che sommario riassunto dell'ultimo capitolo). Quando Agnesnarratore riemerge da quella «oscurità», con una nuova immagine e una nuova fisionomia, il suo modo di raccontare è in parte familiare, in parte insolito. Ci si aspetta, per esempio, che Agnes Grey sia breve, senza fronzoli, senza improvvise digressioni. I titoli dei capitoli sono concise anticipazioni rigorosamente informative dei contenuti; diciannove dei venticinque in cui è diviso il romanzo sono composti dall'articolo seguito da un sostantivo. La successione cronologica del romanzo procede senza interruzioni, in una continua progressione temporale. Le coordinate spaziotemporali di Agnes Grey sono precisate con attenzione; il lettore non può mai perdersi, o avere dei dubbi. La narrazione in prima persona è continua dall'inizio alla fine. Non vi sono sogni raccontati, diari, prediche o lettere. Non sono specificati nomi di luoghi, mancano riferimenti a eventi o personaggi storici. Non ci sono singolari coincidenze, il testo non è intessuto di simboli e immagini figurate. Metafore e similitudini scarseggiano. Non ci aspetteremmo (e non troviamo) nessun tipo di eccesso. Questa moderazione del linguaggio non è quella del mondo, ma in Agnes Grey la protagonista si è reimpossessata delle parole del mondo. Leggendo Agnes Grey, il mondo è costretto ad ascoltare le proprie parole, ma a ascoltarle incastonate nel resoconto rigoroso e franco di Agnes Grey, trasformate in esempi, semplici campioni subordinati a un nuovo fine e a una nuova autorità. Un tempo Agnes Grey ha mandato alla ventura nel mondo la sua indole entusiasta e fiduciosa, e ora vi manda la sua storia. Ma le due iniziative sono diverse. Questa volta, per esempio, Agnes è molto cauta. La sua oscurità, alcuni nomi cambiati e il tempo che intanto è trascorso la proteggeranno, ci dice nella prima pagina, le consentiranno di narrare gli avvenimenti dal suo punto di vista, di raccontare al mondo le storie del mondo, di rompere finalmente il suo silenzio. Un tempo, quando si dibatteva tra i suoi «mondani» allievi, le parole restavano l'unica risorsa consentita a Agnes Grey; ora sono tutto ciò di cui ha bisogno. Sono l'espressione della sua superiorità morale. Il semplice allontanamento dal mondo verso la felicità della vita insieme a Weston non è abbastanza per Agnes Grey. Il mondo così come lei lo ha conosciuto può essere sottomesso soltanto imponendogli il silenzio, impadronendosi delle sue parole, delle quali ricorda perfettamente il tono, di cui imita spesso i suoni, denunciandone scrupolosamente la vacuità. Nessun singolo esempio può trasmettere il gusto della parodia di Agnes, la sua sicura padronanza del modo di esprimersi del mondo. Proprio lei, che aveva temuto un tempo di giungere a parlare come parla il mondo, trova infine il modo di farlo con perfetta impunità. Per esempio: la signora Bloomfield presenta il figlio come un «ragazzo generoso e nobile», ma quando Agnes ci dice che «ha cercato invano quello spirito nobile e generoso di cui parlava la madre» le parole sono diventate ironiche. Analogamente, quando la signora Murray ricorda a Agnes che ha «amici influenti, pronti a continuare a proteggerla e a trattarla con tutti i riguardi» e Agnes la ringrazia «per i suoi "riguardi"», la parola ha acquisito una sfumatura diversa. E quando Rosalie fa presente a Agnes che dovrebbe ricevere da casa degli «eleganti e signorili bigliettini» e non lunghe, detestabili lettere scritte su «fogli enormi e volgari», Agnes replica: «La brava gente di casa mia» risposi «sa benissimo che, più le lettere sono lunghe e più mi fanno piacere. Mi dispiacerebbe molto ricevere da qualcuno di loro un bigliettino signorile; e credevo foste voi stessa troppo signorile, signorina Murray, per parlare della "volgarità" di lettere scritte su fogli larghi.» Sulla scelta di parole di Rosalie Murray, Agnes Grey è particolarmente eloquente. Quando vengono ripetute da Agnes, queste parole sono state giudicate e condannate quando vengono ripetute da Agnes, tutte le parole del mondo sono state messe alla prova, e la loro autonomia si è spenta alla luce del suo severo esame. Prendiamo per esempio il discorso di Rosalie «Ora, signorina Grey, sono Lady Ashby!», citato sopra. Viene pronunciato poco dopo l'inizio del capitolo XVIII, intitolato Gioia e lutto. Siamo appena venuti a sapere che il padre di Agnes potrebbe avere una malattia mortale, Agnes non ha potuto vedere il signor Weston per molte settimane, e le è stato portato via persino il cagnolino. In mezzo a questa desolazione irrompe la sposa: «volò nella sala da studio, rossa in viso per l'emozione, e ridente... ridente di gaiezza e a un tempo di spavalda disperazione o almeno così mi parve» (corsivo mio). In Agnes Grey tutto quanto viene raccontato è accompagnato da questa riserva. E si può dire che il suono vuoto delle parole di Rosalie così come sono state ascoltate dalla sua triste istitutrice riecheggi in ogni pagina. Le parole del mondo si sono spente nel silenzio quando arriva il tempo di leggere Agnes Grey, e tuttavia la presenza del mondo non ha per questo minore significato. Eccoci così giunti alla quarta parte del mio saggio, quella più interessante, o almeno che interessa di più a me. Perché dopo tutto solo il lettore di Agnes Grey ha davvero la possibilità di far esistere la sua storia; può darle una voce; se il suo racconto non viene letto, anche Agnes resta silenziosa. Ma chi è questo lettore? Chi nel mondo legge effettivamente Agnes Grey? E' stato detto che l'anonimato dei lettori è il valore più essenziale sostenuto da un romanzo; (6) ma Agnes Grey (il cui personale anonimato non è però mai messo in discussione) sa bene a chi si rivolge. I suoi lettori sono stati presi dal mondo - quel mondo che sta per essere giudicato - e sono sin troppo noti. «Risparmio ai miei lettori la descrizione della mia gioia nel tornare a casa», commenta Agnes, come se fossero incapaci di apprezzare un'esperienza così poco mondana, e ancora «Non annoierò i miei lettori descrivendo la mia partenza da casa in quella buia mattina d'inverno», come se la loro sensibilità mondana dovesse trovare questa commozione intollerabile. Qualsiasi esplicito riferimento di Agnes Grey ai lettori tradisce questa sfiducia: (7) la loro pazienza si sta esaurendo, o la sospettano di rivendicare la condizione di martire, oppure troveranno la narrazione tediosa, la protagonista del tutto assurda e ne saranno «nauseati». In breve, Agnes conosce così bene i suoi lettori da poter mettere loro in bocca le parole - e in Agnes Grey non esiste potere più grande. Accade proprio dopo che il signor Weston si è ricordato dei giacinti: Ebbene, che cosa c'è di notevole in tutto questo? Perché l'ho raccontato? Perché era tanto importante da farmi passare una serata lieta, una notte di sogni gradevoli e una mattina di felici speranze. Vuota letizia, sciocchi sogni, speranze infondate, diranno i lettori. I lettori di Agnes Grey sono diventati, volenti o nolenti, la voce della saggezza mondana. Come la signora Bloomfield, con un furto ormai familiare si impadroniscono delle parole di Agnes e ne annullano il valore. O meglio: viene detto che se ne impadroniscono. A questo punto Weston e Agnes cominciano gradualmente a avvicinarsi e di questi lettori mondani non si hanno più notizie né vi si allude più. Non possono, così come il resto del mondo, sapere nulla di questa unione (senza parole): per loro è un libro chiuso. Ma che cosa possiamo dire di quel lettore che Agnes si rifiuta di prendere in considerazione, il lettore che non si può nominare, quell'unico in tutto il mondo che sa tutto? L'esistenza di un lettore come questo costituisce a mio avviso la premessa fondamentale a Agnes Grey. Questo lettore segreto accompagna Agnes attraverso la storia della sua vita esattamente come il suo diario segreto - mai nominato fino all'ultima pagina del romanzo - la accompagna lungo l'intero arco della sua esistenza. Ovviamente io mi identifico con quel lettore. Alla fine del capitolo I divento la confidente non riconosciuta di Agnes Grey e non abbandono mai il suo fianco. La mia storia, per quanto ancora non raccontata, non è raccontabile. Comincia quando Agnes Grey e il signor Smith si allontanano dal suo paese natale. Si sono appena trovati d'accordo sul fatto che il tempo è freddo, tetro e incerto; ma per un momento «un raggio di sole obliquo» illumina la canonica ormai lontana. Si osservi con quanta schiettezza Agnes Grey comunica la sua reazione alla vista di questo effetto luminoso: Giungendo le mani, invocai con fervore la benedizione sui suoi abitanti, e mi affrettai a voltarmi di nuovo, perché vedevo che il sole si allontanava; evitai accuratamente di lanciare un altro sguardo, per non vederla immersa nell'ombra cupa, come tutto il paesaggio. Il carattere confidenziale di questa confessione di fede e superstizione insieme determina e definisce il ruolo che io devo interpretare mentre Agnes racconta il suo viaggio alla scoperta del mondo. E' un momento significativo, destinato a essere ricordato diciassette capitoli dopo, quando Agnes (ormai a Horton Lodge) immagina «nuvole nere che si addensano sulle [sue] colline native» e «il rabbioso borbottare di una tempesta che stava per scoppiare e gettare la desolazione nella [sua] casa». E queste stesse parole vengono ricordate ancora successivamente, quando «un forte e lungo temporale» si placa e il sole torna a splendere proprio mentre il signor Weston si dichiara. Io so che cosa pensare di quelle nuvole nere e di quel sole splendente. Ma la mia lettura di Agnes Grey è ancora più attendibile di così. La mia comprensione non ha bisogno di parole davvero la mancanza di parole è la sua unità di misura, la stessa mancanza di parole che ratifica il legame di Agnes con la sua famiglia, il suo cane e ovviamente il signor Weston. In questo modo Agnes Grey, romanzo composto di parole, riesce davvero a screditare il potere della parola. Io non sono interpellata direttamente; la nostra conoscenza reciproca è sottintesa. Per esempio, io deduco la costante fiducia di Agnes nel significato profetico del tempo metereologico da un modo di narrare che dal canto suo permette questa interpretazione senza imporla però mai direttamente. E in realtà le dichiarazioni di Agnes Grey sono destinate a quei lettori mondani di cui comincia a immaginare l'esistenza non appena ha percorso le venti miglia fino a Wellwood House e ha iniziato a comprendere davvero come è fatto il mondo. Di questi lettori viene detto che diventano scontenti, annoiati o ostili. Sono loro che avvertono il sottofondo ironico di queste accuse. L'ironia di Agnes Grey - presente sin dal momento in cui il cosiddetto «amico cortese» salpa per mare con il patrimonio di famiglia - è riservata esclusivamente alle mie orecchie. Dipende direttamente dalla sua fiducia scossa. Tra i Bloomfield la sua fiducia, e quindi la sua confidenza, diventano incerte e indirette, e le sue parole in lotta contro il modo in cui il mondo usa le parole diventano ironiche. Io sono il lettore che sente e comprende questo impulso. All'inizio del capitolo IV, per esempio, Agnes Grey si rifiuta di parlare delle sue recenti vacanze di Natale; dichiara che riferirà soltanto la metà delle vessazioni che deve subire a Wellwood House per non mettere alla prova la pazienza del lettore; e immagina di suscitare contrarietà e confusione nel caso in cui trascurasse di descrivere i suoi allievi uno per uno. Ovviamente, Agnes ha i nervi a fior di pelle. La tensione cresce e Agnes prosegue rivelando la stupidità e la cattiva volontà di Nonna Bloomfield, il freddo rifiuto da parte di Mamma Bloomfield di punire i figli quando hanno commesso degli errori, la collera di Bloomfield padre di fronte agli scherzi dei bambini, e la violenza dei bambini stessi: un gruppo di personaggi che con i loro eccessi frustrano e sconcertano l'istitutrice, le cui mani sono legate, le cui parole sono vane, la cui fiducia viene quasi fatta crollare del tutto. Ma il vero argomento di questo triste capitolo non sono, a mio avviso, gli orrori del comportamento dei Bloomfield - bensì la quotidiana sopportazione di questo comportamento, l'instancabile esercizio dell'autocontrollo da parte di Agnes. Circondata da un totale disordine e fortemente tentata di lasciarsi andare, Agnes nonostante tutto resiste. I bambini decidono di «farla infuriare», ma falliscono nel loro intento. Il pensiero della compassione dei suoi familiari le rende difficile trattenere le lacrime, e tuttavia riesce a trattenerle. Le critiche di Papà Bloomfield - «Parola mia» dice, «c'è da perdere la pazienza!» - la fanno prorompere nella sua più sdegnosa parodia, ma non prima che egli abbia sbattuto dietro di sé la porta della sala da studio: «C'è davvero da perdere la pazienza!» brontolai tra me alzandomi; e, afferrato l'attizzatoio, lo passai più volte tra la brace smuovendola con inconsueta energia, per placare la mia collera con il pretesto di rianimare il fuoco. Betty, la cameriera dei Bloomfield, ha appena perso il posto perché non può trattenersi dal picchiare i piccoli Bloomfield. «Non so come ci riusciate voi» confessa alla signorina Grey alla fine del capitolo, «io non sono mica riuscita a tenere ferme le mani». E Agnes non replica. La nostra reciproca identificazione cresce e si approfondisce in parallelo con il proseguire delle avventure mondane di Agnes. Per esempio, non sono necessarie parole per spiegarmi a che cosa si riferiscono le sue «luminose visioni» del futuro a Horton Lodge; e anche in seguito, quando Agnes dichiara che «non è necessario analizzare» tutti i suoi pensieri, o quando le vengono in mente «altri pensieri», io so quali sono. Senza divulgare quelle visioni e quei pensieri, sono disposta a rivelare che riguardano il signor Weston. La fiducia di Agnes nella mia intuizione si rafforza insieme all'intensità del suo interesse per Weston, al punto che quello che Agnes non dice di lui è più importante di quello che dice, (8) poiché la sua reticenza, così come la sua ironia, è diventata uno strumento di comunicazione. Il capitolo XIII, Le primule, segna questa trasformazione. Qui per la prima volta Agnes Grey, con in mano tre primule, parla apertamente al signor Weston, che le ha raccolte per lei, di quella che potrebbe essere la loro felicità. E' un momento importante, seguito subito dalla consapevolezza da parte di Agnes che non sarà mai più aperta con il lettore. Il legame è indubbio: «"Dio gli conceda per quella casa una compagna degna di essere scelta"» pensa Agnes quando è di nuovo sola. «"E sarebbe delizioso se..." Ma che importanza hanno i miei pensieri?» A questo punto Agnes si ferma, si rivolge direttamente al lettore con il seguente rifiuto: Ho cominciato questo libro con il proposito di non nascondere nulla, affinché quanti lo desiderano possano guardare nel cuore di una loro sorella: ma vi sono alcuni pensieri che tutti gli angeli del cielo possono guardare - ma non i nostri fratelli umani neppure i migliori e più cari tra loro. Il fatto che io sia in grado di indovinare i pensieri nascosti di Agnes Grey, per quanto nascosti, costituisce il suo segreto proposito. Il resto del racconto conferma questa intenzione. L'ultimo paragrafo di questo capitolo, per esempio, descrive solo dei fatti fatti che devono parlare da soli: Le primule, poi, due le tenni in un bicchiere in camera finché non furono completamente appassite e la cameriera le buttò via, e i petali della terza li misi tra le pagine della mia Bibbia: sono ancora là, e intendo conservarli per sempre. Il pensiero di Agnes Grey si articola in tre punti: intendo conservare questi fiori, intendo dire che il mio affetto per il signor Weston si è consolidato per sempre, e intendo fartelo comprendere. Il pensiero di Agnes, con una nuova sicurezza, va al di là dello spazio e dell'ontologia, e - lasciamo parlare i fatti - si è conservato nelle pagine di un libro. Questo gesto si colloca a metà strada nel racconto di Agnes. Quello che segue - sino alla fine della storia presume la nostra comprensione reciproca e la mia decisa simpatia. Per esempio, io so bene perché Agnes si sente così rinfrescata quella fatidica mattina sulla spiaggia: si è appena separata per sempre dalla povera Rosalie Murray. E, in precedenza, io comprendo davvero Agnes quando si reca in chiesa per guardare «una forma e un viso» senza nome, o quando confessa di prestare molta più attenzione di prima al proprio modo di vestire, o quando rivela in tre quartine piene di sentimento la follia del suo desiderio ma forse non c'è bisogno di raccontare tutta la storia. Probabilmente questo saggio è già abbastanza lungo anche senza ulteriori tradimenti delle confidenze di Agnes Grey. Un'ultima osservazione. La progressiva fiducia di Agnes Grey nell'esistenza di un unico lettore in tutto il mondo che capisca davvero che cosa intende dire, coincide ovviamente con la sua progressiva fiducia nell'unico uomo al mondo che merita la sua stima e la sua progressiva speranza che proprio lei potrà rivelarsi l'unica donna al mondo di cui si fida quest'uomo degno di stima. In Agnes Grey un unico desiderio sottinteso spinge avanti sia la vita sia la storia: tra tutti, esisterà la persona giusta. Trovare la persona giusta, essere la persona giusta, raccontare la storia alla persona giusta, e che importanza ha il resto del mondo? Lasciamo pure che il resto del mondo, dove le parole sono tutto, continui a parlare. Lasciamolo giudicare per se stesso. Quello che accade tra Agnes Grey e Edward Weston è «troppo bello e sottile per essere definito a parole» ma il giusto lettore lo ha comunque compreso; è entrato a far parte di un chiuso e silenzioso circolo formato da pochi eletti moralmente degni, e non dirà più una parola. Janet H. Freeman (Due parole su Agnes Grey, in «Cahiers Victoriens et Edouardiens», 34, ottobre 1991, pp. 109-26; trad. di Orsetta NOTE: (1) Per i pochi commenti su Agnes Grey che fecero seguito all'uscita del romanzo, cfr. The Brontës: The Critical Heritage, a cura di Miriam Allot, Routledge & Kegan, London 1974. (2) Terry Eagleton definisce Agnes Grey «sostenuta dalle sue convinzioni morali pressoché assolute», che non l'abbandonano mai. Cfr. Terry Eagleton, Myths of power. A Marxist Study of the Brontës, Macmillan Press, London 1975. (3) Priscilla Costello ha sottolineato come le diverse famiglie descritte in Agnes Grey forniscano un «microcosmo della società vittoriana». Cfr. Priscilla Costello, A New Reading of Anne Brontë's «Agnes Grey», in «Brontë Society Transactions», 19, 1987, pp. 113-18. (4) La presenza della bambina a Ashby Hall va ad aggiungersi a tre generazioni di donne di condizione sociale elevata, ciascuna a suo modo una reclusa. (5) Il confronto con Ashby Hall è condotto minuziosamente, nei dettagli. Là, per esempio, la notte sopraggiunge lentamente, qui invece siamo sul far del giorno. (6) Cfr. D.A. Miller, The Novel and the Police, University of California Press, Berkeley 1988, p. 162. (7) La Agnes Grey cui si fa qui riferimento potrebbe avere la stessa funzione del narratore «distaccato» di cui parla Robin R. Warhol, contrapponendolo al narratore «accattivante»; cfr. Robin R. Warhol, Toward a Theory of the Engaging Narrator: Earnest Interventions in Gaskell, Stowe, and Eliot, in «Publications of the Modern Language Association of America», 101, (ottobre 1986), pp. 811-18. (8) Il signor Weston viene descritto per la prima volta da Agnes Grey come la negazione del signor Hatfield. E' tutto quello che non è Hatfield. Dati i sermoni e il comportamento di Hatfield, «mi rallegrava vedere che il nuovo coadiutore, per quanto potevo capire, non gli somigliava in nessuno di questi aspetti». Innocenti I. la canonica In ogni storia vera è racchiusa una morale; in alcune può essere difficile trovarla e, dopo averla trovata, è così povera e piccola che non valeva la pena schiacciare il guscio per quella noce rinsecchita. Non posso giudicare io se sia o non sia questo il caso per la mia storia. A volte penso che possa rivelarsi utile per alcuni e gradevole per altri; ma sarà la gente a giudicare da sola: protetta dalla mia oscurità, dal trascorrere degli anni e da alcuni nomi inventati, inizio senza timori la mia avventura; e rivelerò in tutta sincerità al pubblico quel che non confiderei all'amica più cara. Mio padre era un ecclesiastico dell'Inghilterra settentrionale, rispettato, e a ragione, da chiunque lo conoscesse; da giovane, aveva vissuto confortevolmente del modesto beneficio della sua parrocchia a cui si univa la rendita di una proprietà. Mia madre, che lo aveva sposato contro il parere della famiglia, figlia di un gentiluomo di campagna, era una donna coraggiosa. Inutilmente le fecero notare che, se avesse sposato il povero parroco, avrebbe dovuto rinunciare alla carrozza e alla cameriera personale e al lusso e alla raffinatezza che la ricchezza permette e che per lei erano poco meno che elementari necessità della vita. Una carrozza e una cameriera personale erano senza dubbio piacevoli; ma, grazie al Cielo, lei aveva due piedi con cui camminare e due mani per occuparsi di se stessa. Non era certo il caso di disprezzare una casa elegante e terreni spaziosi; ma lei preferiva vivere con Richard Grey in una casa di campagna piuttosto che in un palazzo con qualsiasi altro uomo al mondo. Comprendendo che le parole erano inutili, suo padre disse infine ai due innamorati che potevano sposarsi se proprio lo volevano; ma, se lo avessero fatto, sua figlia avrebbe perduto anche la più piccola parte della sua ricchezza. Si aspettava che la notizia raffreddasse l'ardore di entrambi; si ingannava. Mio padre sapeva troppo bene quanto valesse mia madre per non comprendere che costituiva da sola una preziosa ricchezza: purché accettasse di nobilitare il suo umile focolare, lui era lieto di sposarla a qualsiasi condizione; quanto a lei, preferiva dover lavorare pur di non essere separata dall'uomo che amava, di cui si sarebbe dedicata con gioia a costruire la felicità e che già era unito a lei con il cuore e l'anima. La sua dote andò dunque a ingrassare la borsa di una sorella più saggia, che aveva sposato un uomo molto ricco; mentre lei, amorevolmente compianta da tutti i suoi stupefatti conoscenti, andò a seppellirsi nella modesta canonica di un villaggio tra le colline di... Pure, nonostante tutto, a dispetto della temerarietà di mia madre e delle bizzarre idee di mio padre, credo che potreste cercare per tutta l'Inghilterra senza trovare una coppia più felice. Di sei figli, soltanto mia sorella Mary e io superammo i pericoli della primissima e della prima infanzia. Più giovane di cinque o sei anni, io ero sempre considerata la bambina, la prediletta della famiglia; padre, madre, sorella, tutti congiuravano per viziarmi: non mi resero capricciosa e ribelle con una sciocca indulgenza, ma inerme e dipendente dagli altri con la continua tenerezza, inadatta a affrontare le tempeste della vita. Mary e io crescemmo nel più assoluto isolamento. Mia madre, che aveva un'ottima educazione, una buona cultura e amava il lavoro, si occupò interamente della nostra istruzione, con l'eccezione del latino che ci insegnò nostro padre: di conseguenza non andammo neppure a scuola; poiché non c'era vita di società nel vicinato, i nostri unici rapporti col mondo erano rappresentati di quando in quando da un cerimonioso tè in compagnia dei principali agricoltori e commercianti del vicinato (giusto per non venire accusate di essere troppo orgogliose per frequentare i vicini), e da una visita annuale a casa del nostro nonno paterno; dove vedevamo soltanto lui, la cara nonna, una zia nubile e due o tre signore e signori anziani. A volte la mamma ci divertiva raccontandoci storie e aneddoti della sua giovinezza, che ci piacevano moltissimo ma risvegliavano - quanto meno in me - il segreto desiderio di conoscere un po' il mondo. Pensavo che dovesse essere stata molto felice, ma non sembrava rimpiangere mai il passato. Mio padre però, che per natura non era né sereno né allegro, spesso si tormentava inutilmente pensando ai sacrifici che la sua cara moglie aveva fatto per lui; e si affannava a escogitare continui progetti per accrescere la sua modesta fortuna, a vantaggio suo e nostro. Mia madre lo rassicurava invano ripetendogli di essere felice: purché lui mettesse da parte qualcosa per noi ragazze, avremmo avuto tutto il necessario in abbondanza per il presente e il futuro; ma il risparmio non era il forte di mio padre. Non arrivava a indebitarsi (se non altro, ci pensava mia madre a evitarlo), ma, finché aveva danaro, lo spendeva; gli piaceva avere una casa comoda e vedere la moglie e le figlie ben vestite e ben servite; inoltre era una natura caritatevole e amava aiutare i poveri per quanto poteva; o, avrebbe detto qualcuno, più di quanto poteva. Ma un giorno un amico cortese gli suggerì il mezzo di raddoppiare la sua fortuna personale in un colpo solo, e di aumentarla poi fino a somme incalcolabili. Era un mercante, un uomo intraprendente e di indubbio talento, che si trovava in difficoltà nelle sue imprese commerciali per mancanza di capitale, ma era generosamente pronto a dare a mio padre una buona percentuale dei suoi profitti, se soltanto lui gli avesse affidato il danaro di cui poteva disporre; era certo di potergli promettere che, qualsiasi somma avesse deciso di dargli, gli avrebbe reso il cento per cento. La piccola proprietà venne subito venduta e il ricavato consegnato tutto all'amico mercante; che, con altrettanta rapidità, caricò la nave e si preparò al viaggio. Mio padre era entusiasta; lo eravamo tutti al pensiero di quelle luminose prospettive. Per il momento, è vero, dovevamo accontentarci dell'esiguo beneficio della parrocchia; mio padre, tuttavia, sembrava convinto che non dovessimo limitarci rigorosamente a quella; così, con un conto aperto da Jackson, un altro da Smith e un terzo da Hobson, tirammo avanti ancora meglio di prima; sebbene mia madre sostenesse che avremmo fatto meglio a restare entro certi limiti, poiché, dopo tutto, le nostre prospettive di ricchezza erano incerte: se mio padre avesse affidato l'intera amministrazione della casa a lei, non si sarebbe mai trovato in ristrettezze; ma per una volta mio padre fu incorreggibile. Quante ore felici abbiamo trascorso, Mary e io, lavorando accanto al camino o vagabondando sulle colline rivestite d'erica o indugiando sotto il salice piangente (l'unico albero del giardino degno di questo nome), a parlare tra noi o con i nostri genitori della felicità futura, di quello che avremmo fatto, e visto e avuto; senza alcun fondamento per i nostri castelli in aria se non le ricchezze che avrebbero dovuto inondarci grazie ai traffici di quel degno mercante. Nostro padre non era migliore di noi: soltanto fingeva di non parlare sul serio, esprimendo le sue luminose speranze e le sue ottimistiche attese con frasi scherzose e burlesche che mi sembravano sempre molto spiritose e divertenti. Nostra madre si rallegrava e rideva, felice della sua gioia e del suo ottimismo; ma temeva che attribuisse troppa importanza alla cosa; e una volta la sentii sussurrare mentre lasciava la stanza: «Dio voglia che non venga deluso! Non so come lo sopporterebbe.» La delusione venne; e fu amara. Venne per tutti noi come un colpo di tuono la notizia che la nave su cui viaggiava la nostra fortuna aveva fatto naufragio e era affondata con tutto il carico, e con molti uomini dell'equipaggio, incluso lo sventurato mercante. Io soffrivo per lui; soffrivo per il crollo di tutti i nostri castelli in aria; ma con la forza di ripresa della gioventù superai presto il colpo. La ricchezza attraeva, ma la povertà non spaventava una ragazza inesperta come me. Anzi, a voler dire la verità, vedevo qualcosa di entusiasmante nell'idea di trovarci in ristrettezze e di poter contare sulle sole nostre risorse. Avrei soltanto voluto che papà, mamma e Mary la pensassero come me; allora, invece di piangere sulle passate sventure, avremmo potuto darci tutti gaiamente da fare per porvi rimedio; quanto più grandi erano le difficoltà, e dure le privazioni attuali, tanto più grande avrebbe dovuto essere la gaiezza nel sopportare le privazioni, la forza nel combattere contro le difficoltà. Mary non si lamentava, ma non faceva che pensare alla disgrazia e cadde in un abbattimento da cui nessun mio tentativo seppe sollevarla. Non riuscivo in alcun modo a farle vedere il lato positivo della cosa, come facevo io; al contrario, temevo a tal punto di venire accusata di puerile frivolezza o di stolida insensibilità che tenevo accuratamente per me molte delle mie idee felici e dei miei progetti confortanti, sapendo che non sarebbero stati apprezzati. Mia madre pensava soltanto a consolare mio padre, a pagare i nostri debiti e a fare tutte le economie possibili; ma lui era stato abbattuto in modo irrimediabile dalla sventura: salute, forza, vitalità, tutto crollò sotto quel colpo; non si riprese mai interamente. Mia madre cercava invano di rasserenarlo, facendo appello alla sua devozione, al suo coraggio, al suo affetto per lei e per noi. Proprio quell'affetto era il suo maggior tormento: se aveva desiderato così ardentemente accrescere la sua fortuna era stato per noi, era stato l'affetto per noi a dare tanta forza alle sue speranze, a caricare ora di tanta amarezza la sua sventura. Si tormentava per il rimorso di non aver ascoltato il consiglio di mia madre, che lo avrebbe quanto meno salvato dall'ulteriore peso dei debiti; si rimproverava vanamente di averla privata dell'importanza sociale, degli agi, del lusso della sua precedente condizione per portarla a faticare con lui nelle preoccupazioni e la povertà. Gli rodeva l'anima vedere quella donna splendida, istruita e elegante, un tempo corteggiata e ammirata, trasformata in una energica e attiva casalinga, le mani e la mente sempre prese da faccende domestiche e domestica economia. Abilissimo nel tormentare se stesso, trasformava in nuovi motivi di sofferenza la spontaneità con cui lei compiva quei doveri, la gaiezza con cui sopportava quei rovesci, la gentilezza che le impediva di imputare a lui la più lieve colpa. La mente corrodeva il corpo e provocava un disordine nervoso, e i nervi a loro volta aggravavano i turbamenti della mente: tra azione e reazione, la sua salute soffrì seriamente; e nessuna di noi riusciva a convincerlo che la realtà della situazione non era cupa, senza speranza, come gliela raffigurava la sua immaginazione malata. Il comodo phaeton venne venduto, insieme al grasso e robusto pony che lo trainava - il nostro vecchio, caro pony che avevamo deciso dovesse finire in pace i suoi giorni senza passare mai in altre mani; la piccola rimessa e la scuderia furono affittate; il servitore e la più efficiente delle due cameriere (perché la più costosa) vennero licenziati. Aggiustavamo, rivoltavamo, rammendavamo i vestiti finché lo permetteva la decenza; il cibo, sempre molto sobrio, venne ora semplificato in modo mai visto, con l'eccezione dei piatti preferiti di mio padre; si facevano penose economie su carbone e candele: due candele ridotte a una, e quell'una usata il meno possibile; il carbone risparmiato con la massima cura nel focolare semivuoto, soprattutto quando nostro padre era fuori per i suoi doveri di parroco o era a letto malato; allora sedevamo con i piedi sul parafuoco, muovendo regolarmente la brace che si spegneva e aggiungendo ogni tanto un po' di polvere e cenere di carbone, giusto per tenerla accesa. I tappeti si ridussero col tempo a mostrare la trama, e vennero rammendati e riparati più dei nostri vestiti. Per risparmiare la spesa di un giardiniere, Mary e io ci impegnammo a tenere in ordine il giardino; e alla cucina e ai lavori di casa che non riusciva a fare una sola cameriera pensavano mia madre e mia sorella, con un piccolo aiuto occasionale da parte mia: piccolo, perché, sebbene io mi considerassi una donna, ero ancora una bambina ai loro occhi; e mia madre, come molte donne attive e energiche, non aveva figlie molto attive; questo per una ragione precisa: essendo lei stessa così abile e zelante, non era mai tentata di affidare il suo lavoro a un'assistente, ma era al contrario pronta a pensare e agire per gli altri oltre che per sé; e, di qualsiasi lavoro si trattasse, era portata a pensare che nessuno sapesse farlo come lei; di conseguenza, quando mi offrivo di aiutarla, mi sentivo rispondere: «No, tesoro, non c'è ragione, non avresti niente da fare qui. Vai a aiutare tua sorella, o portala fuori con te: dille che non deve stare sempre seduta e sempre in casa; lo credo bene che ha l'aria magra e afflitta». «Mary, la mamma dice che devo aiutarti; o portarti fuori a passeggio con me: dice che per forza hai l'aria magra e afflitta se te ne stai sempre in casa.» «Tu non puoi aiutarmi, Agnes, e io non posso uscire con te: ho troppo da fare.» «Allora lascia che ti aiuti.» «Non puoi, non puoi proprio, cara bambina. Vai a esercitarti al piano, o gioca col gatto.» C'era sempre molto cucito da fare; ma non mi avevano insegnato a tagliare nessun tipo di vestito, e anche nel cucito non andavo oltre semplici orli e cuciture: entrambe asserivano che era più semplice fare loro il lavoro piuttosto che prepararlo per me; e inoltre preferivano vedermi continuare nei miei studi o svagarmi: avrei avuto tutto il tempo di starmene curva sul lavoro come una signora rispettabile quando il mio gattino preferito fosse diventato un vecchio gattone saggio. Date le circostanze, la mia oziosità non era priva di scuse, anche se non mi rendevo molto più utile del gatto. Per tutto il tempo delle nostre difficoltà economiche, ho sentito una sola volta mia madre lamentarsi della mancanza di danaro. All'avvicinarsi dell'estate, ci disse: «Sarebbe una gran bella cosa se vostro padre potesse passare qualche settimana al mare. Sono certa che l'aria salmastra e il cambiamento d'ambiente gli farebbero un gran bene. Ma non c'è danaro» aggiunse con un sospiro. Tutte e due ci augurammo con passione che la cosa fosse possibile, lamentando vivamente che non lo fosse. «Che volete» esclamò lei «non serve a niente lamentarsi. Ma forse si potrebbe dopo tutto fare qualcosa per rendere possibile il progetto. Mary, tu disegni molto bene. Che ne diresti di fare qualche altro quadro nel tuo stile migliore, di farli incorniciare con gli acquarelli che hai già, e di cercare di venderli a un mercante d'arte che abbia il buon senso di riconoscerne il merito?» «Ne sarei felicissima, mamma, se davvero pensi che siano vendibili, e per qualsiasi somma accettabile.» «In ogni caso, vale la pena provare, cara; tu pensa a fare i quadri, e io cercherò di trovare un compratore.» «Vorrei poter fare qualcosa anch'io» esclamai. «Tu, Agnes? E chi può dirlo? Anche tu disegni bene; se scegli un soggetto semplice, credo proprio che riuscirai a ottenere un risultato che saremo tutti fieri di esporre.» «Ma io ho un'altra idea in testa, mamma, e ce l'ho da molto... solo, preferivo non dirla.» «Davvero? parlacene, per favore.» «Mi piacerebbe fare l'istitutrice.» Mia madre diede in un'esclamazione stupita e scoppiò a ridere. Mia sorella, stupefatta, lasciò cadere il lavoro: «Tu, Agnes, istitutrice! Ma che idea ti sei messa in mente?». «Non ci vedo niente di straordinario. Non pretendo di saper insegnare a ragazze grandi; ma potrei certo insegnare alle bambine... e mi piacerebbe molto... mi sono tanto cari i bambini. Lasciamelo fare, mamma!» «Ma, tesoro mio, non hai ancora imparato a badare a te stessa; e per trattare con i bambini piccoli ci vuole più giudizio e esperienza che per i grandi.» «Mamma, ho compiuto diciotto anni, e sono perfettamente in grado di badare a me stessa e anche agli altri. Non puoi sapere quanto io possa essere saggia e prudente, perché non sono mai stata messa alla prova.» «Ma rifletti» intervenne Mary «che cosa faresti in una casa piena di estranei, senza me o la mamma per sostenerti... e dover badare non solo a te ma a una nidiata di bambini, e nessuno a cui chiedere consiglio? Non sapresti nemmeno come vestirti.» «Credete, perché faccio sempre quello che mi dite, che non sappia decidere da sola; mettetemi alla prova - non chiedo altro - e vedrete che cosa so fare.» In quel momento entrò mio padre, a cui venne spiegato l'argomento della nostra discussione. «La mia piccola Agnes istitutrice!» esclamò, e, triste e abbattuto com'era, rise all'idea. «Sì, papà, e non protestate anche voi contro la mia idea; mi piacerebbe tanto; e sono certa che ci riuscirei benissimo.» «Ma non potremmo fare a meno di te, cara» e gli tremò una lacrima negli occhi mentre aggiungeva: «No, no! Siamo in una situazione triste, è vero, ma certo non siamo a questo punto». «No infatti» intervenne mia madre. «Non c'è nessuna necessità di fare un passo simile; è soltanto un capriccio di Agnes. Tieni la bocca chiusa, tu, bambina cattiva; sei molto pronta a lasciarci, vedo, ma sai bene che noi non possiamo separarci da te.» Quel giorno lasciai che mi mettessero a tacere, e anche nei giorni successivi; ma non abbandonai il mio amato progetto. Mary prese il materiale da disegno e si mise seriamente al lavoro. Anch'io presi il mio; ma mentre disegnavo pensavo a altro. Sarebbe stato bellissimo fare l'istitutrice. Vedere il mondo; iniziare una nuova vita; agire liberamente; esercitare facoltà inutilizzate; mettere alla prova una forza sconosciuta; guadagnarmi da vivere e guadagnare qualcosa per aiutare mio padre, mia madre e mia sorella, oltre a liberarli dell'impegno di pensare al cibo e ai vestiti per me; far vedere a papà che cosa sapeva fare la sua piccola Agnes; convincere la mamma e Mary che non ero una creatura inerme e spensierata come loro credevano. E quanto sarebbe stato gradevole vedersi affidata la cura e l'educazione dei bambini! Qualsiasi cosa dicessero gli altri, mi sentivo perfettamente all'altezza del compito: il nitido ricordo dei miei pensieri e sentimenti di quando ero bambina mi avrebbe guidato meglio dei suggerimenti del consigliere più saggio e maturo. Dovevo soltanto volgermi dai miei piccoli allievi a quello che io ero alla loro età, e subito avrei saputo come conquistare la loro fiducia e il loro affetto; come risvegliare il pentimento di chi aveva sbagliato; come dare forza ai timorosi e consolare gli afflitti; come rendere possibile la virtù, desiderabile l'istruzione, amabile e comprensibile la religione. Compito ammirevole aiutare il fiore dell'idea a sbocciare. (1) Ammaestrare le giovani piante e vedere, di giorno in giorno, schiudersi le gemme. Sotto la spinta di tanti motivi, ero decisa a perseverare; ma il timore di scontentare mia madre o addolorare mio padre mi impedì per parecchi giorni di riprendere l'argomento. Infine, tornai a parlarne con mia madre da sola a sola; e a gran fatica riuscii a convincerla a promettermi il suo aiuto. Venne poi ottenuto il consenso riluttante di mio padre; quindi, sebbene Mary continuasse a sospirare in segno di disapprovazione, la mia cara, buona mamma cominciò a cercarmi un posto. Scrisse ai parenti di mio padre e lesse gli annunci sui giornali: con i suoi parenti aveva da tempo rotto ogni rapporto, se si esclude qualche formale lettera d'occasione, e non si sarebbe mai rivolta a loro per un caso come questo. Ma l'isolamento dei miei genitori era stato così lungo e così completo, che passarono parecchie settimane prima che si trovasse un posto conveniente. Finalmente, con mia grande gioia, si stabilì che mi occupassi dei bambini di una certa signora Bloomfield, che la mia cara, rispettabilissima zia Grey aveva conosciuto in gioventù e definiva una donna molto a posto. Il marito era un commerciante in pensione che aveva fatto una bella fortuna, ma non era disposto a offrire più di venticinque sterline all'istitutrice dei figli. Io però ero lieta di accettare pur di non rifiutare il posto, come avrebbero invece preferito i miei genitori. Passarono altre settimane per i preparativi, e come mi sembrarono lunghe e noiose! Eppure, in complesso, furono felici, piene di speranze e di ardenti attese. Aiutavo con un piacere tutto particolare a cucire i miei nuovi vestiti, quindi a preparare i bagagli. Ma vi era anche un po' d'amarezza in quest'ultima occupazione; e quando fu compiuta, quando tutto fu pronto per la mia partenza e si avvicinò l'ultima notte a casa, nel mio cuore si gonfiò un'angoscia improvvisa. I miei cari avevano l'aria così triste e mi parlavano con tanta dolcezza, che frenavo a stento le lacrime; ma continuavo a fingermi allegra. Avevo fatto con Mary l'ultima passeggiata sulla landa, l'ultimo giro nel giardino e intorno alla casa; avevo dato per l'ultima volta il becchime, insieme a lei, ai nostri piccioni domestici, le belle creature che avevamo abituato a beccare il cibo dalle nostre mani. Avevo accarezzato per un'ultima volta le loro piume di seta mentre mi si radunavano in grembo. Avevo baciato teneramente i miei preferiti, la coppia di candidi piccioni con la coda a ventaglio; avevo suonato l'ultimo brano sul vecchio caro pianoforte e cantato l'ultima canzone per papà. Non proprio l'ultima, speravo, ma l'ultima per quello che mi sembrava un periodo molto lungo. E forse, quando avrei fatto nuovamente tutte quelle cose, le avrei fatte con sentimenti diversi: le circostanze potevano essere mutate, e la casa poteva non essere più la mia dimora. Senza dubbio sarebbe stato diverso il mio caro amico, il gattino: stava già diventando una bella gatta; e al mio ritorno, anche per una breve visita a Natale, avrebbe probabilmente dimenticato la sua compagna di giochi e le sue allegre imprese. Con lei avevo davvero giocato per l'ultima volta, e le accarezzai la morbida pelliccia lucente - mentre la gatta si sistemava, facendo le fusa, per dormirmi in grembo -, con un senso di tristezza che non mi fu facile nascondere. Poi, all'ora di coricarci, quando mi ritirai con Mary nella stanza tranquilla, dove già i miei cassetti erano stati liberati e la parte riservata a me della libreria era vuota - e dove ormai lei avrebbe dovuto dormire sola, in una triste solitudine, come disse - il cuore mi mancò. Mi sentii egoista, mi sentii in torto per averla voluta lasciare a ogni costo; e quando ancora una volta mi inginocchiai accanto al nostro letto, invocai la benedizione su di lei e sui nostri genitori con un fervore senza precedenti. Per celare la mia emozione, mi nascosi il viso tra le mani, e presto le trovai bagnate di lacrime. Vidi, alzandomi, che anche lei aveva pianto; ma nessuna di noi parlò; e ci coricammo in silenzio, stringendoci più forte l'una all'altra per la consapevolezza che ci saremo presto separate. Il mattino portò nuove speranze e nuovo coraggio. Sarei partita presto; perché la carrozza che mi avrebbe portato (un calessino preso a nolo da Smith, il merciaio, droghiere e mercante di tè del villaggio) potesse tornare in giornata. Mi alzai, mi lavai, mi vestii, consumai in fretta la colazione, scambiai un tenero abbraccio con i miei genitori e mia sorella, baciai il gatto, con grande scandalo di Sally, la cameriera, le strinsi la mano, salii sul calessino, mi tirai il velo sul viso, e allora, ma non prima di allora, scoppiai a piangere. Il calesse si avviò; mi guardai indietro; la cara mamma e mia sorella erano ancora sulla porta, a guardarmi e a salutarmi con la mano. Ricambiai il saluto e pregai con tutto il cuore Dio perché le benedicesse. Scendemmo il fianco della collina, e non le vidi più. «Mattina fredda, signorina Agnes» osservò Smith. «E buia pure; magari però arriviamo a destinazione prima che si metta a piovere sul serio.» «Sì, lo spero» risposi, cercando di restare calma. «Ha fatto una bella bagnata ieri sera.» «Sì.» «Ma il vento freddo che tira magari la terrà buona.» «Forse.» Qui finì il nostro colloquio. Attraversammo la valle e cominciammo a salire il versante opposto. Mi voltai nuovamente a guardare: vidi il campanile, e alle sue spalle la vecchia, grigia casa parrocchiale, immersa in un raggio di sole obliquo, un raggio debole, malato, ma il villaggio e le colline circostanti erano tutte al buio, e io salutai quel raggio vagabondo come un segno di buon augurio per la mia casa. Giungendo le mani, invocai con fervore la benedizione sui suoi abitanti, e mi affrettai a voltarmi di nuovo, perché vedevo che il sole si allontanava; evitai accuratamente di lanciare un altro sguardo, per non vederla immersa nell'ombra cupa, come tutto il paesaggio. NOTE: (1) La citazione, incompleta, è dalle Stagioni (1726-1730) di James Thomson («La primavera», vv. 1152-53): «Compito ammirevole! educare la mente in germoglio,@ aiutare il fiore dell'idea a sbocciare@». (Ndt) II. Prime lezioni nell'arte di insegnare Durante il viaggio, ritrovai l'entusiasmo e guardai con gioia alla nuova vita in cui stavo per entrare. Ma, sebbene non fosse passata di molto la metà di settembre, le nuvole pesanti e il forte vento di nordest rendevano la giornata fredda e malinconica; e il viaggio sembrava lunghissimo, perché, come osservò Smith, le strade erano «pesanti di fango»; e senza dubbio era pesante anche il suo cavallo; si trascinava su per le colline, e le scendeva strisciando prudentemente, degnandosi di scuotere i fianchi in un modesto trotto soltanto quando la strada era in perfetta pianura o appena dolcemente inclinata, il che accadeva raramente in quelle zone aspre: arrivammo a destinazione che era quasi l'una. Pure, quando varcammo il maestoso cancello di ferro, quando percorremmo agevolmente il viale carrozzabile, piano e ben tenuto, fiancheggiato da prati disseminati di giovani alberi, quando ci avvicinammo alla dimora di Wellwood, nuova ma imponente, che si innalzava dai boschi di nuovi pioppi cresciuti in fretta come funghi, mi sentii mancare il cuore, e mi augurai che fosse lontana ancora qualche chilometro. Per la prima volta in vita mia dovevo cavarmela da sola: non era possibile tirarsi indietro ora. Dovevo entrare in casa, e presentarmi ai suoi sconosciuti abitanti. Ma come dovevo farlo? E' vero che avevo quasi diciannove anni; ma, grazie alla esistenza ritirata che avevo condotto e alle cure protettive di mia madre e mia sorella, ero consapevole che molte ragazze di quindici anni, o anche più giovani, avevano più garbo e maturità nei modi, erano più a loro agio e più disinvolte di me. Tuttavia, se la signora Bloomfield fosse stata una donna dolce e materna, le cose potevano ancora andare bene; con i bambini, certo, mi sarei trovata subito a mio agio, e con il signor Bloomfield speravo di dover avere ben pochi rapporti. "Stai calma" mi dissi "stai calma in qualsiasi circostanza"; e seguii così alla lettera la mia decisione, e ero così impegnata a calmarmi i nervi e a placare il battito nervoso del cuore, che quando venni introdotta nell'atrio e condotta alla presenza della signora Bloomfield, quasi dimenticai di rispondere al suo garbato saluto; in seguito mi sono resa conto che il poco che avevo detto lo avevo pronunciato con una voce agonizzante o addormentata. D'altra parte la signora aveva modi raggelanti, come compresi quando ebbi il tempo di riflettere. Era una bella donna alta, magra, con i capelli neri, freddi occhi grigi e una carnagione molto pallida. Mi mostrò tuttavia la mia stanza con impeccabile cortesia e mi lasciò sola a togliermi gli abiti da viaggio, chiedendomi di scendere poi a prendere qualcosa. Mi sgomentò vedermi allo specchio: il vento freddo mi aveva gonfiato e arrossato le mani, arruffato i capelli, mi aveva dato un colorito violaceo; come non bastasse, il colletto era terribilmente spiegazzato, il vestito inzaccherato di fango, i piedi calzati di robuste scarpe nuove, e non c'era niente da fare perché non avevano portato su il mio bagaglio; mi pettinai come potevo, cercai di stendere l'ostinatissimo colletto, cominciai a scendere pesantemente le scale confortandomi con pensieri filosofici, e trovai, sia pure a fatica, la stanza in cui mi attendeva la signora Bloomfield. Mi condusse nella sala da pranzo dove era stato apparecchiato per la famiglia. Mi servirono bistecche e patate mezze fredde; e mentre pranzavo lei mi sedeva di fronte osservandomi (o così mi parve) e cercando di fare un po' di conversazione: un susseguirsi di osservazioni banali pronunciate con rigida cortesia; ma la colpa era probabilmente più mia che sua, perché davvero non mi riusciva possibile conversare. Tutta la mia attenzione era concentrata sul pranzo: non per un divorante appetito, ma perché le bistecche erano molto dure e io avevo le mani intorpidite, quasi paralizzate dopo cinque ore al vento gelido. Avrei preferito mangiare le patate e lasciare la carne, ma avendone sul piatto una bella fetta, non potevo essere tanto scortese da lasciarla; dopo molti goffi e vani tentativi di tagliarla con il coltello o di lacerarla con la forchetta o di squartarla con l'aiuto di entrambi, sentendo sempre su di me lo sguardo della temibile signora, finii per afferrare disperatamente nei pugni coltello e forchetta, come una bambina di due anni, e mi misi al lavoro con tutta la mia forza. Ma era necessario che mi scusassi per questo; con una debole risatina dissi: «Ho le mani così intorpidite dal freddo che non riesco a tenere la forchetta e il coltello». «Immagino che ormai sarà fredda» rispose, con una gelida, immutabile solennità che non valse certo a rassicurarmi. Conclusa la cerimonia, mi condusse di nuovo nel soggiorno e suonò per chiamare i bambini. «Non li troverete molto avanti negli studi» disse «perché ho avuto ben poco tempo di occuparmi io della loro educazione, e fino a questo momento abbiamo pensato fossero troppo giovani per avere un'istitutrice; ma credo siano bambini intelligenti, in grado di imparare, soprattutto il maschietto: è a mio avviso il migliore del piccolo gregge, un ragazzo generoso, nobile, che deve essere guidato, ma non subire imposizioni, e che dice sempre la verità. Rifugge dall'inganno» ecco una buona notizia. «Sua sorella Mary Ann ha bisogno di essere sorvegliata, ma in complesso è un'ottima bambina; soltanto vorrei fosse tenuta quanto più possibile lontana dalla nursery perché ha ormai sei anni e potrebbe prendere cattive abitudini dalle bambinaie. Ho fatto mettere il suo lettino nella vostra stanza, e se non vi dispiace sorvegliarla mentre si lava e si veste e occuparvi dei suoi vestiti, non avrà più alcun bisogno della cameriera della nursery.» Risposi che ero pronta a farlo; e in quel momento entrarono i miei giovani allievi, con le due sorelline più piccole. Il signorino Tom Bloomfield era un ragazzetto alto di sette anni, snello, con i capelli chiarissimi, gli occhi azzurri, il nasetto all'insù e la carnagione chiara. Anche Mary Ann era alta, scura come la madre, ma con un visetto rotondo e le guance colorite. La seconda sorella, Fanny, era molto graziosa; la signora Bloomfield mi assicurò che era una bambina dolcissima che aveva bisogno di essere incoraggiata: non aveva ancora imparato nulla, ma tra pochi giorni avrebbe compiuto quattro anni e allora avrebbe potuto cominciare a imparare a leggere e venir promossa alla sala da studio. L'ultima era Harriet, una cosina grassoccia, allegra, giocherellona di neanche due anni, che avrei preferito a tutti gli altri - ma che non era in alcun modo affidata alle mie cure. Parlai come meglio sapevo ai miei piccoli allievi e cercai di rendermi simpatica; con poco successo, temo, perché la presenza della madre mi metteva a disagio. Loro al contrario erano privi di qualsiasi timidezza. Sembravano bambini vivaci, spavaldi, e mi augurai di stabilire presto rapporti amichevoli con loro, soprattutto con il maschietto di cui la madre aveva tracciato un ritratto così lusinghiero. Mary Ann aveva qualcosa di lezioso e un'ansia di farsi notare che osservai con dispiacere. Ma il fratello esigeva tutta la mia attenzione; se ne stava ben dritto tra me e il fuoco, con le mani dietro la schiena, parlando come un conferenziere, interrompendosi ogni tanto per rivolgere un secco rimprovero alle sorelle quando facevano troppo chiasso. «O Tom, che tesoro sei!» esclamò la madre. «Vieni a dare un bacio alla mamma; e poi non vuoi mostrare alla signorina Grey la tua aula e i tuoi bei libri nuovi?» «Non voglio darti un bacio, mamma; ma la mia aula e i miei libri nuovi alla signorina Grey glieli faccio vedere.» «E la mia aula e i miei libri nuovi, Tom» intervenne Mary Ann. «Sono anche miei.» «Sono miei» rispose decisamente lui. «Venite, signorina Grey, vi faccio da guida.» Dopo che mi furono mostrati l'aula e i libri, con qualche battibecco tra fratello e sorella che feci del mio meglio per calmare o attenuare, Mary Ann mi portò la sua bambola e diventò molto loquace parlando dei suoi bei vestitini, del suo lettino, del suo cassettone e dei suoi altri possedimenti; ma Tom le disse di chiudere il becco per permettere alla signorina Grey di vedere il suo cavallo a dondolo che, dandosi molta importanza, trascinò da un angolo al centro della stanza chiedendomi a gran voce di guardarlo bene. Poi, ordinando alla sorella di tenergli le redini, ci montò sopra e mi costrinse a stare in piedi dieci minuti per osservare con quanta virile abilità usava la frusta e gli speroni. Nel frattempo però ammiravo la bella bambola di Mary Ann con tutti i suoi accessori; poi dissi a Tom che era uno splendido cavallerizzo ma speravo che non avrebbe usato tanto la frusta e gli speroni quando avesse cavalcato un vero pony. «Oh, sì che lo farò!» ribatté continuando con rinnovato ardore. «Ci darò dentro con tutte le forze. Parola mia, lo farò sudare.» Rimasi scandalizzata; speravo però col tempo di riuscire a cambiarlo. «Adesso dovete mettervi il cappello e lo scialle» disse il piccolo eroe «e vi mostrerò il mio giardino.» «Anche il mio» disse Mary Ann. Tom alzò il pugno in un gesto minaccioso; lei lanciò un grido stridulo, corse a ripararsi da me e gli fece le smorfie. «Sono certa, Tom, che non colpiresti mai tua sorella! Mi auguro di non vederti mai fare una cosa simile.» «Ogni tanto vi capiterà: devo farlo qualche volta, per tenerla in riga.» «Ma non tocca a te tenerla in riga, lo sai bene, tocca a...» «Va bene, adesso mettetevi il cappello.» «Non saprei: è una giornata così fredda e nuvolosa, e minaccia pioggia... e io ho fatto un lungo viaggio, lo sai.» «Non importa, dovete venire. Non accetto scuse» rispose quell'inflessibile giovane gentiluomo. E poiché era il primo giorno che ci conoscevamo, pensai che tanto valeva accontentarlo. Faceva troppo freddo perché Mary Ann uscisse, e lei rimase con la mamma; con grande sollievo del fratello, che preferiva avermi tutta per sé. Il giardino era grande e armonioso; oltre a splendide dalie, c'erano altri bei fiori ancora freschi; ma il mio compagno non mi diede il tempo di ammirarli: dovevo andare con lui, percorrendo l'erba bagnata, in un angolo remoto e isolato, il punto più importante della proprietà, perché là c'era il suo giardino. Due aiuole rotonde, piantate con piante diverse. In una c'era una bella rosa e mi fermai per ammirarne i fiori. «Oh, non dovete badare a quello!» esclamò lui con aria sprezzante. «E' soltanto il giardino di Mary Ann; guardate, questo è il mio.» Soltanto dopo aver osservato ogni fiore e ascoltato la lunga descrizione di ogni pianta, potei infine allontanarmi; ma prima, con gran pompa, colse un polianto e me lo offrì, come chi mi facesse un favore straordinario. Sull'erba, vicino al suo giardino, vidi certi aggeggi di corde e bastoncini e chiesi che cosa fossero. «Trappole per uccelli.» «Perché li prendi?» «Papà dice che fanno danni.» «E che cosa ne fai dopo averli presi?» «Dipende. Qualche volta li do al gatto; qualche volta li taglio a pezzetti col temperino; ma il prossimo che prendo voglio arrostirlo vivo.» «E perché vuoi fare una cosa così orribile?» «Per due ragioni; primo, per vedere fino a quanto rimane vivo, e poi per vedere che sapore ha.» «Ma dovresti saperlo che è male, è molto crudele fare cose del genere. Ricorda che gli uccelli sentono la sofferenza come te; e pensa se a te piacerebbe.» «Oh, non ha importanza! Io non sono un uccello, e non sento quello che faccio a loro.» «Ma una volta o l'altra lo sentirai, Tom; certo ti hanno detto dove vanno i cattivi quando muoiono; e se non la smetti di torturare uccellini innocenti, ricorda che ci andrai anche tu e soffrirai proprio quello che hai fatto soffrire a loro.» «Oh, sciocchezze, non ci andrò! Papà sa come tratto gli uccelli e non mi rimprovera mai: dice che è proprio quello che faceva lui quando era bambino. L'estate scorsa mi ha dato un nido pieno di passerotti, e mi ha visto strappargli le ali e le zampe e le teste e non mi ha detto niente; soltanto che erano sudici e dovevo stare attento a non sporcarmi i pantaloni; e c'era anche lo zio Robson, che ha riso e ha detto che ero un bravo ragazzo.» «Ma che cosa direbbe tua mamma?» «Oh, a lei non importa! dice che è un peccato uccidere i graziosi uccellini che cantano, ma con i brutti passeri e i topi e i ratti posso fare quello che mi pare. Quindi, lo vedete anche voi, signorina Grey, che non è una cosa crudele.» «Continuo a pensare che lo sia, Tom; e forse tuo padre e tua madre lo penserebbero anche loro, se ci riflettessero.» "Tuttavia" aggiunsi tra me "dicano pure quello che vogliono, sono decisa a non lasciarti fare niente del genere, finché posso impedirlo." Poi mi portò sui prati a vedere le trappole per le talpe, quindi nella corte della fattoria a vedere le trappole per le donnole, e una di queste, con sua grande gioia, racchiudeva una donnola morta; infine nella scuderia, a vedere non i bei cavalli da traino, ma un puledrino ancora brado che era stato allevato, mi disse, proprio per lui, e che avrebbe cavalcato appena fosse stato addestrato a dovere. Cercavo di divertire il bambino, e ascoltavo tutte le sue chiacchiere con la maggiore indulgenza possibile; poiché ero decisa, se vi era in lui capacità di affetto, a cercare di conquistarmelo; poi, con il tempo, avrei potuto fargli comprendere i suoi errori; ma cercai invano quello spirito nobile e generoso di cui parlava la madre, pur rendendomi conto che aveva una certa intelligenza e uno spirito penetrante, quando voleva. Rientrammo in casa che era quasi l'ora del tè. Il signorino Tom mi disse che, essendo il padre assente, lui, io e Mary Ann avremmo avuto la gioia di prendere il tè con la mamma; perché, quando il padre era assente, la mamma mangiava sempre con loro a merenda invece di pranzare alle sei. Subito dopo aver preso il tè, Mary Ann andò a letto, ma Tom ci onorò della sua compagnia e della sua conversazione fino alle otto. Poi, la signora Bloomfield mi illuminò ulteriormente sul carattere e le capacità dei suoi figli, su quello che dovevano imparare, su come bisognava trattarli, e mi ammonì a parlare soltanto con lei dei loro difetti. Mia madre mi aveva avvertito di parlarne il meno possibile proprio con lei, perché alla gente non piace sentir parlare dei difetti dei propri figli: conclusi che non dovevo parlarne affatto. Verso le nove e mezzo la signora Bloomfield mi invitò a dividere con lei una cena frugale di carne fredda e pane. Mi sentii sollevata quando finimmo di mangiare e lei prese il candeliere della camera da letto e si ritirò per riposare. Sebbene desiderassi infatti trovarla simpatica, la sua compagnia mi infastidiva; e non riuscivo a non sentire che era fredda, solenne e scostante: proprio l'opposto della dolce, affettuosa signora che la mia speranza aveva immaginato. III. Qualche altra lezione Il mattino successivo mi sentivo entusiasta e piena di speranza a dispetto delle delusioni già subite; ma scoprii che vestire Mary Ann non era cosa da poco, perché i suoi folti capelli dovevano essere impomatati, divisi in tre lunghe trecce e legati con fiocchi: compito che, non essendovi abituata, trovai molto difficile. Lei mi disse che la sua bambinaia lo faceva in metà tempo e, agitandosi continuamente per l'impazienza, mi rese ancora più lenta. Finita la pettinatura, andammo nell'aula, dove trovai l'altro mio allievo e chiacchierai con entrambi in attesa di scendere per la prima colazione. Conclusa anche la colazione e scambiate poche cortesi parole con la signora Bloomfield, tornammo nell'aula e cominciammo il lavoro della giornata. I miei allievi erano davvero molto indietro; ma Tom, sebbene contrario a qualsiasi forma di fatica mentale, non era privo di capacità. Mary Ann non sapeva quasi leggere, e era così distratta e disattenta che non riuscivo a concludere molto con lei. Ma con grande fatica e pazienza giunsi a farle fare qualcosa nel corso della mattina, poi accompagnai i miei giovani allievi in giardino e nei terreni vicini per una piccola ricreazione prima di pranzo. E là le cose andarono meglio, non fosse stato che loro non pensavano certo di passeggiare con me: ero io che dovevo andare con loro, dovunque volessero condurmi. Dovevo correre, camminare o restare ferma secondo i loro desideri. Mi sembrava un capovolgere l'ordine delle cose; e lo trovavo doppiamente sgradevole, perché in questa, come nelle occasioni successive, sembrava preferissero i posti più sporchi e le occupazioni più sgradevoli. Ma non c'era niente da fare; o dovevo seguirli o restare separata da loro, sembrando di conseguenza trascurata nei miei doveri. Quel giorno avevano una passione particolare per uno stagno in fondo al prato, dove giocarono con bastoncini e sassi per più di mezz'ora. Temevo che la madre li vedesse dalla finestra e mi rimproverasse di lasciargli sciupare i vestiti e bagnarsi le mani e i piedi invece di fargli fare esercizio; ma non c'erano ragionamenti, ordini o preghiere che riuscissero a strapparli di là. Se la madre non li vide, li vide qualcun altro: un uomo a cavallo aveva varcato il cancello e stava risalendo il viale; si fermò a pochi passi da noi e chiamando i bambini con una voce acuta e dispettosa ordinò di «tenersi lontani da quello stagno». «Signorina Grey» aggiunse «(immagino siate la signorina Grey), mi stupisce che gli permettiate di sporcarsi così i vestiti. Non vedete come si è macchiata il vestito la signorina Bloomfield? e che le calze del signorino Bloomfield sono fradice? e nessuno dei due ha i guanti! Che guaio, che guaio! Permettetemi di chiedervi, in futuro, di tenerli almeno in una condizione decente.» Poi, dopo aver parlato, si volse e continuò a cavalcare verso casa. Era il signor Bloomfield. Mi sembrò strano che chiamasse i figli «signorina» e «signorino», e ancor più strano che parlasse tanto scortesemente a me, che ero la loro istitutrice, e una perfetta sconosciuta per lui. Poco dopo suonò il campanello che ci chiamava a pranzo. Io pranzai all'una con i bambini, mentre lui e la signora Bloomfield consumavano la seconda colazione alla stessa tavola. La sua condotta non contribuì a innalzarlo nella mia stima. Era un uomo di statura normale piuttosto al disotto che al disopra della media, esile più che robusto, fra i trenta e i quarant'anni; aveva la bocca grande, un colorito pallido e spento, occhi di un azzurro slavato e capelli del colore della canapa. Aveva davanti un cosciotto di montone arrosto: servì la signora Bloomfield, i bambini e me, chiedendomi di tagliare la carne per i bambini; poi, dopo aver girato e rigirato il montone nel piatto e averlo guardato da angolature diverse, dichiarò che era immangiabile e chiese il manzo freddo. «Cosa c'è che non va nel montone, caro?» volle sapere la moglie. «E' troppo cotto. Non sentite, signora Bloomfield, che così ha perso tutto il gusto? E non vedete che tutto quel bel sugo rosso si è asciugato?» «Bene, credo che il manzo vi piacerà.» Gli servirono il manzo, e lui cominciò a tagliarlo, ma con un'espressione di luttuosa scontentezza. «Cosa c'è che non va nel manzo, signor Bloomfield? Mi sembrava fosse molto buono.» «E infatti lo era, era molto buono. Non avevo mai visto un pezzo più bello; ma è rovinato» rispose mestamente. «E come?» «Come! Non vedete come è stato tagliato? Che guaio, che guaio! E' una vergogna.» «Devono averlo tagliato male in cucina, perché io l'ho tagliato proprio a puntino ieri.» «Ma certo che lo hanno tagliato male in cucina: selvaggi! Che guaio, che guaio! Si è mai visto un così bel pezzo di manzo completamente rovinato? Ricordate che in futuro, quando un piatto discreto lascia questa tavola, non devono toccarlo in cucina. Ricordatelo, signora Bloomfield!» Per quanto catastrofico fosse lo stato del manzo, il signor Bloomfield riuscì a tagliarsene qualche bella fetta che cominciò a mangiare in silenzio. Quando ruppe il silenzio, la sua voce era meno querula mentre chiedeva che cosa ci fosse per pranzo. «Tacchino e gallo cedrone» fu la breve risposta. «E che altro?» «Pesce.» «Che qualità di pesce?» «Non lo so.» «Non lo sapete?» ripeté lui, alzando uno sguardo solenne dal piatto e tenendo la forchetta e il coltello a mezz'aria per lo stupore. «No. Ho detto al cuoco di comprare del pesce, senza specificare quale.» «Questo poi è il colmo! Una signora pretende di dirigere la casa e non sa nemmeno che pesce c'è per pranzo! pretende di ordinare del pesce e non specifica quale!» «Forse, signor Bloomfield, vorrete ordinare voi stesso il pranzo in futuro.» Non dissero altro; e mi fece molto piacere lasciare la stanza con i miei allievi, poiché non mi ero mai vergognata tanto in vita mia, né mi ero sentita tanto a disagio per qualcosa di cui non avevo colpa. Nel pomeriggio riprendemmo le lezioni; poi uscimmo di nuovo; poi prendemmo il tè nell'aula; poi vestii Mary Ann per il dolce; e quando lei e il fratello scesero in sala da pranzo ne approfittai per cominciare una lettera a casa; ma i bambini tornarono prima che l'avessi finita. Alle sette misi a letto Mary Ann; poi giocai con Tom fino alle otto, quando anche lui andò a letto; allora finii la lettera e tirai fuori i vestiti, cosa che non avevo ancora avuto il tempo di fare, e infine andai a letto anch'io. Ma questa è la descrizione di una giornata particolarmente felice. Istruire e sorvegliare i miei allievi non divenne più facile quanto più ci abituavamo gli uni agli altri: divenne più arduo con il progressivo rivelarsi dei loro caratteri. Il termine «istitutrice» riferito a me era una beffa: i miei allievi erano abituati all'obbedienza meno di un puledro selvaggio. La paura del carattere stizzoso del padre e il timore dei castighi che infliggeva quando andava in collera, li teneva a freno se lui era nelle immediate vicinanze. Le ragazze avevano un certo timore anche della collera della madre; e Tom si lasciava qualche volta indurre a fare quello che lei voleva dalla speranza di un premio; ma io non avevo premi da offrire; e quanto ai castighi, mi fecero capire che i genitori se ne riservavano il privilegio; tuttavia, si aspettavano che tenessi a freno i miei allievi. Altri bambini potevano forse essere guidati dal timore della collera e dal desiderio dell'approvazione; ma su di loro non avevano alcun effetto. Al signorino Tom non bastava rifiutarsi di obbedire: doveva imporre agli altri l'obbedienza e si dimostrava risoluto a mettere in riga non soltanto le sorelle, ma anche la sua istitutrice, usando con violenza le mani e i piedi; e poiché era un ragazzo alto e forte per la sua età, la cosa presentava parecchi inconvenienti. Un paio di schiaffi ben dati, in occasioni simili, avrebbero potuto sistemare facilmente le cose; ma lui avrebbe certamente raccontato qualche bugia alla madre, che gli avrebbe creduto, avendo una così incrollabile fiducia nella sua sincerità - sebbene io avessi già scoperto che non era per nulla impeccabile; decisi così di non picchiarlo, neppure per difendermi; e nei momenti in cui era particolarmente violento, non potevo far altro che gettarlo supino e tenergli fermi i piedi e le mani finché non si calmava un poco. Alla difficoltà di impedirgli di fare quel che non doveva si aggiungeva quella di costringerlo a fare quel che doveva. Spesso rifiutava decisamente di imparare, o di ripetere le lezioni o soltanto di leggere il libro. Anche in questo caso una bella bacchettata sarebbe stata utile; ma, avendo poteri molto limitati, dovevo servirmi nel modo migliore di quelli che avevo. Non c'erano ore fisse per lo studio e per il gioco: decisi dunque di assegnare ai miei allievi compiti che, con un po' di attenzione, potevano fare in breve tempo; fino a quando non erano stati portati a termine, per quanto io potessi essere stanca e loro cattivi, soltanto un diretto intervento dei genitori mi induceva a lasciarli uscire dall'aula; anche se ero costretta a appoggiare la sedia dove sedevo contro la porta per impedirlo. Pazienza, fermezza e perseveranza erano le mie sole armi, e decisi di usarle al massimo. Ero risoluta a mantenere sempre le minacce e le promesse che facevo: dovevo dunque badare a non minacciare o promettere nulla che non potessi mantenere. Avrei tenuto a freno ogni mio inutile nervosismo e malumore: quando si comportavano in modo accettabile, sarei stata dolce e gentile quanto potevo, per stabilire la più chiara distinzione possibile tra una buona e una cattiva condotta; avrei poi ragionato con loro nel modo più semplice e efficace. Quando li rimproveravo, o rifiutavo di accontentarli dopo una colpa più grave, lo avrei fatto con tristezza piuttosto che andando in collera; avrei scelto gli inni e le preghiere per loro in modo che fossero semplici e comprensibili; e quando avessero detto le preghiere la sera e chiesto perdono delle colpe commesse, avrei ricordato le mancanze della giornata, con gravità ma con molta dolcezza, per evitare di suscitare ribellione; chi era stato cattivo avrebbe dovuto dire inni penitenziali; chi era stato relativamente buono inni gioiosi; e avrei impartito qualsiasi nozione, per quanto possibile, in modo divertente e piacevole, con l'aria di pensare soltanto al loro immediato divertimento. Speravo così, con il tempo, di giovare ai bambini, di ottenere l'approvazione dei genitori; e di convincere i miei cari a casa che non mancavo di abilità e prudenza come loro credevano. Sapevo di dover affrontare difficoltà molto grandi; ma sapevo (o quanto meno credevo) che una incrollabile pazienza e perseveranza potessero superarle; al mattino e alla sera imploravo per questo l'aiuto divino. Ma o i bambini erano incorreggibili o i genitori irragionevoli o io mi ingannavo nelle mie idee o non sapevo realizzarle: perché le mie migliori intenzioni e i più strenui sforzi non avevano altro risultato se non quello di far ridere i bambini, scontentare i genitori e tormentare me. L'istruzione era un compito arduo per il corpo come per la mente. Dovevo inseguire i miei allievi per prenderli, per portarli o trascinarli al tavolino, e non di rado ero costretta a tenerceli con la forza fino alla fine della lezione. Tom lo mettevo spesso in un angolo, sedendomi davanti a lui su una sedia e tenendo in mano il libro con la semplice lezione che doveva ripetere o leggere prima di venir liberato. Non era tanto forte da spingere via me con tutta la sedia, e se ne stava là in piedi torcendosi tutto e facendo le smorfie più grottesche - buffe, senza dubbio, per uno spettatore neutrale, ma non per me - e lanciando alte grida e tristi lamenti, che dovevano simulare il pianto, ma senza lacrime. Sapevo che lo faceva soltanto per indispettirmi; di conseguenza, pur tremando dentro di me di impazienza e dispetto, mi sforzavo coraggiosamente di frenare ogni manifestazione di collera e fingevo di rimanere calma e indifferente, aspettando che si degnasse di finirla con quel passatempo e si preparasse a fare una corsa in giardino, dando un'occhiata al libro e leggendo o ripetendo le poche parole che doveva dire. A volte decideva di scrivere male, e dovevo tenergli la mano per impedirgli di macchiare o sciupare deliberatamente il foglio. Spesso minacciavo di dargli un'altra riga da scrivere se non avesse scritto meglio: allora rifiutava ostinatamente di scrivere anche quella; e io, per tenere fede alla mia minaccia, dovevo infine stringergli le dita sulla penna e muovergli di forza la mano finché, a dispetto della sua resistenza, la riga fosse in qualche modo completata. Eppure Tom non era il più difficile dei miei allievi; qualche volta, con mia grande gioia, aveva il buon senso di capire che la politica migliore per lui era finire i compiti e andare in giardino a giocare fino a che lo raggiungessimo io e le sorelle; il che spesso non accadeva mai, perché Mary Ann seguiva raramente in questo il suo esempio. Sembrava che il suo passatempo preferito fosse quello di rotolarsi sul pavimento. Si lasciava cadere come un peso morto; e quando, con gran difficoltà, riuscivo a sradicarla dal pavimento, era necessario continuare a sorreggerla con un braccio, mentre con l'altro tenevo il libro da cui doveva leggere o sillabare la lezione. Quando il peso morto di quella robusta bambina di sei anni diventava eccessivo per un braccio, la trasferivo all'altro; se tutte e due le braccia erano stanche del peso, la portavo in un angolo e le dicevo che ne sarebbe uscita quando avesse ritrovato l'uso dei piedi e si fosse messa dritta; ma in genere lei preferiva starsene sdraiata là, immobile come un pezzo di legno, fino all'ora di pranzo o del tè, quando, non potendo privarla del pasto, dovevo liberarla, e lei si trascinava fuori con un sorrisetto di trionfo sulla faccia rotonda e colorita. Spesso rifiutava ostinatamente di pronunciare una determinata parola durante una lezione; e ora rimpiango le fatiche perdute a cercare di vincere la sua ostinazione. Se avessi ignorato la cosa, come fosse di nessuna importanza, invece di affannarmi invano a combatterla, sarebbe stato meglio per me e per lei; ma consideravo un dovere imprescindibile soffocare sul nascere quella cattiva tendenza; e lo sarebbe stato, se ci fossi riuscita; se i miei poteri fossero stati meno limitati, avrei forse potuto imporle l'obbedienza; ma, stando le cose come stavano, era una continua gara di forza tra lei e me, che di consueto era lei a vincere; e ogni vittoria la incoraggiava e rafforzava per una lotta futura. Inutilmente ragionavo, lusingavo, pregavo, minacciavo, rimproveravo; inutilmente la tenevo in casa impedendole di giocare, o, se dovevo farla uscire, rifiutavo di giocare con lei o di parlarle gentilmente o di avere qualcosa a che fare con lei; inutilmente cercavo di spiegarle i vantaggi dell'obbedire e dell'essere di conseguenza amati e trattati con dolcezza, e gli svantaggi dell'ostinarsi in un assurdo capriccio. A volte, quando mi chiedeva di fare qualcosa per lei, rispondevo: «Sì, volentieri, Mary Ann, purché tu dica quella parola. Andiamo! farai meglio a dirla subito e non avrai più fastidi.» «No.» «Allora naturalmente non posso fare niente per te.» Quando io avevo la sua età o ero più piccola, venire trascurata o essere in disgrazia erano i castighi più terribili; ma su di lei non avevano alcun effetto. A volte, esasperata in modo intollerabile, la scuotevo con forza, o le tiravo i capelli o la mettevo nell'angolo; e lei mi puniva con urla acute, stridule, penetranti, che mi trapassavano il capo come una lama. Sapeva che lo detestavo, e quando aveva urlato al massimo mi guardava con vendicativa soddisfazione esclamando: «Questo è per voi!» E ricominciava a urlare ininterrottamente costringendomi a chiudermi le orecchie. Spesso a quelle urla orribili saliva la signora Bloomfield chiedendo cosa fosse successo. «Mary Ann è stata cattiva, signora.» «Ma perché grida in quel modo terribile?» «Grida perché fa i capricci.» «Non ho mai sentito un fracasso simile! Sembra che la stiate uccidendo. Perché non è in giardino con il fratello?» «Perché non vuole finire la lezione.» «Mary Ann deve fare la brava bambina e finire la lezione» diceva allora alla figlia con aria indulgente. «E spero di non dover mai più sentire grida così orribili.» E fissando su di me i freddi occhi di pietra con uno sguardo inconfondibile, chiudeva la porta e se ne andava. A volte cercavo di cogliere di sorpresa quella ragazzetta ostinata e le chiedevo con aria indifferente la parola mentre lei pensava a altro; spesso cominciava a dirla, ma subito si riprendeva con uno sguardo provocatorio che sembrava dire: «Sono troppo furba per te; non riuscirai a prendermi neanche con l'astuzia». In un'altra occasione, finsi di dimenticare tutto; e parlai e giocai con lei come sempre fino al momento di metterla a letto; allora, chinandomi su di lei che era tutta sorridente e felice, proprio prima di andarmene dissi senza mutare la gaiezza e la dolcezza della voce: «E ora, Mary Ann, dimmi quella parola prima che ti dia il bacio della buona notte: adesso sei una brava bambina e certo la dirai.» «No non la dirò.» «Allora non ti darò un bacio.» «Non m'importa.» Invano le espressi la mia pena; invano indugiai aspettando un segno di pentimento; non le importava davvero, e la lasciai sola, al buio, stupita più che da tutte le altre da quest'ultima prova di insensata ostinazione. Da bambina, non avrei potuto immaginare castigo più doloroso del rifiuto da parte di mia madre di darmi il bacio della buona notte: la semplice idea era terribile; non avevo mai provato altro che l'idea, perché, fortunatamente, non avevo mai commesso una colpa giudicata degna di tale castigo; ricordo però che una volta, per una mancanza di mia sorella, nostra madre ritenne opportuno infliggerlo a Mary; non so che cosa lei provasse; ma non mi sarà facile dimenticare le mie lacrime di compassione e la mia sofferenza per lei. Altra noiosa caratteristica di Mary Ann era la sua incorreggibile tendenza a correre nella nursery per giocare con le sorelline e la bambinaia. Era in fondo una cosa naturale, ma, essendo contraria all'esplicito desiderio della madre, naturalmente gliela proibivo e mi studiavo in ogni modo di tenerla con me; ma questo non faceva che accrescere la sua passione per la nursery; più lottavo per tenerla lontana, più spesso lei ci andava e più a lungo ci restava; con grande disappunto della signora Bloomfield che, ne ero certa, avrebbe dato a me tutta la colpa. Altro momento difficile era la vestizione al mattino: una volta non voleva lavarsi; un'altra non voleva vestirsi se non poteva indossare un certo vestito, che sapevo non sarebbe piaciuto alla madre; un'altra volta ancora urlava e scappava se cercavo di toccarle i capelli. Di conseguenza, quando, dopo molta fatica e stanchezza, riuscivo a portarla giù, spesso la colazione era quasi finita, e mi toccavano gli sguardi severi di «mamma» e le osservazioni dispettose di «papà», dette per me se non a me: poiché poche cose lo indispettivano quanto la mancanza di puntualità ai pasti. Infine, tra le seccature meno gravi, c'era la mia incapacità di soddisfare la signora Bloomfield nell'abbigliamento della figlia; e i capelli della bambina erano sempre «inguardabili». A volte, come grave rimprovero per me, faceva lei stessa da parrucchiera e poi si lamentava amaramente del fastidio. Quando nella sala da studio arrivò la piccola Fanny, sperai che sarebbe stata se non altro mite e inoffensiva; ma pochi giorni, se non poche ore, bastarono a distruggere quell'illusione: trovai in lei una bambina dispettosa, intrattabile, portata alla menzogna e all'inganno già alla sua tenera età, e pericolosamente incline a esercitare le sue due armi predilette di offesa e difesa: sputare in faccia a quelli che le dispiacevano e muggire come un toro quando i suoi irragionevoli desideri non venivano esauditi. Poiché di consueto se ne stava buona in presenza dei genitori, e loro erano convinti si trattasse di una bambina particolarmente dolce, le sue menzogne venivano credute e le sue urla facevano pensare che io la trattassi duramente e in modo sbagliato; quando poi anche i loro occhi prevenuti si resero conto delle sue cattive disposizioni, capii che ne davano la colpa a me. «Come sta diventando cattiva Fanny!» diceva la signora Bloomfield al marito. «Non vedete, caro, come è cambiata da quando è entrata nella sala da studio? Presto sarà cattiva come gli altri due; e mi dispiace dire che di recente anche loro sono peggiorati.» «Potete dirlo forte» era la risposta. «Pensavo anch'io la stessa cosa. Credevo che sarebbero migliorati con un'istitutrice; invece non fanno che peggiorare; non so come vadano le cose con l'istruzione, ma la loro condotta, questo lo vedo, non migliora per nulla: diventano ogni giorno più maleducati, sporchi, disordinati.» Sapevo che quelle parole venivano dette per me; e queste, come altre insinuazioni simili, mi addoloravano ben più di una aperta accusa; contro una accusa aperta avrei avuto il coraggio di difendermi; invece, in questo caso, ritenevo più saggio reprimere ogni risentimento, soffocare ogni ripugnanza e continuare a fare con perseveranza del mio meglio; per quanto infatti fosse sgradevole quel posto, desideravo appassionatamente non perderlo. Pensavo, se fossi riuscita a continuare con incrollabile fermezza e integrità, che i bambini sarebbero diventati più umani: ogni mese li avrebbe resi un po' più maturi e di conseguenza più trattabili; perché un bambino di nove o dieci anni capriccioso e ingovernabile come erano loro a sei e sette sarebbe stato anormale. Inoltre mi dicevo con piacere che, rimanendo al mio posto, aiutavo i miei genitori e mia sorella; lo stipendio era piccolo, è vero, ma guadagnavo pur sempre qualcosa, e, esercitando una rigorosa economia, sarei riuscita a mettere qualcosa da parte per loro, se mi avessero fatto l'onore di accettare. Infine, avevo ottenuto quel posto di mia volontà; ero stata io a attirarmi tutte quelle pene e ero decisa a sopportarle; no, ben più di questo, non rimpiangevo il passo che avevo fatto, e mi sentivo ansiosa di dimostrare ai miei cari che ero già in grado di affrontare quell'incarico e di svolgerlo bene fino alla fine; se qualche volta trovavo umiliante sottomettermi così passivamente, o intollerabile lottare così incessantemente, pensavo alla mia casa e mi dicevo: Possono schiacciarmi, ma non mi vinceranno! E' a te che penso, non a loro. (1) Verso Natale ebbi il permesso di fare una visita a casa; ma la vacanza sarebbe stata soltanto di due settimane. «Ho pensato» disse la signora Bloomfield «che non vi interessasse un soggiorno più lungo, essendo passato poco tempo da quando avete visto i vostri cari.» Non la disingannai; ma ignorava quanto fossero state lunghe per me, e faticose, quelle quattordici settimane di assenza; con quanta ansia avessi desiderato la vacanza, quanto fossi delusa di vederla accorciata. Ma lei non ne aveva colpa; non le avevo mai parlato dei miei sentimenti, e non potevo aspettarmi che li indovinasse; non ero stata da lei per un anno intero e aveva diritto di non concedermi una vacanza intera. NOTE: (1) Altra citazione parziale (e non perfettamente esatta), questa volta da Byron, Stanze a Augusta (vv. 22-24). E' difficile dire se Anne Brontë intenda deliberatamente cambiare i versi che cita, per meglio adattarli alle circostanze del romanzo, o se citi a memoria, sbagliando involontariamente; qui tra l'altro ha eliminato la rima; nell'originale («Possono schiacciarmi, ma non colmarmi di disprezzo;@ Possono torturarmi, ma non mi vinceranno;@ E' a te che penso, non a loro@») la stanza è a rima alternata Abab e contemn («colmarmi di disprezzo») rima con them («loro»), come pursue me del primo verso della stanza («Molte sofferenze mi perseguitano») rima con subdue me del terzo. (Ndt) IV. La nonna Risparmio ai miei lettori la descrizione della mia gioia nel tornare a casa, della mia felicità durante il soggiorno il godimento di un breve intervallo di riposo e libertà in quel luogo così caro e familiare, tra coloro che mi amavano e che amavo - e della pena nel dovermi congedare ancora una volta, e per così lungo tempo, da loro. Tuttavia, tornai con indomito vigore al mio lavoro, un compito più arduo di quel che possa immaginare chiunque non abbia provato un'angoscia simile a quella di vedersi affidata la cura e la guida di un gruppo di ribelli dispettosi e turbolenti che neppure i più strenui sforzi riescono a piegare al dovere; essendo nello stesso tempo responsabile di loro di fronte a un potere maggiore che esige quel che non può essere ottenuto senza l'appoggio della più forte autorità del superiore, il quale rifiuta di dare tale appoggio, per indolenza o nel timore di riuscire sgradito al gruppo di ribelli. Riesco a immaginare ben poche situazioni più estenuanti di quella in cui, pur desiderando ansiosamente di riuscire, pur affannandosi a compiere il proprio dovere, si vedono i nostri sforzi beffati e annullati da chi è sotto di noi e ingiustamente biasimati e mal giudicati da chi è al di sopra. Non ho ricordato neppure la metà delle cattive inclinazioni dei miei allievi, o dei guai che nascevano dalla mia pesante responsabilità, nel timore di abusare della pazienza dei lettori; come forse ho già fatto; ma il mio scopo, nello scrivere le ultime pagine, non era di divertire, bensì di giovare a quelli che potevano essere interessati alla cosa; chi non aveva alcun interesse le avrà senza dubbio saltate dopo un'occhiata superficiale, forse con un'espressione di impazienza per la prolissità dell'autore; ma se un padre o una madre ne hanno tratto qualche utile indicazione o una sventurata istitutrice ne ha avuto il più piccolo giovamento, mi considero ampiamente ricompensata delle mie fatiche. Per evitare confusioni, ho parlato dei miei allievi uno a uno, descrivendo le loro caratteristiche; ma in tal modo non posso aver dato una buona idea di che cosa significasse essere tormentata da tutti e tre insieme; quando, come succedeva spesso, erano tutti decisi a «essere cattivi e fare i dispetti alla signorina Grey e farla infuriare». A volte, in situazioni simili mi ha colpito il pensiero: "Se loro mi vedessero ora!"; mi riferivo naturalmente ai miei cari, e l'idea di come mi avrebbero compatito mi ha indotto a compatirmi - tanto che mi è stato estremamente difficile frenare le lacrime; ma le ho frenate fino al momento in cui i miei piccoli aguzzini andavano a pranzo o a letto (le mie uniche prospettive di salvezza), e allora, nella felicità della solitudine, mi sono concessa il lusso di un pianto senza freni. Ma era una debolezza a cui non cedevo spesso: avevo troppo da fare, i momenti di libertà erano troppo preziosi per accordare molto tempo a inutili lamenti. Ricordo in particolare un tempestoso pomeriggio di neve, in gennaio, poco dopo il mio ritorno; i bambini erano tornati dal pranzo dichiarando tutti a gran voce che volevano «fare i cattivi» e avevano tenuto fede al loro proposito, sebbene io mi fossi arrochita la voce e indolenzita i muscoli della gola nel vano tentativo di convincerli a non farlo. Avevo inchiodato Tom nell'angolo da cui, gli avevo detto, non sarebbe uscito prima di finire il compito che gli avevo assegnato. Frattanto Fanny si era impadronita della mia borsa da lavoro e ci frugava - e ci sputava - dentro. Le dissi di smetterla, ma fu naturalmente inutile. «Bruciala, Fanny!» gridò Tom; e a questo ordine lei si affrettò a obbedire. Balzai per salvarla dal fuoco e Tom saettò verso la porta. «Mary Ann, butta il suo scrittoio dalla finestra!» gridò: e il mio prezioso scrittoio da tavolino, con tutte le mie lettere, le mie carte, il mio poco contante e i miei oggetti preziosi, rischiò di venir scaraventato dalla finestra del terzo piano. Mi precipitai a salvarlo. Tom era intanto uscito dalla stanza e correva giù per le scale seguito da Fanny. Avendo salvato lo scrittoio, li rincorsi per agguantarli, e Mary Ann si affrettò a seguirmi. Mi sfuggirono tutti e tre e corsero in giardino, dove si tuffarono nella neve, urlando e gridando con entusiasmo. Che cosa dovevo fare? Se li avessi seguiti, non sarei probabilmente riuscita a catturarne neppure uno e li avrei soltanto spinti a allontanarsi ancora; se non li seguivo, come potevo riportarli dentro? e che cosa avrebbero pensato di me i loro genitori se avessero visto o sentito i figli che si scalmanavano, senza cappello, senza cuffietta, senza guanti e senza stivaletti, nella neve soffice e alta? Mentre me ne rimanevo così incerta, appena fuori dalla porta, cercando, con la severità dello sguardo e l'asprezza delle parole di indurli alla sottomissione, sentii una voce alle mie spalle che esclamava in tono aspro e penetrante: «Signorina Grey! Ma è mai possibile? Che cosa d....lo vi è venuto in mente?» «Non riesco a farli rientrare, signore» dissi volgendomi e scorgendo il signor Bloomfield, i capelli ritti sulla testa, gli occhi slavati fuori dalle orbite. «Ma io esigo che rientrino!» gridò, avvicinandosi con un'aria inferocita. «Allora dovete chiamarli voi, signore, se non vi dispiace, perché a me non danno retta» risposi facendomi indietro. «Rientrate tutti, sporchi mocciosi, o vi frusto uno per uno!» ruggì lui; e i bambini obbedirono all'istante. «Ecco, vedete! Vengono appena uno li chiama.» «Sì, quando siete voi a parlare.» «E' infatti molto strano che proprio voi, a cui i bambini sono affidati, non riusciate a avere alcun controllo su di loro! E adesso eccoli che sono saliti con i piedi sporchi di neve. Andate da loro e cercate almeno di sistemarli in modo decente.» Era allora ospite in casa la madre del signor Bloomfield; e, salendo le scale e passando davanti alla porta del soggiorno, ebbi la soddisfazione di sentire la vecchia signora che declamava a gran voce dicendo alla nuora (riuscii a distinguere soltanto le parole più enfatiche): «Poveri noi!... mai in tutta la mia vita...! ...rischiavano di morire davvero...! Pensi, mia cara, che sia una persona come si deve? Credi a me...» Non sentii altro, ma bastava. La vecchia signora Bloomfield era stata molto premurosa e gentile con me; e sinora l'avevo considerata una vecchietta simpatica, chiacchierona e di buon cuore. Veniva spesso da me a parlarmi confidenzialmente, scuotendo e chinando la testa e gesticolando con le mani e muovendo gli occhi come fanno le vecchie signore di una certa classe, sebbene non ne avessi conosciuta nessuna che lo facesse a tal punto; simpatizzava perfino con me per i guai che mi davano i bambini e lasciava capire a volte, con mezze frasi interrotte da cenni del capo e significativi ammiccamenti, di essere consapevole di quanto poco saggio fosse il comportamento della loro mamma, che limitava così strettamente il mio potere e trascurava di sostenermi con la sua autorità. Quel modo di esprimere disapprovazione non mi piaceva molto; e in genere rifiutavo di accettarlo o di capire più di quello che veniva detto apertamente; quanto meno, non ero mai andata oltre un implicito riconoscimento che, se le cose fossero state regolate in modo diverso, il mio compito sarebbe stato meno difficile e io sarei stata meglio in grado di istruire e guidare i miei allievi; ma ora dovevo essere doppiamente cauta. Sinora, pur vedendo che la vecchia signora aveva i suoi difetti (tra questi una forte tendenza a proclamare le sue perfezioni), ero sempre stata pronta a scusarli e a riconoscerle tutte le virtù che professava di avere e perfino a immaginarne altre taciute. La gentilezza, che era stata il cibo della mia vita per tanti anni, di recente mi era mancata così totalmente che ne accoglievo con gratitudine e gioia ogni sia pur piccola manifestazione. Non è dunque strano che io mi fossi affezionata alla vecchia signora, e che mi rallegrassi del suo arrivo e mi dolessi della sua partenza. Ma ora, le poche parole fortunatamente o sfortunatamente ascoltate avevano completamente rivoluzionato le mie idee nei suoi confronti: ora vedevo in lei una donna ipocrita e falsa, una adulatrice, e una spia delle mie parole e delle mie azioni. Senza dubbio sarebbe stato nel mio interesse rivolgermi a lei con lo stesso sorriso gaio e lo stesso tono di rispettosa cordialità; ma non avrei potuto neppure se lo avessi voluto; i miei modi mutarono con i miei sentimenti e divennero così freddi e riservati che lei non poté non notarlo. Lo notò infatti, e allora cambiarono anche i suoi modi: il cenno familiare del capo diventò un rigido inchino, il sorriso benevolo cedette il passo a un fiero sguardo da Gorgone; la sua vivace loquacità venne trasferita da me ai «cari bambini», che lei viziava e coccolava più assurdamente di quanto avesse mai fatto la madre. Confesso di essere rimasta un po' turbata dal cambiamento: temevo le conseguenze della sua scontentezza e feci anche qualche sforzo per riguadagnare il terreno perduto, riuscendovi all'apparenza più di quanto avessi potuto sperare. Una volta, per pura cortesia, le chiesi della sua tosse: all'istante il suo viso lungo si distese in un sorriso, e lei mi dedicò la storia particolareggiata di quella e di altre sue infermità, seguita dalla descrizione della sua virtuosa pazienza, esprimendosi con la consueta enfasi declamatoria che nessun linguaggio scritto potrebbe rendere. «Ma c'è un rimedio a tutto, mia cara, la rassegnazione» qui scosse la testa «la rassegnazione alla volontà celeste!» sollevò le mani e gli occhi. «Mi ha sempre sostenuto in tutte le mie prove e mi sosterrà sempre» ripetuti cenni di assenso. «Naturalmente non tutti possono dire la stessa cosa» cenno di diniego «ma io sono tra le persone pie, signorina Grey» cenno di assenso molto significativo e scuotimento della testa. «E, grazie al Cielo, lo sono sempre stata» altro cenno di assenso «e ne vado fiera!» mani enfaticamente giunte e scossa del capo. E dopo molte frasi della Scrittura, citate male o senza alcun rapporto con il suo discorso, e molte esclamazioni devote, così grottesche nello stile e nell'espressione, se non in se stesse, che preferisco non ripeterle, si allontanò, scuotendo la grossa testa con soddisfatto buon umore - se non altro nei propri confronti - e lasciandomi la speranza che fosse dopo tutto meschina più che malvagia. Alla sua visita successiva a Wellwood House arrivai a dire che ero lieta di vederle un così bell'aspetto. L'effetto fu magico: le parole, che erano soltanto un segno di cortesia, vennero accolte come un lusinghiero complimento; il viso si illuminò tutto, e da quel momento divenne garbata e benevola come più non si sarebbe potuto desiderare, quanto meno all'apparenza. Da quel che vedevo ora di lei e che sentivo dai bambini, sapevo che, per conquistarmi la sua cordiale amicizia, dovevo soltanto farle qualche complimento ogni volta che se ne presentava l'occasione; ma questo era contro i miei principi; e in mancanza di questo la capricciosa vecchia signora presto mi privò nuovamente del suo favore, e credo mi abbia segretamente danneggiato. Non poteva influenzare molto la nuora a mio sfavore, poiché esisteva una reciproca antipatia tra lei e quella signora, che lei dimostrava soprattutto con calunnie e biasimi segreti e l'altra con l'estrema freddezza e formalità della sua condotta: nessuna lusinga e adulazione della più anziana poteva sciogliere il muro di ghiaccio che la più giovane erigeva tra loro due. Ma con il figlio la vecchia signora aveva maggior successo: ascoltava tutto quello che lei diceva, purché riuscisse a calmare il suo temperamento nervoso e evitasse di irritarlo con le asprezze del proprio; e ho ragione di credere che abbia fortemente aggravato le sue prevenzioni nei miei confronti. Gli diceva che io trascuravo vergognosamente i bambini, che neppure sua moglie si prendeva cura di loro come avrebbe dovuto, e che doveva seguirli lui personalmente, o si sarebbero rovinati. Così esortato, il signor Bloomfield si dava spesso la pena di osservare i loro giochi dalla finestra; a volte li seguiva in giardino, e spesso li sorprendeva proprio mentre giocavano presso lo stagno proibito, parlavano con il cocchiere nella scuderia o sguazzavano nel sudiciume del cortile della fattoria, mentre io me ne stavo stancamente a guardarli, avendo ormai esaurito ogni energia nel tentativo di farli allontanare; spesso cacciava all'improvviso la testa nell'aula mentre i bambini mangiavano e li trovava a schizzare il latte sulla tavola e sui vestiti, a mettere le dita nelle tazze loro o altrui o a litigare per il cibo come un branco di tigrotti. Se in quel momento io non parlavo, ero complice della loro deplorevole condotta; se (come accadeva spesso) alzavo la voce per ristabilire l'ordine, mi comportavo con indebita violenza e davo il cattivo esempio alle bambine con quel tono e quel linguaggio rude. Ricordo un pomeriggio di primavera in cui, per la pioggia, i bambini non potevano uscire; ma, per una straordinaria fortuna, avevano finito tutti le lezioni e non erano scesi a dar fastidio ai genitori, abitudine che mi irritava molto ma che, nei giorni di pioggia, non riuscivo quasi mai a evitare; perché al piano di sotto trovavano cose nuove con cui divertirsi, soprattutto quando c'erano visitatori; e la madre, sebbene mi ordinasse di tenerli nell'aula, non li rimproverava mai quando la lasciavano né si dava la pena di rimandarli indietro. Ma quel giorno sembravano contenti della loro residenza attuale, e, fatto ancor più prodigioso, erano pronti a giocare tra loro senza appellarsi a me e senza litigare. La loro occupazione era piuttosto strana: erano tutti accoccolati per terra davanti alla finestra con un mucchio di giocattoli rotti e di uova di uccello, o piuttosto di gusci di uova, perché il contenuto era fortunatamente stato tolto. Avevano rotto i gusci e li pestavano riducendoli a pezzettini, non immaginavo a quale scopo; ma finché se ne stavano tranquilli e non facevano niente di veramente riprovevole, non me ne curavo; con un senso di calma inconsueta, sedevo accanto al camino finendo di cucire un vestito per la bambola di Mary Ann e pensando, concluso quel lavoro, di cominciare una lettera a mia madre. Di colpo la porta si aprì e il viso opaco del signor Bloomfield guardò dentro. «Tutto tranquillo! Che cosa state facendo?» chiese. "Oggi almeno" pensai "non fanno niente di male." Ma lui era di parere diverso. Avvicinandosi alla finestra e vedendo che cosa facevano i bambini, chiese rabbiosamente: «Che diamine state combinando?». «Stiamo triturando gusci d'uovo, papà!» gridò Tom. «Come osate fare un simile pasticcio, demonietti? Non vedete che disastro fate con il tappeto?» Era un tappeto di lana scura, molto comune. «Signorina Grey, sapevate che cosa stanno facendo?» «Sì, signore.» «Lo sapevate?» «Sì.» «Lo sapevate! e ve ne state seduta là e li lasciate continuare senza una parola di rimprovero!» «Non pensavo facessero niente di male.» «Niente di male! Ma guardate un po'! Guardate il tappeto... si è mai visto niente di simile in una casa per bene? Non mi meraviglio che la vostra stanza sia un porcile, che i vostri allievi siano peggio di un branco di maiali... no, non mi meraviglio... Parola mia, c'è da perdere la pazienza!» e se ne andò, sbattendo la porta con un colpo che fece ridere i bambini. "C'è davvero da perdere la pazienza!" brontolai tra me alzandomi; e, afferrato l'attizzatoio, lo passai più volte tra la brace smuovendola con inconsueta energia, per placare la mia collera con il pretesto di rianimare il fuoco. In seguito, il signor Bloomfield non faceva che venire a controllare se tutto era in ordine nella sala da studio. E poiché i bambini seminavano in continuazione sul pavimento pezzi di giocattoli rotti, rametti, pietre, stoppie, foglie e altre cose che non potevo impedirgli di portare dentro o costringerli a raccogliere e che la servitù si rifiutava di pulire, dovevo passare molti dei miei preziosi momenti liberi in ginocchio sul pavimento per mettere faticosamente ordine. Una volta dissi che non avrebbero avuto la cena prima di aver raccolto tutto dal tappeto; Fanny avrebbe avuto la sua quando avesse raccolto una certa quantità di cose, Mary Ann dopo averne raccolte il doppio, e Tom doveva pulire il resto. Mirabile a dirsi, le bambine fecero la loro parte; ma Tom era talmente infuriato che piombò sulla tavola, rovesciò il pane e il latte per terra, colpì le sorelline, buttò a calci il carbone fuori dal secchio, cercò di rovesciare tavolino e sedie, pronto a mettere a ferro e fuoco tutta la stanza; ma io lo afferrai e, mandando Mary Ann a chiamare la mamma, lo tenni fermo a dispetto di calci, pugni, grida e insulti, finché non arrivò la signora Bloomfield. «Che cosa ha fatto il mio ragazzo?» chiese. Quando tutto le venne spiegato, si limitò a chiamare la cameriera della nursery perché mettesse in ordine la stanza e portasse la cena al signorino Bloomfield. «Ecco qua!» gridò Tom con aria trionfante, alzando la testa dal piatto con la bocca quasi troppo piena per parlare. «Ecco qua, signorina Grey: lo vedete, no? ho avuto la cena a vostro dispetto, e non ho tirato su neanche uno spillo!» La sola persona in tutta la casa a avere autentica simpatia per me era la bambinaia; poiché aveva sofferto le stesse pene, seppure in minor misura, non avendo il compito di insegnare e non essendo altrettanto responsabile per la condotta dei bambini. «Oh, signorina Grey» mi diceva «siete nei guai con quei bambini.» «E' proprio così, Betty; e immagino sappiate che cosa significa.» «Ah, sì che lo so! Ma non sto a affannarmi come voi. E poi, vedete, qualche volta uno schiaffo glielo mollo: e ai piccoli, quando capita, gli do una bella sculacciata: come si dice, non c'è una cura migliore. Però, ho perso il posto per questo.» «Davvero, Betty? Avevo sentito che ve ne andavate.» «Eh, sì, cara signorina, sì! Sono tre settimane che la padrona mi ha licenziato. Me lo aveva detto prima di Natale che cosa faceva se li picchiavo di nuovo; ma non ci sono mica riuscita a tenere ferme le mani. Non so come ci riuscite voi, perché la signorina Mary Ann è molto peggio delle sorelle!» V. lo zio Oltre alla vecchia signora, c'era un altro parente le cui visite mi disturbavano molto: si trattava dello «zio Robson», il fratello della signora Bloomfield; un tipo alto, pieno di sé, i capelli scuri e la carnagione pallida come la sorella, un naso che sembrava avere a sdegno la terra intera, e occhietti grigi, spesso semichiusi, il cui sguardo era un misto di autentica stupidaggine e ostentato disprezzo per tutto quanto lo circondasse. Era un uomo robusto, pesante, ma in qualche modo riusciva a farsi una vita di vespa; il che, insieme alla rigidezza innaturale del corpo, rivelava che l'altero, virile signor Robson, spregiatore del sesso femminile, non disdegnava di portare il busto. Non si degnava quasi mai di notarmi; se lo faceva, aveva una certa alterigia insolente nella voce e nei modi da cui capivo che non era un gentiluomo, sebbene egli si proponesse l'effetto contrario. Ma non era per questo che le sue visite mi erano sgradite, bensì per il male che faceva ai bambini: incoraggiando le loro cattive inclinazioni e distruggendo in qualche minuto il poco bene che mi aveva richiesto mesi di fatica. Di Fanny e della piccola Harriet raramente aveva la condiscendenza di occuparsi, ma Mary Ann era una sua prediletta. Incoraggiava continuamente la sua tendenza a una leziosa vanità (che io avevo fatto del mio meglio per soffocare), parlando del suo bel visino e riempiendole la testa di idee presuntuose relative al suo aspetto (che io le avevo insegnato a considerare come polvere paragonato al perfezionamento della sua mente e dei suoi modi); e non ho mai visto una bambina sensibile alla lusinga come Mary Ann. Tutto quello che in lei o suo fratello era sbagliato, lo zio lo incoraggiava, ridendone, se non proprio lodandolo: la gente non sa quanto male faccia ai bambini ridendo delle loro mancanze e scherzando su quello che i loro veri amici hanno cercato di insegnargli a aborrire. Senza essere un vero ubriacone, il signor Robson ingollava vino in quantità e ogni tanto beveva con molto piacere un bicchiere di brandy e acqua. Cercava con grande zelo di insegnare al nipote a imitarlo in questo e a credere che, quanto più vino e alcool riusciva a tenere bene, e quanto più gli piacevano, tanto più dava prova di virilità e coraggio e si innalzava al di sopra delle sorelle. Il signor Bloomfield non aveva grandi obiezioni, perché la sua bevanda preferita era gin e acqua; e ne prendeva una generosa quantità ogni giorno, centellinandola in continuazione: proprio a questo io attribuivo il suo colorito spento e il suo cattivo carattere. Robson incoraggiava Tom, con la parola e con l'esempio, anche a perseguitare le creature inferiori. Poiché veniva spesso per cacciare sulla proprietà del cognato, portava con sé i cani preferiti; e li trattava con tanta brutalità che, povera com'ero, avrei dato in qualsiasi momento una sovrana perché uno di loro lo mordesse, purché riuscisse a farlo impunemente. A volte, quando era d'umore molto benevolo, andava a caccia di nidi con i bambini, e questo mi irritava e mi dispiaceva enormemente: con sforzi tenaci e continui, mi lusingavo infatti di essere riuscita a fargli in parte comprendere la crudeltà di quello svago, e speravo, con il tempo, di instillare in loro un certo senso di giustizia e umanità; ma dieci minuti a caccia di nidi con lo zio Robson, o soltanto una sua risata al racconto delle loro passate barbarie, bastavano a distruggere di colpo l'effetto di tutti i miei ragionamenti e ammonimenti. Per fortuna quella primavera, con un'unica eccezione, non presero mai altro che nidi vuoti o uova, non avendo la pazienza di aspettare che i piccoli fossero nati; quell'unica volta, Tom, che era stato con lo zio nella proprietà vicina, corse pieno di gioia in giardino tenendo tra le mani una nidiata di uccellini appena nati. Mary Ann e Fanny, che stavo appunto allora accompagnando fuori, si precipitarono a ammirare la sua preda e a chiedere un uccellino per una. «No, neanche uno!» gridò Tom. «Sono tutti miei: lo zio Robson li ha dati a me - uno, due, tre, quattro, cinque non potete toccarne neanche uno! no, neanche uno ve ne faccio toccare!» continuò con aria esultante, appoggiando il nido a terra e standoci sopra a gambe divaricate, le mani nelle tasche dei calzoni, curvo in avanti, il viso contorto nelle smorfie più diverse per l'estrema gioia. «Ma mi vedrete mentre li faccio fuori. Gliene faccio passare di tutti i colori, io! Vedrete se non è vero! Lo vedrete se non mi ci diverto con questo nido.» «Ma Tom» dissi «non ti permetterò di torturare quegli uccellini. Vanno uccisi subito o riportati dove li hai presi, perché gli uccelli adulti possano continuare a nutrirli.» «Voi non sapete dove li ho presi: lo sappiamo soltanto io e lo zio Robson.» «Ma se non me lo dirai, li ucciderò io stessa, per quanto detesti farlo.» «Non vi azzardate. Non vi azzardate a toccarli! perché sapete che papà e mamma e lo zio Robson si arrabbierebbero. Ah, ah, vi ho preso in castagna, signorina!» «In un caso come questo farò quello che ritengo giusto senza consultare nessuno. Se tuo padre e tua madre non approvano, mi dispiacerà offenderli; ma naturalmente le opinioni di tuo zio Robson non hanno alcuna importanza per me.» E con queste parole - spinta dal senso del dovere rischiando di sentirmi male e di suscitare la collera dei miei datori di lavoro, presi una grossa pietra che era stata messa in piedi dal giardiniere come trappola per i topi, poi, dopo avere ancora una volta cercato invano di convincere il piccolo tiranno a lasciar riportare indietro gli uccelli, gli chiesi che cosa intendeva farne. Con gioia diabolica, lui cominciò a snocciolare una sfilza di torture; e mentre era impegnato a elencarle, feci cadere la pietra sulle sue future vittime e le schiacciai. Le grida che seguirono a quella temeraria offesa furono altissime, terribili gli insulti; lo zio Robson stava risalendo il viale con il fucile e si era giusto allora fermato per prendere a calci la cagna. Tom corse verso di lui, dichiarando che gli avrebbe fatto prendere a calci me invece di Juno. Il signor Robson si appoggiò al fucile ridendo come un matto alla violenta collera del nipote e alle imprecazioni e gli insulti di cui mi ricopriva. «Sei proprio un tipo simpatico tu!» disse infine prendendo il fucile e continuando verso casa. «E ne ha di coraggio poi il ragazzo. Che sia maledetto se ho mai visto una carognetta più in gamba. E' ormai troppo grande per essere governato dalle donne: non ha paura di sfidare madre, nonna e istitutrice. Ah, ah, ah! Non ci badare, Tom, ti porterò un'altra nidiata domani.» «Se lo farete, signor Robson, ucciderò anche quella» ribattei. «Bah» esclamò lui; e dopo avermi onorato con un'occhiata sfacciata, che io sostenni, contrariamente a quel che si aspettava, senza un fremito, si allontanò con aria di supremo disprezzo e rientrò in casa. Tom andò allora a dirlo alla mamma. Lei non era solita parlare molto di qualsiasi argomento; ma quando mi vide, il suo aspetto e i suoi modi erano più cupi e gelidi del consueto. Dopo alcuni commenti sul tempo, osservò: «Mi dispiace, signorina Grey, che riteniate necessario interferire nei giochi del signorino Bloomfield; era molto turbato dal fatto che abbiate distrutto i suoi uccelli.» «Quando i giochi del signorino Bloomfield consistono nel far soffrire creature sensibili» risposi «ritengo sia mio dovere interferire.» «Sembrate aver dimenticato» rispose placidamente «che tutte le creature sono state create a nostro beneficio.» Io pensavo che si potesse avere qualche dubbio su quella dottrina, ma risposi soltanto: «Se è così, non abbiamo il diritto di tormentarle per divertirci.» «Credo» ribatté lei «che non si possa paragonare il divertimento di un bambino al benessere di creature senz'anima.» «Ma per il bene del bambino, non bisognerebbe incoraggiarlo a divertirsi in tal modo» risposi, con tutta la mitezza possibile, per far perdonare quell'insolita tenacia. «"Beati i misericordiosi perché troveranno misericordia."» «Oh, certo, ma questo si riferisce alla nostra condotta nei confronti degli altri esseri umani.» «"Il giusto ha cura del suo bestiame" (1)» mi azzardai a aggiungere. «Non mi sembra che voi abbiate mostrato molta cura» rispose con una risatina amara «uccidendo tutte quelle povere bestie in quel modo terribile e facendo tanto soffrire il povero ragazzo per un capriccio.» Ritenni prudente non aggiungere altro. Non ero mai stata tanto vicina a una lite con la signora Bloomfield; e non avevo mai scambiato tante parole con lei in una sola volta dal giorno del mio arrivo. Ma il signor Robson e la vecchia signora Bloomfield non erano i soli ospiti il cui arrivo a Wellwood House mi creasse problemi; ogni visitatore me ne creava; non tanto perché non si curavano di me (sebbene la loro condotta sotto tale punto di vista mi sembrasse strana e sgradevole), quanto perché mi riusciva impossibile tenere lontani i bambini, come mi veniva ripetutamente chiesto di fare: Tom voleva a ogni costo parlare con loro, e Mary Ann voleva essere ammirata. Né l'uno né l'altra avevano alcun senso di vergogna o soltanto di comune modestia. Interrompevano chiassosamente e senza alcun rispetto la conversazione degli adulti, li indispettivano con le domande più impertinenti, si appendevano al collo degli uomini, gli si arrampicavano sulle ginocchia; senza esserne richiesti, gli stavano sempre attorno o gli cercavano nelle tasche, tiravano il vestito alle signore, le spettinavano, rovinavano i colletti e le infastidivano chiedendo i gioielli. La signora Bloomfield aveva tanto buon senso da sentirsene scandalizzata e infastidita, ma non tanto da impedirlo: si aspettava fossi io a farlo. Ma come avrei potuto - quando gli ospiti, con i loro bei vestiti e i loro visi nuovi, non facevano che lusingarli e viziarli per compiacere i genitori - come avrei potuto, io, con i miei vestiti casalinghi e la mia faccia di tutti i giorni, e le mie parole franche, trascinarli via? Mi impegnavo fino allo spasimo per riuscirci: cercando di divertirli mi studiavo di attirarli accanto a me; usando la poca autorità che possedevo e la severità di cui osavo dar prova, mi sforzavo di impedirgli di tormentare gli ospiti; e rimproverando la loro condotta incivile, di farli vergognare perché non la ripetessero. Ma non conoscevano la vergogna; sdegnavano l'autorità che non fosse appoggiata dalla minaccia; e di cortesia e affetto non si poteva neppure parlare, perché o non avevano cuore, o, se lo avevano, era così ben custodito e nascosto che io, pur con tutti i miei sforzi, non avevo ancora scoperto come toccarlo. Ma presto le mie pene giunsero al termine - prima di quanto mi aspettassi o desiderassi; in una serata mite verso la fine di maggio in cui mi rallegravo per le vacanze imminenti, e mi compiacevo di essere riuscita a ottenere qualche risultato con i miei allievi - se non altro per quanto riguardava l'insegnamento, poiché gli avevo fatto entrare qualcosa in testa, e li avevo infine condotti a comportarsi un po', soltanto un po', più ragionevolmente e a finire le lezioni in tempo per lasciarsi spazio per la ricreazione invece di tormentare me e loro stessi tutto il giorno senza alcun costrutto la signora Bloomfield mi mandò a chiamare e mi disse con calma che dopo l'estate non avrebbe più avuto bisogno di me. Mi assicurò che il mio carattere e la mia condotta erano impeccabili; ma i bambini avevano fatto così pochi progressi dal mio arrivo, che il signor Bloomfield e lei si sentivano in dovere di cercare altri sistemi di educazione. Sebbene superiori per capacità e doti a molti bambini della loro età, erano decisamente inferiori nei risultati: avevano modi rozzi e un carattere ribelle. E questo lo attribuiva a mancanza di sufficiente fermezza e attenzione diligente e perseverante da parte mia. Incrollabile fermezza, assoluta diligenza, instancabile perseveranza, continua attenzione erano proprio le qualità di cui andavo segretamente fiera; grazie alle quali avevo sperato con il tempo di superare tutte le difficoltà e ottenere infine successo. Avrei voluto dire qualcosa per giustificarmi, ma quando cercai di parlare mi mancò la voce; e preferii restare in silenzio e sopportare come un'imputata che si riconosce colpevole, pur di non dare prova di emozione e di non abbandonarmi alle lacrime che già mi riempivano gli occhi. Così venni licenziata, e così tornai a casa. Che cosa avrebbero pensato di me? incapace, dopo tutte le mie vanterie, di conservare per un solo anno il posto di istitutrice di tre bambini piccoli, la cui madre era stata definita proprio da mia zia una persona molto a posto. Essendo stata pesata sulle bilance, ero stata trovata mancante: (2) non potevo sperare che accettassero di mettermi nuovamente alla prova. Era un pensiero sgradito: indispettita, esausta, delusa, sempre più pronta a apprezzare e amare la mia casa, non ero tuttavia ancora stanca di avventura, né ero disposta a rinunciare ai miei sforzi. Sapevo che non tutti i genitori erano come i signori Bloomfield, e ero certa che non tutti i bambini fossero come i loro. La famiglia successiva non poteva non essere diversa, e ogni cambiamento non poteva non essere per il meglio. Le avversità mi avevano maturato, l'esperienza mi aveva ammaestrato: ero ansiosa di riscattare il mio onore perduto agli occhi di coloro la cui opinione valeva per me più di quella del mondo intero. NOTE: (1) In Anne Brontë, le citazioni bibliche, dall'Antico e dal Nuovo Testamento, esplicite o implicite, non sono soltanto numerose (caratteristica comune a quasi tutti gli autori inglesi dell'Ottocento), ma hanno un particolare senso di intensità e familiarità; si sente che per l'autrice la lettura, la conoscenza della Bibbia era davvero parte integrante del suo quotidiano. Qui cita da Matteo, 5, 7 e dai Proverbi, 12, 10. (Ndt) (2) Cfr. Daniele, 5, 27 (L'interpretazione che il profeta dà della seconda parola scritta misteriosamente sul muro durante il banchetto di Baldassàr: Tekel). (Ndt) VI. Di nuovo la canonica Per qualche mese rimasi tranquillamente a casa, godendomi serenamente la libertà e il riposo e l'affetto sincero dei quali ero stata così a lungo privata; e portando attentamente avanti i miei studi, per riguadagnare quello che avevo perduto durante il soggiorno a Wellwood House e accumulare nuove ricchezze per il futuro. La salute di mio padre era ancora molto malferma, ma non peggiore dell'ultima volta in cui lo avevo visto; e ero lieta di poterlo rallegrare con il mio ritorno e distrarre cantandogli le sue canzoni preferite. Nessuno si dimostrò felice del mio insuccesso o disse che avrei fatto meglio a ascoltare il suo consiglio e a rimanermene tranquilla a casa. Tutti erano lieti di riavermi con loro e mi trattavano con maggiore affetto del consueto per ripagarmi delle sofferenze patite; ma nessuno voleva toccare un solo scellino di quello che avevo guadagnato con tanta gioia e messo da parte con tanta cura nella speranza di dividerlo con loro. Economizzando di qua, risparmiando di là, quasi tutti i debiti erano stati pagati. Mary aveva avuto successo con i suoi disegni; ma mio padre aveva insistito perché anche lei tenesse per sé il frutto del suo ingegno. Tutto quello che rimaneva dopo gli acquisti per il nostro modesto guardaroba e le altre spese occasionali, ci diceva di metterlo alla cassa di risparmio; poiché non potevamo sapere, aggiungeva, quando avremmo dovuto contare soltanto su quello per mantenerci; sentiva infatti di non avere ancora molto tempo da vivere, e Dio soltanto sapeva che cosa ne sarebbe stato di nostra madre e di noi dopo la sua morte. Povero caro papà! se si fosse preoccupato meno delle angosce che ci minacciavano dopo la sua morte, sono certa che quel temuto avvenimento non avrebbe avuto luogo così presto. Mia madre non gli permetteva mai di pensarci se riusciva a impedirlo. «Oh, Richard» esclamò una volta «se soltanto allontanassi dalla mente pensieri così tristi, vivresti a lungo quanto noi; almeno tanto da vedere le ragazze sposate e da diventare felicemente nonno con un'arzilla vecchietta per compagna.» Mia madre rideva, e rise anche mio padre; ma la risata si spense presto in un sospiro triste. «Sposate! povere piccole, senza un soldo» disse. «Vorrei sapere chi le sposerebbe.» «Non le sposerà nessuno che non si senta onorato di poterle avere. Non ero senza un soldo io quando tu mi hai sposata? e, se non altro, hai finto di essere molto soddisfatto dell'acquisto. Ma non ha importanza che si sposino o no: possiamo trovare mille modi onesti di guadagnarci da vivere. E mi stupisce, Richard, che tu ti preoccupi della nostra povertà nell'eventualità della tua morte; credi che potrebbe avere la minima importanza paragonata al dolore di perderti? sai bene che questo divorerebbe ogni altra preoccupazione, e tu dovresti fare il possibile per evitarcelo: e niente vale una mente serena per tenere sano il colpo.» «Lo so, Alice, faccio male a lamentarmi così, ma non so farne a meno; devi prendermi come sono.» «Non intendo prenderti come sei se posso cambiarti» rispose mia madre: ma la durezza delle sue parole era smentita dalla calda tenerezza del tono e dalla dolcezza del sorriso; mio padre tornò a sorridere, meno tristemente e meno fugacemente del solito. «Mamma» dissi, appena ebbi l'occasione di parlarle da sola «il mio danaro è poco e non durerà a lungo; se riuscissi a aumentarlo, almeno una delle ansie di papà si calmerebbe. Non so disegnare bene come Mary: la cosa migliore è che mi metta a cercare un altro posto.» «Davvero vuoi provare di nuovo, Agnes?» «Senza dubbio.» «Eppure, cara, pensavo che ne avessi avuto abbastanza.» «Lo so» ribattei. «Non tutti sono come i signori Bloomfield...» «Alcuni sono peggiori» mi interruppe lei. «Ma non molti, credo, e sono certa che non tutti i bambini sono come i loro: io e Mary non eravamo così; facevamo sempre quello che ci si diceva di fare, vero?» «In genere sì; ma io non vi ho viziato; e non eravate proprio due angeli: Mary aveva un fondo di tranquilla ostinazione, e il tuo umore non era sempre perfetto; ma in complesso eravate due ottime bambine.» «So che qualche volta ero imbronciata, e mi avrebbe fatto piacere vedere qualche volta imbronciati anche quei bambini; perché in quel caso li avrei capiti; ma non capitava mai, poiché era impossibile offenderli, ferirli o farli vergognare: era impossibile che fossero infelici, se non quando si arrabbiavano.» «Se era impossibile, allora non era colpa loro: non puoi pretendere che la pietra sia malleabile come l'argilla.» «No, ma è davvero sgradevole vivere con bambini così insensibili e incomprensibili. Non puoi amarli; e se anche potessi, il tuo affetto sarebbe completamente sprecato: non potrebbero ricambiarlo, né stimarlo né capirlo. - Ma in ogni caso, anche se dovessi imbattermi in un'altra famiglia simile, il che è improbabile, ho alle spalle tutta l'esperienza che ho fatto, e affronterei meglio le cose; e per concludere questo mio preambolo, lasciatemi provare ancora.» «Vedo, ragazza mia, che non ti scoraggi facilmente, e questo mi fa piacere. Però, lasciatelo dire, sei molto più pallida e magra di quando sei partita la prima volta; e non possiamo permettere che tu ti rovini la salute per guadagnare più danaro, che sia per te o per gli altri.» «Anche Mary dice che sono cambiata; e la cosa non mi stupisce, perché vivevo costantemente in uno stato di agitazione e di ansia: la prossima volta sono decisa a prendere le cose con calma.» La discussione durò ancora un poco, poi mia madre promise nuovamente di aiutarmi, purché io aspettassi con pazienza; e io lasciai che affrontasse lei l'argomento con mio padre quando e come lo giudicasse più opportuno, certa che sarebbe riuscita a ottenerne il consenso. Frattanto guardavo con grande interesse le inserzioni sui giornali e rispondevo a tutte le «Cercasi istitutrice» che mi sembrassero accettabili; ma mostravo rispettosamente a mia madre tutte le mie lettere e tutte le risposte, quando ne ricevevo; e, con mio grande dispiacere, lei me le faceva respingere una dopo l'altra: questi erano persone dappoco, quelli pretendevano troppo, quegli altri offrivano troppo poco. «Le tue doti non sono quelle di qualsiasi figlia di un ecclesiastico povero, Agnes» mi diceva «e non devi buttarle via. Ricorda che hai promesso di essere paziente; non c'è nessuna fretta: hai tutto il tempo che vuoi e puoi avere ancora molte occasioni.» Infine mi consigliò di mettere io stessa un'inserzione spiegando le mie capacità. «Musica, canto, disegno, francese, latino, tedesco: non è poco» mi disse. «A molti farà piacere ottenere tanto da una sola istitutrice, e questa volta cercherai una famiglia più elevata, la famiglia di un vero gentiluomo; poiché da una famiglia simile otterrai il dovuto rispetto più facilmente che da quei commercianti fieri del loro portafogli, da quegli arroganti parvenus. Ho conosciuto molta gente tra l'aristocrazia che trattava le istitutrici come membri della famiglia; sebbene altri, lo riconosco, siano insolenti e esigenti al massimo; in tutte le classi c'è del bene e del male.» Scrissi e spedii in fretta l'inserzione. Delle due famiglie che risposero, una soltanto accettò di darmi le cinquanta sterline che mia madre mi aveva detto di indicare come stipendio; e io esitavo a impegnarmi, temendo che i bambini fossero troppo grandi e che i genitori volessero una persona più autorevole e più esperta di me, se non più istruita. Mia madre però mi convinse a non rifiutare per quel motivo; sarei andata benissimo, mi disse, purché mi fossi liberata della mia esitazione e avessi acquistato maggior fiducia in me stessa. Dovevo soltanto esporre con onestà e semplicità le mie conoscenze e le mie qualifiche, dire quali fossero le condizioni che chiedevo e poi aspettare i risultati. La sola condizione che mi azzardai a proporre fu di avere una vacanza di due mesi durante l'anno per poter tornare a casa in estate e a Natale. La sconosciuta signora non fece obiezioni e affermò di non dubitare che le mie conoscenze si sarebbero rivelate soddisfacenti; ma nell'assumere una istitutrice, considerava questo aspetto secondario: abitando nelle vicinanze di O..., poteva trovare tutti gli insegnanti di cui avesse bisogno per supplire a eventuali carenze in quel campo; ai suoi occhi, subito dopo una moralità impeccabile, i requisiti più essenziali erano un carattere mite e gaio e una natura compiacente. A mia madre la cosa non piacque affatto e sollevò molte obiezioni, calorosamente appoggiata da mia sorella; decisa però a non lasciarmi nuovamente ostacolare, superai tutte le loro perplessità; e, dopo aver ottenuto il consenso di mio padre, che era stato avvertito poco tempo prima delle transazioni in corso, scrissi una lettera molto garbata alla mia ignota corrispondente, e infine ci accordammo. Era deciso che l'ultimo giorno di gennaio avrei assunto il mio nuovo incarico di istitutrice nella famiglia del signor Murray, di Horton Lodge, nei pressi di O..., a un centinaio di chilometri dal nostro villaggio: distanza impressionante per me, che nei miei vent'anni di soggiorno su questa terra non mi ero mai allontanata da casa più di trenta chilometri; tanto più che tutti i membri della famiglia e tutti gli abitanti del vicinato erano assolutamente sconosciuti a me e ai miei cari. Ma questa circostanza rendeva le cose più emozionanti. In una certa misura, mi ero ormai liberata di quella mauvaise honte che mi aveva prima oppresso; provavo una piacevole eccitazione al pensiero di entrare in un ambiente a me ignoto e di farmi strada da sola tra i suoi sconosciuti abitanti. Ora pensavo di poter davvero vedere un po' il mondo: la casa del signor Murray era nei pressi di una città grande e non in una zona manifatturiera, dove la gente non aveva altra occupazione che quella di far soldi; la sua posizione sociale, da quel che potevo capire, sembrava più elevata di quella del signor Bloomfield; era senza dubbio uno di quegli autentici gentiluomini di campagna di cui parlava mia madre, che avrebbe trattato l'istitutrice con la considerazione dovuta a una signorina rispettabile e istruita, guida e insegnante dei suoi figli, e non come una domestica di grado elevato. Inoltre, i miei allievi, che erano più grandi, sarebbero certo stati più ragionevoli, più docili all'insegnamento e meno terribili degli altri; non sarebbero stati altrettanto confinati alla sala da studio e non avrebbero avuto bisogno di continua fatica e incessante attenzione; e infine, alle mie speranze si unirono luminose visioni che non avevano alcun rapporto con la cura dei bambini e i compiti di una istitutrice. I lettori sappiano dunque che non potevo pretendere di essere considerata una martire dell'amore filiale, che non esitava a sacrificare pace e libertà al solo scopo di risparmiare danaro per il benessere dei genitori. Senza dubbio, il benessere di mio padre e il futuro mantenimento di mia madre avevano larga parte nei miei calcoli; e cinquanta sterline mi sembravano una somma non indifferente. Dovevo avere abiti adatti alla mia posizione; sembrava anche che dovessi dar fuori da lavare la mia roba e pagarmi i quattro viaggi annuali tra Horton Lodge e casa mia; ma senza dubbio, con molta e attenta economia, venti sterline, o poco di più, sarebbero bastate per queste spese, il che significava trenta o poco meno per la banca: un bell'aumento del nostro capitale! Dovevo proprio lottare per mantenerlo questo posto, comunque fosse: per il mio onore nei confronti dei miei cari e per i concreti servizi che potevo rendergli conservandomi il lavoro. VII. Horton Lodge Il 31 gennaio fu una giornata aspra, tempestosa, con un forte vento di tramontana e una continua tormenta di neve che si accumulava a terra e turbinava nell'aria. I miei avrebbero voluto che rimandassi la partenza; ma io, temendo di impressionare sfavorevolmente i miei datori di lavoro con una mancanza di puntualità proprio all'inizio, non volli venir meno all'impegno. Non annoierò i miei lettori descrivendo la mia partenza da casa in quella buia mattina d'inverno: i teneri saluti, il lungo, lungo viaggio fino a O..., le solitarie attese di una diligenza o di un treno nelle locande - poiché vi erano allora alcune linee ferroviarie - e infine l'incontro a O... con il servitore del signor Murray, che era stato mandato con il phaeton per accompagnarmi a Horton Lodge. Dirò soltanto che la neve aveva creato tanti ostacoli ai cavalli come alle macchine a vapore, che non giunsi alla fine del viaggio prima che fosse buio già da qualche ora, e che all'ultimo si scatenò una tempesta tanto accecante da rendere i pochi chilometri tra O... e Horton Lodge un viaggio lungo e difficile. Io sedevo rassegnata, con la neve fredda e pungente che mi entrava sotto la veletta e mi cadeva in grembo, senza vedere nulla e chiedendomi come gli sventurati cavallo e cocchiere riuscissero, sia pure in qualche modo, a farsi strada; si trattava, è vero, di un avanzare faticoso, strisciante, a voler essere generosi. Infine ci fermammo; e, al richiamo del cocchiere, qualcuno aprì sui cardini cigolanti quelli che mi parvero i cancelli del parco. Allora avanzammo su una strada più agevole, e a tratti scorgevo una informe massa bianca, senza dubbio un albero coperto di neve, che penetrava le tenebre. Dopo parecchio tempo ci fermammo di nuovo, davanti al maestoso portico di una vasta dimora le cui finestre arrivavano fino a terra. Mi alzai a fatica per la neve che mi copriva, e scesi dalla carrozza pensando che un'accoglienza cortese e ospitale mi avrebbe ricompensato delle fatiche e della durezza del viaggio. Un uomo vestito di nero d'aspetto signorile mi aprì la porta e mi fece entrare in una vasta anticamera illuminata da una lampada color ambra appesa al soffitto; mi condusse poi in un corridoio e, aprendo la porta di una stanza sul retro, mi disse che era la sala da studio. Entrando, vidi due ragazze e due ragazzetti, i miei futuri allievi, pensai. Dopo un saluto formale, la ragazza più grande, che si gingillava con un canovaccio e un cestino pieno di matassine di lana da ricamo, mi chiese se desideravo salire. Naturalmente risposi di sì. «Matilda» disse allora «prendi una candela e mostrale la sua stanza.» Matilda, una ragazza robusta sui quattordici anni, ancora con le gonne corte e i mutandoni, scrollò le spalle e fece una smorfia, ma prese una candela e mi precedette su per le scale (due piani alti e ripidi), e lungo uno stretto corridoio, fino a una stanza piccola ma non priva di comodità. Poi mi chiese se volevo del tè o del caffè; stavo per rispondere di no; ma, ricordando che non avevo preso nulla dalle sette del mattino, e poiché mi sentivo di conseguenza venir meno, dissi che avrei preso volentieri una tazza di tè. Con la breve affermazione che lo avrebbe detto «alla Brown», la signorina se ne andò; e quando mi ero già tolta il pesante mantello bagnato, lo scialle, il cappello, eccetera, entrò una leziosa donzella per dirmi che le signorine volevano sapere se desideravo prendere il tè in camera o nella sala da studio. Con il pretesto della stanchezza, preferii prenderlo in camera. Lei si allontanò, e tornò poco dopo con un vassoietto, appoggiandolo sul cassettone che fungeva da toletta. La ringraziai e le chiesi per che ora mi avrebbero atteso la mattina dopo. «Le signorine e i signorini fanno colazione alle otto e mezzo, signora» rispose. «Si alzano presto; ma non fanno mai lezione prima di colazione: credo che dovrebbe andare bene se vi alzaste subito dopo le sette.» La pregai di volere avere la cortesia di svegliarmi alle sette e lei si ritirò assicurandomi che lo avrebbe fatto. Io, rotto finalmente il mio lungo digiuno con una tazza di tè e qualche fettina sottile di pane e burro, sedetti accanto al fuoco languente e mi divertii piangendo di gusto; poi dissi le preghiere e mi preparai, sentendomi molto sollevata, per coricarmi. Osservando però che non avevano portato il mio bagaglio, mi misi a cercare il campanello; non trovandone alcuna traccia, presi la candela e mi avventurai nel lungo corridoio, e giù per le ripide scale, in un viaggio di scoperta. Incontrai una donna ben vestita e le dissi quello che volevo; ma con molta esitazione, ignorando se si trattava di un membro dei ranghi più alti del personale o della signora Murray: si rivelò la sua cameriera personale. Con l'aria di chi concede un favore straordinario, si impegnò a farmi portare il bagaglio. Rientrai nella stanza, attesi a lungo interrogandomi, temendo fortemente che avesse dimenticato o trascurato di tener fede alla promessa, incerta se dovessi continuare a aspettare, andare a letto o scendere di nuovo, quando le mie speranze vennero infine rianimate da un suono di voci e di risa accompagnato da un rumore di passi lungo il corridoio; una cameriera dall'aria rozza e un uomo, né l'uno né l'altra molto rispettosi nei miei confronti, entrarono portando il mio bagaglio. Io richiusi la porta appena uscirono; presi alcune cose dai bagagli e infine mi coricai; lieta di farlo, perché ero stanca nel corpo e nello spirito. La mattina dopo mi svegliai con una strana desolazione e insieme con un forte senso di novità e una sorta di curiosità senza gioia per l'ignoto che mi aspettava; mi sentivo come se un incantesimo mi avesse trascinato via e io fossi stata precipitata dalle nuvole su una terra lontana e sconosciuta, completamente isolata da qualsiasi paesaggio noto; o come un seme di cardo portato dal vento in un angolo di terreno sconosciuto e poco congeniale dove sarà costretto a rimanere a lungo prima di poter mettere radici e germogliare, traendo nutrimento da quello che sembra così estraneo alla sua natura; se tuttavia potrà mai germogliare. Ma questi paragoni non esprimono i miei sentimenti; e nessuno che non abbia vissuto una vita ritirata e sedentaria come la mia può immaginarli: forse neppure se sa che cosa significhi svegliarsi una mattina e ritrovarsi a Port Nelson, in Nuova Zelanda, con un mondo di acque (1) tra lui e tutto quel che gli è noto. Non mi sarà facile dimenticare con quale strano sentimento alzai la veneziana e guardai il mondo sconosciuto: soltanto una vasta, bianca, vuota distesa si offrì al mio sguardo; una distesa di deserti perduti nella neve, boschi dai rami appesantiti. (2) Scesi nella sala da studio senza grande ansia di ritrovare i miei allievi, ma con una certa curiosità per quello che una conoscenza più approfondita mi avrebbe rivelato. Una cosa, tra altre di più evidente importanza, avevo deciso: dovevo chiamarli subito signorina e signorino. Mi sembrava un puntiglio raggelante e innaturale tra i bambini di una famiglia e la loro insegnante e compagna di ogni giorno; soprattutto quando i bambini erano ancora molto piccoli, come a Wellwood House; ma anche là, il fatto che io chiamassi i piccoli Bloomfield soltanto con il loro nome era stato considerato una libertà offensiva, come si erano premurati di farmi capire i genitori chiamandoli sempre puntigliosamente signorina e signorino Bloomfield quando parlavano con me. Ero stata molto lenta a capirlo, perché mi sembrava così assurdo; ma ora avevo deciso di essere più saggia e di iniziare con tutte le formalità e le cerimonie che ogni membro della famiglia avrebbe potuto esigere; e in verità sarebbe stato meno difficile, perché i ragazzi erano molto più grandi; eppure quelle due piccole parole - signorina e signorino - si rivelavano sorprendentemente efficaci nel distruggere ogni familiarità aperta e amabile e nello spegnere ogni barlume di cordialità che poteva esistere tra noi. Poiché non ho il coraggio di fare dono di tutta la mia noia ai lettori, come Dogberry, (3) non continuerò a tediarli descrivendo minuziosamente le scoperte e le azioni di quel giorno e del successivo. Senza dubbio saranno lieti di accontentarsi di un breve schizzo dei diversi membri della famiglia e di una panoramica dei primi uno o due anni del mio soggiorno. Per cominciare dal capofamiglia, il signor Murray era, a quanto si diceva, uno squire di campagna chiassoso e gioviale; appassionato di caccia alla volpe, esperto di cavalli, abile e attivo agricoltore, un vero bon vivant. A quanto si diceva, ripeto, perché, con l'eccezione della domenica, quando andava in chiesa, non lo vedevo mai; se non mi accadeva, attraversando l'atrio o passeggiando in giardino, di incontrare la figura di un signore alto, robusto, con le guance rosse e il naso ancora più rosso; in tali occasioni, se mi passava tanto vicino da poter parlare, non dimenticava in genere un brusco cenno del capo accompagnato da un «'giorno, signorina Grey» o da un altro saluto simile. Spesso, sentivo da lontano la sua risata; e ancora più spesso lo sentivo imprecare e bestemmiare contro i valletti, lo staffiere, il cocchiere o altri inermi dipendenti. La signora Murray era una bella donna elegante sui quaranta, che non aveva bisogno né di rosso né di imbottiture per abbellirsi; il suo principale godimento sembrava consistere nell'offrire ricevimenti o nel frequentarli e nel vestirsi all'ultimissima moda. La vidi soltanto alle undici della mattina successiva al mio arrivo, quando mi onorò di una sua visita, come mia madre avrebbe potuto entrare in cucina per vedere una nuova sguattera; no, non proprio così; perché mia madre l'avrebbe accolta subito dopo il suo arrivo e non avrebbe atteso il giorno successivo; e soprattutto le avrebbe parlato in modo più cortese e amichevole e avrebbe pronunciato qualche parola di conforto prima di fornirle un chiaro e semplice elenco dei suoi doveri; la signora Murray non fece nulla di simile. Entrò nella sala da studio di ritorno dalla stanza della governante, dove era andata a ordinare il pranzo, mi salutò, rimase due minuti accanto al fuoco, disse qualche parola sul tempo e sul viaggio «piuttosto faticoso» che dovevo avere fatto ieri; accarezzò il figlio più piccolo, un ragazzo di dieci anni, che si era appena pulito la bocca e le mani sul suo vestito dopo aver mangiato un buon boccone preso dalla dispensa della governante; mi disse che era un ragazzo tanto dolce e buono; e subito veleggiò fuori dalla stanza, con un sorriso di compiacimento stampato sul volto, convinta, senza dubbio, di aver fatto più che abbastanza per il momento e di essere stata inoltre deliziosamente benevola. I ragazzi condividevano evidentemente la sua opinione, e io soltanto la pensavo diversamente. In seguito venne da me ancora una o due volte, quando i ragazzi erano assenti, per illuminarmi sui miei doveri nei loro confronti. Per le ragazze, sembrava soltanto ansiosa di saperle quanto più possibile superficialmente attraenti e provviste di nozioni che facessero bella figura, purché questo non fosse per loro fonte di alcun fastidio o problema; e io dovevo agire di conseguenza: studiarmi in ogni modo di divertirle e di compiacerle, di istruirle, raffinarle, renderle garbate senza che loro dovessero compiere praticamente alcuno sforzo, senza che io potessi esercitare alcuna autorità. Per i ragazzi le cose erano più o meno identiche; ma invece di instillare in loro raffinatezza e doti da sfoggiare in società, dovevo cacciargli in testa tutta la grammatica latina che potevo e tutto il Delectus di Valpy, (4) per prepararli agli studi scolastici - sempre che, si intende, questo non fosse per loro causa di alcuna fatica. John a volte era un po' troppo «vivace» e Charles «un po' nervoso e noiosetto». «Ma in ogni caso, signorina Grey» aggiunse «mi auguro che voi sappiate tenervi a freno e essere sempre mite e paziente; soprattutto con il caro piccolo Charles: è così terribilmente nervoso e suscettibile e ignaro di tutto quello che non sia tenerezza. Vorrete scusarmi se vi dico queste cose; ma a dire il vero, ho sempre trovato che le istitutrici, anche le migliori, mancavano da questo punto di vista. Erano prive di quello spirito di mitezza e di pace di cui san Matteo, o un altro degli evangelisti, (5) dice che è preferibile all'eleganza delle vesti: voi certo ricorderete il brano a cui alludo, essendo figlia di un ecclesiastico. Ma non dubito che vi rivelerete soddisfacente in questo come in tutto il resto. E ricordate, in qualsiasi circostanza, quando qualcuno dei ragazzi si comporta davvero male, se persuasione e dolci proteste non valgono, mandate uno degli altri a dirmelo; perché io posso parlare ai ragazzi con una franchezza che in voi potrebbe essere sconveniente. Rendeteli felici quanto più potete, signorina Grey, e sono certa che riuscirete benissimo.» Osservai che la signora Murray, così sollecita del benessere e della felicità dei suoi figli, di cui parlava continuamente, non parlava mai del mio; pure, i ragazzi erano a casa loro, circondati da gente che li amava, e io ero un'estranea tra estranei; e allora non conoscevo ancora abbastanza il mondo per non stupirmi molto di tale anomalia. La signorina Murray, Rosalie, sui sedici anni quando io arrivai, era una ragazza molto graziosa; e nel volgere di due anni, quando con il tempo la sua persona si fece più piena e sviluppata e il suo portamento e i suoi modi più aggraziati, diventò veramente bella; di una bellezza non comune. Era alta e snella, ma non magra; la figura perfetta, un colorito chiarissimo, ma non privo della rosea luminosità della buona salute; i capelli, che pettinava in una profusione di lunghi riccioli, erano di un castano quasi biondo; gli occhi azzurro chiaro, ma così luminosi e splendenti che nessuno li avrebbe voluti più scuri; gli altri lineamenti erano piccoli, non regolarissimi e senza nulla che li distinguesse: ma nell'insieme non si poteva non definirla una ragazza incantevole. Vorrei poter dire della sua mente e del suo carattere quello che posso dire del suo aspetto. Non pensate tuttavia che debba fare terribili rivelazioni: era vivace, gaia, e sapeva essere amabilissima se non ci si opponeva alla sua volontà. Nei miei confronti, al mio arrivo, si comportò con altera freddezza, poi divenne insolente e prepotente; ma, con il progredire della reciproca conoscenza, lasciò da parte tutte quelle arie e con il tempo mi si affezionò quanto era possibile per lei affezionarsi a una persona del mio carattere e nella mia posizione: dimenticava molto raramente, per più di mezz'ora di seguito, che io ero una dipendente, figlia di un ecclesiastico povero. Pure, credo che in complesso mi rispettasse più di quanto avvertisse lei stessa; perché ero la sola in casa a professare costantemente buoni principi, a dire abitualmente la verità, e in generale a cercare di piegare gli impulsi e le inclinazioni al dovere; questo non lo dico, s'intende, per lodarmi, ma per mostrare in quale infelice stato si trovasse la famiglia a cui dedicavo in quel momento il mio lavoro. E in nessuno di loro quella triste mancanza di principi mi addolorava quanto nella stessa signorina Murray; non soltanto perché mi dimostrava simpatia; ma perché in lei vi erano tanti aspetti gradevoli e accattivanti che, a dispetto delle sue mancanze, avevo affetto per lei - quando non destava il mio sdegno o non mi irritava mostrando troppo palesemente i suoi difetti. Che erano dovuti, come ero decisa a credere, alla sua educazione più che al suo carattere: nessuno le aveva mai insegnato con chiarezza la differenza tra il bene e il male; come ai suoi fratelli e sorelle, le era stato permesso, fin dall'infanzia, di tiranneggiare balie, istitutrici e cameriere; non le avevano insegnato a moderare i suoi desideri, a dominarsi, o a tenere a freno la sua volontà, o a sacrificare il proprio piacere per il bene degli altri; dotata di un umore naturalmente buono, non era mai violenta o imbronciata, ma, viziata costantemente e abituata a sdegnare la ragione, era spesso testarda e capricciosa; non aveva mai coltivato la sua mente: la sua intelligenza, nel migliore dei casi, era superficiale; aveva molta vivacità, un certo intuito, e qualche disposizione per la musica e le lingue straniere, ma fino a quindici anni non si era data la pena di imparare nulla; poi, il desiderio di fare bella figura aveva risvegliato le sue facoltà e l'aveva spinta a applicarsi, ma soltanto per apprendere le nozioni che le fosse possibile sfoggiare in società; e quando arrivai io, le cose non cambiarono: trascurava tutto tranne il francese, il tedesco, la musica, il canto, la danza, il piccolo punto e un po' di disegno disegni che potessero ottenere il massimo effetto con il minimo di fatica e di cui ero in genere io a eseguire le parti principali. Per la musica e il canto, oltre alle mie lezioni saltuarie, aveva il miglior maestro della zona; e in quelle arti, come nella danza, divenne senza dubbio molto brava. Alla musica dedicava addirittura troppo tempo, come non mancavo di dirle, pur essendo la sua istitutrice: ma sua madre pensava che se la musica le piaceva non poteva mai dedicare troppo tempo all'apprendimento di un'arte così piena di attrattive. Del piccolo punto non sapevo nulla, se non quello che imparavo dalla mia allieva e dalla mia osservazione; ma appena venni iniziata, subito si servì di me in mille modi, e tutti gli aspetti più noiosi del lavoro ricadevano sulle mie spalle: sistemare il telaio, fermare il canovaccio, scegliere le lane e le sete, riempire gli sfondi, contare i punti, correggere gli errori e finire i lavori di cui lei si era stancata. A sedici anni la signorina Murray era ancora una monella, sebbene non più di quanto sia naturale e accettabile in una ragazza di quella età; ma a diciassette, tale caratteristica, come ogni altra cosa, cominciò a cedere il campo alla passione dominante e venne assorbita nella pervadente ambizione di attrarre e abbagliare l'altro sesso. Ma di lei ho parlato abbastanza; passiamo ora a sua sorella. La signorina Matilda Murray era un vero ragazzaccio di cui non è necessario dire molto. Aveva circa due anni e mezzo meno della sorella; i lineamenti erano più grandi, la carnagione molto più scura. Forse poteva diventare una donna di maestosa bellezza; ma aveva l'ossatura troppo grande e era troppo goffa per poter essere mai una ragazza graziosa, e per il momento non le importava molto. Rosalie era consapevole di tutte le sue attrattive, le giudicava anche maggiori di quel che fossero e le considerava più di quel che avrebbe dovuto, quando pure fossero state tre volte tanto; Matilda pensava di essere passabile, ma la cosa la lasciava indifferente; ancora meno si preoccupava di coltivare la mente e di apprendere. Imparava le lezioni e si esercitava nella musica in un modo che sembrava fatto per la disperazione di ogni istitutrice. Per quanto fossero brevi e facili i suoi compiti, se pure li eseguiva li eseguiva in modo trascurato, quando e come capitava; ma in genere nei momenti meno adatti e nel modo meno utile per lei e meno soddisfacente per me; nella mezz'ora di esercizi al piano, strimpellava atrocemente e non mi risparmiava gli insulti: perché la interrompevo correggendola o perché non correggevo i suoi errori prima che li commettesse o per altre cause altrettanto irragionevoli. Una o due volte volli protestare seriamente con lei per questa condotta irrazionale; ma in entrambi i casi ricevetti tali osservazioni dalla madre da convincermi che, se volevo conservare il posto, dovevo lasciare che la signorina Matilda facesse quello che voleva. Finita la lezione, però, finiva di consueto anche il suo cattivo umore: quando cavalcava il suo vivacissimo pony o giocava con i cani o con i fratelli e la sorella, ma soprattutto con il prediletto John, era felice come un'allodola. Come essere animale, Matilda era perfetta, piena di vita, di vigore, di attività; come essere intelligente, era barbaramente ignorante, indocile, trascurata e irrazionale, e di conseguenza era una disperazione per chi aveva il compito di coltivare la sua intelligenza, migliorare i suoi modi e aiutarla a acquistare quelle doti di grazia e portamento che, a differenza della sorella, disprezzava come tutto il resto; in parte la madre si rendeva conto di tali carenze, e mi ammoniva spesso sul modo di formare il gusto di Matilda e di cercare di destare e nutrire le acque morte della sua vanità; e di ottenere la sua attenzione verso gli obiettivi desiderati con un'abile, discreta adulazione - cosa che io non volevo fare; e mi spiegava come appianare e addolcire il sentiero dell'istruzione affinché lei potesse scivolarvi sopra senza alcuno sforzo cosa che io non potevo fare, poiché nulla può venire davvero insegnato senza qualche sforzo da parte di chi apprende. Come essere morale, Matilda era stordita, testarda, violenta e insensibile alla ragione. Testimonianza dello stato deplorevole della sua mente era tra l'altro il fatto che aveva imparato dal padre a imprecare come un soldato. La madre si scandalizzava molto di quelle «abitudini poco signorili» e si chiedeva «dove mai le avesse prese». «Ma voi saprete presto liberarla, signorina Grey» diceva. «E' soltanto un'abitudine, e se voi glielo farete osservare con garbo ogni volta che lei lo fa, sono certa che non tarderà a liberarsene.» Non soltanto io glielo «facevo osservare con garbo»: cercavo di farle capire quanto fosse sbagliato, e offensivo per la gente ammodo; ma era tutto inutile: in risposta ottenevo soltanto una risata indifferente accompagnata da: «Oh, signorina Grey, come siete scandalizzata! Mi fa proprio piacere!» O da: «Non posso farci niente; papà non me lo avrebbe dovuto insegnare: ho imparato tutto da lui; e forse qualcosa dal cocchiere». Suo fratello John, vale a dire il signorino Murray, aveva circa undici anni al mio arrivo: un bel bambino sano e robusto, in complesso sincero e di buon carattere, che avrebbe potuto essere un bravo ragazzo se fosse stato educato; ma al momento era rozzo come un cucciolo d'orso, chiassoso, ribelle, indocile, ineducato, ineducabile quanto meno da un'istitutrice sotto gli occhi della madre; probabilmente a scuola i suoi insegnanti avranno fatto di meglio: poiché venne mandato a scuola, con mio grande sollievo, nell'anno del mio arrivo; in uno stato, è vero, di scandalosa ignoranza del latino come delle altre cose più utili seppure più trascurate: il che, senza dubbio, sarebbe stato attribuito al fatto che la sua istruzione era stata affidata a una istitutrice ignorante, che aveva avuto la presunzione di occuparsi di qualcosa in cui era affatto incompetente. Del fratello venni liberata soltanto un anno dopo, quando anche lui fu spedito a scuola in un identico e vergognoso stato di ignoranza. Il signorino Charles era il tesoro della mamma. Aveva poco più di un anno meno di John, ma era molto più piccolo, più pallido e meno attivo e robusto; un bambino dispettoso, vigliacco, capriccioso, egoista, attivo soltanto quando si trattava di combinare guai, intelligente soltanto nell'inventare bugie: non semplicemente per nascondere i propri sbagli, ma, mosso da vera e propria malizia, per danneggiare gli altri; a farla breve, il signorino Charles era per me una vera spina: vivere in buona armonia con lui metteva a dura prova la pazienza; sorvegliarlo era ancora più difficile; istruirlo, o fingere di istruirlo, era semplicemente inconcepibile. A dieci anni non era in grado di leggere correttamente la riga più facile nel libro più semplice; e poiché, per rispettare i principi di sua madre, bisognava dirgli ogni parola prima ancora che avesse il tempo di esitare o di esaminarne l'ortografia, né si poteva mai fargli sapere, per stimolarlo, che altri ragazzi erano più avanti di lui, non c'è da stupirsi se fece ben pochi progressi nei due anni in cui mi occupai della sua istruzione. Bisognava ripetergli brevissime parti della grammatica latina e di ogni altra materia fino a quando non decideva di dire che le conosceva, poi era necessario aiutarlo a ripeterle a sua volta: se commetteva sbagli nelle facilissime somme di aritmetica, bisognava mostrarglieli subito, rifacendo per lui il calcolo, invece di lasciare che esercitasse lui la sua intelligenza trovandoli da solo; di conseguenza, non faceva naturalmente nessuno sforzo per evitare gli sbagli, ma spesso scriveva le cifre a caso, senza fare alcun calcolo. Non rispettavo sempre quelle regole: sarebbe stato contro la mia coscienza farlo; ma era ben raro che potessi azzardarmi a cambiarle sia pure minimamente senza incorrere nella collera del mio piccolo allievo, e in seguito della sua mamma, a cui lui riferiva le mie trasgressioni esagerandole maliziosamente o aggiungendovi particolari inventati; mi trovai spesso di conseguenza sul punto di dimettermi dal posto o di venir licenziata; ma per amore di quanti mi attendevano a casa, soffocavo il mio orgoglio e tenevo a freno il mio sdegno, e riuscii a tenere duro fino a quando il mio piccolo aguzzino venne mandato a scuola, il padre avendo dichiarato che l'istruzione domestica «non andava per lui, era chiaro come il sole; sua madre lo vizia vergognosamente, e l'istitutrice non ne tira fuori nulla». Ancora qualche osservazione su Horton Lodge e quel che vi accadeva, e per il momento ho finito le aride descrizioni. La casa era di tutto rispetto, superiore a quella del signor Bloomfield per antichità, dimensioni e ricchezza; il giardino non era disegnato con altrettanto gusto; ma invece dei prati ben curati, dei giovani alberi sorretti da palizzate, dei boschetti di pioppi, e della abetaia, c'era un vasto parco, con cervi e begli alberi antichi. La campagna circostante era gradevole, se campi fertili, alberi in fiore, verdi, tranquilli sentieri fiancheggiati da siepi ridenti di fiori selvatici potevano renderla tale; ma appariva tristemente piatta a chi fosse nata e cresciuta tra le aspre colline di... Eravamo a circa tre chilometri dalla chiesa del villaggio: la carrozza di famiglia veniva dunque utilizzata ogni domenica mattina e a volte più spesso. I signori Murray giudicavano sufficiente mostrarsi in chiesa una sola volta la domenica; ma spesso i ragazzi preferivano andarci una seconda volta piuttosto che vagare nel parco tutto il giorno senza niente da fare. Se qualcuno dei miei allievi preferiva andare a piedi e prendermi con sé, per me era una fortuna; altrimenti in carrozza dovevo sedere schiacciata nell'angolo più lontano dal finestrino aperto, con la schiena ai cavalli, in una posizione che mi faceva sempre star male; quando non ero addirittura costretta a uscire dalla chiesa durante la funzione, le mie preghiere erano comunque turbate da un senso di languore e di malessere e dal tormentoso timore di sentirmi ancora peggio; e in genere mi accompagnava un pesante mal di testa per tutta la giornata, che sarebbe stata altrimenti una gradita giornata di riposo e di tranquillo, santo godimento. «E' molto strano, signorina Grey, che la carrozza vi faccia sempre star male: a me non succede mai» osservava la signorina Matilda. «Neanche a me» diceva sua sorella «ma immagino che mi succederebbe se mi mettessi dove siede lei: un posto orribile, signorina Grey, non capisco come possiate sopportarlo!» "Sono costretta a sopportarlo, perché non mi viene lasciata alcuna scelta" avrei potuto rispondere; ma per non offendere i loro sentimenti mi limitavo a dire: «Oh, è un tragitto breve, e purché non mi senta male in chiesa non ha importanza.» Se mi venisse chiesto di descrivere le occupazioni abituali di una giornata, lo troverei molto difficile. Prendevo i pasti nella sala da studio con i miei allievi, all'ora che preferivano: a volte suonavano per il pranzo quando ancora non era cotto; a volte lo tenevano a freddarsi più di un'ora e poi si lamentavano perché le patate erano fredde, e nel sugo, gelato, galleggiavano macchie gialle di grasso; qualche volta prendevano il tè alle quattro; spesso gridavano con i domestici perché il tè non era pronto alle cinque precise; e quando i loro ordini venivano eseguiti, per incoraggiare la puntualità lo tenevano a aspettare sul tavolo fino alle sette o alle otto. Le ore di studio erano organizzate con lo stesso disordine; non mi veniva mai chiesto che cosa ne pensassi o che cosa mi riuscisse più comodo. A volte Matilda e John decidevano di «finirla con quella pestifera faccenda prima di colazione» e mandavano la cameriera a chiamarmi alle cinque e mezzo, senza farsi scrupolo e senza scusarsi; a volte mi dicevano di tenermi pronta alle sei precise, io mi vestivo in gran fretta, scendevo, trovavo la stanza vuota, e dopo avere atteso a lungo scoprivo che avevano cambiato idea e che erano ancora a letto; oppure, se era una bella mattina d'estate, la Brown veniva a dirmi che le signorine e i signorini si erano presi una vacanza e erano usciti; allora mi toccava aspettare la prima colazione fino a sentirmi svenire di debolezza: loro avevano mangiato qualcosa prima di uscire. Spesso facevamo lezione all'aria aperta, e io non avrei avuto nulla in contrario se non avessi più di una volta preso freddo sedendo sull'erba umida o esponendomi alla rugiada della sera o a qualche insidiosa corrente che non sembrava avere alcun effetto su di loro. Andava benissimo che loro fossero forti e rotti a tutto, ma senza dubbio avrebbero potuto imparare a avere un po' di considerazione per chi non lo era altrettanto. Tuttavia, non devo biasimarli per quella che forse era colpa mia, poiché accettavo sempre senza obiezioni di fare lezione dove volevano; preferendo scioccamente rischiarne le conseguenze per non essere di disturbo a loro. Il modo indecoroso in cui seguivano le lezioni non era meno singolare della capricciosa bizzarria di cui davano prova nella scelta del tempo e del luogo. Mentre mi ascoltavano o ripetevano quello che avevano imparato, se ne stavano sdraiati su un divano, distesi sul tappeto, si stiravano, sbadigliavano, parlavano tra loro o guardavano fuori dalla finestra; ma io non potevo smuovere il fuoco o chinarmi a raccogliere il fazzoletto che mi era caduto senza essere accusata di distrazione da uno dei miei allievi, senza sentirmi dire che «alla mamma non sarebbe piaciuto sapermi così trascurata». La servitù, vedendo con quanto poco rispetto l'istitutrice veniva trattata dai genitori e dai figli, si comportava di conseguenza. Li ho spesso difesi, rischiando io stessa, contro la tirannia e l'ingiustizia dei loro padroncini; e ho sempre cercato di dare il minor disturbo possibile: ma loro non si curavano affatto del mio benessere, ignoravano le mie richieste, trascuravano le mie istruzioni. Non tutta la servitù, ne sono certa, si sarebbe comportata così; ma la servitù in genere, ignorante e poco abituata a ragionare e a riflettere, si lascia sviare facilmente dalla trascuratezza e dal cattivo esempio dei suoi superiori; e questi ultimi, non credo proprio fossero dei migliori. A volte mi sentivo avvilita dalla vita che conducevo e mi vergognavo di accettare quelle umiliazioni; altre volte mi trovavo sciocca a preoccuparmene tanto e temevo di essere tristemente priva di umiltà cristiana, o di quella carità che è paziente, è benigna, non cerca il suo interesse, non si adira, tutto crede, tutto sopporta. (6) Ma, con il tempo e la pazienza, le cose cominciarono a migliorare: lentamente, è vero, quasi impercettibilmente; però mi liberai dei miei allievi maschi (un non piccolo vantaggio), e le ragazze, come già ho accennato parlando di una di loro, diventarono un po' meno insolenti e cominciarono a dar prova di una certa stima. La signorina Grey era una creatura strana: non adulava mai e non le lodava abbastanza; ma quando parlava bene di loro, o di qualcosa che le riguardava, potevano essere certe che si trattava di un apprezzamento assolutamente sincero. Era in complesso molto gentile, tranquilla e pacifica, ma alcune cose le facevano perdere la pazienza; non che gliene importasse molto, certo, ma tanto valeva tenerla di buon umore, perché quando era di buon umore parlava con loro e qualche volta era molto simpatica e divertente a suo modo: un modo molto diverso da quello della mamma, ma andava bene, tanto per cambiare. Aveva una sua opinione su ogni argomento e non la cambiava: opinioni spesso molto noiose, perché pensava sempre a che cosa era bene e che cosa era male e aveva una strana reverenza per quello che riguardava la religione e una inspiegabile simpatia per le persone per bene. NOTE: (1) L'espressione «mondo di acque» (world of waters), che ritorna nel capitolo finale, è presa da Milton, Il Paradiso perduto, III, II. (Ndt) (2) Nuova citazione lievemente inesatta dalle Stagioni di Thomson («L'inverno», vv. 802-3); la Brontë sostituisce tossed a lost e heavy laden a heavyloaded (il senso sostanzialmente non cambia, anche se tossed è un modo più drammatico per esprimere il concetto dei deserti «perduti» nella neve). (Ndt) (3) Cfr. Shakespeare, Molto rumore per nulla, III, V, 20-22; Dogberry, il capo della ronda di notte che si trova a svolgere nella commedia il ruolo di un bizzarro e confuso deus ex machina, si imbroglia sempre nelle parole e finisce spesso, nell'ansia di essere cortese, per rivelarsi offensivo; in questo caso, dopo aver ricordato che i paragoni sono sempre «odorosi», si dichiara pronto a fare dono di tutta la sua noia, quando pure fosse mille volte quella che è. (Ndt) (4) Si tratta di un testo di latino molto usato nell'Ottocento, il Delectus Sententiarum et Historiarum di Richard Valpy, di cui la stessa Anne Brontë possedeva una copia, e che anche Charlotte Brontë cita, in Jane Eyre. (Ndt) (5) Significativamente, un personaggio come la signora Murray sbaglia la citazione biblica, che non soltanto non è in Matteo ma non è in nessuno dei quattro Vangeli; è dalla I Lettera di San Pietro, 3, 3-4: «Il vostro ornamento non sia quello esteriore [...]; cercate piuttosto di adornare l'interno del vostro cuore con un'anima incorruttibile piena di mitezza e di pace». (Ndt) (6) Cfr. I Lettera ai Corinzi, 13, 4-7. (Ndt) VIII. Il «debutto in società» A diciotto anni la signorina Murray sarebbe emersa dalla tranquilla oscurità della sala da studio al pieno fulgore del bel mondo - o di quello che, del bel mondo, si poteva avere fuori da Londra: suo padre infatti non intendeva rinunciare ai piaceri e agli impegni agresti neppure per un soggiorno di poche settimane in città. Avrebbe fatto il suo debutto il 3 gennaio, a uno splendido ballo che la mamma intendeva offrire a tutta l'alta nobiltà e alla élite della piccola aristocrazia di O... e delle vicinanze, nel raggio di trenta chilometri. Pensava naturalmente a quell'evento con la più sfrenata impazienza e aspettandosene stravaganti delizie. «Signorina Grey» mi disse una sera, un mese prima della memorabile giornata, mentre io leggevo una lunga e interessantissima lettera di mia sorella che la mattina avevo appena scorso per controllare che non vi fossero brutte notizie e avevo messo da parte non avendo trovato prima un momento tranquillo per leggerla «signorina Grey, mettete via quella stupida noiosa lettera e statemi a sentire! Sono certa che la mia conversazione sia molto più divertente.» Sedette sullo sgabello ai miei piedi; io, soffocando un sospiro esasperato, cominciai a piegare la lettera. «Dovreste dire alla brava gente di casa vostra di non annoiarvi con lettere così lunghe» osservò «e soprattutto ditegli che scrivano su una carta da lettere decente e non su quei fogli enormi, che sono così volgari. Dovreste vedere come sono eleganti e signorili i bigliettini che la mamma scrive alle amiche.» «La brava gente di casa mia» risposi «sa benissimo che, più le lettere sono lunghe e più mi fanno piacere. Mi dispiacerebbe molto ricevere da qualcuno di loro un bigliettino signorile; e credevo foste voi stessa troppo signorile, signorina Murray, per parlare della "volgarità" di lettere scritte su fogli larghi.» «Ma l'ho detto soltanto per scherzare. Adesso voglio parlare del ballo; e dirvi che dovete assolutamente rimandare le vacanze a dopo il ballo.» «E perché? Io non parteciperò al ballo.» «No, ma vedrete le stanze decorate e sentirete la musica e soprattutto vedrete me nel mio bellissimo vestito nuovo. Sarò così incantevole che voi mi adorerete... dovete proprio fermarvi.» «Mi piacerebbe vedervi; ma avrò molte occasioni di vedervi non meno incantevole a uno degli innumerevoli balli e ricevimenti futuri, e non posso deludere i miei cari rimandando di tanto il mio ritorno.» «Oh, ma non ci badate ai vostri cari! Ditegli che non vi permettiamo di andare.» «Vedete, per essere sincera, sarei delusa anch'io: sono ansiosa di vederli non meno di quanto loro lo siano di vedere me - forse di più.» «Ma è così poco tempo.» «Quasi due settimane secondo i miei calcoli; e inoltre non sopporto l'idea di passare il Natale lontano da casa: senza dire che mia sorella si sposa.» «Davvero? quando?» «Non prima del mese prossimo: ma voglio essere presente per aiutarla nei preparativi e per godere della sua compagnia finché l'abbiamo con noi.» «Perché non me lo avete detto prima?» «L'ho saputo solo da questa lettera, che voi definite stupida e noiosa e mi impedite di leggere.» «Chi sposa?» «Il signor Richardson, il titolare (1) di una parrocchia vicina.» «E' ricco?» «No, soltanto agiato.» «E' bello?» «No, soltanto passabile.» «Giovane?» «No, soltanto di mezza età.» «Oh, povera me, che pianto! E la casa com'è?» «Una tranquilla canonica, con un portico ricoperto d'edera, un giardino all'antica e...» «O basta! mi fate star male. Ma come fa a sopportarlo?» «Immagino che non soltanto saprà sopportarlo, ma che sarà molto felice. Non mi avete chiesto se il signor Richardson è un uomo buono, saggio o amabile; avrei risposto di sì a tutte queste domande: quanto meno, è quel che pensa Mary, e spero che non si sia ingannata.» «Ma povera creatura, come può pensare di passare la vita là, chiusa con quell'antipatico vecchio, e senza nessuna speranza di cambiamento?» «Non è vecchio; ha soltanto trentasei o trentasette anni, e mia sorella ne ha ventotto, e è tranquilla e posata come ne avesse cinquanta.» «Oh, allora così va meglio: sono bene assortiti: ma lo chiamano il "degno signor parroco"?» «Non lo so; ma se lo fanno, credo che lui meriti l'aggettivo.» «Terribile! e lei porterà un grembiulino bianco e preparerà focacce e pudding?» «Non saprei per quanto riguarda il grembiulino bianco, ma immagino che ogni tanto preparerà focacce e pudding: non sarà una gran fatica, perché lo ha già fatto.» «E girerà con un modesto scialle e un largo cappello di paglia distribuendo opuscoli edificanti e brodo di ossa ai parrocchiani poveri del marito?» «Non saprei proprio; ma sono certa che farà del suo meglio per farli star bene nel corpo e nella mente, seguendo l'esempio di nostra madre.» NOTE: (1) Nell'originale, vicar, vale a dire «parroco di una parrocchia le cui decime sono nelle mani di laici»; Hatfield è rector, «parroco di una parrocchia che ha conservato le decime»; e Weston, prima di diventare a sua volta vicar, è curate, coadiutore, viceparroco, pagato generalmente, come qui è il caso, dal parroco titolare. Non essendo l'ordinamento della chiesa anglicana uguale a quello della chiesa cattolica, non è sempre facile rendere l'espressione inglese con un'espressione italiana che corrisponda pienamente alla realtà delle cose; nella chiesa cattolica il rettore (con cui è stata tradotta la parola rector) designava anticamente il parroco, ma adesso indica (oltre al rettore di un seminario) il sacerdote che regge una chiesa non parrocchiale (né cattedrale o capitolare, o di una comunità religiosa). (Ndt) IX. Il ballo «E adesso, signorina Grey» esclamò la signorina Murray appena io entrai nella sala da studio dopo essermi tolta gli abiti di fuori al mio ritorno dalle quattro settimane di vacanza «adesso chiudete la porta, sedete e vi racconterò tutto del ballo.» «No, d........e, no!» gridò la signorina Matilda. «Non puoi tenere il becco chiuso? e lasciarmi parlare della mia nuova giumenta - un vero schianto, signorina Grey, una bella purosangue...» «Stai zitta, Matilda, e lasciami raccontare per prima.» «No, no, Rosalie; ci metterai tanto di quel do.....o tempo a raccontare: deve ascoltare prima me; possa essere impiccata se non farà così.» «Mi dispiace sentire, signorina Matilda, che non vi siete ancora liberata da quella orribile abitudine.» «Non so che farci; ma non dirò mai più una brutta parola, se mi state a sentire e dite a Rosalie di tenere chiuso quel suo maledetto becco.» Rosalie protestò, e io cominciai a temere che mi avrebbero strappato in due; ma la signorina Matilda aveva una voce più forte, e sua sorella infine cedette e le permise di raccontare per prima; ero dunque condannata a ascoltare un lungo resoconto della sua meravigliosa giumenta, dei suoi genitori e del suo pedigree, del suo ritmo, del suo movimento, della sua vivacità, eccetera eccetera, e dello straordinario coraggio e abilità di Matilda stessa nel cavalcarla; concluso con l'affermazione che sapeva saltare un cancello a cinque sbarre «in un battibaleno» e che papà aveva detto che al prossimo raduno di caccia lei avrebbe potuto essere presente e mamma le aveva ordinato un abito da amazzone rosso scarlatto. «Oh, Matilda, quante fandonie racconti!» esclamò sua sorella. «Be'» rispose la ragazza senza lasciarsi scomporre «sono certa che potrei saltare un cancello a cinque sbarre se provassi, e papà dirà che posso partecipare alla caccia e mamma ordinerà l'abito da amazzone quando io glielo chiederò.» «Bene, adesso basta, cara Matilda, e cerca di comportarti da signora. Signorina Grey, vorrei proprio che le diceste di non usare parole tanto scandalose; insiste nel chiamare "giumenta" il suo cavallo: è incredibilmente scandaloso! E poi usa espressioni orribili nel descriverlo: certamente le ha imparate dai mozzi di stalla. Mi fa diventare isterica quando comincia.» «Le ho imparate da papà, idiota! e dai suoi amici» ribatté la signorina, facendo vigorosamente schioccare un frustino che aveva l'abitudine di tenere in mano. «Non sono da meno di nessuno nel giudicare i cavalli.» «Ma adesso basta, sei una ragazza scandalosa. Mi verrà davvero una crisi di nervi se continui così. E ora, signorina Grey, ascoltate me; vi parlerò del ballo. Sono certa che moriate dalla voglia di sentirlo. Che ballo è stato! Non avete mai visto o sentito o letto o sognato niente di simile in vita vostra! Gli addobbi, gli intrattenimenti, la cena, la musica erano indescrivibili! e gli ospiti poi! C'erano due lord, tre baronetti e cinque signore titolate, e altre signore e gentiluomini a centinaia. Delle signore, certo, non mi importava molto: servivano soltanto a farmi sentire di buon umore con me stessa, tanto erano per la maggior parte brutte e goffe; e le più belle, mi ha detto mamma - le bellezze più incredibilmente straordinarie non erano niente paragonate a me. E quanto a me, signorina Grey, mi dispiace tanto che non mi abbiate vista! Ero incantevole... non è vero, Matilda?» «Potevi andare.» «No, lo ero davvero - almeno, mamma ha detto che lo ero... e anche la Brown e la Williamson. La Brown ha detto che certo nessun gentiluomo poteva vedermi senza innamorarsi all'istante; quindi, posso permettermi di essere un po' vanitosa. Lo so che mi considerate una ragazza sventata, presuntuosa, frivola; ma non dovete credere che io attribuisca tutto alle mie attrattive personali: do una parte del merito al parrucchiere, e una parte al mio delizioso vestito - domani ve lo mostrerò velo bianco su raso rosa... e un taglio così bello! e una collana e un braccialetto di perle grandi così!» «Sono certa che foste molto bella; ma dovreste davvero rallegrarvene tanto?» «Oh, no... non per quello soltanto; ma vedete, sono stata così ammirata; e ho fatto tante conquiste in una sola sera... vi stupirebbe sentire...» «Ma a che cosa vi serviranno?» «A che cosa mi serviranno? Ma come può una donna fare una domanda simile?» «Mi sembra che una conquista sia abbastanza, e anche troppo, se la conquista non è stata reciproca.» «Lo sapete bene che su queste cose non sono mai d'accordo con voi. Aspettate adesso: vi dirò i miei più grandi ammiratori - quelli che si sono fatti soprattutto notare quella sera e in seguito: perché da allora sono stata a due ricevimenti. Purtroppo i due aristocratici, Lord G... e Lord F..., erano sposati, o mi sarei forse degnata di essere particolarmente amabile con loro; ma non l'ho fatto, anche se Lord F..., che odia sua moglie, era palesemente molto colpito da me. Mi ha chiesto due volte di ballare con lui, è un ottimo ballerino, tra l'altro, e anch'io lo sono... non potete immaginare quanto ballassi bene... io stessa ne ero stupita. Anche lui mi faceva molti complimenti... - ne faceva troppi, a dire la verità - e mi è parso conveniente prendere un'aria altera e un po' scostante; ma ho avuto il piacere di vedere quella brutta bisbetica di sua moglie diventare verde di rabbia e dispetto...» «Oh, signorina Murray, non vorrete dire sul serio che una cosa simile poteva farvi piacere! Per quanto bisbetica o...» «Sì, lo so che non è bene... ma non importa! Una volta o l'altra mi deciderò a essere buona, ma adesso non fate la predica, siate gentile... Non vi ho ancora detto neanche la metà... Vediamo... Oh, sì, volevo dirvi quanti inequivocabili ammiratori ho avuto: uno era sir Thomas Ashby; sir Hugh Meltham e sir Broadley Wilson sono due vecchi decrepiti, buoni solo per stare in compagnia con papà e mamma. Sir Thomas è giovane, ricco, allegro; ma è brutto come il peccato; però la mamma dice che dopo averlo conosciuto per qualche mese non ci baderei più. Poi c'era Harry Meltham, il figlio più giovane di sir Hugh: piuttosto bello e simpatico per amoreggiarci un po'; ma è un cadetto, e può andar bene solo per questo; poi c'era il giovane signor Green, abbastanza ricco ma di una famiglia che non conta niente, un ragazzone stupido, un vero scioccone di campagna; e poi il nostro rettore, il signor Hatfield, che dovrebbe considerarsi un umile ammiratore; ma temo che abbia dimenticato di annoverare l'umiltà tra le sue virtù cristiane.» «Era al ballo il signor Hatfield?» «Sì, certo. Pensavate fosse troppo virtuoso per andarci?» «Pensavo potesse considerarlo poco adatto a un ecclesiastico.» «No davvero. Non ha offeso l'abito ballando, questo no, ma faticava molto a trattenersi, pover'uomo: sembrava morisse dalla voglia di chiedermi almeno una danza... A proposito, ha un nuovo coadiutore: quel vecchietto del signor Bligh ha finalmente ottenuto la tanto desiderata parrocchia e se n'è andato.» «E com'è il nuovo?» «Oh, un uomo impossibile! Si chiama Weston. Posso descrivervelo con tre parole: uno zuccone sciocco, brutto e stupido. Sono quattro, ma non importa... basta ora parlare di lui.» Ritornò infatti a parlare del ballo e mi descrisse nuovamente la sua condotta quella sera e ai molti ricevimenti ai quali era stata in seguito; e mi diede nuovi particolari su sir Thomas Ashby e sui signori Meltham, Green e Hatfield e sulla incancellabile orma che aveva lasciato nei loro cuori. «E quale dei quattro preferite?» chiesi, soffocando il terzo o quarto sbadiglio. «Li detesto tutti!» ribatté lei scuotendo i riccioli luminosi in un vivace gesto di sdegno. «Il che significa, immagino, che vi piacciono tutti, ma quale vi piace di più?» «No, li detesto davvero; ma Harry Meltham è il più bello e più simpatico e il signor Hatfield il più intelligente, sir Thomas il meno raccomandabile e il signor Green il più stupido. Ma quello che mi toccherà prendere, immagino, se sono destinata a prendere uno di loro, è sir Thomas Ashby.» «No di certo, se è poco raccomandabile e lo detestate.» «Oh, non mi importa che sia un poco di buono: lo rende più simpatico; e quanto a detestarlo... non mi dispiacerebbe poi molto diventare Lady Ashby di Ashby Park se proprio devo sposarmi; ma se potessi restare sempre giovane, vorrei restare sempre nubile. Mi piacerebbe divertirmi davvero e civettare con tutti fino al momento di diventare una zitella; allora, per sfuggire tale vergogna, dopo aver fatto diecimila conquiste, spezzare tutti quei cuori tranne uno, sposando un marito di nascita nobile, ricco, indulgente, che altre cinquanta signore si disputavano.» «Finché avete queste idee, restate nubile, mi raccomando, e non sposatevi mai, neppure per sfuggire la vergogna di rimanere zitella.» X. la chiesa «Dunque, signorina Grey, che cosa pensate del nuovo coadiutore?» mi chiese la signorina Murray al nostro ritorno dalla chiesa la domenica successiva alla ripresa del mio lavoro. «Non potrei dirlo» risposi. «Non l'ho neppure sentito predicare.» «D'accordo, ma lo avete visto, no?» «Sì, ma non posso pensare di giudicare il carattere di un uomo dopo un solo sguardo al suo viso.» «Ma non è brutto?» «Non mi è parso tale; non mi dispiace quel tipo di fisionomia: ma la sola cosa che davvero ho notato in lui è il suo stile di lettura; e mi è sembrato buono... molto migliore, in ogni caso, di quello del signor Hatfield. Ha letto come volesse dare forza a ogni singolo brano: sembrava che neppure le persone più distratte potessero evitare di ascoltare e neppure le più ignoranti potessero non capire; e le preghiere le leggeva come non stesse leggendo, ma pregando con fervore e sincerità dal profondo del cuore.» «Oh, sì, non sa fare altro; nel servizio divino riesce a cavarsela bene; ma al di fuori di quello non ha idee.» «Come fate a saperlo?» «Oh, lo so benissimo; sono cose che capisco molto bene. Avete visto come è uscito di chiesa? camminando dritto davanti a sé, quasi ci fosse stato soltanto lui - senza guardare né a destra né a sinistra: era chiaro che pensava unicamente a uscire dalla chiesa e forse a tornare a casa per il pranzo: non c'erano altre idee in quel testone sciocco.» «Immagino avreste voluto vedergli lanciare un'occhiata al banco dello squire» risposi, ridendo di quella veemente ostilità. «Questa poi! Mi sarei offesa moltissimo se avesse osato tanto» ribatté lei, scuotendo il capo in un gesto altero; poi, dopo una breve riflessione, aggiunse: «In fondo, immagino che possa andare per il posto che occupa, ma sono lieta di non dover contare su di lui per i miei svaghi, ecco tutto. Avete visto come si è precipitato fuori il signor Hatfield per fare in tempo a salutarmi e a aiutarci a salire in carrozza?» «Sì» risposi, aggiungendo tra me: "E mi è parso poco dignitoso per un ecclesiastico volare giù dal pulpito tutto ansioso di stringere la mano allo squire e di aiutare sua moglie e le figlie a salire in carrozza; per di più sono seccata con lui perché me ne ha quasi chiuso fuori". Sebbene infatti gli stessi proprio di fronte e fossi vicinissima al predellino della carrozza, aspettando di salire, insisteva nell'aiutare le altre signore e nel chiudere la portiera, finché non lo aveva fermato qualcuno della famiglia dicendogli che l'istitutrice non era ancora salita; allora, senza una parola di scuse, se ne era andato salutando e lasciando che fosse lo staffiere a finire il suo compito. Nota bene: Il signor Hatfield non parlava mai con me, né sir Hugh o Lady Meltham, né il signor Harry o la signorina Meltham, né il signor Green o le sue sorelle, né alcuno dei frequentatori della chiesa: per essere precisi, nessun visitatore di Horton Lodge mi rivolgeva mai la parola. La signorina Murray ordinò nuovamente la carrozza nel pomeriggio per sé e la sorella: disse che faceva troppo freddo per passeggiare in giardino, e inoltre pensava che Harry Meltham sarebbe andato in chiesa. «Infatti» aggiunse, sorridendo con aria allusiva alla sua bella immagine riflessa nello specchio «nelle ultime domeniche è stato un fedele esemplare: lo avreste creduto un perfetto cristiano. E potete venire con noi, signorina Grey, voglio che lo vediate; è tanto migliorato da quando è tornato dall'estero... non potreste immaginare quanto! E per di più avrete l'occasione di rivedere il bel signor Weston e di sentirlo predicare.» Lo sentii infatti predicare e mi piacque molto la verità evangelica della sua dottrina, così come la fervida semplicità dei suoi modi e la chiarezza e la forza del suo stile. Era un piacevole cambiamento ascoltare sermoni simili dopo essere stati abituati agli aridi, tediosi discorsi del suo predecessore e alle declamazioni ancora meno edificanti del rettore, che se ne veniva veleggiando lungo la navata, o piuttosto turbinando come una tromba d'aria, con la tonaca di ricca seta svolazzante e frusciante contro i banchi, e saliva sul pulpito come un conquistatore sul carro trionfale; poi, sprofondando sul cuscino di velluto in un atteggiamento di studiata eleganza, rimaneva qualche tempo inginocchiato in silenzioso raccoglimento; quindi borbottava una Colletta, diceva in fretta il Padre Nostro, si alzava, si toglieva un immacolato guanto color lavanda per offrire ai fedeli la vista degli anelli luccicanti, si passava lievemente le dita tra i bei capelli arricciati, tirava fuori un fazzoletto di percalle, recitava un brevissimo brano o soltanto una frase della Scrittura come epigrafe della sua omelia, e infine pronunciava l'omelia, che si poteva considerare ben costruita, sebbene troppo studiata e artificiale per soddisfare me; le tesi erano enunciate con chiarezza, le argomentazioni erano condotte con logica serrata; pure, era a volte difficile ascoltarlo in silenzio fino alla fine, senza esprimere in qualche modo disapprovazione o impazienza. I suoi temi preferiti erano la disciplina ecclesiastica, i riti e le cerimonie, la successione apostolica, il dovere di rispettare il clero e di obbedirgli, la colpa orrenda del dissenso, (1) l'assoluta necessità di osservare tutte le forme di devozione, la riprovevole presunzione di alcuni individui che cercavano di pensare con la loro testa su argomenti relativi alla religione o di farsi guidare dalla loro interpretazione delle Scritture, e, di quando in quando (per compiacere i parrocchiani importanti), la necessità per i poveri di obbedire con deferenza ai ricchi; e appoggiava le sue massime e le sue esortazioni con citazioni tratte dai Padri della Chiesa, che sembrava conoscere molto meglio degli apostoli e degli evangelisti e considerare importanti almeno quanto loro. Ma ogni tanto pronunciava un sermone di diversa natura, che alcuni avrebbero definito ottimo, ma che era cupo e severo e rappresentava la Divinità come un maestro terribile e non come un Padre benevolo. Eppure, ascoltandolo, ero portata a pensare che quell'uomo fosse sincero in ogni sua parola; evidentemente aveva mutato opinione e era diventato profondamente religioso, cupo e austero, ma sempre devoto; di consueto però tali illusioni venivano dissipate, all'uscita dalla chiesa, ascoltando la sua voce impegnata in un gaio colloquio con qualcuno dei Meltham o dei Green o degli stessi Murray: spesso rideva del suo sermone e si augurava di aver dato materia di riflessione a quei bricconi; a volte esultava al pensiero che la vecchia Betty Holmes avrebbe ora rinunciato alla colpevole indulgenza della pipa, che da più di trent'anni ormai era il suo conforto quotidiano, che George Higgins per la paura avrebbe evitato di passeggiare la domenica, e Thomas Jackson avrebbe avuto tristi crisi di coscienza e avrebbe visto scossa la sua ferma speranza di una gioiosa resurrezione nell'ultimo giorno. Di conseguenza, potevo soltanto concludere che il signor Hatfield era di quelli che legano pesanti fardelli e li impongono sulle spalle della gente, ma loro non vogliono muoverli neppure con un dito, e annullano la parola di Dio in nome della loro tradizione insegnando come dottrina divina i precetti degli uomini. (2) Mi rallegrava vedere che il nuovo coadiutore, per quanto potevo capire, non gli somigliava in nessuno di questi aspetti. «Ebbene, signorina Grey, che cosa pensate adesso di lui?» chiese la signorina Murray quando salimmo in carrozza dopo il servizio. «Continuo a non pensarne niente di male» risposi. «Niente di male!» ripeté lei stupita. «Che intendete?» «Intendo che non penso di lui peggio di quanto pensassi prima.» «Non peggio! Lo credo bene: piuttosto il contrario! Non è molto migliorato?» «Oh, sì, molto davvero» annuii, avendo infine scoperto che si riferiva a Harry Meltham e non al signor Weston. Meltham si era fatto alacremente avanti per parlare alle signorine, come non avrebbe osato fare se fosse stata presente la madre; le aveva anche garbatamente aiutate a salire in carrozza, e non aveva cercato di chiudermi fuori come il signor Hatfield; né mi aveva, si intende, offerto il suo aiuto (non lo avrei accettato se lo avesse fatto), ma, finché la portiera era rimasta aperta, se ne era stato lì a chiacchierare e a fare smancerie con loro, e poi si era tolto il cappello e si era allontanato verso casa; ma io quasi non mi ero accorta di lui. Le mie due compagne, tuttavia, erano state più attente osservatrici, e, mentre la carrozza procedeva, parlarono tra loro non soltanto del suo aspetto, delle sue parole e delle sue azioni, ma di ogni lineamento del suo volto, di ogni suo capo di abbigliamento. «Non lo avrai tutto per te, Rosalie» disse la signorina Matilda per concludere. «Mi piace: sono certa che sarebbe un compagno simpatico e divertente per me.» «Puoi prendertelo, Matilda» rispose sua sorella ostentando indifferenza. «E sono sicura» continuò l'altra «che mi ammira non meno di quanto ammira te, vero, signorina Grey?» «Non so; non conosco i suoi sentimenti.» «Come volete, però è vero!» «Mia cara Matilda, nessuno ti ammirerà mai se non ti liberi di quei tuoi modi rozzi e goffi.» «Oh, sciocchezze! A Harry Meltham piacciono quei modi, e anche agli amici di papà.» «Forse potrai conquistare vecchi signori e figli cadetti; ma nessun altro, ne sono certa, si incapriccerà mai di te.» «Non mi importa; non sto sempre a pensare ai soldi come te e la mamma. Se mio marito può mantenere qualche buon cavallo e qualche buon cane, mi basterà; il resto può andare al diavolo!» «Se ti servi di espressioni così sconvenienti, non dubito che nessun vero gentiluomo si azzarderà mai a avvicinarti... Insomma, signorina Grey, non dovreste permetterle di parlare così.» «Non posso impedirglielo, signorina Murray.» «E ti sbagli di grosso, Matilda, se credi che Harry Meltham ti ammiri: ti assicuro che non è così.» Matilda si preparava a rispondere con rabbia; ma per fortuna il nostro viaggio era giunto alla fine, e la lite venne interrotta dallo staffiere che apriva la portiera e abbassava il predellino. NOTE: (1) Con il nome dissenters si indicano quanti non aderiscono alla established Church, alla religione ufficiale anglicana, ma a un'altra delle confessioni cristiane nate dalla Riforma. E' possibile tuttavia che qui si parli più generalmente di chi, pur non aderendo a un'altra confessione religiosa, dissente dalle dottrine e dall'autorità della chiesa anglicana. (Ndt) (2) Cfr. Matteo, 23, 4 e 15, 6-9: le accuse di Gesù agli scribi e ai farisei. (Ndt) XI. Gli affittuari Avendo ormai una sola allieva - sebbene questa sola riuscisse a darmi preoccupazioni come tre o quattro allieve normali e sebbene sua sorella prendesse ancora lezioni di tedesco e disegno - disponevo di molto più tempo per me di quanto mai avessi avuto il bene di averne da che mi ero imposta il giogo di istitutrice; e dividevo il mio tempo libero tra la corrispondenza con i miei cari, la lettura, lo studio, gli esercizi di musica, di canto, eccetera eccetera, e le passeggiate nel parco o nei campi vicini, con le mie allieve, se richiedevano la mia compagnia, sola in caso contrario. Spesso, quando non avevano sotto mano un'occupazione più gradevole, le signorine Murray si svagavano recandosi in visita dagli affittuari poveri della proprietà del padre per riceverne il lusinghiero omaggio o per ascoltare le vecchie storie o i pettegolezzi delle vecchiette loquaci; o forse per godere del piacere più puro di rallegrare la povera gente con la loro confortante presenza e i loro occasionali regali, donati con tanta facilità, accolti con tanta gratitudine. A volte mi veniva chiesto di accompagnare una delle sorelle o entrambe in queste visite; e a volte mi domandavano di andare da sola per mantenere una promessa che erano pronte a fare, molto meno a mantenere, per portare qualche piccolo dono o fare la lettura a qualcuno che era malato o aveva una natura riflessiva: strinsi così alcune amicizie tra gli affittuari, e a volte li andavo a trovare per conto mio. Di consueto mi dava maggior soddisfazione andare da sola, poiché le signorine Murray, soprattutto per le carenze nella loro educazione, si comportavano con gli inferiori in un modo cui mi era molto sgradito assistere. Non si mettevano mai con il pensiero al loro posto e di conseguenza non avevano alcun rispetto per i loro sentimenti, considerandoli una categoria di persone assolutamente diversa da loro. Guardavano mangiare quelle povere creature facendo osservazioni scortesi sul loro cibo e sui loro modi, ridevano della semplicità delle loro idee e delle loro espressioni dialettali, tanto che alcuni di loro neppure osavano parlare; chiamavano apertamente le persone anziane «vecchi pazzi» o «stupide vecchie», e tutto questo senza avere alcuna intenzione di offenderli. Io vedevo bene che la gente era spesso offesa e irritata da quel comportamento, anche se il loro timore delle «gran signore» li tratteneva dall'esprimere qualsiasi risentimento, ma loro non se ne accorgevano mai. Pensavano che quei contadini, essendo poveri e ineducati, dovessero essere anche stupidi e rozzi; e quanto a loro, che gli erano superiori, purché si degnassero di parlargli e di donargli qualche moneta o qualche vestito, avevano il diritto di divertirsi, anche a loro spese; e gli altri dovevano adorarle come angeli di luce, che si degnavano di provvedere alle loro necessità e di illuminare le loro umili dimore. Feci numerosi tentativi per liberare le mie allieve da quelle ingannevoli convinzioni senza risvegliare il loro orgoglio, facile da offendere, ben meno da placare, ma con scarsi risultati; e non so quale delle due fosse la più riprovevole: Matilda era più brusca e chiassosa; ma da Rosalie, che era già una donna e aveva un aspetto da vera signora, sarebbe stato lecito attendersi di meglio; eppure era sconsiderata all'estremo e sgarbata come una sventata ragazzetta di dodici anni. In una bella giornata dell'ultima settimana di febbraio stavo passeggiando nel parco, godendo della triplice gioia della solitudine, della lettura di un libro e del bel tempo, poiché la signorina Matilda era fuori per la sua cavalcata quotidiana e la signorina Murray era andata in carrozza con la mamma per alcune visite mattutine. A un tratto mi dissi che avrei dovuto abbandonare quei piaceri egoisti, e il parco con il luminoso baldacchino azzurro del cielo, il canto del vento dell'ovest tra gli alberi spogli, la neve che ancora indugiava negli avvallamenti ma si scioglieva in fretta al sole, e l'aggraziato cerbiatto che brucava l'erba umida, già verde e fresca dell'imminente primavera... e andare alla casa di una certa Nancy Brown, una vedova il cui figlio lavorava tutto il giorno nei campi, affetta da una infiammazione agli occhi che già da qualche tempo le impediva di leggere, con suo grande dispiacere, giacché era una donna di natura riflessiva e seria. Andai dunque e la trovai sola, come sempre, nella casetta buia, che odorava di fumo e di chiuso, ma era ordinata e pulita al massimo. Era seduta accanto al modesto fuoco (poche braci ancora accese e qualche fascina), impegnata a lavorare a maglia, con un piccolo cuscino di tela di sacco ai piedi, preparato per la sua dolce amica, la gatta, che vi si era accoccolata sopra, con la lunga coda attorno alle zampette vellutate e gli occhi semichiusi che fissavano con aria sognante il basso parafuoco un po' storto. «Ebbene, Nancy, come state oggi?» «Abbastanza bene, signorina, gli occhi non migliorano, ma io mi sento più tranquilla di prima» rispose, alzandosi per accogliermi con un sorriso sereno che mi rese felice, poiché Nancy soffriva di malinconia religiosa. Mi rallegrai con lei del mutamento. Era infatti una grande benedizione, rispose, e se ne dichiarò «proprio davvero grata», aggiungendo: «Se piacerà a Dio di conservarmi la vista e guarirmi, così posso leggere di nuovo la Bibbia, sarò felice come una regina». «Spero che Dio vi ascolti, Nancy» dissi «e intanto verrò io a leggervi, quando ho un po' di tempo.» Con parole di gioia e gratitudine, la povera donna si preparava a avvicinarmi una sedia, ma io le risparmiai la fatica, e lei cominciò a smuovere il fuoco e a aggiungere qualche altra fascina alle braci morenti; poi, prendendo la Bibbia consunta dallo scaffale, la spolverò accuratamente e me la porse. Le chiesi se ci fosse un punto particolare che desiderava sentire. «Ecco, signorina Grey, se per voi va bene, mi piacerebbe sentire il capitolo nella I Lettera di san Giovanni che dice: "Dio è amore; chi sta nell'amore dimora in Dio e Dio dimora in lui".» Dopo una breve ricerca, trovai quelle parole nel quarto capitolo. Quando arrivai al versetto 7, lei mi interruppe, e, profondendosi in scuse superflue per la libertà che si prendeva, mi pregò di leggere molto lentamente, perché potesse capire bene tutto, e di indugiare su ogni parola; sperava che volessi scusarla, perché era una povera donna semplice. «Le persone più sagge» risposi «potrebbero riflettere un'ora intera su ognuno dei versetti, e trarne grande giovamento; anch'io preferisco leggerli piano.» Finii dunque il capitolo leggendo molto lentamente, ma anche, per quanto potevo, molto espressivamente. Nancy ascoltò con la massima attenzione e mi ringraziò con grande sincerità al termine della lettura. Rimasi un attimo in silenzio per darle il tempo di riflettere; ma lei, sorprendendomi, ruppe il silenzio chiedendomi se mi piaceva il signor Weston. «Non saprei» risposi, stupita da quella improvvisa domanda. «Penso che predichi molto bene.» «Ah, è proprio vero; e parla anche molto bene.» «Davvero?» «Sì. Ma forse non lo avete ancora visto... non tanto da parlargli molto?» «No, non vedo mai nessuno tanto da parlargli molto, tranne le due signorine Murray.» «Ah, sono signorine gentili e buone, ma non sanno parlare come parla lui!» «Dunque viene a trovarvi, Nancy?» «Sì, viene, signorina, e gliene sono molto grata. Viene a trovare tutti noi, povera gente, molto più spesso del signor Bligh, o del rettore; e fa bene a venire, perché è sempre il benvenuto; e non potremmo dire lo stesso del rettore: c'è gente che dice di averne una gran paura. Quando va in una casa, dicono che trova sempre qualcosa che non va, e comincia a rimproverarli appena passa la porta; ma forse pensa che sia suo dovere dirgli quello che non va; e spesso viene apposta a rimproverare chi non è andato in chiesa, o chi non si inginocchia e non si alza in piedi quando lo fanno gli altri, o chi va alla chiesa metodista, o qualcosa del genere; ma non posso dire che da me abbia mai trovato molto da ridire. E' venuto a trovarmi una o due volte, prima che arrivasse il signor Weston, quando mi sentivo tanto turbata; e stando anche male di salute, mi feci coraggio e lo mandai a chiamare, e per venire è venuto. Ero piena di angoscia, signorina Grey - grazie a Dio, ora è passata - ma quando prendevo la Bibbia, non riuscivo a trarne conforto. Proprio quel capitolo che avete appena letto mi confondeva come gli altri. "Chi non ama non ha conosciuto Dio" mi faceva paura, perché sentivo di non amare né Dio né gli uomini come avrei dovuto, e non mi riusciva, per quanto provassi. E il capitolo prima, dove dice: "Chiunque è nato da Dio non commette peccato", e un altro punto ancora: "Pieno compimento della legge è l'amore", (1) e molti altri, signorina; vi stancherei, se dovessi dirveli tutti... Ma sembrava che tutti mi condannavano e mi mostravano che non ero sulla strada giusta; e, non sapendo come trovarla, mandai Bill a chiedere al signor Hatfield se voleva avere la bontà di venire da me un giorno; e quando lui è venuto, gli ho detto tutti i miei dubbi.» «E lui che cosa ha risposto, Nancy?» «Ecco, signorina Grey, sembrava che ridesse di me. Forse mi sbaglio, ma fece una specie di fischio, e aveva un sorrisetto sulle labbra; e disse: "Oh, sono tutte sciocchezze! Siete stata dai metodisti, cara la mia donna". Ma io ho risposto che non mi ero mai nemmeno avvicinata ai metodisti. E allora lui disse: «"Dovete venire in chiesa, dove sentirete le Scritture spiegate nel modo giusto, invece di restarvene a meditare sulla Bibbia a casa." «Ma io risposi che andavo sempre in chiesa quando stavo bene in salute; ma in quell'inverno così freddo, non mi azzardavo a andare tanto lontano, con i reumatismi che mi tormentavano in quel modo. «E lui allora: "Vi farà bene ai reumatismi camminare fino alla chiesa; niente è meglio di un po' di esercizio per i reumatismi. In casa camminate bene, no? perché non potete camminare fino in chiesa? La verità è" continuò "che cominciano a piacervi troppo i vostri comodi. E' sempre facile trovare delle scuse per non fare il proprio dovere". «Ma voi lo sapete, signorina Grey, che non era così. Però gli dissi che avrei provato. "Ma sentite, signore" dissi "se vado in chiesa, non credo che mi sentirò meglio. Voglio che mi vengano cancellati i peccati, voglio sentire che non mi vengono più imputati e che l'amore di Dio torna a riempire il mio cuore; e se non riesco a trarre conforto dalla lettura della Bibbia e dalle preghiere che dico in casa, come potrà farmi bene andare in chiesa?" «"La chiesa" dice lui "è il luogo stabilito da Dio per il suo culto. E' vostro dovere andarci più spesso che potete. Se volete conforto, dovete cercarlo nel compimento del dovere..." e disse molte altre cose, ma non ricordo tutte le sue belle parole. Ma il succo era questo: che dovevo andare in chiesa più spesso che potevo, portare con me il libro di preghiera e leggere tutte le risposte dopo il chierico e alzarmi in piedi e inginocchiarmi e sedermi e fare tutto come dovevo, e ricevere la cena del Signore in ogni occasione e badare alle sue prediche e a quelle del signor Bligh, e tutto sarebbe andato per il meglio: se continuavo a fare il mio dovere, avrei infine ottenuto conforto. «"Ma se non riuscite a ottenere conforto in questo modo" aggiunse "non c'è niente da fare." «"In questo caso, signore" chiesi "mi giudichereste una reproba?" «"Ebbene" fa lui "se fate del vostro meglio per entrare in paradiso e non ci riuscite, dovete essere tra quelli che cercano di entrare dalla porta stretta e non ci riusciranno." (2) «E poi mi chiese se avevo visto qualcuna delle signore della Hall quella mattina; e io gli dissi che avevo visto le signorine avviarsi lungo Moss Lane; e lui diede un calcio alla mia povera gatta e se ne andò dietro alle signorine allegro come un'allodola; ma io ero molto triste. Le sue ultime parole mi erano entrate nel cuore e stavano là pesanti come una palla di piombo, e io ero stanca di doverla portare. «Però seguii il suo consiglio; pensavo che lo dicesse per il mio bene, anche se aveva un'aria proprio strana... ma sapete com'è, signorina, è ricco e giovane, e gente così non può capire i pensieri di una povera vecchia come me. Ma in ogni caso feci del mio meglio per fare quello che mi aveva detto... ma forse vi annoio, signorina, con le mie chiacchiere.» «Oh, no, Nancy! Continuate, raccontatemi tutto.» «Dunque, i miei reumatismi migliorarono - non so se fu per l'andare in chiesa o no - ma in una domenica gelida mi venne questa infreddatura agli occhi. L'infiammazione non mi venne tutta d'un colpo, ma poco per volta... ma non era degli occhi che volevo parlarvi, vi stavo parlando delle mie angosce, e a dire la verità, signorina Grey, non credo che migliorarono per il fatto di andare in chiesa, o migliorarono proprio molto poco, che non vale la pena di parlarne; la mia salute migliorò, ma non mi risanò l'anima. Stavo a ascoltare e ascoltare i sacerdoti e leggevo e rileggevo il libro di preghiere; ma era come un risuonare di bronzo e un tintinnare di cembalo: (3) le prediche non le capivo e il libro di preghiera mi serviva soltanto a farmi capire quanto ero malvagia, se leggevo tante parole buone senza trarne alcun vantaggio; anzi a volte mi pareva una fatica e un compito duro, e non una benedizione e un privilegio, come dovrebbe essere per ogni buon cristiano. Sembrava che tutto per me fosse chiuso e buio. E poi, quelle parole terribili: molti cercheranno di entrare, e non potranno. Sembrava che mi avessero inaridito lo spirito. «Ma una domenica che il signor Hatfield parlava del sacramento, notai quando disse: "Se qualcuno di voi non può placare la sua coscienza, ma richiede ulteriore conforto o consiglio, venga da me, o da un altro discreto e dotto ministro della parola di Dio, e riveli la sua pena". (4) Così la domenica successiva, di mattina, entrai in sacrestia e ricominciai a parlare al rettore... Faticai a prendermi quella libertà, ma pensai che quando era in gioco la mia anima non dovevo lasciarmi fermare da un piccolo ostacolo. Ma lui disse che in quel momento non aveva tempo di badare a me. «"E in ogni caso" aggiunse "non ho niente da dirvi che non vi abbia già detto prima... accostatevi al sacramento, naturalmente, e continuate a fare il vostro dovere; e se questo non vi aiuta, niente potrà aiutarvi. Quindi non continuate a seccarmi." «Allora me ne andai. Ma sentii il signor Weston - c'era il signor Weston, signorina, era la sua prima domenica a Horton, e stava in sacrestia con la cotta e aiutava il rettore a vestirsi.» «Sì, Nancy.» «E lo sentii chiedere al signor Hatfield chi ero, e lui rispose: "Oh, è una vecchia pazza". «E ci rimasi molto male, signorina Grey; ma tornai al mio banco e cercai di fare il mio dovere come prima; ma non trovai pace. E mi accostai anche al sacramento, ma mi sembrava di mangiare e bere la mia condanna. Tornai a casa piena di angoscia. «Ma il giorno dopo, prima che avessi riordinato la casa - perché a dire la verità, signorina, non me la sentivo di pulire e riordinare e lavare e così me ne stavo a far niente nel disordine - ecco che entra il signor Weston: pensate un po'! Allora cominciai a pulire e riordinare e darmi da fare; e pensavo che mi avrebbe rimproverato per la mia pigrizia come avrebbe fatto il signor Hatfield; ma mi sbagliavo: mi disse soltanto buon giorno, con aria tranquilla. Gli spolverai una sedia e pulii il camino; ma non avevo dimenticato le parole del rettore, così gli dissi: «"Mi sembra strano, signore, che facciate lo sforzo di venire tanto lontano a trovare una vecchia pazza come me." «Lui sembrò colto di sorpresa; ma cercò di persuadermi che il rettore scherzava; quando vide che non ci credevo disse: "Ebbene, Nancy, non dovreste badarci troppo: il signor Hatfield era un po' di cattivo umore in quel momento; sapete che nessuno di noi è perfetto: perfino Mosè diceva cose poco sagge. (5) Ma adesso sedetevi un momento, se avete tempo, e ditemi i vostri dubbi e le vostre paure; e io cercherò di liberarvene." «Così mi sedetti di fronte a lui. Era un estraneo, capite, signorina, e perfino più giovane del signor Hatfield, credo; e non mi era parso bello come lui di primo acchito, e piuttosto imbronciato; ma parlava con tanta gentilezza... e quando la gatta, poverina, gli saltò in grembo, si limitò a carezzarla e farle un sorriso: questo mi sembrò un buon segno; perché una volta, quando aveva fatto lo stesso con il rettore, lui l'aveva buttata giù, con rabbia, poverina. Ma non si può pretendere che un gatto conosca le buone maniere come un cristiano, capite, signorina Grey.» «Naturalmente no, Nancy. Ma che cosa ha detto allora il signor Weston?» «Niente; mi ascoltava con tutta la pazienza e l'attenzione possibile, e senza mai l'aria di ridere di me; così io ho continuato e gli ho detto tutto, come ho detto a voi... e anche di più.» «"Bene" dice allora lui "il signor Hatfield ha fatto benissimo a dirvi di perseverare nel vostro dovere; ma quando vi ha consigliato di andare in chiesa, di seguire bene l'ufficio divino, eccetera, non intendeva dire che in questo si esauriva tutto il dovere di un cristiano; pensava soltanto che in chiesa avreste potuto apprendere che altro dovevate fare e che sareste giunta a trovare gioia in quelle pratiche, invece di trovarle soltanto un dovere e un peso. E se gli aveste chiesto di spiegarvi quelle parole che vi turbano tanto, credo vi avrebbe detto che, se molti cercheranno di entrare per la porta stretta ma non vi riusciranno, sono i loro peccati a impedirlo; proprio come un uomo con un grosso sacco in spalla che voglia passare per una porta stretta e lo trova impossibile, se non si libera del sacco. Ma voi, Nancy, immagino non abbiate peccati dei quali non sareste lieta di liberarvi, se sapeste come?» «E io: "Dite proprio la verità, signore". «"Bene" continua lui "conoscete il primo e più grande comandamento - e il secondo che è simile al primo - i due comandamenti (6) dai quali dipendono tutta la Legge e i Profeti? Dite che non riuscite a amare Dio; a me sembra che, se riflettete bene a chi è Dio, non potete farne a meno. E' vostro padre, il vostro amico migliore; ogni benedizione, ogni cosa buona, piacevole, utile viene da Lui; e ogni cosa cattiva, ogni cosa che avete motivo di odiare, di evitare, viene da Satana, Suo nemico, come è nostro nemico; e proprio per questo Dio si è manifestato nella carne, per distruggere le opere del diavolo: in una parola Dio è amore; (7) e più amore abbiamo in noi, più Gli siamo vicini e più possediamo il Suo spirito." «"Bene, signore" dico io "se riesco a pensare sempre a queste cose, credo che riuscirei a amare Dio; ma come posso amare il mio prossimo, quando mi irrita e è ostinato e quando è spesso pieno di peccati?" (8) «"Può sembrare difficile" risponde lui "amare il proprio prossimo, in cui spesso c'è tanto male e le cui colpe risvegliano il male che è in noi; ma pensate che Lui lo ha creato e che Lui lo ama; e chi ama Colui che ha generato, ama anche chi da Lui è stato generato. E se Dio ci ha amato tanto da donarci il Suo unico Figlio perché morisse per noi, anche noi dobbiamo amarci l'un l'altro. Ma se non riuscite a provare concreto affetto per quelli che non vi amano, potete almeno cercare di fare a loro quello che vorreste fosse fatto a voi; potete studiarvi di avere compassione per le loro mancanze e di perdonare le loro offese, e di fare tutto il bene che potete a quanti vi circondano. E se vi abituate a farlo, Nancy, lo stesso sforzo che farete vi porterà a amarli in qualche misura, per non parlare della buona volontà che la vostra bontà farà nascere, quando pure non vi fosse in loro altro di buono. Se amiamo Dio e desideriamo servirlo, cerchiamo di essere simili a Lui, di compiere le Sue opere, di operare per la Sua gloria, che è il bene dell'uomo, di affrettare l'avvento del Suo regno, che è la pace e la felicità di tutti: per quanto impotenti possiamo sembrare, facendo nella nostra vita tutto il bene che possiamo, i più umili tra noi possono fare molto a tale scopo; e viviamo nell'amore, perché Egli possa dimorare in noi e noi in Lui. Quanta più felicità diamo agli altri, tanta più ne riceveremo, anche qui sulla terra, e tanto più grande sarà la nostra ricompensa nei Cieli quando ci riposeremo delle nostre fatiche." «Credo, signorina, che siano state queste le sue precise parole, perché me le sono ripetute tante di quelle volte. E poi ha preso quella Bibbia e ne ha letto dei brani e me li ha spiegati in modo chiaro come il sole: e mi sembrava che una nuova luce mi irrompesse nell'anima; e mi sentivo proprio un calore al cuore e desideravo soltanto che ci fossero anche il povero Bill e tutti a sentire e a rallegrarsi con me. «Quando se ne andò, venne Hannah Rogers, una vicina, una del mio prossimo, e mi chiese di aiutarla a fare il bucato. Le dissi che in quel momento non potevo, perché non avevo ancora messo su le patate per pranzo né lavato i piatti della colazione. Lei allora cominciò a trattarmi male e a dirmi pigra e oziosa. Prima ero un po' seccata; ma non le ho detto niente di male; le ho detto soltanto, con un'aria bella tranquilla, che c'era stato da me il nuovo coadiutore; ma avrei fatto in fretta e poi sarei andata a aiutarla. Lei allora si addolcì; e io mi sentii in cuore dell'affetto per lei e in men che non si dica eravamo amiche. «E' proprio vero, signorina Grey che "una risposta gentile calma la collera, una parola pungente eccita l'ira". (9) E non soltanto in quelli a cui si parla, ma anche in noi stessi.» «E' vero, Nancy, se soltanto ce ne ricordassimo sempre.» «Già, se ce ne ricordassimo!» «E il signor Weston è mai tornato a trovarvi?» «Sì, più di una volta; e da quando la mia vista è tanto peggiorata, rimane anche mezz'ora a leggermi; ma, lo sapete, signorina, ha altra gente da cui andare e altre cose da fare, che Dio lo benedica! E la domenica successiva tenne un sermone così bello! Il testo era: "Venite a me, voi tutti, che siete affaticati e oppressi e io vi ristorerò" e quei due versetti benedetti che seguono. (10) Voi non c'eravate, signorina, eravate a casa vostra allora, ma quel sermone mi ha dato tanta felicità! e anche adesso sono felice, ringraziando Dio! e adesso è un piacere per me fare qualche lavoretto per i vicini - quello che può fare una povera vecchia mezza cieca... e loro li accolgono con bontà, proprio come ha detto lui. Lo vedete, signorina, adesso sto lavorando un paio di calze: sono per Thomas Jackson; è un vecchio bizzarro e abbiamo avuto molte liti, e in certi momenti anche serie. Così ho pensato che la cosa migliore che potevo fare era di lavorargli un paio di calze ben calde; e da allora mi sono messa a trovarlo molto più simpatico, povero vecchio. E' successo proprio come aveva detto il signor Weston.» «Mi rallegra molto vedervi così felice, Nancy, e così saggia; ma adesso devo andare; mi vorranno alla Hall» dissi; e dopo averla salutata mi allontanai, promettendo di tornare quando avessi avuto tempo e sentendomi felice quasi quanto lei. Un'altra volta, andai a fare la lettura a un povero contadino malato di tisi all'ultimo stadio. Le signorine erano andate a trovarlo e gli era stata strappata la promessa di fargli la lettura; ma per loro era troppa fatica, così pregarono me di farlo al loro posto. Andai volentieri e anche là sentii cantare le lodi del signor Weston, dal malato e dalla moglie. L'uomo mi disse di trarre grande conforto e vantaggio dalle visite del nuovo coadiutore, che andava spesso a trovarlo, e era «un tipo tutto diverso» dal signor Hatfield, che prima dell'arrivo dell'altro era andato qualche volta da lui, e in quelle occasioni insisteva sempre per tenere aperta la porta di casa per far entrare l'aria fredda perché a lui faceva comodo, senza pensare che avrebbe fatto male al malato, poi apriva il libro di preghiera e leggeva in gran fretta una parte dell'ufficio per i malati e poi subito se ne andava, se non si fermava a rimproverare aspramente la povera donna o a fare qualche osservazione distratta, per non dire crudele, che serviva a accrescere, ben più che a alleviare, le pene di quella sventurata coppia. «Mentre» concluse l'uomo «il signor Weston prega con me in modo molto diverso e mi parla con tanta bontà e spesso mi legge anche qualcosa e mi siede accanto come un fratello.» «Proprio come un fratello!» esclamò la moglie. «E circa tre settimane fa, vedendo come tremava dal freddo il povero Jem e com'era misero il fuoco, ci ha chiesto se la nostra riserva di carbone stava finendo. Gli dissi che era così e che non eravamo in condizioni di procurarcene altro - ma non l'ho detto perché lui mi aiutasse, dovete credermi; però lui ci mandò un sacco di carbone il giorno dopo; e da allora abbiamo sempre avuto un bel fuoco: una vera benedizione, in questo inverno. Ma lui è fatto così, signorina Grey, quando va in casa di povera gente a trovare qualcuno, si accorge di quello di cui hanno più bisogno, e se pensa che loro non ce la fanno a procurarselo, non dice niente, ma lo procura lui per loro; e non sono mica tanti che lo farebbero, avendo pochi soldi come ne ha lui; perché vedete, signora, non ha niente con cui vivere se non quello che gli dà il rettore, e dicono che sia ben poco.» Ricordai allora, con una sorta di esultanza, che era stato spesso definito rozzo e volgare dall'amabile signorina Murray perché aveva soltanto un orologio d'argento e abiti meno lindi e freschi di quelli del signor Hatfield. Rientrando a Horton Lodge mi sentivo molto felice e ringraziavo Dio di avere ora qualcosa a cui pensare, qualcosa su cui indugiare per distrarmi dalla stanca monotonia, dalla solitaria fatica della mia vita presente, poiché ero davvero molto sola; mai, da un mese all'altro, da un anno all'altro, se non nei brevi intervalli di riposo a casa, incontravo qualcuno a cui potessi aprire il cuore o con cui potessi esprimermi liberamente nella speranza di trovare simpatia, o soltanto comprensione; qualcuno, se non la povera Nancy Brown, con cui potessi trascorrere qualche momento di rapporto sociale; qualcuno la cui conversazione fosse tale da rendermi migliore, più saggia o più felice di prima; e neppure qualcuno - o così mi sembrava - che potesse trarre grandi benefici dalla mia conversazione. I miei soli compagni erano stati bambini antipatici e ragazze ignoranti, malconsigliate; e spesso la solitudine assoluta era un sollievo, ardentemente desiderato e apprezzato, dalla loro estenuante sciocchezza. Ma era un autentico male doversi limitare a simili compagnie, sia per gli effetti immediati, sia per quelli probabili. Mai mi giungeva dall'esterno un'idea nuova o un pensiero stimolante; e quelli che nascevano in me venivano in larga misura tristemente schiacciati sul nascere, o condannati a ammalarsi e a morire perché non riuscivano a vedere la luce. Le compagnie consuete esercitano spesso grande, reciproco influsso sulla mente e sui modi. Coloro dei quali vediamo costantemente le azioni, ascoltiamo costantemente le parole, non possono non condurci, sia pure contro la nostra volontà, lentamente, gradualmente, impercettibilmente forse, a agire e parlare come loro. Non ho la presunzione di stabilire fino a che punto si estende questa irresistibile forza di assimilazione; ma se un uomo civilizzato fosse costretto a trascorrere una dozzina di anni in mezzo a una razza di selvaggi intrattabili, se non avesse il potere di migliorarli, mi chiedo davvero se, al termine di quel periodo, non diventerebbe lui stesso un barbaro. E io, non potendo rendere migliori le mie compagne, temevo molto che sarebbero state loro a rendermi peggiore, a portare gradualmente i miei sentimenti, le mie abitudini, le mie capacità al loro livello, senza tuttavia comunicarmi la loro gaia frivolezza e la loro vivacità. Già mi sembrava di sentire che la mia mente si andava deteriorando, il mio cuore pietrificando, la mia anima inaridendo, e tremavo al timore che le mie stesse percezioni morali venissero intaccate, che la distinzione tra il bene e il male si confondesse, e che tutte le mie facoltà migliori venissero soffocate infine dall'influsso negativo di una vita come quella. Attorno a me si infittivano i rozzi vapori terrestri e accerchiavano il mio cielo interiore; e così sorse infine innanzi a me il signor Weston, apparendomi come la stella del mattino all'orizzonte, per salvarmi dal timore delle tenebre assolute; e io mi rallegrai al pensiero di avere ora un soggetto di contemplazione superiore, non inferiore a me. Ero felice di vedere che il mondo non era fatto soltanto di Bloomfield, Murray, Hatfield, Ashby, eccetera eccetera; e che la grandezza umana non era soltanto un sogno della mia immaginazione. Quando di una persona sentiamo dire qualcosa di bene e niente di male, è facile e gradevole immaginare di più; in breve, non è necessario analizzare tutti i miei pensieri, ma la domenica era diventata per me un giorno particolarmente felice (ero ormai quasi abituata all'angolo posteriore della carrozza), perché mi piaceva ascoltarlo, e mi piaceva anche vederlo, pur sapendo che non era bello, e forse neppure piacente; ma non era certo brutto. Di statura di poco - appena di poco - superiore alla media, aveva una corporatura perfettamente regolare, largo di spalle e forte; la linea del suo viso sarebbe stata definita troppo squadrata per essere bella, ma ai miei occhi annunciava un carattere deciso; i capelli castani non erano accuratamente arricciati come quelli del signor Hatfield, ma spazzolati semplicemente all'indietro sulla fronte grande e bianca; le sopracciglia erano probabilmente troppo pronunciate, ma di sotto le sopracciglia gli occhi avevano una forza straordinaria, castani, non grandi e piuttosto infossati, ma incredibilmente luminosi e espressivi; anche la bocca era piena di carattere, tale da rivelare un uomo sicuro negli scopi che si prefiggeva, abituato al pensiero, e quando sorrideva... ma di questo ancora non parlerò perché allora non lo avevo mai visto sorridere; e, a dire il vero, il suo aspetto non mi sembrava quello di un uomo facile al sorriso, né di un uomo quale veniva descritto dai contadini del villaggio. Mi ero formata presto un'opinione su di lui, e, a dispetto delle critiche della signorina Murray, ero certa che fosse un uomo dalla mente forte, dalla fede salda e dalla pietà ardente, ma pensoso e severo; e quando scoprii che, alle sue altre qualità, si aggiungevano un'autentica benevolenza e una dolce, delicata bontà, la scoperta mi allietò tanto più quanto meno mi ero attesa di farla. NOTE: (1) Rispettivamente: I Lettera di san Giovanni, 4, 8 e 3, 9; Lettera ai Romani, 13, 10. (Ndt) (2) Cfr. Luca, 13, 24. (Ndt) (3) Cfr. I Lettera ai Corinzi, 13, 1: «Se anche parlassi le lingue degli uomini e degli angeli, ma non avessi la carità, sono come un bronzo che risuona o un cembalo che tintinna». (Ndt) (4) La frase, citata a memoria dal Book of Common Prayer, testo fondamentale della liturgia anglicana, si trova nella prima Esortazione pronunciata durante l'ufficio divino domenicale, o di un giorno festivo, subito prima della comunione. (Ndt) (5) Cfr. Salmo 106, 33: «Perché avevano inasprito l'animo suo@ ed egli [Mosè] disse parole insipienti@». (Ndt) (6) «Amerai il Signore Dio tuo con tutto il cuore, con tutta la tua anima e con tutta la tua mente. [...] Amerai il prossimo tuo come te stesso.» (Matteo, 22, 37-39) (Ndt) (7) Cfr. I Lettera di san Giovanni, 4, 8 e 16. E' in particolare sulla I Lettera di san Giovanni che si basa, qui e più avanti, l'argomentazione di Weston. (Ndt) (8) Il concetto che in italiano esprimiamo con la parola «prossimo», in inglese si rende con neighbours, «vicini»: è probabilmente per questo che Nancy Brown sembra limitare il concetto di «prossimo» ai suoi vicini di casa, come Hannah Rogers di cui parla più avanti. (Ndt) (9) Citazione dai Proverbi, 15, 1. (Ndt) (10) Matteo, 11, 28; che prosegue con: «Prendete il mio giogo sopra di voi e imparate da me, che sono mite e umile di cuore, e troverete ristoro per le vostre anime. Il mio giogo infatti è dolce e il mio carico leggero». (Ndt) XII. L'acquazzone La mia visita successiva a Nancy Brown avvenne nella seconda settimana di marzo: avevo infatti molti momenti liberi durante il giorno, ma raramente potevo contare su un'ora intera tutta per me, poiché non avrebbe potuto esservi ordine o regolarità in una vita in cui tutto era affidato al capriccio della signorina Matilda e di sua sorella; qualsiasi occupazione scegliessi, quando non ero impegnata direttamente con loro o qualcosa che le riguardasse, dovevo, per così dire, tenere sempre i fianchi cinti, i sandali ai piedi, il bastone in mano; (1) infatti, non arrivare immediatamente quando mi chiamavano era considerata una colpa grave e imperdonabile non soltanto dalle mie allieve e dalla loro madre, ma perfino dalla cameriera che entrava tutta affannata a chiamarmi: «Dovete andare immediatamente nella sala da studio, signorina: le signorine sta aspettando!» Orrore degli orrori! stavano aspettando la loro istitutrice! Ma quella volta ero certa di poter disporre di un'ora o due dal momento che Matilda si preparava a una lunga cavalcata e Rosalie si stava vestendo per un ricevimento da Lady Ashby; colsi dunque l'occasione per andare a trovare la vedova, che vidi piuttosto preoccupata per la gatta, assente tutto il giorno. La consolai con tutte le prove della natura vagabonda dell'animale che riuscii a ricordare. «Ho paura dei guardacaccia» ribatté lei «non faccio che pensarci. Se i signorini fossero stati a casa, avrei pensato che le avessero scatenato contro i cani per farle del male, come hanno fatto per tanti gatti di povera gente; ma adesso non c'è questo pericolo.» Gli occhi di Nancy andavano meglio, ma ancora non bene: stava cucendo una camicia della festa per il figlio, ma mi disse che riusciva a lavorarci soltanto molto poco, una volta ogni tanto; e così il lavoro andava avanti lentamente, eppure quel povero ragazzo ne aveva proprio bisogno. Le offrii di aiutarla un po', dopo averle letto, poiché avevo tutto il tempo quel pomeriggio e non dovevo tornare prima di sera. Lei accettò con gioia la mia offerta. «Così mi farete anche un po' di compagnia, signorina» aggiunse. «Mi sento sola senza la gatta.» Ma dopo aver finito di leggerle e aver fatto una mezza cucitura, con il grosso ditale di Nancy adattato al mio dito con un pezzetto di carta arrotolata, venni interrotta dall'arrivo del signor Weston, con la famosa gatta tra le braccia. Vidi allora che sapeva sorridere, e aveva un sorriso gradevolissimo. «Vi ho reso un servizio, Nancy» cominciò; poi, vedendomi, mi salutò con un leggero inchino. Per il signor Hatfield, o qualsiasi altro gentiluomo del luogo, sarei al contrario stata invisibile. «Ho liberato la vostra gatta» continuò «dalle mani, o piuttosto dal fucile, del guardacaccia del signor Murray.» «Dio vi benedica, signore» esclamò con gratitudine Nancy, prossima alle lacrime per la gioia mentre prendeva dalle braccia di lui la sua amatissima gatta. «Non perdetela d'occhio» le disse «e non lasciatela andare nei pressi della conigliera, perché il guardacaccia ha detto che le sparerà, se la trova di nuovo là. Lo avrebbe fatto anche oggi, se non avessi fatto a tempo a fermarlo. Credo stia piovendo, signorina Grey» proseguì a voce più bassa, vedendo che io avevo messo da parte il lavoro e mi preparavo a andarmene. «Non andatevene per me, mi fermerò soltanto pochi minuti.» «Dovete fermarvi tutti e due finché passa la pioggia» intervenne Nancy, ravvivando il fuoco e mettendovi accanto un'altra sedia. «C'è posto per tutti qui!» «Qui ci vedo meglio, grazie, Nancy» ribattei portando il lavoro vicino alla finestra, dove lei ebbe la bontà di lasciarmi tranquilla, mentre prendeva una spazzola per togliere i peli del gatto dalla giacca del signor Weston, asciugava con cura il suo cappello dalla pioggia e dava la cena alla gatta, sempre continuando a parlare: ora ringraziando il suo amico ecclesiastico per quello che aveva fatto; ora chiedendosi come avesse fatto la gatta a trovare la conigliera; ora lamentando le probabili conseguenze di quella scoperta. Lui la ascoltava in silenzio, con un sorriso benevolo, e infine si sedette cedendo ai suoi pressanti inviti, ma ripetendo che non intendeva fermarsi a lungo. «Devo andare in un'altra casa» spiegò «e vedo» guardando il libro sul tavolo «che qualcun altro vi ha già fatto la lettura.» «Sì, signore, la signorina Grey è stata tanto buona da leggermi un capitolo; e adesso mi aiuta a cucire una camicia per il mio Bill... ma ho paura che là abbia freddo. Non volete venire accanto al fuoco, signorina?» «No, grazie, Nancy, non ho freddo. Devo andare appena finisce l'acquazzone.» «Ma come, signorina! avete detto che potevate fermarvi fino a sera!» esclamò quella vecchietta irritante, e il signor Weston prese il cappello. «No, signore, no, non ve ne andate mentre piove tanto forte!» esclamò allora lei. «Ma vedo che tengo la vostra visitatrice lontana dal fuoco.» «No, non è così, signor Weston» risposi, sperando non ci fosse niente di grave in una menzogna di quel genere. «No di certo!» annuì vigorosamente Nancy. «C'è tutto lo spazio che si vuole!» «Signorina Grey» lui disse in tono scherzoso, come sentisse il bisogno di cambiare argomento, che avesse o non avesse qualcosa di preciso da dire «vorrei che parlaste in mio favore al signor Murray quando lo vedete. Era presente quando ho salvato la gatta di Nancy, e non approvava il mio gesto. Gli ho detto che a mio avviso era più facile per lui fare a meno di tutti i suoi conigli che per Nancy fare a meno del suo gatto; per questa audace affermazione sono stato fatto oggetto di un linguaggio non proprio da gentiluomo, e temo di aver risposto con un certo calore.» «Oh, povera me, signore! spero che non abbiate fatto baruffa con il padrone a causa della gatta! Non sopporta che gli si risponda... non lo sopporta proprio.» «Oh, non ha importanza, Nancy: la cosa non mi preoccupa; io non ho detto niente di molto scortese; e immagino che il signor Murray sia abituato a usare un linguaggio pittoresco quando è in collera.» «Proprio così, signore, è una vergogna.» «E adesso bisogna davvero che vada; devo andare in una casa a più di un chilometro da qui; e certo non vorreste che tornassi col buio; inoltre, ha quasi smesso di piovere: vi saluto dunque Nancy; buona sera anche a voi, signorina Grey.» «Buona sera, signor Weston... ma non contate su di me per parlare in vostro favore al signor Murray, perché non lo vedo mai... mai in modo da potergli parlare.» «Davvero? Allora non c'è niente da fare» rispose con un tono di dolente rassegnazione; poi aggiunse, con un mezzo sorriso tutto particolare: «Ma non preoccupatevi; immagino che il signor Murray abbia motivo di scusarsi più di me» e uscì di casa. Io continuai a cucire finché la luce me lo permise; poi mi congedai da Nancy, frenando la sua gratitudine eccessiva con l'assicurarle che avevo fatto per lei soltanto quel che lei senza dubbio avrebbe fatto per me, se fosse stata lei al mio posto e io al suo, quindi mi avviai in fretta verso Horton Lodge; e là, entrando nella sala da studio, trovai il tavolino del tè in gran disordine, il vassoio tutto sporco di tè e la signorina Matilda di umore furioso. «Signorina Grey, dove siete stata? Ho preso il tè mezz'ora fa e me lo sono dovuto preparare da sola e berlo da sola! Vorrei davvero che foste tornata prima!» «Sono stata da Nancy Brown. Credevo non foste ancora tornata dalla cavalcata.» «Come avrei potuto cavalcare con la pioggia, me lo spiegate? Quel d.....o acquazzone è stato già abbastanza seccante: è arrivato proprio mentre ero in piena cavalcata; e poi dover tornare e non trovare nessuno per il tè! e voi lo sapete bene che non so fare il tè come mi piace.» «Non ho pensato alla pioggia» risposi; e infatti non avevo mai pensato che l'avrebbe costretta a tornare a casa. «Naturalmente no, voi eravate al riparo e non avete certo pensato agli altri.» Sopportai i suoi rozzi rimproveri con calma stupefacente, addirittura con allegria, sapendo di avere fatto del bene a Nancy Brown ben più che del male a lei; e forse anche altri pensieri mi aiutarono a restare di buon umore e a farmi sembrare ottima la tazza di tè freddo e troppo carico e gradevole la tavola disordinata, e stavo quasi per dire - il viso arcigno della signorina Matilda. Ma lei se ne andò subito nelle scuderie e mi lasciò a godere in solitudine il mio pasto. NOTE: (1) Cfr. Esodo, 12, 11. (Ndt) XIII. Le primule Ora la signorina Murray andava sempre in chiesa due volte: amava troppo l'ammirazione per sopportare di perdere una sola occasione di ottenerla, e era assolutamente certa di ottenerla ovunque si mostrasse; fossero o non fossero presenti Harry Meltham e il signor Green, senza dubbio vi sarebbe stato qualcuno che non sarebbe rimasto insensibile al suo fascino, oltre al rettore, a cui le sue funzioni imponevano di consueto di essere presente. Se il tempo lo consentiva, lei e sua sorella tornavano poi a casa a piedi: Matilda perché detestava lo spazio chiuso della carrozza; lei perché ne detestava la solitudine, e amava la compagnia che rallegrava il primo chilometro del percorso dalla chiesa ai cancelli del signor Green, nei cui pressi iniziava la strada privata per Horton Lodge, situata nella direzione opposta; mentre la strada principale portava dritta alla dimora ancora più lontana di sir Hugh Meltham. Vi era dunque sempre la possibilità di essere accompagnata fino a quel punto o da Harry Meltham, con o senza la signorina Meltham, o dal signor Green, probabilmente con una o due delle sorelle e qualsiasi gentiluomo fosse in visita da loro. Che io camminassi con le signorine o andassi in carrozza con i loro genitori dipendeva esclusivamente dalla loro capricciosa volontà: se decidevano di «prendermi», andavo con loro; se, per motivi che nessuno conosceva meglio di loro, sceglievano di andare da sole, io sedevo in carrozza; preferivo camminare, ma la riluttanza a imporre la mia presenza a qualcuno che non la desiderava mi lasciava sempre passiva in queste come in altre occasioni simili; e non chiedevo mai la ragione del loro mutamento di volontà. Era d'altronde la miglior politica: obbedire e compiacere era compito dell'istitutrice, pensare soltanto ai propri comodi quello delle allieve. Ma quando camminavo con loro, la prima parte del tragitto si rivelava in genere molto seccante. Nessuno tra le signore e i signori che ho ricordato si accorgeva di me: era sgradevole camminare al loro fianco, come se ascoltassi quello che dicevano o desiderassi essere creduta una di loro, mentre parlavano tra loro ignorandomi, e se il loro sguardo, nella conversazione, si posava casualmente su di me, sembrava guardassero nel vuoto: come non mi vedessero o fossero ansiosi di lasciar credere che non mi vedevano. Non era meno sgradevole camminare dietro di loro, con l'aria di chi riconosce così la propria inferiorità; perché al contrario mi sentivo all'altezza dei migliori tra loro e desideravo che lo sapessero e non pensassero che io vedevo in me una semplice domestica, troppo consapevole del proprio posto per camminare al fianco di signore e signori tanto eleganti... anche se le sue signorine decidevano di averla con loro e perfino si degnavano di parlare con lei, quando non avevano a portata di mano compagnia migliore. Di conseguenza - quasi mi vergogno a confessarlo ma è la verità mi davo molto da fare (quando camminavo al loro fianco) per sembrare del tutto inconsapevole della loro presenza o perfettamente indifferente, come fossi interamente assorta nelle mie riflessioni o nella contemplazione dell'ambiente; se invece restavo indietro, a attrarre la mia attenzione era un uccello o un insetto, un albero o un fiore, e dopo averlo attentamente esaminato, continuavo a camminare da sola, lentamente, fino a quando le mie allieve si erano congedate dai loro compagni entrando nella solitaria strada privata. Ricordo in particolare una di queste occasioni, un bel pomeriggio di fine marzo; il signor Green e le sue sorelle avevano rimandato indietro la carrozza vuota per godere del sole luminoso e dell'aria profumata in una passeggiata verso casa insieme ai loro ospiti, il capitano Qualcuno e il tenente Qualcunaltro (due bellimbusti dell'esercito), e alle signorine Murray, che erano naturalmente riuscite a raggiungerli. Una compagnia come quella era graditissima a Rosalie; ma io, non trovandola altrettanto gradita, rimasi indietro e cominciai a studiare le piante e gli insetti sul ciglio erboso e sulle siepi in germoglio, fino a quando la compagnia mi sopravvanzò di parecchio e io riuscii a sentire il canto felice dell'allodola: allora la mia misantropia si sciolse all'aria pura e dolce, al calore del sole; ma ne presero il posto tristi ricordi della mia prima infanzia, e l'ansia per le gioie passate o per un più luminoso futuro. Mentre vagavo con lo sguardo sulle scarpate verdi di giovane erba e di piante, da cui si alzavano le siepi in germoglio, desideravo intensamente un fiore familiare che mi ricordasse le vallate boscose o le verdi colline di casa: le scure brughiere erano naturalmente fuori questione. Una scoperta come quella tanto desiderata mi avrebbe senza dubbio commosso fino alle lacrime; ma in quel momento la commozione era una delle mie gioie maggiori. Infine riuscii a scorgere, alte fra le radici contorte di una quercia, tre belle primule: occhieggiavano con tanta dolcezza dal loro nascondiglio, che, soltanto a guardarle, gli occhi mi si riempirono di lacrime; ma crescevano così in alto, che cercai invano di coglierne una o due e di portarle con me per poter sognare; non mi era possibile raggiungerle senza arrampicarmi per la scarpata, e mi trattenne dal farlo un suono di passi dietro di me; stavo per andarmene quando mi sorpresero le parole: «Permettetemi di coglierle per voi, signorina Grey» pronunciate con il tono grave e basso di una voce ben conosciuta. I fiori vennero subito raccolti e offerti alla mia mano. Era il signor Weston, naturalmente: chi altri si sarebbe data la pena di fare tanto per me? Lo ringraziai; non saprei dire se lo facessi con calore o freddamente, ma so che non espressi neppure la metà della gratitudine che provavo. Forse era sciocco provare comunque gratitudine, ma in quel momento mi sembrò che quella fosse una bella testimonianza della sua natura generosa, un gesto di cortesia che non avrei potuto ripagare, ma non avrei mai dovuto dimenticare: tanto era per me inconsueto essere oggetto di tali gentilezze, e pensare di riceverne... da chiunque nel raggio di cento chilometri da Horton Lodge. Pure, non per questo non provavo un certo imbarazzo in sua presenza, e mi misi a seguire le mie allieve molto più rapidamente di prima; tuttavia, se il signor Weston avesse capito e mi avesse lasciato passare senza aggiungere una parola, me ne sarei probabilmente pentita un'ora dopo; ma non lo fece. Un passo rapido per me era per lui il suo passo consueto. «Le vostre signorine vi hanno lasciato sola» disse. «Sì, hanno una compagnia molto più gradevole.» «Allora non datevi la pena di raggiungerle.» Rallentai il passo; ma subito rimpiansi di averlo fatto; il mio compagno non parlava; non avevo nulla da dire e temevo che lui si trovasse nella stessa situazione. Alla fine, tuttavia, ruppe il silenzio chiedendo, con il tono quietamente brusco che gli era caratteristico, se mi piacevano i fiori. «Sì, molto» risposi «soprattutto i fiori selvatici.» «A me piacciono i fiori selvatici» disse «gli altri non mi interessano perché non ho ricordi particolari legati a loro... se non uno o due. Quali fiori preferite?» «Le primule, i giacinti e i fiori dell'erica.» «Non le violette?» «No, perché, come avete detto voi, non ho ricordi particolari legati alle violette; non crescono violette nelle colline e le valli che circondano casa mia.» «Deve essere un gran conforto per voi avere una casa, signorina Grey» osservò lui dopo una breve pausa. «Per quanto lontana, e raramente visitata, è sempre una meta a cui guardare.» «Lo è tanto, che non potrei vivere, credo, se non l'avessi» risposi, con un entusiasmo di cui subito mi pentii, pensando che la mia frase fosse parsa sciocca. «Oh, sì che potreste!» ribatté lui con un sorriso serio. «I legami che ci avvincono alla vita sono più forti di quanto immaginiate, o di quanto immagini chiunque non abbia sperimentato con quale durezza possono venir tesi senza spezzarsi. Forse sareste molto triste senza una casa, ma potreste vivere, anche voi, e forse senza tanta tristezza. Il cuore umano è come la gomma: pochissimo basta a gonfiarlo, e moltissimo non riesce a farlo scoppiare. Se poco più che nulla lo turba, ci vuole poco meno che tutto per spezzarlo. Come nelle membra visibili della nostra struttura, c'è nel cuore una forza intrinseca che gli dà forza contro la violenza esterna. Ogni colpo che lo scuote serve a indurirlo contro il colpo futuro; come il lavoro continuo indurisce la pelle delle mani e ne rafforza i muscoli invece di indebolirli: e così una giornata di duro lavoro, che potrebbe ferire le mani di una signora, non lascia traccia su quelle di un contadino. «Parlo per esperienza, in parte per esperienza personale. Una volta pensavo come voi: per lo meno ero convinto che soltanto la casa e gli affetti familiari rendessero tollerabile la vita, che un'esistenza priva di quegli affetti sarebbe diventata un fardello molto pesante; ma adesso non ho una casa - se non volete onorare del nome di "casa" le due stanze che affitto a Horton - e meno di un anno fa ho perso l'ultima e la più cara delle persone care; eppure, non soltanto sono rimasto vivo, ma non sono interamente privo di speranza e consolazione, anche per questa vita; però devo riconoscere che mi è impossibile entrare anche nella più umile delle case contadine, al calare del giorno, e vedere gli abitanti riuniti serenamente accanto a un fuoco allegro, senza provare un sentimento quasi di invidia per la loro felicità domestica.» «Non potete sapere quale felicità vi aspetti» ribattei «siete soltanto all'inizio del viaggio.» «La migliore felicità possibile è già mia: la possibilità e la volontà di rendermi utile.» Ci stavamo avvicinando a una staccionata che dava su un sentiero verso una fattoria, dove immagino che il signor Weston intendesse rendersi «utile», perché si congedò da me, scavalcò la staccionata e percorse il sentiero con il consueto passo saldo e agile, lasciandomi sola a meditare le sue parole mentre proseguivo per la mia strada. Avevo già saputo che aveva perso la madre non molti mesi prima di venire a Horton. Era dunque lei l'ultima e la più cara delle persone care; e non aveva una vera casa. Provai pena per lui dal profondo del cuore; piansi quasi per lui. Era quella, mi dissi, la causa di quella nube di precoce gravità che gli velava così spesso la fronte e lo faceva considerare un uomo imbronciato e severo dalla caritatevole signorina Murray e da tutta la sua cricca. "Ma non è" pensai "triste come lo sarei io in una situazione simile; conduce una vita attiva, e ha davanti a sé un vasto campo per rendersi utile; può farsi degli amici, può farsi anche una casa, se vuole, e senza dubbio una volta o l'altra vorrà; e Dio gli conceda per quella casa una compagna degna di essere scelta e che la renda felice... ne faccia una casa quale lui merita di avere. E sarebbe delizioso se..." Ma che importanza hanno i miei pensieri? Ho cominciato questo libro con il proposito di non nascondere nulla, affinché quanti lo desiderano possano guardare nel cuore di una loro sorella: ma vi sono alcuni pensieri che tutti gli angeli del cielo possono guardare ma non i nostri fratelli umani - neppure i migliori e più cari tra loro. Ormai i Green erano entrati in casa e le signorine Murray avevano preso la strada privata, dove mi affrettai a seguirle. Trovai le due ragazze immerse in una vivace discussione sui rispettivi meriti dei due giovani ufficiali; ma, vedendomi, Rosalie si interruppe a metà frase esclamando con maliziosa allegria: «Oh, oh, signorina Grey, eccovi finalmente! Non mi sorprende che siate rimasta così indietro, e non mi sorprende che difendiate sempre con tanto vigore il signor Weston quando io ne parlo male: capisco tutto adesso!» «Andiamo, signorina Murray, non siate sciocca» ribattei cercando di ridere bonariamente «sapete bene che queste sciocchezze non mi fanno alcun effetto.» Ma lei continuò a dire sciocchezze intollerabili, mentre la sorella la aiutava con opportune invenzioni coniate per l'occasione, così che ritenni necessario dire qualcosa per difendermi. «Quanto chiasso inutile!» esclamai. «Che c'è di strano se la strada del signor Weston, per pochi metri, coincideva con la mia, e se lui ha voluto scambiare qualche parola durante il tragitto? Non ho mai parlato con lui prima, tranne una volta, potete credermi.» «Dove, dove e quando?» esclamarono con vivacità. «A casa di Nancy.» «Ah, allora lo avete incontrato là» esclamò Rosalie con una risata esultante. «Adesso sì, Matilda, che ho capito perché le piace tanto andare da Nancy Brown! Ci va per amoreggiare con il signor Weston.» «Non vale neppure la pena di controbattere una sciocchezza simile!... Vi dico che l'ho visto là soltanto una volta... e non potevo sapere che sarebbe venuto.» Per quanto mi irritassero la loro sciocca gaiezza e le loro noiose accuse, il mio imbarazzo non durò a lungo: dopo essersi divertite un po' a mie spese, tornarono al tenente e al capitano; e mentre discutevano e chiosavano, il mio sdegno si calmò rapidamente; ne dimenticai presto la causa e volsi i miei pensieri in una direzione più gradevole. Proseguimmo così verso il parco e entrammo in casa; mentre salivo le scale per andare in camera, avevo un solo pensiero, il mio cuore era colmo di un solo ardente desiderio. Entrata nella mia stanza e chiusa la porta, caddi in ginocchio e innalzai una preghiera fervida ma non impetuosa. «Sia fatta la tua volontà» mi sforzavo di ripetere, ma subito aggiungevo: «Padre, tutto è possibile a Te, e possa questa essere la Tua volontà». Per quel desiderio, per quella preghiera uomini e donne avrebbero riso di me... «Ma, Padre, Tu non la disprezzerai!» dissi, e sentii che era così. Mi sembrava di pregare per la felicità di un altro non meno ardentemente che per la mia... che fosse anzi quella che soprattutto il mio cuore desiderava. Forse ingannavo me stessa; ma quel pensiero mi dava il coraggio di chiedere e la forza di sperare che non chiedevo invano. Le primule, poi, due le tenni in un bicchiere in camera finché non furono completamente appassite e la cameriera le buttò via, e i petali della terza li misi tra le pagine della mia Bibbia: sono ancora là, e intendo conservarli per sempre. XIV. Il rettore Il giorno successivo fu bello come il precedente. Terminata la prima colazione, la signorina Matilda, dopo poche brevi lezioni affrontate alla brava e senza alcun profitto, dopo aver pestato rabbiosamente il pianoforte per un'ora, furiosa con me e con lo strumento perché la madre non voleva darle vacanza, si era rifugiata nei suoi luoghi preferiti, le scuderie, il cortile e i canili; e la signorina Murray era uscita per una tranquilla passeggiata in compagnia di un romanzo alla moda, lasciandomi nell'aula al lavoro su un acquarello che avevo promesso di fare per lei e che lei voleva assolutamente finissi quello stesso giorno. Ai miei piedi era accucciato un piccolo rough terrier; era della signorina Matilda, che lo detestava e intendeva venderlo, affermando che era viziato. Era al contrario un ottimo rappresentante della sua razza; ma lei dichiarava che non era bravo a fare nulla e che non aveva nemmeno l'intelligenza di riconoscere la padrona. Lo aveva comprato quando era ancora un cuccioletto e all'inizio aveva insistito che fosse lei soltanto a toccarlo; ma, stancandosi presto di un cucciolo così inerme e noioso, era stata felice di cedere alle mie preghiere e di affidarlo a me; portando amorevolmente il cagnolino dall'infanzia all'adolescenza, mi ero naturalmente conquistata il suo affetto; e quella ricompensa mi sarebbe parsa di gran valore e di molto superiore alla pena che mi ero data, se la gratitudine del povero Snap non lo avesse esposto a parole aspre e a dispettosi calci e pizzicotti della sua padrona, e non gli avesse fatto correre ora il pericolo di essere «addormentato per sempre» o venduto a un padrone rozzo e spietato. Ma che cosa avrei potuto fare? Non potevo certo farmi odiare dal cane maltrattandolo, né lei era pronta a conquistarlo con la dolcezza. Comunque, mentre lavoravo di pennello, entrò la signora Murray un po' affannata e a vele spiegate. «Signorina Grey» cominciò «come potete starvene seduta a disegnare in una giornata così?» pensava lo facessi per libera scelta. «Mi stupisce che non vi mettiate il cappello e non usciate con le signorine.» «Credo, signora, che la signorina Murray stia leggendo, mentre la signorina Matilda gioca con i cani.» «Se cercaste voi di svagare un poco la signorina Matilda, lei non sarebbe costretta a cercare così spesso per divertirsi la compagnia di cani e cavalli, e di staffieri; e se foste un po' più gaia e loquace con la signorina Murray, lei non se ne andrebbe con tanta frequenza per i campi in compagnia di un libro. Ma non voglio darvi dispiacere» aggiunse, vedendo, immagino, che avevo le guance in fiamme e che mi tremava la mano per un'emozione non benevola. «Cercate di non essere tanto suscettibile, vi prego! altrimenti non si riesce a parlare con voi. E ditemi se sapete dove è andata Rosalie e perché le piace tanto la solitudine.» «Dice che le piace essere sola quando ha un libro nuovo da leggere.» «Ma perché non lo legge nel parco o in giardino? perché deve andare per i campi e i viali? e perché succede così spesso che la incontri il signor Hatfield? Mi ha detto la settimana scorsa che le ha cavalcato a fianco lungo Moss Lane; e oggi sono certa di avere visto proprio lui dalla finestra del mio boudoir, che camminava in fretta oltre i cancelli, verso il prato in cui lei va tanto spesso. Vorrei che andaste a vedere se è là; e che le ricordaste con dolcezza che è sconveniente per una signorina del suo rango e con le sue prospettive andarsene a zonzo da sola, aperta alle attenzioni di chiunque abbia la presunzione di rivolgerlesi, come a una povera ragazza trascurata che non ha un parco in cui passeggiare, né amici che si curino di lei e le dicano che suo padre si arrabbierebbe molto se sapesse che lei tratta il signor Hatfield con la familiarità con cui temo lo tratti. Se voi... se qualsiasi istitutrice avesse soltanto la metà dell'attenzione di una madre, della cura ansiosa di una madre, io potrei risparmiarmi questa fatica; e voi vedreste da sola la necessità di tenerla d'occhio e di rendere gradevole la vostra compagnia per... Andate, andate insomma, non c'è tempo da perdere» esclamò, vedendo che io avevo messo via gli acquarelli e aspettavo, in piedi nel vano della porta, che lei concludesse il suo discorso. La signora Murray aveva visto giusto: trovai la signorina Murray nel suo prato preferito, subito fuori dal parco, e purtroppo non sola; l'alta e bella figura del signor Hatfield le camminava lentamente a fianco. Mi si poneva un serio dilemma. Era mio dovere interrompere quel têteàtête; ma come dovevo farlo? Il signor Hatfield non si sarebbe certo lasciato allontanare da una persona senza importanza come me; e andare a mettermi all'altro fianco della signorina Murray, imporle la mia sgradita presenza fingendo di non vedere il suo compagno, era una scortesia di cui non potevo rendermi colpevole; né avevo il coraggio di chiamarla dall'alto del prato gridando che qualcuno la voleva. Scelsi un compromesso: mi incamminai lentamente ma risolutamente verso di loro; se la mia presenza non avesse allontanato lo spasimante, li avrei oltrepassati dicendo alla signorina Murray che la chiamava la mamma. Rosalie era senza dubbio incantevole mentre passeggiava pigramente indugiando sotto gli ippocastani che già mettevano le prime gemme e stendevano i lunghi rami sulla palizzata del parco, il libro chiuso in una mano e nell'altra un grazioso ramo di mirto con cui giocherellava amabilmente... i riccioli lucenti che sfuggivano copiosi dal cappellino, sfiorati dolcemente dalla brezza, il viso luminoso acceso dalla vanità soddisfatta, i ridenti occhi azzurri, che ora guardavano maliziosamente il suo ammiratore, ora si abbassavano sul rametto di mirto. Ma Snap, che mi precedeva correndo, la interruppe nel bel mezzo di una risposta tra l'impertinente e il giocoso, afferrandole il vestito e tirandolo con forza finché il signor Hatfield lo colpì pesantemente in testa con il bastone da passeggio e Snap tornò da me uggiolando e piangendo forte con gran divertimento del reverendo gentiluomo; tuttavia, vedendomi così vicina, dovette pensare che era meglio prendere congedo; e mentre mi chinavo a carezzare ostentatamente il cane per mostrare quanto disapprovassi la sua severità, gli sentii dire: «Quando vi vedrò di nuovo, signorina Murray?» «In chiesa, immagino» ribatté lei «sempre che non vi troviate di nuovo a passare da queste parti per il vostro lavoro nell'istante preciso in cui io mi trovo a passeggiare qui.» «Potrei fare in modo di avere sempre lavoro da queste parti, se sapessi con esattezza quando e dove trovarvi.» «Ma io non potrei davvero dirvelo: sono così poco metodica che non so mai oggi che cosa farò domani.» «Allora datemi questo intanto per confortarmi» disse, e, in parte scherzando in parte con molta serietà, tese la mano a prendere il rametto di mirto. «No davvero, non voglio darvelo!» «Vi prego, vi prego, datemelo! Sarò l'uomo più infelice del mondo se non lo farete. Non potete essere tanto crudele da negarmi un favore così facile da concedere eppure così desiderato e apprezzato» supplicò ardentemente, come se la sua vita dipendesse da quel gesto. Ero ormai a pochissimi metri da loro, in impaziente attesa che se ne andasse. «Prendetelo allora» disse Rosalie «e andate!» Lui accolse con gioia il dono, mormorò qualcosa che la fece arrossire e che Rosalie accompagnò con un gesto sdegnoso del capo, ma con una risatina che rivelava come il suo sdegno fosse simulato; quindi, con un elegante inchino, si allontanò. «Avete mai visto un uomo simile, signorina Grey?» mi chiese allora Rosalie volgendosi verso di me. «Sono proprio felice che siate venuta! Temevo di non riuscire a liberarmi di lui... e avevo tanta paura che papà lo vedesse.» «Era da molto tempo qui con voi?» «No, non da molto, ma è così impertinente: e me lo trovo sempre accanto, con il pretesto che gli affari o i suoi doveri ecclesiastici richiedono la sua presenza da queste parti, mentre in realtà sta in agguato in attesa della mia modesta persona per balzarmi addosso appena mi vede.» «Vostra madre dice che non dovreste uscire dal parco o dal giardino senza una persona discreta e grave come me per farvi da chaperon e allontanare gli intrusi. Ha visto il signor Hatfield che si affrettava oltre i cancelli del parco e mi ha mandato subito perché vi cercassi e mi occupassi di voi e inoltre vi ammonissi...» «Oh, la mamma è insopportabile. Come se non potessi badare a me stessa! Mi ha già annoiato prima con il signor Hatfield, e io le ho detto che poteva fidarsi di me - che non dimenticherei mai il mio rango e la mia situazione neppure per l'uomo più incantevole che esista al mondo. Vorrei che cadesse in ginocchio domani stesso e mi implorasse di sposarlo, per mostrare alla mamma quanto si sbaglia a pensare che potrei mai... Oh, è davvero esasperante... Pensare che io sia tanto sciocca da potermi innamorare! E' davvero poco dignitoso per una donna. Amore! Detesto la parola. Riferita a una persona del nostro sesso, la considero una vera offesa: potrei ammettere forse di avere una preferenza; ma non per qualcuno come il povero signor Hatfield che non ha neppure settecento sterline l'anno. Mi piace parlargli, perché è tanto intelligente e divertente - vorrei che sir Thomas Ashby avesse la metà della sua simpatia - e inoltre deve pure esserci qualcuno con cui amoreggiare, e nessun altro ha tanto buon senso da venire qui; e quando usciamo la mamma non mi permette di flirtare con nessuno se non con sir Thomas... se c'è; e se non c'è sono legata mani e piedi, nel timore che qualcuno inventi una storia esagerata e gli faccia credere che sono fidanzata, o prossima a fidanzarmi, con qualcun altro; o, il che è più probabile, nel timore che quella peste di sua madre veda o sappia qualcosa di me e deduca che non sono una moglie degna del suo straordinario rampollo; come se quello non fosse il più grande scapestrato della cristianità, e qualsiasi donna normalmente onesta non fosse mille volte troppo per lui.» «E' vero, signorina Murray? e vostra madre lo sa e vuole ugualmente che voi lo sposiate?» «Ma naturalmente! Ne sa più lei di me su sir Thomas, credo: me lo tiene nascosto per evitare che io mi scoraggi, perché non sa quanto poco mi importi di queste cose. Perché davvero non sono cose che contano molto: metterà la testa a posto quando si sposa, come dice la mamma, e i libertini pentiti sono i migliori mariti, lo sanno tutti. Vorrei che non fosse così brutto - di questo soltanto mi preoccupo ma non c'è da scegliere qui in campagna, e papà non ci permette di andare a Londra...» «Mi sembra che il signor Hatfield andrebbe molto meglio.» «Ah, senza dubbio, se fosse padrone di Ashby Park; ma il fatto è che io devo diventare padrona di Ashby Park, chiunque sia a dividerlo con me.» «Ma il signor Hatfield intanto è convinto di piacervi; non pensate quanto sarà amara la sua delusione quando scoprirà di essersi ingannato?» «No davvero! Sarà il giusto castigo della sua presunzione, per aver osato credere che io potessi amarlo. Niente mi piacerebbe quanto togliergli il velo dagli occhi.» «Allora, quanto prima lo farete tanto meglio sarà.» «No... ve lo ripeto, mi piace divertirmi con lui. Inoltre, non è proprio convinto di piacermi. A questo sto molto attenta; non sapete come sia abile. Può forse presumere di pensare che riuscirebbe a farsi amare da me, e per questo lo punirò come merita.» «Bene, cercate soltanto di non fornire troppi validi pretesti a tale presunzione» ribattei. Ma le mie esortazioni si rivelarono vane; servirono soltanto a accrescere la sua ansia di nascondermi i suoi desideri e i suoi pensieri. Non mi parlò più del rettore; io però vedevo bene che la sua mente, se non il suo cuore, pensava ancora a lui, e che era decisa a avere un altro incontro; se infatti, in ossequio al desiderio di sua madre, io ero ora la compagna delle sue passeggiate, la signorina Murray continuava a vagabondare per i campi e i viali più vicini alla strada; a volte parlava con me, a volte leggeva il libro che teneva in mano, ma sempre si interrompeva ogni tanto per guardarsi attorno, o cercare se qualcuno venisse lungo la strada; e se passava un uomo a cavallo, capivo dalle parole offensive con cui imparzialmente definiva lo sventurato cavaliere, chiunque fosse, che lei lo odiava perché non era Hatfield. "Senza dubbio" pensavo "non gli è indifferente come crede o come vorrebbe far credere agli altri; e la preoccupazione di sua madre non è infondata come lei afferma." Passarono tre giorni, e il signor Hatfield non si fece vedere. Nel pomeriggio del quarto, stavamo passeggiando lungo la palizzata del parco, nel famoso campo, ognuna provvista di un libro (poiché badavo sempre a portare con me qualcosa da fare nei momenti in cui lei non richiedeva la mia conversazione), quando interruppe di colpo la mia lettura esclamando: «Oh, signorina Grey, abbiate la compiacenza di andare da Mark Wood e di dare una mezza corona alla moglie da parte mia... avrei dovuto dargliela o mandargliela già da una settimana, ma l'ho dimenticato. Ecco!» aggiunse gettandomi il borsellino e parlando molto in fretta. «Non preoccupatevi di tirarla fuori adesso, ma prendete il borsellino e dategli quello che volete... verrei con voi, ma voglio finire questa parte. Verrò a raggiungervi quando avrò finito di leggerla. Fate presto, mi raccomando... e... Oh, aspettate, non sarebbe meglio che faceste un po' di lettura a Mark Wood? Correte a casa a prendere un libro edificante... Uno qualunque andrà bene.» Feci quello che mi veniva chiesto; tuttavia, sospettando qualcosa per il modo affrettato e improvviso con cui mi parlava, mi voltai a guardare prima di uscire dal campo, e vidi il signor Hatfield che stava entrando dal cancello. Mandandomi a casa a cercare un libro, aveva evitato di stretta misura che io lo incontrassi sulla strada. "Non importa!" pensai. "Non succederà in fondo nulla di male. Il povero Mark sarà contento della mezza corona, e forse anche del libro edificante; e se il rettore riesce davvero a conquistare il cuore della signorina Rosalie, servirà soltanto a abbassarle un po' la cresta; e se poi davvero dovessero sposarsi, lei si salverebbe da una sorte molto peggiore; sarebbe una moglie adatta a lui, come lui un marito adatto a lei.» Mark Wood era il contadino tisico di cui ho parlato in precedenza, che stava ormai rapidamente consumandosi. Con la sua liberalità, la signorina Murray ottenne davvero la benedizione del morente; (1) se infatti la mezza corona poteva essere a lui di ben poca utilità, Mark ne era lieto per la moglie e i figli, che presto lo avrebbero perduto. Dopo aver letto qualche tempo per confortare e ammaestrare lui e la moglie oppressa dalla desolazione, li lasciai; ma non avevo ancora fatto cinquanta metri quando incontrai il signor Weston, diretto a quella stessa casa. Mi salutò gravemente, spontaneamente, come era sua abitudine; si fermò per chiedere notizie del malato e della sua famiglia, e, con inconsapevole, fraterno disprezzo delle formalità, mi prese di mano il libro che avevo letto a Mark, lo sfogliò, fece alcuni commenti, pochi ma giusti, e me lo restituì; poi mi disse di un povero sofferente che era appena andato a trovare, mi parlò un poco di Nancy Brown, fece qualche osservazione sul mio piccolo amico, il rough terrier, che gli saltellava ai piedi, sulla bellezza del tempo e infine si allontanò. Non ho citato nei particolari le sue parole pensando che non possano interessare i lettori come interessavano me, non certo perché le abbia dimenticate. No; le ricordo bene; poiché non feci che ripetermele quel giorno e per molti giorni, non so quante volte, ripensando a tutte le intonazioni della sua voce profonda, chiara, a ogni sguardo dei suoi penetranti occhi scuri, al bagliore del suo sorriso così bello e così fugace. Temo che questa mia confessione sembrerà molto assurda, ma ormai l'ho scritta; e quanti la leggeranno non conoscono chi l'ha scritta. Mentre continuavo a camminare, intimamente felice e in armonia con tutto quanto mi circondava, la signorina Murray si affrettò a raggiungermi; la sua andatura vivace, il viso acceso e il sorriso radioso dimostravano che anche lei, a suo modo, era felice. Correndo verso di me, mi prese sottobraccio e, senza riprendere fiato, cominciò: «Dovete sentirvi molto onorata, signorina Grey, perché sono venuta a dirvi la novità prima di averne accennato a chiunque altro.» «E quale novità?» «Oh, straordinaria! Prima di tutto, dovete sapere che il signor Hatfield è arrivato all'improvviso appena voi ve ne siete andata. Ero così ansiosa, temendo che papà o mamma lo vedessero... ma sapete bene che non potevo richiamarvi, e così... Oh, no, non posso raccontarvi tutto ora, perché vedo Matilda nel parco, e devo andare a rivelarle il mistero. Ma insomma, Hatfield è stato insolitamente audace, indicibilmente lusinghiero, e tenero come non mai - o almeno, ha cercato di esserlo, ma senza grandi risultati perché la tenerezza non è il suo forte. Vi dirò un'altra volta tutto quello che mi ha detto.» «Ma che cosa avete detto voi? questo mi interessa molto di più.» «Anche questo vi dirò, un'altra volta. Proprio in quel momento ero di ottimo umore; ma, pur essendo molto graziosa e benevola, sono stata bene attenta a non compromettermi in alcun modo. Quello sventurato, però, quel presuntuoso ha voluto interpretare a modo suo l'amabilità del mio umore, e infine si è sentito autorizzato dalla mia indulgenza a... pensate un po'... a farmi una dichiarazione in piena regola!» «E voi?» «Io mio sono drizzata fieramente, e, con la maggior freddezza possibile, ho espresso il mio stupore, augurandomi che non avesse scorto nulla nella mia condotta tale da giustificare le sue speranze. Avreste dovuto vedere che muso lungo ha fatto allora! E' diventato pallidissimo. Io gli ho detto che lo stimavo e tutto quello che si deve dire, ma che non potevo davvero accettare la sua offerta; e che se anche lo avessi fatto, papà e mamma non avrebbero mai e poi mai dato il loro consenso.» «"Ma se loro lo dessero" mi ha chiesto "voi non dareste il vostro?" «"No di certo, signor Hatfield" ho risposto, con una fredda risolutezza che ha spento all'istante ogni speranza. Oh, se lo aveste visto: era orribilmente mortificato, schiacciato dalla sua delusione. Quasi mi faceva pena! «Ha fatto un ultimo disperato tentativo. Dopo un lungo silenzio, mentre lottava per mantenersi calmo, e io per mantenermi seria perché sentivo un gran desiderio di ridere, il che avrebbe rovinato tutto - ha detto, con un pallidissimo sorriso: «"Ma siate sincera, signorina Murray; se io avessi la ricchezza di sir Hugh Meltham, o le prospettive del suo figlio maggiore, anche allora mi rifiutereste? rispondetemi con sincerità, sul vostro onore." «"Senza dubbio" ho risposto "non farebbe alcuna differenza." «Era una grossa bugia, ma sembrava ancora così sicuro del suo fascino, che ho deciso di non lasciargli neppure un centimetro di terra sotto i piedi. Mi ha guardato a lungo in viso; ma io avevo un'aria così seria che non poteva immaginare non stessi dicendo la verità. «"Allora è tutto finito, immagino" ha detto, e sembrava stesse per morire lì, di colpo, per il dispiacere e l'intensità della disperazione. Ma era rabbioso, non soltanto deluso. Era là, che soffriva in modo indicibile, e io gli stavo davanti, causa spietata di tutta la sua sofferenza, assolutamente impenetrabile all'artiglieria del suo fascino e delle sue parole, calma, fredda, orgogliosa; non poteva non provare un certo risentimento, e ha cominciato, con singolare amarezza: «"Non mi aspettavo davvero questo, signorina Murray. Potrei parlare della vostra passata condotta, delle speranze che mi avete incoraggiato a nutrire; ma eviterò di farlo, purché..." «"Niente purché, signor Hatfield!" l'ho interrotto, ormai davvero offesa dalla sua insolenza. «"Allora, lasciate che lo chieda come un favore" ha risposto, abbassando la voce e prendendo un tono più umile. "Lasciate che io vi chieda di non parlare di questo con nessuno. Se voi non parlerete, non ci saranno per nessuno dei due conseguenze sgradevoli... nessuna, intendo, se non quelle assolutamente inevitabili: i miei sentimenti, cercherò di tenerli per me, se non posso annientarli; cercherò di perdonare, se non posso dimenticare la causa della mia sofferenza. Voglio credere, signorina Murray, che voi ignoriate quale danno mi avete arrecato. Né vorrei che lo sapeste; ma se, oltre al danno che già mi avete arrecato perdonatemi, ma, consapevolmente o inconsapevolmente, lo avete fatto - se lo aggravate rendendo pubblica questa sventurata vicenda, o soltanto accennandovi, allora scoprirete che anch'io posso parlare; avete disprezzato il mio amore, ma non potrete disprezzare..." «Non è andato oltre, ma si è morso le labbra esangui, e aveva un'aria così feroce che ero davvero spaventata. Però l'orgoglio mi ha sostenuta, e ho risposto sdegnosamente: «"Non vedo per quale ragione, secondo voi, dovrei parlarne con qualcuno; ma se intendessi farlo, non mi fermereste con le minacce, e non è da gentiluomo cercare di farlo." «"Perdonatemi, signorina Murray" ha detto allora "vi ho amato così intensamente - e ancora vi adoro così profondamente che non vorrei dovervi offendere; ma, se è vero che non ho mai amato, né mai potrò amare una donna come ho amato voi, è altrettanto vero che non sono mai stato trattato così male da una donna. Al contrario, ho sempre trovato il vostro sesso la più dolce e tenera e cortese delle creature di Dio, finora." (Pensate quanta presunzione per dire una cosa simile.) "E la novità e la durezza della lezione che mi avete dato oggi, e l'amarezza di venir deluso in quello da cui dipendeva la felicità della mia vita, dovranno scusare la mia apparente asprezza. Se la mia presenza vi è sgradita, signorina Murray" ha aggiunto (poiché io mi guardavo attorno per dimostrare quanto poco mi curassi di lui, ha pensato, immagino, che fossi stanca della sua presenza) "se la mia presenza vi è sgradita, signorina Murray, dovete soltanto promettermi il favore che vi ho chiesto, e ve ne libererò subito. Molte signore - alcune di questa stessa parrocchia sarebbero felicissime di accettare quello che voi avete sdegnosamente calpestato sotto i piedi. E naturalmente sarebbero portate a odiare una donna la cui eccezionale bellezza ha allontanato irrimediabilmente da loro il mio cuore e resi ciechi i miei occhi al loro fascino; un solo accenno alla verità, fatto da me a una di loro, basterebbe a far nascere tante chiacchiere contro di voi da mettere a serio rischio le vostre prospettive e indebolire le vostre probabilità di successo con ogni altro uomo che voi, o vostra madre, desideraste catturare." «"Che cosa intendete, signore?" ho chiesto, e quasi battevo il piede a terra dalla collera. «"Intendo che questa vicenda ai miei occhi appare dall'inizio alla fine come un caso lampante di... di civetteria - è il minimo che si possa dire - un caso tale che non vi farebbe certo piacere veder rivelato ai quattro venti, per di più con le aggiunte e le esagerazioni delle vostre rivali, che sarebbero felici di divulgare la cosa se soltanto gliene offrissi l'occasione. Ma vi prometto, sul mio onore di gentiluomo, che non una parola, non una sillaba che possa recarvi danno mi sfuggirà dalle labbra, purché voi..." «"D'accordo, d'accordo, non ne parlerò" ho detto allora "potete contare sul mio silenzio, se la cosa vi è di conforto." «"Lo promettete?" «"Sì" ho risposto, perché a quel punto volevo liberarmi di lui. «"Vi lascio dunque, per sempre!" ha detto, con un tono molto dolente e innamorato; e con uno sguardo in cui l'orgoglio lottava invano con la disperazione, si è allontanato, ansioso, senza dubbio, di tornare a casa per potersi chiudere nel suo studio a piangere... seppure non scoppierà in singhiozzi prima di arrivarci.» «Ma avete già infranto la vostra promessa!» esclamai, inorridendo alla sua slealtà. «Oh, soltanto con voi... so che voi non lo ripeterete.» «No, naturalmente no; ma voi dite che lo direte a vostra sorella; e lei lo dirà ai vostri fratelli quando torneranno a casa, e alla Brown lo dirà subito, se non sarete voi stessa a dirglielo, e la Brown lo dirà a tutti, o farà in modo che lo sappiano tutti.» «No, no, non lo farà... Non glielo diremo, se non facendole promettere la massima segretezza.» «Ma come potete aspettarvi che lei mantenga la sua parola meglio della sua padrona tanto più illuminata?» «D'accordo, sì, allora non ne saprà nulla» disse la signorina Murray seccamente. «Ma lo direte a vostra madre, certo, e lei lo dirà a vostro padre.» «Certo che lo dirò alla mamma: è proprio questo che mi fa soprattutto piacere. Adesso potrò convincerla che si ingannava nei suoi timori per me.» «Oh, è questo dunque il punto? Mi chiedevo che cosa vi entusiasmasse tanto.» «Sì; e mi fa piacere avere abbassato la cresta del signor Hatfield con tanta eleganza; e poi... dovete pure concedermi un po' di vanità femminile; non fingerò certo di essere priva dell'attributo più essenziale del nostro sesso. Se aveste visto l'intensità con cui il povero Hatfield faceva la sua ardente dichiarazione e la sua lusinghiera proposta, e la sua profonda sofferenza, che nessuno sforzo dell'orgoglio poteva nascondere, al mio rifiuto, avreste riconosciuto che ho buoni motivi per sentirmi soddisfatta.» «Quanto più grande era la sua sofferenza, direi, e tanto minori i motivi di soddisfazione» ribattei. «Oh, sciocchezze!» esclamò lei, scuotendosi in un gesto di dispetto. «O non riuscite a capirmi o non volete. Se non credessi alla vostra magnanimità, penserei che mi invidiate. Ma forse capirete almeno questa causa di soddisfazione - valida quanto tante altre: sono molto compiaciuta con me stessa per la mia prudenza, il mio controllo, la mia spietatezza, e scusate se è poco; non mi sono lasciata cogliere alla sprovvista, non ero confusa neppure un po', o imbarazzata, o turbata; ho agito e parlato proprio come dovevo, e sono stata sempre padrona di me. E si trattava di un uomo di gran bell'aspetto - Jane e Susan Green dicono che è bello da incantare: immagino siano due delle signore che secondo lui sarebbero felici di averlo - ma in ogni caso era un compagno intelligente, spiritoso, gradevole; non intelligente come intendete voi, ma quel tanto che basta per renderlo divertente; un uomo di cui non ci si dovrebbe vergognare in nessun ambiente; di cui non ci si stancherebbe in fretta; e, per essere sincera, mi piaceva... da qualche tempo mi piaceva più di Harry Meltham; e lui evidentemente mi idolatrava; eppure, anche se mi ha sorpreso sola e impreparata, ho avuto la saggezza, e la fierezza, e la forza di rifiutarlo, e di rifiutarlo sdegnosamente, freddamente: di questo ho ragione di andare fiera.» «E andate altrettanto fiera di avergli detto che, se avesse avuto la ricchezza di sir Hugh Meltham, non avrebbe fatto nessuna differenza, mentre non era vero; e di avergli promesso di non rivelare a nessuno la sua disavventura, senza alcuna intenzione di mantenere la promessa?» «Certo! che altro potevo fare? Avreste forse voluto che... Ma vedo, signorina Grey, che non siete di buon umore. Ecco Matilda; vedrò che cosa ne pensano lei e la mamma.» Si allontanò da me, offesa dalla mia mancanza di simpatia e convinta, senza dubbio, che io la invidiavo. Non era così: quanto meno, ne sono fermamente convinta. Mi dispiaceva per lei; ero stupefatta, nauseata dalla sua spietata vanità; mi chiedevo perché sia data tanta bellezza a quelli che ne fanno un uso così cattivo, e negata a alcuni che ne trarrebbero vantaggio per loro e per gli altri. Ma conclusi che Dio sa quello che è giusto. Forse ci sono uomini vanitosi, egoisti e senza cuore come lei, e forse donne così possono essere utili per punirli. NOTE: (1) Cfr. Giobbe, 29, 13. (Ndt) XV. La passeggiata «Vorrei davvero che Hatfield non fosse stato tanto precipitoso!» esclamò Rosalie il giorno dopo, alle quattro, mentre deponeva il ricamo con un terribile sbadiglio e guardava con impazienza verso la finestra. «Non c'è motivo di uscire ora e non c'è niente di bello da aspettarsi. Le giornate sono sempre così lunghe e noiose senza ricevimenti per ravvivarle; e non ce ne sono questa settimana, e neppure la prossima, che io sappia.» «E' un peccato che tu sia stata tanto cattiva con lui» ribatté Matilda a cui erano indirizzati quei lamenti. «Non verrà più; e io sospetto che dopo tutto ti piacesse. Speravo che lo prendessi come tuo spasimante e lasciassi a me il caro Harry.» «Oh, il mio spasimante deve essere un vero Adone, Matilda, ammirato da tutti, se devo contentarmi di uno solo. Mi dispiace aver perduto Hatfield, lo riconosco; ma il primo uomo passabile, o il primo gruppo di uomini, che venga a prendere il suo posto, sarà il benvenuto. Domani è domenica... mi chiedo proprio che aspetto avrà e se sarà in grado di condurre tutto l'ufficio. Molto probabilmente, dirà di avere un'infreddatura e lascerà il posto al signor Weston.» «No di certo» ribatté Matilda in tono sprezzante. «Potrà essere uno sciocco, ma non è tanto debole.» Sua sorella si offese un poco; ma i fatti dimostrarono che Matilda aveva ragione. L'innamorato deluso compì come sempre i suoi doveri pastorali. Rosalie, è vero, dichiarò che era molto pallido e aveva un'aria desolata: forse era davvero un po' più pallido, ma la differenza, seppure esisteva, era appena avvertibile. Quanto all'aria desolata, non sentii certo la sua risata risuonare dalla sacrestia come di consueto, né la sua voce forte pronunciare frasi scherzose, sebbene la sentissi rimproverare il sacrestano in modo da lasciare stupefatta la congregazione; e nel suo andare e venire dal pulpito all'altare c'era molta pomposa solennità, ma si avvertiva ben meno quell'irriverente, compiaciuta, o piuttosto deliziata arroganza, con cui era solito incedere... quell'aria che sembrava dire: «Mi adorate e mi riverite, voi tutti, lo so; ma se qualcuno non lo fa, lo sfido all'ultimo sangue». Ma il cambiamento più notevole stava nel fatto che mai una volta volse lo sguardo verso il banco del signor Murray e non uscì dalla chiesa prima che noi ce ne fossimo andati. Indubbiamente, per il signor Hatfield il colpo era stato duro; ma il suo orgoglio gli imponeva di fare ogni sforzo per nasconderne gli effetti. Era stato deluso nella certezza di conquistarsi non soltanto una moglie molto bella e ai suoi occhi molto attraente, ma una il cui rango e la cui ricchezza avrebbero fatto risplendere attrattive assai inferiori; di conseguenza, era senza dubbio avvilito dal rifiuto e profondamente offeso dalla condotta della signorina Murray. Sarebbe stato per lui di non poco conforto sapere quanto Rosalie fosse rimasta delusa vedendolo così poco turbato, trovandolo in grado di non guardare dalla sua parte neppure una volta nel corso di tutti e due gli uffici, sebbene questo dimostrasse, a quanto lei affermava, che Hatfield aveva sempre pensato a lei, altrimenti il suo sguardo, se non altro per caso, si sarebbe posato su di lei; ma se quello sguardo si fosse davvero posato su di lei, allora avrebbe affermato che era perché non poteva resistere al suo fascino. E gli avrebbe fatto probabilmente un certo piacere vedere quanto Rosalie fosse annoiata e insoddisfatta tutta la settimana (o per buona parte della settimana) per la mancanza della sua consueta fonte di emozione e svago; e quanto spesso rimpiangesse di averlo «finito così presto», come un bambino che, avendo divorato troppo in fretta il dolce, se ne stia seduto a succhiarsi le dita e a lamentare invano la sua avidità. Infine, in una bella mattina, mi venne chiesto di accompagnarla per una passeggiata al villaggio. Ufficialmente andava a acquistare lana di un certo colore in un negozio abbastanza elegante frequentato soprattutto dalle signore del vicinato; ma in realtà... credo non sia poco caritatevole immaginare che andasse nella speranza di incontrare per via il signor Hatfield o un altro ammiratore; infatti, mentre camminavamo, continuava a chiedersi «che cosa avrebbe fatto o detto Hatfield se lo avessimo incontrato», eccetera eccetera; quando oltrepassammo i cancelli del signor Green, «si chiedeva se fosse a casa, quello stupidone»; al passaggio della carrozza di Lady Meltham «si chiedeva che cosa facesse Harry in una giornata così bella»; poi cominciò a prendersela con il fratello maggiore che era stato «tanto sciocco da sposarsi e andare a vivere a Londra». «Perché» chiesi «credevo che anche voi voleste vivere a Londra.» «Sì, perché qui ci si annoia; ma ci si annoia ancora di più da quando lui se ne è andato; e se non fossi sposato, potrei sposare lui invece dell'odioso sir Thomas.» Poi, osservando le tracce degli zoccoli di un cavallo sulla strada fangosa, «si chiedeva se era il cavallo di un gentiluomo» e concludeva che doveva essere così, perché le orme erano troppo piccole per essere state fatte da un «grosso, goffo cavallo da tiro»; e poi «si chiedeva chi potesse essere il cavaliere» e se lo avremmo incontrato al suo ritorno, perché era certa che doveva essere passato quella mattina; infine, quando entrammo nel villaggio e vedemmo in giro soltanto alcuni dei suoi umili abitanti, «si chiedeva perché quegli stupidi non se ne stessero in casa; certo lei non aveva nessuna voglia di vedere le loro brutte facce e i loro vestiti sporchi e volgari: non era per quello che era venuta a Horton!». Mentre io, lo confesso, mi chiedevo a mia volta, segretamente, se avremmo incontrato o soltanto visto qualcun altro; e quando passammo davanti a casa sua, arrivai a chiedermi se non fosse alla finestra. Entrando nel negozio, la signorina Murray volle che io rimanessi sulla porta mentre lei faceva i suoi acquisti e le dicessi se passava qualcuno. Ma non si vedeva nessuno, purtroppo, tranne gli abitanti, a parte Jane e Susan Green che scendevano la sola strada del villaggio, di ritorno probabilmente da una passeggiata. «Che stupide sono!» borbottò Rosalie quando uscì dal negozio. «Perché mai non hanno con loro quell'idiota del fratello? perfino lui sarebbe meglio che niente.» Tuttavia, le salutò con un sorriso allegro e con proteste di felicità non inferiori alle loro per quel lieto incontro. Si misero al suo fianco, prendendola in mezzo, e passeggiarono tutte e tre insieme, chiacchierando e ridendo, come fanno le ragazze quando si trovano insieme, se appena appena si conoscono. Ma io, sentendomi di troppo, le lasciai alle loro chiacchiere allegre e rimasi indietro, come facevo sempre in simili circostanze: non desideravo davvero camminare accanto alla signorina Green o alla signorina Susan come una sordomuta che non poteva parlare e a cui non si poteva parlare. Ma questa volta non rimasi sola a lungo. All'inizio mi parve molto strano che, proprio mentre pensavo a lui, il signor Weston passasse di là e mi avvicinasse; ma in seguito, dopo aver riflettuto, mi dissi che non c'era niente di strano, se non forse il fatto che mi rivolgesse la parola: in una mattina così, e vicino alla sua abitazione, era più che naturale che fosse fuori; e quanto alla coincidenza che io stessi pensando a lui, non facevo altro, con pochissimi intervalli, da quando avevamo iniziato la passeggiata; non c'era dunque nulla di notevole. «Siete di nuovo sola, signorina Grey» mi disse. «Sì.» «Che tipo sono quelle signorine, le signorine Green?» «Non saprei dire.» «E' strano: vivete vicino e le vedete così spesso!» «Ecco, direi che sono ragazze vivaci, di buon carattere; ma credo che voi dobbiate conoscerle meglio di me, perché io non ho mai neppure scambiato una parola con loro.» «Possibile? Non hanno l'aria particolarmente discreta e silenziosa.» «E molto probabilmente non lo sono con la gente della loro stessa classe sociale; ma ritengono di muoversi in una sfera molto diversa dalla mia.» Non rispose alle mie parole; ma dopo una breve pausa disse: «Immagino sia per circostanze come queste, signorina Grey, che voi sentite di non poter vivere senza una casa vostra?» «Non proprio. Vedete, amo troppo la compagnia per poter vivere senza amici, e i soli amici che ho, e che probabilmente avrò mai, sono quelli di casa; se la casa non ci fosse... no, se loro non ci fossero più, non dico che non potrei, ma preferirei non vivere in un mondo così deserto.» «Ma perché parlate dei soli amici che probabilmente avrete mai? Siete così poco socievole che non riuscite a farvene?» «No, ma non me ne sono mai fatta sinora; e nella mia situazione attuale non mi è possibile farmene qualcuno, o anche soltanto avere normali conoscenze. Può darsi che in parte la colpa sia mia, ma non del tutto spero.» «La colpa è in parte della società, e in parte, direi, dei vostri vicini diretti, e in parte anche vostra: molte signore nella vostra situazione farebbero in modo di essere notate e considerate. Ma le vostre allieve dovrebbero essere in qualche modo delle compagne per voi; non sono certo molto più giovani.» «Oh, sì, qualche volta sono una compagnia piacevole; ma non posso definirle amiche, né loro penserebbero a chiamarmi tale: hanno altre amiche più adatte ai loro gusti.» «Forse siete troppo saggia per loro. Come passate il vostro tempo libero, leggendo?» «Leggere è il mio passatempo preferito, quando ho il tempo per farlo e i libri da leggere.» Dai libri in genere, passò a parlare di alcuni libri in particolare, e trascorreva rapidamente da un argomento all'altro: nel giro di mezz'ora si finì per discutere di parecchie cose, relative ai gusti e alle opinioni, ma senza molti commenti da parte sua; era evidentemente desideroso di scoprire i miei pensieri e le mie preferenze ben più che di comunicare i suoi. Non aveva il tatto o l'abilità per ottenere il suo scopo portandomi sapientemente a esprimere i miei sentimenti e le mie idee con l'espressione, reale o apparente, dei suoi, o per guidare con impercettibili tocchi la conversazione verso gli argomenti dei quali desiderava parlare. Ma quel tono dolcemente diretto, quella assoluta e deliberata franchezza non erano certo tali da offendermi. "E perché dovrebbe interessarsi alle mie facoltà morali e intellettuali?" mi chiedevo. "Che importanza ha per lui quello che io penso e sento?" E mi batteva il cuore in risposta alla domanda. Ma Jane e Susan Green arrivarono presto a casa. Mentre se ne stavano ferme al cancello, cercando di convincere la signorina Murray a entrare, io speravo che il signor Weston se ne andasse affinché lei non lo vedesse con me quando si voltava; purtroppo però, i suoi impegni - una visita al povero Mark Wood - lo portavano a compiere la nostra stessa strada, quasi fino alla fine. Pure, appena vide che Rosalie si era congedata dalle sue amiche e che io mi preparavo a raggiungerla, fece per allontanarsi, continuando più rapidamente il cammino; ma, quando si tolse cortesemente il cappello passandole davanti, con mio grande stupore Rosalie, invece di ricambiare il saluto con un rigido, freddo inchino, gli si avvicinò con uno dei suoi sorrisi più dolci, e, camminandogli al fianco, cominciò a parlargli con la massima gaiezza e affabilità; continuammo così insieme la strada. Dopo una breve pausa nella conversazione, il signor Weston si rivolse in particolare a me, riferendosi a qualcosa di cui avevamo già parlato; ma, prima che io potessi rispondere, rispose la signorina Murray e continuò sullo stesso argomento: lui le fece eco, e da allora fino alla fine della passeggiata lei monopolizzò interamente la sua conversazione. Forse era dovuto alla mia insulsaggine, alla mia mancanza di tatto e di sicurezza; ma mi sembrava di aver subito un torto; tremavo di apprensione; e ascoltavo piena di invidia la loro conversazione facile, scorrevole, e osservavo con ansia il sorriso luminoso con cui lei di tanto in tanto lo guardava, poiché lei camminava un po' più avanti con lo scopo preciso (pensai) di essere vista oltre che udita. Se la sua conversazione era leggera e frivola, era però divertente, e lei non restava mai a corto di argomenti o di parole per esprimerli. Non c'era ora nessuna impertinente spavalderia nella sua condotta, come accadeva quando era con il signor Hatfield; soltanto una dolce, scherzosa vivacità che ritenevo dovesse apparire particolarmente gradita a un uomo con il carattere e i gusti del signor Weston. Quando lui si allontanò, Rosalie rise e mormorò tra sé: «Ero certa che ci sarei riuscita!» «Riuscita a far cosa?» chiesi. «A conquistare quell'uomo.» «Ma che intendete dire?» «Intendo dire che andrà a casa e sognerà di me. L'ho colpito dritto al cuore.» «Come potete saperlo?» «Da molti infallibili indizi, e soprattutto dallo sguardo che mi ha lanciato allontanandosi. Non era uno sguardo impudente - no, questo devo ammetterlo - era uno sguardo di riverente, tenera adorazione. Vedo che non è quello sciocco che credevo!» Non risposi, perché avevo il cuore in gola, o così mi sembrava, e non potevo fidarmi a parlare. "Oh, Signore, allontanate questo pericolo!" esclamai silenziosamente. "Per lui, non per me." La signorina Murray fece molte osservazioni prive di importanza mentre attraversavamo il parco, ma io (pure con tutta la riluttanza a lasciare anche soltanto intravedere i miei sentimenti) riuscii a rispondere solo a monosillabi. Non capivo se lei volesse tormentarmi o soltanto divertirsi, e non me ne importava molto; ma pensavo al povero e alla sua pecorella piccina, e al ricco con il suo bestiame in gran numero; (1) e temevo non sapevo che cosa per il signor Weston, indipendentemente dalle mie speranze calpestate. Fui molto felice di entrare in casa e di trovarmi nuovamente sola nella mia stanza. Il mio primo impulso era di buttarmi sulla sedia accanto al letto, di abbandonare la testa sul cuscino e sfogarmi in un pianto disperato; il desiderio di pianto era in me imperioso; ma dovevo ahimè frenarmi e inghiottire i miei sentimenti ancora per un poco: ecco infatti il campanello, l'odioso campanello che annunciava il pranzo nella sala da studio; e dovevo scendere con il viso calmo, e sorridere e ridere e dire sciocchezze... sì, e dovevo anche mangiare, se mi riusciva, come se tutto andasse bene, come se fossi appena tornata da una piacevole passeggiata. NOTE: (1) In 2 Samuele, 12, 1-6, il profeta Natan rimprovera David per aver sposato Betsabea, moglie di Uria, dopo aver fatto morire quest'ultimo, narrandogli del ricco che aveva migliaia di capi e che tuttavia prende al povero la sua unica pecora; Agnes palesemente paragona se stessa al povero. (Ndt) XVI. La sostituzione La domenica successiva era una giornata d'aprile buia e cupa, di pesanti nuvole nere e forti piogge. Nessuno dei Murray voleva andare in chiesa il pomeriggio, tranne Rosalie, decisa a andare come sempre; ordinò dunque la carrozza e io andai con lei, non malvolentieri, certo, perché in chiesa potevo guardare senza timore, timidezza o rimproveri una forma e un viso per me più graditi delle più belle creazioni di Dio; potevo ascoltare senza essere disturbata una voce più dolce alle mie orecchie della più bella musica; potevo sembrare in comunione con quell'anima che suscitava in me un così profondo interesse e assorbire i suoi pensieri più puri e le più sante aspirazioni, senza alcuna macchia su tale felicità, se non i rimproveri segreti della mia coscienza che troppo spesso mi sussurrava che io mi ingannavo e offendevo Dio rendendogli il culto con un cuore rivolto alla creatura più che al Creatore. A volte questi pensieri mi turbavano seriamente; a volte riuscivo a placarli riflettendo. Non è l'uomo che amo, ma la sua bontà. "Tutto quello che è puro, amabile, onorato, quello che è virtù e merita lode, tutto questo sia oggetto dei vostri pensieri." (1) E' giusto che noi veneriamo Dio nelle Sue opere; e non ne conosco altre in cui risplendano tanti Suoi attributi, tanta parte del Suo stesso spirito come in questo Suo servo fedele che sarebbe ottusa insensibilità in me, che ho così pochi affetti a occuparmi il cuore, conoscere e non apprezzare. Subito dopo la fine dell'ufficio la signorina Murray lasciò la chiesa. Ci toccò aspettare in piedi nel portico, perché pioveva e la carrozza non era ancora arrivata. Mi chiedevo perché fosse uscita così in fretta, non vedendo né il giovane Meltham né il signor Green; ma scoprii presto che il suo scopo era di assicurarsi un colloquio con il signor Weston appena fosse uscito, come subito fece; dopo averci salutate entrambe, avrebbe proseguito per la sua strada se lei non lo avesse trattenuto; prima con alcuni commenti su quel tempo sgradevole, poi chiedendogli se avrebbe avuto la bontà di venire il giorno dopo a parlare con la nipote della vecchia portiera, perché la ragazza aveva la febbre e desiderava vederlo. Lui promise che lo avrebbe fatto. «E quando sarà più probabile che possiate venire, signor Weston? La vecchia portiera vorrà sapere quando deve aspettarvi... gente come lei, lo sapete, si preoccupa di avere la casa in perfetto ordine, se riceve la visita di gente ammodo, più di quanto noi immaginiamo.» Straordinario esempio di riguardo per gli altri da parte della sventata signorina Murray. Il signor Weston disse a quale ora del mattino avrebbe cercato di venire. La carrozza era ormai arrivata e lo staffiere aspettava, con un ombrello aperto, di scortare la signorina Murray. Io mi preparavo a seguirla; ma anche il signor Weston aveva un ombrello e si offrì di ripararmi dalla pioggia, che cadeva con forza. «No grazie» risposi «la pioggia non mi disturba.» Facevo sempre sciocchezze quando venivo colta di sorpresa. «Ma immagino che neppure vi piaccia?... in ogni caso, un ombrello non può certo nuocervi» ribatté lui, con un sorriso che dimostrava che non si era offeso, come si sarebbe offeso del mio rifiuto un uomo dal carattere peggiore o dotato di minore intuito. Non potevo negare la verità delle sue parole e andai con lui fino alla carrozza; mi offrì anche la mano per aiutarmi a salire, cortesia superflua, che tuttavia accettai nel timore di offenderlo. Mi lanciò soltanto uno sguardo, un breve sorriso al momento del congedo... un attimo appena, ma in quello sguardo io lessi, o credetti di leggere, un significato che mi accese in cuore una fiamma di speranza più viva di quante mai mi avessero riscaldato. «Avrei mandato lo staffiere a accompagnarvi, signorina Grey, se aveste aspettato un minuto... non era necessario che vi serviste dell'ombrello del signor Weston» osservò Rosalie, il bel viso velato da una nuvola tutt'altro che amabile. «Sarei venuta anche senza ombrello, ma il signor Weston si è offerto di ripararmi con il suo e non avrei potuto rifiutare, più di quanto ho fatto, senza offenderlo» risposi sorridendo placidamente, poiché la mia intima felicità rendeva divertente quello che in altri momenti mi avrebbe ferito. La carrozza si era mossa. La signorina Murray si chinò in avanti e guardò fuori dal finestrino mentre oltrepassavamo il signor Weston, che camminava verso casa lungo il viale e non si voltò. «Imbecille!» esclamò lei, tornando a appoggiarsi allo schienale con un gesto indispettito. «Non sai che cosa hai perso non voltandoti a guardare.» «Che cosa ha perso?» «Un mio cenno di saluto, che lo avrebbe sollevato fino al settimo cielo.» Non risposi. Vedevo che era di cattivo umore, e la cosa mi faceva segretamente piacere; non il pensiero che lei fosse indispettita, ma che ritenesse di avere motivo di esserlo. Mi faceva pensare che le mie speranze non nascessero soltanto dai miei desideri e dalla mia immaginazione. «Intendo prendermi il signor Weston al posto del signor Hatfield» disse la mia compagna dopo una breve pausa, ritrovando in parte la sua consueta gaiezza. «Il ballo a Ashby Park si svolgerà martedì; e la mamma pensa che molto probabilmente sir Thomas mi chiederà in moglie in quell'occasione - spesso le dichiarazioni avvengono nell'intimità di una sala da ballo, quando gli uomini si lasciano più facilmente intrappolare e le donne sono più seducenti - ma se devo sposarmi così presto, voglio sfruttare al massimo il tempo che mi resta: Hatfield non dovrà essere il solo a mettere il cuore ai miei piedi e a implorarmi invano di accettare quel dono indegno di me.» «Se intendete fare del signor Weston una delle vostre vittime» dissi con finta indifferenza «dovrete compiere passi tali che vi sarebbe poi difficile tirarvi indietro quando lui vi chiedesse di realizzare le speranze che avete suscitato.» «Non credo che mi chiederà proprio di sposarlo - né io lo vorrei... sarebbe davvero in lui una presunzione eccessiva - ma voglio che senta il potere che ho su di lui: in verità, sentirlo lo ha già sentito, voglio che lo riconosca; e qualsiasi fantasiosa speranza nutra, dovrà tenerla per sé e limitarsi a divertirmi con il solo risultato di tali speranze... per qualche tempo.» "Oh, se uno spirito amico gli sussurrasse queste parole all'orecchio!" esclamai silenziosamente. Ero troppo sdegnata per avventurarmi a rispondere a alta voce; e quel giorno non parlai più del signor Weston, né se ne parlò in mia presenza. Ma il mattino successivo, poco dopo colazione, la signorina Murray entrò nella stanza dove sua sorella era impegnata con me nei suoi studi - o meglio, nelle sue lezioni, perché di studi non è il caso di parlare - e disse: «Matilda, voglio fare una passeggiata con te verso le undici.» «Oh, no, non posso, Rosalie! Devo dare ordini per la nuova briglia e la nuova coperta da sella e parlare all'acchiappatopi dei suoi cani... verrà la signorina Grey con te.» «No, devi venire tu» ribatté Rosalie; e, chiamando la sorella alla finestra, le sussurrò una spiegazione, al che l'altra acconsentì. Ricordai che le undici era l'ora in cui il signor Weston intendeva far visita alla portiera; e, ricordandolo, compresi tutto. A pranzo, ebbi di conseguenza la gioia di un lungo rendiconto di come il signor Weston le avesse raggiunte mentre passeggiavano; e di come avessero passeggiato e conversato a lungo con lui, trovandolo un compagno molto gradevole; e di come lui dovesse essere, e in verità palesemente fosse, incantato da loro e dalla loro stupefacente benignità, eccetera eccetera. NOTE: (1) Lettera ai Filippesi, 4, 8. (Ndt) XVII. Confessioni Poiché sono in vena di confessioni, tanto varrà riconoscere che in quel periodo mi occupavo del mio modo di vestire più di quanto avessi mai fatto... il che non è dire molto perché fino a quel momento ero stata piuttosto trascurata da questo punto di vista... ma ora non era insolito che io passassi perfino due minuti contemplando la mia immagine allo specchio, sebbene non riuscissi mai a trarre conforto da tale contemplazione: non trovavo alcuna bellezza in quei lineamenti marcati, in quel viso pallido, magro, e nei capelli di un castano scuro molto comune; si leggeva forse intelligenza nella fronte, forse gli occhi grigio scuro erano espressivi, ma che importanza aveva?... una bassa fronte greca e grandi occhi neri privi di sentimento sarebbero stati considerati preferibili. E' sciocco desiderare la bellezza. La gente di buon senso non la desidera per sé né la cerca negli altri. Se la mente è ben coltivata e il cuore ha sentimenti giusti, a nessuno importa l'aspetto esterno. Questo ci dicevano le insegnanti quando eravamo bambine; e questo diciamo noi ora ai bambini. Parole giudiziose e giuste, senza dubbio; ma tali affermazioni sono sorrette dall'esperienza concreta? Siamo per natura pronti a amare quello che ci dà piacere, e che cosa è più piacevole di un bel viso... quando se non altro non sappiamo nulla di male di chi lo possiede? Una bambina ama il suo uccellino... Perché?... Perché è vivo e senziente, perché è inerme e inoffensivo. Anche un rospo vive e è senziente, e non è meno inerme e inoffensivo; ma la bambina, che al rospo non farebbe certo del male, tuttavia non lo ama come l'uccellino, con il suo corpicino aggraziato, le piume morbide e i vividi occhietti parlanti. Se una donna è bella e amabile, viene lodata per entrambe le caratteristiche, ma soprattutto per la prima, da quasi tutta l'umanità; se al contrario è sgradevole nell'aspetto e nel carattere, si protesta contro la sua bruttezza come contro la sua colpa peggiore, poiché a quanti la guardano dà il dispiacere maggiore; mentre, se è bruttina e buona, per poco che abbia modi discreti e vita solitaria, nessuno sa nulla della sua bontà, se non le più strette conoscenze; ma gli altri saranno pronti a farsi un'opinione sfavorevole della sua mente e del suo carattere, se non altro per giustificare la propria istintiva antipatia per qualcuno così poco favorito dalla natura; accadrà il contrario nei confronti di una donna la cui angelica bellezza nasconde un cuore vizioso o ricopre di un falso, ingannevole fascino difetti e errori che in un'altra non sarebbero tollerati. Chi è dotato di bellezza ne sia grato e ne faccia buon uso, come di ogni altro talento; (1) chi ne è privo, si consoli e faccia quello che può; senza dubbio, sebbene spesso sopravvalutato, è un dono di Dio, che non si deve disprezzare. Molti condivideranno questi pensieri, tra quanti hanno sentito di poter amare e hanno compreso di essere degni di venire amati, e tuttavia non hanno potuto, mancando di bellezza o per altre ragioni simili, dare e ricevere quella felicità che quasi sembrano fatti per provare e donare. Tanto varrebbe che l'umile lucciola disprezzasse la facoltà di dare luce, senza la quale il maschio errabondo le passerebbe e ripasserebbe accanto migliaia di volte e non le si poserebbe mai vicino; potrebbe sentire sopra e attorno a sé il ronzio del suo amore alato, lui cercandola invano, lei ansiosa di venir trovata, ma senza la facoltà di far sentire la sua presenza, senza voce per chiamarlo, senza ali per seguire il suo volo... il maschio cercherebbe un'altra compagna, la lucciola vivrebbe e morirebbe sola. Tali erano le mie riflessioni in quel periodo. Potrei continuare e continuare a parlare, potrei scandagliare più a fondo e rivelare altri pensieri, proporre domande alle quali i lettori troverebbero difficile dare risposta, e trarne deduzioni che sconvolgerebbero i loro pregiudizi o forse li farebbero sorridere, poiché non riuscirebbero a comprenderle; ma preferisco evitarlo. Ritornerò dunque alla signorina Murray. Accompagnò la madre al ballo di martedì; splendidamente vestita, si intende, e entusiasta delle sue prospettive e del suo fascino. Poiché Ashby Park distava quasi quindici chilometri da Horton Lodge, dovettero partire piuttosto presto, e io avevo deciso di passare la serata con Nancy Brown, che non vedevo da molto tempo, ma la mia cortese allieva badò a non permettermi di passarla né da Nancy Brown né in alcun altro luogo oltre i confini della sala da studio, dandomi un brano di musica da copiare, che mi tenne occupata fino all'ora di coricarmi. Verso le undici della mattina successiva, appena uscita dalla sua stanza, venne a darmi le ultime novità. Sir Thomas aveva infatti chiesto la sua mano al ballo, circostanza che faceva onore alla sagacia di sua madre, o piuttosto alla sua abilità strategica; sono portata a credere che avesse fatto i suoi piani e poi ne avesse predetto l'esito. La domanda era stata naturalmente accettata, e il futuro sposo doveva venire quel giorno a parlare con il signor Murray. Rosalie si rallegrava al pensiero di diventare padrona di Ashby Park; era eccitata all'idea della cerimonia nuziale con il suo splendore e la sua pompa, della luna di miele passata all'estero e dei divertimenti di cui sperava di godere in seguito a Londra e altrove; sembrava piuttosto soddisfatta per il momento anche di sir Thomas, poiché di recente lo aveva visto molto, aveva ballato con lui, ne aveva ascoltato i complimenti; ma, in complesso, appariva spaventata all'idea di doversi unire così presto a lui: desiderava che la cerimonia venisse rimandata almeno di qualche mese; e anch'io me lo auguravo. Sembrava terribile affrettare tanto un matrimonio così poco promettente e non dare a quella povera ragazza il tempo di pensare e di ragionare sul passo irrevocabile che stava per compiere. Non intendevo certo rivendicare «la cura ansiosa di una madre», ma ero stupefatta e scandalizzata dalla mancanza di cuore della signora Murray, o dalla sua indifferenza per il vero bene della figlia; e con ammonimenti e esortazioni che non venivano ascoltati cercavo invano di rimediare a quel male. La signorina Murray non faceva che ridere di quel che le dicevo; e scoprii presto che la sua riluttanza per un matrimonio immediato nasceva soprattutto dal desiderio di fare il maggior numero di vittime tra i giovani di sua conoscenza prima che le diventassero impossibili altre malizie del genere. Proprio per questo, prima di confidarmi il segreto del suo fidanzamento, mi aveva fatto promettere di non parlarne con nessuno. E quando lo compresi, quando la vidi immergersi più temerariamente che mai negli abissi di una civetteria senza cuore, non provai più alcuna pena per lei. "Qualsiasi cosa accada" pensai "lo merita. Sir Thomas non è certo indegno di lei; e quanto prima le verrà impedito di ingannare e ferire altri uomini, tanto meglio sarà." Il matrimonio era fissato per il primo di giugno. Tra il ballo fatale e quella data c'erano poco più di sei settimane; ma, con l'abilità di Rosalie e la sua infaticabile attività, si poteva fare molto anche in un tale periodo, tanto più che sir Thomas passava la maggior parte del tempo a Londra, dove andava, a quanto si diceva, per sistemare le cose con il suo legale e fare altri preparativi per le prossime nozze. Cercava tuttavia di supplire alla sua assenza con un flusso costante di bigliettini amorosi, che non attiravano però l'attenzione dei vicini né aprivano i loro occhi come avrebbero fatto delle visite; e l'acido, altero riserbo della vecchia Lady Ashby la tratteneva dal diffondere la notizia, mentre la sua salute cagionevole le impediva di venire a trovare la futura nuora; in complesso il fidanzamento rimase segreto molto più di quanto di consueto accada. A volte Rosalie mi mostrava le lettere del fidanzato per convincermi che sarebbe stato un marito tenero e devoto. Mi mostrava anche le lettere di un altro, lo sventurato signor Green, che non aveva il coraggio, o, come lei disse, «la grinta», di perorare personalmente la sua causa, ma che non si scoraggiava per un solo rifiuto; non poteva impedirsi di continuare a scrivere. Non lo avrebbe fatto se avesse visto le smorfie che il suo bell'idolo faceva leggendo i suoi patetici appelli d'amore e avesse ascoltato la sua risata sdegnosa e gli epiteti offensivi di cui lo gratificava per la sua perseveranza. «Perché non gli dite subito che siete fidanzata?» le chiesi. «Oh, non voglio che lo sappia. Se lo sapesse, lo saprebbero anche le sue sorelle, e poi tutti, e allora non ci sarebbe più spazio per le mie... bene, lasciamo andare. Inoltre, se glielo dicessi, penserebbe che il mio fidanzamento sia il solo ostacolo, e che lo accetterei se fossi libera, e io non potrei sopportare che nessun uomo, e lui meno di tutti, pensasse una cosa simile. Del resto non mi importa nulla delle sue lettere» aggiunse sdegnosamente «scriva pure quanto gli pare e prenda l'aria idiota quanto vuole quando lo incontro: serve soltanto a divertirmi.» Frattanto il giovane Meltham veniva spesso in visita o passava davanti alla casa; e, a giudicare dalle proteste e dai rimproveri di Matilda, sua sorella gli prestava più attenzione di quanto richiedesse la cortesia: in altre parole amoreggiava animatamente con lui per quanto glielo permetteva la presenza dei genitori. Fece anche qualche tentativo di riconquistare il signor Hatfield; ma, vedendoli fallire, ripagò l'altera indifferenza di lui con uno sprezzo ancora più altero, e ne parlava con sdegno e antipatia come prima aveva parlato del suo coadiutore. In tanta attività, non perdeva mai di vista per un solo istante il signor Weston. Coglieva ogni opportunità di incontrarlo, sperimentava ogni astuzia per affascinarlo, lo corteggiava con ostinata perseveranza come se davvero lo amasse, e amasse lui soltanto, e la felicità di tutta la sua vita dipendesse dal veder ricambiato il suo amore. Io non riuscivo a comprendere una simile condotta. Se l'avessi letta in un romanzo, l'avrei giudicata troppo irreale; se l'avessi sentita da altri, l'avrei ritenuta un errore o un'esagerazione; ma quando la vedevo con i miei occhi, e ne soffrivo, potevo soltanto concludere che la vanità eccessiva, come l'ubriachezza, indurisce il cuore, rende schiave le facoltà e perverte i sentimenti, e che i cani non sono le sole creature che, anche piene fino al gozzo, vogliono quello che non possono divorare e negano anche il più piccolo boccone a un fratello affamato. Divenne ora molto generosa con i poveri del villaggio. Le sue conoscenze tra loro si fecero più numerose, le sue visite alle loro povere case più lunghe e frequenti di quanto mai fossero state. Si guadagnò di conseguenza la fama di una signorina molto benevola e caritatevole; e i loro elogi venivano senza dubbio riferiti al signor Weston, che lei aveva così l'occasione quotidiana di incontrare in questa o quella casa o nel percorso dall'una all'altra; spesso, poi, riusciva a capire, dalle loro chiacchiere, dove lui si sarebbe recato nei vari momenti della giornata, a battezzare un bambino, a visitare i vecchi, i malati, gli afflitti o i morenti; e con molta abilità preparava in conseguenza i suoi piani. In tali escursioni si faceva accompagnare qualche volta dalla sorella, che, non so con quali mezzi, aveva convinto o costretto a partecipare ai suoi intrighi, qualche volta andava sola: mai con me; venivo così privata del piacere di vedere il signor Weston o di ascoltare la sua voce, sia pure mentre conversava con un'altra, e sarebbe stato un piacere molto grande, sebbene doloroso e mescolato a sofferenza. Non potevo vederlo neppure in chiesa, perché la signorina Murray, con qualche pretesto di poco conto, decise di sedere lei in quell'angolo del banco di famiglia che avevo sempre occupato sin dal mio arrivo; o dovevo avere la presunzione di mettermi tra il signore e la signora Murray, o dovevo sedere voltando le spalle al pulpito, come naturalmente facevo. E ora non tornavo mai a casa a piedi con le mie allieve: dicevano che la mamma pensava non fosse bello vedere tre persone della famiglia a piedi e due soltanto in carrozza; dal momento che loro preferivano camminare quando il tempo era bello, toccava a me l'onore di andare con gli anziani. «Inoltre» dicevano «voi non camminate veloce come noi; rimanete sempre indietro, lo sapete bene.» Sapevo che erano soltanto pretesti, ma non facevo obiezioni e non contraddicevo mai quelle affermazioni, conoscendo benissimo i motivi che le ispiravano. E nel pomeriggio, nel corso di quelle memorabili sei settimane, non andai affatto in chiesa. Se avevo il raffreddore o qualche piccolissima indisposizione, ne approfittavano per farmi stare a casa; e spesso mi dicevano che neanche loro sarebbero tornate in chiesa quel giorno, e poi fingevano di cambiare idea e uscivano senza dirmelo, facendo in modo che io non scoprissi mai il cambiamento di programma prima che fosse troppo tardi. Al loro ritorno a casa in una di queste occasioni, mi riferirono animatamente la conversazione avuta con il signor Weston mentre camminavano verso casa. «E ha chiesto se eravate malata, signorina Grey» disse Matilda «ma noi abbiamo risposto che stavate bene, soltanto non volevate venire in chiesa: così penserà che siate diventata miscredente.» Anche gli incontri casuali durante la settimana venivano attentamente evitati; per impedirmi di andare dalla povera Nancy Brown o da chiunque altro, la signorina Murray badava a trovarmi un'occupazione per tutte le ore libere. C'era sempre un disegno da finire, della musica da copiare, o qualche lavoro da fare, tali da impedirmi di concedermi più di una breve passeggiata nel parco, qualsiasi cosa facessero lei o la sorella. Una mattina, avendo cercato e intercettato il signor Weston, vennero tutte allegre a riferirmi del loro incontro. «Ha chiesto di nuovo di voi» disse Matilda, ignorando l'imperioso cenno della sorella perché tenesse la bocca chiusa. «Si meravigliava che non foste mai insieme a noi e temeva che foste di salute cagionevole, dal momento che uscite così poco.» «Ma non è vero, Matilda, che sciocchezze dici!» «Oh, questa sì è una bugia, Rosalie. E' vero, lo sai benissimo; e tu hai risposto... basta, Rosalie, accidenti! non darmi questi pizzicotti! E Rosalie, signorina Grey, ha risposto che state benissimo ma che siete sempre sepolta nei libri e niente altro vi dà piacere.» "Che idea deve farsi di me!" pensai. «E la vecchia Nancy» chiesi «domanda mai di me?» «Sì, e noi le diciamo che vi piace tanto leggere e disegnare che non avete tempo per fare altro.» «Ma non è la verità; se le aveste detto che sono tanto occupata che non mi viene lasciato il tempo per fare altro, sarebbe stato molto più vicino alla verità.» «Non lo credo proprio» ribatté la signorina Murray accalorandosi di colpo. «Direi che avete molto tempo libero, ora che avete così poche lezioni da dare.» Era inutile cercare di discutere con ragazze così irragionevoli e viziate; e io rimasi in silenzio. Ero ormai abituata a rimanere in silenzio quando venivano dette cose che mi riuscivano sgradite; e a prendere un'espressione tranquilla e sorridente quando avevo il cuore pieno di amarezza. Soltanto chi ha provato i miei stessi sentimenti può immaginare che cosa sentissi mentre sedevo fingendo una sorridente indifferenza, costretta a ascoltare il racconto degli incontri con il signor Weston, che sembravano divertirsi tanto a farmi, a sentire di lui cose che, conoscendo il suo carattere, sapevo esagerate e inesatte, se non vere e proprie menzogne cose offensive per lui e lusinghiere per loro, soprattutto per la signorina Murray, che io bruciavo dal desiderio di confutare, o, quanto meno, di mettere in dubbio; ma non osavo farlo, temendo di esprimere, con la mia incredulità, il mio interesse per lui. Sentivo altre cose che pensavo o temevo fossero sin troppo vere; ma anche allora dovevo nascondere la mia ansia per lui, il mio sdegno nei loro confronti, fingendo noncuranza; e altre ancora - semplici accenni di qualcosa che era stato detto o fatto - delle quali desideravo angosciosamente sapere di più, ma non osavo rivolgere domande. Passava così malinconicamente il tempo. Non potevo neppure confortarmi dicendomi: "Presto si sposerà, e allora potrò tornare a sperare". Subito dopo il suo matrimonio sarebbero incominciate le vacanze; e al mio ritorno da casa, molto probabilmente il signor Weston sarebbe partito, poiché mi era stato detto che lui e il rettore non andavano d'accordo (per colpa del rettore, s'intende) e che si preparava a andare in un'altra parrocchia. No - oltre alla speranza in Dio - il mio solo conforto era pensare che, sebbene lui non lo sapesse, ero degna del suo amore più di Rosalie Murray, con tutto il suo fascino e i suoi incanti; poiché io sapevo apprezzare i suoi grandi meriti, e lei no; io mi sarei dedicata tutta a farlo felice; lei avrebbe distrutto la sua felicità per la momentanea soddisfazione della propria vanità. "Oh, se soltanto conoscesse la differenza!" esclamavo tra me con passione. "Ma no! Non vorrei che leggesse nel mio cuore... ma se soltanto potesse vedere la sua vacuità, la sua indegna, crudele frivolezza... allora lui sarebbe salvo, e io sarei... sarei quasi felice, quand'anche non dovessi vederlo più." Temo che a questo punto i miei lettori siano nauseati dalla debolezza e la stoltezza che ho rivelato così apertamente. Allora non le lasciai mai trasparire, e non lo avrei fatto neppure se mia sorella o mia madre fossero state con me. Ero abile e decisa nell'arte di dissimulare - in questo caso, intendo. Oltre a me stessa soltanto il Cielo era testimone delle mie preghiere, le mie lacrime, i miei desideri, le mie paure e i miei lamenti. Quando siamo assediati da sofferenze e ansie, o oppressi a lungo da sentimenti forti che dobbiamo tenere per noi, per i quali non possiamo ricevere né cercare comprensione da nessun essere vivente, e che tuttavia non possiamo, o non vogliamo, distruggere interamente, spesso cerchiamo conforto nella poesia - e spesso lo troviamo - in effusioni poetiche di altri, che sembrino in armonia con le nostre circostanze, o in un tentativo personale di dare voce a quei pensieri e quei sentimenti in versi forse meno musicali, ma più appropriati e dunque più penetranti e congeniali, e momentaneamente più confortanti o più forti nel risollevare e liberare il cuore gonfio e oppresso. Due o tre volte prima di allora, a Wellwood House e dove ora mi trovavo, quando soffrivo di nostalgia avevo cercato conforto in questa segreta fonte di consolazione; e ora tornai di nuovo a cercarla, con ben maggiore avidità, poiché sembrava ne avessi maggior bisogno. Conservo ancora questi ricordi di sofferenze e esperienze passate, come pietre miliari che indichino, nel cammino lungo la valle della vita, circostanze particolari. Le tracce ormai sono cancellate; l'aspetto del paesaggio è forse diverso, ma la pietra è ancora là a ricordarmi com'erano le cose quando venne piantata nel terreno. Se i lettori dovessero essere curiosi di conoscere queste mie effusioni poetiche, eccone un breve esempio: i versi possono sembrare freddi e languidi, ma a farli nascere è stata una sofferenza tumultuosa. Oh, mi hanno rapito la speranza a cui si afferrava il mio spirito; mi negano di udire quella voce che è delizia e gioia del mio animo. Non mi concedono di vedere quel volto che è per me delizia e gioia; hanno strappato da me il tuo sorriso, mi hanno privato del tuo amore. Prendano pure quel che possono prendere; a me rimane un grande tesoro: un cuore che ama pensare a te e sente il valore del tuo. Sì! Di questo almeno non potevano privarmi; potevo pensare a lui giorno e notte e sentivo che meritava si pensasse a lui. Nessuno lo conosceva come io lo conoscevo; nessuno poteva apprezzarlo come io lo apprezzavo; nessuno poteva amarlo come io... come io avrei potuto amarlo, se fosse stato possibile; ma questo era il male. Che diritto avevo di pensare tanto a qualcuno che non pensava a me? Non era sciocco?... non era sbagliato? Eppure, se provavo tale gioia nel pensare a lui, e se tenevo per me i miei pensieri e non li comunicavo a nessuno, che male poteva esserci in questo? Così mi dicevo. E quei ragionamenti mi impedivano di cercare davvero di scuotermi dalle mie catene. Ma, se quei pensieri mi portavano gioia, era un piacere doloroso, turbato, troppo vicino all'angoscia; un piacere che mi faceva male più di quanto comprendessi. Era un compiacimento che una donna più saggia e esperta si sarebbe senza dubbio negato. Tuttavia... com'era doloroso distogliere gli occhi dalla contemplazione di quell'oggetto luminoso e costringerli a posarsi sul panorama che mi circondava, opaco, grigio, desolato, sul sentiero solitario, senza gioia e speranza che mi si apriva dinnanzi. Era male essere così priva di gioia, così oppressa; avrei dovuto cercare un amico in Dio e trovare nel fare la Sua volontà la gioia e l'occupazione della mia vita; ma la fede era debole, e la passione troppo forte. In quel tempo di sofferenza avevo altre due cause di pena. La prima può sembrare una cosa da nulla, ma mi costò più di una lacrima: Snap, il mio piccolo compagno muto, dal viso ruvido ma dagli occhi luminosi e dal cuore caldo, la sola cosa mia che mi amasse, venne portato via e affidato alle tenere cure dell'acchiappatopi del villaggio, noto per la brutalità con cui trattava i suoi schiavi canini. L'altra era molto seria: le lettere da casa mi comunicavano che la salute di mio padre peggiorava. Non si parlava di concreti timori, ma io ero divenuta paurosa e depressa, e non potevo non temere che ci attendesse una terribile sventura. Mi sembrava di vedere le nuvole nere che si addensavano attorno alle mie colline native, di udire il rabbioso borbottare di una tempesta che stava per scoppiare e gettare la desolazione nella nostra casa. NOTE: (1) La parola «talento» (talent) non è usata probabilmente in senso generico, ma come riferimento alla parabola dei talenti (cfr. Luca, 19, 12-27). (Ndt) XVIII. Gioia e lutto Giunse infine il primo giugno; e Rosalie Murray diventò Lady Ashby. Era splendidamente bella nell'abito nuziale. Al ritorno dalla chiesa dopo la cerimonia, volò nella sala da studio, rossa in viso per l'emozione, e ridente... ridente di gaiezza e a un tempo di spavalda disperazione... o così mi parve. «Ora, signorina Grey, sono Lady Ashby» esclamò. «E' fatta! il mio destino è segnato... non è più possibile tornare indietro. Sono venuta a ricevere le vostre congratulazioni e a congedarmi da voi; e subito partirò... per Parigi, Roma, Napoli, la Svizzera, Londra... Oh, quante cose vedrò e sentirò prima di tornare! Ma non dimenticatemi; io non vi dimenticherò, anche se sono stata cattiva. Via, perché non vi congratulate con me?» «Non posso rallegrarmi con voi» dissi «finché non so se questo cambiamento è veramente per il meglio; ma spero sinceramente che lo sia; e vi auguro di essere felice e di avere ogni benedizione.» «Bene, vi saluto allora... la carrozza mi aspetta, e mi chiamano.» Mi salutò con un rapido bacio e stava per affrettarsi via, ma, tornando indietro di colpo, mi abbracciò con un affetto che non l'avrei creduta capace di esprimere e si allontanò con gli occhi pieni di lacrime. Povera ragazza! In quel momento le volli veramente bene; e le perdonai di tutto cuore il male che aveva fatto a me... e anche a altri; non ne era pienamente consapevole, ne ero certa; e pregai Dio che anch'egli volesse perdonarla. Per il resto di quella giornata di festosa tristezza, rimasi sola. Sentendomi troppo inquieta per dedicarmi a qualsiasi occupazione costante, vagai senza meta con un libro in mano per parecchie ore, pensando più che leggendo, poiché avevo molte cose a cui pensare; e la sera utilizzai la mia libertà per andare a trovare la mia vecchia amica Nancy; per scusarmi della lunga assenza, che doveva esserle parsa così scortese, così piena di trascuratezza, spiegandole quanto fossi stata occupata, e per parlarle o leggerle o lavorare per lei, quello che più le avesse fatto piacere, e naturalmente per darle le notizie di quella giornata importante, e forse per avere da lei in cambio qualche informazione relativa all'attesa partenza del signor Weston. Ma lei sembrava non saperne nulla, e io sperai, come sperava lei, che si trattasse di una notizia falsa. Fu molto felice di vedermi; ma fortunatamente i suoi occhi erano ormai quasi completamente guariti e lei era praticamente indipendente dal mio aiuto. Le nozze la interessavano molto; ma, mentre io la divertivo con i particolari di quella giornata di festa, con gli splendori del ricevimento nuziale e della sposa, lei spesso sospirava e scuoteva la testa e si augurava che potesse venirne qualcosa di buono: come me, sembrava considerare quell'evento causa di dolore più che di gioia. Rimasi a lungo a parlarle di quello e di altre cose; ma non venne nessuno. Devo confessarlo che a volte guardavo la porta desiderando, e quasi aspettandomi, di vederla aprirsi per lasciar entrare il signor Weston, come una volta era accaduto? e che, tornando per i viali e i campi, spesso mi fermavo a guardarmi attorno e camminavo più lentamente del necessario - sebbene fosse una bella serata, non era infatti una serata calda - e provai infine un senso di vuoto e di delusione quando arrivai a casa senza avere incontrato, o neppure intravisto da lontano, nessuno, se non qualche contadino di ritorno dai campi? Ma si avvicinava la domenica: allora lo avrei visto; ora che la signorina Murray non c'era più, potevo tornare a occupare il mio vecchio angolo... lo avrei visto; e dal suo sguardo, dalle parole, dai modi avrei potuto capire se il matrimonio di lei lo avesse molto turbato. Fortunatamente non notai in lui ombra di differenza; aveva l'aspetto che aveva avuto due mesi prima: voce, sguardo, modi, tutto era immutato; nelle sue parole si avvertiva la consueta penetrante, limpida sincerità, la stessa imperiosa chiarezza nel suo stile, la stessa appassionata semplicità in tutto quello che diceva e faceva, che si imprimeva non nello sguardo e nell'udito, ma nel cuore di chi lo ascoltava. Andai a casa a piedi con la signorina Matilda, ma lui non ci raggiunse. Matilda ora non aveva nulla che la distraesse, e sentiva tristemente la mancanza di una compagna. I fratelli a scuola, la sorella sposata e partita, lei troppo giovane per fare il suo ingresso in società, che, seguendo l'esempio di Rosalie, cominciava a considerare con piacere - se non altro pensando alla compagnia di determinate classi di uomini - in quel periodo monotono dell'anno; niente partite di caccia, neppure si poteva tirare... lei a questo non avrebbe preso parte, ma era sempre qualcosa vedere il padre o il guardacaccia uscire con i cani e parlare, al loro ritorno, dei vari uccelli che avevano messo nel carniere. Ora le veniva negato anche il conforto che avrebbe potuto darle la compagnia del cocchiere, dello staffiere, dei cavalli, dei levrieri e dei pointer; poiché la madre, essendo riuscita, a dispetto degli svantaggi della vita in campagna, a maritare in modo così soddisfacente la prima figlia, orgoglio del suo cuore materno, aveva cominciato a occuparsi seriamente della seconda, e, sinceramente allarmata dai suoi modi rudi, convinta che fosse ormai tempo di operare un mutamento, si era infine decisa a esercitare la sua autorità e aveva rigorosamente proibito i cortili, le scuderie, i canili e la rimessa. Si intende che non veniva obbedita; ma, pur essendo stata sino ad allora così indulgente, una volta che si fosse risvegliata non aveva un carattere mite come quello che esigeva nell'istitutrice, e non ci si poteva opporre impunemente alla sua volontà; dopo molte discussioni tra madre e figlia, molte violente esplosioni di collera alle quali mi vergognavo di assistere, nelle quali si faceva ricorso spesso all'autorità del padre perché confermasse con giuramenti e minacce le disattese proibizioni materne... poiché anche lui vedeva bene che «Tilly» sarebbe stata splendida come ragazzo ma non era certo quello che doveva essere una signorina... Matilda scoprì infine che la cosa più semplice era tenersi lontana dai luoghi vietati, sempre che non le riuscisse ogni tanto di andarci di nascosto eludendo l'attenta sorveglianza materna. Non si pensi che io me la cavassi senza molte accuse, e molti impliciti rimproveri che non erano meno pungenti per non essere espressi apertamente, ma piuttosto ferivano più a fondo poiché impedivano, proprio per questo, una difesa. Spesso mi veniva chiesto di distrarre la signorina Matilda con altri svaghi e di ricordarle i precetti e le proibizioni della madre. Lo facevo per quanto mi era possibile; ma lei non voleva lasciarsi svagare contro la sua volontà e non poteva svagarsi contro i suoi gusti; e sebbene io non mi limitassi soltanto a ricordare, i miti rimproveri di cui potevo servirmi non avevano alcun effetto. «Cara signorina Grey, è davvero molto strano... immagino non possiate farci nulla se non è nella vostra natura, ma è strano che non riusciate a conquistare la fiducia di quella ragazza e a renderle la vostra compagnia gradita almeno quanto quella di Robert o Joseph.» «Loro possono parlare molto meglio di me delle cose che più la interessano» rispondevo. «Ebbene, ecco una confessione davvero singolare da parte della sua istitutrice. Mi chiedo chi dovrebbe formare il gusto di una giovinetta se non lo fa l'istitutrice. Ho conosciuto istitutrici che si sono identificate così pienamente con la reputazione di eleganza, saggezza e cortesia delle allieve, che si sarebbero vergognate di dire una sola parola contro di loro; e sentire il minimo biasimo rivolto alle loro allieve era più grave che venir criticate personalmente... Per quanto mi riguarda lo trovo molto naturale.» «Davvero, signora?» «Sì; è naturale: per l'istitutrice l'eleganza e i buoni risultati dell'allieva sono più importanti dei suoi, per lei come per tutti gli altri. Se vuole riuscire bene nella sua professione, deve dedicarvi tutte le sue energie; tutte le sue idee e le sue ambizioni devono concentrarsi su tale scopo. Quando vogliamo capire i meriti di una istitutrice, guardiamo naturalmente le giovani donne che afferma di avere istruito e giudichiamo di conseguenza. L'istitutrice giudiziosa lo sa; sa che, pur vivendo personalmente nell'ombra, le virtù e i difetti delle sue allieve saranno visibili a tutti, e che, se non dimentica se stessa per dedicarsi alla loro formazione, non può sperare di riuscire. Capite, signorina Grey, è come per ogni altro commercio o professione; chi desidera riuscire deve dedicarsi corpo e anima al suo lavoro, e se comincia a cedere all'indolenza o all'eccessiva autoindulgenza, viene rapidamente distaccato da altri rivali più saggi: non c'è molta differenza tra chi rovina le proprie allieve per la trascuratezza e chi le corrompe con il cattivo esempio. Vorrete perdonarmi se ho discretamente accennato a queste cose... è soltanto per il vostro bene, lo capirete. Molte signore vi parlerebbero con ben altro vigore; e molte non si darebbero affatto la pena di parlarvi, ma cercherebbero senza dire nulla una sostituta. Questa sarebbe naturalmente la soluzione più semplice; ma io comprendo i vantaggi di un posto come questo per una persona nella vostra situazione; e non desidero separarmi da voi, poiché sono certa che andreste benissimo se soltanto rifletteste a queste cose e cercaste di impegnarvi un po' di più; allora, non ne dubito, acquistereste presto quel tatto delicato che è la sola qualità di cui siate priva per poter esercitare la giusta influenza sulla mente della vostra allieva.» Stavo per dare alla signora una buona idea di quanto fossero fallaci le sue convinzioni, ma lei si allontanò maestosamente appena ebbe concluso il suo discorso. Avendo detto quello che desiderava dire, non rientrava nei suoi piani attendere una risposta: a me toccava ascoltare, non parlare. Tuttavia, come ho detto, Matilda finì per cedere in una certa misura all'autorità di sua madre (peccato che non l'avesse esercitata prima), e, privata così di quasi ogni fonte di svago, non le restavano che lunghe cavalcate con lo staffiere e lunghe passeggiate con l'istitutrice, e visite alle case e alle fattorie della proprietà di suo padre, per ammazzare il tempo chiacchierando con i vecchi e le vecchie che vi abitavano. In una di queste passeggiate incontrammo per caso il signor Weston. Era quello che avevo atteso tanto a lungo; ma ora, per un momento, desiderai che io o lui fossimo altrove: sentivo il cuore battere con tale violenza che temevo di esprimere in qualche modo la mia emozione; ma credo che lui mi guardasse appena, e presto mi calmai. Dopo un breve saluto rivolto a entrambe, chiese a Matilda se avesse notizie di sua sorella. «Sì» rispose. «Era a Parigi quando ha scritto: stava bene e era molto felice.» Pronunciò in tono enfatico l'ultima parola, accompagnandola con un'occhiata furba e impertinente. Lui sembrò non accorgersene, ma rispose, con eguale enfasi e grande serietà: «Spero che continui a esserlo.» «Pensate sia probabile?» mi azzardai a chiedere, poiché Matilda era corsa dietro al cane che dava la caccia a un leprotto. «Non saprei dirlo. Forse sir Thomas è migliore di quanto io immagini, ma, da tutto quanto ho sentito e visto, sembra un peccato che una donna così giovane, e gaia e... interessante, per esprimere molti concetti con una sola parola, la cui maggiore, se non la sola colpa sembra essere la sventatezza... non una colpa da poco, è vero, poiché chi la possiede è esposto a quasi ogni altra colpa e soggetto a molte tentazioni; sembra tuttavia un peccato che sia stata sprecata con un uomo così. Immagino fosse desiderio di sua madre?» «Sì; e anche il suo, credo, poiché rideva sempre dei miei tentativi di dissuaderla da quel passo.» «Dunque avete cercato di dissuaderla? Avrete se non altro la soddisfazione di sapere che non è colpa vostra se il matrimonio non dovesse avere buon esito; quanto alla signora Murray, non so come possa giustificare la sua condotta; se la conoscessi abbastanza bene glielo chiederei.» «Sembra una condotta contro natura; ma alcuni pensano che il rango e la ricchezza siano il bene supremo; e se possono conquistarlo per i loro figli, pensano di avere fatto il loro dovere.» «E' vero; ma non è strano che gente di esperienza, che è stata sposata, giudichi in modo così sbagliato?» Matilda stava tornando ansante, in mano il corpo lacerato del leprotto. «Era vostra intenzione uccidere quella lepre o salvarla, signorina Matilda?» chiese Weston, stupito dalla sua espressione allegra. «Ho finto di volerla salvare» rispose sinceramente lei «perché è così clamorosamente fuori stagione; ma mi ha fatto più piacere vederla uccisa. Però, potete testimoniare entrambi che non potevo farci nulla; Prince era deciso a prenderla, e l'ha afferrata alla schiena e l'ha uccisa in un minuto! Non è stata una bella caccia?» «Molto bella! per una signorina all'inseguimento di un leprotto.» C'era nella sua voce un quieto sarcasmo che a lei non sfuggì; si strinse nelle spalle, e, volgendosi e sbuffando in modo espressivo, mi chiese se mi fossi divertita allo spettacolo. Risposi che non ci trovavo nulla di divertente, ma riconobbi di non avere osservato con molta attenzione la scena. «Non avete visto come si è voltato di scatto, proprio come una lepre adulta, e non lo avete sentito urlare?» «Sono felice di poter rispondere di no.» «Ha gridato proprio come un bambino.» «Povera creaturina! Che cosa ne farete?» «Venite... lo lascerò nella prima casa a cui arriviamo. Non voglio portarlo a casa, perché papà non mi sgridi per aver lasciato che il cane lo uccidesse.» Il signor Weston si era allontanato, e anche noi riprendemmo il cammino; mentre ritornavamo, però, dopo aver depositato il leprotto a una fattoria e aver mangiato in cambio panpepato e bevuto vino di ribes, lo incontrammo che ritornava a sua volta dall'aver compiuto la propria missione, quale che fosse. Teneva in mano un mazzo di bei giacinti che mi offrì, dicendomi, con un sorriso, che, sebbene mi avesse visto così poco negli ultimi due mesi, non aveva dimenticato che i giacinti erano tra i miei fiori preferiti. Era un gesto compiuto semplicemente come un atto di benevolenza, senza alcuna cerimonia o particolare cortesia, senza alcuno sguardo che potesse venire interpretato come una «riverente, tenera adorazione» (vedi Rosalie Murray); ma era pure qualcosa scoprire che quella mia frase senza importanza veniva ricordata con tanta attenzione; era qualcosa che avesse notato con tanta esattezza da quanto tempo ero diventata invisibile. «Mi hanno detto» osservò «che eravate un vero topo di biblioteca, signorina Grey, così assorta nei vostri studi da aver dimenticato ogni altro piacere.» «Sì, e infatti è vero» esclamò Matilda. «No, signor Weston, non dovete crederlo: è una vergognosa calunnia. Queste signorine amano troppo fare affermazioni casuali a spese dei loro amici, e dovreste essere molto cauto nell'ascoltarle.» «Spero in ogni caso che questa affermazione sia infondata.» «Perché? Siete contrario a che le donne si dedichino allo studio?» «No; ma sono contrario al fatto che chiunque, uomo o donna, si dedichi tanto agli studi da dimenticare tutto il resto. Se non in circostanze particolari. Considero uno studio molto intenso e costante una perdita di tempo e un danno per la mente oltre che per il corpo.» «Io non ho né il tempo né il desiderio di macchiarmi di queste colpe.» Ci separammo di nuovo. Ebbene, che cosa c'è di notevole in tutto questo? Perché l'ho raccontato? Perché era tanto importante da farmi passare una serata lieta, una notte di sogni gradevoli e una mattina di felici speranze. Vuota letizia, sciocchi sogni, speranze infondate, diranno i lettori, e io non mi permetterò di negarlo: troppo spesso tali sospetti sorgevano anche nella mia mente; ma i nostri desideri sono come la pietra focaia: l'acciarino delle circostanze non fa che produrre scintille, che svaniscono immediatamente se non cadono sulla pietra focaia dei nostri desideri; allora prendono subito fuoco, e la fiamma della speranza si accende all'istante. Ma ahimè, quella stessa mattina la mia vacillante fiamma di speranza venne dolorosamente estinta da una lettera di mia madre: mi parlava con tanta gravità della malattia di mio padre da farmi temere vi fosse scarsa o nessuna speranza di guarigione; per quanto vicine fossero le vacanze, tremavo al pensiero che potessero giungere troppo tardi perché io riuscissi a vederlo di nuovo in questo mondo. Due giorni dopo, una lettera di Mary mi diceva che era in pericolo di vita e che la sua morte sembrava imminente. Chiesi immediatamente il permesso di anticipare le vacanze e di partire subito. La signora Murray mi guardò, stupita dall'insolita energia, dal coraggio con cui formulavo la mia richiesta, e rispose che non vedeva la necessità di affrettarsi; ma infine mi diede il permesso, affermando tuttavia che «non c'era motivo di agitarsi tanto: dopo tutto poteva rivelarsi un falso allarme; e se non era così... ebbene, si trattava del normale corso degli eventi: tutti dobbiamo morire un giorno, e non dovevo immaginare di essere la sola persona che soffrisse al mondo», e concludendo che potevo prendere il phaeton per andare a O... «E invece di lamentarvi, signorina Grey, rallegratevi per i privilegi di cui godete. Ci sono molti poveri ecclesiastici la cui famiglia piomberebbe nella rovina a causa della loro morte; ma voi, come vedete, avete amici influenti pronti a continuare a proteggervi e a trattarvi con tutti i riguardi.» La ringraziai per quei «riguardi» e corsi nella mia stanza a prepararmi in fretta per la partenza. Indossati scialle e cappellino e cacciate in fretta poche cose nella valigia più grande, scesi. Ma avrei potuto fare le cose con più calma, poiché nessun altro aveva fretta; e dovetti aspettare ancora a lungo l'arrivo del phaeton. Finalmente arrivò alla porta, e io mi misi in viaggio; che triste viaggio, e com'era diverso dai miei precedenti ritorni a casa! Essendo ormai tardi per l'ultima diligenza diretta a ... dovetti noleggiare un calesse per quindici chilometri e poi una carretta che mi portasse su per le aspre colline. Erano le dieci e mezzo quando arrivai a casa. Non erano a letto. Nel corridoio mi vennero incontro mia madre e mia sorella, tristi, silenziose, pallide! Ero così turbata e atterrita che non riuscivo a parlare per chiedere quello che tanto desideravo, pure temevo di sapere. «Agnes» disse mia madre, lottando per tenere a freno una forte emozione. «Oh, Agnes!» esclamò Mary, e scoppiò a piangere. «Come sta?» chiesi, attendendo con il fiato sospeso la risposta. «E' morto!» Era la risposta che mi aspettavo; ma il colpo non fu per questo meno terribile. XIX. La lettera Le spoglie di mio padre erano state sepolte; e noi, il viso triste, gli abiti scuri, indugiavamo alla tavola della colazione, facendo piani per il futuro. La forza d'animo di mia madre non era venuta meno neppure sotto il peso di quel dolore: il suo coraggio, schiacciato e oppresso, non si era tuttavia infranto. Mary desiderava che io tornassi a Horton Lodge e che nostra madre andasse a vivere con lei e il signor Richardson nella canonica: disse che suo marito lo desiderava quanto lei, e che una sistemazione come quella non poteva non giovare a tutti, poiché la compagnia e l'esperienza di mia madre sarebbero state per loro di inestimabile valore, e loro avrebbero fatto tutto il possibile per renderla felice. Ma né ragionamenti né preghiere ottennero alcun risultato: mia madre era decisa a non andare con loro; non certo perché mettesse in dubbio per un solo momento le intenzioni e la bontà della figlia; ma dichiarava che, finché Dio le dava forza e salute, se ne sarebbe servita per guadagnarsi da vivere e non essere di peso a nessuno, quando pure la sua dipendenza non fosse sentita come un peso. Se si fosse potuta permettere di alloggiare come inquilina nella canonica di..., l'avrebbe scelta di preferenza a ogni altra come sua dimora; ma, le cose non stando così, non sarebbe mai vissuta sotto quel tetto se non come visitatrice, a meno che una malattia o una sventura non rendessero necessaria la sua presenza, o fino a quando l'età o la salute non le impedissero di mantenersi da sola. «No, Mary» disse «se tu e Richardson avete qualche risparmio, mettetelo da parte per la vostra famiglia; Agnes e io penseremo a procurarci il cibo. Avendo avuto due figlie da allevare, non ho dimenticato le mie conoscenze... con l'aiuto di Dio smetterò questi continui rimpianti» aggiunse, mentre le lacrime si inseguivano sul suo viso a dispetto degli sforzi per frenarle; ma se le asciugò e, scuotendo risolutamente il capo, continuò: «Mi darò da fare e cercherò una casa piccola, in una posizione gradevole in un distretto molto popolato ma sano, dove prenderemo un certo numero di ragazze come allieve interne - se riusciamo a trovarle - e tutte le allieve esterne che vorranno venire o che saremo in grado di istruire. I parenti e i vecchi amici di vostro padre saranno senza dubbio in grado di inviarci alcune allieve o di aiutarci con le loro raccomandazioni: alle mie conoscenze non mi rivolgerò. Che cosa ne dici, Agnes, sei disposta a lasciare il lavoro che hai ora e a provare?» «Dispostissima, mamma; e il danaro che ho da parte servirà per ammobiliare la casa. Lo ritirerò subito dalla banca.» «Quando sarà necessario: prima dobbiamo trovare la casa e sistemare i particolari.» Mary si offrì di prestarci il poco che possedeva; mia madre però rifiutò, dicendo che dovevamo iniziare su basi molto economiche; sperava che tutto o parte del mio danaro, unito a quello che avremmo ottenuto dalla vendita del mobilio e a quel poco che il caro papà era riuscito a mettere da parte per lei dopo che i debiti erano stati pagati, ci sarebbe bastato fino a Natale, quando, auspicabilmente, i nostri sforzi congiunti avrebbero fruttato qualcosa. Si decise che sarebbe stato questo il nostro programma; e che si sarebbero messi subito in moto ricerche e preparativi; mentre mia madre si dava da fare con quelli, io sarei tornata a Horton Lodge al termine delle mie quattro settimane di vacanza, e mi sarei licenziata quando tutto era già avviato per un rapido inizio della nostra scuola. Stavamo discutendo di queste cose la mattina di cui ho parlato, due settimane circa dopo la morte di mio padre, quando portarono una lettera per mia madre, che si fece più accesa in volto vedendola, quel volto di recente così pallido per le ansiose veglie e il terribile dolore. «Di mio padre!» mormorò, mentre strappava in fretta la busta. Da molti anni non aveva più notizie dalla sua famiglia. Comprensibilmente curiosa di conoscere il contenuto della lettera, la osservai mentre leggeva, e mi stupii vedendo che si mordeva il labbro e si accigliava come fosse in collera. Dopo averla letta, la gettò sul tavolo in un gesto che appariva privo di riguardo e disse con un sorriso sdegnoso: «Vostro nonno ha avuto la bontà di scrivermi. Dice che senza dubbio mi sono pentita da molto tempo del mio «malaugurato matrimonio» e che, se soltanto sono pronta a riconoscerlo, e a confessare di essermi ingannata nel trascurare i suoi consigli e di averne giustamente sofferto, tornerà a fare di me una signora - se questo è possibile dopo il mio lungo avvilimento - e ricorderà le mie ragazze nel suo testamento. Prendi il mio scrittoio, Agnes, e porta via queste cose... risponderò subito, ma prima, poiché è possibile che io vi privi entrambe di una eredità, è giusto dirvi che cosa intendo scrivere. «Dirò che si inganna se pensa che io possa rimpiangere la nascita delle mie figlie (che sono state l'orgoglio della mia vita e saranno probabilmente il conforto della mia vecchiaia), o i trent'anni passati insieme al migliore e più caro degli amici; se anche le nostre disgrazie fossero state tre volte quel che sono state (sempre che non ne avessi avuto io la colpa), mi rallegrerei ancora maggiormente di averle potute dividere con vostro padre e di avergli potuto dare il conforto che ero in grado di dargli; se poi le sue sofferenze durante la malattia fossero state dieci volte quello che erano, non rimpiangerei di averlo vegliato e di aver lavorato per alleviarle; se avesse sposato una donna più ricca, sarebbe stato egualmente colpito da sventure e difficili prove; ma sono tanto egocentrica da pensare che nessuna altra donna avrebbe potuto confortarlo e aiutarlo a sopportarle meglio di me: non perché io sia superiore alle altre, ma perché ero fatta per lui, e lui per me; e non posso certo rimpiangere le ore, i giorni, gli anni di felicità che abbiamo conosciuto insieme, e che nessuno di noi avrebbe avuto senza l'altro, così come non posso rimpiangere il privilegio di essere stata la sua infermiera nel tempo della malattia e il suo conforto in quello dell'afflizione. «Siete d'accordo, ragazze? o dovremo dire che siamo tutte molto pentite di quello che è accaduto negli ultimi trent'anni; che le mie figlie vorrebbero non essere mai nate; ma, avendo avuto questa sventura, saranno grate per qualsiasi briciola il loro nonno avrà la bontà di gettargli?» Naturalmente, applaudimmo entrambe la decisione di nostra madre; Mary sparecchiò la tavola; io portai lo scrittoio; la lettera venne scritta in fretta e in fretta spedita; e da quel giorno non avemmo più alcuna notizia di nostro nonno fino a quando, molto tempo dopo, non leggemmo della sua morte sui giornali: tutti i suoi beni, naturalmente, erano stati lasciati ai nostri ricchi, sconosciuti cugini. XX. Il congedo Per la nostra scuola prendemmo in affitto una casa a A..., la stazione termale alla moda, e ottenemmo per cominciare la promessa di due o tre allieve. Io tornai a Horton Lodge verso la metà di luglio, lasciando mia madre a concludere l'affare della casa, a procurarsi altre allieve, a vendere il mobilio della nostra vecchia casa, e a arredare la nuova. Spesso proviamo pena per i poveri, poiché non hanno tempo per piangere i loro cari morti e la necessità li costringe a lavorare anche durante le afflizioni più profonde; ma non è forse l'attività il miglior rimedio per un dolore che ci opprime... il più sicuro antidoto alla disperazione? Potrà recare un conforto aspro; può sembrare duro doversi preoccupare delle ansie della vita quando non siamo in grado di goderne le gioie, venir pungolati a lavorare quando il cuore sta per spezzarsi, e lo spirito tormentato implora riposo per poter piangere in pace; ma il lavoro non è meglio delle altre cose che desideriamo? e quelle piccole, tormentose ansie non sono meno dolorose di un continuo meditare il grave dolore che ci opprime? Inoltre, non è possibile avere ansie, preoccupazioni, fatiche, senza speranza - fosse pure soltanto la speranza di compiere il nostro dovere senza gioia, di portare a termine un progetto necessario, di sfuggire a una nuova seccatura. In ogni caso, ero lieta che mia madre avesse tante occupazioni da poter esercitare ogni facoltà di un organismo che amava l'azione. I nostri gentili vicini deploravano che lei, un tempo così ricca e importante per posizione sociale, dovesse ridursi a tale estremità nel momento del dolore; ma io sono convinta che avrebbe sofferto tre volte tanto se fosse stata lasciata nella ricchezza, libera di rimanere nella sua casa, teatro della felicità di un tempo e della recente afflizione, senza alcuna grave necessità che le impedisse di indugiare sul suo lutto e di piangerlo. Non mi dilungherò sui sentimenti con i quali lasciai la vecchia casa, il giardino così noto, la piccola chiesa del villaggio - allora doppiamente cara, poiché mio padre, che per trent'anni aveva insegnato e pregato tra quelle mura, ora dormiva sotto le sue pietre - e le vecchie colline nude, incantevoli nella loro profonda solitudine, interrotte dalle strette vallate ridenti di boschi verdi e acqua lucente - la casa in cui ero nata, teatro di tutti i miei primi ricordi, luogo in cui, per tutta la mia vita, avevano avuto il loro centro i miei affetti terreni; e la lasciavo per non tornarvi più. E' vero, tornavo a Horton Lodge dove, tra molti mali, rimaneva per me una fonte di piacere; ma era un piacere confuso con troppa pena, e il mio soggiorno, ahimè, si limitava a sei settimane. E anche di questo tempo prezioso, i giorni passavano senza che io lo vedessi; se non in chiesa, non lo vidi per due settimane dopo il mio ritorno. Mi sembrò un tempo molto lungo: e, poiché ero spesso fuori con la mia allieva vagabonda, la mia speranza naturalmente era sempre viva, e veniva seguita dalla delusione; dicevo allora al mio cuore: "Ecco una prova convincente - se soltanto avessi il buon senso di vederla o la sincerità di riconoscerla - che lui non prova nulla per te. Se pensasse a te soltanto la metà di quel che tu pensi a lui, avrebbe trovato il modo di incontrarti già molte volte: questo devi pur capirlo riflettendo ai tuoi sentimenti. Basta dunque con questa sciocchezza; non hai alcun fondamento per la tua speranza; allontana subito da te questi pensieri dolorosi e questi sciocchi desideri e volgiti al tuo dovere e alla vita monotona, vuota che ti si apre innanzi. Avresti dovuto saperlo che tanta felicità non era per te". Ma infine lo vidi. Mi venne incontro improvvisamente mentre attraversavo un campo, di ritorno da una visita a Nancy Brown, che avevo colto l'occasione di farle mentre Matilda Murray cavalcava la sua giumenta purosangue. Doveva aver saputo della grave perdita che avevo subito; non mi espresse la sua simpatia, non mi fece le condoglianze, ma le prime, o quasi le prime parole che pronunciò furono: «Come sta vostra madre?», e non si trattava di una domanda ovvia, poiché non gli avevo mai neppure detto di avere una madre: doveva averlo appreso da altri, se davvero lo sapeva - e inoltre c'erano un'autentica benevolenza e una profonda, commovente, discreta simpatia nel tono e nel modo della domanda. Lo ringraziai cortesemente e dissi che stava bene, per quanto era possibile. «Che cosa farà?» mi chiese allora. Molti l'avrebbero trovata una domanda impertinente e avrebbero dato una risposta evasiva; ma un simile pensiero neppure mi attraversò la mente, e gli risposi spiegando brevemente ma chiaramente i progetti e le prospettive di mia madre. «Dunque» disse «lascerete presto questo villaggio.» «Sì, tra un mese.» Tacque un momento, come riflettesse. Quando parlò di nuovo, speravo che esprimesse dispiacere per la mia partenza; ma disse soltanto: «Immagino che non vi dispiaccia andarvene?» «E' vero... per alcune cose» risposi. «Soltanto alcune... mi chiedo che cosa vi sia che ve lo fa rimpiangere!» Questa domanda mi irritò, in una certa misura perché mi imbarazzava; avevo una sola ragione di rimpianto; e era un profondo segreto, su cui lui non aveva il diritto di interrogarmi e di turbarmi. «Come» dissi «perché dovreste pensare che il posto non mi piaccia?» «Me lo avete detto voi» fu la decisa risposta. «Quanto meno, avete detto che non potevate vivere serena senza amici; e che non avevate amici qui, né la possibilità di farvene... e inoltre so che non potete non detestare questo posto.» «Ma, se ricordate, ho detto - o intendevo dire - che non potevo vivere serena senza avere un solo amico al mondo: non ero tanto irragionevole da volerne uno sempre accanto. Penso che potrei essere felice in una casa piena di nemici se...» no, quella frase non potevo continuarla... tacqui e aggiunsi in fretta: «E inoltre non si può lasciare un luogo in cui si è vissuti per due o tre anni senza provare un certo rimpianto». «Rimpiangerete di separarvi dalla signorina Murray, la sola allieva e compagna che vi sia rimasta?» «Immagino di sì, in qualche misura; da sua sorella mi sono separata con un certo dolore.» «Questo posso immaginarlo.» «Ebbene, la signorina Matilda non vale meno della sorella... per un aspetto almeno vale di più.» «In quale aspetto?» «E' sincera.» «E l'altra non lo è?» «Non la chiamerei insincera, ma bisogna riconoscere che ha una certa astuzia.» «Astuta, dite? Ho visto in lei sventatezza e vanità, e ora» aggiunse, dopo una breve pausa «posso credere che fosse anche astuta, ma in modo tanto raffinato da assumere l'aspetto di una estrema semplicità e di una assoluta franchezza. Sì» proseguì in tono riflessivo «questo spiega alcune piccole cose che mi avevano lasciato perplesso.» Poi portò la conversazione su argomenti più generali. Si congedò da me soltanto quando avevamo quasi raggiunto i cancelli del parco: si era senza dubbio allontanato dalla sua strada per accompagnarmi fino a quel punto, poiché tornò sui suoi passi e scomparve lungo Moss Lane, che avevamo oltrepassato qualche tempo prima. Non rimpiangevo davvero quella circostanza: se vi era posto nel mio cuore per il dolore, era dolore che infine si fosse congedato da me... che non mi camminasse più al fianco, che quel breve intervallo di incantevole compagnia fosse finito. Non aveva detto una sola parola d'amore, o accennato a sentimenti di tenerezza o affetto, pure io mi ero sentita supremamente felice. Essergli vicino, sentirlo parlare... come parlava lui; e sentire che mi trovava degna della sua conversazione... in grado di comprendere e apprezzare nel loro giusto valore le sue parole... a me bastava. "Sì, Edward Weston, potrei davvero essere felice in una casa piena di nemici, se avessi soltanto un amico che mi amasse sinceramente, profondamente e fedelmente, e se questo amico foste voi - quand'anche dovessimo essere lontani, e potessimo avere scarse notizie l'uno dell'altra, e anche meno di frequente potessimo vederci... quand'anche fatica, angoscia e ansie dovessero circondarmi, pure... sarebbe una felicità troppo grande perché io possa sognarla! Tuttavia, chi può dirlo" mi dicevo, mentre percorrevo il parco "chi può dire che cosa mi porterà questo mese. Ho vissuto quasi ventitré anni e ho sofferto molto e conosciuto poco piacere: è davvero probabile che tutta la mia vita sarà così rannuvolata? Non è forse possibile che Dio ascolti le mie preghiere, disperda queste fosche ombre e ancora mi conceda qualche raggio del sole celeste? Mi negherà del tutto quelle benedizioni liberalmente dispensate a altri, che non le chiedono né le riconoscono quando le ricevono? Forse che non posso ancora sperare e confidare?" Sperai infatti e confidai... per qualche tempo; ma, ahimè, ahimè, il tempo scorreva via; a una settimana seguiva l'altra, e, a parte un'occhiata lontana e due brevi incontri nei quali non ci scambiammo quasi una sola parola - mentre passeggiavo con la signorina Matilda non lo vidi più, se non, si intende, in chiesa. E ora era giunta l'ultima domenica e l'ultimo ufficio. Durante il sermone mi sentii spesso prossima alle lacrime - l'ultimo sermone suo che avrei udito... il migliore che mai avrei udito, di questo ero certa. Era finito... la congregazione si stava disperdendo; e io dovevo seguire gli altri... lo avevo visto e avevo sentito la sua voce, probabilmente, per l'ultima volta. Fuori dalla chiesa, Matilda venne fermata dalle due signorine Green. Avevano molte cose da chiederle della sorella, e chissà quali altre ancora. Desideravo soltanto che smettessero di parlare, perché potessimo tornare in fretta a Horton Lodge: ero ansiosa di tornare nella solitudine della mia stanza, o di qualche angolo isolato del giardino, per potermi abbandonare ai miei sentimenti e pronunciare piangendo il mio ultimo saluto e deplorare le mie false speranze e le mie vane illusioni... una volta soltanto e poi basta con gli sterili sogni... da allora null'altro che la sobria, solida, triste realtà mi avrebbe occupato la mente; mentre prendevo questa decisione, una voce bassa accanto a me disse: «Credo che partiate questa settimana, signorina Grey?» «Sì» risposi. Mi aveva colto di sorpresa; e se fossi stata portata alle reazioni isteriche, in quel momento mi sarei certamente tradita. Ringrazio Dio di non esserlo. «Bene» disse il signor Weston «volevo salutarvi... non è probabile che vi veda ancora prima che partiate.» «Buon giorno, signor Weston» dissi... E quanto lottai per dirlo con calma! Gli diedi la mano. Lui la strinse per qualche secondo nella sua. «E' possibile che ci incontriamo ancora» osservò. «Ha importanza per voi che ci incontriamo ancora o no?» «Sì, sarei molto lieta di rivedervi.» Non potevo dire di meno. Lui mi strinse con dolcezza la mano e se ne andò. Ora ero di nuovo felice... sebbene più che mai prossima alle lacrime. Se fossi stata costretta a parlare in quel momento, avrei concluso le mie parole singhiozzando; anche così, non riuscii a trattenere le lacrime che mi bagnavano gli occhi. Mi incamminai accanto alla signorina Murray, distogliendo il viso e ignorando alcune osservazioni, finché lei urlò che ero o sorda o stupida, e allora (ritrovato il controllo di me), come chi si risvegli da un vuoto improvviso di memoria, alzai lo sguardo e le chiesi che cosa aveva detto. XXI. La scuola Lasciai Horton Lodge e raggiunsi mia madre nella nostra nuova casa di A... La trovai in buona salute, spiritualmente rassegnata, addirittura serena, sebbene quieta e sommessa. Avevamo soltanto tre allieve interne e una mezza dozzina di esterne per cominciare; ma, con la dovuta attenzione e diligenza, speravamo di accrescere in breve tempo il numero di entrambe. Mi dedicai con la necessaria energia ai compiti della mia nuova vita; la chiamo nuova perché vi era in realtà una notevole differenza tra lavorare con mia madre in una scuola nostra e lavorare come una dipendente pagata, in mezzo a estranei, disprezzata e calpestata da vecchi e giovani; per le prime settimane non fui affatto infelice. «E' possibile che ci incontriamo ancora» e «Ha importanza per voi che ci incontriamo ancora o no?»: quelle parole mi riecheggiavano all'orecchio e mi riposavano sul cuore; erano il mio segreto sostegno e il mio conforto. "Lo vedrò di nuovo. Verrà, o scriverà." Non c'era promessa troppo luminosa o troppo incredibile perché la speranza me la sussurrasse all'orecchio. Non credevo neppure alla metà di quel che mi diceva; fingevo di riderne; ma ero pronta a credere molto più di quanto pensassi: altrimenti, perché mi balzava il cuore quando sentivo un colpo battuto alla porta, e la cameriera che andava a aprire veniva a dire a mia madre che c'era un signore che la cercava? e perché ero di cattivo umore per il resto della giornata, se il signore si rivelava un insegnante di musica venuto a offrire i suoi servigi alla nostra scuola? e che cosa mi fermò un istante il respiro, quando, avendo il postino portato due lettere, mia madre disse: «Tieni, Agnes, questa è per te» e me ne gettò una? e che cosa mi fece salire il sangue al viso quando vidi che l'indirizzo era in una grafia maschile? e perché, oh, perché mi invase quel gelido, sconvolgente senso di delusione, quando la aprii e vidi che era soltanto una lettera di Mary, di cui, per qualche motivo, il marito aveva scritto l'indirizzo al suo posto? Ero dunque giunta a questo: che fosse una delusione per me ricevere una lettera dalla mia unica sorella perché non era stata scritta da qualcuno che era relativamente un estraneo? Cara Mary! e aveva scritto una lettera così affettuosa - convinta che mi avrebbe fatto tanto piacere riceverla - non ero degna di leggerla! E credo che, nel mio sdegno contro me stessa, l'avrei davvero messa da parte finché non fossi giunta a impormi un più giusto atteggiamento mentale, e fossi divenuta più meritevole dell'onore e del privilegio di leggerla; ma mia madre mi guardava, ansiosa di sapere quali notizie portasse; così la lessi e poi gliela diedi, e poi andai nell'aula a occuparmi delle allieve; ma tra i temi e i compiti di matematica, tra la correzione di un errore e il rimprovero per un dovere trascurato, interiormente mi ammonivo con ben più aspra severità. "Che pazzo devi essere" diceva la mia mente al mio cuore, o il mio Io più severo al mio Io più tenero "come hai potuto sognare che ti scrivesse? Su che cosa basi questa speranza... o quella che lui vorrà vederti o si darà qualsiasi pena per te... o anche soltanto penserà ancora a te?" "Su che cosa basi...", e allora la speranza mi metteva davanti agli occhi quell'ultimo, breve incontro, e mi ripeteva le parole che io avevo racchiuso come un tesoro nella mia memoria. "E allora, che importanza avevano quelle parole?... Chi ha mai fondato le sue speranze su un terreno così franoso? Che cosa c'era in quelle parole che qualsiasi semplice conoscente non possa dire a un altro? Certo che è possibile che vi incontriate ancora; avrebbe potuto dirlo anche se tu fossi partita per la Nuova Zelanda; ma questo non significava che lui intendesse rivederti; e quanto alla domanda successiva, chiunque avrebbe potuto rivolgerla, e tu come hai risposto? Con una risposta sciocca, banale, come quella che avresti dato al signorino Murray o a qualunque persona con cui fossi stata in rapporti appena educati." "Ma" insisteva la speranza "il tono e il modo in cui ha parlato..." "Oh, queste sono sciocchezze! parla sempre in tono molto espressivo; e in quel momento c'erano là le Green e la signorina Matilda Murray, e altra gente che passava, e lui era costretto a starti vicino e a parlare molto piano, se non voleva che tutti sentissero quel che diceva, e naturalmente - anche se non era niente di particolare preferiva di no." "Ma, soprattutto, quella stretta di mano, forte e dolce, che sembrava voler dire: Abbi fiducia, e molte altre cose troppo incantevoli, quasi troppo lusinghiere per venir ripetute, anche soltanto a se stessi." "Follia, assoluta follia - troppo assurda perché debba venir contraddetta... semplici invenzioni dell'immaginazione di cui dovresti vergognarti. Se provi a riflettere al tuo aspetto poco attraente, al tuo brusco riserbo, alla tua sciocca timidezza, che devono farti sembrare fredda, spenta, goffa, e forse perfino di cattivo carattere... se soltanto tu avessi riflettuto bene a queste cose fin dall'inizio, non avresti mai nutrito pensieri tanto presuntuosi; e adesso che sei stata tanto sciocca, devi pentirtene e emendarti e non pensarci più." Non posso dire di aver sempre obbedito alle mie stesse ingiunzioni; ma ragionamenti come questo divennero sempre più efficaci con il passare del tempo e con il silenzio del signor Weston; e infine rinunciai alla speranza, perché anche il mio cuore riconosceva che era vana. Ma continuavo a pensare a lui; a coltivare la sua immagine nella mia mente; a custodire come oggetti preziosi ogni parola, ogni sguardo, ogni gesto che la mia memoria riusciva a ricordare; a meditare sulle sue perfezioni, sulle sue caratteristiche, e, in breve, su tutto quello che di lui avevo visto, sentito, immaginato. «Agnes, l'aria di mare e il cambiamento a te non fanno bene, credo; non ti ho mai vista così abbattuta. Forse è perché stai troppo seduta e ti preoccupi per la scuola; devi imparare a prendere le cose con serenità, e a essere più attiva e allegra; devi fare un po' di esercizio appena ti è possibile e lasciare a me i compiti più noiosi: serviranno a farmi esercitare la pazienza, e forse a mettere un po' alla prova il mio carattere impulsivo.» Così mi parlò mia madre mentre lavoravamo una mattina durante le vacanze di Pasqua. Le assicurai che i miei compiti non erano troppo pesanti, che stavo bene; se poi c'era qualcosa che non andava, sarebbe sparito appena fossero passati i difficili mesi della primavera; all'arrivo dell'estate sarei stata forte e sana come lei desiderava vedermi; ma intimamente le sue parole mi colpirono. Sentivo che mi si indebolivano le forze, che perdevo l'appetito, che diventavo inquieta e depressa; se davvero lui non poteva amarmi e io non potevo più rivederlo; se mi veniva impedito di provvedere alla sua felicità, impedito per sempre di conoscere le gioie d'amore, di benedire e essere benedetta, allora la vita sarebbe stata un peso, e se il Padre celeste mi avesse chiamata a sé, sarei stata felice di poter riposare; ma non sarebbe stato bene morire e lasciare mia madre... Figlia indegna, egoista, se potevo dimenticarla anche solo per un minuto! Non era forse affidata in larga misura a me la sua felicità, e inoltre il benessere delle nostre giovani allieve? Dovevo dunque rifuggire dal lavoro che Dio mi aveva posto davanti perché non si adattava al mio gusto? Non era Lui a sapere che cosa dovevo fare, e dove dovevo operare? e potevo forse desiderare di abbandonare il Suo servizio prima di aver finito il mio compito e sperare di entrare nella Sua pace senza aver lavorato per guadagnarla? "No; con il Suo aiuto mi risolleverò e compirò diligentemente il dovere che mi è stato dato. Se la felicità non è per me in questo mondo, mi studierò di fare la felicità di quanti mi stanno attorno, e la ricompensa l'avrò nel mondo futuro." Così dissi al mio cuore, e da allora mi permisi di pensare a Edward Weston solo ogni tanto, come un dono speciale per occasioni speciali; e, fosse l'avvicinarsi dell'estate, o l'effetto di quelle buone risoluzioni, o il passare del tempo, o tutte queste cose insieme, ritrovai la mia tranquillità mentale, e tornarono, lentamente ma costantemente, anche la salute e il vigore fisico. Ai primi di giugno ebbi una lettera da Lady Ashby, l'ex signorina Murray. Mi aveva già scritto due o tre volte, dalle diverse tappe del suo viaggio di nozze, sempre di buon umore e dichiarandosi molto felice. Ogni volta mi stupivo che non mi avesse dimenticato in tutta quella gaiezza, in quel mutare di panorami. Ma poi vi fu una pausa; e sembrò che mi avesse al contrario dimenticato, poiché passarono più di sette mesi senza una sua lettera. Naturalmente, la cosa non mi spezzava il cuore, sebbene mi chiedessi spesso come stava; e quando arrivò quella inattesa missiva, mi fece piacere riceverla. Era datata da Ashby Park dove si era infine sistemata, dopo aver diviso il suo tempo tra il Continente e la Metropoli. Si scusava molto per avermi trascurato tanto a lungo, mi ripeteva di non avermi dimenticato e che aveva spesso pensato di scrivermi eccetera eccetera, ma ne era sempre stata impedita da qualcosa. Riconosceva di aver condotto una vita molto frivola, e io certo l'avrei giudicata molto cattiva e spensierata, ma, ciò nonostante, pensava molto, e tra l'altro pensava che le avrebbe fatto grande piacere vedermi. «Siamo qui già da parecchi giorni» scriveva. «Non c'è nessun amico con noi, e probabilmente ci annoieremo molto. Sapete che non ho mai desiderato vivere con mio marito come due tortorelle nel loro nido, quando pure egli fosse l'essere più meraviglioso che mai abbia portato una giacca; quindi abbiate pietà di me e venite. Immagino che le vacanze di mezza estate comincino per voi in giugno, come per tutti gli altri, dunque non potete invocare mancanza di tempo, e dovete venire, e verrete: morirò se non venite. Voglio che veniate in visita come amica e vi fermiate a lungo. Non c'è nessuno qui, come ho già detto, se non sir Thomas e la vecchia Lady Ashby; ma non dovete preoccuparvi per loro: non ci daranno molto fastidio con la loro compagnia; e voi avrete una stanza tutta per voi quando vorrete ritirarvi in solitudine e moltissimi libri da leggere quando la mia compagnia non vi distrarrà abbastanza. Non ricordo se vi piacciono i bambini; se è così, potrete avere la gioia di vedere il mio... senza dubbio il bambino più incantevole del mondo... tanto più che non ho il fastidio di allattarlo - ero decisa a non accollarmi questa fatica. Purtroppo è una bambina, e sir Thomas non me lo ha mai perdonato; però, purché veniate, prometto che sarete la sua istitutrice appena impara a parlare e la educherete nel modo giusto, e ne farete una donna migliore della sua mamma; e vedrete anche il mio barboncino, uno splendido seduttore importato da Parigi, e due bei quadri italiani di gran valore... Dimentico l'autore... senza dubbio voi saprete scoprirvi straordinarie bellezze, che mi farete notare, perché io ammiro soltanto per sentito dire... e inoltre molte eleganti curiosità che ho acquistato a Roma e altrove;... e infine vedrete la mia nuova casa, la splendida casa e le terre che desideravo così ardentemente. Ahimè, di quanto l'attesa del possesso ne supera la gioia!... Ecco un gran bel sentimento! Sono diventata una signora molto grave, credetemi:... venite, vi prego, magari soltanto per vedere questo stupefacente cambiamento. Scrivetemi a giro di posta per dirmi quando cominciano le vostre vacanze e dite che verrete il giorno successivo e vi fermerete fino al penultimo giorno... se volete avere pietà della vostra affezionata Rosalie Ashby» Mostrai questa strana lettera a mia madre e mi consigliai con lei per decidere che cosa fare. Lei mi suggerì di andare; e io andai, non scontenta di rivedere Lady Ashby, e anche la sua bambina, e di fare il possibile per darle conforto e consiglio, poiché immaginavo che fosse infelice, altrimenti non mi si sarebbe rivolta in quel modo; sentivo tuttavia, come si comprenderà facilmente, che, accettando l'invito, compivo un grosso sacrificio per lei e facevo in molti modi violenza ai miei sentimenti, ben lontana dall'essere estasiata al pensiero che la moglie del baronetto mi onorasse di un invito come amica. Decisi tuttavia che la visita sarebbe durata soltanto alcuni giorni al massimo; e non negherò di aver tratto conforto dal pensiero che, essendo Ashby Park non molto lontana da Horton, avrei forse potuto vedere il signor Weston, o, quanto meno, sapere qualcosa di lui. XXII. La visita Ashby Park era senza dubbio una dimora incantevole. L'esterno era maestoso, l'interno comodo e elegante, il parco grande e bello, soprattutto grazie ai superbi alberi secolari, ai bei branchi di daini, al vasto specchio d'acqua e agli antichi boschi che si estendevano alle sue spalle, poiché non vi erano avvallamenti a movimentare il paesaggio, e pochi di quei rilievi ondulati che donano tanto fascino ai panorami dei parchi. Ecco dunque il luogo che Rosalie Murray aveva tanto desiderato possedere da volerlo ottenere a qualsiasi condizione, qualsiasi prezzo si dovesse pagare per diventarne la padrona, chiunque dovesse esserle compagno nell'onore e la gioia di tale possesso. Bene: non intendo biasimarla ora. Mi ricevette con molta cortesia; sebbene io fossi figlia di un ecclesiastico povero, istitutrice e maestra di scuola, mi accolse con sincero piacere nella sua casa; e - il che mi sorprese abbastanza si diede da fare perché la mia visita fosse gradevole. Comprendevo, è vero, che si aspettava di vedermi profondamente colpita dalla magnificenza che la circondava; e confesso che mi irritavano i suoi evidenti sforzi per mettermi a mio agio, per evitare che io fossi sopraffatta da tanto splendore, intimorita all'idea di conoscere suo marito e sua suocera, vergognosa del mio aspetto umile - non lo ero affatto; poiché, sebbene i miei abiti fossero semplici, avevo badato che non fossero né trasandati né poveri, e mi sarei sentita perfettamente a mio agio se la mia benevola ospite non si fosse data visibilmente tanta pena perché io lo fossi; quanto poi alla magnificenza che la circondava, nulla di quanto vedevo mi colpiva o mi turbava quanto il cambiamento avvenuto nel suo aspetto. Fosse per le frivolezze e i lussi di un'esistenza alla moda o per qualche altro male, un periodo di poco più di dodici mesi aveva avuto l'effetto che ci si potrebbe aspettare da un numero eguale di anni nell'assottigliare la sua figura piena, nell'appannare la freschezza del suo incarnato, nello spegnere la vivacità dei suoi gesti e l'esuberanza del suo spirito. Avrei voluto sapere se era infelice; ma sentivo che non toccava a me chiederlo; potevo cercare di conquistarmi la sua fiducia; ma, se voleva nascondermi le sue pene coniugali, non intendevo disturbarla con domande indiscrete. All'inizio mi limitai dunque a discorsi generici sulla sua salute e il suo benessere, e a qualche commento sulla bellezza del parco e della bambina che avrebbe dovuto essere un bambino, una piccolina delicata di sette o otto settimane che sua madre sembrava guardare senza grande interesse o affetto, come del resto io mi aspettavo da lei. Poco dopo il mio arrivo, ordinò alla sua cameriera di condurmi nella mia stanza e di controllare che avessi tutto quello che desideravo; la stanza era piccola, senza pretese, ma comoda. Quando scesi - dopo essermi tolta gli abiti da viaggio e essermi vestita pensando ai sentimenti della mia aristocratica ospite - mi condusse lei stessa nella stanza che potevo occupare quando preferivo essere sola, o quando lei era impegnata con i visitatori o costretta a stare con la suocera, o comunque nell'impossibilità di godere, come disse lei stessa, del piacere della mia compagnia. Era un salottino piccolo, silenzioso, ordinato, e non mi dispiacque poter disporre di quel porto in cui rifugiarmi. «E qualche volta» mi disse «vi mostrerò la biblioteca; non ho mai guardato da vicino gli scaffali, ma immagino sia piena di libri molto saggi, e potete andare a prendere quello che volete; e adesso vi offrirò una tazza di tè: sarà presto ora di pranzo, ma ho pensato, dal momento che eravate abituata a pranzare all'una, che forse avreste preferito prendere adesso una tazza di tè, e pranzare quando noi facciamo colazione; inoltre potete prendere il tè qui, nella vostra stanza, evitando di dover pranzare con Lady Ashby e sir Thomas, il che sarebbe piuttosto imbarazzante... non proprio imbarazzante, ma... insomma, sapete che cosa intendo: ho pensato che non vi sarebbe piaciuto molto... tanto più che forse qualche volta potremo avere altri ospiti.» «Senza dubbio» risposi «preferisco le cose come avete detto voi; se non avete obiezioni, preferirei consumare tutti i pasti in questa stanza.» «Perché?» «Perché immagino che sarebbe più gradito a Lady Ashby e a sir Thomas.» «Niente affatto!» «In ogni caso sarebbe più gradito a me.» Sollevò qualche lieve obiezione, ma cedette subito; e vidi bene che la mia proposta la sollevava molto. «Adesso venite in salotto» disse. «Sento già il campanello; (1) ma non andrò ancora; è inutile vestirsi quando non c'è nessuno a vederti; e voglio parlare un po' con voi.» Il salotto era una stanza imponente, ammobiliata con grande eleganza; ma io vidi la sua giovane padrona che mi guardava mentre entravamo, come a osservare se ero colpita dallo spettacolo, e, di conseguenza, decisi di prendere un'aria di gelida indifferenza, come se non vedessi nulla che fosse degno di nota... ma soltanto per un momento: subito la coscienza mi sussurrò: "Perché dovrei deluderla per salvare il mio orgoglio? No, sacrificherò piuttosto il mio orgoglio per darle un'innocente soddisfazione". E mi guardai attorno senza finzioni e le dissi che era una stanza di proporzioni nobili, ammobiliata con molto gusto. Lei non parlò molto, ma vidi che era contenta. Mi mostrò il suo grasso barboncino francese che se ne stava raggomitolato su un cuscino di seta e i due bei quadri italiani che tuttavia non mi diede il tempo di esaminare; dicendo che li avrei guardati meglio un altro giorno, insistette nel farmi ammirare il piccolo orologio ornato di pietre preziose che aveva portato da Ginevra, poi mi fece fare il giro della stanza per mostrarmi altri oggetti d'arte che aveva importato dall'Italia, un elegante orologio, e parecchi busti, graziose statuette, e bei vasi, tutti elegantemente scolpiti in marmo bianco. Ne parlava con animazione, e ascoltò i miei ammirati commenti con un sorriso compiaciuto, che presto tuttavia svanì, e a cui seguì un malinconico sospiro, come si dicesse quanto erano insufficienti tutti quegli oggetti alla felicità del cuore, e quanto tristemente incapaci di accontentarne le insaziabili esigenze. Poi, distendendosi su un divano, mi invitò a sedermi in una poltrona dirimpetto - non vicino al fuoco, ma davanti a una finestra spalancata, poiché ricorderete che si era in estate, in una dolce, calda sera della seconda metà di giugno; e io rimasi per un momento in silenzio, godendo l'aria pura, immobile, e l'incantevole panorama del parco, ricco di prati e fogliame, immerso nell'oro del sole sottolineato dalla lunga ombra del giorno declinante. Ma dovevo mettere a frutto quella pausa: avevo domande da fare, e, come accade per il poscritto nelle lettere femminili, le più importanti dovevano venire per ultime. Cominciai dunque a chiedere dei signori Murray e della signorina Matilda e dei signorini. Seppi che papà aveva la gotta che lo rendeva terribile, e che non voleva rinunciare ai suoi vini raffinati e ai pranzi e le cene abbondanti e aveva litigato con il medico perché aveva osato dirgli che nessuna medicina poteva curarlo finché viveva così liberamente; che mamma e gli altri stavano bene: Matilda era ancora ribelle e spavalda, ma aveva una istitutrice alla moda, era molto migliorata e presto sarebbe stata introdotta in società; e John e Charles (che erano a casa per le vacanze) erano, a quanto sembrava, «bei ragazzi audaci, disobbedienti, dispettosi». «E come stanno tutti gli altri?» chiesi. «I Green per esempio?» «Ah, il signor Green ha il cuore spezzato» rispose con un sorriso languido. «Non ha ancora superato la delusione, e immagino non lo farà mai. E' destinato a diventare un vecchio scapolo, mentre le sorelle fanno il possibile per sposarsi.» «E i Meltham?» «Oh, vanno avanti come sempre, immagino, ma di loro so molto poco, tranne che di Harry» aggiunse, arrossendo appena e tornando a sorridere. «L'ho visto spesso quando eravamo a Londra: appena ha saputo che eravamo là, è venuto con il pretesto di andare dal fratello, e o mi seguiva dovunque, come un'ombra, o mi incontrava, come un riflesso, a ogni angolo. Ma non prendete quell'aria scandalizzata, signorina Grey; io sono stata molto discreta, vi assicuro; d'altro canto, non ci si può impedire di essere ammirate. Povero ragazzo! Non era il solo a adorarmi, ma era certo quello che si notava di più, e credo fosse anche il più devoto. E quel detestabile... sì, ecco, sir Thomas, ha deciso di offendersi della sua presenza, o delle mie continue spese, o di qualcos'altro - non so bene che cosa - e da un momento all'altro mi ha spedita in campagna, dove dovrò fare l'eremita, immagino, per tutta la mia esistenza.» E si morse il labbro e guardò con un'espressione vendicativa e accigliata la bella proprietà che un tempo aveva tanto desiderato poter dire sua. «E il signor Hatfield» chiesi «che cosa ne è stato di lui?» Lei tornò a farsi ridente e rispose con gaiezza: «Oh, ha fatto la corte a un'anziana zitella e l'ha sposata, da non molto tempo, mettendo sul piatto della bilancia il suo portafogli ben fornito contro la sua bellezza svanita, e sperando di trovare nell'oro il conforto che gli è stato negato nell'amore, ah, ah!» «Bene, credo che sia tutto ora, manca soltanto... il signor Weston: di lui che ne è stato?» «Non saprei proprio. E' partito da Horton.» «Da quanto tempo? e dove è andato?» «Non so nulla di lui» rispose sbadigliando «se non che è partito circa un mese fa, non ho certo chiesto per dove» volevo domandare se si trattava di una parrocchia o soltanto di un altro incarico come coadiutore, ma pensai fosse meglio non farlo «e tutti erano desolati dalla sua partenza» continuò «con grande noia del signor Hatfield: a Hatfield non piaceva perché aveva troppa influenza sulla gente comune e non era abbastanza conciliante e remissivo con lui... e per altri imperdonabili peccati, che non conosco. Ma adesso devo proprio andare a cambiarmi per il pranzo; ormai suonerà il secondo campanello, e se vado a pranzo vestita così, Lady Ashby non la finirà mai di protestare. E' strano che non si possa essere padrone in casa propria! Suonate il campanello e io chiamerò la mia cameriera e dirò che vi portino del tè. Ma pensate un po' a quella donna intollerabile...» «Chi, la vostra cameriera?» «No, mia suocera... e che sbaglio ho fatto! Invece di lasciare che se ne andasse in un'altra casa, come lei aveva proposto quando ci siamo sposati, sono stata tanto sciocca da chiederle di vivere qui e di continuare a dirigere la casa al mio posto; prima di tutto, speravo che avremmo trascorso la gran parte del tempo in città, e inoltre, giovane e inesperta com'ero, ero spaventata all'idea di avere un esercito di servitori da affrontare e pranzi da ordinare e ricevimenti da organizzare, e tutto il resto, e pensavo che potesse aiutarmi con la sua esperienza; senza neanche immaginare che si sarebbe rivelata un'usurpatrice, una tiranna, un incubo, una spia, un essere in tutto e per tutto detestabile. Vorrei fosse morta!» Si volse poi a dare gli ordini al valletto, che era rimasto impalato nel vano della porta da mezzo minuto e aveva sentito l'ultima parte della sua tirata, e senza dubbio stava meditando sulle parole di lei a dispetto dell'inflessibile immobilità da statua che riteneva giusto assumere nel salotto. Quando io osservai poi che doveva averla sentita, lei rispose: «Oh, non importa! Non mi preoccupo mai dei valletti; sono come automi: non li riguarda quello che dicono o fanno i loro superiori; non oserebbero ripeterlo; quanto a quello che pensano - se hanno l'impudenza di pensare - nessuno naturalmente se ne dà pena. Sarebbe davvero bella se dovessimo tenere la bocca chiusa a causa dei servi!» E corse via per vestirsi in fretta, lasciandomi a cercare da sola la strada per il mio salottino dove, a suo tempo, mi venne servito il tè; dopo averlo bevuto rimasi a pensare alla condizione passata e presente di Lady Ashby; e alle scarsissime informazioni che avevo avuto sul signor Weston e alle deboli possibilità di vederlo di nuovo o di avere sue notizie nel corso della mia vita spenta e tranquilla, che, da ora in poi, sembrava non offrirmi alternativa se non giorni di vera e propria pioggia e giorni di cupe nuvole grigie senza pioggia. A lungo andare, tuttavia, mi stancai dei miei pensieri, e avrei voluto sapere dove trovare la biblioteca di cui aveva parlato la mia ospite, e mi chiedevo se dovevo restarmene là, a non far niente, fino all'ora di coricarmi. Non essendo tanto ricca da possedere un orologio, non potevo sapere che ora fosse se non guardando le ombre, che lentamente si allungavano, dalla finestra da cui si godeva una vista laterale, con un angolo del parco, un folto di alberi i cui rami più alti erano stati colonizzati da una compagnia innumerevole di rumorose cornacchie, e un muro alto con un massiccio cancello in legno, che senza dubbio comunicava con il cortile delle scuderie poiché dal parco vi si giungeva attraverso un'ampia strada carraia. Presto l'ombra del muro si estese a tutta la zona del parco che io potevo vedere, costringendo la luce dorata a ritrarsi centimetro per centimetro e a rifugiarsi infine sulle cime degli alberi. Infine, anche i rami rimasero in ombra, l'ombra delle colline lontane, o della terra stessa; e io, simpatizzando con le laboriose cornacchie, rimpiansi di vedere la loro abitazione, immersa così poco tempo prima in una luce gloriosa, prendere il colore cupo, feriale del mondo terrestre, o del mio mondo interiore. Per un momento, gli uccelli che si innalzavano più in alto dei compagni riuscivano ancora a ricevere sulle ali lo splendore della luce, che dava alle loro piume nere il tono e lo splendore di un vivido oro rosso; poi, anche questo svanì. Il tramonto giunse furtivamente - le cornacchie si fecero più silenziose - io divenni più stanca; e mi augurai di poter tornare a casa domani stesso. Quindi si fece buio; e stavo pensando di suonare per una candela e di andare a letto, quando comparve la mia ospite, scusandosi di avermi trascurato tanto a lungo e dandone tutta la colpa a «quella vecchia malefica», come chiamava la suocera. «Se non rimango con lei in salotto mentre sir Thomas beve il vino» disse «non me lo perdona; e se me ne vado appena lui torna - come ho fatto una o due volte - è un'offesa imperdonabile verso il suo caro Thomas. Lei non è mai stata tanto irrispettosa verso suo marito - per non parlare di affetto poi, le mogli di oggi non ci pensano neppure, probabilmente; ma ai suoi tempi era diverso... E a che cosa serve poi restare in salotto, quando lui non fa che brontolare e rimproverare se è di cattivo umore, dire disgustose sciocchezze se è di buon umore, e addormentarsi sul divano se è troppo istupidito per fare o l'una o l'altra cosa, come succede quasi sempre adesso, quando non ha altro da fare che stordirsi col vino.» «Ma non potreste cercare di occupare la sua mente con qualcosa di meglio e convincerlo a rinunciare a tali abitudini? So che avete forza di persuasione e quelle qualità adatte a distrarre un uomo che molte donne vorrebbero possedere.» «Pensate dunque che dovrei darmi la pena di distrarlo! No; non è questa la mia idea di una moglie. E' compito del marito riuscire gradito alla moglie, e non viceversa; e se lui non è soddisfatto di lei così com'è - e per di più grato di possederla - non ne è degno: ecco tutto. E non mi darò certo da fare, credetemi, per persuaderlo: è già difficile sopportarlo così com'è senza tentare di cambiarlo. Mi dispiace però di avervi lasciato tanto a lungo sola, signorina Grey. Che cosa avete fatto?» «Ho soprattutto guardato le cornacchie.» «Povera me, come dovete esservi annoiata! Devo proprio mostrarvi la biblioteca; e voi suonate pure qualsiasi cosa desideriate, come fareste in una locanda, e mettetevi a vostro agio. E' egoismo in me volervi felice, perché voglio che restiate e non mettiate in atto la terribile minaccia di andarvene tra un giorno o due.» «Non vorrei tenervi ancora lontana dal salotto questa sera, perché adesso sono stanca e voglio andare a dormire.» NOTE: (1) Nell'originale, dressingbell: il campanello che suonava per annunciare non che il pranzo era pronto, ma che era l'ora di vestirsi per andare a pranzo. (Ndt) XIII. Il parco La mattina dopo, scesi poco prima delle otto, come mi rivelò un orologio che batteva lontano le ore. Non c'era traccia di colazione. Aspettai un'ora prima che arrivasse, sempre desiderando invano di poter trovare la biblioteca; e dopo aver consumato una solitaria colazione, aspettai ancora circa un'ora e mezza, ansiosa e a disagio, chiedendomi che cosa dovessi fare. Finalmente Lady Ashby entrò a salutarmi. Mi disse che aveva appena fatto colazione e voleva che io facessi una passeggiata con lei nel parco. Mi chiese da quanto tempo ero in piedi, si dichiarò molto dispiaciuta quando io glielo dissi e promise nuovamente di mostrarmi la biblioteca. Suggerii che sarebbe forse stato meglio se lo avesse fatto subito, così non avrebbe più dovuto preoccuparsi di ricordarlo e dolersi di averlo dimenticato. Lei mi accontentò, purché io non intendessi leggere o pensare ai libri proprio ora, poiché voleva mostrarmi i giardini e passeggiare con me nel parco prima che facesse troppo caldo, come, a dire la verità, già faceva. Naturalmente accettai e così uscimmo per la passeggiata. Mentre camminavamo nel parco, parlando di quello che la mia compagna aveva veduto e sentito durante i suoi viaggi, ci oltrepassò un uomo a cavallo. Quando si volse, passando, e mi guardò in viso, potei vedere bene che aspetto avesse. Era alto, magro e scarno, le spalle lievemente curve, il viso pallido, ma come gonfio, e sgradevolmente arrossato alle palpebre, lineamenti comuni e un aspetto languido e spento in contrasto con l'espressione sinistra della bocca e degli occhi opachi, senza vita. «Detesto quell'uomo!» sussurrò Lady Ashby con amara passione, mentre lui si allontanava al piccolo trotto. «Chi è?» chiesi, rifiutando di immaginare che parlasse così di suo marito. «Sir Thomas Ashby» rispose con calma terribile. «E davvero lo detestate, signorina Murray?» chiesi, poiché ero troppo scandalizzata per ricordare quale fosse ora il suo nome. «Sì, signorina Grey, lo detesto, e lo disprezzo! e se lo conosceste, non mi biasimereste per questo.» «Ma sapevate com'era prima di sposarlo.» «No; credevo soltanto di saperlo; non lo conoscevo nemmeno a metà. Lo so che voi mi avevate avvertita; e vorrei avervi ascoltato - ma ormai è tardi per rimpiangere - e poi la mamma avrebbe dovuto capire le cose meglio di noi due; e non ha mai parlato contro il matrimonio: al contrario. E inoltre credevo che mi adorasse e mi avrebbe lasciato fare quello che volevo: all'inizio, ha finto che fosse così; ma adesso di me non gli importa nulla. Di questo non soffrirei certo; potrebbe fare quello che vuole se soltanto io fossi libera di divertirmi e di vivere a Londra, o di avere qualche amicizia qui... ma è lui a voler fare quello che vuole - e io sono una prigioniera, una schiava. Appena ha visto che potevo divertirmi senza di lui e che altri mi apprezzavano più di lui, quello sciagurato egoista ha cominciato a accusarmi di essere una civetta e di spendere troppo e a insultare Harry Meltham a cui non è degno di pulire le scarpe; e poi, non ha forse voluto riportarmi in campagna, a vivere la vita di una monaca, per evitare che lo disonorassi o lo rovinassi? come se lui non fosse stato dieci volte peggiore sotto tutti i punti di vista, con le sue scommesse e il gioco d'azzardo e le sue ballerinette e la sua Lady Questo e signora Quest'altro, sì, e il suo vino e i bicchieri di brandy e acqua... che animale! Oh, darei diecimila volte il mondo per essere ancora la signorina Murray! E' troppo triste sentire che la vita, la salute e la bellezza se ne vanno, inavvertite, non godute, per un animale come lui!» esclamò, scoppiando quasi in lacrime per l'amarezza. Provavo certo molta pena per lei, per la falsa idea che si faceva della felicità e per l'indifferenza al dovere come per lo sciagurato compagno a cui il destino l'aveva legata. Dissi quello che potevo per confortarla e le diedi quei consigli che credevo più necessari, suggerendole dapprima di cercare di migliorare il marito con la dolcezza dei ragionamenti, con l'esempio, con la persuasione; quando poi avesse fatto tutto il possibile, se ancora lo avesse trovato incorreggibile, di cercare di non pensare a lui - di avvolgersi nella sua propria integrità e preoccuparsi il meno possibile per lui. La esortai a cercare conforto nel compiere il suo dovere verso Dio e gli uomini, a porre la sua fiducia nel Cielo, a consolarsi curando e nutrendo la sua bambina, e le dissi che sarebbe stata ampiamente ricompensata dall'osservazione dei progressi della piccola in salute e saggezza e dal suo sincero affetto. «Ma non posso dedicarmi tutta alla bambina» ribatté «potrebbe morire: non è affatto improbabile.» «Con l'affetto e le cure, molti bambini fragilissimi sono diventati uomini o donne sani e forti.» «Ma potrebbe diventare intollerabile come il padre e io finirei per odiarla.» «Non è affatto probabile; è una bambina e somiglia molto alla madre.» «Non importa; preferirei un maschio... non fosse che il padre non gli lascerebbe nessuna eredità, se può sperperarla adesso. Che piacere posso trarre dal vedere una bambina crescere e eclissarmi e godere di quelle gioie che a me sono per sempre negate? Ma, quand'anche sapessi essere tanto generosa da godere di questo, è soltanto una bambina, e non posso riporre tutte le mie speranze in una bambina; è poco meglio che dedicarsi tutti a un cane. E quanto alla saggezza e alla bontà che avete cercato di insegnarmi, immagino siano cose giustissime e sacrosante; e se avessi vent'anni di più, potrei trarne profitto; ma dobbiamo godere la vita finché siamo giovani, e se gli altri non ce lo permettono, allora non possiamo non odiarli per questo!» «Il modo migliore per godere la vita è fare quello che è giusto e non odiare nessuno. Scopo della religione non è insegnarci a morire ma a vivere; e quanto prima si diventa saggi e buoni, tanta più felicità ci si assicura. E ora, Lady Ashby, ho un altro consiglio da darvi: non fatevi una nemica di vostra suocera. Non tenetela a distanza e non guardatela con gelosa diffidenza. Non l'ho mai vista, ma ne ho sentito dire bene e male, e immagino che, pur essendo fredda e altera e forse esigente con gli altri, sappia nutrire affetto profondo per quanti riescono a conquistarlo; sebbene legata ciecamente al figlio, non è priva di principi o incapace di ragionare; se soltanto sapeste accontentarla un poco, e adottare modi aperti, amichevoli, e confidarle le vostre pene... le vere pene, quelle di cui avete il diritto di lamentarvi... credo fermamente che lei diverrebbe, col tempo, la vostra amica sincera, un conforto e un sostegno per voi, invece dell'incubo di cui parlate.» Temo però che i miei consigli non influissero molto su quella giovane donna sventurata; vedendo che potevo rendermi così poco utile, il mio soggiorno a Ashby Park divenne doppiamente penoso. Ma dovevo pur rimanere quel giorno e il giorno seguente, avendolo promesso; insistetti tuttavia, resistendo a ogni preghiera e lusinga perché prolungassi la visita, per partire la mattina successiva, dichiarando che mia madre si sarebbe sentita sola senza di me e che aspettava con impazienza il mio ritorno. Pure, avevo il cuore gonfio quando mi congedai dalla povera Lady Ashby e la lasciai nella sua casa principesca. Era un'ulteriore prova, e non piccola, della sua infelicità, che si afferrasse al conforto della mia presenza e desiderasse ardentemente la compagnia di qualcuno i cui gusti e le cui idee le erano così poco congeniali, che aveva completamente dimenticato nei momenti di felicità, qualcuno la cui presenza sarebbe stata una noia più che un piacere se avesse potuto veder realizzati soltanto la metà dei suoi desideri più veri. XXIV. La spiaggia La nostra scuola non si trovava al centro della città: entrando a A... da nordovest si incontra una fila di case d'aspetto molto dignitoso ai due lati della grande strada bianca, con un piccolo giardino davanti, veneziane alle finestre e una fuga di gradini che conduce alla bella porta con la maniglia d'ottone. In una delle più grandi vivevamo mia madre e io, con le ragazze che i nostri amici e altri clienti avevano deciso di affidarci. Di conseguenza eravamo parecchio lontano dal mare, da cui ci divideva un labirinto di strade e case. Ma il mare era la mia gioia; e spesso attraversavo la città per il piacere di una passeggiata lungo la riva, con le mie allieve, o sola o con mia madre durante le vacanze. Era per me un incanto in tutte le stagioni e a tutte le ore, ma soprattutto quando una brezza marina muoveva vivamente l'atmosfera e nella luminosa freschezza di un mattino d'estate. Il terzo giorno dal mio ritorno da Ashby Park mi svegliai presto... dalla persiana filtrava luminoso il sole, e io mi dissi che sarebbe stato molto piacevole attraversare la città tranquilla e fare una passeggiata solitaria sulla spiaggia mentre quasi tutti erano ancora a letto. Non tardai molto a prendere la mia decisione né a metterla in pratica. Non volevo certo disturbare mia madre, e scesi senza far rumore le scale e silenziosamente aprii la porta. Ero pronta, vestita e già uscita quando l'orologio della chiesa batté un quarto alle sei. Perfino nelle strade si avvertiva un senso di fresco vigore; e quando uscii dalla città, quando sentii sotto i piedi la sabbia e volsi il viso verso la vasta baia luminosa... nessuna lingua può descrivere l'effetto del profondo, limpido azzurro del cielo e dell'oceano, del luminoso sole del mattino sul semicerchio di aspre rocce sormontate da verdi colline ondulate e sulla spiaggia liscia, vasta, e sugli scogli bassi che sorgevano dal mare, rivestiti di alghe e muschio, simili a isolette erbose, e soprattutto sulle lucenti, scintillanti onde. E l'indicibile purezza e freschezza dell'aria! il caldo era appena tale da rendere più gradita la brezza, e il vento muoveva appena il mare, e le onde venivano spumeggiando e scintillando alla spiaggia, come folli di gioia. Null'altro era in movimento, non c'era nessuno tranne me. Le mie orme erano le prime a stamparsi sulla sabbia intatta, salda; null'altro l'aveva calpestata da quando la marea della notte precedente aveva cancellato le orme più profonde del giorno prima e l'aveva lasciata intatta e eguale, se non dove l'acqua, ritraendosi, si era lasciata dietro le tracce delle pozze increspate e dei piccoli rigagnoli. Rinfrescata, deliziata, rinvigorita, camminavo dimenticando tutte le mie ansie, sentendomi le ali ai piedi, certa di poter continuare almeno per sessanta chilometri senza stancarmi, provando una sorta di gioia esilarante che non avevo più conosciuto dalla primissima giovinezza. Verso le sei e mezzo, tuttavia, cominciarono a uscire gli staffieri per far prendere aria ai cavalli dei padroni: prima uno, poi un altro, finché vi furono una dozzina di cavalli e cinque o sei cavalieri; ma questo non mi riguardava perché non sarebbero arrivati fino alle basse rocce alle quali io mi stavo avvicinando. Quando le raggiunsi, e camminai sopra le alghe umide e scivolose (rischiando di cadere in una delle numerose pozze di chiara acqua marina che giacevano tra roccia e roccia) fino a un piccolo promontorio muscoso circondato dal mare spumeggiante, mi volsi a guardare chi altro fosse in movimento. Vidi soltanto gli staffieri con i cavalli e un uomo con la macchia scura di un cane che gli correva davanti, e un carroserbatoio che usciva dalla città a prendere l'acqua per i bagni. Tra uno o due minuti, le macchine per i bagni si sarebbero messe in movimento, e allora gli anziani signori dalle abitudini regolari e le pie quacchere sarebbero venuti a fare la loro salutare passeggiata mattutina. Ma, per quanto interessante fosse un tale spettacolo, non potevo attendere di vederlo, poiché in quella direzione il sole e il mare mi abbagliavano, al punto che potei dare soltanto un'occhiata, e subito mi volsi a godere della vista e del suono del mare che batteva contro il promontorio, senza grande forza, poiché l'impeto era frenato dall'intrico di alghe e dalle invisibili rocce sotto il livello dell'acqua; altrimenti sarei stata presto inzuppata dagli spruzzi. Ma la marea si avvicinava; l'acqua si alzava; le insenature e i bacini si riempivano; i rigagnoli si allargavano: era tempo di cercare un luogo più sicuro; mi incamminai, tornai incespicando e scivolando sulla sabbia liscia e vasta, e decisi di arrivare a una ardita sporgenza tra le rocce e poi tornare indietro. Sentii alle mie spalle un suono ansimante, e subito un cane mi venne a saltare e scodinzolare ai piedi. Era Snap, il mio Snap, il piccolo terrier scuro, dal pelo ruvido! Quando lo chiamai, mi saltò fino al viso, uggiolando di gioia. Felice quasi quanto lui, lo presi in braccio e lo baciai più volte. Ma come era arrivato là? Non era certo caduto dal cielo, né poteva essere venuto solo: doveva essere stato o il suo padrone, l'acchiappatopi, o qualcun altro, a portarlo; frenando la mia entusiastica accoglienza e cercando di frenare anche la sua, mi guardai attorno, e vidi... il signor Weston! «Il vostro cane vi ricorda bene, signorina Grey» disse, stringendo con calore la mano che io gli tendevo senza sapere bene che cosa stessi facendo. «Vi alzate presto.» «Non sempre così presto» ribattei, con straordinaria calma, se si pensa a tutte le circostanze. «Fino a dove intendete arrivare nella vostra passeggiata?» «Stavo pensando di tornare; credo sia ormai tempo.» Guardò l'orologio - un orologio d'oro ora - e mi disse che erano soltanto le sette e cinque. «Ma senza dubbio, passeggiate già da molto» aggiunse, volgendosi verso la città; io mi incamminai lentamente in quella direzione ripercorrendo i miei passi; e lui mi camminò al fianco. «In che zona della città vivete?» chiese. «Non sono mai riuscito a scoprirlo.» Non era mai riuscito a scoprirlo? Aveva dunque cercato di farlo? Gli dissi dove abitavo. Lui chiese come andasse la nostra occupazione; risposi che andava benissimo, che avevamo avuto molte più allieve dopo le vacanze di Natale e ne aspettavamo altre ancora al termine di queste vacanze. «Dovete essere un'ottima insegnante» osservò. «No, lo è mia madre; è così brava nell'organizzare le cose, e così attiva, e intelligente e gentile.» «Mi piacerebbe conoscere vostra madre. Vorrete presentarmi a lei se vengo a trovarvi?» «Con molto piacere.» «E mi concederete il privilegio di un vecchio amico, di venire a trovarvi ogni tanto?» «Sì, se... immagino di sì.» Era una risposta molto stupida, ma non mi sentivo in diritto di invitare qualcuno a casa di mia madre senza che lei lo sapesse; se avessi detto «sì, se mia madre non ha nulla in contrario», sarebbe parso che io dessi alla sua domanda un significato diverso da quello apparente; dunque, immaginando che lei non avrebbe avuto nulla in contrario, aggiunsi «immagino di sì», ma avrei detto certo parole più sensate e gentili se fossi stata padrona di me. Continuammo a camminare per un minuto in silenzio, ma presto fu il signor Weston a romperlo (con mio grande sollievo), parlando della bellezza della mattinata e della baia, quindi dei vantaggi che A... offriva paragonata a molte altre località di villeggiatura più alla moda. «Non mi avete chiesto perché sia venuto a A...» osservò. «Non potete pensare che sia tanto ricco da esserci venuto soltanto in vacanza.» «Ho saputo che avete lasciato Horton.» «Ma non avete saputo che mi è stata affidata la parrocchia di F...?» Si trattava di un villaggio a circa tre chilometri da A... «No» risposi. «Viviamo così isolate dal mondo, anche qui: è molto difficile che mi giungano notizie, se non attraverso la "...Gazette". Ma spero che vi piaccia la nuova parrocchia, e che io possa rallegrarmene con voi.» «Penso che mi piacerà di più tra un anno o due, quando avrò operato alcuni cambiamenti ai quali tengo molto, o quanto meno avrò compiuto dei progressi in tale direzione; ma potete fin da ora rallegrarvi con me, poiché mi piace molto avere da solo la responsabilità di una parrocchia senza nessuno che possa interferire, che blocchi i miei progetti o tarpi le ali ai miei tentativi; inoltre ho una bella casa in una zona piuttosto gradevole e trecento sterline l'anno; a essere sincero, posso lamentarmi soltanto della solitudine, e posso desiderare soltanto una compagna.» Mi guardò mentre finiva di parlare; e il lampo dei suoi occhi scuri sembrò incendiarmi il viso, con mio grande sgomento, poiché era intollerabile manifestare confusione in quella circostanza. Mi studiai dunque di rimediare e togliere ogni riferimento personale a quella osservazione, rispondendo in fretta, e male, che, se aspettava di essere conosciuto nella sua zona, avrebbe avuto molte possibilità di accontentare i suoi desideri scegliendo tra le abitanti di F... e dei luoghi vicini o tra le frequentatrici di A..., se aveva bisogno di una scelta tanto vasta; senza riflettere al complimento implicito nelle mie parole, finché lui non me lo fece notare. «Non sono tanto presuntuoso da crederlo, anche se siete voi a dirmelo; ma quando pure fosse così... sono piuttosto difficile nella scelta di una compagna per la vita, e forse non ne troverei nessuna che mi convenga tra le signore di cui parlate.» «Se cercate la perfezione, non la troverete mai.» «Non cerco la perfezione; non ne ho il diritto, essendone io stesso così lontano.» La conversazione venne interrotta dal passaggio di un carroserbatoio, poiché eravamo giunti alla zona della spiaggia in piena attività; per i successivi otto o dieci minuti, tra i carri e i cavalli e gli asini e gli uomini, non ci fu spazio per la conversazione, finché non volgemmo le spalle al mare e cominciammo a salire la strada ripida che portava in città. Qui il mio compagno mi offrì il braccio, che io accettai, sebbene non con l'intenzione di appoggiarmi. «Non venite spesso sulla spiaggia, credo» mi disse «perché io ci sono venuto molte volte, di mattina e di sera, da quando sono arrivato, e non vi ho mai visto prima; e molte volte, percorrendo la città, ho cercato la vostra scuola, ma non ho pensato alla strada in cui si trova; e una o due volte ho chiesto, ma senza ottenere la risposta che cercavo.» Superato il pendio della strada, stavo per ritrarre il mio braccio, ma una stretta leggera mi informò tacitamente che lui non era d'accordo, e io cedetti. Parlando di argomenti diversi, entrammo in città, e percorremmo numerose vie; vedevo che si allontanava dalla sua strada per accompagnarmi, a dispetto del lungo cammino che ancora lo attendeva; temendo che potesse così trovarsi a disagio per semplice gentilezza, osservai: «Temo di portarvi lontano dalla vostra strada, signor Weston... credo che la via per F... sia in tutt'altra direzione.» «Vi lascerò alla fine della prossima strada» rispose. «E quando verrete a conoscere la mamma?» «Domani, se Dio vorrà.» Alla fine della prossima strada io ero quasi arrivata. Tuttavia lui si fermò, augurandomi buon giorno, e chiamò Snap, che sembrava incerto se seguire la vecchia padrona o il nuovo padrone, ma trotterellò via dopo essere stato chiamato. «Non vi offrirò di restituirvelo, signorina Grey» disse sorridendo il signor Weston «perché gli sono affezionato.» «Oh, non lo voglio; ora che ha un buon padrone, questo mi basta.» «Dunque siete certa che io sia un buon padrone?» L'uomo e il cane si allontanarono, e io tornai a casa, piena di gratitudine per il Cielo che mi donava tanta felicità e pregando che le mie speranze non venissero nuovamente infrante. XXV. Conclusione «Allora, Agnes, non devi fare altre passeggiate così lunghe prima di colazione» disse mia madre, notando che bevevo una seconda tazza di caffè e non mangiavo nulla, prendendo a pretesto il caldo e la fatica della lunga passeggiata. Era vero che mi sentivo febbricitante, e stanca. «Sei sempre estrema in tutto: se avessi fatto una breve passeggiata tutte le mattine e continuassi a farlo, ti gioverebbe.» «Sì, mamma, farò così.» «Ma così è peggio che restartene a letto o curva sui libri; ti sei fatta venire la febbre.» «Non lo farò di nuovo.» Mi stavo lambiccando il cervello per trovare come dirle del signor Weston, poiché doveva pur sapere che sarebbe venuto domani. Aspettai però che la colazione fosse stata sparecchiata e che io fossi più calma e mi sentissi più fresca; allora, dopo essermi seduta a disegnare, cominciai: «Oggi ho incontrato un vecchio amico sulla spiaggia, mamma.» «Un vecchio amico! E chi può essere?» «Per essere sincera, due vecchi amici. Uno era un cane» e le ricordai Snap, di cui avevo già in precedenza raccontato la storia, e riferii della sua improvvisa ricomparsa e della entusiastica accoglienza «e l'altro» continuai «era il signor Weston, il coadiutore di Horton.» «Weston! Non ne ho mai sentito parlare prima.» «Sì invece: ne ho parlato più volte, credo, ma non lo ricordi.» «Ti ho sentito parlare del signor Hatfield.» «Il signor Hatfield era il rettore della parrocchia e il signor Weston il coadiutore; ne ho parlato a volte contrapponendolo al signor Hatfield, come molto più efficace nel suo ministero. Bene, questa mattina era sulla spiaggia con il cane - lo ha comprato, immagino, dall'acchiappatopi; e mi ha riconosciuto subito, come il cane, probabilmente proprio grazie al cane; e ho parlato con lui, e, quando lui mi ha chiesto della scuola, ho detto qualcosa di te, mamma, e della tua abile direzione e lui ha osservato che gli avrebbe fatto piacere conoscerti e mi ha chiesto se te lo avrei presentato, se si fosse preso la libertà di venire a trovarmi; io ho detto di sì. Ho fatto bene?» «Certo. Che uomo è?» «Molto rispettabile, credo; ma lo vedrai domani. E' il nuovo parroco di F..., e poiché è là soltanto da alcune settimane, immagino non si sia fatto ancora amici e cerchi un po' di compagnia.» L'indomani venne. E con quale febbrile ansia e attesa io passai il tempo tra la prima colazione e mezzogiorno, quando lui fece la sua comparsa. Dopo averlo presentato a mia madre, portai il mio lavoro vicino alla finestra e sedetti attendendo i risultati dell'incontro. Si trovarono subito bene insieme, con mia grande soddisfazione, poiché ero ansiosa di vedere che cosa avrebbe pensato mia madre di lui. Non si fermò a lungo; ma quando si alzò per congedarsi, lei disse che le avrebbe fatto piacere vederlo in qualsiasi momento avesse potuto venire; e quando lui uscì, ebbi la gioia di sentirle dire: «Un uomo pieno di buon senso, direi! Ma perché sei rimasta seduta là, Agnes» aggiunse «e hai parlato così poco?» «Perché conversavate così bene, mamma; ho pensato non fosse necessario il mio aiuto; e inoltre era venuto a trovare te, non me.» Da quel giorno venne spesso, più volte nel corso di una settimana. In genere parlava soprattutto con mia madre; non era strano, poiché era un'ottima conversatrice. Quasi invidiavo la sua conversazione agevole, eloquente, priva di impacci, e l'intelligenza che ogni sua parola rivelava; e tuttavia non la invidiavo: a volte rimpiangevo, sì, le mie manchevolezze per amore di lui, ma mi dava grande piacere ascoltare le due persone al mondo che più amavo e onoravo discorrere insieme con tanta amicizia, con tanta saggezza, con tanta eleganza. Non rimanevo però sempre in silenzio, né venivo trascurata. Venivo notata quasi quanto desideravo esserlo: non mancavano le parole dolci e gli sguardi ancora più dolci, le delicate attenzioni, troppo belle e sottili per essere definite a parole e di conseguenza indescrivibili, ma sentite nel profondo del cuore. Tra noi, presto non ci furono più cerimonie: il signor Weston veniva come un ospite atteso, benvenuto in qualsiasi momento, che non disturbava mai la routine della nostra casa. Mi chiamava «Agnes», timidamente all'inizio, ma, vedendo che non offendeva nessuno, sembrò preferirlo di molto al «signorina Grey» e io condividevo la sua preferenza. Come erano tediosi e cupi i giorni in cui non veniva! tuttavia non tristi, poiché avevo con me, a rallegrarmi, il ricordo della sua ultima visita e la speranza della successiva. Ma quando passavano due o tre giorni senza che venisse, mi sentivo davvero molto ansiosa assurdamente, irragionevolmente ansiosa poiché lui aveva il suo lavoro e gli affari della parrocchia di cui occuparsi: e temevo la fine delle vacanze, quando avrebbe avuto inizio anche il mio lavoro e sarei stata qualche volta nell'impossibilità di vederlo, e qualche volta... quando mia madre era nell'aula, sarei stata costretta a stare sola con lui, situazione che non desideravo... quanto meno non in casa: incontrarlo fuori e passeggiare accanto a lui non si era davvero rivelato sgradevole. Una sera, però, nell'ultima settimana delle vacanze, arrivò inatteso, poiché un forte e lungo temporale nel pomeriggio aveva quasi distrutto le mie speranze di vederlo; ma ora il temporale era finito e il sole era tornato a splendere. «Una bella serata, signora Grey» disse entrando. «Agnes, vorrei che faceste una passeggiata con me a...» nominò un punto della costa, una collina alta dal lato della terraferma, e verso il mare uno strapiombo dalla cui vetta si godeva di una vista superba. «La pioggia ha spento la polvere e rinfrescato e schiarito l'aria, e il panorama sarà magnifico. Verrete?» «Posso andare, mamma?» «Sì, certo.» Mi andai a preparare e tornai dopo pochi minuti, sebbene avessi dedicato naturalmente più cure al mio vestito di quel che avrei fatto per un giro da sola nei negozi. Il temporale aveva avuto un effetto benefico sul tempo, e la sera era assolutamente deliziosa. Il signor Weston volle offrirmi il braccio: parlò pochissimo mentre percorrevamo le strade affollate, ma camminava molto in fretta e sembrava grave e distratto. Mi chiedevo che cosa avesse e provavo l'indefinito timore che pensasse a qualcosa di sgradevole; incerte ipotesi sulla natura dei suoi pensieri mi turbavano non poco e mi rendevano grave e silenziosa. Ma le mie fantasie svanirono quando giungemmo alla tranquilla periferia della città, poiché appena fummo in vista della vecchia, venerabile chiesa, e della collina che si ergeva contro il profondo mare azzurro, vidi che il mio compagno era tornato di buon umore. «Ho camminato troppo in fretta per voi, Agnes» disse. «Nell'ansia di uscire dalla città, ho dimenticato di pensare a quello che poteva essere più agevole per voi; ma ora andremo piano come vorrete: vedo, da quelle nuvole leggere, a ovest, che ci sarà un bel tramonto e avremo il tempo di ammirarlo sul mare, anche camminando a passo lentissimo.» Giunti a metà circa della collina, piombammo nuovamente nel silenzio, e, come sempre, fu lui il primo a romperlo. «La mia casa è sempre solitaria e vuota, signorina Grey» osservò sorridendo «e ora conosco tutte le signore della mia parrocchia e anche molte di questa città; e altre le conosco di vista e di fama; ma nessuna di loro può soddisfarmi come compagna... a dire il vero, c'è una sola persona al mondo che può farlo; e questa siete voi; e voglio conoscere la vostra decisione.» «Parlate seriamente, signor Weston?» «Seriamente! Pensate che potrei scherzare su un argomento simile?» Mise la mano sulla mia, appoggiata al suo braccio: deve averla sentita tremare... ma ora non aveva molta importanza. «Spero di non essere stato troppo precipitoso» disse con grande serietà. «Ma voi certo sapevate che non sono uomo da lusingare e dire tenere sciocchezze, o semplicemente da esprimere l'ammirazione che provo; e che in me una parola o uno sguardo vogliono dire più delle frasi melate e delle ardenti affermazioni di molti altri uomini.» Mormorai che non volevo lasciare mia madre né devo fare nulla senza il suo consenso. «Ho già parlato alla signora Grey mentre voi indossavate il cappellino» fu la risposta. «Ha detto che avevo il suo consenso, purché ottenessi il vostro; io le ho chiesto, se avessi avuto tanta felicità, di venire a vivere con noi, poiché ero certo che voi voleste così; ma lei ha rifiutato, dicendo che adesso può permettersi di assumere un'assistente e che avrebbe continuato a occuparsi della scuola finché non si fosse potuta costituire una rendita tale da mantenerla in comoda agiatezza in una casa d'affitto; e frattanto avrebbe diviso le vacanze tra noi e vostra sorella, e sarebbe stata molto soddisfatta se voi eravate felice. E così ho vinto le vostre obiezioni nei suoi riguardi. Ne avete altre?» «No, nessuna.» «Mi amate dunque?» chiese, stringendomi con fervore la mano. «Sì.» Qui mi interrompo. Il mio diario, da cui sono partita per tracciare queste pagine, non va molto oltre. Potrei continuare per anni; ma mi accontenterò di aggiungere che non dimenticherò mai quella gloriosa sera estiva e ricorderò sempre con gioia profonda quella collina ripida e aspra, e l'orlo del precipizio dove rimanemmo insieme contemplando lo splendore del sole al tramonto riflesso sull'inquieto mondo di acque ai nostri piedi - il cuore colmo di gratitudine verso il Cielo e di felicità e di amore - quasi troppo colmo perché potessimo parlare. Poche settimane dopo, quando mia madre aveva trovato un'assistente, divenni la moglie di Edward Weston e non ho mai avuto occasione di rimpiangerlo e sono certa che non mi accadrà mai. Abbiamo avuto le nostre prove e sappiamo che ne conosceremo ancora; ma le affrontiamo bene insieme e cerchiamo di farci forza e di darci reciprocamente forza per affrontare la separazione finale, la più grave di tutte le sofferenze per chi rimane; ma, se guardiamo alla gloria del Cielo oltre la vita, dove entrambi potremo incontrarci ancora, dove peccato e dolore sono sconosciuti, senza dubbio anche questa prova può venir sopportata; frattanto, cerchiamo di vivere per la gloria di Colui che ha cosparso di tante benedizioni il nostro cammino. Edward, con il suo strenuo lavoro, ha operato sorprendenti cambiamenti nella sua parrocchia, e è stimato e amato dai residenti, come merita, poiché, qualsiasi difetto possa avere come uomo (e nessuno ne è interamente privo), sfido chiunque a biasimarlo come pastore, marito o padre. I nostri figli, Edward, Agnes e la piccola Mary, promettono bene; la loro educazione per il momento è affidata principalmente a me; e non mancheranno di nessuna delle buone cose che l'affetto di una madre può dare. La nostra modesta rendita è più che sufficiente alle nostre esigenze; e con l'economia appresa in tempi più duri, e non cercando mai di imitare i nostri più ricchi vicini, riusciamo non soltanto a vivere nella comodità e la contentezza, ma a avere ogni anno qualcosa da mettere da parte per i nostri figli e qualcosa da dare a chi ha bisogno. Ora, credo di aver detto tutto quanto andava detto. Fine