Stampa questo articolo - Accademia Italiana di Scienze Forestali
Transcript
Stampa questo articolo - Accademia Italiana di Scienze Forestali
8. LE UTILIZZAZIONI SPECIALI DEI SALICI CRISTIAN BOLZONELLA (*) - PAOLO PAIERO (**) Per quanto riguarda l’etimologia di Salix, NICCOLI (1885) riprende il concetto espresso dall’agronomo bolognese Crescenzi1, secondo il quale il «salcio è così detto imperocché agevolmente saglie in alto»; secondo altri Autori il termine salice potrebbe derivare invece dal celtico sullis (vicino all’acqua) con riferimento al suo habitat. Nella mitologia pagano-latina il salice era consacrato alla dea lunare Ecate e anche durante il medioevo si vedeva uno stretto legame tra questa pianta e la luna, tanto da rendere i salici gli alberi preferiti per la fabbricazione della «scopa delle streghe». Sempre in tema mitologico è noto che i Druidi costruivano con il salice dei cesti di vimini sui quali offrivano durante il plenilunio sacrifici umani. Fin dagli albori della civiltà il salice ha avuto grande importanza nell’economia agraria ed è stato sempre presente nell’attività antropica: per le loro caratteristiche di flessibilità sia i suoi fusti che i suoi rami sono stati utilizzati fin dai tempi antichi per la fabbricazione di vari oggetti ed attrezzi di uso comune: a Ur, l’antica città sumerica in riva all’Eufrate, durante gli scavi archeologici eseguiti tra il 1922 e il 1934 all’interno delle famose tombe reali, è stato ritrovato un sarcofago di vimini datato oltre 5000 anni fa. Anche in Egitto (3000 a.C.), prima della comparsa dei vasi di ceramica, i vimini servivano per fabbricare oggetti e contenitori per vari usi, mentre in epoca romana (VIII sec. a.C. in poi) cesti di vimini venivano correntemente utilizzati per il trasporto del pane. Man mano che la coltura dei vimini si affinava, il loro impiego si andava ampliando verso manufatti diversi: oltre ai soliti canestri e panieri, anche contenitori specificamente destinati alla (*) Centro di Contabilità Agraria e Forestale, Università degli Studi di Padova. (**) Già Professore ordinario di Botanica Forestale presso l’Università degli Studi di Padova. 1 Pietro de’ Crescenzi (vissuto a Bologna tra il 1230 e il 1320), agronomo e autore dell’Opus ruralium commodorum – redatta in latino tra il 1304 ed il 1309 e successivamente tradotto in italiano da un anonimo toscano –, considerato il più importante trattato di agricoltura medioevale. Le fonti utilizzate dal Crescenzi, oltre a quelle contenute nelle opere dell’antichità classica, derivarono anche dalla sua grande esperienza personale quale proprietario terriero ed agricoltore (AA.VV., 1984). ANNALI A.I.S.F., Vol. LVI, 2007: 81-91 82 vendemmia, alla raccolta dei prodotti orticoli, al trasporto delle uova, dei volatili ed altro ancora. Per restare in Egitto, la Bibbia riporta la storia di Mosè, salvato dalle acque del Nilo entro una culla di vimini, durante il regno di Ramses II (1298-1232 a.C.). La citazione più antica relativa alla coltivazione del salice si deve al filosofo greco Teofrasto (m. 287 a.C.), che nelle sue opere di botanica ne raccomandava la coltura per ottenere la materia prima di diversi manufatti. Diversi altri Autori latini citano espressamente questa coltura: Catone il censore (234-149 a C.), nel «De Agricoltura» era dell’opinione che il «saliceto» era senza dubbio tra le colture più redditizie e che nelle campagne fosse conveniente non trascurare il salice per la varietà dei prodotti ricavabili (legna da ardere, tutori per le viti, vimini, ecc.); Plinio il Vecchio (23-79 d.C.), autore della Historia Naturalis, riferiva che a ragione della sua elasticità il legno di salice era preferito per gli scudi dei soldati, così da resistere meglio ai colpi inferti dai nemici; Columella (contemporaneo di Seneca) nel De Arboribus, unico libro della sua opera De Re Rustica pervenuto fino a noi, affermava che ogni agricoltore in mancanza dei salici si troverebbe in difficoltà nell’impianto del vigneto (resterebbe senza i pali tutori!). Ricordiamo per inciso che il Viminale, uno dei sette colli su cui è stata edificata la Roma antica, deve verosimilmente il nome ai salici, dato che si tramanda che una fitta selva di queste piante ne ricoprisse le pendici. Al tempo dei Comuni (sec. X e seguenti), a Perugia la corporazione dei cestai e dei panierai era tra quelle più accreditate nella società: comunque, per tutto il medioevo e fino al XVIII sec., questa attività si andò sempre più affermando, benché si dovesse utilizzare materiale raccolto dai boschi golenali: solo molto tempo dopo (sec. XIX) infatti fu disponibile materiale selezionato di migliore qualità prodotto dalle colture appositamente predisposte. Queste colture, iniziate in Germania intorno alla metà del XIX sec, si diffusero progressivamente in tutta l’Europa, dove ampie aree erano destinate alla coltura del salice da vimini. Così in Francia nel 1909 c’erano già più di 100.000 ha di queste colture. Poco dopo la metà del XX sec. (19501960), i combustibili liquidi e la plastica soppiantarono il salice e solo alcuni paesi dell’Est europeo (Russia, Polonia, Ungheria, ecc.) mantennero questo mercato (ABALOS,1998). Già ben oltre un secolo fà NICCOLI (1885) ricordava che gli agricoltori hanno sempre ampiamente utilizzato il salice quale materiale per gli impieghi più diversi: si sceglievano nel bosco gli esemplari giovani con una conformazione adeguata agli usi prescelti. Le varie parti dell’albero avevano così varie destinazioni: il legno più vicino alle radici, particolarmente duro e nodoso, serviva per le mazze; dal tronco degli esemplari arborei si ricavavano tavole e con la corteccia si intrecciavano i cesti e gli involucri per le damigiane; i rametti più sottili servivano per avviare la fiamma nei forni, mentre le foglie, raccolte 83 in autunno, fornivano abbondante lettiera per le stalle. Nei paesi dell’Asia Centrale i rami dei salici sono poi da sempre preferiti per lo scheletro della yurta, la caratteristica dimora smontabile dei pastori nomadi (THUBRON, 2006). Nelle isole britanniche il salice, coltivato ed utilizzato fin dall’antichità, è ancora oggi comunemente diffuso nelle aree rurali. Numerosi documenti provano l’impiego antichissimo dei salici per la fabbricazione di graticciate e cesti. Residui della lavorazione dei vimini risalenti al 100 a.C. furono trovati nel villaggio di Mear Lake presso Glastonbury (Somersetshire). In Inghilterra il primo documento certo nel merito risale al 1381 e riguarda un fabbricante di ceste del Suffolk assoggettato al pagamento della poll tax (l’imposta sulle persone fisiche dell’epoca). Per diverso tempo e fino alla fine del XIX sec. vi era sempre un fabbricante di ceste in ogni villaggio, attività così importante da giustificare l’esistenza di una corporazione (dal 1570) e la concessione (fino al 1937) di uno specifico permesso reale (STOTT,1956). Un singolare uso del salice in questo paese è quello per la fabbricazione dei coracles (dal latino corium, cuoio: il materiale usato per rivestire questi manufatti), delle piccole imbarcazioni facilmente trasportabili, costruite ricoprendo uno scheletro di vimini con pelli o altro materiale impermeabile, che venivano utilizzate dagli antichi Britanni per attraversare paludi o brevi tratti di mare tra le isole. A questo uso va ricondotta la leggenda che le streghe dell’isola di Sein (Bretagna) costruivano delle ceste (verosimilmente dei coracles) con le quali potevano attraversare l’oceano per praticare i loro sortilegi. In realtà la prima notizia di queste primitive imbarcazioni risale a Giulio Cesare che, mentre combatteva oltralpe intorno al 50 a.C., ordinò ai suoi soldati di costruire dei piccoli natanti di vimini e pelli simili a quelli che aveva visto in Britannia qualche anno prima (NEWSHOLME, 2002). Attualmente queste imbarcazioni vengono ancora utilizzate nei paesi anglosassoni da pescatori e sportivi2. Una particolare destinazione del legno di una varietà del salice bianco (Salix alba L. subsp. coerulea (Sm.) Rech. fil.) è quella per la fabbricazione di mazze da cricket, la cui struttura deve avere un’opportu- 2 Alcuni marinai gallesi utilizzarono proprio un coracle – allestito sul posto con materiali di fortuna – per sfuggire agli indigeni della Terra del Fuoco e poter così rientrare a bordo del Beagle, il leggendario brigantino della Marina Britannica comandato dal capitano FitzRoy, che nel 1829 compì il suo primo viaggio nell’Atlantico meridionale. 84 Figura 1 – Uso tipico dei coracles nel Galles (Regno Unito). na resistenza ed elasticità. Questo attrezzo, della lunghezza di circa 90 cm e largo circa 10, ha la parte piatta, quella che colpisce la palla, costituita da una tavoletta di legno di salice che ne garantisce la necessaria elasticità. Flora Europaea (RECHINGER, 1964 e 1993) elenca quattro sottospecie del salice bianco tra le quali vi è anche Salix alba L. subsp. coerulea (Sm.) Rech.fil. (= S. coerulea Sm.). Tuttavia più di un Autore anglosassone considera la possibilità che il Cricket-bat willow – così viene chiamato nelle isole britanniche questo salice il cui legno è destinato alla fabbricazione delle mazze da cricket – possa essere in realtà una delle tante cultivar derivate dall’incrocio tra S. alba e S. fragilis. A sostegno di questa ipotesi MEIKLE (1984) ricorda che sotto il nome di S. x rubens (l’ibrido fissato tra S. alba e S. fragilis) sono raggruppate diverse entità con caratteristiche molto simili a quelle di S.alba var.(=subsp.) coerulea. In questa posizione sono anche JOHNSON (1973) e NEWSHOLME (2002), che la sostengono soprattutto in considerazione del vigore e della rapidità della crescita che mostrano i soggetti coltivati di S. coerulea, caratteristiche che sono tipiche degli ibridi rispetto alle specie parentali: è normale che in soggetti coltivati di Cricketbat willow, se messi a dimora in terreni adatti, si raggiungano in 15 anni l’altezza di oltre 20 m ed una circonferenza di 150 cm (equivalenti a circa 48 cm di diametro). Molti di questi cloni sono poi interessanti per il portamento regolare ed il colore dei rami. Le osservazioni di questi Autori coincidono peraltro con il quadro distributivo di S. fragilis, e relativi ibridi con S. alba che dava per l’Europa SKVORTSOV (1973), secondo il quale la gran 85 parte delle segnalazioni di S. fragilis provenienti dal territorio dell’Europa centro-orientale – grossomodo all’esterno dell’area compresa tra il Reno ed il Don e tra il Baltico e il Mar Nero – devono essere riferite a ibridi tra le due specie. Di recente il problema della differenziazione tra S. alba e S. fragilis in Italia è stato affrontato su base genetica tramite l’impiego di marcatori molecolari (BARCACCIA et al., 2000; MENEGHETTI et al., 2007): queste ricerche preliminari confermerebbero l’ampia ibridazione tra le due specie. Ancora nel Regno Unito, la coltivazione del salice per la produzione dei vimini è sempre stata molto diffusa, tanto che tra le due guerre superava i 2.000 ettari di colture, delle quali il 50% si concentrava nelle contee meridionali del Somerset, Berkshire e Suffolk. Anche se queste colture si sono andate progressivamente riducendo dopo la seconda guerra mondiale, oggi se ne registra un certo recupero. Secondo la letteratura specializzata, per essere economicamente redditizia, la coltivazione del salice da vimini doveva avvenire in appositi appezzamenti campestri, così da poterli utilizzare per periodi variabili dai 20 ai 50 anni. Le superfici, preventivamente dissodate, diventano produttive al terzo anno dall’inizio della piantagione, raggiungendo la massima produzione solo dopo sette anni dall’impianto. Ogni anno, durante l’inverno o all’inizio della primavera, prima che i getti prodotti dalle talee emettano foglie, i vimini vengono tagliati (ceduati) al livello del suolo e lavorati per ottenere vari assortimenti. Figura 2 – Componenti della mazza da cricket. 86 Tornando nel «continente», cesti di varia forma e dimensione vengono ancora oggi fabbricati un po’ in ogni paese Europeo, utilizzando varie specie di salice e in particolare il salice da pertiche (Salix triandra), il salice da vimini (S. viminalis) e il salice porporino (S. purpurea), ma molte altre specie sono suscettibili di impiego nel continente (S. alba, S. daphnoides, S. caprea, S. elaeagnos, ecc.). Fin dall’800 si utilizzava il vimine (S. viminalis) per i cerchi da botte, che si ottenevano dividendo i polloni longitudinalmente e riducendoli in nastri sottili. I vimini «sbucciati» (decorticati) – materiale che poteva essere «battuto» per renderlo più pieghevole o «bollito» per scurirne la fibra – servivano per fabbricare cesti e panieri (S. purpurea, S. triandra). Il salice da pertiche (S. triandra) come quello da vimini (S. viminalis) viene ancora oggi utilizzato con la corteccia per lo scheletro di sedie, poltrone, sgabelli e simili. Figura 3 – Capitozze di Salix alba superstiti lungo i fossi della campagna veneta, già destinate a produrre vimini. In Italia i vimini si ottenevano soprattutto da piante spontanee nelle aree golenali (S. purpurea e S. elaeagnos) e/o da filari di capitozze coltivate ai bordi dei campi (S. alba subsp. vitellina), dalle quali venivano recisi i rametti di 1-2 anni per i vari usi. La coltura del salice da vimini – oggi praticamente scomparsa da tutta la penisola – seguiva regole che si possono rintracciare in vari autori della fine dell’800 o dei primi decenni del ’900 (ad es. PERONA,1883; NICCOLI, 1885; PICCIOLI, 1896; 87 MARENGHI, 1905), mentre altri riportano casi di colture superstiti in alcune regioni dell’Italia fino agli anni ’60 (MERENDI,1961; BELLUCCI, 1961 e MAGINI, 1956). Ovviamente la produzione dei vimini è prerogativa dei salici arbustivi con forti ricacci dal colletto come il salice da ceste (S. triandra), la già ricordata varietà di salice bianco con i rametti gialli (S. alba subsp. vitellina), il salice rosso (S. purpurea) e l’introdotto vinco (S. viminalis), mentre non venivano escluse da questa destinazione neppure alcune specie spontanee sia di pianura che di collina, come il salice cenerino (S. cinerea), il salice ripaiolo (S. elaeagnos) ed il salicone (S. caprea), utilizzati per lo più per i manufatti più rustici. I vincheti erano diffusi soprattutto nelle aree dove, per l’eccesso di umidità, non era possibile effettuare altre colture. I terreni migliori per questo scopo erano quelli sabbioso-argillosi o argilloso-sabbiosi lungo i fiumi delle pianure alluvionali, dove si poteva regimare le acque a seconda delle necessità. Queste colture a ciclo brevissimo, che sfruttano molto la fertilità del terreno, richiedono una regolare concimazione per reintegrare le sostanze minerali assorbite, badando che l’azoto – pur utile per il rendimento del vincheto – se somministrato in eccesso riduce la resistenza dei vimini, mentre fosforo e potassio migliorano sia la qualità che la quantità del prodotto. Il vincheto veniva piantato in primavera o in autunno, utilizzando talee di 1-2 anni ricavate da piante mature e sane dopo la caduta delle foglie. Se la piantagione era edificata in primavera le talee si potevano conservare durante l’inverno in sabbia. Le talee, lunghe da 20-25 cm (terreni asciutti) a 40-50 cm (terreni soggetti ad inondazioni), venivano poste in file distanti 1-2 m ogni 3050 cm. Oltre alle concimazioni (del tipo 6:8:10 a basso titolo di azoto) erano necessarie ripuliture delle infestanti e sarchiature, nonché eventuali risarcimenti. La prima ceduazione era fatta ad un anno dall’impianto, mentre i turni successivi potevano essere dilazionati fino a 3-5 anni a seconda della di mensione dei vimini richiesti (MAGINI, 1956; BELLUCCI, 1961). Nella montagna carnica (Alpi Orientali) fin verso la metà del secolo scorso si utilizzavano ancora slitte e gerle di vimini di varia grandezza per il trasporto del fieno (cos e cos da Figura 4 – Zoccoli di legno di salice ancora oggi in fùà), mentre in diversi paesi uso in Olanda. 88 dell’Europa le viti vengono ancora legate ai tutori tramite vimini ricavate da capitozze di salice bianco della varietà caratterizzata dai rametti giallo-dorati (S. alba subsp. vitellina), appositamente coltivata in caratteristici filari lungo i fossi e ai bordi dei campi. Non va dimenticato l’ampio uso del vimine per la costruzione delle nasse da pesca in vari paesi del nostro Mediterraneo e di altri analoghi contenitori per la raccolta del pesce nei paesi del lontano oriente. Molteplici usi si possono aggiungere a quelli citati come quello della fabbricazione degli zoccoli, che sfruttano leggerezza e resistenza del legno di salice così da tenere asciutte e calde le estremità. In diversi paesi europei esistono normalmente in commercio vari modelli di calzature fabbricate utilizzando per la suola il legno di salice. Oltre a questi, ci risulta che si trovano tuttora in commercio vari manufatti quali arredamenti, suppellettili e oggetti ornamentali (sedie, tavolini, ceste, giocattoli, ecc.) sia per gli interni che per il giardino. Il salice è anche abbondantemente presente nei vivai, quale componente ornamentale per parchi e giardini, dove si utilizza l’ampia gamma di specie sia per il gradevole e pittoresco aspetto estetico di rami, foglie e fioritura (S. purpurea, S. amplexicaulis, S. daphnoides, S. caprea, S. atrocinerea, S. apennina, S. rosmarinifolia, ecc.) sia per il portamento dell’albero (S. babylonica, S. matsudana), ma quasi tutte Figura 5 – Alcuni esempi di manufatti di vimini. 89 sono suscettibili di essere utilizzate per questo scopo. Con i salici si possono edificare anche barriere sia vive che morte intrecciando i rami di varie specie, così come era diffuso l’uso del salice quale tutore della vite (PICCIOLI, 1885 e BELLUCCI, 1961). Figura 6 – Manufatti di vimini in un negozio di casalinghi di Buenos Aires. Figura 7 – Piante intrecciate di salice quale abbellimento di un giardino. L’impiego per la costituzione di barriere frangivento si adatta particolarmente al salice per la sua rapida crescita e la folta chioma, così che combinando diverse specie arbustive ed arboree si possono ottenere efficienti barriere per proteggere le retrostanti colture. A tal fine si utilizzano varie specie sia a portamento arboreo (S. alba, S. fragilis, S. pentandra, S. babylonica) che arbustivo (S. triandra, S. elaeagnos, S. purpurea, S. myrsinifolia, S. amplexicaulis, S. cinerea ecc.), ma anche ibridi per usi multipli (S. x rubens, S. x ehrhartiana, S. x chrysocoma, ecc.) (MARTINI e PAIERO, 1988). Il salice è sempre stato tenuto in grande considerazione dai medici fin dall’antichità. A partire dal primo secolo d.C. il grande naturalista latino Plinio il Vecchio (op. cit.) attribuiva alle sue foglie la capacità di 90 Figura 8 – Recinzioni di vimini e particolare dell’intreccio. contenere lo stimolo sessuale, mentre nel XII secolo la mistica benedettina Ildegarda di Bingen ne utilizzava fiori e foglie per combattere l’insonnia. In epoca rinascimentale il senese Pier Andrea Mattioli ne segnalò l’efficacia come antidolorifico e cicatrizzante, un uso ben noto anche oggi. L’impiego nell’industria chimica e farmaceutica è stata per lungo tempo una importante utilizzazione della corteccia del salice fintanto che i relativi prodotti (quali tannino per la concia delle pelli, salicina in farmacopea e polvere di carbone per la preparazione della polvere pirica) non sono stati sostituiti da prodotti di sintesi. Fu un religioso inglese a scoprire nel 1763 che gli estratti della corteccia di salice servivano ad abbassare la temperatura corporea. Alcuni anni dopo ricercatori tedeschi hanno proposto l’impiego della corteccia di salice come succedaneo del chinino visto che la Rubiacea Cinchona succirubra (dalla cui corteccia si estraeva il solfato di chinina usato fino allora come febbrifugo), essendo originaria del Sud America e non facendo quindi parte della flora europea, era di difficile acquisizione. Oggi un estratto di salice viene incluso anche nei «gel» detergenti utilizzati per ottenere una pelle liscia e perfettamente pulita, dato che la presenza dell’estratto di salice risulta un efficace batteriostatico che favorisce la dilatazione dei pori. Per la cura di traumi e contusioni esiste ancora in commercio una crema che, insieme ad estratti di altre piante, comprende anche quella ottenuta dalla corteccia di salice. Una utilizzazione oggi in forte sviluppo è l’impiego del salice come specie tartufigena per la coltivazione del pregiato tartufo bianco (S. alba, S. caprea, ecc.). 91 BIBLIOGRAFIA AA.VV., 1984 – Dizionario Biografico degli Italiani. Roma. ABALOS ROMERO M., 1998 – Wicker - Mimbre, Chile. de la produccion al consumo. Santiago, INFOR, Chile. BARCACCIA G., PAIERO P., LUCCHIN M., 2000 – Studio delle relazioni geneticomolecolari esistenti tra specie del gen. Salix L. della sez. Fragiles Fr. Monti e Boschi, Ed agricole, 51 (1). BELLUCCI V., 1961 – I boschi di salice della pianura padana. Osservatorio Naz. Econ. Mont. e For., Firenze. JOHNSON H., 1973 – The international book of Trees. A guide and tribute to the trees of our forest and gardens. Ed. M. Beazley. Pubbl. Lim., London. MAGINI E., 1956 – I Salici. Monti e Boschi, Milano, n. 11-12. MARENGHI E., 1905 – La coltivazione dei boschi lungo il Po, con particolare riguardo alla provincia di Piacenza. Piacenza. MARTINI F., PAIERO P., 1988 – I Salici d’Italia. Guida al riconoscimento e all’utilizzazione pratica. Casa Editrice LINT, Trieste. MEIKLE R.D., 1984 – Wllows and poplars of Great Britain and Ireland. BSDI Handbook, 4, Botanical Society of the British Isles, London. MENEGHETTI S., BARCACCIA G., PAIERO P., LUCCHIN M., 2007 – Genetic characterization of Salix alba L. and Salix fragilis L. by means of different PCR-derived marker systems. Plant Biosystems, 141 (3). M ERENDI A., 1961 – Il salice bianco concorrente del pioppo? Giorn. di Agricoltura, n. 35-36. NEWSHOLME C., 2002 – Willows. The genus Salix. Timber Press. Portland, Oregon. NICCOLI V., 1885 – Dei salici. Libreria all’Università, Padova. PAIERO P., MARIANI COLOMBO P., 1988 – Alcune considerazioni sull’autoecologia del genere Salix L. Scritti di selvicoltura in onore di A. de Philippis. Firenze. RECHINGER K.H., 1964 – Salix L. In Tutin T.G. et al., Flora Europaea, 1, Cambridge Univ. Press. RECHINGER K.H., 1993, rev. J.R. AKEROYD – In: Tutin T.G. et al., Flora Europaea, 1, 2nd Ed. Cambridge Univ. Press. SKVORTSOV A.K., 1973 – Present distribution and probabile primary area of Salix fragilis. Problems of Biogeocoenology, Geobotany and plant geography. Russian Academy of Science, Nauka Pubbl., Leningrad. STOTT K. G., 1956 – Cultivation and use of basket willows. Quaterly J. of Forestry. THOMSON H., 2005 – This thing of darkness. Headline Book Pubblishing, London. THUBRON C., 2006 – Ombre sulla via della seta. Ponte alle Grazie, Milano.