Giorno della memoria-Nedo Fiano 2011

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Giorno della memoria-Nedo Fiano 2011
ISTITUTO COMPRENSIVO “B. Barbarani”
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Lunedì 24 gennaio 2011
ore 20,30
Teatro Parrocchiale San Lorenzo di
Minerbe
in ricordo della Shoah
“Mai più…”
Celebrazione della “Giornata della Memoria”
con l’intervento di Nedo Fiano, testimone diretto
dell’esperienza dell’Olocausto nazista, sopravvissuto al
campo di sterminio di Auschwitz
INTRODUZIONE
Nedo Fiano nasce a Firenze nel 1925 e nel novembre del 1943 comincia il viaggio nell‟orrore della
Shoah. Detenuto ad Auschwitz è liberato alle 15,15 dell‟11 aprile 1945 dalle truppe americane nel
campo di Buchenwal dove era stato trasferito dai nazisti in fuga.
Per Fiano e per molti altri ex-prigionieri comincia, inizia il faticoso viaggio di ritorno verso la
libertà e la vita, viaggio per tanti versi non ancora concluso.
Dopo anni di trasmissione orale della Shoah, ha scelto di raccontare in un suo libro la sua
esperienza che lo ha fatto giungere fino alla soglia dell‟inferno.
Nedo Fiano dapprima torna nella Firenze in cui è nato, in seguito si stabilisce a Milano dove
tuttora risiede. Nel 1949 il matrimonio con Rirì e la nascita di una grande famiglia che oggi conta
tre figli e sei nipoti.
Nel 1968 si è laureato alla facoltà di Lingue e Letterature Moderne dell‟Università Bocconi di
Milano con una tesi sulla Letteratura della deportazione degli ebrei dalla Francia.
Nel 1985 ha fondato a Milano uno studio per la consulenza aziendale. Nella sua attività
professionale di manager ha ricoperto incarichi di Direttore Generale e Amministratore Delegato
di importanti aziende.
Ha affiancato al suo lavoro un‟intensa attività di conferenze e testimonianze sull‟Olocausto, in
particolare presso scuole italiane e svizzere. È intervenuto a: “Il fatto” di Enzo Biagi, a “Mixer” di
Gianni Minoli, al “Maurizio Costanzo Show”, a “Matrix” di Mentana, a “Domenica in…”
È un personaggio di spicco della comunità ebraica milanese ed italiana e ha contribuito come
testimone alla realizzazione di numerose pubblicazioni sull‟olocausto tra le quali “Destinazione
Auschwitz”, Proedi Editore e “Voci dalla Shoah”, La Nuova Italia.
Consulente storico di Roberto Benigni nel film “La vita è bella”, Nedo Fiano ha raccolto la sua vita
nelle pagine del libro “A5405, il coraggio di vivere”.
A5405 è il numero tatuato, per sempre, nel lager sul suo braccio sinistro ed è anche il titolo della
sua biografia attraverso un difficile viaggio nella memoria di quei giorni.
In questo libro Nedo Fiano racconta la sua esperienza che non è solo l‟essere giunto sulla soglia
dell‟inferno, ma anche trovare il coraggio di vivere ogni giorno con il peso del ricordo, “di parlare
di sé nonostante la terribile difficoltà che questo comporta: ed è un dono e un gesto di fiducia verso
la capacità delle persone di saper ascoltare e di imparare dagli errori”.
Dice di lui Fiamma Nirenstein:
“Il racconto dell‟immane e, ancor oggi, incomprensibile marea di crudeltà abbattutasi sulla vita di
quel giovane, amato dalla sua mamma, rende così grande l‟eroismo di chi sopravvisse e seguitò a
vivere dopo i Campi da far trasecolare. Noi che camminiamo vicino a lui, o vicino ad un altro che
sopravvisse ai campi di sterminio, non lo conosceremo mai veramente, non potremo mai davvero
partecipare della sua vita e anche consolarlo fino in fondo: alla fine egli rimane solo, solo lui sa
cosa incontra, solo lui sa chi sia davvero, rispetto alle sue in condivisibili esperienze, la persona
appena salutata per strada, l‟oggetto quotidiano che usa, il suono di una parola o di un motivo
musicale.
Nedo con le sue memorie cerca ancora e ancora, dopo anni di trasmissione orale, di parlare di sé
nonostante la terribile difficoltà che questo comporta: ed è un dono, e un gesto di fiducia verso la
capacità delle persone di ascoltare, di imparare.
Nedo ha sempre trovato l‟eroica determinazione di non deprimersi, di raccontare senza mai
smettere ai suoi cari, nelle scuole, nei dibattiti pubblici. E tutte le volte che l‟ho sentito parlare mi
ha investito la freschezza del suo dolore, il suo sguardo ancora di ragazzo sui ricordi, la sua
purezza, le lacrime sgorgate come per una ferita appena inferta; la irrecuperabilità del senso del
lutto, eppure la decisa volontà di farne qualcosa, di comunicarne l‟esperienza, di vivere e di
guardare avanti, tutti sentimenti che ne fanno un testimone prezioso del nostro passato da
conoscere ed ascoltare”.
CELEBRAZIONE DEL “GIORNO DELLA MEMORIA”
Il Parlamento italiano, aderendo alla proposta internazionale, ha istituito nel 2000 la “Giornata
della Memoria” la cui legge dice: “La Repubblica italiana riconosce il giorno 27 gennaio, data
dell'abbattimento dei cancelli di Auschwitz, Giorno della Memoria, al fine di ricordare la Shoah
cioè lo sterminio del popolo ebraico, le leggi razziali, la persecuzione italiana dei cittadini ebrei, gli
italiani che hanno subìto la deportazione, la prigionia, la morte, nonché coloro che, anche in campi
e schieramenti diversi, si sono opposti al progetto di sterminio, ed a rischio della propria vita
hanno salvato altre vite e protetto i perseguitati”.
Quest‟anno la scuola, aderendo al dettato legislativo di riflettere sul tema, ha posto l‟attenzione
sulla figura e l‟opera di Nedo Fiano.
“A 5405 IL CORAGGIO DI VIVERE”
I ragazzi leggono Nedo Fiano
Pietro
A 5405: una lettera e un numero per identificare un uomo. Quando il giovanissimo Nedo se lo è
visto tatuare nell‟avambraccio non era tanto l‟inchiostro che andava sotto pelle a fargli male
quanto la sensazione amara di essere considerato una cosa da inventariare, non più un uomo
prezioso nella sua unicità. Ancor oggi quel numero è leggibile nella pelle dell‟uomo che testimonia
da una vita quello che gli è successo prima e durante la seconda guerra mondiale.
Primo Levi, sopravvissuto ai Campi di concentramento dice: “È avvenuto, quindi può accadere di
nuovo. Può accadere e dappertutto.”
“A 5405 Il coraggio di vivere” è anche il titolo del libro che il signor Nedo Fiano ha scritto nel 2003.
A distanza di sessant‟anni i fatti si potevano giudicare con obiettività e i ricordi erano ormai
sedimentati, ma non per questo meno vivi e dolorosi. Infatti il bel libro è un continuo rimando
dagli spunti del presente ad ampi e nitidi ricordi del passato negli anni ‟38 -„45.
Nedo Fiano ha dedicato l‟opera ai suoi cari che non sono più tornati: infatti lungo il filo del tempo
di quei mesi ad uno ad uno vediamo nominati per tragici eventi tutti i componenti della sua
famiglia fiorentina. Solo lui è tornato nella sua casa vuota.
Ha dedicato il suo lavoro letterario alle generazioni future e a queste dedica tuttora la sua
instancabile opera di testimonianza dall‟alto valore sociale perché crede fermamente nel dovere
del ricordo. Egli ha sperimentato e raccontato i Campi di concentramento e di sterminio dove
milioni di persone, negli anni della seconda guerra mondiale dal ‟43 al ‟45, erano stipate ed
eliminate semplicemente perché considerate per vari motivi diverse. Nel suo caso il motivo era
l‟essere ebreo.
Ripercorriamo le sue vicende di quegli anni raccontate nel libro diviso a capitoli come segue, ma
invitiamo a leggerlo integralmente perché è una testimonianza unica e perchè qualsiasi riduzione,
per quanto buona nelle intenzioni, risulta inadeguata rispetto all‟emozione che suscita l‟originale.
1938 – 1944
“Mamma, mamma arriva papà!” Nedo era sempre il primo a sentire il suo fischio dalla strada, al
suo rientro serale. “Evviva, evviva, papà!” Con la gioia della sua infanzia, correva da una stanza
all‟altra , poi con mamma andava ad aprirgli la porta. Quando papà compariva finalmente sulla
soglia di casa, gli saltava addosso, lo abbracciava forte forte e lui gli rispondeva con baci e carezze.
Questo è l‟inizio del racconto da cui si intuisce che molto affetto circolava nella famiglia di Nedo
nella quale egli si sentiva amato e protetto.
Egli ricorda il bel sorriso della mamma che gestiva una piccola pensione ereditata dalla sua
famiglia. Il figlio ne era divertito, aveva l‟occasione di conoscere molte persone e anche di mettere
in luce i suoi talenti, come quello musicale, cantando per gli ospiti; la stessa dote gli sarà molto
utile durante la prigionia. La mamma era una persona allegra e operosa che sapeva gestire la sua
attività con grinta riuscendo ad ottenere piccoli successi economici che intendeva investire per
indirizzare con orgoglio il figlio agli studi e alla laurea.
Il papà lavorava alle Poste: bello, alto e sempre elegante gli dava protezione e sicurezza, lo rendeva
orgoglioso perché era rispettato da tutti.
Un‟ombra creava qualche discussione in famiglia: il fascismo, il cui regime compiva quasi il
ventennio. La mamma Nella era antifascista, il papà invece ammirava Mussolini e aveva aderito al
fascismo con convinzione.
Nedo aveva un fratello più grande: mite, affettuoso, lavoratore infaticabile, protettivo nei confronti
del fratellino dato che aveva dieci anni di più. La famiglia si allargò con il tempo ai nonni che
condivideranno le tristi sorti della famiglia che era di religione ebrea, ma piuttosto laica.
La libertà religiosa, in quegli anni, non era considerata un diritto fondamentale dell‟uomo, tanto
che nel settembre del „38 iniziò la persecuzione antiebraica che segnò profondamente la
generazione di Nedo e sconvolse la serenità della sua famiglia. Fu escluso dalla scuola maestosa e
ricca di storia che frequentava con orgoglio. Aveva tredici anni e, come si può immaginare, provò
angoscia e capì il reale significato della parola libertà proprio quando l‟aveva perduta. Lui dovette
cambiare scuola e il papà il lavoro; seguirono mille restrizioni che ridussero notevolmente la
libertà, anche la mamma restò senza la licenza per la pensione. Frequentò per quattro anni la
scuola ebraica che lo vide impegnato e studioso.
All‟alba dello scoppio della seconda guerra mondiale, quando il mondo esplodeva e si sgretolava
annullando la speranza di un avvenire migliore, i banchi e i libri gli parvero una trincea di difesa.
Ma dopo l‟armistizio i tedeschi, con la collaborazione fascista, procedettero alla deportazione degli
ebrei italiani privati della loro cittadinanza e considerati cittadini di una potenza nemica.
I Fiano, impauriti, tentarono di rifugiarsi presso una famiglia che si era dimostrata disponibile,
nell‟eclissarsi di molti amici. Fu una lacerazione abbandonare la loro casa nottetempo, ma
goderono di un‟ ospitalità fraterna. Il tentativo non realizzò la salvezza: in tempi e luoghi diversi
Nedo e tutti i suoi famigliari vennero arrestati.
Alle Murate di Firenze Il giovane Nedo incontra la volgarità e la rudezza del carcere, ma le sue
esibizioni canore riescono a rallegrare il clima e nonostante tutto a tener vivo l‟ottimismo.
Dopo due mesi, trattato al pari degli altri come un delinquente, venne trasferito al Campo di
transito di Fossoli, in provincia di Modena, sotto il controllo degli SS. In quelle condizioni di vita
ancora tollerabili rivide per l‟ultima volta il fratello e la sua piccola famiglia.
Nonostante il comprensibile nervosismo per l‟imminente partenza per la Germania, nel Campo di
Fossoli la gioventù emerge e Nedo ricorda le amicizie strette in quel periodo. Ricorda anche
l‟arrivo miracoloso, nello stesso Campo, dei suoi genitori, provati ma ancora in salute. L‟abbraccio
fortissimo gli sembrò quasi irreale. E quando si raggiunse un buon numero di prigionieri fu
organizzato il trasporto per ignota destinazione.
PRIMAVERA 1944
Nedo Fiano ricorda che i giovani come lui erano perfino allegri alla partenza, ma il convoglio di
vagoni bestiame che li aspettava non lasciava ben sperare. Il destino era ignoto ed era motivo di
scontro tra pessimisti e ottimisti. Tanti erano i diritti umani primari lesi in quell‟angusto spazio che
si allontanava dall‟Italia e toccava via via città tedesche, cecoslovacche, polacche. Il viaggio durò
cinque giorni ma sembrava senza fine. C‟era chi pregava, chi piangeva, chi guardava nel vuoto, chi
pensava. Punto di arrivo il Lager di Birkenau: la ciminiera in funzione faceva pensare a uno
stabilimento industriale.
Il buio della notte accolse i deportati posseduti da una gran paura, ignari di quello che ne sarebbe
stato di loro. La maggior parte era convinta di dover lavorare duro, ma non di rischiare la
sopravvivenza. All‟arrivo i vagoni vomitavano persone di ogni età e condizione sociale che
gridavano e cercavano i congiunti. Nedo non ha più dimenticato la mamma che in quel momento,
intuendo la propria fine, reclamò un forte abbraccio. Infatti solo chi appariva più forte superava la
selezione degli SS.
I ricordi di quei mesi sono duri: i suoi bei capelli sul pavimento, la verità su quei forni sempre in
funzione, i loro corpi che dovevano far fronte a una vita psichica e fisica devastante, esposti inermi
al freddo, alla fame, alla violenza.
In questa tragica situazione un‟opportunità insperata gli si prospetta: si propone come interprete
bilingue dato che il nonno gli aveva insegnato il tedesco. Insieme ad altri duecento compagni
accoglieva all‟arrivo i nuovi prigionieri tranquillizzandoli con pietose menzogne, rivivendo nel
ricordo la medesima esperienza. Questo lavoro privilegiato, che gli procurava non pochi dubbi
interiori, gli concesse condizioni di vita leggermente migliori, ma la vita ad Auschwitz era
comunque un inferno senza tregua, una lotta costante per sopravvivere tra la brutalità e il terrore.
La verità più tragica era rappresentata da quattro forni crematori attivi giorno e notte ad
Auschwitz - Birkenau, destinati alla distruzione senza sosta degli ebrei europei.
In quei mesi primaverili Nedo rimane il solo sopravvissuto della sua famiglia. Non rivedrà più la
nonna che vede arrivare un giorno tra i prigionieri italiani; anche il papà, provato nel fisico e nella
psiche, si ammala e condivide la fine letale dei prigionieri non più in grado di lavorare.
Francesca
ESTATE 1944
Il Lager era anche luogo di ruberie e corruzione generale. I prigionieri provenienti da varie parti
d‟Europa portavano con sé valigie, sacchi pieni di ogni genere di beni che, estorti alle vittime
all‟arrivo, si accumulavano nel campo per venire poi meticolosamente selezionati e riutilizzati. Si
può ben immaginare come ci fossero grossi traffici per appropriarsi di tali beni. È una realtà che
Nedo ha conosciuto dato che, quando non arrivavano convogli di prigionieri, veniva assegnato a
questo reparto del Campo. Del resto gli SS erano individui insensibili e corrotti, con gli istinti
morali assopiti dal regime. Violenti e collerici erano anche i prigionieri elevati al rango di capi
qualora fossero disposti a collaborare con i nazisti.
Nedo racconta che era importante, anzi vitale, avere un‟occasione che li allontanasse in qualche
maniera dalla loro pene, perché non bisognava pensare per non rattristarsi. Perciò i tipi buffi erano
come una scialuppa di salvataggio. Anche lui in prima persona giovò a questo scopo, infatti la
musica e il canto riuscivano a portare lui e i compagni con la mente fuori da quell‟orrore.
Nedo riconosce che per sopravvivere occorreva una capacità reattiva sulla base di risorse interiori
quali la fede religiosa o quella politica, ma anche gli amici, con i quali condividere umanamente la
tragedia, erano un‟ancora di salvezza. E per Nedo c‟è Giulio Levi, di qualche anno maggiore, che
rivela una straordinaria personalità. L‟amicizia, dice Nedo, fu fulminea sulla base di affinità di
vario genere. Ancor oggi Giulio è parte di lui, dei suoi ricordi.
Anche altri gli furono amici e insieme erano più forti: nei loro discorsi ottimismo e pessimismo si
alternavano come le onde del mare che, infrangendosi sulla spiaggia, arretrano e poi ritornano.
Rispetto a Giulio la fortuna di Nedo fu il saper cantare: esibendosi per i tedeschi riceveva in
cambio il privilegio di un po‟ di cibo, insperato in quel campo di affamati, che lo sottrasse dal
rischio di morte per fame. Il protagonista racconta quasi incredulo che il pericolo gli dettò
un‟azione rapida ma pericolosissima: ingoiò la carta dove c‟era il suo nome nell‟elenco dei
prigionieri destinati a un nuovo Campo dalle condizioni di lavoro ben più pesanti. Per fortuna
l‟operazione disperata riuscì.
Insomma la vita di lui come degli altri era sempre in pericolo per i motivi più disparati, non da
ultimo la malattia. Un prigioniero malato era condannato alla camera a gas anche perché il luogo
chiamato ospedale versava in condizioni orribili, era già area di morte.
Carlo
Dilpreet
AUTUNNO - INVERNO „44
Ormai la guerra volgeva al peggio per i Nazisti, il cambiamento era ormai tangibile. All‟arrivo dei
sovietici i Campi vennero evacuati. Nedo venne trasferito in un altro Campo vicino a Danzica
presso il mar Baltico. Il lungo viaggio avvenne in mezzo a un paesaggio totalmente innevato. In un
clima siberiano i loro vestiti erano ancora le casacche di cotone estive.
Per un mese sperimentò un campo pessimo: affamati, bastonati senza motivo, per di più esposti al
clima glaciale che gli portò via l‟amico Giulio. Pianse per la sua scomparsa mentre fuori ululava un
vento furioso. In quei giorni Nedo per la prima volta ha temuto di non farcela più, le condizioni
alimentari erano disperate e provocavano ogni giorno, insieme al freddo, tantissimi morti.
Ma un nuovo trasferimento si prospetta al nostro giovane prigioniero. Il nuovo Campo, nel sud
della Germania, era una grossa base tedesca per azioni belliche: qui per alcune settimane le
condizioni di vita sono accettabili, non ci sono gli SS con i bastoni e i cani inferociti, ma alla fine
della guerra mancano ancora quattro, cinque mesi.
PRIMAVERA „45
I due mesi seguenti rappresentarono per molti aspetti uno dei periodi peggiori vissuti dal giovane.
La sua forte fibra venne intaccata da problemi alla gambe dovuti alle condizioni di lavoro e alle
percosse subite. Oltre al dolore, si è sentito nell‟anticamera della morte in quei giorni, perché un
prigioniero malato era più degli altri destinato all‟eliminazione. Ma il ricordo dei genitori lo aiutò a
non perdere la speranza, nonostante tutto.
Fortunatamente il bisogno di cure immediate si incrociò felicemente con gli eventi della guerra che
favorivano l‟avanzata degli Americani. Dopo una settimana dal suo arrivo nel Campo di
Bukenwald visse i giorni incredibili della liberazione, ma anche il dover combattere per la
sopravvivenza con cure e fisioterapia per recuperare la funzionalità della gamba. Nedo ricorda
come l‟aiuto fraterno di amici fu determinante per farlo uscire dal tunnel.
Ma i tempi del rientro sarebbero stati lunghi se, preso il coraggio a quattro mani, non si fosse unito
a un gruppo di compagni per raggiungere l‟Italia con mezzi di fortuna. Viaggiò nei modi più
disparati e dormì dove capitava concependo a fatica di essere libero. Rivide le città tedesche
distrutte per effetto della guerra infinita e criminale.
Finalmente fu a casa, a Firenze, dovendo ricominciare da zero, senza i suoi cari. Non gli fu facile
ricostruire una nuova famiglia, avere fiducia nella vita e negli altri. Doveva tirare fuori tutto il suo
coraggio, il coraggio di vivere. Dopo lo smarrimento e la grande stanchezza fisica, dei cugini gli
aprirono il loro cuore e gli offrirono un lavoro che fu terapeutico per recuperare il rapporto con gli
altri. La vita lentamente stava riprendendo il suo corso per lui come per l‟intera società, così un
miracoloso recupero inonda ancora e dà un senso profondo alla sua esistenza.
IL RICORDO
Nel suo studio Nedo conserva un mattone sbrecciato e bruciacchiato del crematorio di Birkenau,
testimone di molte crude vicende. Costituisce per lui uno sprone a testimoniare quanto è accaduto
alla sua famiglia, lo aiuta a portare avanti la sofferenza di quel ricordo, a spiegare il perché di
quella tragedia, a battersi in difesa della libertà, della solidarietà e dell‟uguaglianza.
Riconosce gli elementi che gli hanno reso possibile venire fuori da quell‟inferno: la giovane età e il
buon stato fisico, la conoscenza del tedesco e della musica, ma soprattutto la voglia di vivere,
l‟ottimismo e anche il caso, lui dice, che lo ha privilegiato.
Così Nedo Fiano potrebbe rivolgersi oggi ai nostri alunni:
Cari ragazzi,
ero come voi, esattamente come voi, sorridevo come voi, pensavo e ridevo delle
cose più tremende, perché il sorriso è il dono della vostra età.
Avevo 18 anni quando sono stato arrestato e non avevo fatto nulla, non avevo
assolutamente nessuna colpa, credevo nella vita, credevo nella famiglia, nei genitori e nel
mio futuro.
Sono stato messo in carcere, ho vissuto in carcere senza colpa, senza sapere quando mi
avrebbero tirato fuori. Dal carcere sono stato portato al campo di concentramento, e dal
campo di concentramento sono stato deportato al campo di sterminio.
Ecco perché oggi vi racconterò l'inferno. Non vi parlerò del campo di concentramento ma
del campo di sterminio, da cui non si può uscire vivi, né morti, perché dal campo può
uscire solo l'anima, perché tu «uscirai dal camino».
Tra qualche anno non ci saranno più persone che vi daranno la propria testimonianza così
che possiate sentire qualche cosa di concreto di quel tempo lontano.
Chi ha sofferto fa sua la sofferenza degli altri, sente un'affinità con chi soffre. Chi non ha
mai sofferto non sa che cosa vuol dire soffrire.
Diceva Socrate: «Solo chi è stato schiavo può capire che cos'è la libertà».
Oggi è venuto da voi un uomo vecchio, provato per raccontarvi la sua storia.
Il racconto di questa storia è un dono che io vi ho porto perché possiate meditarla e farne
tesoro: io la metto a vostra disposizione perché è stata una grande esperienza; l'umanità ha
bisogno di amore, ma anche l'amore è difficile perché è difficile donare.
Una delle cose più grandi di cui l'uomo ha un bisogno insopprimibile è la libertà.
Voi che, negli anni prossimi, avrete in mano il mezzo per difendere questa libertà,
ricordatevelo: voi e soltanto voi avrete i mezzi per difendere la vostra libertà e la libertà
degli altri. Voi sarete responsabili di preservarla, perché voi e soltanto voi sarete i
protagonisti della vita.
Non lasciate agli altri questo privilegio e leggete la Storia, cercate di capire cosa è successo e
perché, e sappiate donare agli uomini quello che è il dono più bello: l'Amore.
Vi invito a farlo, siate bravi, siate responsabili, siate protagonisti.
Nedo Fiano può
Olga
Soumia
Le risposte dei ragazzi
Esperienze, riflessioni, disegni degli studenti
“CARO NEDO…”
Chiara
Chiara
Greta
Il CAMPO DI FOSSOLI
Da “A 5405 Il coraggio di vivere”
Nedo Fiano
“…Dopo due mesi, fummo trasferiti, ammanettati, incatenati e scortati
dai carabinieri, dal carcere di Firenze al Campo di Fossoli, in provincia
di Modena. Giungemmo a destinazione di prima mattina e notai che
all‟ingresso sventolava su un alto pennone una bandiera nera con
teschio e tibie incrociate. Un segno inequivocabile che stavamo
passando sotto il controllo degli SS.
La mia prima sensazione fu quella di entrare nella tana della belva
perché, in fondo, il carcere da cui provenivo era ancora qualcosa che,
nello stile e nell‟ubicazione, apparteneva alla mia città.
Eravamo stanchi e carichi di valigie, di sacchi, ed eravamo soprattutto
ansiosi di vedere cosa sarebbe accaduto: fu routine, cioè la consegna di
valori e documenti, la registrazione dei dati di ognuno e l‟assegnazione
della baracca dove avremmo alloggiato. Giunsero poi a confortarci le
note di una fisarmonica suonata da un prigioniero e quella musica
nostrana ci fece un gran bene.
Eravamo ancora in una dimensione umana: le condizioni di vita non
erano eccellenti, ma tollerabili.
I nuclei familiari erano mantenuti all‟interno delle baracche dove erano
state ricavate tante piccole stanze…“
Alunni classi VA e VB
Scuola Primaria di Minerbe
BAMBINO: quello con il pigiama a righe.
BAMBINA: quella con la valigia, Anna …
BAMBINA: quella che viveva nascosta ad Amsterdam, Anna Frank.
BAMBINO: quello che viveva felice a Firenze, tutto ricciolino, Nedo Fiano.
Una parola li accomuna: EBREO.
EBREO, la parola che li esclude, che li emargina, che li fa DIVERSI.
- Via da questa scuola!
- Non sei più mio amico!
- Io no ti conosco!
- Tu non hai alcun diritto!
DIVERSI però CONCENTRATI a FOSSOLI…
Fossoli, situato vicino a Carpi, in provincia di
Modena, fu costituito nel 1943 vicino alla linea
ferroviaria
che
conduce
a
Verona
ed
al
Brennero. Venne utilizzato come punto di
raccolta per inviare i deportati nei campi di
STERMINIO tedeschi ed austriaci. Di forma
rettangolare, di un chilometro per due circa,
era formato da numerose baracche, recintate
da un duplice filo spinato, fili elettrici ad alta
tensione e con torrette munite di riflettori.
Gli storici per indicare il massacro di sei milioni
di ebrei compiuta dal regime nazista hanno
adottato la parola “OLOCAUSTO”.
“Conservo nel ricordo i colori di quel Campo in piena campagna, in mezzo i contadini che
vedevamo intenti ai loro lavori e al governo delle loro bestie. I contadini passavano in
bicicletta costeggiando il nostro reticolato e occhieggiavano verso di noi con palese
solidarietà. Con mamma e papà potei passare del tempo durante la nostra permanenza al
Campo. Il campo aveva il ristoro della natura e in quella primavera, era metà aprile, era
lussureggiante, con farfalle, uccellini e profumi di ogni tipo”.
da “A 5405 Il coraggio di vivere, N. Fiano”
“Io ho voluto vedere Fossoli, camminare a Fossoli…………………
“Io ho voluto vedere Fossoli, camminare a Fossoli, respirare l’aria di Fossoli. Ci sono andata,
con i miei compagni, proprio tre giorni fa e…
Il mio corpo e la mia mente, fin dal momento in cui mi sono alzata al mattino, erano cupi,
pensierosi, mi sentivo pesante, solo al pensiero di vivere questa esperienza. Dopo aver
trascorso un lungo viaggio, proprio come i deportati, sono arrivata al campo di Fossoli, dove ho
avuto la sensazione di sentire le voci di tutte quelle persone che lì avevano sofferto, che mi
dicevano…”MAI PIU’”!!! Davanti all’entrata deserta, dove a quel tempo una fila di uomini
attendeva la morte, noi abbiamo incontrato le nostre guide, che ci hanno portato a camminare
sullo stesso terreno sul quale vagarono e morirono persone innocenti.
Le baracche unico riparo per i deportati, sono in rovina, ma l’unica integra, dove io ho
ascoltato con l’anima il passato di quel luogo, è formata da due stanze in cui dovevano vivere
ben trecento persone, accovacciate in giacigli di paglia.
In quel luogo ho sentito il freddo che saliva lungo le mie membra e ho pensato ai deportati,
coperti solo da un pigiama di cotone…ero INORRIDITA!!!
Ci siamo quindi diretti verso l’uscita: lì durante la seconda guerra mondiale, gruppi di uomini
venivano ammassati su vagoni diretti alla MORTE…
Nel museo sono conservate testimonianze e resti materiali, che attestano ciò che è accaduto
a Fossoli, ma il mio sguardo e la mia mente sono stati rapiti dalle frasi scritte sui muri; quelle
parole prendevano volto: un volto dall’espressione disperata, angosciata, rassegnata.
La mia mente non riusciva a smettere di ripetere: “E’ ORRIBILE!”
Al termine della giornata il mio volto non riusciva più a………
SORRIDERE!!!”
Camilla
Camilla
FOSSOLI:
- il primo gradino dell’orrore…
- salire, salire, ammassarsi…
- in 850 nei vagoni, anche i bambini...
Tratto da ”Se questo è un uomo”
di P. Levi
… E le madri vegliarono
a preparare con dolce cura
il cibo per il viaggio,
e lavarono i bambini,
e fecero i bagagli,
e all’alba i fili spinati erano
pieni di biancheria infantile stesa
al vento ad asciugare;
e non dimenticarono le fasce,
e i giocattoli, e i cuscini,
e le cento piccole cose che esse
ben sanno e di cui i bambini
hanno in ogni caso bisogno.
Non fareste anche voi altrettanto?
Se dovessero uccidervi domani
col vostro bambino, voi non gli
dareste oggi da mangiare?...
I vagoni arrivano ad Auschwitz
“A notte fonda il convoglio entrò dentro il lager di Birkenau. C’era un cielo stellato, di blu
intenso. Dalle piccole feritoie del vagone vedevamo la prospettiva senza fine del Campo:
centinaia, migliaia di piccole lampadine sul filo spinato. E………delle fiamme altissime che si
levavano da una ciminiera. È uno stabilimento industriale! – disse la più parte di noi – ci
porteranno a lavorare come avevano fatto a Fossoli.
Alle prime luci dell’alba avvertimmo i passi di militari che si schieravano davanti ai nostri
vagoni. Stavano aprendo:”ALLE AUSSTEIGEN! LOS!!
Sentimmo quell’urlo ripetuto. Non tutti capivano.
Eravamo giunti all’Inferno.”
Da “A 5405 Il coraggio di vivere”
Auschwitz
Son morto ch' ero bambino, son morto con altri cento,
passato per un camino e ora sono nel vento.
Ad Auschwitz c'era la neve, il fumo saliva lento
nei campi tante persone che ora sono nel vento.
Nei campi tante persone, ma un solo grande silenzio:
è strano non ho imparato a sorridere qui nel vento.
E ancora tuona il cannone, ancora non è contenta
di sangue la belva umana e ancora ci porta il vento.
F. Guccini
E allora BASTA…
- Al silenzio, all’omertà!
- Agli orrori crudeli dell’uomo!
- All’oppressione!
Anna
SÌ, invece…
-
- Al rispetto della vita!
- All’amore fraterno!
- All’accettazione delle diversità!
- All’UOMO NUOVO!
Ana
Note
L’attività è stata supportata:
- dalla visione di due films: “Il bambino col pigiama a righe” e “La vita è bella”;
- dalla visione di un documentario;
- dalla lettura di testi autobiografici: 1) “La valigia di Hana”
2) “Il diario di Anna Frank”
3) “Gioco di sabbia” di Orlev
4) “A 5405 Il coraggio di vivere” di Nedo Fiano
-
da riflessioni personali scritte e orali;
-
dalla visita guidata al campo di Fossoli;
-
dall’incontro con l’autore Nedo Fiano.
IL CAMPO DI AUSCHWITZ - BIRKENAU
Da “A 5405 Il coraggio di vivere”
Nedo Fiano
“…Era piena di stelle la notte del nostro arrivo nel mare oscuro di
Birkenau.
Stavamo entrando in un luogo non ben definibile per il buio intenso
della notte, ma percepivamo una nuova dimensione.
Nei vagoni bestiame, dove eravamo stati rinchiusi per sette giorni e
sette notti, eravamo posseduti da una gran paura.
Malgrado il fetore prodotto dai rifiuti e dal cadavere che giaceva
accanto a noi da cinque giorni, sporchi perché non ci eravamo mai
lavati per tutto il viaggio, percepimmo che eravamo giunti alla stazione
finale.
Avevamo visto da una feritoia una fiamma gialla e sinuosa uscire da
un‟altra ciminiera. La più parte di noi pensò che si trattasse di un
edificio industriale. Eravamo lontani una galassia dall‟immaginare la
verità…”
“…I nazisti erano riusciti a ricreare nelle terribili condizioni del Lager il
tipo di ebreo che la loro propaganda aveva assunto come modello. Per
sopravvivere, gli ebrei e con loro anche le altre categorie di Häftlinge,
dovevano trasformarsi in personaggi abietti, asociali e senza morale al
punto che gli SS, più che assassini, giungevano a considerarsi dei
benefattori perché capaci di eliminare esseri così spregevoli.
Il lavoro era uno strumento nelle mani degli SS per sterminare gli
Untermenschen (i sotto-uomini) e non serviva alla sopravvivenza dei
prigionieri, bensì al loro annientamento.
La vita ad Auschwitz era un inferno senza tregua, una lotta costante per
sopravvivere tra la brutalità e il terrore.
Fame, sete, sporcizia, squallore, malattie di ogni tipo, la violenza degli
SS e dei Kapos erano il quadro costante di ogni giorno.
Senza speranza e senza prospettiva alcuna, occorreva sopportare
l‟insopportabile in condizioni al di là di ogni possibile descrizione.
Vivevamo tutti in un gigantesco impianto per la produzione della
morte.
La verità più tragica è rappresentata dai quattro Forni Crematori, attivi
giorno e notte a Birkenau, destinati alla distruzione senza sosta degli
ebrei europei…”
Caro Nedo Fiano,
come Lei ci invita a fare, io, insegnante di lettere nelle classi II B e III B, ho
raccontato ai miei ragazzi la sua tragedia, incominciata nel 1938, quando uomini senza colpa sono
stati cacciati dagli impieghi, dalle università, … quando essi non potevano avere la radio in casa,
né il telefono, né entrare nelle biblioteche,… .Ho letto che nel 1943 Lei e la sua famiglia siete stati
costretti a fuggire dalla vostra casa e avete cercato rifugio un po‟ dovunque. Lei ci racconta che
molti amici dicevano a suo padre: “Sì è vero, lo so, ma io ho famiglia, c‟è la legge che punisce chi
ospita gli Ebrei, c‟è la pena di morte, come posso esporre la mia famiglia a questo rischio, non
posso …”e presso un‟altra famiglia amica: “Ma sai qui … io ho la moglie che non sta bene …”. E
così … fino a che Lei ha trovato accoglienza presso la famiglia Corsi; ma la trappola è comunque
scattata, è stato catturato come pure tutta la sua famiglia e da un giorno all‟altro è entrato
nell‟inferno.
Dai frammenti, con cui è introdotto ogni capitolo del suo libro, si coglie la fatica, l‟impossibilità di
liberarsi dall‟inferno, ma anche la bellezza del ritornare a vivere nella normale quotidianità.
Le sue parole sono quelle di chi non rinuncia a un‟impresa forse impossibile ma necessaria: dare
voce al non esprimibile, ordire nel filo logico della narrazione ciò che sfugge o sembra sfuggire a
ogni logica.
Dopo decenni di incubazione e di silenzio Lei, come altri testimoni, superstiti della Shoah,
comincia a parlare e a volere conferire alle parole la nota peculiare della testimonianza: ossia la
nota del racconto dal quale fuoriesce per esuberanza di ricordo e di umanità, spesso anche di
amore, qualcosa di originale, di talmente decantato e purificato dalla sofferenza, dal silenzio e
dall‟ascolto, da assumere il significato e il valore del distacco storico e dell‟utopia, della speranza
in un mondo migliore.
Lei, raccontando, riesce però anche a dar vita ad una dimensione educativa ed esistenziale nella
quale chi parla e chi ascolta trovano livelli metaforici e simboli d‟incontro, di interpretazione e di
condivisione sul grande tema della vita. Pur tratteggiando una condizione tragicamente reale, nel
suo libro, attraverso la presentazione chiara e sintetica del contesto storico e la rappresentazione
della memoria arricchita dai “frammenti”, mantiene un equilibrio tra l‟elemento narrativo e quello
riflessivo, anzi conferisce alla memoria stessa la concretezza degli eventi che si radicano nelle
esperienze vissute ed elaborate nei lutti sofferti, nella dilatazione della coscienza sul passato e sul
futuro attraverso la mediazione sui fatti del presente. Ciò è anche attenzione alla integralità della
persona.
Così facendo, Lei ci “educa” alla pace perché conosce il segreto del futuro del genere umano:
avendo subito l‟odio e l‟aggressività può tagliare alla radice la disposizione dell‟uomo a prendere
queste strade. Infatti c‟è una circostanza tipica in cui si dimostra che siamo educatori di pace o
educatori di guerra, ed è l‟incontro con l‟altro, con il giovane che ha altre idee, altra cultura e non
recepisce la certezza della testimonianza. Non è solo scarto generazionale, è soprattutto differenza
sostanziale tra eventi culturali e tempi storici connotati da maturazioni genetiche che hanno
modificato radicalmente visioni della vita e modalità di vivere la vita stessa e lo spirito
dell‟educazione. Lei però certamente incontra i giovani raccontando la sua esperienza, ma
soprattutto dimostrando il suo attaccamento alla vita.
Insegnante delle Classi II B e III B
A seguire le riflessioni degli studenti
Caro Nedo Fiano,
Lei ha saputo incontrarci raccontandoci la sua esperienza, ma soprattutto facendo
vibrare la sua parola sui valori che l‟hanno fatto vivere, costringendoci così ad un rapporto quasi
personale con il suo doloroso argomento.
Ecco allora che anche noi, dopo l‟ascolto della sua testimonianza scritta, in particolare della
riflessione sulla vita nel campo – l‟inferno come lei stesso lo chiama - abbiamo potuto apprezzare
la conoscenza della sua persona e ci siamo in un certo senso riappropriati delle parole nelle quali
abbiamo riconosciuto ancora il bello, il buono e il vero, insomma il valore dell‟uomo, delineando
il suo campo , ma sovrapponendo su di esso un cielo.
Il cielo
sopra il Campo
Domenica B.
Il Campo…
“quello della rampa, all‟arrivo dei deportati, del non - luogo, della non – stazione con i tre binari e
i dei suoi ricordi in bianco e nero, della marea di gente urlante e disperata, dell‟impietosa divisione
delle famiglie, per selezionare, come da un gregge, chi sembrava più forte e più saldo. Gli altri,
donne, vecchi e bambini, dovevano andare subito a morire per gas”
“quello delle baracche, della testa rasata, dei pesanti zoccoli duri, imposti dalle SS per rendere
goffi i movimenti, … della tuta a strisce, delle gamelle poste da prigionieri affamati, della bocca
immersa nella zuppa , come degli animali”
“quello del trasporto dalla Francia, carico soltanto di bambini, tutti al di sotto dei sei anni, che
giunge in piena notte”
“quello dell‟ingresso nel campo a passo di parata, scandito dall‟orchestra del lager, del rituale della
temuta conta di una durata indefinibile, tanto della sera quanto del mattino”
“quello dell‟autunno polacco, freddo, che stava incalzando e che penetrava nelle ossa e mordeva il
corpo indifeso”
“quello della solita geometria del Campo e degli unici alberi visibili ad una certa distanza attorno
ai Crematori, II e III , della natura che sembrava voler disertare quel luogo di morte, … senza
uccelli, senza farfalle”
“quello … del cumulo di cenere della madre, che sarebbe stato scaricato l‟indomani nella Vistola o
nella Sola”
“quello del convoglio arrivato dall‟Italia che trasportava nonna Gemma”
“quello del convoglio che arrivava alla non stazione, dal quale la gente non scendeva, ma era
letteralmente vomitata dai vagoni come sabbia, sassi, materiale da costruzione, senza curarsi di
farsi male”
“quello della selezione , delle camere a gas, dei forni crematori”
“quello delle furibonde risse tra prigionieri delle più disparate nazionalità, sedate dal Blockaltester
con violente bastonate”
“quello degli SS, squallidi personaggi che evitavano i rischi della prima linea al fronte di guerra”
“quello dei cani dobermann minacciosi ed arcigni, …istruiti per saltar addosso ai prigionieri
strappar loro i genitali, per poi leccare il sangue al prigioniero che moriva con urla disperate”
“quello dei Prominenten, crudeli, animaleschi,… delle loro bastonate”
“quello dei prigionieri affamati, disposti a tutto”
“quello del campo speciale a cui è stato assegnato il suo papà”
“quello del suo silenzio di fronte alle grida, e alle lacerazioni dei correligionari”
Ma sopra il campo c‟è il cielo e…
- la sua infanzia, la pensione Castiglioni, i suoi legami,
- la sua famiglia, sua madre sempre accanto, … con il suo “Ricciolino mio”
- la dolcissima e curatissima nonna Gemma, afflitta da una dura sordità,
- gli amici generosi, l‟ospitalità fraterna,
- la piccola scuola,
- l‟incauta libertà,
- il canto, le amicizie e la solidarietà,
- il cartellino con su scritto il nome del fratello Enzo, di sua moglie e del piccolo Sergio,
- le note di una fisarmonica,
- l‟abbraccio di mamma e papà insieme,
- i contadini e le contadine con le loro vesti al vento,
- il vento dei campi, l‟odore dei fiori, gli sguardi dei contadini,
- il foulard di seta verde smeraldo,
- il ricordo dell‟estate a Roma, la stagione dei colori, dei profumi e del caldo,
- i suoi sentimenti, come onde del mare che, grandi o piccole, s‟infrangono sulla spiaggia,
arretrano e poi ritornano. E poi ancora, ancora, all‟infinito …,
- la sua capacità reattiva,
- la vita, valore irrinunciabile nelle nostre mani,
- i suoi sogni,
- l‟immagine della madre vestita di scuro, tenerissima e piena di paura, il suo abbraccio.
Caro Nedo,
del tuo tragico racconto, mi colpisce direi davvero in modo lacerante il tuo arrivo al campo
con gli altri deportati che non sapevano dove sarebbero stati portati. Eravate chiusi da sette giorni
nei vagoni da bestiame, con la puzza dei rifiuti e di un povero signore morto. Quando siete arrivati
alla stazione finale, tu sei saltato giù dal vagone e, confuso su cos‟era successo e dove ti trovavi,
tua madre ti ha preso per la giacca e ti ha detto di abbracciarla perché non vi sareste visti mai più.
Poi lei è andata assieme ad altre donne, mentre tu con tuo padre e con altri uomini.
Successivamente siete stati rasati, vestiti con casacche a righe, zoccoli, e siete andati a lavorare,
mentre tua mamma … era già stata gassata e cremata. …
Michel
Caro Nedo Fiano,
la professoressa ci ha letto parte del libro “ A 5405 - Il coraggio di vivere“. Ci
ha anche raccontato che voi ebrei, nei film e nei libri, eravate rappresentati come ladri o
persone cattive e che, fuori dai negozi, c‟erano dei cartelli con impresso “vietato agli
animali e agli ebrei”. Della lettura del terzo capitolo intitolato “La fuga” mi ha colpito la tua
frase “sentivo la sensazione di entrare nella tana della belva” e ho provato un sentimento
di paura e di ansia, come sicuramente hai provato tu in quel momento. Poi i patimenti,
tutti quegli episodi che narri, sempre più terrificanti, mi hanno fatto sentire una profonda
angoscia, anche se il “ricciolino mio” di tua madre mi commuove e mi fa sorridere. Credo
che se non fosse stato per la mia professoressa di italiano, non avrei mai scoperto questo
bellissimo libro perché a me non piacciono i racconti di guerra e di morte, però il tuo non è
un semplice racconto e mi ha fatto capire cosa vuol dire vivere una vita.
Io ti ammiro molto e non vedo l‟ora di conoscerti di persona.
Arianna
Caro Nedo Fiano,
ho ascoltato in classe la lettura del tuo libro che racconta un momento della Shoah.
Non posso nemmeno immaginare quello che hai provato in quel tragico periodo della tua vita.
Dall‟emanazione delle leggi razziali in poi a te è stata tolta la libertà di andare a scuola, di entrare
nei negozi, nei tuoi soliti luoghi pubblici, ma soprattutto è stata ferita la tua dignità. Sei stato
arrestato senza nessuna colpa, deportato in un vagone da bestiame, bastonato, marchiato, ... i tuoi
cari sono stati gassati; … nessuno di noi sopporterebbe di vedere che la propria mamma viene
portata via per essere condotta alla morte!
Ti ricorderò sempre, con la speranza che il nostro futuro sia segnato dall‟amore, dalla
comprensione e dalla solidarietà, come tu ci insegni.
Con affetto
Riccardo
Caro Nedo Fiano,
l‟ascolto in classe della sua tragica vicenda al campo di sterminio è stato per
noi alunni un momento di condiviso smarrimento e, l‟immaginare il dolore, la paura in
quell‟inferno mi ha fatto sentire come l‟aprirsi di una voragine nel mio cuore. Come si può
strappare all‟uomo il diritto della vita, dei suoi affetti, dei suoi sogni, delle sue speranze?!
Lei deve essere stata una persona forte per riuscire a sopravvivere.
A lei, al quale voglio bene, dedico questi versi che la mia anima mi detta:
Fiamme giallastre / che escono da alti camini numerati / urla strazianti /
incitazioni a lavorare / e … accucciati in un angolo/
aspettiamo / la fine.
Con affetto, Sara
Le condizioni di vita degli Ebrei nel campo di concentramento di Auschwitz descritte nel libro
“Il coraggio di vivere” di Nedo Fiano sono disumane.
Quando Nedo descrive il suo arrivo nel Lager, io provo spavento, sbigottimento, ribrezzo ma
soprattutto rabbia, perché il modo in cui Egli ha visto le persone fatte cadere al suolo come degli
oggetti o della merce di poco valore dimostra che gli S.S. non avevano il rispetto delle persone e
della vita. Questa parte del libro in particolare, in cui Nedo è costretto a separarsi dalla madre che
tanto amava e ammirava è un episodio duro anche per chi legge.
Nel libro Nedo racconta di aver vissuto cose orribili e, visto che il suo lavoro era quello di
trasportare i cadaveri dalla camera a gas al forno crematorio, ha perso subito la speranza per sé e
per la sua famiglia di poter sopravvivere. Ha dovuto portare i cadaveri della sua gente.
Secondo me questa forma di razzismo da parte dei nazisti nei confronti degli Ebrei, provocata da
una stupida idea di razza perfetta e dalla paura di essere sopraffatti, è stata ignobile ed è amara
ancor oggi; essa segna moralmente e culturalmente la nostra umanità.
Nicola
Le vicende di Nedo si sviluppano durante la deportazione degli Ebrei nei lager nazisti. Per
sua fortuna Nedo riesce a sopravvivere alle torture fisiche e morali, diventando interprete
per i deportati. Nedo aveva perso tutta la famiglia e si trovava solo a condurre i deportati
alla morte nella camera a gas.
Leggendo questo momento della sua vita, viviamo anche noi il suo dramma.
L‟allontanamento dalla famiglia mi dà una sensazione terribile perché non c‟è dolore più
grande di quello di perdere i propri cari e il lavoro che gli era stato assegnato non lo
aiutava; per questo la sua storia ci scuote e ci provoca sensazioni di angoscia e disagio.
I momenti in cui saluta la madre che viene poi portata nella camera a gas è un‟immagine
molto forte, che esprime la difficoltà e il dolore a cui Nedo è sottoposto. Quando
accompagnava i detenuti, Nedo era consapevole che conduceva quella gente alla morte; tali
atrocità diventano ancor più terribili perché vissute da un ragazzo, ma assumono il
significato di un grande insegnamento perché da esse Nedo Fiano fece emergere la sua
comprensione dell‟importanza per la vita e l‟amore per i suoi cari.
Alberto
“A 5405 Il coraggio di vivere” è la storia di un ragazzo che è stato perseguitato e deportato nel
campo di sterminio dove ha visto morire tra tante persone anche la mamma e tutti i suoi cari.
Egli, risente su di sé l‟ultimo abbraccio con la mamma, rivive tutti i terribili momenti del campo.
Anche a distanza di anni il ricordo del campo non è morto nel suo cuore: il tatuaggio
sull‟avambraccio, il taglio dei capelli, la camera a gas, il crematorio sono ferite ancora aperte nella
sua anima, ma egli trova il coraggio di vivere e di diventare testimone di questa tragica esperienza.
È una storia che non può essere dimenticata ed è giusto mantenere vivo il ricordo di queste vittime
di una follia umana.
Chiara
RISORSE PER SOPRAVVIVERE
Da “A 5405 Il coraggio di vivere”
Nedo Fiano
“…Un maresciallo delle SS, molto elegante, stivali lucidi e cane pastore,
entrò e ci guardò con i tipici occhi vitrei dei nazisti. Era lo sguardo che
si porge a degli scarafaggi, cioè senza nessun sentimento.
“Abbiamo bisogno di alcuni interpreti. Chi parla qui tedesco?”.
A quell‟invito alcuni compagni del nostro convoglio si precipitarono
per essere esaminati. L‟SS li interrogò nervosamente e li respinse tutti.
Io non avevo il coraggio di farmi avanti e me ne stavo da una parte,
quando mi sentii sospingere dalla mano di mio nonno, quello che mi
aveva insegnato il tedesco dall‟età di otto anni ( e che era morto nel ‟36,
otto anni prima!).
L‟ufficiale mi guardò con sguardo interrogativo: “Da dove vieni?”
“Dall‟Italia, signor maresciallo” gli risposi.
“Sì, ma dove sei nato?
“Sono nato a Firenze, signor maresciallo!”
“Caro amico, è incredibile! Sei nato nella più bella città che io abbia mai
visti. È una meraviglia, ci sono andato spesso! È piena di opere d‟arte e
di belle donne. Stupendo! Va bene, resta qua! “ Mi batté sulla schiena e
mi aggregò a una squadra privilegiata…”
“…Nel mio gruppo molti erano romani. E tutti erano dei bravi attori,
capaci di raccontare senza sosta una quantità inverosimile di
barzellette, che, per le risate che provocavano, erano per noi una
straordinaria terapia per la sopravvivenza…”
“… Anche il mio canto era una buona risorsa, perché la musica riusciva
a portarmi fuori da quell‟orrore, a darmi, cioè, l‟illusione che non ero
più nel Lager, ma a Firenze, nella mia casa, in libertà…”
“ …Così una sera, dopo l‟appello, entrai nella Stube del Kapo, accolto
da un applauso di benvenuto… Avevo un modesto repertorio e sapevo
che avrei dovuto cantare senza nessun accompagnamento musicale.
Così mi esibii in alcune canzoni uscite in Italia, con altre un po‟ datate,
qualche aria lirica – Bohème, Aida, Turandot -, qualche motivo
tedesco…”
Caro Nedo Fiano,
noi ragazzi di 1 A della Scuola Secondaria di Primo Grado abbiamo appreso la storia
della sua vita dalla lettura, assieme alla nostra insegnante di Lettere, di alcune pagine significative
di “A5405 - Il coraggio di vivere”. In particolare ci siamo soffermati su alcuni passi della stessa per
capire, attraverso le sue parole, come si viveva nel Lager, ma soprattutto come in mezzo a tante
brutture morali e fisiche lei sia riuscito a farcela, e non solo, a non perdere fiducia nella vita e negli
uomini.
Gli alunni di 1^A
Seguono alcune nostre lettere che abbiamo immaginato di inviarle per farle capire che i giovani
dalle sue parole hanno imparato e impareranno tanto e che non potranno dimenticare, e che a loro
modo cercheranno di portare avanti la sua testimonianza.
Caro Nedo Fiano,
ho letto la lettera che ha scritto alle giovani generazioni e mi ha fatto pensare a tante
cose, soprattutto a quando era un ragazzo come me, allegro e spensierato, e di colpo si è trovato
prigioniero in mezzo a tanta ingiustizia per motivi che io ritengo inesistenti; che cosa ha provato?
Si rendeva conto di quello che stava rischiando?
Tutta questa storia mi ha messo una profonda tristezza: pensare che l‟uomo può uccidere i suoi
simili, adducendo motivi di religione o di razza diverse, sembra impossibile, eppure è stato così.
Secondo me, fra qualche anno, quando non ci rimarrà nessuna testimonianza vivente di quel
tempo lontano e terribile, si tenderà a dimenticare e a non credere che questo sia successo davvero.
Mi impegno allora a studiare la storia e a cercare di fare qualsiasi cosa perché questa tragedia non
si ripeta più.
Gabriele
Caro Nedo Fiano,
leggendo il suo libro, ho capito quanto ha sofferto in quel campo di sterminio: vedere i
suoi cari soffrire e morire in quel modo atroce, sentirsi uno “scarafaggio”, essere maltrattato solo
perché era ed è ebreo, per me non ha senso. Lei ha avuto la fortuna di lavorare in una sezione del
Campo privilegiata, avendo il compito di rassicurare la gente che scendeva dai treni, dicendo loro
che non sarebbe successo niente. Quel lavoro lo ha aiutato a sopravvivere in quell‟inferno. Lei
poteva salvarsi scappando con i suoi amici: perché non si è fidato a farlo?
Noi ragazzi del 2011 siamo fortunati ad avere un testimone della Shoah che ci offre la sua
esperienza: siamo da sempre abituati a studiare la storia nei libri ed è veramente interessante
ascoltare dal vivo una persona che ci offre una pagina importantissima della storia del secolo
scorso.
A noi sembra impossibile che questi avvenimenti siano accaduti veramente, perché viviamo in un
mondo completamente mutato da allora. Eppure le sue parole sono ancora oggi importantissime
per capire che certi errori non vanno ripetuti; per capire insomma le ragioni di odio, violenza,
discriminazione razziale: questo tema non è forse attuale?
La sua esperienza è stata durissima, nessun uomo dovrebbe subire queste torture. Com‟è stato poi
ritornare a casa e ricominciare una nuova vita? Le altre persone credevano ai suoi racconti o non
ne parlava mai a nessuno?
Comunque a me un insegnamento l‟ha dato: quello di non abbandonare mai le nostre idee e non
perdere mai le speranze.
Alberto
GLI AMICI
Da “A 5405 Il coraggio di vivere”
Nedo Fiano
“ Giulio è parte di me stesso, dei miei ricordi, e di tanto in tanto ritorna
nei miei sogni…”
“…Quando ci conoscemmo, a Fossoli, nell‟aprile 1944, Giulio aveva 23
anni ed io 19. Fin dal nostro primo incontro dietro i reticolati, Giulio
rivelò una straordinaria personalità e io ne fui attratto. La nostra
amicizia fu fulminea.
Era bello, di un tratto gradevole, aveva una voce intensa, mani
affusolate, piene di espressione quando prendeva a parlare. C‟era fra
noi due un‟affinità caratteriale e una condivisione ideologica, sugli
uomini e su molte cose del nostro tempo, quali storia, cultura,
solidarietà e diritti umani. Nello scenario spaventoso del Lager, che
inaridiva anche le menti più raffinate, Giulio aveva la capacità di
andare al cuore dei problemi e di prospettarli con semplicità.
Era però di umore molto variabile e passava spesso dalla speranza allo
sconforto, dalla rassegnazione alla ribellione. Si lamentava che le
persecuzioni del ‟38 contro gli ebrei gli avessero precluso l‟accesso
all‟Università…”
“…Nel Campo di Fossoli incontrammo anche un suo buon amico
romano, Ugo di Veroli, di 25 anni, estremamente gradevole, che
divenne subito amico anche mio. Formammo tutti insieme un
“triumvirato” a cui si aggiunse Marco Brandes, veneziano di 24 anni, il
quale dichiarò che non intendeva venire in Germania e che quindi
sarebbe fuggito dal Campo al più presto. Ci chiese se volessimo fuggire
con lui.
Perplessi all‟inizio, finimmo per convincerci e insieme ci preparammo
tutti e quattro alla fuga. Seguirono giorni febbrili per procurarci le
cesoie con cui tagliare i reticolati, il cibo e tutto il necessario …”
Caro Nedo Fiano,
chi, come te, ha attraversato l‟inferno del campo di sterminio e ha vissuto in prima
persona gli orrori della follia programmata e del male assoluto, ha dovuto aggrapparsi a varie
“risorse” per poter sopravvivere.
Tra le risorse di cui parli, caro Nedo, figurano anche gli amici che hanno rappresentato per te
un‟autentica terapia:
Cesare, dal carattere mite, dolce e sorridente;
Giulio, con la sua capacità di andare al cuore dei problemi e di cercare sempre il lato migliore,
anche nelle cose più nere;
Marco, con la sua convinzione che di fronte alle traversie della vita non bisogna mai arrendersi;
don Angelo, che trovava nello spirito di unione la forza per rendere più sopportabili le sofferenze.
La perdita di alcuni di loro ha rappresentato un‟ulteriore sofferenza che andò ad aggiungersi alle
tante già vissute.
Cesare morì senza aver potuto assaporare la zuppa calda che con infinita premura volevi portargli
e Giulio morì nella neve perché, avendo perso gli zoccoli, fu costretto a lavorare a piedi nudi.
Di ciascuno tu custodisci un ricordo speciale e incancellabile perché loro hanno rappresentato un
gancio che ti ha tenuto attaccato alla vita e l‟amicizia è stata davvero la miglior difesa che si poté
opporre a quel mondo fatto di violenza, di ingiustizia e di assoluta mancanza di umanità.
Il ricordo e il racconto di questo legame d‟amicizia è una grande lezione per tutti noi.
Grazie.
Gli studenti di 2^ e 3^ C
Gloria
SOGNI NEL LAGER
Da “A 5405 Il coraggio di vivere”
Nedo Fiano
“…Non ricordo altro delle mie notti nel Campo, penso che il più delle
volte fossi divorato dalla stanchezza e che, quindi, staccavo tutti i
contatti psicofisici.
In realtà la notte poteva essere per me l‟occasione di un‟evasione, di un
rifugio. E lo era, però, solo quando la mia attesa del sonno ristoratore
non era esasperata. Era come una medicina, cioè occorreva rispettare
tempi, dosi e condizioni psichiche. E questo era possibile solo di tanto
in tanto.
Accadeva appunto che la stanchezza fosse tale da rendere difficile il
sonno. Allora mi aggredivano le immagini della giornata che mi
producevano emozione. Talvolta sudavo, altre volte mi raggelavo.
Tutto ciò era prodotto dalla specificità del ricordo.
Per più volte, ad esempio, ho ricordato di notte, non sognato, una scena
vissuta sulla Rampa.
Un‟anziana signora male in salute si era rifiutata di salire sul camion
che l‟avrebbe portata al bunker, per poi morire bruciata viva. L‟SS le
gridò l‟invito duramente, ma lei ripeteva il diniego. Allora il milite
agguantò la pesante catena che pendeva dal piano del camion e con
questa prese a battere violentemente sul collo e la testa della signora.
“Tu non vuoi proprio salire. Nevvero?”, e giù colpi a non finire sulla
povera donna, la cui testa rotolò sulla Rampa, si fermò in un lago di
sangue, con gli occhi sbarrati e la bocca spalancata …
Come dormire con quell‟immagine?...”
I sogni nel Lager
Il breve lavoro, che abbiamo sviluppato in occasione dell‟incontro con Nedo Fiano, si è articolato in
due momenti: il primo è stato dedicato alla lettura di alcuni brani contenuti nel suo appassionante
diario, il secondo ha stimolato alcuni punti di riflessione.
Le letture scelte raccontano i sogni che il protagonista ricorda di ”quel tempo terribile” quando era
rinchiuso nel Lager.
Cominciamo dal primo sogno: “Ricciolino mio - mi diceva mia mamma nel sogno - ti vedo
stanco. Non temere, non ti ho abbandonato; sono vicina a te in ogni istante. Devi essere
forte, non scoraggiarti:so che tornerai libero, molto presto. Abbracciami, ciao!”
Il secondo sogno è il seguente: ”Sognavo di ritornare nella mia classe. I miei vecchi
compagni mi guardavano sorridenti. Io indossavo la mia uniforme a strisce del Lager. Ero
molto commosso: la professoressa Guidotti, insegnante di italiano e latino, mi invitava
sorridendo (“Venga, venga caro Fiano”) ad avvicinarmi a lei e io ubbidivo, ma appena
poggiavo una mano sul palmo della cattedra il sogno si interrompeva”.
Dalla lettura di questi sogni sono scaturite alcune riflessioni. Nell‟umanità sempre sono state
presenti due grandi categorie: i carnefici e le vittime.
I carnefici sono coloro che hanno bandito l‟umanità dalla loro vita e, al contrario, le vittime sono
coloro che esaltano alcuni valori dell‟essere uomo. Non conosciamo i sogni dei carnefici, ma quelli
delle vittime sì, e sono legati al soddisfacimento di bisogni vitali. In questo caso ci sembra che il
bisogno primario sia il bisogno di affetto.
Nedo Fiano non sognava cibo o coperte, anche se soffriva il freddo e la fame, ma la mamma e
l‟insegnante di latino, figure rassicuranti e sorridenti. Così al mattino, quando si svegliava nel
lager e ricordava questi sogni si sentiva “tonificato e con un rinnovato equilibrio fisico”.
Ci chiediamo: forse Nedo Fiano si è salvato da quell‟inferno anche grazie alla sua fervida
immaginazione onirica? Noi pensiamo di sì. L‟immaginazione è infatti quella facoltà
esclusivamente umana che ci consente di oltrepassare le brutture del presente andando a rifugiarci
in un passato confortante oppure in grado di suscitare in noi la speranza di un futuro migliore.
Inoltre è singolare la caratteristica della figure al centro dei sogni di Nedo Fiano: innanzitutto la
madre, l‟essere da cui proveniamo, la nostra origine naturale; e poi l‟insegnante, la figura centrale
della nostra formazione culturale, colei che ci ha aiutato a diventare quello che siamo.
A conclusione possiamo affermare quanto segue: chi non ha vissuto terribili esperienze, chi non ha
sentito quotidianamente soffiare “lento e rabbioso il vento della fatica e dello sgomento” troppo
spesso si dimentica le cose semplici della vita che scopriamo invece essere fondamentali per
sopravvivere e cioè: il calore di un sorriso del padre, l „affetto dei propri cari, le carezze della
mamma, lo sguardo amorevole del proprio insegnante e anche le occhiate complici tra compagni
di scuola…..
Gli studenti di III A
VIAGGI
Da “A 5405 Il coraggio di vivere”
Nedo Fiano
Da Fossoli a Auschwitz-Birkenau
“…Appena il nostro vagone fu chiuso dagli SS, piombammo in una luce
debole, quasi serale, perché il sole filtrava solo da quattro piccole
feritoie e non era più libero, neppure lui, di darci tutta la sua
luminosità.
Addio verde dei campi, odore dei fiori, sguardi dei contadini, addio,
addio a tutto il nostro mondo.
Dove andavamo?
Passammo le stazioni italiane: Verona, Trento, Bolzano, poi il Brenner
Pass che ci commosse tutti.
Addio, addio Italia. Tutti in piedi…”
“…A notte fonda il convoglio entrò dentro il Lager di Birkenau.
C‟era un cielo stellato, di un blu intenso. Dalle piccole feritoie del
vagone vedevamo la prospettiva senza fine del Campo: centinaia,
migliaia di piccole lampadine sul filo spinato. E …delle fiamme
altissime che si levavano da una ciminiera…”
Da Auschwitz a Stutthof
“… L‟uscita dal Campo di sterminio fu vissuta da noi tutti come un
miracolo. Avevo sognato di lasciare quell‟Inferno e mi sembrava
impossibile di non essere passato “durch del Kamin” (attraverso la
ciminiera del Forno Crematorio) e di aver così sfatato la leggenda di
Auschwitz…”
“…Il convoglio attraversò una desolante pianura senza fine, poi
montagne e poche stazioni ferroviarie che la mia mente non riporta più.
Faceva un freddo cane e nelle nostre casacche di cotone stavamo
gelando a 28 gradi sotto zero. Eravamo nel Golfo di Danzica, nel Mar
Baltico…”
“…Addio colline toscane, addio Firenze! (Firenze era già stata liberata
da due mesi…). Non riuscivamo a parlare perché il gelo entrava in
bocca e congelava la lingua… Dopo tre giorni e 500/600 chilometri, il
convoglio si arrestò…”
Le riflessioni degli studenti della classe II A
Anche noi studenti di classe 2a A ci siamo preparati all‟incontro con Nedo Fiano. Abbiamo così
conosciuto le vicende salienti della biografia di questo grande uomo, testimone diretto della Shoah.
In classe il racconto è stato intervallato dalla lettura di passi da “A5405 - Il coraggio di vivere”.
Ci si è soffermati sul tragico momento dell‟incarcerazione e del viaggio verso il campo di
sterminio, e tutti abbiamo letto le pagine relative all‟arrivo ad Auschwitz e al tragico addio alla
madre. Abbiamo infine letto ed approfondito il messaggio che Fiano rivolge alle generazioni
future ed in particolare ai giovani come noi.
Cari ragazzi,
ero come voi, esattamente come voi, sorridevo come voi, pensavo e ridevo delle cose più
tremende, perché il sorriso è il dono della vostra età.
Avevo 18 anni quando sono stato arrestato e non avevo fatto nulla, non avevo assolutamente
nessuna colpa, credevo nella vita, credevo nella famiglia, nei genitori e nel mio futuro.
Sono stato messo in carcere, ho vissuto in carcere senza colpa, senza sapere quando mi
avrebbero tirato fuori.
Dal carcere sono stato portato al campo di concentramento, e dal campo di concentramento
sono stato deportato al campo di sterminio.
Ecco perché oggi vi racconterò l'inferno.
Non vi parlerò del campo di concentramento ma del campo di sterminio, da cui non si può uscire
vivi, né morti, perché dal campo può uscire solo l'anima, perché tu «uscirai dal camino».
Tra qualche anno non ci saranno più persone che vi daranno la propria testimonianza così che
possiate sentire qualche cosa di concreto di quel tempo lontano.
Chi ha sofferto fa sua la sofferenza degli altri, sente un'affinità con chi soffre. Chi non ha mai
sofferto non sa che cosa vuol dire soffrire.
Diceva Socrate: «Solo chi è stato schiavo può capire che cos'è la libertà».
Oggi è venuto da voi un uomo vecchio, provato, per raccontarvi la sua storia.
Il racconto di questa storia è un dono che io vi ho porto perché possiate meditarla e farne
tesoro: io la metto a vostra disposizione perché è stata una grande esperienza; l'umanità ha
bisogno di amore, ma anche l'amore è difficile perché è difficile donare.
Una delle cose più grandi di cui l'uomo ha un bisogno insopprimibile è la libertà.
Voi che, negli anni prossimi, avrete in mano il mezzo per difendere questa libertà, ricordatevelo:
voi e soltanto voi avrete i mezzi per difendere la vostra libertà e la libertà degli altri. Voi
sarete responsabili di preservarla, perché voi e soltanto voi sarete i protagonisti della vita.
Non lasciate agli altri questo privilegio e leggete la Storia, cercate di capire cosa è successo e
perché, e sappiate donare agli uomini quello che è il dono più bello: l'Amore.
Vi invito a farlo, siate bravi, siate responsabili, siate protagonisti.
Nedo Fiano
Queste parole sono state motivo di riflessione, ed è sorta in noi la volontà di scrivere una lettera di
risposta a Nedo Fiano, traducendo così una consueta attività scolastica in un compito di realtà
motivato e sentito.
Ecco alcuni dei nostri testi:
Minerbe, 18/01/2011
Minerbe, 17/01/2011
Caro Nedo Fiano ,
io e i miei amici abbiamo letto il messaggio
che ci ha mandato.
Io mi chiedo come lei sia riuscito a
sopravvivere all‟Olocausto. Noi ragazzi
della scuola di Minerbe siamo fortunati ad
avere una persona come lei che ci racconta
del suo “inferno” perché nessuno
dimentichi ciò che è accaduto, e non si
preoccupi: noi baderemo alla nostra libertà,
come lei ci ha insegnato.
Con affetto,
Melissa
Nedo Fiano, ho sentito la sua triste storia e mi
ha colpito dritta al cuore. La nostra prof. ci ha
esposto molte delle vicende della sua vita, ma
credo che a raccontare tutte le emozioni che le
hanno accompagnate ci vorrebbero mesi, o meglio
degli anni.
Abbiamo letto una parte del suo libro, la più
dolorosa, quella in cui lei arriva nel campo di
sterminio, scende dal vagone e abbraccia per
l’ultima volta la sua mamma. Mi ha colpito per il
semplice fatto che ognuno di noi tiene alla
propria mamma e perderla, a 18 anni poi, è un
dolore insopportabile, quindi le dico che lei è un
grande uomo per essere sopravvissuto senza
nessuno che le stesse accanto.
Un caro saluto,
Enrico
Minerbe, 17/01/2011
Caro Nedo,
alla fine la vita e il destino ti hanno risparmiato e ti
hanno dato la possibilità di sopravvivere e raccontare
il tuo messaggio sulla guerra e sulla tragedia che ha
sconvolto il mondo.
Concordo con te che la vita è una sola e noi e soltanto
noi ne siamo i protagonisti.
Mi rimane stampato in testa non soltanto un
pensiero, una frase, ma l’intera esperienza di un
ragazzo come noi, giovane ma forte davanti alla
morte delle persone alle quali era più legato, dotato di
un coraggio e un ottimismo che io non avrei.
Spero di vederti presto.
Un saluto,
Anna
Minerbe, 15/01/2011
Caro Nedo,
sono una ragazza di dodici anni e a scuola
ho letto il tuo messaggio e mi è stata
raccontata la tua storia. La parte che mi ha
colpito di più è quella in cui scrivi che dal
campo di sterminio non si poteva uscire né
vivi né morti perché le persone “uscivano
dal camino”.
Non trovo giusto che tu sia stato arrestato e
condotto nei campi di concentramento e
infine in quello di sterminio solo per il fatto
di essere ebreo e per la tua religione.
Con affetto,
Jessica
Jessica
Minerbe, 18/01/2011
Caro Nedo Fiano,
non posso nemmeno immaginare come un uomo possa sentirsi, trattato come un animale, trasportato da un posto
all‟altro in un treno da bestiame carico di gente che ha perso tutto, ben presto anche il senno, e in mezzo alla
sporcizia. E, all‟arrivo, soldati che ti urlano addosso e ti separano dalla tua famiglia, costringendoti a colpi di
bastone a scendere dai vagoni.
Ti tatuano sul braccio un numero come se tu fossi un qualsiasi oggetto e decidono se farti fare i lavori
forzati o ucciderti direttamente. Non so come possa un uomo sopportare queste crudeltà, vivendo con la paura che
la vita possa finire in qualsiasi momento e sperando, se quel momento deve arrivare, che arrivi alla svelta. E
quando vieni a sapere che un tuo familiare è morto, cadi nella disperazione più profonda, e la voglia di vivere ti
viene a mancare.
Eppure tu ce l‟hai fatta.
È stato il coraggio a salvarti, il coraggio di continuare a vivere e la voglia di libertà, che non ti ha mai fatto
perdere la speranza.
Grazie per questo tuo messaggio,
Manuel
Minerbe, 24/01/11
Caro Nedo,
Minerbe 18 gennaio 2011
Caro signor Nedo,
è un piacere e un onore scriverle questa lettera.
Io a scuola ho ascoltato con molto interesse e
molta partecipazione la sua tragica storia e
penso che vivere nel campo di AUSCHWITZ sia
stata un’esperienza atroce.
Chissà come deve sentirsi lei, svegliandosi tutte
le mattine con quel tatuaggio che le ricorda le
brutalità subite in quel campo di sterminio!
A scuola ho letto in particolare l’episodio della
definitiva separazione da sua mamma: questa
parte mi ha colpito moltissimo e ho capito
quanto fossero spietati quei nazisti.
A pensarci bene mi chiedo come faccia lei a
raccontare quei fatti drammatici a migliaia di
persone rinnovando ogni volta il suo dolore.
Mi sento vicina a lei, che ha dovuto sopportare
tutto questo, e penso che sia una cosa ingiusta
quello che le hanno fatto, solo perché era di
religione diversa e di etnia diversa; è proprio
ingiusto!
La ringrazio in anticipo se leggerà questa mia
lettera.
Un saluto cordiale, Lucrezia
Sono sicuro che sia stato molto difficile
vivere sapendo di mentire anche ai propri
parenti e amici, sapendo che se dicevi la
verità ti bastonavano e poi ti uccidevano.
Ed è incredibile dove trovi ancora la forza
di raccontare i terribili fatti passati, che
rimangono per sempre in mente e
provocano sofferenza nel raccontarli e nel
riviverli.
Dal campo di concentramento era
pressoché impossibile uscire, per questo i
sopravvissuti sono molto rari e ti ringrazio
per essere venuto a portare la tua
testimonianza qui a Minerbe.
Un grande saluto da Diego
Minerbe, 24/01/11
Caro Nedo,
volevo ringraziarti perché questa sera sei qui a
raccontarci un po’ della tua vita, di quando eri un
ragazzo come noi.
Mi sono commosso quando ho letto che tua mamma
ti ha preso per un braccio e ti ha detto di
abbracciarla perché era l’ultima volta che vi sareste
visti.
Se toccasse a me una cosa del genere io sarei già
morto, ma per fortuna non mi è successo niente.
Con affetto, Francesco F.
Minerbe 20/01/11
Minerbe 18/01/11
Caro Nedo,
Caro Nedo,
io neanche immaginavo cosa hai passato
nell’inferno nazista della Shoah.
Volevo dirti che io purtroppo non
potrò venire al tuo incontro ma, leggendo su
internet tante storie di persone come te, ho
capito quanto sia stata indescrivibile e
straziante la tua esperienza e non credo che
altre persone comuni avrebbero avuto la
forza di continuare a vivere come hai fatto tu.
In conclusione ti dico che io ti sono vicino
perché ora so cosa vuol dire ricordare ogni
volta quell’orrore, ma è giusto che ci siano
testimonianze di cose realmente accadute.
Un caro saluto da Andrea.
sono rimasto molto impressionato nel leggere
come tu sia riuscito a sopravvivere al campo di
sterminio, che hai soprannominato “l‟inferno”.
Mi dispiace moltissimo per quello che è
accaduto alla tua famiglia, soprattutto per la
morte di tua madre.
Comunque sono contento che ci siano
ancora altre persone sopravvissute, come te,
che raccontano cosa hanno vissuto nel campo
di concentramento e di sterminio, altrimenti
informazioni così importanti sarebbero state
tenute nascoste.
Spero di rivederti anche in futuro
Matteo F.
Minerbe, 15/01/2011
Caro Nedo Fiano,
mi dispiace infinitamente per la sorte dei tuoi parenti; anche perché eri così giovane quando sono
accaduti i fatti che racconti. Come dici tu la libertà è importante e io condivido questo messaggio e
cercherò di essere libero più che posso, mentalmente e fisicamente. La parte del tuo libro che ho letto mi
è piaciuta molto e vorrei complimentarmi con te per come hai saputo narrare la tua storia, che mi ha
commosso. Penso che tu sia una persona forte d’animo e ti ammiro molto.
Un saluto, con affetto, Francesco G.
Minerbe, 15/01/2011
Caro Nedo,
dopo aver letto il tuo messaggio sono rimasta molto colpita dalle prime righe, e
specialmente da quel “ero come voi, esattamente come voi”.
Mi ha colpito perché ho provato ad immaginare cosa avrei fatto io in quelle
situazioni.
Di sicuro se si parte pensando di non farcela il pensiero diventa realtà.
E io non credo che sarei rimasta ottimista tanto a lungo come, al contrario, sei riuscito a
fare tu. Credo che la paura avrebbe preso il sopravvento e avrei fatto la fine toccata alla
maggior parte delle persone. Poi è il destino che sceglie.
Quando sei arrivato ad Auschwitz ti hanno tatuato il tuo numero di matricola:
A5404. E’ terribile il suo scopo: distruggere la consapevolezza di essere una persona. Solo
al ripensare a cosa serviva rabbrividisco.
Però tu non ti sei scoraggiato e sei andato avanti, nonostante il duro incarico di
mentire ai nuovi deportati e rassicurarli che non gli sarebbe successo nulla. Io non ci sarei
riuscita.
Poi avevi la fortuna di conoscere il tedesco e di cantare bene.
Ammiro la tua forza di andare avanti e la tua fiducia nella vita, che penso abbiano poche
persone.
Ti ringrazio in anticipo se leggerai questa lettera.
Spero di incontrarti anche in futuro.
Giulia P.
I FAMIGLIARI
Da “A 5405 Il coraggio di vivere”
Nedo Fiano
“…Non ho mai dimenticato la mia infanzia, con mamma sempre
accanto, piena d‟amore…”
“…Era l‟angelo della casa: si aggirava canticchiando sorridente nelle
varie stanze, gli occhi grigi, il naso delicato, i capelli neri raccolti in una
crocchia sulla nuca, il volto dolcissimo…”
“…la sua giornata cominciava molto presto, tra le sei e le sei e mezza
del mattini, per il suo lavoro quotidiano nella pensione, per noi due figli
e per papà…”
“…Papà era funzionario all‟Ufficio Postale Centrale di Firenze e si
occupava – diremmo oggi – della logistica per ottimizzare le
conseguenze della corrispondenza. Aveva carattere, abitudini e
portamento molto diversi da mamma: era bello, alto due metri e sempre
elegante. Molto leale e severo con se stesso…”
“…I miei erano una bellissima coppia, si amavano, ma avevano spesso
dei duri litigi, suppongo soprattutto per ragioni politiche. Infatti lei era
dichiaratamente antifascista, lui invece vedeva di buon occhio il
fascismo a cui aveva aderito fino dalla sua fondazione…”
“…Mio fratello Enzo, di dieci anni più anziano di me, lavorava, credo
dall‟età di 15 anni, in un bell‟albergo in centro città, ove restò fino
all‟arresto. Era mite, molto affettuoso e lavoratore infaticabile; nelle ore
libere raccoglieva la carta e le bottiglie della pensione che poi rivendeva
ai commercianti. Aveva un sorriso triste e buono, con me era protettivo,
premuroso, quasi paterno…”
“…Nonna Gemma, donna dolcissima e curatissima nel vestire, afflitta
purtroppo da una dura sordità, alla morte del marito venne a vivere da
noi e portò un sorriso in più nella nostra famiglia.
Nonno Alfredo, purtroppo cieco, trilingue, fu il mio primo insegnante
di lingua tedesca. A lui devo la mia sopravvivenza nel Campo di
Auschwitz-Birkenau, dove era indispensabile parlare il tedesco. Fu
profeta: “Nedo, vedrai, le lingue sono le chiavi che aprono le porte del
mondo!”…
“…In famiglia eravamo uniti e felici e io mi sentivo amato e protetto…”
“La memoria di Auschwitz riconsegnata non alterata dal tempo e
dagli uomini”
Fermiamoci a riflettere
Caro Nedo,
dopo aver sentito cosa hai subito durante la persecuzione attuata nell‟ultima Guerra Mondiale, il
nostro pensiero si sofferma su tre aspetti fondamentali:
- l‟ingiustizia;
- il dolore;
- l‟amore per i familiari soprattutto l‟amore della mamma, sempre premurosa, pronta ad
allungare le braccia e dispensare baci e carezze.
Studenti 1^B e 1^C
Caro Nedo,
mi dispiace per te! Per essere stato maltrattato per anni per il fatto di essere ebreo; per
aver perso tutti i parenti nel campo di concentramento e soprattutto per la tua mamma:
sempre premurosa, pronta ad allungare le braccia per dispensare baci e carezze, unico
punto di riferimento nella tua vita.
Sembra impossibile che siano successe cose simili e spero solo, grazie ai tuoi racconti, che cose così
non succedano mai più, mai più!
Un affettuoso saluto, Pietro
Caro Nedo,
dopo aver sentito cosa hai subito durante la persecuzione attuata nell'ultimo conflitto mondiale, il
nostro pensiero si sofferma su tre aspetti fondamentali:
- l‟ingiustizia: cioè di quanto avete sofferto tu e la tua famiglia sentendovi trattati come
“cani”. Tu andavi a scuola come tutti gli altri ragazzi, tua mamma gestiva una piccola
pensione, tuo papà era funzionario dell'Ufficio Postale Centrale di Firenze e si occupava
della logistica. Tutta quella bella vita cambiò improvvisamente come se fosse scoppiato un
forte temporale in grado di spazzare via tutto. Le tue amicizie, la carriera e tutto il resto
perdute per sempre. Tuo padre perse i suoi amici come tua madre la piccola pensione che
aveva.
-
Nelle vetrine dei negozi c'erano cartelli che dicevano: “ Vietato entrare ai giudei ed ai cani”.
Da parte mia dico che le persone non devono essere distinte dagli altri per motivi di
religione, lingua, razza, ma essere apprezzate per quello che sono.
il dolore: quanto devi aver sofferto vedendo i tuoi familiari che si spegnevano uno dopo
l'altro. Mi sento fortunata ad essere nata in un periodo senza persecuzioni. Quello che i
razzisti hanno fatto è orribile e dispero che una cosa simile non possa mai più accadere.
l'amore per i familiari, soprattutto per la mamma sempre premurosa, pronta ad allungare
le braccia per dispensare baci e carezze. Quando un poliziotto in borghese ti arrestò il 6
febbraio 1944 mentre stavi in via Cavour, ti portò nel carcere delle Murate di Firenze. Da lì
ti portarono poi nel Campo Fossoli di Modena dove tu riabbracciasti di nuovo la tua
famiglia che era stata arrestata e portata anch'essa nello stesso campo. Dopo qualche
tempo, chiusi dentro il vagone di un treno per parecchi giorni, giungeste nel campo di
concentramento di Auschwitz. Tua madre aveva lo sguardo perduto, non aveva più il suo
bel sorriso ed indossava un abito scuro. Io credo che la famiglia sia la cosa più importante
che una persona possiede. Quello che avete subito può essere paragonato ad una casa di
mattoni che si distrugge piano piano e, come nel tuo caso, rimane in piedi soltanto un
mattone.
Con affetto, Giulia
Caro Nedo,
sapendo del tuo tragico passato, volevo scriverti questa lettera criticando l'ingiustizia che tu
hai subìto dal carcere di Firenze e fino al campo di concentramento di Auschwitz in cui sono morti
i tuoi più cari parenti: mamma e papà.
Io non conosco molto la tua vita, però sapendo che sei un superstite della seconda Guerra
Mondiale e conosci il tedesco si può dedurre che se una persona colta, intelligente e coraggiosa che
è riuscita a trattenere le SS tedesche ed evitare che potessero uccidere altre persone.
Vorrei anche dirti che sono molto dispiaciuto per tutte le sofferenze che hai passato nei vari campi
di concentramento, immagino cosa pensavi quando eri là sapendo che potevi morire da un
momento all'altro! Che terribile incubo!
Da quel che racconti si deduce che tua mamma era la persona più importante e quindi immagino il
dolore quando hai scoperto che era morta!
Non occorre che tu mi risponda, sono comunque contento di aver potuto scrivere ad un testimone
davvero speciale.
Un abbraccio, Luca
Caro Nedo,
prima di aver sentito parlare di te ero già a conoscenza delle persecuzioni ebraiche
ma solo dopo aver ascoltato la tua testimonianza riesco a capire quanto sia stato doloroso.
Gli ebrei, stremati dal dolore e privati della propria anima sono l'esempio della crudele
ingiustizia dell'uomo. Tu sei riuscito, grazie alla bella voce ed alla conoscenza della lingua
tedesca, a sfuggire dalla crudeltà dell'uomo.
Quanto è successo è terribile, dimostra che il mondo non riesce ad andare avanti senza
divisioni e guerre. Il dolore che tu hai provato nel veder sottrarre dalle proprie mani ciò che
più si ama, l'angoscia di non percepire più le calde e protettive mani del padre e la luce
degli occhi della madre spenti dalle lacrime devono essere stati laceranti.
Io, fortunatamente, non ho provato queste sensazioni ma grazie a te ho potuto conoscere
maggiormente l'importanza della vita.
Con riconoscenza e stima, Elena
Caro Nedo,
venire qui, a Minerbe, per raccontare fatti per te così dolorosi è stata una manifestazione di
grande coraggio; io, al posto tuo, mi sarei chiusa in me stessa senza riuscire a raccontare, anzi avrei
cercato di dimenticare.
Tu no, tu ora sei qui a parlarci della Shoah affermando che la peggiore cosa da fare sarebbe
pensare che l'Olocausto non sia mai accaduto permettendo al mondo di dimenticare.
Ora, io penso alla tua famiglia sterminata dalla malvagità dell'uomo; penso a tua madre, a tuo
padre, a tuo fratello, ai tuoi parenti, al tuo popolo; sarebbero felici di sapere che il loro sacrificio
non è stato vano. Hai perso la tua amata mamma, la persona più cara, sempre pronta a darti
carezze ed a confortarti in qualunque momento della vita.
Mi piacerebbe dirti che ti capisco ma, per quanto ci provi, non riesco ad immaginarmi una vita
senza la mia famiglia. Ma, forse, non è una cosa che si può immaginare!!!
Credo che anche tu sia rimasto impietrito e spaventato quando ti sei trovato solo, senza l'affetto dei
tuoi cari. Nonostante ciò, hai poi trovato la voglia di ricevere e di donare amore e ti sei sposato
cercando il calore e l'affetto di una famiglia che ti era stata strappata.
Se penso a quanti sono morti per la volontà di pochi; quanti innocenti sono stati sacrificati per la
stupidità dell'uomo…
Ti dico grazie, caro Nedo, per aver portato la tua testimonianza, per avermi fatto capire cosa
significhi restare soli.
Grazie di tutto cuore, Elena
Caro Nedo,
vorrei soffermarmi sulle ingiustizie di quel tempo e su quanto è successo alla tua famiglia
un tempo felice ed unita, che, in un poco tempo, viene distrutta.
Tutto questo è accaduto solo perché eravate ebrei, anche se non praticanti.
Le ingiustizie erano così pesanti da macchiare per sempre la stirpe tedesca. I nazisti hanno
veramente fatto una cosa orrenda, sono riusciti ad eseguire la Shoah: la sterminazione del popolo
ebraico.
Le parole del grande poeta Proust “… su una tremula goccia quasi impalpabile possiamo
ricostruire l'immenso edificio del ricordo” fanno molto riflettere. Il dolore, da quanto è grande è
indescrivibile a tal punto di paragonarlo ad una goccia di pianto.
Vedere persone, di tutte le età, soffrire, lavorare duramente e morire è veramente terribile.
La storia ci dice che l'ideatore di tutto questo sia stata una sola persona: Adolf Hitler. Perché
quest'uomo ha voluto far questo ? Per dominare il mondo ? Oppure per motivi personali? Queste
sono le domande che ci chiediamo da anni, eppure sembra impossibile che sia esistito un uomo
così malvagio!
Mi soffermo ora sull‟analisi della tua famiglia: voi, uniti e felici. Ognuno di noi ha una venerazione
particolare per la propria madre. La mamma ci ha portato in grembo per nove mesi e ci ha voluto
bene come nessuno: la nostra prima amicizia.
Dalle descrizioni tua madre Nella doveva essere veramente eccezionale; una donna come poche.
Lei in famiglia era la più laboriosa di tutti: dalle sei del mattino fino a tarda notte riusciva a gestire
la pensione con la quale manteneva la famiglia.
Tuo padre non lo ricordi bene, però scommetto che lui avrebbe dato la vita per salvarla; erano una
coppia speciale, che si amava. Anche per tuo fratello lo avrebbe fatto.
La tua nonna Gemma, sempre ben vestita, aveva un profondo rispetto per tutti.
Tuo nonno, trilingue, ti ha insegnato il tedesco, risultato utile per la sopravvivenza; lui infatti, ti
diceva” Le lingue sono le chiavi che aprono le porte del mondo”.
Caro Nedo, anch'io ho un nonno che ha vissuto nella tua epoca.
Lui è del 1914 e, per ordini del Duce, ha fatto il militare nell‟ex Jugoslavia. Ora mi racconta vari
frammenti delle sue peripezie, però quando parla dei suoi coetanei caduti vicino a lui sembra che
una spada gli trafigga il cuore. Credo che anche tu abbia provato la stessa sensazione. Per questo
noi ragazzi siamo obbligati a fare in modo che cose del genere non accadano più.
La storia non si deve più macchiare di dolore.
Un saluto vivissimo, Elia
Caro Nedo,
mi fa molto piacere conoscerti. In classe abbiamo discusso di ciò che hai vissuto in prima
persona. Mi sono davvero emozionato nel sentire la tua storia. Hai avuto molto coraggio
nell'affrontare una vicenda così brutta. In classe, inoltre, abbiamo letto alcuni capitoli tratti
dal tuo libro e, in alcuni punti, mi immaginavo io nei tuoi panni: non ce l'avrei fatta.
Anch'io voglio bene a mia mamma e a mia nonna come te, non oso immaginare come vi
siate sentiti il 2 settembre del 1938, quando sui giornali c'era scritto che voi eravate
considerati individui di “ serie B”. Mi è dispiaciuto della perdita dei tuoi familiari, ma ciò
che mi ha commosso di più è stato l'ultimo braccio dato a tua mamma. Io non trovo giusto
ciò che è accaduto nei confronti di voi ebrei considerati razza inferiore, non siamo forse
tutti uguali? Certo che sì!
Ti ammiro molto per il coraggio che hai nel dare delle testimonianze, perché non se ne
trovano facilmente persone come te.
A presto. Ciao, Joele
Caro Nedo,
sono un ragazzino di 11 anni e frequento la classe prima della scuola secondaria di primo grado di
Minerbe, in provincia di Verona.
Io abito a Bonavigo, un paese vicino, con la mia famiglia: papà, mamma, una sorella e un fratello,
entrambi più piccoli di me.
Ho conosciuto la tua storia tramite la mia insegnante d‟italiano, che ci ha letto alcune parti del tuo
libro “A 5405 - Il coraggio di vivere”, dove racconti la tua esperienza di deportato al campo di
concentramento di Auschwitz.
Quello che mi ha colpito, è che in questo campo hai perso tutta la tua famiglia ma sei riuscito
comunque a non perderti d'animo; hai voluto raccontarci tramite i tuoi libri e la raccolta di molti
documentari quello che è successo in quel campo.
È grazie a te, e ad altri sopravvissuti, che nel raccontare la vostra esperienza è possibile ricordare
ancora una cosa così tremenda, in modo che nessuno possa dimenticare quello che alcuni uomini
possono fare ad altri uomini solo perché di religione e di razza diverse.
Prima che la mia insegnante ci parlasse della tua storia, sapevo già cosa era successo durante la
seconda Guerra Mondiale, avevo visto alcuni film ed i miei genitori mi hanno raccontato quello
che ricordavano dalle loro conoscenze scolastiche e per aver letto alcuni libri sull'argomento.
So che verrai presso il teatro S. Lorenzo di Minerbe per raccontarci di persona tutto quello che hai
vissuto, verrò sicuramente ad ascoltarti, perché anche se sono ancora giovane, mi piace molto
conoscere quello che è successo in passato, soprattutto se questo può aiutarci a non compiere più
un orrore così grande.
Cordiali saluti, Filippo
Da “A 5405 Il coraggio di vivere”
Nedo Fiano
COSA POTEVAMO FARE
“…Giulio era distrutto…nel giro di un paio di settimane era molto
dimagrito e i suoi begli occhi non brillavano più.Una mattina raggiunse
il mio letto e mi gridò disperato:” Nedo, Nedo, mi hanno rubato gli
zoccoli!” e poi esplose in un pianto dirotto.Ero sconvolto, non sapevo
cosa fare, cosa rispondergli e mi precipitai giù dal mio letto. Appena a
terra, Giulio fu afferrato da qualcuno – Un Kapo!- il quale gli gridò:
“Italiano, non pensare di riposarti: tu vieni al lavoro anche senza
scarpe. Capito?”.
Così Giulio dovette venire al lavoro a piedi scalzi: morì nella neve,
senza che io potessi sentire il suo pianto, perché l‟avevano messo
lontano da me. .. Mi sono spesso interrogato se avrei potuto fare
qualcosa per lui. Purtroppo non c‟era niente da fare. Tutti dormivamo
senza toglierci gli zoccoli, però quella notte- forse perché stanco mortol‟aveva dimenticato e se li era tolti…”
“…Perlasca, Schindler, Wallenberg sono stati un esempio di quanto può
la determinazione di uomini giusti e decisi a tutto, nelle emergenze,
anche di fronte a un nemico forte e spietato.
La vita è un valore irrinunciabile nelle nostre mani. Non abbiamo il
diritto di aspettare che l‟aiuto possa venire dagli altri, piuttosto che dal
nostro coraggio…”
COSA POSSIAMO FARE
“… La lezione della Shoah – una delle tante, ma non una delle meno
significative – è che dal male non bisogna mai farsi trovare in silenzio.
Che, specie nella situazione storica moderna, la conoscenza,
l‟informazione, sono tra gli strumenti più adatti per opporsi e sperare di
sconfiggere il male, dal momento che, seppure in modi che possono di
volta in volta variare, il male moderno ha un bisogno sostanziale del
consenso e della partecipazione passiva di molti: spesso, come si è visto,
delle sue stesse vittime…”
Udite questo, anziani,
porgete l‟orecchio voi tutti
abitanti della regione.
Accadde mai cosa simile ai giorni nostri
O ai giorni dei vostri padri?
Raccontatelo ai vostri figli
e i figli vostri ai loro figli
e i loro figli alla generazione seguente.
Libro di Giole 1, 2 - 3