Giuseppe Campione - rotocalco moleskine

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Giuseppe Campione - rotocalco moleskine
L’angelo della storia e la memoria
Giuseppe Campione
S
Paul Klee, Angelus Novus
la rivista contribuì a cristallizzare, a perpetuare e
a legittimare queste rappresentazioni xenofobe, le
quali erano assurte a ideologia dominante (non
dimentichiamoci che, in quel contesto, l’epiteto
“razzista” andava inteso come un complimento).
Ma l’elemento di relativa novità era costituito
dalla pretesa (presa in prestito dalle teorie
ottocentesche circa la naturale “ineguaglianza
delle razze”) di dare basi scientifiche al razzismo,
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eguendo il canone interpretativo di Walter
Benjamin, l’Angelus Novus di Paul Klee è
altrimenti nominabile come l’Angelo della
Storia. Ma in che cosa consista la sua novitas non
ci viene detto. In quel quadro pare trasformarsi
nell’Angelo Giudicante. L’Angelo della Storia.
Vede la storia e i suoi lutti, lutti da giudicare? Una
tempesta spira però dal Paradiso e gli impiglia le
ali per impedirgli di “ricomporre l’inferno”.
Anche il Papa aveva parlato del silenzio di Dio.
Dio che nasconde il suo volto “per tutto il male
… fatto” (Deuteronomio 31:18). Dietro il celarsi
di un volto si nasconde l’incapacità umana di
vederlo quando c’è. E nelle scritture il: <non
nascondermi il tuo volto> lo troviamo come
espressione di una angoscia e di una ricerca
costante. E allora l’olocausto come assenza di Dio
o anche e soprattutto come assenza dell’uomo?
Questa è stata la rimemorazione della apertura
dei cancelli di Auschwitz, dove si compì in larga
misura lo sterminio degli ebrei. Rimemorazione
che, si è detto, non può diventare routine, ma
servire per riannodare i fili della storia della tragica
unicità della Shoah. La memoria dei crimini
commessi, anche da noi, non si compensa solo
ricordandoci che fummo capaci di ribellarci alla
tirannide o che singoli aiutarono molti a salvarsi,
ma auspicando luce sulle pagine scomode.
Sfogliando ad esempio le pagine della “Difesa
della razza”, come fa Valentina Pisanty, in un libro
che è stato presentato a Milano da Umberto Eco,
si rimane colpiti dall’abbondanza degli stereotipi
razzisti tramite cui, in ogni numero della rivista,
i diversi gruppi umani (ebrei, africani, slavi,
meticci, ecc.) venivano denigrati per sostenere,
per contrasto, la presunta superiorità della “pura
razza” ariana (o italiana). Da questo punto di
vista, la “Difesa della razza”, e alcuni geografi
furono complici anche con le teorizzazioni sulla
geopolitica totalitaria, non fece che attingere da
un vasto repertorio di pregiudizi già sedimentati
nella mentalità comune. Casomai, si può dire che
Scena da “La vita è bella”
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legittimandone i fondamenti.
Giornata della memoria quindi per comprendere
il senso di eventi orrendi e per tentare di capire
con uno sforzo continuo della ragione il perché
ciò sia potuto accadere. L’oblio è il contrario
della storia. Si è ricordato non solo per capirne le
cause ma per verificare se esse in qualche modo
sopravvivono nel nostro tempo. Allora ci fu una
cultura della discriminazione razziale che diventò
l’ideologia portante di un regime; una strategia
industriale, tecnologicamente adeguata, dello
sterminio; una ricerca spietata della vittima fino
all’annichilimento. Questo può in qualche modo
ripetersi?
“Non ci sono demoni, scriveva Primo Levi, in
<La ricerca delle radici> assassini di milioni di
innocenti sono gente come noi, hanno il nostro
viso, ci rassomigliano”.
Certo è difficile oggi bloccare, per via delle
vicende mediorientali, l’alibi di comodo secondo
cui le vittime di allora sarebbero i carnefici di
oggi. Ma, proprio per esorcizzare le fughe in
avanti del riduzionismo e dell’antisemitismo,
questo ricordare l’incommensurabile tragicità
era come se non conoscesse canto. Vedeva la
storia e i suoi lutti, i lutti che propongono il tema
dell’onnipotenza di Dio.
Davanti a noi si aprono stupefatti, angosciosi
interrogativi. Quelli ad esempio che la coscienza
ebraica ha incontrato ad Auschwitz: un abisso di
smarrimento e di dolore, proprio questo problema
sollevava un apice di angoscia sull’ontologia del
male (in ultima istanza riportabile a Dio, o da
Dio impotentemente subìto?). Lo smarrimento e
l’angoscia non sarebbero così intensi se tutto non
fosse in gioco, ossia il senso stesso della vita e
l’essenza di Dio.
Hans Jonas infatti, nel <Concetto di Dio dopo
Auschwitz>, aveva affermato -il suo vorrebbe
essere più che un paradosso- che ”certamente
Dio dovrebbe essere incomprensibile se con
la bontà assoluta gli venisse attribuita anche
l’onnipotenza”. E aggiunge che Dio non sarebbe
intervenuto “ non perché non lo volle, ma perché
non fu in condizione di farlo”. In altri termini:
concedendo all’uomo la libertà è come se
avesse rinunciato alla sua potenza. Da qui la sua
impossibilità di intervenire nella storia del mondo.
Alla fine però, e non poteva dire diversamente,
Jonas riconosce che ogni teodicea, cioè ogni
tentativo -compreso il suo- di rispondere a quelle
che erano state anche le domande inquietanti
domande di Giobbe, è soltanto un “balbettio”.
Ma tutto questo interrogarsi certamente
scandaloso, questo sofferto “balbettio” ci riporta
all’assurdo non solo umano di quella storia.
Ma non è dalla filosofia che può giungerci la
salvezza, aggiunge altrove Hans Jonas: questa
ha la missione unica di tener vive le “antiche,
venerabili, grandi idee della sfera etica e di
riformularle in accordo ai nuovi modelli cognitivi.
Per la responsabilizzazione etica dell’umanità.
Un ragazzo salvato dal campo di sterminio
e divenuto premio Nobel, Imre Kertesz così
dirà su un libro<Il secolo infelice>, presentato
dall’ultimo domenicale del Sole24ore: …qualsiasi
dittatura contiene in sé la virtualità di Auschwitz.
E una rimeditazione del famoso detto di Adorno,
secondo cui, dopo Auschwitz, non si possono
più scrivere poesie. Kertesz lo rilegge così: dopo
Auschwitz si possono scrivere poesie solo su
Auschwitz.
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della Shoah, deve significare che bisognerà far
si che i due popoli sperimentino finalmente un
futuro di convivenza. Anche il Papa, che qualche
anno fa aveva chiesto perdono per i negligenti,
e talvolta indirettamente complici, atteggiamenti
della Chiesa e di tanti cattolici, ha sottolineato
come non occorrano muri tra i due popoli, bensì
ponti per una nuova comunicazione. Questi due
popoli per continuare a vivere dovranno volenti
o nolenti imparare a vivere assieme. “Perché se
la storia è tanta, forse perfino troppa, lo spazio è
poco e bisogna rassegnarsi a condividere…” La
strada che porta al futuro è una soltanto, senza
equivoci di sorta: due stati per due popoli che
una volta erano nemici (Elena Loewental). Banale
utopia, ma anche l’unica ammissibile Realpolitik.
Così la memoria che separa l’umano dal disumano
sarà più forte delle contrapposizioni politiche e
anche territoriali. Ma la memoria non tornerà per
via delle commemorazioni. Dovrà venire da sola.
Dovrà rinascere dentro. Deve ridiventare cultura,
punto di riferimento, di aggregazione. Patrimonio
degli uomini del nostro tempo.
Quelli che uscivano in quei giorni da Auschwitz,
scrive ne <La Tregua> Primo Levi, ”non
salutavano, non sorridevano; apparivano oppressi,
oltre che da pietà, da un confuso ritegno…era
la stessa vergogna…che il giusto prova davanti
alla colpa commessa da altrui, e gli rimorde che
esista, che sia stata introdotta irrevocabilmente
nel mondo delle cose che esistono e che la sua
volontà sia stata nulla…”. E allora il punto era
di capire… “perché…Auschwitz è stato un
accidente della storia…”. E di interrogarsi: “non
si ripeterà più o e destinata a ripetersi come una
modalità inscritta nel DNA del genere umano?”
Nell’insonnia della ragione adesso si rinnova
la rimemorazione della apertura dei cancelli
di Auschwitz, dove si compì in larga misura lo
sterminio degli ebrei. Rimemorazione che non
può diventare routine, ma che deve servire per
riannodare i fili della storia della tragica unicità
della Shoah. Giornata della memoria quindi per
comprendere il senso di eventi orrendi e per
tentare di capire con uno sforzo continuo della
ragione perché ciò sia potuto accadere.
L’Angelo della Storia ha cantato inni di lode e
forse attende di cantarne ancora. Però al momento