Prodi è già il dopo-Prodi

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Prodi è già il dopo-Prodi
Fuoritempo
Prodi è già il dopo-Prodi
Inviato da Angelo Baracca da "Il Manifesto"
venerdì 03 agosto 2007
Con gli ultimi provvedimenti di segno inequivocabile questo governo è arrivato al limite. Ma il dibattito non affronta, a
mio avviso, nodi fondamentali sulle prospettive politiche. Mi ha colpito il lucido intervento di Alberto Burgio (26 luglio), che
sembra scritto da un irriducibile oppositore del governo: ma sono convinto che a livello parlamentare le scelte e i
comportamenti non siano valutabili con il metro del militante o del cittadino, io non mi candiderei, ma qualcuno deve pur
farlo. Del resto, mi sembra molto tardiva la dilagante resipiscenza sul «governo amico»: amico di chi? Vorrei capire dai
tardivi folgorati sulla via di Damasco perché lo votarono: si aspettavano qualcosa di diverso da un democristiano di
lungo corso, Amato, Rutelli, Bonino, Di Pietro (ormai venduto alle lobby delle grandi opere), Mastella, e soprattutto i
poteri forti che stanno dietro di loro? Illusi o ingenui? Non discuto che qualcosa di più ci si poteva aspettare, se non altro
per i (pur generici) punti disattesi nel programma.
Sono convinto che il dilemma, fin quando sostenere ancora o far cadere questo governo, sia molto astratto se non si
analizzano più attentamente le caratteristiche della congiuntura politica e le sue prospettive; non solo in Italia. La
crescente sicurezza e il decisionismo di Prodi indicano che i giochi sono in gran parte fatti, sono ormai definiti e
irrevocabili gli impegni che egli ha preso con i poteri forti interni e internazionali (Usa, Nato, Israele). Temo (spero che i
fatti mi smentiscano) che né Prodi né un futuro governo torneranno indietro sulla precarietà del lavoro, il sistema
pensionistico, le grandi opere, la spesa militare (e il suo indirizzo), la base di Vicenza, il G8 (anche Genova 2001): a
nessun costo! Il decisionismo di Prodi guarda ben al di là dell'attuale compagine: egli si è evidentemente legato mani e
piedi, in modo non negoziabile, agli Stati uniti, alla struttura imperialistica della Nato, ai poteri forti, prefigurando un
disegno conservatore che va molto al di là di lui, e del nostro paese; e non è negoziabile!
Per vederlo con chiarezza dobbiamo staccarci da un'ottica provinciale e guardare il panorama internazionale. Credo che
si stia aprendo una fase di non breve periodo, di fronte alla quale dovremo ripensare le nostre idee e le nostre strategie,
ben al di là e più a fondo di riposizionamenti, o irrigidimenti. Una decina di anni fa l'Europa era in mano alle
socialdemocrazie: forse né quella situazione, né il suo esito sono stati un caso. Sono ammirato e sgomento di fronte al
capolavoro che sta facendo Sarkozy! Senza dubbio facilitato dallo sbandamento della sinistra: che però non è che il
disorientato sussulto di ritorno della resa incondizionata ai valori del mercato. Non dimentichiamo che il lucido disegno di
Sarkozy è stato preceduto dal «liburismo» di Blair e dalla grande coalizione tedesca. Sono convinto che questo sia il
disegno che si profila nel futuro in tutto il continente: lo smantellamento della sinistra e la sua cooptazione al disegno
conservatore. Il dopo-Prodi non sarà una deriva ma un disegno conservatore; non sarà Berlusconi ma una vasta
convergenza di fondo, che già si prepara, e dovrà liberarsi proprio del «cavaliere» da un lato e dalle macerie della sinistra,
dall'altro. Questa, e non altra, è la strategia su cui nasce il Pd.
La sfida è alta e va al di là dei nostri strumenti di analisi e di azione tradizionali. Abbiamo trascurato aspetti che giocano
un ruolo cruciale, come il controllo dell'informazione e il rincoglionimento della gente. Nel non incoraggiante quadro
internazionale, forse l'America latina indica una strada nuova (che non a caso non trova simpatia alcuna nella nostra
sinistra, che preferisce il liberismo): ma la struttura sociale di quei paesi risveglia una coscienza dei popoli indigeni. Da
noi la conflittualità sociale può configure sacche di resistenza, che si radicalizzeranno ma che rischiano di non scalfire la
logica sempre più repressiva del sistema. Come rilanciare nuove forme di coinvolgimento sociale, di sensibilizzazione e
unità, è un aspetto della sfida.
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