Il testo sullo schermo Autore: Alessandra Anichini

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Il testo sullo schermo Autore: Alessandra Anichini
PON TECNOLOGIE PER LA DIDATTICA CORSO AVANZATO
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Il testo sullo schermo
Autore: Alessandra Anichini
1. Il testo sullo schermo
Nel volume Lo stile del Web, Franco Carlini parlava di “trionfo della parola" anche
sulla rete, dimostrando come, nel corso dei secoli, nonostante la presenza di
discontinuità palesi, la lingua scritta non sia stata soppiantata dall'uso di altre forme
espressive e comunicative. Qualche anno è passato dalla pubblicazione di questo
illuminante volume e qualcosa sta cambiando, anche se la parola continua a
rappresentare uno degli strumenti di comunicazione più efficaci ed economici.
Per assolvere a vecchie e a nuove funzioni che le sono affidate, il testo scritto si
aggiorna, recuperando un’attenzione nuova allo stile e valenze visive, troppe volte
trascurate.
Paradossalmente, la nuova scrittura, costretta in un'economia di spazio (anche se in
apparenza privo di limiti) obbliga a ponderare il testo con estrema cura, a valutare
la scelta di ogni parola, l’organizzazione del discorso e la costruzione della frase,
oltre agli aspetti visivi.
Qualcuno, nei primi anni del Web, ha già accostato la nuova scrittura a quella che
Calvino teorizzava nelle Lezioni americane: una scrittura leggera, molteplice,
visibile, esatta e rapida.

Leggera, perché impressa sul monitor di un computer, nello spazio esiguo
dello schermo, affidata ai bit senza peso del codice binario.

Rapida, perché rispondente alle esigenze di un lettore che cerca in tempi
brevi l'informazione che gli è utile.

Molteplice, perché ricca di dati di natura diversa: suoni, immagini,
animazioni.

Visibile, perché dominata da elementi visivi.

Esatta, se si fa riferimento alla necessità di precisione, in un’economia di
spazi e di tempi più che evidente.
I nuovi testi dovrebbero quindi richiedere una cura espressiva particolare. Una cura
che dovrebbe esprimersi nella capacità di sintetizzare, di limare il testo,
garantendogli, tuttavia, chiarezza e ricchezza espressiva.
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La scrittura per lo schermo ci obbliga a recuperare le buone regole per una scrittura
efficace, già valide anche per la carta, ora più che mai necessarie, nella ricerca,
tuttavia, di quello scarto, quell’in più che possa caratterizzare davvero un nuovo
genere di testi che i nuovi supporti, le nuove forme di scrittura rendono oggi
possibili.
2. Aspetti visivi del testo scritto
La lettura comincia dagli occhi: "la vista è il più acuto dei nostri sensi" scriveva
Cicerone, sostenendo quanto sia più facile ricordare un testo se lo abbiamo visto
piuttosto che ascoltato soltanto.
Eppure, ai suoi esordi, la scrittura si è presentata come la traduzione grafica di un
suono, la possibilità di imprimere su un improbabile ‘registratore’ la voce di un
autore lontano. Nei manoscritti antichi, il flusso indistinto di parole e frasi
testimonia il predominio del suono e presuppone un lettore che interpreti e
restituisca sonorità a quei pensieri altrimenti muti.
"Le parole scritte, fin dai tempi delle prime tavolette sumere, erano intese per
essere pronunciate ad alta voce, perché quei segni recavano implicita una sorta di
anima, che era il loro suono. [...] La frase classica 'scripta manent, verba volant' che
ai giorni nostri è passata a significare 'ciò che è scritto rimane, ciò che è detto
svanisce nell'aria', esprimeva l'esatto opposto; fu coniata in lode alla parola
pronunciata ad alta voce, che ha le ali e può volare, rispetto alla parola muta scritta
sulla pagina,che è immobile, morta".
Con il tempo, all’interno dei primi testi manoscritti e successivamente con la
stampa, l’attenzione agli aspetti grafici di un testo è cresciuto in maniera graduale.
Le parole si sono separate, il rigo ha acquistato una sua regolare lunghezza, si sono
stabilite interlinee adatte a favorire la lettura, le lettere sono state disegnate in
modo da essere facilmente leggibili, oltre che piacevoli di aspetto. Il tutto sempre
orientato ad agevolare il lettore nella sua attività di decodifica del testo. Il libro ha
acquistato l’aspetto che ha mantenuto poi inalterato nei secoli con i parametri che
hanno reso possibile e anzi hanno favorito il passaggio a una lettura silenziosa e
solitaria.
Oggi è sperimentalmente dimostrata l'efficacia dei raggruppamenti visivi per la
memorizzazione di una serie di parole. Un impianto tipografico ben congegnato
agevola la memoria ed è da preferirsi rispetto a una superficie uniformemente
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occupata da lettere, soprattutto quando il lettore scorre velocemente le pagine del
testo: la memoria iconica, la traccia fugace dello stimolo visivo che si imprime nella
mente dell'osservatore contribuisce notevolmente a trattenere le informazioni
ricevute.
Un testo tipograficamente organizzato fornisce, infatti, una serie di puntelli visivi
che fissano in maniera più duratura le informazioni percepite. Oltre a favorire la
memorizzazione, l’organizzazione tipografica rende un testo più semplice alla lettura
e può contribuire ad enfatizzare il messaggio in esso contenuto.
Esistono alcune regole-base, ormai di uso comune, a cui ci si attiene nel momento
della stampa di un volume, che svolgono un ruolo-chiave per la leggibilità,
favorendo nel lettore automatismi visivi di grande aiuto nella decodifica del testo:
sfogliando una serie di pagine o di schermate l'occhio tenderà a cercare sempre
nella stessa posizione una colonna di testo, un'immagine o un titolo.
A una prima occhiata, lo sguardo registrerà subito il modello-base
dell'impaginazione e tenderà a conservarlo per tutta la lettura successiva. Un testo
le cui pagine, dalla prima all'ultima, siano organizzate secondo la stessa griglia di
base, agevola la lettura e consente al lettore di economizzare i propri sforzi.
I principi-chiave della grafica su carta sono estendibili, in parte almeno, anche ai
testi a video, se si tiene conto tuttavia delle diverse dimensioni dello spazio di
scrittura e della maggiore difficoltà della lettura a video. L’attenzione alle norme
sarà anzi più necessaria che mai, tenendo conto proprio delle difficoltà maggiori,
per questo motivo la consueta attenzione alla parte visiva di un testo diventa
irrinunciabile nei testi destinati a una lettura sul monitor.
Un buon impianto tipografico dipende sempre dal contrasto fra blocchi di testo e
spazio vuoto: una pagina in cui il contrasto visivo sia sapientemente dosato risulterà
piacevole alla vista perché più facile alla lettura. Lo spazio bianco può assumere, del
resto, anche precise funzioni espressive, corrispondendo sempre a una pausa
narrativa, a un intervallo: è lo spazio concesso al lettore per indugiare sul testo e
fermarsi a riflettere.
Lo spazio scandisce il testo creando le pause, isolando i paragrafi :
"Gli spazi corrispondono a un codice segreto, che è in relazione con il tempo
narrativo: se lo spazio tipografico è maggiore, si intende che nel racconto è passato
più tempo. Quasi sempre questo lasso si controlla attraverso il punto: meno tempo,
punto e di seguito; più tempo, punto e a capo. Così che, se a un punto e a capo
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normale si aggiungono due o tre spazi bianchi o semplicemente uno spazio
maggiore di quello che gli è dovuto quanto tempo è trascorso? E, se questo spazio
aggiuntivo si creasse in mezzo a un dialogo, sarebbe spaventoso, perché darebbe
l'impressione che è passato un anno tra la domanda e la risposta".
Sono parole di Gabriel García Màrquez, che continua raccontando il suo disagio di
fronte a una tipografia che per seguire esigenze di tipo commerciale non rispetta le
volontà dell'autore:
"Gli impaginatori di libri, discendenti dei compositori e dei tipografi delle vecchie
stamperie,si indignano di fronte alla possibilità che in una pagina restino righe in
sospeso,o meglio, mezze righe, meno della metà di una linea. Chiamano queste
codine 'vedove'. Può succedere che ci sia una pagina, per esempio, alla fine di un
capitolo, il cui unico testo sia una vedova. In questo caso si fa tutto il possibile. Per
ragioni di estetica tipografica e anche per ragioni economiche, come poi vedrete,
per spostare in avanti, cioè per prendere dalla pagina precedente -una o due righe,
a volte anche tre; e con questa compagnia la vedova smette di essere vedova e
tutti sono soddisfatti. Tutti meno l'autore.
Perché nello spostare quelle righe, succede che nella pagina precedente resti in
bianco lo spazio equivalente e l'impaginatore, perché non si noti tale vuoto,
'distribuisca' gli spazi tra paragrafo e paragrafo. Non so se il lettore li noterà o no,
ma io li scopro subito; mi salta agli occhi se dove avevo lasciato un solo spazio ora
ce n'è un altro più ampio".
Questa rivendicazione dei diritti "tipografici" sul proprio testo è una vecchia storia,
iniziata con l'invenzione della stampa e culminata nelle lotte per i diritti d'autore
sull'opera letteraria. La pagina bianca del "Tristram Shandy" di Laurence Sterne,
corrispondente al silenzio del narratore, è l'emblema della volontà un po' bislacca
dell'autore imposta alla scelta economica dello stampatore.
3. La forma del testo
L’occhio di un grafico come Albe Steiner colloca nella prima metà del XVI secolo
l'inizio della struttura dell’impaginato attuale. Dal 1525 in poi, le sperimentazioni
tipografiche tipiche di un periodo di assestamento, a pochi anni dall'invenzione e
diffusione della stampa lasciano il posto a una definizione più rigida delle regole di
impaginazione di un testo e il libro assume l'aspetto odierno, con intestazioni,
capitoli, titoli, margini, eccetera.
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Negli stessi anni, si precisa anche la distinzione tra il decoro, gli elementi, cioè, di
puro abbellimento di un volume, e le norme tipografiche (illustrazioni comprese),
ossia tutto ciò che contribuisce a facilitare la lettura e a renderla più stimolante e
chiara.
Da allora, da quasi cinque secoli, il lettore è abituato all'attuale forma del libro e
agli standard che si sono gradatamente definiti; oggi, di fronte alle appassionanti
vicende di un romanzo, è sicuramente disposto a sopportare le pagine ruvide e
ingiallite di un'edizione economica dai fogli mal fermi e precari, ma non gradirebbe
la stessa lettura su un lunghissimo papiro, o sui fogli dalle dimensioni smisurate di
un quotidiano vecchia maniera.
Si stancherebbe presto, la vista finirebbe per perdersi in una fitta e uniforme trama
di righe nere; la fatica della decodifica di un senso affidato alle lettere dell'alfabeto
finirebbe per avere la meglio sul piacere immediato della lettura. A maggior
ragione, gli risulterebbe molto complicato e poco lusinghiero studiare le fasi lunari
su un volumetto tascabile privo di tavole dei contenuti e di illustrazioni, o fare una
ricerca senza l'ausilio di indici, titoli, didascalie, immagini e grafici.
II supporto (o meglio la "forma" del testo) ha sempre la sua importanza, se non
altro perché pratiche secolari ci hanno ormai assuefatto a semplici gesti come
quello di voltare pagina, leggere dall'alto verso il basso e da sinistra a destra, dalla
prima fino all'ultima pagina di un volume, cercare conferma e chiarimenti nelle
illustrazioni di testi divulgativi o nelle note a piè di pagina, leggere in posizione
supina, reggendo con una sola mano il peso di un volume leggero, tanto piccolo da
stare anche dentro a una qualunque tasca.
“Il testo non esiste di per sé, svincolato da ogni materialità, […] non vi è testo senza
il supporto che lo offre alla lettura, senza la circostanza in cui esso viene letto". Si
risolve così l'eterno dissidio tra contenuto e contenitore, tra sostanza e forma,
poiché "le forme producono senso e [...] un testo è investito di un significato e di
uno statuto inediti quando cambiano i supporti che lo propongono alla lettura”.
4. Alcune regole per la leggibilità
4.1 Spazi
La leggibilità di un testo è determinata dagli spazi tra caratteri, parole e righe.
Risulta ovvio che lo spazio tra i singoli caratteri di una parola deve essere sempre
inferiore a quello tra le parole, a sua volta inferiore a quello tra le righe.
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Per una lettura più agevole, la spaziatura fra le parole deve essere quanto più
possibile uniforme. Lo spazio tra le righe è un importante veicolo di significati: un
aumento di spaziatura tra due righe rispetto allo standard determina le pause
talvolta necessarie all'organizzazione concettuale di un brano.
Una pagina in cui gli elementi siano disposti in maniera simmetrica risulta
generalmente più riposante, anche se l'asimmetria può talvolta essere funzionale
all'enfasi da assegnare a un elemento piuttosto che a un altro. La regola-chiave è
semmai quella di non mescolare mai simmetria con asimmetria sullo stesso spazio
visivo, se non nel caso in cui si cerchi volutamente un effetto stridente.
4.2 Caratteri
La leggibilità è senza dubbio il primo criterio che si impone nella scelta del
carattere, anche se il valore connotativo posseduto da ogni tratto esprime
particolari significati, evoca nel lettore associazioni e rimandi. Il carattere
rappresenta ciò che Crawford Dunn chiama "parasegnale", indicando con questo
termine tutto ciò che amplifica e rafforza quanto espresso dall’"alfasegnale", la
cosiddetta "parte oggettiva di un messaggio".
Al di là della loro funzione puramente alfabetica, i caratteri hanno proprietà
stilistiche, culturali ed espressive, acquisite nel tempo e con l'uso.
Nel 1902 il designer e architetto Peter Behrens affermava che, dopo l'architettura,
la tipografia "fornisce il quadro più caratteristico di un periodo e la maggiore
testimonianza del progresso spirituale e dello sviluppo storico". La scelta di un
carattere non risulterà, dunque, mai del tutto innocua. Faciliterà o complicherà la
lettura, la caricherà di valenze emotive: lo scrittore dovrà sempre tener conto della
corrispondenza che si stabilisce tra carattere tipografico e contenuto semantico.
Un testo risentirà in maniera determinante del carattere in cui sarà stampato, sia
che esso crei con il contenuto semantico un rapporto di rafforzamento sia che
stabilisca con esso una relazione di contrasto.
Nati prima come imitazione delle lettere manoscritte, i caratteri a stampa si sono
definiti e moltiplicati nel corso degli anni fino a raggiungere la grande varietà di
oggi. L’informatica, infine, ha dato a tutti il modo di utilizzare caratteri personalizzati
con poco sforzo.
La principale distinzione riguarda la suddivisione tra "graziati" e "bastoni", tra quelli,
cioè, abbelliti da riccioli e terminazioni e quelli più geometrici, privi, appunto, di
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"grazie". I caratteri graziati sono utilizzati per comunicare una certa eleganza,
morbidezza e velocità di lettura. Il bastone è più repentorio, sottolinea l'asciuttezza
e il carattere informativo della comunicazione; risulta, spesso, meno leggibile, se
non nel caso in cui raggiunga dimensioni maggiori di quelle consuete.
I caratteri oggi esistenti sono migliaia. Questo ha determinato l'esigenza di tentare
una classificazione delle tipologie.
Negli anni Cinquanta lo storico francese Maximilian Vox ha suddiviso i caratteri in:

Umanistici (Centaur, Jenson),

Romani antichi (Garamond, TimesRoman);

Transizionali (Baskerville, Perpetua);

Romani moderni (Bodoni, Torino),

Nuovi transizionali (Century, Cheltenham);

Egiziani (Beton);

Lineari grotteschi (Helvetica, Franklin Gothic);

Lineari geometrici (AvantGarde, Futura);

Lineari umanistici (Cill, Optima);

Lapidari (Albertus);

Calligrafici;

Stilizzati.
In Italia, Giuseppe Pillitteri ha messo a punto una classificazione basata sul sistema
morfologico:

Lineari (senza terminali);

Rettiformi (con grazia rettangolare);

Angoliformi (con grazia triangolare);

Curviformi (con grazia modulata);

Digradanti (con grazia curvi-filiforme);

Contrastati (con grazia filiforrne);

Scritti-Manuali-Estemporanei;

Fratti (scritture gotiche e rotonde);

Fregiformi (con terminali fregiati);

Fantasie-Ibridi-Aberrazioni.
Aldo Novarese propone un'altra classificazione:

Lapidari;

Medievali;
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
Veneziani;

Transizionali;

Bodoniani;

Scritti;

Ornati;

Egiziani;

Lineari;

Fantasie.
Alcuni caratteri sono più facilmente adattabili, hanno il vantaggio di risultare
perfettamente armonici e leggibili anche se spinti a grandi dimensioni o a
piccolissime.
Molti caratteri sono disponibili in più di una variante: l'insieme delle varianti viene
chiamato "font".
Oggi, grazie alla facilità con cui un carattere può essere disegnato, tutti i font
comprendono una variante chiara e una nera, entrambe con tondo e corsivo. In
alcuni casi esistono variabili ulteriori: extra-light, extra-bold, condensed, extended.
Il carattere più utilizzato nei testi a stampa è il Times New Roman, poiché offre il
rapporto più vantaggioso tra leggibilità e concentrazione del testo. Per i testi a
video si preferisce optare per il Verdana o il Georgia, appositamente studiati per la
lettura a video. Il corpo consigliato è il dodici, oltre il quale è bene non scendere, se
si vuole garantire leggibilità al testo.
I caratteri graziati, si diceva, sono generalmente considerati più leggibili dei bastoni.
La regola non vale, tuttavia, nel caso in cui lo sfondo su cui compare il testo non sia
unito, bensì presenti immagini sfumate di background: in questo caso, un carattere
a bastoni risulta più leggibile, poiché si confonde meno tra le immagini di sfondo.
4.3 Elementi di enfatizzazione
Rispetto ai colleghi dei secoli scorsi, chi scrive per lo schermo ha oggi a sua
disposizione una serie assai ampia di possibilità: colori, caratteri, grassetti, segni
particolari, effetti speciali, tutti a portata di mano e facilmente fruibili.
Si potrà scegliere tra una vasta gamma di opzioni le soluzioni più funzionali ai
contenuti trattati e agli obiettivi del testo. La creatività tipografica sarà messa a dura
prova dalla ricchezza degli strumenti: tuttavia, sono consigliabili alcune regole
dettate da una pratica tipografica vecchia di sei secoli:
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
una pagina densa di testo non differenziato apparirà al lettore, al primo
impatto, come una parete grigia priva di senso, tanto che si tenderà a
leggere riconoscendo la sagoma della parola prima ancora di scandire le
singole lettere e poi ricombinarle;

un testo in grassetto, colorato o sottolineato emerge sempre all'interno di
un testo semplice;

il nostro occhio tende a visualizzare la parte alta dei caratteri e riconosce
meglio le parole in base alla differenziazione dell'altezza: per questo motivo
una sequenza di caratteri minuscoli, dotati di lettere di altezze diverse, risulta
più leggibile rispetto a un testo completamente maiuscolo.
Diversi sono i sistemi per mettere in evidenza una parola o una frase all'interno di
una parte indifferenziata di testo.
Se si tratta di evidenziare una singola parola, l'uso del grassetto risulta la strategia
più efficace. Diverso il caso in cui si voglia evidenziare un'intera frase: in questo
caso il grassetto tende ad appesantire troppo il testo e gli toglie leggibilità.
Nel caso che il pezzo da evidenziare sia particolarmente lungo, il grassetto
perde di efficacia ed è preferibile usare il corsivo, un po' come avviene per le
citazioni nei testi a stampa.
L’uso del corsivo può sostituire il grassetto, quando questo appare troppo pesante.
Il corsivo ha tuttavia lo svantaggio di essere già utilizzato, secondo standard noti,
per le parole straniere o per i titoli, e questo può determinare confusione nel
lettore.
Il MAIUSCOLO risulta generalmente troppo forte all'interno di un campo di testo: la
sua diversa dimensione tende a spezzare l'armonia del testo. È preferibile, allora,
utilizzare il maiuscoletto.
L’uso della sottolineatura confonde maggiormente il lettore, anche perché
generalmente le parole sottolineate indicano, nei testi in Rete, la presenza di un
link.
L’a u m e n t o - d i - s p a z i a t u r a tra lettere può costituire un sistema
alternativo, ma è poco piacevole e tende a rompere il ritmo della lettura.
L’uso di colori diversi può essere uno degli espedienti da utilizzare.
Un altro sistema per segnalare una lunga frase può essere quello di utilizzare i
rientri. Ma questo sistema funziona bene solo nei testi ad allineamento giustificato.
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L’uso di segni grafici aggiuntivi come "bullet" (trattini, numeri, pallini), freccette,
eccetera rappresenta un ulteriore richiamo per l'attenzione.
Un capolettera rialzato o ribassato, con fondino, può dare enfasi all'attacco di un
brano.
Esistono, infine, i filetti, i riquadri e altri accorgimenti grafici che isolano il testo
tramite linee di vario spessore e colore.
4.4 Tipografia dei titoli.
Il titolo deve attrarre il lettore e deve garantire la possibilità di una lettura parziale
del testo. L’aspetto dei titoli assume grande rilievo all'interno della pagina; è utile
fornire alcune indicazioni di base per la scrittura di titoli efficaci nella presentazione.
Ancora una volta si tratta di norme tipografiche valide su carta che possono valere
anche per i testi a video.

Un titolo molto lungo scritto in carattere maiuscolo diventa illeggibile. Una
sola parola in maiuscolo, viceversa, si perderà nella pagina.

Il titolo può essere scritto con un corpo maggiore rispetto al testo, anche se
la differenza non deve essere eccessiva. Un corpo superiore a quello del
testo sarà sufficiente per una pagina che non contiene sottotitoli. È
consigliabile che il titolo generale sia scritto in corpo maggiore rispetto a
eventuali sottotitoli.

Per evidenziare un titolo, il grassetto può essere utilizzato in aggiunta al
corpo maggiore.

Un titolo maiuscolo e centrato conferisce alla pagina un aspetto più classico.

Il corsivo, più sottile, deve essere utilizzato per titoli di livello molto basso.

Filetti che racchiudono il titolo possono essere efficaci elementi di
enfatizzazione in luogo di un grassetto.

I titoli di primo livello sono generalmente collocati a una distanza dal testo
pari a due righe prima e una dopo.

Quelli di secondo livello si pongono rispetto al testo comune alla distanza di
una riga sopra e una sotto.

Quelli di terzo livello presentano una linea vuota sopra e nessuna sotto.

I titoli scritti a margine del testo, necessari a guidare la lettura, devono avere
lo stesso corpo del testo e ridursi a poche righe, meglio se una o due
soltanto.
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Specificatamente, per i testi su computer esiste oggi la possibilità di evidenziare le
parole del titolo tramite effetti speciali, solitamente disponibili nei software di
elaborazione testi, come Word.
4.5 Contrasti di colore.
Come strumento di enfasi il colore deve essere usato con parsimonia, per garantire
la leggibilità di un testo.
Il miglior grado di leggibilità si raggiunge disponendo caratteri neri su fondo
bianco o al limite giallo. Il testo chiaro su fondo scuro, d'altro canto, risulta quasi
sempre più suggestivo e di maggior impatto emotivo.
All'interno di una stessa schermata è sconsigliato l'abuso di parole colorate.
La presenza di link, di "aree calde", viene spesso indicata tramite la colorazione di
una parola contenuta nel testo; può accadere che una schermata contenga un
numero molto elevato di link, magari di natura diversa, indicati cioè da diversi
colori.
La presenza di un numero elevato di parole colorate determina quell’’effetto
Arlecchino’ assai sgradevole all'occhio e di notevole disturbo alla lettura. Gli
accostamenti di colore, riguardino un testo su di uno sfondo o porzioni di schermo
diversamente colorate, seguono le leggi dei contrasti fra le tinte.
Contrasto di colori puri. Giallo, rosso, blu sono i colori primari. Il contrasto che si
crea accostando a coppie questi tre colori risulta di grande impatto per l'occhio,
specie se sono presenti linee di delimitazione bianche o nere. Rappresenta il
massimo grado di tensione.
Contrasto chiaro-scuro. Si verifica ogni volta che si accostano colori della stessa
tinta, ma diversi per luminosità, con diverse concentrazioni di bianco o di nero. Il
contrasto che si ottiene è più pacato, più soft.
Contrasto caldo-freddo. Sono considerati colori caldi i rossi, i gialli,gli arancio e
alcuni viola. Il verde, il blu, alcuni tipi di viola sono considerati, invece, colori freddi.
Il contrasto che si stabilisce tra colori del primo e del secondo gruppo è utile per
creare sensazioni di distanza.
Contrasto di simultaneità. È il contrasto considerato più efficace, ottenuto tutte le
volte che si accostano due colori complementari, proprio perché l'occhio esige,
naturalmente, il complementare di un colore osservato (per esempio rosso-verde).
Due colori sono complementari quando i loro raggi combinati danno il bianco.
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Le coppie di colori complementari sono: giallo-viola, arancio-blu, rosso-verde.
Quando si accostano due colori complementari l'equilibrio armonico di una
composizione grafica può essere ottenuto rispettando le proporzioni indicate dagli
studi sulla percezione ottica e dosando le quantità di colore secondo le seguenti
frazioni: giallo-viola: 3:9; arancio-blu: 4:B; rosso-verde:6:6.
4.6 Disegnare con le parole.
I "carmina figurata" ("versi ropalici") hanno un'origine molto antica: considerati un
genere di sottordine, fecero la loro comparsa in Grecia presumibilmente attorno al
IV secolo a.C.
Si tratta di componimenti poetici tracciati sulla pagina in modo da disegnare figure,
trame di oggetti, secondo una stretta relazione tra contenuto del testo e forma
assunta dalle parole: le righe, le frasi sono usate come linee di un disegno che
rappresenta proprio quello che le parole vogliono esprimere.
In alcuni casi le forme restano vuote e il testo non è che la traccia del confine di
una sagoma bianca. Altre volte il testo, compattato, riempie lo schema e la macchia
che disegna sul foglio raffigura l'oggetto argomento del testo.
Questo tipo di giochi tipografici, molto diffusi nell'Ottocento, fu ripreso, poi, dai
pittori e poeti del movimento futurista italiano, che ne teorizzarono l'uso. La trama
del testo diventa immagine, la scrittura si riappropria di un valore figurativo che
l'alfabeto ha cancellato.
Guillaume Apollinaire fu il primo a usare il termine "calligramma" per indicare testi
in cui la scrittura diventava il disegno del pensiero. Il suo obiettivo era quello di
formare una mente in grado di comprendere in maniera sintetico-ideografica,
piuttosto che analitico-discorsiva.
A suo parere la lettura alfabetica, lineare, aveva condizionato in maniera quasi
irreversibile la nostra mente, ed era compito del poeta tentare di proporre un
nuovo modello di lettura in grado di scardinare acquisizioni vecchie di secoli.
Tralasciando la poesia e dando una rapida occhiata ai testi in prosa, l'esempio che
vale la pena di citare è quello di Nodier, uno dei più decisi sperimentatori degli
effetti tipografici all'interno di un romanzo. Il suo romanzo, l' "Histoire du roi de
Bohèneet des ses sept chàteaux", contiene una serie di sperimentazioni, tra cui
ricordiamo gli scalini di righe che il lettore deve salire, il testo capovolto, i castelli,
gli elenchi di parole, eccetera.
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Il testo può disegnare figure sulla pagina, creando una commistione di codici di
grande effetto: per questo la collaborazione tra testo e tipografia è oggi
ampiamente utilizzata in campo pubblicitario. In questo ampio panorama di giochi
tipografici possiamo stabilire una sorta di rudimentale classificazione.
"Alterando o manipolando la forma visuale di una parola o della sua collocazione, il
graphic designer ne allarga e aumenta il significato".
I capilettera istoriati hanno avuto per secoli la funzione di chiave di accesso al testo
intero. La loro ricchezza espressiva raggiunse il massimo splendore nei codici
miniati medioevali, in cui la lettera si trasforma spesso in un intero paesaggio di
simboli. Nel corso dei secoli successivi, l'interesse verso la lettera, verso le sue
corrispondenze iconiche, si è manifestato a più riprese, raggiungendo forse la
massima espressione nel testo di Geoffroy Tory, "Champ fleury" (1529), il libro in
cui l'autore scopre come tutte le lettere dell'alfabeto possano essere ridotte alle
proporzioni del viso e del corpo umano: "A ha le gambe larghe e divaricate, come
un uomo che, così, tiene piedi e gambe quando cammina e passa oltre".
Oggi, i giochi tipografici, resi possibili da programmi raffinati di grafica, hanno una
loro ragion d'essere all’interno di testi in cui la valenza simbolica di una lettera o di
una parola risulta assai rilevante.
Spesso le icone utilizzate come bottoni di accesso a funzioni specifiche fanno un
uso analogo del testo, divenendo una commistione tra lettera e immagine. Il logo
identificativo di un sito o della società di riferimento fa sempre uso di espedienti di
questo tipo, che possiedono il vantaggio di essere immediati e di grande effetto.
5. Digital storytelling
Abbiamo fatto riferimento a nuovi generi testuali che, prendendo spunto da forme
tradizionali, tentano di sfruttare al meglio la natura flessibile dei nuovi supporti
digitali.
Dai primi anni Novanta in poi, la diffusione del Power Point e di simili software
autore ha contribuito a divulgare l’uso di un tipo di testualità che combina le parole
con le immagini e tende sostanzialmente ad una sintesi espressiva che ha l’intento
di semplificare e chiarire ciò che abitualmente è affidato allo scritto o al discorso
orale.
Nella breve storia del testo digitale c’è stata una stagione, quella degli ipertesti, che
ha segnato senza dubbio l’avvento di un nuovo modo di scrivere. La prima
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generazione di ipertesti si contraddistingue per l’uso innovativo dei collegamenti
testuali, i link, che rappresentano il primo tentativo di rompere la rigida
sequenzialità del testo a stampa. In un secondo momento, quando una tecnologia
più avanzata lo permette, compaiono i primi ipertesti ‘illustrati’, corredati cioè di
immagini, video, pezzi audio inseriti direttamente nella pagina o collegati ad essa,
tramite rimandi testuali. I nuovi testi, tuttavia, hanno raramente raggiunto risultati
degni di rilievo limitandosi spesso ad una logica di tipo giustappositivo, che
ripropone solo vecchie combinazioni.
Dalla comparsa dei primi ipertesti, si attende ancora un affinamento della nuova
scrittura: le nuove forme del testo stentano a decollare nei loro aspetti più
innovativi e non raggiungono uno statuto stilistico che le faccia riconoscere come
un genere a tutti gli effetti.
In questo panorama dai profili ancora poco netti, emerge, da qualche anno, una
nuova pratica scrittoria nota sotto l’etichetta di ‘digital storytelling’, una formula
utilizzata per indicare, in sostanza, una precisa tipologia di testi che si sta
affermando, soprattutto in area anglosassone. Gli iniziatori di questa pratica
definiscono il digital storytelling come l’arte di narrare in digitale, ovvero la capacità
di raccontare brevi storie costituite di testo alfabetico, immagini e suoni (voci
registrate, musica o rumori di sottofondo), centrate sulla capacità di evocare più che
di descrivere, di esprimere impressioni e suggestioni tramite l’uso sapiente di una
combinazione di codici.
Il termine non è certo univoco ed è chiamato ad indicare una serie molteplice di
forme testuali, che presentano, come unico tratto comune l’utilizzo del supporto
digitale e la natura multimediale. In realtà con questa accezione si è indicato in
origine una particolare forma espressiva, dalle caratteristiche ben definite.
L’espressione è infatti coniata negli anni Novanta da Dana Winslow Atchley, un
artista scomparso di recente che ha dato vita a un vero e proprio movimento
(“Home movies” [2000] www.nextexit.com) e ha fondato nel 1993, assieme a Joe
Lambert e Nina Muller il Center for Digital Storytelling, in California.
Secondo le linee elaborate dal centro, una digital story è una narrazione
autobiografica che raccoglie frammenti di memoria personale e segue precisi
requisiti tra cui spiccano la brevità, il ritmo, oltre alla presenza combinata dei tre
principali codici espressivi.
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Nel panorama mondiale di chi si è impegnato nella produzione di storie digitali,
ricordiamo anche l’opera di altri artisti tra cui Daniel Meadows, fotografo-artista
attivo in Gran Bretagna e ideatore del progetto “Capture Wales and Telling Lives”,
promosso dalla BBC per incrementare e diffondere l’arte delle digital tales o Jason
Ohler, attivo soprattutto in campo educativo e impegnato in corsi di formazione per
docenti di ogni ordine e scuola.
Se si analizzano nel dettaglio le indicazioni operative e teoriche proposte dai diversi
autori, è facile riconoscere una fondamentale fedeltà alle tradizionali teorie
narratologiche e una sostanziale continuità con le regole elaborate da chi ha
studiato le forme classiche del narrare, dal romanzo al cinema. Vogliamo tuttavia
fare un cenno ai sette elementi chiave elaborati dal Center of Digital Storytelling,
che sono considerati il punto di partenza per una prima riflessione sulla produzione
di digital stories.
Intanto la nuova scrittura prevede sempre una fase di progettazione e il testo viene
concepito e sceneggiato prima di essere prodotto. Secondo Lambert, ogni racconto
digitale presuppone un’attenzione particolare ad ognuno di questi elementi: il point
of view, ovvero il punto di vista, lo sguardo attraverso cui l’intera narrazione sarà
organizzata, la dramatic question, l’interrogativo di fondo che genera la tensione
necessaria a tenere avvinto il lettore, l’emotional content, ovvero la pregnanza
emotiva che caratterizza l’intera narrazione, the gift of the voice e the power of the
soundtrack, la voce narrante e la colonna sonora, da considerarsi elementi salienti
proprio per l’enfasi che riescono a conferire al racconto, e, infine due suggerimenti
stilistici, centrali per la buona riuscita della composizione: economy e pacing, due
preziose indicazioni di stile per chi scrive, orientate verso l’economia espressiva, la
capacità di saper dosare con parsimonia dettagli, parole e immagini organizzandoli
secondo una sequenza che faccia del ritmo uno degli ingredienti chiave del
racconto.
Se i sette elementi elaborati dal Center of Digital Storytelling rappresentano una
prima chiara indicazione per definire la natura dei nuovi testi, altri autori
concentrano sull’importanza delle fasi di produzione e costruzione del testo. Nel
suo volume “Digital Storytelling in the classroom”, Jason Ohler evidenzia gli aspetti
educativi di questa pratica, che rappresenta un proficuo percorso formativo per gli
studenti. Le proposte avanzate ribadiscono ciò che la migliore tradizione scolastica
era solita fare anche negli anni del testo non digitale. Così come accade per ogni
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racconto, la costruzione di una storia digitale si sviluppa ripercorrendo le fasi
tradizionali di produzione del testo, dall’ideazione alla raccolta delle idee, fino alla
stesura e alla revisione. Come per ogni storia complessa dal punto di vista
espressivo necessita di una serie di strumenti di progettazione tra cui spicca l’uso
della sceneggiatura come pre-testo, in grado di orientare tutto il processo creativo.
Partendo dal cosiddetto story core, cioè il punto di avvio, il cuore tematico di
qualsiasi narrazione, costituito dalla triade: problem - transformation- solution, si
passa attraverso lo story mapping, ovvero il processo di costruzione di una vera e
propria mappa, in cui gli elementi dello story core vengono ampliati con l’aggiunta
dei dettagli. “A story map is just a guideline”, un sintetico disegno degli elementi
previsti, una veloce scrittura del testo in una forma grafica. A metà strada tra la
stesura di un racconto e la produzione di un film, la scrittura di un digital tale
sembra procedere secondo una precisa scansione, secondo definite fasi di lavoro: la
stesura di una mappa, la raccolta di feed-back su questa prima traccia di lavoro per
eventuali correzioni di tiro, la scrittura vera e propria della storia in termini
puramente alfabetici, la registrazione vocale della stessa, l’ascolto e l’eventuale
revisione, la digitalizzazione della storia, con raccolta e selezione di immagini,
recupero della musica, ecc. e naturalmente il ‘montaggio’ tramite l’utilizzo di
particolari software di scrittura digitale che consentono anche di lavorare sulle
transizioni e i passaggi da una schermata all’altra. La competenza tecnologica è uno
tra gli ingredienti, ma non il fondamentale in un percorso che auspica, soprattutto,
una riflessione a tutto tondo sull’uso combinato di immagini, suoni e parole.
I risultati più alti in questo nuovo genere di scrittura sono stati raggiunti nell’ambito
del foto-giornalismo, un settore in cui si sta affermando un nuovo tipo di prodotto
a metà strada tra il reportage fotografico e l’articolo. I nuovi supporti digitali hanno
favorito la nascita di forme ibride che affidano ai vari codici la possibilità di
raccontare e documentare episodi, riportare testimonianze, denunciare situazioni di
disagio, riferire vicende personali. I risultati sono spesso pezzi assai significativi in
grado di colpire la sensibilità e suscitare profonde reazioni in chi guarda (o forse
dovremmo dire legge). Le forme possono variare a seconda del predominio di un
codice rispetto ad un altro: spesso si tratta di resoconti narrati che si
accompagnano a sequenze di immagini scorse in automatico o di pezzi arricchiti di
spezzoni video e animazioni che ricostruiscono nel dettaglio eventi bellici o atti
terroristici. Altre volte le immagini parlano da sole, accompagnate da semplici
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didascalie. Recentemente un premio promosso dal “New York Times” riconosce i
meriti di chi riesce ad utilizzare al meglio questa nuova combinazione di codici per
raccontare e documentare storie di attualità americane e non.
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