Distretto calzaturiero fermano

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Distretto calzaturiero fermano
Distretto calzaturiero fermano-maceratese
Incontro tra domanda e offerta di lavoro, politiche attive e
formative a livello locale: linguaggi e dizionari dei distretti
produttivi per la Borsa Continua Nazionale del Lavoro
Anno 2004
Provincia di Macerata
Indice
Problema affrontato e l’innovazione adottata........................................................... 3
Obiettivi attesi/risultati raggiunti ............................................................................ 4
Soggetti coinvolti ..................................................................................................... 6
Contesto normativo e territoriale ............................................................................... 6
Il racconto dell’esperienza ...................................................................................... 22
Considerazioni finali ................................................................................................ 39
2
Problema affrontato e l’innovazione adottata
Facilitare il dialogo tra i diversi soggetti che intervengono nel Mercato del Lavoro
locale sul tema delle professioni, ottimizzando l’utilizzo della classificazione
ISTAT con lo scopo di:
• migliorare gli standard per l’incontro tra domanda e offerta di lavoro;
• avviare politiche del lavoro mirate a target specifici (donne, giovani, over
45, immigrati, ecc.) e integrate con la formazione.
La sperimentazione, replicata in sette province, affronta il problema dei linguaggi utilizzati dai
diversi soggetti territoriali per definire le figure professionali, in merito alla ricerca di personale,
ai fabbisogni di professionalità, ai rapporti di lavoro, alle classificazioni, ai programmi formativi.
Questi linguaggi sono molto differenti tra loro, in quanto spesso definiscono una professione dai
contenuti simili con denominazioni diverse e viceversa, ed inoltre non dialogano facilmente con
lo standard di riferimento nazionale, la classificazione ISTAT, utilizzata dai Servizi per l’impiego.
L’incontro tra la domanda e l’offerta di lavoro, infatti, oggi avviene, per quanto riguarda
l’individuazione delle qualifiche professionali, sulla base della “Classificazione delle professioni
ISTAT 1991”, introdotta dal Decreto Ministeriale del 30 maggio 2001 in sostituzione della
vecchia Classificazione Ministeriale (Libro Blu dei collocatori, nell’edizione del 1988).
La Borsa Continua Nazionale del Lavoro (BCNL) ribadisce questo sistema di codifica come lo
standard per definire le caratteristiche professionali della domanda e dell’offerta di lavoro.
Questa soluzione ha permesso in questi anni l’utilizzo da parte dei Centri per l’impiego (CPI) di
procedure software compatibili con la normativa in uso e l’introduzione di più moderne
metodologie per la gestione di un Mercato del Lavoro sempre più complesso ed articolato. Ma
ha anche evidenziato limiti e lacune, tanto che alcune Amministrazioni provinciali hanno
introdotto propri criteri di semplificazione o veri e propri glossari sulle figure professionali più
critiche e significative del territorio (vedi ad esempio Asti, Ascoli Piceno e Macerata), che
agevolano l’attività degli operatori e che riportano un sottoinsieme di qualifiche (in genere
semplici supporti cartacei di rapida consultazione, che riportano la codifica e la relativa
denominazione, raramente descrizione del contenuto professionale) identificato sulla base
dell’esperienza locale e di un accordo interno ai CPI.
Forti sono le richieste di ottimizzazione del sistema, in quanto risulta difficile e poco efficace
basare l’incrocio d/o su una delle oltre 7.000 “voci” relative al 5° digit della classificazione
ISTAT 1991.
La sperimentazione parte dall’ipotesi che per realizzare servizi di intermediazione con qualità
sempre maggiore occorre uno strumento che, una volta individuate le figure di riferimento per
il sistema locale e/o distretto, permetta un’analisi più attenta del contenuto della professione e
non si fermi alla semplice denominazione.
In particolare l’ipotesi innovativa di partenza è stata quella di costruire, insieme ai soggetti
socio-istituzionali locali, un dizionario delle professioni come base per migliorare l’incontro tra
domanda ed offerta di lavoro, le politiche attive del lavoro e l’integrazione tra queste e la
formazione professionale.
Per questo, sollecitati da diverse istituzioni locali, il Progetto SPINN ha avviato alcune
sperimentazioni, non per ipotizzare un nuovo sistema di classificazione, ma per provare,
utilizzando l’attuale standard, una metodologia che metta in grado i diversi attori istituzionali e
sociali di comunicare e dialogare relativamente alla definizione delle figure professionali e delle
loro caratteristiche come azione propedeutica al miglioramento dei servizi e delle politiche del
lavoro e formative.
3
Obiettivi attesi/risultati raggiunti
Il traduttore e il dizionario delle professioni condivisi
il “traduttore”:
è un sinottico che, partendo dai processi caratterizzanti il sistema
locale e/o distretto, confronta con la classificazione ISTAT i
linguaggi utilizzati per la definizione delle figure professionali e
definisce quali sono e che denominazione hanno le figure di
riferimento per quel territorio
il “dizionario”:
è un glossario delle figure di riferimento descritte in termini di
competenze, secondo la metodologia concordata tra Italia Lavoro
e ISFOL, base per l’inserimento nell’offerta sussidiaria della Borsa
Continua Nazionale del Lavoro
“condivisi”:
significa che entrambi sono realizzati con la partecipazione delle
Amministrazioni provinciali e di tutti i soggetti che intervengono
nel mercato del lavoro locale
L’obiettivo è la realizzazione di un decodificatore dei linguaggi attualmente in uso da parte dei
diversi soggetti che intervengono sul mercato del lavoro locale per confrontarli e stabilire una
modalità di lettura condivisa del sistema occupazionale e professionale.
Partendo da come imprese, consulenti del lavoro, associazioni e sindacati, ma anche CPI e le
stesse agenzie formative definiscono le professioni, la sperimentazione evidenzia quali parole
utilizzano per denominare queste professioni e quale significato danno a queste parole.
Si tratta di verificare se, i diversi modo di definire il “lavoro”, interfacciano tra loro. In altre
parole, quando uno di questi soggetti usa un determinato termine con un preciso significato per
definire una professione, gli altri attori, a cui questo linguaggio è destinato, lo comprendono e
soprattutto danno lo stesso significato, tanto da riuscire a rispondere nel modo atteso dal
primo interlocutore.
Viste le difficoltà e i limiti che si riscontrano nell’attivazione di servizi per le imprese da parte
dei CPI , questo è parso un primo passo per facilitare un dialogo che vada oltre l’attuazione dei
pur necessari adempimenti amministrativi.
Infatti se iniziamo a confrontare la classificazione ISTAT con l’inquadramento contrattuale
definito dai CCNL, si notano immediatamente differenti terminologie.
La cosa si aggrava e la correlazione diventa ancora più difficile quando si prendono a
riferimento i linguaggi utilizzati nella realtà dai CPI o dalle associazioni di categoria e dai
consulenti del lavoro, a cui occorre aggiungere le denominazioni specifiche adottate delle
singole tipologie di imprese per definire i propri sistemi professionali.
La stessa formazione professionale ha ovviamente un sua modalità di linguaggio che per le
proprie finalità si differenzia ulteriormente da quelle viste in precedenza, per cui le difficoltà di
confronto aumentano.
Ciò comporta l’insorgere di problemi non indifferenti e incomprensioni già a partire dallo
svolgimento delle attività più semplici: come la compilazione, da parte delle imprese, dei
cosiddetti “adempimenti amministrativi” relativi alla comunicazione delle assunzioni, delle
cessazioni e delle trasformazioni dei rapporti di lavoro e successivamente la loro registrazione
da parte dei CPI su sistemi informativi in grado di “certificare” in tempo reale lo status
occupazionale di una persona e la sua storia lavorativa.
Quando si tratta, poi, di realizzare servizi più complessi relativi all’orientamento e all’incontro
domanda-offerta oppure politiche attive del lavoro ed integrarle con la programmazione di
percorsi formativi di riqualificazione e sviluppo dell’occupabilità, la definizione della professione
e del suo contenuto sono decisivi per l’efficacia degli interventi.
4
La necessità non è quella di andare a sostituire con nuovi termini i vecchi ora utilizzati e
costruire un nuovo linguaggio, un nuovo “esperanto” bellissimo ma che nessuno impiega.
Anche perché ognuno dei linguaggi in uso ha delle sue precise finalità e risponde ad altrettanto
precise esigenze: i contratti definiscono gli inquadramenti professionali, i repertori ISFOL sono
un punto di riferimento per l’identificazione e la valutazione delle competenze per ottenere
crediti formativi.
Piuttosto occorre, una volta evidenziati i linguaggi in uso, metterli a confronto e provare ad
individuare un “traduttore” che permetta di far dialogare i differenti lessici, e trasformare poi
l’elenco di professioni decodificate in un vero e proprio dizionario.
Mentre il “traduttore” è un sinottico che mette a confronto i diversi linguaggi e stabilisce quali
sono le figure professionali di riferimento in base ai processi caratterizzanti il sistema locale e/o
distretto, il “dizionario” è la descrizione delle figure professionali in termini di competenze
secondo la metodologia messa a punto da Italia Lavoro ed ISFOL (vedi accordo allegato in fase
di firma).
Inoltre la descrizione delle figure professionali secondo lo standard citato permette di costruire
profili che implementano l’attuale Banca Profili inserita nell’offerta sussidiaria della Borsa
Continua Nazionale del Lavoro con professioni rispondenti alle esigenze locali e distrettuali,
molto importanti nella realtà economica e sociale italiana.
Condizione necessaria affinché l’operazione riesca è far in modo che ogni passaggio del
percorso di elaborazione e di ricerca veda la diretta partecipazione di tutti gli attori interessati
in modo tale che il risultato finale sia un vero “dizionario condiviso”, che venga utilizzato
realmente dai soggetti come strumento utile per migliorare gli standard dei servizi e delle
politiche.
Con l’avvio della BCNL la creazione di traduttori dei linguaggi in uso relativi alle professioni
diventa per certi versi un prerequisito al dialogo tra un numero di soggetti che va crescendo e
servizi che richiedono interfacce più efficienti e qualificate.
Per realizzare ciò il Progetto SPINN ha avviato in sette province, su invito delle rispettive
Amministrazioni, una sperimentazione che coinvolgesse alcuni dei distretti manifatturieri
presenti sul territorio: calzaturiero, spettacolo ed alcuni settori dell’agroalimentare (vitivinicolo,
conserve ed olivicolo).
La scelta è stata effettuata sia per la significatività dei comparti nel sistema economico locale,
sia per avere ambiti di sperimentazione omogenei dai confini limitati.
Proprio in quanto l’obiettivo non è quello di ridefinire un nuovo sistema di classificazione, ma di
utilizzare al meglio quello esistente per far parlare sempre più soggetti fra loro si è inteso
partire da situazioni locali circoscritte.
Le province interessate alla sperimentazione sono:
•
•
•
•
•
•
•
Forlì-Cesena con il distretto calzaturiero di San Mauro Pascoli;
Ascoli Piceno e Macerata con il distretto calzaturiero Fermo-Maceratese;
Pistoia con il distretto calzaturiero di Monsummano;
Cuneo con il comparto conserviero di Alba;
Asti con il distretto vitivinicolo ed enomeccanico di Canelli;
Benevento con il distretto vitivinicolo ed olivicolo;
Ivrea con il comparto dello spettacolo.
Output prodotti per la trasferibilità dell’esperienza
Gli output prodotti riguardano, oltre ai risultati specifici realizzati in ogni territorio, la proposta
di un percorso standard frutto della sintesi delle esperienze sviluppate che è possibile replicare
o trasferire in altre realtà con caratteristiche simili.
Per questo gli output prodotti vengono riportati nella seguente modalità:
•
lo standard di processo operativo rielaborato alla luce dalle sperimentazioni realizzate
con evidenziate le fasi e i risultati più significativi in modo tale da avere
immediatamente un’idea chiara
e sintetica sul significato e sullo sviluppo della
sperimentazione; le fasi e i rispettivi risultati sono collegati in modalità ipertestuale con
la guida operativa e con l’iter specifico delle singole sperimentazioni;
5
•
•
•
la guida operativa che descrive per ogni fase significativa del processo finalità, attività,
metodologie/strumenti e risorse, in modo tale da essere il punto di riferimento per le
trasferibilità dell’esperienza;
la strumentazione tecnica messa a punto nel corso delle sperimentazioni;
l’approccio teorico che sottostà alle metodologie e alla strumentazione proposta.
Soggetti coinvolti
La sperimentazione è stata gestita da un gruppo di lavoro costituito da rappresentanti di:
•
•
•
Italia Lavoro con il responsabile nazionale della sperimentazione ed il responsabile
dell’unità territoriale
COICO con il presidente del Consorzio, che è l’istituzione formalizzata dalla Regione che
gestisce tutte le politiche e gli interventi relativi al Distretto; nel consorzio sono
rappresentati oltre la Regione, la Provincia di Ascoli Piceno e quella di Macerata, tutti i
Comuni e le Parti Sociali
CPI di Fermo e di Civitanova Marche
Visto il ruolo istituzionale del COICO in questa sperimentazione il comitato dei decisori è stato
costituito dallo stesso comitato di direzione del consorzio, il quale ha individuato e formalizzato
un gruppo di esperti locali che sono stati inseriti nel comitato tecnico che è risultato così
composto:
•
•
•
•
•
•
•
•
•
•
la Regione Marche, rappresentata dal dott. Soverchia del Settore Lavoro;
il COICO, rappresentato dal Presidente Paolo Petrini;
il CPI di Fermo, rappresentato dalla responsabile Paola Vizzi e dall’operatrice Annamaria
Antolloni;
il CPI di Civitanova, rappresentato dall’operatrice Lorenza Pelosi;
COSIF, rappresentato dal Presidente Umberto Marconi;
CNA Federmoda calzatura, rappresentato dal Presidente Giovanni Lucani;
Scuola Calzaturieri, rappresentata dal consulente Paolo Frattini;
FILTEA CGIL, rappresentata da Michela Verdecchia;
Il consulente esperto del distretto Mauro Filippetti;
il team di Italia Lavoro, rappresentato da Mauro Brustia, Cesare Gabrielli, Di Centa e
Busilacchi.
A questo comitato tecnico è stata demandata l’elaborazione dei processi, del traduttore e
successivamente del dizionario che per scelta dei decisori ha riguardato solo le tipologie
d’imprese della fornitura di componenti, vista anche l’estrema concentrazione nel tempo della
sperimentazione (i tempi effettivi dedicati alla ricerca operativa sono risultati pari a otto
settimane).
Contesto normativo e territoriale
Contesto normativo
Decreto Legislativo n. 181 del 21 aprile 2001
Legge Biagi n. 30 del 14 febbraio 2003
Decreto Legislativo n. 276 del 10 settembre 2003
Decreto Legislativo n. 251 del 6 ottobre 2004
Circolare Ministeriale n. 40 del 14 ottobre 2004
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Contesto territoriale
La situazione congiunturale del distretto
Il mercato calzaturiero internazionale è stato caratterizzato negli ultimi anni da consistenti
modificazioni, che hanno riguardato l’offerta, la domanda ed il sistema distributivo.
A fronte di un consumatore che attua comportamenti variegati ed in evoluzione, è
incrementata la concorrenza internazionale con la nascita di nuove imprese nell’est europeo e
nel Sud-Est asiatico, mentre in molti paesi sono presenti operatori commerciali di elevata
dimensione.
Queste trasformazioni, che la piccola e media dimensione aziendale difficilmente consente di
fronteggiare con successo, hanno avuto effetti particolarmente negativi per le imprese del
distretto calzaturiero fermano-maceratese.
Si riscontra in modo evidente un fenomeno di rilocalizzazione della produzione su scala
internazionale, con uno spostamento verso i Paesi tradizionalmente definiti in via di sviluppo,
che si è verificato ad un ritmo molto sostenuto.
Tale processo si è concretato per vari motivi, tra cui:
a. soddisfacimento dei bisogni interni;
b. basso costo del lavoro, che costituisce un notevole vantaggio differenziale in un settore
industriale ancora “labour intensive”;
c. rapporti di subfornitura con numerose imprese operanti nei Paesi industrializzati;
d. strategia adottata da alcuni gruppi calzaturieri, sia di grandi che di medie dimensioni.
Come si vede nella tabella 1, la penetrazione nel mercato mondiale dei nuovi paesi produttori
di calzature è stata piuttosto rapida, con risultati estremamente evidenti; tra questi, si possono
evidenziare la Cina, l’India, il Brasile, il Vietnam e la Thailandia.
Tabella 1 – Evoluzione della classifica dei Paesi produttori di calzature
Anni
1997
Paesi - paia
Cina
5.252
India
680
Indonesia
527
Brasile
520
Italia
460
Thailandia
276
Turchia
270
Messico
260
Spagna
208
Vietnam
206
1998
Paesi - paia
Cina
5.520
India
685
Brasile
516
Italia
425
Indonesia
316
Turchia
277
Messico
270
Thailandia
260
Pakistan
227
Spagna
221
1999
Paesi - paia
Cina
5.930
India
700
Indonesia
507
Brasile
499
Italia
381
Messico
275
Thailandia
258
Vietnam
241
Pakistan
240
Turchia
227
2000
Paesi - paia
Cina
6.442
India
715
Brasile
580
Indonesia
499
Italia
390
Vietnam
303
Messico
285
Thailandia
267
Pakistan
241
Turchia
219
2001
Paesi - paia
Cina
6.628
India
740
Brasile
610
Indonesia
488
Italia
375
Vietnam
320
Thailandia
273
Pakistan
242
Messico
217
Turchia
211
(valori in milioni di paia; anni 1997-2001)
Fonte: Confindustria Marche – “Consulta regionale imprese calzaturiere”
7
Può essere utile osservare che l’Italia rappresenta l’unico Paese di “vecchia industrializzazione”,
caratterizzato da un’importante produzione: peraltro, si riscontra una preoccupante
diminuzione continuativa del livello produttivo.
Mentre il nostro Paese ha perduto quote sempre maggiori, la Cina ha consolidato la sua
leadership mondiale e sembra proseguire la strategia di crescita nel settore (si veda la tabella
2).
Il vantaggio del basso costo del lavoro in certe regioni cinesi è tale da indurre alcuni produttori
occidentali ad acquistare e/o trasferirvi i processi produttivi, realizzati precedentemente in altri
Paesi del Sud-Est asiatico (si pensi, ad esempio, alla Corea del Sud ed a Taiwan).
Le aziende cinesi costituiscono importanti competitor, non solo per le aziende italiane che
producono calzature sportive in materiali sintetici o in gomma, destinati alle fasce di mercato di
qualità/prezzo più basse; infatti, si stanno incrementando le esportazioni di calzature cinesi
realizzate in pelle e cuoio.
Tabella 2 – Confronto tra la quota italiana e quella cinese
sulla produzione mondiale di calzature
(produzione in milioni di paia; anni: 1994-2001)
Anni
Quota
Produzione Produzione Produzione
Italiana
dell’Italia
della Cina
mondiale
%
Quota
Cinese
%
1994
1995
1996
1997
1998
1999
2000
2001
471
476
483
460
425
381
390
375
38,4
42,7
42,8
47,5
49,8
51,4
53,3
54,0
3.750
4.270
4.500
5.252
5.520
5.930
6.442
6.628
9.756
9.993
10.525
11.051
11.080
11.534
12.079
12.269
4,8
4,8
4,6
4,2
3,8
3,3
3,2
3,1
Fonte: Confindustria Marche – “Consulta regionale imprese calzaturiere”
Va inoltre osservato che le tendenze riscontrate nell’ultimo anno non consentono di definire un
quadro migliore, per cui persiste un andamento negativo.
La produzione calzaturiera italiana, dopo un andamento altalenante fino alla metà degli anni
Novanta, è stata caratterizzata da un forte decremento; nella tabella 3, è possibile notare che
nel 2002 il numero di paia realizzate risulta inferiore al dato relativo al 1970.
Va poi rilevato che dal 1996 si riscontra una diminuzione del numero delle aziende produttrici
italiane e del numero degli addetti; secondo l’ANCI, nel 2002 si è verificato in Italia un
decremento del 17% circa del numero di imprese, rispetto al dato relativo al 1995, e del 14%
degli occupati.
Nel periodo considerato la dimensione media delle aziende in termini di addetti, si è
incrementata (di quasi una unità); ma tale dato sembra essere correlato soprattutto alla
fuoriuscita dal mercato delle imprese di piccolissima dimensione.
Si rileva, inoltre, il forte ricorso alla cassa integrazione da parte delle imprese calzaturiere
italiane, che permette di evidenziare la presenza di uno stato di crisi; tale situazione risulta
essere particolarmente preoccupante per le aziende del distretto fermano maceratese.
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Tabella 3– Evoluzione della produzione italiana di calzature
dal 1970 al 2002
Anni
Numero
Indice paia
paia
1992=100
(in milioni)
Valore della
produzione
(milioni di euro)
Indice valore
1992=100
1970
1980
1990
1991
1992
1993
1994
1995
1996
1997
1998
1999
2000
2001
2002
345,9
451,7
424,9
433,4
418,8
451,7
471,3
476,2
482,7
460,0
425,0
380,9
389,9
375,2
335,0
409,55
2.530,48
5.653,62
5.920,40
5.955,50
6.603,35
7.141,55
7.856,40
8.092,38
8.051,64
7.910,44
7.415,69
8.269,31
8.669,99
8.170,69
6,9
42,5
94,9
99,4
100,0
110,9
119,9
131,9
135,9
135,2
132,8
124,5
138,9
145,6
137,2
82,6
107,9
101,5
103,5
100,0
107,8
112,5
113,7
115,2
109,8
101,5
90,9
93,1
89,6
80,0
Fonte: Confindustria Marche – “Consulta regionale imprese calzaturiere”
Alcune sintetiche considerazioni riguardano poi la tendenza di molte imprese a spostarsi verso
produzioni di fascia qualità/prezzo più elevata; si tratta di un posizionamento corretto che
peraltro, considerando una struttura piramidale del mercato, non potrà essere consentito a
tutte le aziende, soprattutto nel caso frequente di una debolezza commerciale del marchio.
Va infine osservato che secondo i risultati dell’indagine congiunturale realizzata dall’ANCI per i
primi nove mesi del 2003, si riscontra un’ulteriore consistente riduzione dei volumi prodotti
(pari a circa il 6,4% in quantità ed a 4,4% in valore).
Le esportazioni hanno svolto un ruolo fondamentale per lo sviluppo dell’industria calzaturiera
italiana; esse si sono notevolmente accresciute in quantità e valore dal 1970 in poi ed inoltre si
è incrementato il loro peso sul totale della produzione da circa il 63% nel 1970 all’85,9% nel
1994.
Ma dal 1996 in poi si assiste ad una continua diminuzione del numero di paia esportate (si
rimanda alla tabella 4); ciò si è verificato per vari fattori, tra cui l’accresciuta concorrenza
estera e la rivalutazione dell’euro.
Risultati piuttosto negativi sono stati conseguiti nei confronti di alcuni mercati europei, come la
Germania, la Francia ed il Regno Unito (si veda la tab. 5).
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Tabella 4– Evoluzione delle esportazioni italiane di calzature
dal 1970 al 2002
Anni
Numero
Indice
Valore
paia
paia
(milioni di
(in
1992=100 euro)
milioni)
Incidenza percentuale
delle esportazioni
Indice
sulla produzione
valore
1992=100
sulle paia sul valore
1970
1980
1990
1991
1992
1993
1994
1995
1996
1997
1998
1999
2000
2001
2002
217,7
314,6
360,0
347,8
338,7
380,6
404,8
426,7
430,0
414,7
381,8
346,7
362,4
353,7
322,3
5,4
40,0
102,3
99,4
100,0
116,4
134,1
153,1
158,2
158,6
152,7
141,7
164,6
180,2
169,0
64,3
92,9
106,3
102,7
100,0
112,4
119,5
126,0
127,0
122,4
112,7
102,4
107,0
104,4
95,2
214,95
1.606,49
4.104,54
3.988,65
4.013,21
4.672,09
5.380,12
6.144,03
6.348,05
6.365,30
6.129,72
5.686,79
6.605,65
7.230,65
6.781,18
62,9
69,6
84,7
80,2
80,9
84,3
85,9
89,6
89,1
90,1
89,8
91,0
92,9
94,3
96,2
52,5
63,5
72,6
67,4
67,4
70,7
75,3
78,2
78,4
79,1
77,5
76,7
79,9
83,4
83,0
Fonte: Confindustria Marche – “Consulta regionale imprese calzaturiere”
Tabella 5 – Quote dell’Italia sulle importazioni di calzature di alcuni Paesi dell’Ue (valori in
percentuale sul numero totale di paia di importazione di ogni Paese; anni 1991-2001)
Paesi
Anni
Germania Francia
Regno
Unito
Belgio e
Lussembu Austria** Spagna
rgo
Portogallo Grecia
1991
1992
1993
1994
1995
1996
1997
1998
1999
2000*
2001°
28,3
24,8
27,1
26,3
28,9
28,4
27,7
28,0
24,7
23,9
23,3
13,7
12,4
14,2
12,6
13,7
12,4
13,8
13,6
11,3
12,3
9,4
20,2
17,6
18,1
17,4
19,4
14,4
11,4
11,5
10,6
12,5
13,5
11,0
11,4
11,3
10,0
7,7
6,6
7,5
7,5
8,2
8,1
8,6
22,1
20,1
23,8
24,0
24,0
22,0
23,1
20,5
18,5
17,0
16,2
33,4
33,6
34,7
30,4
29,3
24,4
22,8
n.d.
*dati provvisori
° stime ANCI
** considerata dal 1994
Fonte: dati tratti dall’ANCI
10
6,8
7,0
13,6
8,5
7,6
7,3
7,9
8,0
7,1
7,4
7,9
18,9
14,6
18,7
24,0
34,4
30,5
34,6
34,9
29,0
28,3
n.d.
Tabella 6– Evoluzione delle esportazioni italiane di calzature per aree geografiche (valori in
milioni di paia; anni 1997-2002)
Anni
Aree
geografiche
Europa occidentale
Europa orientale
(CSI inclusa)
Africa
America del Nord
America centrale e
del Sud
Medio Oriente
Altri d'Asia
Australia e Oceania
Diverse
Totale
esportazioni
2002
Var.%
1997/200
2
248,9 239,1
218,8
-19,8
22,7
24,5
29,5
28,1
-19,7
6,9
50,5
5,3
51,9
4,9
58,6
4,4
54,6
4,2
48,1
-37,3
-17,9
2,5
2,8
2,1
2,2
2,8
2,9
+16,0
22,7
13,2
3,1
//
17,2
9,1
3,3
//
12,9
8,6
2,7
0,1
11,6
9,2
2,5
//
11,9
9,1
2,2
0,1
10,2
8,0
1,9
0,1
-55,1
-39,4
-38,7
414,7
381,8
346,7
362,4 353,7 322,3 -22,3
1997
1998
1999
2000
272,9
262,1
240,4
35,0
29,9
6,7
58,6
2001
Fonte: Confindustria Marche – “Consulta regionale imprese calzaturiere”
Utili considerazioni ai fini dell’analisi della propensione all’esportazione riguardano la struttura
geografica degli scambi commerciali; come risulta dalla tabella 7, i Paesi verso i quali
affluiscono principalmente le nostre esportazioni di calzature sono quelli dell’Europa
Occidentale e del Nord-America: mercati caratterizzati da forti flessioni.
La quota delle nostre esportazioni verso il mercato nord-americano si è ridotta sensibilmente
nell’ultimo decennio in quantità, con una maggiore incidenza delle calzature di qualità mediofine e fine. La diminuzione del numero di paia esportate negli Stati Uniti ed in Canada è dovuta
soprattutto ad un effetto sostituzione delle nostre esportazioni con quelle dei Paesi in via di
sviluppo.
In generale, risulta necessaria una presenza più diretta delle aziende del distretto nei mercati
internazionali; queste hanno invece adottato in prevalenza una strategia di esportazione
indiretta. Non disponendo di una stabile organizzazione all’estero, si sono affidate ad un agente
esclusivo o ad importatori locali, con evidenti limiti dal punto di vista del mercato.
Non può quindi sfuggire che la minore propensione all’export deriva anche da una debolezza
nelle strategie di internazionalizzazione delle aziende calzaturiere italiane.
In particolare, i dati forniti dall’ISTAT per i primi otto mesi del 2003 consentono di rilevare una
diminuzione delle esportazioni del 7,5% (in quantità) e dell’8,3% (in valore) rispetto allo stesso
periodo dello scorso anno, con una sostanziale stabilità dei livelli di prezzo medi (di poco al di
sotto dei 20 euro al paio); inoltre, l’analisi per paese mostra sia per i principali mercati europei
che per il Nord America andamenti negativi.
Connesso al dato relativo al decremento delle esportazioni è quello inerente l’aumento delle
importazioni, che si sono notevolmente accresciute negli ultimi anni, come si nota nella tabella
7.
11
Tabella 7– Evoluzione delle importazioni italiane di calzature dal 1970 al 2002
Anni
Numero
Indice paia
paia
1992=100
(in milioni)
Valore
Indice
(in milioni di valore
euro)
1992=100
1970
1980
1990
1991
1992
1993
1994
1995
1996
1997
1998
1999
2000
2001
2002
3,4
36,8
73,7
104,1
127,5
101,7
128,2
139,9
133,3
157,6
162,3
182,3
196,0
203,1
224,7
1,55
63,48
357,89
529,68
636,03
627,55
819,93
934,51
946,17
1.279,80
1.273,11
1.449,25
1.796,27
2.085,97
2.242,30
2,6
28,8
57,8
81,6
100,0
79,7
100,5
109,7
104,5
123,5
127,2
142,9
153,7
159,2
176,2
0,2
10,0
56,3
83,3
100,0
98,7
128,9
146,9
148,8
201,2
200,2
227,9
282,4
328,0
352,5
Incidenza
delle
importazioni
sui consumi interni
Quota
Quota
sulle paia
sul valore
2,5
0,7
20,7
6,0
48,5
18,9
53,0
21,3
64,7
24,7
52,4
25,0
65,8
31,9
73,9
35,3
71,7
35,2
84,2
44,9
86,7
44,1
96,3
49,1
102,9
57,4
109,7
65,7
119,4
68,2
Fonte: Confindustria Marche – “Consulta regionale imprese calzaturiere”
In particolare, esaminando l’evoluzione della quota dei principali Paesi produttori sulle
importazioni italiane di calzature, è possibile sottolineare il ruolo sempre più rilevante della
Cina e della Romania; nella tabella 8 viene presentata la differente quota dei vari paesi (in
valore ed in numero di paia).
Anche nei primi otto mesi del 2003, l’import prosegue nel trend di crescita (con un incremento
del 19,8% in volume e del 9,5% in valore), in modo particolare dalla Cina.
12
Tabella 8 – Quote di alcuni Paesi sulle importazioni italiane di calzature
(valori percentuali; anni 1998, 2000, 2002)
Quota sul
importate
numero
di
paia
Quota sul valore importato
Anni
Paesi
1998
2000
2002
1998
2000
2002
Cina
Vietnam
Thainlandia
Indonesia
Romania
Bulgaria
Belgio
Spagna
Tunisia
Francia
Ungheria
Croazia
Bosnia Erzegovina
Serbia-Montenegro
Resto del mondo
Totale
26,9
10,2
4,4
6,0
14,0
2,4
3,6
4,9
2,4
1,6
1,5
1,6
1,0
1,1
18,4
100,0
27,6
7,8
3,3
3,7
18,5
2,5
4,9
3,1
3,7
2,0
1,4
1,7
1,9
0,9
17,0
100,0
30,0
9,0
2,1
2,7
19,9
3,2
3,2
2,4
4,5
1,1
1,3
1,1
1,9
1,4
16,2
100,0
10,7
8,0
1,9
4,4
16,4
2,4
8,3
5,4
3,6
4,1
1,7
2,1
1,3
1,7
28,0
100,0
10,5
7,8
1,2
2,9
19,9
2,8
11,8
3,7
4,4
3,6
1,7
2,8
2,3
1,1
23,5
100,0
9,6
8,6
0,7
2,4
24,7
3,0
9,5
3,2
4,8
2,9
2,0
1,7
2,4
1,8
22,7
100,0
Fonte: Confindustria Marche – “Consulta regionale imprese calzaturiere”
Un’interpretazione più corretta dei dati presentati deve prendere in considerazione il fatto che:
•
•
nei Paesi dell’Europa Orientale si sono sviluppate in questi anni numerose imprese
calzaturiere, specializzate anche nella realizzazione di singole fasi di lavorazione;
i Paesi dell’Europa Occidentale sono ricorsi a processi di subfornitura internazionale;
quindi essi hanno decentrato la realizzazione di fasi del processo di lavorazione.
È quindi evidente che gli scambi commerciali con l’estero riflettono alcune conseguenze dovute
alle strategie di internazionalizzazione produttiva adottate dalle aziende italiane.
Risultano quindi:
1. una diminuzione delle esportazioni italiane di calzature, le quali tendono ad essere
esportate direttamente dai luoghi dove vengono prodotte;
2. un aumento delle esportazioni di materie prime, di macchinari specializzati, di
semilavorati, di componenti e di accessori per calzature;
3. un aumento delle importazioni di calzature, derivante anche dalla vendita nel nostro
Paese di prodotti realizzati da aziende italiane al di fuori dei confini nazionali.
Vengono di seguito riportati alcuni dati relativi ai rapporti commerciali con la Romania, dove
molte imprese italiane calzaturiere si trovano ad operare anche direttamente.
In tale Paese si esportano soprattutto materie prime necessarie alle trasformazioni, (cuoio,
tessili) ed anche macchinari (figura 1); come si vede nella figura 2, si importano invece
prodotti finiti.
13
Figura 1
Esportazioni italiane in Romania suddivise per settori (anno
2002)
Cuoio e prodotti
in cuoio
17%
Prodotti tessili
38%
Calzature
7%
Materiale per
telecomuniMacchinari
cazioni
elettrici
7% Macchinari
5%
industriali
Manufatti vari
7%
5%
Macchinari
Abbigliamento
specializzati
7%
7%
Fonte: Confindustria Marche – “Consulta regionale imprese calzaturiere”
Figura 2
Importazioni italiane dalla Romania suddivise per settori
(anno 2002)
Manufatti
metallici
4%
Prodotti tessili
3%
Articoli in
minerali non
metallici
4%
Macchinari
elettrici
5%
Petrolio e
prodotti in
petrolio
9%
Altri macchinari
non elettrici
1%
Calzature
32%
Abbigliamento
42%
Fonte: Confindustria Marche – “Consulta regionale imprese calzaturiere”
È interessante notare che le operazioni commerciali con la Romania si realizzano in modo
frequente ricorrendo al traffico di perfezionamento passivo (si rimanda alle tabelle 9-10); la
diffusione di tale operazione è strettamente connessa al basso costo della manodopera romena
(secondo stime realizzate dall’EUROSTAT, il costo orario della manodopera è pari a 1,5 euro
all’ora- per un confronto, si tenga conto che si attesta a circa 4,48 euro in Polonia e a 8,98
euro in Slovenia).
14
Non esistono peraltro pareri comuni su un ulteriore sviluppo di tale operazione in futuro; da
parte di alcuni operatori ed opinion leader ne è stata rilevata una possibile diminuzione,
soprattutto per il probabile incremento dei salari e per il possibile apprezzamento della moneta
locale.
Tabella 9– Il ruolo del TTP negli scambi commerciali con la Romania distinto per alcuni settori
(esportazioni in milioni di dollari; anno 2002)
Settori
Esportazioni
Esportazioni
temporanee
Esportazioni
temporanee/esportazioni
(peso percentuale)
Cuoio e prodotti in cuoio
470
454
96,6
Calzature
211
191
90,5
Prodotti tessili
1.035
983
95,0
Abbigliamento
192
177
92,2
Manufatti vari
158
107
67,7
Macchinari industriali
198
9
4,5
Materiale per telecomunicazioni 202
1
0,5
Macchinari specializzati
0,7
0,4
196
Fonte: Confindustria Marche – “Consulta regionale imprese calzaturiere”
Tabella 10 – Il ruolo del TPP negli scambi commerciali con la Romania distinto per alcuni settori
(importazioni in milioni di dollari; anno 2002)
Settori
Importazioni
Reimportazioni
Reimportazioni/importazioni
(peso percentuale)
Abbigliamento
1.159
1.146
98,9
Prodotti tessili
74
45
60,8
Calzature
865
853
98,6
Macchinari elettrici
130
114
87,7
Meccanica strumentale 64
42
65,6
Manufatti metallici
105
36
34,3
Metalli non ferrosi
113
26
23,0
Fonte: Confindustria Marche – “Consulta regionale imprese calzaturiere”
Va poi osservato che numerose PMI italiane hanno realizzato investimenti diretti all’estero in
differenti paesi dell’Est europeo; tra questi si pone la Romania, dove la similarità dimensionale
delle imprese romene ed italiane, nonché la comune origine linguistica hanno favorito la
presenza di imprese italo-romene (si rimanda in proposito alla tabella 11).
15
Figura 3
Destinazione degli IDE italiani in Romania per settori
100%
17%
80%
Tessili e maglieria
21%
Metallo e prodotti derivati
60%
22%
Pelli, cuoio e calzature
40%
20%
Abbigliamento
40%
0%
Destinazione
Fonte: dati tratti dall’indagine ICE-Reprint
Tabella 11 - Partecipazioni italiane in imprese romene (numero di imprese, addetti e fatturato;
anni 2000-2002)
Anni
Numero di imprese rumene
partecipate da imprese italiane
Numero di addetti
Fatturato (in milioni di euro)
2000
2001
2002
584
617
657
38.070
1.695
43.444
1.786
44.356
1.846
Fonte: dati tratti dall'ICE
Il processo evidenziato pone peraltro una serie di problematiche differenti.
In primo luogo, risulta evidente la deindustrializzazione italiana del settore; così, mentre in
Italia il numero delle imprese calzaturiere e dei relativi addetti diminuisce in modo consistente,
modificando la struttura ed i confini dei distretti industriali, nei paesi dell’Est europeo e del
Sud-Est asiatico si riscontra un andamento del tutto differente.
Aldilà degli effetti negativi sull’occupazione, è necessario sottolineare altri due rischi di medioperiodo:
a.
una dispersione del know-how calzaturiero acquisito negli anni, con una perdita o
quantomeno una riduzione della “cultura tecnico-produttiva”;
b.
una diminuzione della volontà di fare e di continuare l’impresa che invece,
secondo il noto modello shumpeteriano, è risultato uno dei principali fattori alla base
dello sviluppo; in sostanza, la voglia di intraprendere e di continuare ad intraprendere
potrebbe risultare un forte limite al passaggio generazionale.
Un ulteriore aspetto da sottolineare è costituito dal fatto che la diffusione del decentramento
produttivo internazionale ed il ricorso agli IDE sta determinando, sia pure gradualmente, un
miglioramento delle capacità tecnico-produttive delle imprese calzaturiere internazionali; tale
crescita è alimentata anche dalla esportazione dal mercato italiano di macchinari, di accessori e
componenti ed anche di conoscenze (mediante le attività svolte all’estero da tecnici e stilisti)1.
1
Esaminando l’esportazione di macchine ed apparecchi per la produzione o la riparazione di calzature (escluse
macchine per cucire) in Romania, ne è possibile individuare un incremento negli anni da 2,9 milioni di euro nel 1993 a
oltre 20 milioni di euro nel 2002 (ICE, 2003).
16
È evidente l’importanza che in tale contesto assume lo sviluppo del campionario come arma
competitiva per fronteggiare una concorrenza, che sta acquisendo in modo crescente uno
specifico know-how.
Inoltre, si sottolinea un ulteriore elemento di “limitata chiarezza”, circa l’instabilità del processo
di delocalizzazione, sia per quanto concerne la scelta attuale e futura delle aree geografiche
verso le quali rivolgersi, sia relativamente al ritorno a processi di accentramento, almeno di
alcune fasi di lavorazione.
Ad esempio, come verificato direttamente dalle associazioni di categoria, sembra essere in atto
un processo in controtendenza, non confermato da fonti statistiche, proprio nel caso della
Romania, a favore di altri paesi, quali la Tunisia ed il Magreb in genere.
Tale considerazione permette di rilevare anche una certa debolezza, non solo nella strategia
commerciale, ma anche relativamente a quello tecnico-produttiva.
Secondo i risultati delle indagini congiunturali realizzate dall’ANCI, anche le aspettative a breve
termine relative al primo semestre 2004, non sono particolarmente positive; le aspettative
delle imprese con riferimento a produzione, ordini interni ed ordini esteri sono al di sotto dei
valori di mantenimento e di consolidamento dei livelli già raggiunti.
Il distretto calzaturiero fermano-maceratese
Le Marche, com’è noto, rappresentano la regione italiana caratterizzata dalla maggior
diffusione di imprese calzaturiere, specializzate in produzioni differenti in specifiche aree del
distretto fermano-maceratese (si vedano le tabelle 12 e 13); in tale area risultano essere
particolarmente negativi gli effetti socio-economici indotti dalle trasformazioni, che presenta il
sistema calzaturiero internazionale2.
È diminuito il numero delle imprese e degli addetti, con un forte ricorso alla cassa integrazione
guadagni3: questi dati risultano attualmente preoccupanti; ma considerazioni altrettanto
negative sembrano derivare dalle previsioni a breve termine delle associazioni di categoria.
Inoltre, come si vede nella tabella 14, si riscontrano per la regione Marche un aumento delle
importazioni di calzature e, allo stesso tempo, una diminuzione delle esportazioni; i movimenti
registrati nella dogana di Civitanova Marche testimoniano poi l’intensificarsi del ricorso al
“lavoro esterno”, da parte delle imprese del distretto marchigiano in vari paesi dell’Esteuropeo.
2
Il sistema delle imprese calzaturiere marchigiane è costituito da circa 4.200 imprese che occupano 40.000 addetti;
tale settore rappresenta circa il 30% dell’industria manifatturiera regionale, realizzando un fatturato superiore a
2.500.000 euro. Inoltre, operano oltre 550 aziende nei settori della componentistica/accessoristica e della pelletteria.
3
In proposito, va osservato che la contrazione del settore già riscontrata a livello nazionale assume connotazioni
ancora più evidenti in tale area; secondo i dati elaborati da “Infocamere”, nella provincia di Ascoli Piceno dal 1997 al
2002 il numero di imprese è passato de 3.105 a 2.811, le unità locali da 3.336 a 3.114, e gli addetti da 23.600 a
20.264. Nella provincia di Macerata nello stesso periodo, il numero di aziende è diminuito da 1.433 a 1.356; anche in
questo caso, le informazioni acquisite sull’attuale andamento delle imprese calzaturiere marchigiane sembrano
prevedere un’ulteriore fuoriuscita dal mercato delle aziende.
17
Tabella 12 – Aziende ed addetti del settore calzaturiero
per regione (anno 2002)
Calzaturifici e produzione di calzature a mano e su misura
Aziende
Regioni
Numero
Marche
2.359
Toscana
1.601
Veneto
1.148
Lombardia
605
Campania
601
Puglia
554
Emilia-Romagna
252
Abruzzo
75
Umbria
44
Piemonte
40
Sicilia
39
Friuli-Venezia
16
Giulia
Lazio
14
Calabria
12
Trentino-Alto Adige 6
Sardegna
5
Molise
4
Basilicata
3
Liguria
2
Totale Italia
7.380
Addetti
% sul
Totale
%
Unità
cumulata
% sul
totale
%
cumulata
32,0
21,7
15,6
8,2
8,1
7,5
3,4
1,0
0,6
0,5
0,5
32,0
53,3
69,3
77,5
85,6
93,1
96,5
97,5
98,1
98,6
99,1
30.024
19.904
21.069
8.089
8.050
10.725
4.612
1.815
547
843
345
28,1
18,6
19,7
7,6
7,5
10,0
4,3
1,7
0,5
0,8
0,3
27,4
46,7
66,4
74
81,5
91,5
95,8
97,5
98,0
98,8
99,1
0,2
99,3
341
0,1
99,2
0,2
0,2
0,1
0,1
0,1
0,0
0,0
100,0
99,5
99,7
99,8
99,9
100,0
100,0
100,0
100,0
76
0,3
150
0,1
176
0,2
13
0,0
45
0,0
179
0,2
5
0,0
107.008 100,0
Fonte: dati tratti da ANCI
18
99,5
99,6
99,8
99,8
99,8
100,0
100,0
100,0
Tabella 13 - Principali caratteristiche del distretto fermano-maceratese
Nel distretto fermano-maceratese, che si colloca tra le provincie di Ascoli Piceno e di Macerata,
l’industria calzaturiera nasce nel secolo scorso; determinante in tal senso è stata la presenza in
tale area di molti maestri calzolai, che hanno consentito la diffusione della tecnica di
produzione delle calzature.
In una prima fase, fino al 1860, la produzione riguardava prevalentemente le pantofole, che
erano vendute direttamente dagli stessi fabbricanti, ricorrendo al commercio ambulante.
L’introduzione delle macchine a pedale per cucire le tomaie, avvenuta nel 1870 circa, ha
comportato il progressivo inserimento delle donne nell’attività lavorativa; infatti, il lavoro
femminile era limitato fino a questo periodo alla guarnizione ed alla tessitura delle pantofole.
L’introduzione di una nuova tecnologia ha quindi consentito ai laboratori di incrementare le
quantità prodotte ed anche di reclutare più facilmente la manodopera (Sabbatucci Severini,
1989).
È interessante osservare che in tali anni venivano realizzate esportazioni di pantofole in
Francia, in Germania, in America e nei Paesi che si affacciavano sull’Adriatico e sull’Egeo.
Dalla fine del 1800 al 1920 circa si alternano fasi di sviluppo e fasi di crisi; non si riscontrano
peraltro cambiamenti nelle configurazioni organizzative aziendali. I fabbricanti tagliavano la
pelle, amministravano l’azienda e due volte l’anno si recavano presso i potenziali clienti per
acquisire gli ordini. Nel laboratorio erano occupati da un minimo di due ad un massimo di venti
addetti; l’orlatura e la cucitura delle tomaie venivano effettuate a domicilio, solitamente dalla
forza lavoro femminile, mentre il montaggio e la cucitura erano prevalentemente realizzati da
singoli calzolai o da famiglie di artigiani terzisti.
Non può sfuggire che il nucleo essenziale dell’economia locale era rappresentato dalla famiglia
mezzadrile; in particolare, il passaggio da mezzadro a imprenditore comincia negli anni del
secondo conflitto mondiale e si realizza secondo percorsi differenti.
Quindi è innegabile il diretto coinvolgimento della famiglia nel processo di industrializzazione. Il
fatto stesso che molte unità produttive trovassero la loro prima (e talvolta anche definitiva)
localizzazione in spazi sottratti all’abitazione familiare costituì un elemento decisivo per
l’affermazione del modello ad imprenditoria diffusa. Inoltre, le relazioni industriali all’interno
dell’unità produttiva, quando vi erano coinvolti componenti esterni alla famiglia, si
conformavano ugualmente al modello di rapporti interfamiliari (Anselmi, 1989).
Nei primi anni Cinquanta, l’industria del fermano-maceratese inizia il suo sviluppo, che
continua in modo crescente negli anni Sessanta, a fronte delle esportazioni negli Stati Uniti, in
Germania ed anche nei Paesi Scandinavi.
Nel distretto fermano-maceratese prevalgono tre poli produttivi specializzati: nell’area di
Montegranaro sono realizzate calzature per uomo, nella zona di Monte Urano calzature per
bambino/ragazzo e nel comprensorio di Civitanova Marche sono prevalentemente prodotte
scarpe da donna.
Fonte: Gregori (1996).
19
Tabella 14 – Scambi commerciali di calzature finite e parti di calzature (dati distinti per la
regione Marche e le province di Ascoli Piceno e di Macerata -valori in milioni di euro; anni
1991-2002)
Anni
1991
1992
1993
1994
1995
1996
1997
1998
1999
2000
2001
2002
Regione
Marche
Import
38
44
60
91
104
113
153
168
193
274
350
374
Export
774
754
1.007
1.169
1.358
1.497
1.547
1.511
1.429
1.658
1.890
1.758
Provincia di
Ascoli Piceno
Import
Export
24
433
26
406
35
556
54
653
61
763
62
831
79
844
84
819
100
796
152
930
199
1.079
233
976
Provincia di
Macerata
Import
Export
11
282
13
284
19
394
31
448
33
525
41
586
63
612
75
574
85
561
113
644
137
745
129
680
Fonte: Confindustria Marche – “Consulta regionale imprese calzaturiere”
Ulteriori considerazioni possono essere realizzate analizzando alcune variabili economiche
relative ai primi nove mesi del 2003, confrontate con le stesse per l’anno 2002.
Si verifica un decremento delle esportazioni di calzature realizzate da imprese calzaturiere
marchigiane pari al 9,7% (in valore); tale diminuzione è ancora più elevata nel caso della
provincia di Ascoli Piceno (il 10,7%).
Inoltre, continua la crescita delle importazioni, pari al 9,1% in valore per l’intera Regione
Marche.
Al tempo stesso, con riferimento al settore Pelli e cuoio, le ore autorizzate per trattamenti di
integrazione salariale (a favore di operai e di impiegati) si sono accresciute per l’intera regione
di oltre il 68%; l’incremento è stato del 103,7% nel caso della provincia di Ascoli Piceno4.
I dati e le problematiche evidenziate hanno consentito agli attori socio-istituzionali del territorio
di individuare alcuni possibili interventi, che acquisiscono carattere di priorità per il distretto, in
relazione ai nuovi fattori di competitività internazionali.
A. Sviluppare un processo di internazionalizzazione più stabile, caratterizzato da una
presenza più diretta delle imprese, non solo riguardo alla funzione tecnico-produttiva,
ma anche e soprattutto per quanto concerne l’area commerciale.
B. Favorire processi di aggregazione tra imprese del distretto, per realizzare attività
sinergiche nelle differenti aree funzionali (acquisti, produzione, distribuzione,
comunicazione,ecc.); ciò in considerazione del fatto che la piccola e media dimensione
non sembra più assicurare la “soglia minima strutturale” per attuare con efficacia ed
efficienza differenti politiche aziendali. Si è peraltro consapevoli del fatto che il ricorso
all’associazionismo non
risulta agevole, considerando l’elevato individualismo
dell’imprenditore; peraltro, lo sviluppo di aggregazioni può essere favorito proprio da
condizioni di crisi.
C. Diffondere la cultura dell’innovazione della gamma prodotti, mediante strumenti che
agevolino e promuovano la realizzazione dei campionari.
D. Attuare interventi volti a favorire la successione imprenditoriale; infatti, secondo il
risultato di varie interviste, molte imprese rischiano di “chiudere”, in quanto la nuova
generazione imprenditoriale che dovrebbe succedere a quella attuale “non risulta né
pronta”, “né inserita in azienda”. Soprattutto nella situazione di mercato evidenziata,
questa problematica costituisce un ulteriore indebolimento per il settore.
4
Si tenga conto che nello stesso periodo il numero totale di ore di cassa integrazione con riferimento all’intero mercato
italiano è diminuito del 14%.
20
Il distretto e la sperimentazione
Nel contesto sopradescritto la sperimentazione si colloca a sostegno ed integrazione delle
iniziative e dei progetti di ristrutturazione già in atto nel distretto, in particolare si pone come
azione per individuare le competenze su cui investire rispetto alle priorità indicate.
Il sistema di piccole e medie imprese del distretto evidenzia infatti particolari fattori di
vulnerabilità sul versante delle professionalità richieste a sostegno di nuove politiche di
sviluppo.
Se le imprese del distretto godono di una spiccata capacità di adattamento nel breve periodo,
si dimostrano fragili nel sostenere interventi di ristrutturazione complessivi a causa di una
carente managerialità aziendale e della indisponibilità delle risorse necessarie alla gestione di
interventi di riorganizzazione radicale del sistema di business.
Il sistema locale di imprese è ancora oggi caratterizzato da:
•
•
•
•
•
•
•
imprese ad alta intensità di capitale umano, in cui le professionalità ed i modelli
organizzativi del lavoro rappresentano la variabile strategica di successo o fallimento
aziendale;
aziende caratterizzate da piccole, quando non addirittura piccolissime dimensioni, che
non dispongono quindi non solo delle conoscenze specifiche per la gestione del
cambiamento, ma anche di risorse da dedicare al reperimento di competenze utili a
sostenere tali processi, con conseguente elevato tasso di mortalità;
inerzia organizzativa, legata a modelli di intervento basati sulla routinizzazione dei
processi, piuttosto che sulla ricerca di soluzioni altamente performanti;
frequente refrattarietà a gestire percorsi di valutazione ed analisi critica dei risultati
conseguiti, anche per la diffusa carenza di una esplicita strategia e programmazione
aziendale;
fragilità della cultura imprenditoriale e manageriale che, oltre a presentarsi come poco
matura, ignora troppo spesso modelli e strategie di intervento ormai accreditate ed utili
alla gestione del cambiamento che condiziona organizzazioni in contesti dinamici;
rigidità dei diversi sistemi di competenze, da cui derivano una scarsa sensibilità alla
formazione permanente ed una rapida obsolescenza dei profili professionali interessati;
scarsa sensibilità all’innovazione che lo sviluppo tecnologico ed informatico può
apportare in un settore ad alta intensità di capitale umano, in cui la conoscenza diviene
sempre più fattore strategico di competitività e di successo.
Tutto ciò viene aggravato dall’impatto occupazionale che i processi in atto stanno generando su
base locale:
•
•
•
•
espulsione dal mercato del lavoro delle professionalità più fragili;
carenza di opportunità alternative di inserimento;
indisponibilità di opportunità concrete di riqualificazione/riconversione just in time;
inadeguatezza dei CPI a gestire livelli quali-quantitativi di utenza così complessi e
diversificati.
La sperimentazione, quindi, intende inserirsi tra iniziative in corso al fine di raggiungere i
seguenti obiettivi:
•
•
•
identificare alcuni profili professionali distintivi per il distretto calzaturiero con lo scopo
di migliorare l’incontro tra domanda e offerta di lavoro, le politiche attive per
l’occupazione e integrarle con la formazione professionale;
creare una rete di soggetti pubblici e privati (CPI, associazioni imprenditoriali) che
sperimentano un linguaggio comune come precondizione per le realizzazione delle
politiche sopraindicate;
attuare un percorso sperimentato e condiviso che ricerchi soluzioni efficaci per la
riqualificazione e la ricollocazione occupazionale.
21
Il racconto dell’esperienza
Flow chart e output prodotti dalla sperimentazione
In base al processo standard precedentemente descritto la sperimentazione che ha coinvolto il
distretto calzaturiero fermano-maceratese ha articolato la fase socio-istituzionale secondo le
modalità seguenti:
Processo socio-istituzionale del distretto calzaturiero fermano
maceratese
Condivisione istituzionale
Distretto calzaturiero
Fermano-maceratese
Proposta di
sperimentazione
Presentazione della sperimentazione alla
Regione Marche: Dipartimento sviluppo
economico
Confronto con COICO, Consorzio Distretto
Calzaturiero fermano-maceratese
Protocollo
d’intesa
22
Condivisione sociale
Distretto calzaturiero
Fermano-maceratese
Protocollo
d’intesa
Proposta di
sperimentazione
Confronto con i rappresentanti del COICO per la
condivisione della proposta di sperimentazione
Individuazione degli esperti partecipanti il
comitato tecnico
Comitato tecnico
Processo di
ricerca operativa
Condivisione dizionario
Distretto calzaturiero
Fermano-maceratese
Confronto con i rappresentanti del COICO e
validazione dell’ipotesi del dizionario elaborata
nel processo di ricerca operativa
Dizionario
condiviso
23
Per quanto riguarda il processo di ricerca operativa le modalità di articolazione sono state le
seguenti:
Processo di ricerca operativa del distretto Fermano-maceratese
Processo di
ricerca operativa
Analisi dei processi
Distretto calzaturiero
Fermano-maceratese
Presentazione
sperimentazione
Piano per ricerca
operativa
Confronto con gli esperti, presentazione del
progetto e condivisione del piano di ricerca
operativa
Individuazione tramite desk analisis dei
principali processi presenti nel sistema locale,
visite in cinque imprese del territorio con
interviste
Processi principali
del sistema locale
24
Confronto linguaggi
Distretto calzaturiero
Fermano-maceratese
Processi principali
del distretto
Identificazione dei sistemi professionali presenti
nelle aziende dell’indotto scelte come campione
sul territorio ad integrazione del lavoro svolto
nel distretto di San Mauro Pascoli e di
Monsummano
Elaborazione del sinottico di confronto tra i vari
linguaggi, collocando le denominazioni delle
figure professionali lungo i processi
precedentemente individuati
Confronto tecnico per condividere il sinottico,
scegliere le figure più significative lungo il
processo e relative denominazioni ed elaborare
l’ipotesi di traduttore
Ipotesi di
Traduttore
25
Analisi profili
Distretto calzaturiero
Fermano-maceratese
Traduttore
condiviso
Elaborazione con gli esperti del comitato tecnico
del piano di ricerca sulle competenze dei profili
professionali individuati ed individuazione delle
imprese in base a rappresentatività e
disponibilità
Avvio visite nelle imprese citate per le interviste
ai responsabili e ai rappresentanti della figura
professionale studiata
Elaborazione informazioni raccolte e definizione
descrittivi dei profili delle figure professionali in
base alla metodologia Italia Lavoro
Confronto con gli esperti locali e stesura
dell’ipotesi del dizionario per il distretto
Ipotesi di
Dizionario
26
Articolazione delle attività realizzate in alcune fasi dell’iter operativo
Condivisione sociale
Condivisione sociale
Distretto calzaturiero
Fermano-maceratese
Il 6 ottobre 2004 presso la sede del COICO. a Porto S. Elpidio (MC) si è svolto l’incontro tra:
•
•
•
•
•
•
•
•
•
•
la Regione Marche, rappresentata dal dott. Soverchia del Settore Lavoro;
il COICO., rappresentato dal Presidente Paolo Petrini;
il CPI di Fermo, rappresentato dalla responsabile Paola Vizzi e dall’operatrice
Annamaria Antolloni;
il CPI di Civitanova, rappresentato dall’operatrice Lorenza Pelosi;
COSIF, rappresentato dal Presidente Umberto Marconi;
CNA Federmoda calzatura, rappresentato dal Presidente Giovanni Lucani;
Scuola Calzaturieri, rappresentata dal consulente Paolo Frattini;
FILTEA CGIL, rappresentata da Michela Verdecchia;
Il consulente esperto del distretto Mauro Filippetti;
il team di Italia Lavoro, rappresentato da Mauro Brustia, Cesare Gabrielli, Di Centa e
Busilacchi.
All’Ordine del giorno della riunione la presentazione del progetto, la costituzione del comitato
tecnico e la programmazione delle successive fasi.
Durante l’incontro è stata presentata la sperimentazione SPINN sui dizionari delle professionali
nel distretto calzaturiero fermano-maceratese e le finalità che intende perseguire.
Sono stati inoltre condivisi i materiali e la documentazione già elaborati da Italia Lavoro SpA, in
particolare tutti i processi relativi al calzaturiero oggetto della sperimentazione.
I processi, precedentemente elaborati dalla sperimentazione già avviata nel distretto di San
Mauro Pascoli (Forlì-Cesena), sono stati condivisi ed è subito emersa una specificità del
distretto fermano-maceratese, quella della forte presenza in questo territorio di aziende di
fornitura di componenti.
Per questo è stato deciso di approfondire processi e figure professionali dell’indotto, così anche
da completare l’elaborazione effettuata nelle altre sperimentazioni.
Il campione di aziende in cui andare ad effettuare le interviste è quindi stato definito
prendendo in considerazione le imprese che lavorano sulla componentistica, realizzando una
parte della calzatura, nello specifico: un formificio, un suolificio, un solettificio, un tacchificio e
un’azienda produttrice di fondi in gomma.
L’elenco delle imprese campione è il seguente:
TIPOLOGIA AZIENDA
NOME
Formificio
Suolificio
Solettificio
Tacchificio
Fondi in gomma
TRENDY
PANTERA
CENTINI
OLIVIERI
MARGOM
27
Analisi dei processi
Analisi dei processi
Distretto calzaturiero
Fermano-maceratese
L’analisi dei processi relativi alle imprese di produzione dei componenti è stata condotta
attraverso visite ed interviste presso le imprese campione, predisponendo un primo
semilavorato, sottoposto prima ai rappresentanti delle stesse aziende intervistate e
successivamente ai rappresentati del comitato tecnico.
Grazie a questo approfondimento specifico effettuato nel distretto fermano-maceratese la
sperimentazione ha coperto sostanzialmente l’intera filiera calzaturiera, integrando l’analisi
sviluppata negli altri due distretti (San Mauro Pascoli e Monsummano).
Questo è un aspetto molto importante in quanto si sono presi a riferimento processi spesso
dimenticati, forse perché ritenuti secondari, ma che hanno un’importanza decisiva per la stessa
competitività del distretto, basata su una rete di rapporti di subfornitura di
semilavorati/componenti che garantiscono la flessibilità e la qualità necessari.
Inoltre viene completata la filiera in termini di figure professionali che solo in apparenza sono di
tipo esecutivo, ma in realtà hanno una competenza specifica sulla quale se non si interviene
con adeguate politiche di orientamento e di formazione si rischia di perdere con gravi
conseguenze sulle possibilità di tenuta e di ripresa del distretto stesso.
Il risultato finale è una prima schematizzazione dei processi delle imprese di fornitura dei
componenti con relativa individuazione delle figure professionali lungo i vari processi, che
diventa l’ipotesi di “traduttore” per il Distretto calzaturiero fermano-maceratese, grazie al quale
potranno essere decifrati i diversi modi di definire le professioni da parte dei soggetti locali che
agiscono sul Mercato del Lavoro.
Strumenti utilizzati
Analisi processi e analisi competenze con metodologia Italia Lavoro, vedi “Strumentazione
tecnica”.
Metodologie e strumenti
La sperimentazione si basa su un processo che integra fasi di ricerca operativa a fasi di
partecipazione socio-istituzionale.
La visualizzazione schematica del processo mette in evidenza proprio la stretta correlazione ed
interdipendenza tra le attività che hanno una tipica caratteristica tecnica con quelle invece che
hanno una funzione socio-istituzionale.
Questa è una specificità con conseguenze molto importanti: non ci può essere un’attività di
ricerca ed elaborazione in merito al dizionario senza che prima ci sia la formalizzazione di una
committenza istituzionale, a cui deve far seguito un allargamento della partecipazione alle parti
sociali, che devono fornire una collaborazione attiva tramite l’individuazione di esperti che
insieme ai ricercatori sviluppano l’elaborazione di un ipotesi di dizionario che a sua volta torna
ai rappresentanti istituzionali e sociali per essere infine validata.
Lo schema di processo è il seguente, i collegamenti ipertestuali permettono di accedere
direttamente alla guida operativa che descrive in dettaglio le rispettive fasi e agli iter operativi
delle varie sperimentazioni:
28
Il Processo per la costruzione del Dizionario Condiviso
Processo socio-istituzionale
Processo di ricerca
operativa
Condivisione istituzionale
Protocollo
d’intesa
Condivisione sociale
C. decisori e
C. tecnico
Analisi dei processi e
Confronto linguaggi
Ipotesi di
traduttore
Condivisione traduttore
Traduttore
condiviso
Analisi profili
Ipotesi di
Dizionario
Condivisione Dizionario
Dizionario
condiviso
29
Guida operativa
In questa guida operativa analizziamo le varie fasi del processo, indicandone finalità, attività,
metodologie/strumenti e risorse. Come il processo sopradescritto la guida operativa è il frutto
di una elaborazione che ha tenuto conto del reale sviluppo delle sette sperimentazioni, per cui
può essere considerata un utile punto di riferimento per coloro che sono interessati ad avviare
esperienze analoghe.
Condivisione istituzionale e Protocollo d’intesa
Condivisione istituzionale
Protocollo
d’intesa
Finalità
In tutti i casi coinvolti l’avvio della sperimentazione è stato definito da un “Protocollo d’intesa”
sottoscritto tra le rispettive Amministrazioni provinciali e Italia Lavoro.
Partendo dal una bozza di protocollo proposta da Italia Lavoro ogni Amministrazione provinciale
coinvolta ha deciso di formalizzare la sperimentazione seguendo strade diverse: si va dalla
delibera di Giunta come nel caso dell’amministrazione di Forlì-Cesena che sceglie di far gestire
la sperimentazione da uno sportello dedicato alle imprese del distretto, al semplice accordo tra
dirigenti dell’Amministrazione provinciale e dirigente di SPINN.
Al di là della formalizzazione che sancisce una committenza istituzionale, necessaria per
avviare le sperimentazioni del progetto SPINN, occorre sottolineare come il “Protocollo d’intesa”
assume in questo caso un significato particolare.
L’Amministrazione provinciale, istituzione preposta al governo dei Servizi per l’impiego, nonché
alla realizzazione delle politiche del lavoro e della formazione a livello locale, assume la
decisione di avviare la realizzazione, seppure in ambito sperimentale, di un “dizionario
condiviso” con le parti sociali.
È un passo che assume rilevanza politica ed amministrativa, in quanto mentre da un lato
rafforza la politica di concertazione e partenariato sociale sul territorio, dall’altro impegna la
struttura dei servizi in un’attività certamente innovativa ma altrettanto onerosa.
Attività
Questa fase di avvio del processo si svolge principalmente attraverso incontri bilaterali tra
l’ente proponente e i rappresentanti dell’amministrazione pubblica.
Dell’Amministrazione provinciale sono coinvolti:
•
•
il livello politico rappresentato di solito dall’Assessore al Lavoro, anche se in alcuni casi
sono stati interessati gli stessi Presidenti o altri Assessorati, come quello della
Formazione quando questo è distinto dal Assessorato al Lavoro;
i ruoli dirigenziali dell’amministrazione, di solito il dirigente responsabile dell’area lavoro,
e i funzionari responsabili dei Servizi per l’impiego o anche della formazione
professionale o dei sistemi informativi.
Dopo i primi incontri, constatato l’interesse e contestualizzati gli obiettivi e i settori su cui
caratterizzare l’iniziativa sul territorio, si passa alla stesura dell’ipotesi di protocollo che dopo
essere passata al vaglio dei vari responsabili viene sottoscritta dalle due parti.
30
Metodologie e strumenti
Gli incontri richiedono una presentazione del progetto e la predisposizione di una bozza di
protocollo d’intesa.
La gestione degli incontri richiede abilità relazionali e contrattuali in grado di cogliere strategie,
esigenze ed interessi non sempre chiari ed espliciti unitamente a comportamenti e rapporti
politici, istituzionali ed amministrativi tra le persone coinvolte, che possono essere spesso
determinanti per il buon esisto del progetto.
Risorse e tempi
In questa fase intervengono due figure:
•
•
il responsabile territoriale di Italia Lavoro che ha il compito di gestire le relazioni a livello
locale;
l’esperto responsabile a livello centrale della sperimentazione di Italia Lavoro.
In base all’esperienza realizzata si può dire che per questa fase non è facile stabilire un tempo
preciso, si va da un minimo di due ad un massimo di tre mesi dal primo contatto telefonico,
con un minimo di due ad un massimo di tre incontri.
Condivisione sociale e Comitato dei decisori e comitato tecnico
Condivisione sociale
C. decisori e
C. tecnico
Finalità
Dopo la firma del protocollo d’intesa l’Amministrazione provinciale invita i rappresentanti delle
parti sociali ad una riunione con le seguenti finalità:
•
•
•
presentare gli obiettivi e le modalità di svolgimento della sperimentazione;
formalizzare il “comitato dei decisori” che dovrà validare il dizionario;
definire un “comitato tecnico” che gestirà le fasi di ricerca ed elaborerà le ipotesi di
dizionario.
Lo scopo è quello di coinvolgere attivamente gli attori che agiscono sul mercato del lavoro
locale nella convinzione che questa è l’unica strada per costruire un linguaggio “vivo”, cioè uno
strumento che una volta definito sia effettivamente utilizzato.
Domani con l’avvento della Borsa Continua Nazionale del Lavoro questa fase potrebbe essere
aperta a tutte le agenzie accreditate, avviando così un rapporto tra pubblico e privato
propedeutico ad interventi più integrati e coordinati sulle politiche del lavoro.
In questa ottica in alcune sperimentazioni sono state interessate agenzie formative e consulenti
del lavoro già oggi riconosciuti a livello locale come partner dell’istituzione pubblica.
La partecipazione richiesta ai diversi soggetti ha due caratteristiche:
1. funzione decisionale nella validazione del lavoro di ricerca e alla fine del dizionario;
2. funzione tecnica ed operativa nel mettere a disposizione, per il settore in esame, esperti
ed imprese per una collaborazione attiva nell’analisi dei processi e dei profili.
31
Attività
Questa fase si svolge prevalentemente attraverso contatti bilaterali ed incontri in plenaria che
possono avere la seguente scansione:
•
•
•
•
contatti bilaterali con le singole associazioni;
primo incontro in plenaria di presentazione del progetto, discussione e formalizzazione
del “comitato dei decisori”;
contatti bilaterali per l’individuazione del “comitato tecnico”;
primo incontro del “comitato tecnico” per definizione del piano operativo di ricerca.
Metodologie e strumenti
I contatti bilaterali necessitano una buona rete di relazioni sul territorio. Gli incontri richiedono
una presentazione del progetto e del protocollo d’intesa firmato. La gestione degli incontri
richiede abilità relazionali e contrattuali in grado di cogliere strategie, esigenze ed interessi non
sempre chiari ed espliciti unitamente a comportamenti e rapporti politici, istituzionali e sociali
tra le associazioni e i loro rappresentanti, che possono essere spesso determinanti per il buon
esisto del progetto.
Risorse e tempi
In questa fase intervengono le stesse figure previste nella prima:
•
•
il responsabile territoriale di Italia Lavoro che ha il compito di gestire le relazioni a livello
locale;
l’esperto responsabile a livello centrale della sperimentazione di Italia Lavoro.
I tempi possono variare tra uno e i due mesi massimo tra la firma del Protocollo e le definizione
del piano operativo.
Analisi dei processi, confronto linguaggi ed ipotesi di traduttore
Analisi dei processi e
Confronto linguaggi
Ipotesi di
traduttore
Finalità
Con questa fase prende avvio la ricerca operativa che ha come primo obiettivo quello di
individuare un “traduttore” dei diversi linguaggi utilizzati dai soggetti che a livello locale
intervengono sul mercato del lavoro.
Il “traduttore” è uno strumento condiviso per confrontare le varie modalità di denominazione
delle figure professionali appartenenti al settore oggetto di analisi.
Il “traduttore” non è un nuovo linguaggio e neppure modifica quelli esistenti ma ha il semplice
compito di mettere ordine tra i linguaggi utilizzati e permettere di effettuarne poi il confronto.
32
Sinottico per
“Traduttore” condiviso
Comparto/distretto: ….
Processi
Output
Voci
ISTAT
5° digit
CCNL
Linguaggi
in
uso
da
imprese,
associazioni,
consulenti, ecc.
Linguaggi in uso
da
agenzie
formative
Ipotesi
“Traduttore
” condiviso
Ciò dà libertà ai diversi soggetti di continuare a parlare la lingua più idonea alle proprie finalità,
ad esempio per stabilire l’inquadramento professionale dei lavoratori le associazioni
imprenditoriali ed il sindacato continueranno ovviamente ad utilizzare il contratto collettivo di
lavoro.
Nello stesso tempo si stabiliscono in modo condiviso a livello locale le denominazioni riferite
alle figure professionali che meglio interpretano il sistema professionale del settore.
In sostanza si stabilisce una nuova convenzione tra gli attori socio-istituzionali del territorio per
declinare il loro sistema professionale; una convenzione che “parla” con le convenzioni in
vigore e fa riferimento allo standard nazionale: la classificazione ISTAT.
Attività
L’attività prevista per questa fase si può suddividere in due filoni:
ƒ
ƒ
lavoro di ricerca ed elaborazione soprattutto attraverso attività di back-office, con
alcune analisi sul campo presso le imprese disponibili;
confronto con gli esperti del comitato tecnico sul materiale prodotto in una serie di
incontri.
Metodologie e strumenti
La metodologia utilizzata in questa fase di ricerca si articola nei seguenti passaggi:
1. analisi dei processi;
2. analisi dei flussi del mercato del lavoro locale e ricerca sulle “voci” professionali al 5°
digit della classificazione ISTAT relative al settore considerato;
3. ricerca sugli inquadramenti contrattuali e sui repertori ISFOL delle denominazioni
relative alle figure professionali del settore considerato;
4. individuazione del sistema professionale specifico della tipologia delle imprese del
territorio;
5. confronto tra i diversi linguaggi analizzati, collocandoli lungo i processi individuati;
6. definizione del “traduttore” attraverso la denominazione condivisa lungo i processi
delle figure professionali scelte come “figure di riferimento”.
Vediamo brevemente punto per punto.
1
L’analisi dei processi è l’approccio scelto come base per il confronto tra i linguaggi e
successivamente per l’individuazione delle attività chiave del profilo, così come stabilito dalla
metodologia concordata tra Italia Lavoro ed ISFOL.
La scelta è stata fatta in quanto l’analisi di processo permette di avere una visione integrata
delle attività e delle funzioni necessarie per ottenere un determinato prodotto e/o servizio,
sufficientemente indipendenti dalle diversissime organizzazioni del lavoro presenti nella realtà,
33
permettendo così di ordinare e successivamente confrontare i vari sistemi professionali definiti
nei diversi linguaggi.
Ciò significa scomporre il settore nei processi principali e di supporto, secondo la definizione di
M. Porter, in modo tale da cogliere immediatamente i processi trasversali a più settori e quelli
invece caratteristici di quello oggetto di studio.
Soprattutto per questi ultimi si dovrà arrivare ad una scomposizione che tenga conto delle
specificità, ma nello stesso tempo non cada nell’articolazione troppo spinta. La regola che
permette di evitare analisi poco correte è quella di identificare il risultato (output) che il
processo o le sue attività principali devono garantire.
Una volta definita in modo chiaro l’articolazione per processi e/o per attività principali del
settore questa diventa la base su cui confrontare le diverse modalità di definizione del sistema
professionale.
2
L’analisi dei flussi del Mercato del Lavoro locale si effettua attraverso l’elaborazione dei
dati relativi alle comunicazioni obbligatorie delle imprese su assunzioni, cessazioni e
trasformazioni dei rapporti di lavoro.
Ai fini della sperimentazione oltre ad evidenziare l’andamento reale dell’occupazione nel settore
a livello locale, questi dati segnalano le denominazioni delle figure professionali movimentate.
Denominazioni che, riferendosi ovviamente alla classificazione ISTAT, danno uno spaccato
dell’utilizza reale di essa in quel territorio per quel settore.
A questo punto viene effettuata una ricerca di tutte le “voci” relative al 5° digit della
classificazione ISTAT riferite al settore in oggetto.
3
La stessa ricerca viene fatta rispetto ai linguaggi utilizzati nei contratti nazionali di
lavoro applicati in quel settore, selezionando dalle parti relative agli inquadramenti le
denominazioni delle mansioni o ruoli professionali inserite nei vari livelli. Per concludere questa
parte relativa alla ricerca dei linguaggi formalizzati a livello nazionale, si evidenziano i repertori
segnalati dall’ISFOL attinenti al settore in studio.
4
Si passa alla individuazione del linguaggio o dei linguaggi utilizzati a livello locale,
studiando il sistema professionale per tipologia di impresa: grande e/o piccola impresa, azienda
artigiana, ecc. Con l’aiuto degli esperti, partecipanti al comitato tecnico, si stabiliscono le
tipologie d’impresa tipiche del territorio e per ognuna si declina lo specifico sistema
professionale con relative denominazione delle figure professionali spesso dissimili, non solo
dalla classificazione ISTAT, ma dagli stessi contratti nazionali, in quanto derivanti dalla storia e
dalla cultura locale.
5
È possibile ora confrontare diversi linguaggi analizzati da quelli istituzionali e
formalizzati a livello nazionale, a quelli utilizzati a livello locale.
Per far ciò si utilizza un sinottico che nelle prime due colonne di sinistra colloca i processi e/o le
attività chiave individuate nella fase 1., nelle colonne seguenti dispone le denominazioni delle
figure professionale a partire da quelle individuate nella classificazione ISTAT e di seguito le
altre.
Grazie a questo semplice procedimento è possibile avere immediata visione delle differenze e/o
similitudini tra i vari linguaggi, proprio in quanto la disposizione delle singole figure
professionali avviene lungo il processo.
6
La definizione del “traduttore” a questo punto risulta essere semplice ed immediata.
Avendo, infatti, ricostruito processi e/o attività significative, in quanto producono un output
riconosciuto, nell’ultima colonna del sinottico si possono collocare le figure professionali che
accorpano in sé tutte le operazioni necessarie per gestire o l’intero processo o svolgerne le
attività chiave.
Si individua in questo modo un elenco di figure professionali che possiamo definire di
“riferimento”, che sono riconducibili alle denominazioni utilizzate negli altri linguaggi tramite la
loro collocazione sui processi.
Queste figure di riferimento sono “a banda larga” in quanto presiedono attività significative con
output definiti, per cui sono di più immediata utilizzazione sia per l’incrocio domanda e offerta
sia come riferimento per politiche del lavoro e formative.
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Il sinottico costruito in precedenza diventa, con nell’ultima colonna l’elenco di figure
professionali di riferimento, il “traduttore” dei linguaggi per il sistema locale.
La strumentazione per tutta questa serie di attività è quella relativa al bagaglio metodologico
relativo all’analisi dei processi dal flussogramma all’osservazione diretta nelle imprese e
relative interviste ai responsabili, alle tabelle per l’elaborazione dei dati sui flussi del Mercato
del Lavoro e al sinottico per l’ordinamento dei linguaggi lungo i processi.
Risorse e tempi
La ricostruzione dei processi prevista al punto 1 richiede sia un lavoro di recupero del materiale
prodotto in letteratura sia una discesa sul campo per contestualizzarli in base alle
caratteristiche del settore a livello locale.
In particolare occorre cogliere gli elementi più “critici” per le innovazioni tecnologiche ed
organizzative in corso o per fattori esterni che stanno influenzando il comparto.
Per cui si può prevedere l’intervento di almeno un ricercatore senior, coadiuvato da alcuni
ricercatori junior.
Molto interessante è stata l’esperienza di affiancare al ricercatore senior messo a disposizione
da Italia Lavoro una piccola squadra formata da:
•
•
•
operatori dei CPI locali, in particolare coloro che già svolgono attività di preselezione e
contatto con le imprese del territorio;
operatori di agenzie formative riconosciute sul territorio, in particolare coloro che già si
occupano di corso rivolti al settore oggetto di studio;
giovani stagisti in carico ai due enti, destinati a rafforzare poi i rispettivi staff.
Mediamente tutta l’attività prevista al punto 1 ha comportato una decina di giornate-uomo
lungo un arco di tempo che va dalle 4 alle 6 settimane.
Le attività prevista ai punti 2, 3 e 4 sono attività di back office a cui si devono aggiungere
alcune interviste alle imprese per il punto 4. Il lavoro, svolto sempre dalla stessa squadra di
ricercatori che svolge il punto 1, richiede una decina di giornate-uomo, che è possibile collocare
nell’arco temporale previsto per il punto precedente.
I punti 5 e 6 sono realizzati attraverso due o massimo tre incontri del comitato tecnico, dove i
semilavorati elaborati dal team di ricercatori vengono presentati e discussi per arrivare ad
elaborare con l’indispensabile collaborazione degli esperti locali il “traduttore” con l’elenco delle
“figure professionali di riferimento”.
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Condivisione traduttore e traduttore condiviso
Condivisione traduttore
Traduttore
condiviso
Finalità
A questo punto si torna al confronto socio-istituzionale in quanto il “prodotto” elaborato in fase
di ricerca operativa deve essere sottoposto al vaglio dei rappresentanti dell’Amministrazione
provinciale e delle parti sociali per essere “validato”.
Il “traduttore” da semplice elaborato di un lavoro, seppure partecipato, pur sempre di ricerca
operativa, diventa uno strumento validato dai rappresentanti socio-istituzionali del territorio,
quindi un “traduttore condiviso” utilizzabile come standard locale per le strategie e le finalità
che gli stessi soggetti riterranno più opportune.
Attività
Nelle sperimentazioni questa fase si è tradotta in un incontro formalizzato dall’Amministrazione
provinciale con la presenza dei rappresentanti del “comitato dei decisori”.
In questa riunione, dopo la presentazione del “traduttore” e del lavoro svolto dai ricercatori e
dal “comitato tecnico”, seguita da una discussione tra i partecipanti, si è arrivati alla decisione
formale di condividere il “traduttore” e di avviare la successiva fase di ricerca, dandone
mandato al comitato tecnico e ai ricercatori.
Per lo sviluppo di altri casi potrebbe essere necessario prevedere un ulteriore passaggio di
modifica ed affinamento dello strumento a seguito di suggerimenti o correzioni emerse dalla
discussione socio-istituzionale.
Metodologie e strumenti
Per questa fase occorre raccogliere in una presentazione il lavoro fatto nell’attività di ricerca e il
sinottico elaborato.
È necessario prevedere una conduzione dell’incontro in modo che siano sottolineati gli eventuali
suggerimenti e che alla fine sia presa una decisione formale sulla condivisione del “traduttore”.
Risorse e tempi
Il tempo è quello necessario per indire un’incontro formale con la presenza di tutti i soggetti,
quindi dalle due al massimo quattro settimane.
Le risorse previste sono quelle del ricercatore senior per realizzare la presentazione, con l’aiuto
del team dei ricercatori.
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Analisi dei profili e Ipotesi di dizionario
Analisi profili
Ipotesi di
Dizionario
Finalità
La seconda fase della ricerca operativa riguarda la descrizione delle figure professionali
denominate nel “traduttore” condiviso. La convinzione è quella che non sia sufficiente
individuare in termini puramente nominali le figure professionali di riferimento per quel settore
se non si passa a precisarne i contenuti, ad evidenziare le caratteristiche specifiche di ognuna
di esse.
Significa passare dalla denominazione condivisa alla formalizzazione di un descrittivo relativo al
profilo professionale della figura presa a riferimento. Ciò permette di trasformare il “traduttore”
in un vero e proprio “dizionario” del sistema professionale locale che cerca di specificare le
competenze richieste alla figura professionale.
Un dizionario relativo a figure professionali, basato sulle competenze, è sicuramente uno
strumento che può migliorare gli standard sia quantitativi che qualitativi per l’incontro tra
domanda ed offerta di lavoro. Soprattutto, poi, se questo dizionario viene acquisito dalla banca
profili di Italia Lavoro e domani dalla Borsa Continua del Lavoro.
Attività
Anche l’attività prevista per questa fase si può suddividere in due filoni:
•
•
lavoro di ricerca ed elaborazione sia con attività di back-office, che con analisi sul
campo presso le imprese disponibili per effettuare interviste mirate,
confronto con gli esperti del comitato tecnico sul materiale prodotto in una serie di
incontri.
Metodologie e strumenti
La metodologia utilizzata in questa fase di ricerca si articola nei seguenti passaggi:
1. recupero del materiale già pubblicato sui profili delle figure professionali da studiare;
2. acquisizione di informazioni sulle stesse figure tramite interviste sul campo e focus
group;
3. elaborazione del descrittivo relativo al profilo professionale secondo il format utilizzato
dalla banca profili di Italia Lavoro, che risponde allo standard nazionale messo a punto
con ISFOL;
4. redazione del dizionario.
Come si vede il bagaglio metodologico adottato è, come già detto, quello che Italia Lavoro ha
concordato con ISFOL e quindi si può ritenere uno standard sufficientemente collaudato.
Gli strumenti sono quelli predisposti da Italia Lavoro: il descrittivo, il manuale per la
compilazione, la guida alle interviste.
Per acquisire le informazioni sufficienti per la stesura di un profilo indicativamente nella
sperimentazione sono state effettuate almeno tre interviste per ogni figura di riferimento,
cercando di coinvolgere sia il responsabile del ruolo sia colui che realmente lo svolge.
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Dopo le interviste con il materiale raccolto e rielaborato sono stati realizzati focus group per
precisare meglio le competenze della figura.
A questi focus group sono stati invitati gli esperti oltre agli intervistati in modo tale da avere
alla fine un validazione del profilo almeno dal punto di vista tecnico.
Risorse e tempi
L’attività vede coinvolta la stessa squadra di ricercatori che ha sviluppato l’analisi dei processi,
che ricordiamo, oltre al ricercatore senior messo a disposizione da Italia Lavoro, è composta da
operatori del CPI o degli SPI provinciali, operatori di agenzie formative, a cui si aggiungono
sempre gli esperti del comitato tecnico.
Si crea così un’expertise e una rete di rapporti tra enti ed imprese a livello locale che rimarrà
anche dopo la fine della sperimentazione e potrà essere utilizzata per implementare il
dizionario ad altri settori e rafforzare le relazioni il sistema delle imprese.
I tempi di questa fase di ricerca variano con il numero di profili da descrivere.
Per ogni profilo, se si considerano tre interviste ed un focus group, si può dire che occorrono 6
giornate-lavoro. Tutte le sperimentazioni per motivi di rendicontazione hanno svolto questa
attività nell’arco di due mesi.
Condivisione dizionario e Dizionario condiviso
Condivisione Dizionario
Dizionario
condiviso
Finalità
L’ultima fase è quella relativa alla condivisione del lavoro svolto in quella precedente, con lo
scopo di validare il “dizionario”.
Si riprende il confronto socio-istituzionale in quanto il “dizionario” elaborato in fase di ricerca
operativa deve essere sottoposto al vaglio dei rappresentanti dell’Amministrazione provinciale e
delle parti sociali per essere “validato”.
Anche il “dizionario” da semplice elaborato di un lavoro di ricerca operativa, diventa uno
strumento validato dai rappresentanti socio-istituzionali del territorio, quindi un “dizionario
condiviso” utilizzabile come strumento locale per le strategie e le finalità che gli stessi soggetti
riterranno più opportune.
Attività
L’attività prevista è stata quella di un incontro formalizzato dall’Amministrazione provinciale
con la presenza dei rappresentanti del “comitato dei decisori”.
In questa riunione, dopo la presentazione del “dizionario” e del lavoro svolto dai ricercatori e
dal “comitato tecnico”, è seguito nei casi sperimentati un dibattito sulle problematiche relative
all’utilizzo dello strumento e alla sua implementazione per sviluppare le “politiche” del lavoro
già avviate a livello locale (vedi verbali delle sperimentazioni).
Alla fine dell’incontro si è arrivati alla decisione formale di condividere il “dizionario” e darsi
altre scadenza per approfondire le modalità di prosecuzione dell’esperienza avviata.
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Metodologie e strumenti
Per l’ultimo passaggio del processo occorre raccogliere tutto il materiale elaborato ed in
particolare preparare una presentazione sul “dizionario” elaborato.
È necessario prevedere una conduzione dell’incontro in modo che siano raccolti suggerimenti e
problematiche sul lavoro prodotto e sul suo eventuale proseguimento, per arrivare alla fine a
prendere una decisione formale sulla condivisione del “dizionario”.
Risorse e tempi
Il tempo, anche in questo caso, è quello necessario per indire un’incontro formale con la
presenza di tutti i soggetti, quindi dalle due al massimo quattro settimane.
Le risorse previste sono quelle del ricercatore senior per realizzare la presentazione, con l’aiuto
del team dei ricercatori.
Considerazioni finali
Condizioni per il successo
1
Il primo elemento decisivo per avviare questo tipo di intervento è individuare
interlocutori a livello istituzionale (Regioni e Province) convinti che il miglioramento dei servizi
e delle politiche del lavoro passa anche attraverso la definizione di linguaggi condivisi tra gli
attori territoriale sul versante delle professioni, almeno quelle più “critiche” sul mercato del
lavoro. Ciò in quanto si propone loro non un nuovo servizio o un intervento diretto su una
particolare utenza, ma un azione propedeutica e trasversale, per cercare di capire che cosa
richiede il territorio in termini di figure professionali distintive del sistema di imprese e/o di
distretto locale e definirne un dizionario attraverso un approccio per competenze.
Quindi una cultura di servizio che punta su una loro qualificazione, in particolare verso nuovi
standard per migliorare l’incontro tra domanda e offerta di lavoro, per integrare politiche del
lavoro con la formazione, è fondamentale.
Se invece vi è la convinzione che la preselezione è sufficiente realizzarla attraverso parametri
che non richiedono l’utilizzo di analisi delle competenze richieste dalle imprese per confrontarle
con quelle possedute dai lavoratori non è necessario avviare il processo sopra descritto.
2
Inoltre siccome il dizionario deve essere uno strumento condiviso, una seconda
condizione di successo è determinata dalla rete di soggetti locali disponibili a confrontarsi e
collaborare per raggiungere un obiettivo comune. Quindi una buona tradizione di partenariato
locale con relazioni già attive su precedenti progetti di sviluppo aiuta l’avvio e la buona riuscita
del progetto.
3
L’utilizzo da parte dell’Amministrazione provinciale di un sistema informativo che
aggiorna in tempo reale i dati relativi alle registrazioni delle imprese su assunzioni,
trasformazioni e cessazioni dei rapporti di lavoro, permette di avere da subito un quadro
aggiornato dei flussi del mercato del lavoro locale e delle relative figure professionali più
“movimentate” sul territorio, con relative denominazioni prevalenti.
4
L’elemento centrale per il successo dell’intervento è la competenza dei ricercatori messi
in campo. Essi devono possedere le basi metodologiche e strumentali per effettuare un’analisi
dei processi a livelli macro e un’analisi delle competenze secondo l’approccio utilizzato da Italia
Lavoro e ISFOL. Il gruppo dei ricercatori locali grazie a questa esperienza sono in grado
successivamente di ampliare l’intervento ad altri sistemi professionali significativi per il
territorio e di aggiornarli costantemente. In un certo senso potrebbero costituire il nucleo per
l’attivazione di un osservatorio provinciale sul lavoro e le competenze.
5
In questa sperimentazione la fase di ricerca operativa è stata condotta da ricercatori di
Italia Lavoro e operatori CPI, per cui si sono formati team di ricerca “misti” che con l’ausilio
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degli esperti indicati dalle parti sociali sono entrati nelle imprese ad studiarne i processi e le
competenze di alcune figure professionali. Questo ci pare un valore aggiunto da evidenziare
che rimane come patrimonio del territorio e può essere sviluppato in più di una direzione.
6
La stessa considerazione può essere fatta per il comitato tecnico degli esperti e il
comitato dei decisori. Il primo può essere un punto di riferimento per tenere monitorato il
sistema locale sulle evoluzioni possibili e quelle previste a breve sulle quali occorre intervenire
con politiche ad hoc (anche questo aspetto può essere inserito in un ipotesi di osservatorio
permanente del mercato del lavoro e delle competenze. Il secondo è di fatto un comitato che
potrebbe, sulla base delle elaborazioni fatte, avviare politiche attive integrate a interventi
formativi mirati a target particolarmente critiche per il territorio.
Raccomandazioni
Aspetto importante di questa sperimentazione è stato quello di non creare aspettative sulla
possibilità di risolvere con il dizionario delle professioni problemi che richiedono interventi di
altra natura, come ad esempio politiche per incentivare lo sviluppo. Avendo come interlocutore
un’Amministrazione provinciale che ha già attivato iniziative sia sul terreno del marketing
territoriale che su quello delle politiche attive del lavoro, è stato semplice inquadrare la
sperimentazione nella dimensione corretta di analisi delle competenze distintive del territorio
come azione integrata alle altre preesistenti.
È stato molto importante coinvolgere i centri di formazione professionale del territorio, al fine
di garantire una più efficace e sinergica partecipazione, volta a fornire ai centri formativi
strumenti utili per un maggior raccordo con il mondo delle imprese.
Per i limiti delle presenti sperimentazioni non è stato possibile testare concretamente lo
strumento rispetto ad esempio il miglioramento dei servizi di incontro domanda e offerta
oppure a processi di orientamento, riqualificazione ed inserimento lavorativo di specifici target
di offerta, potrebbe essere questo l’oggetto di future sperimentazioni che Italia Lavoro e il
Progetto SPINN vorranno avviare.
Per questo motivo è fondamentale costruire dei Gruppi di ricerca e dei Comitati tecnici misti, in
cui partecipino diversi attori territoriali: IL, CPI, Agenzie formative ed Esperti locali.
Un linguaggio condiviso sulle professioni si configura come uno strumento di utilizzo comune
per i soggetti del territorio, quindi non può non nascere dalla decisione e dalla elaborazione
attuata direttamente da questi soggetti.
Qualsiasi soluzione si trovi non deve essere il frutto di una progettazione svolta a tavolino da
qualche esperto, ma deve sorgere e svilupparsi da un confronto diretto tra gli attori del
territorio, i soli in grado di individuare le caratteristiche reali del mercato del lavoro e del
sistema professionale locale e di dare, al di là del linguaggio scelto, un significato preciso e
condiviso ai termini selezionati, in modo tale da assicurare un loro concreto utilizzo nello
svolgimento e miglioramento dei servizi.
Il processo di lavorazione della calzatura è un processo dove ancora la tecnologia non riesce a
soppiantare la lavorazione manuale di tipo artigianale e la qualità del prodotto finale: la scarpa
di lusso, è garantita soprattutto dalla qualità della prestazione lavorativa.
Per cui la manodopera impiegata in questo settore si caratterizza per una forte specializzazione
e per abilità manuali derivanti dalla lunga esperienza. Uno dei problemi emergenti in questi
ultimi anni nel distretto fermano-maceratese è proprio quello della mancanza di un necessario
e qualitativamente adeguato ricambio generazionale del personale all’interno delle imprese.
La situazione si presenta ancor più complessa da affrontare, in quanto, anche qui si registra un
generale allontanamento dei giovani dal lavoro in “fabbrica”. Per cui di fronte ad una domanda
comunque significativa di lavoro, in particolare di personale specializzato, sul mercato del
lavoro locale non vi è un riscontro dal lato dell’offerta: non si trovano le figure più specialistiche
e non c’è neppure molta disponibilità per quelle generiche, almeno da parte dell’offerta di età
più giovane e di sesso maschile.
Su questi temi è in corso da tempo sul territorio una riflessione e un confronto tra i vari
soggetti e sono già state intraprese diverse iniziative.
Ma nessuna di queste pur lodevoli iniziative è riuscita ad instaurare un sistema locale in grado
di gestire in modo integrato le politiche del lavoro e della formazione. Un sistema che sappia
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affrontare le diverse problematicità con interventi adeguati al loro livello di complessità,
sfruttando tutte le opportunità che il territorio offre, coinvolgendo tutte le risorse e tutti i
soggetti interessati, dando ad ognuno un ruolo riconosciuto e richiedendo nel contempo uno
specifico e reale contributo.
Non è pensabile affrontare problemi che coinvolgono aspetti che toccano dalla cultura dei
soggetti fino a questioni molto concrete come quelle contrattuali e di organizzazione della vita
e del lavoro delle persone e delle imprese, senza intraprendere politiche ed iniziative
strutturate a più livelli e condivise.
Ad esempio, come in ogni parte di Italia, anche nel distretto calzaturiero fermano-maceratese
vi è oggi una diffusa refrattarietà, sia da parte delle imprese che da parte dei lavoratori a
sperimentare contratti di lavoro più flessibili, come il part-time, il job-sharing o altro che
potrebbero consentire fra l’altro di impiegare una potenziale quota di forza lavoro femminile,
segmento oggi tra i più critici del Mercato del Lavoro locale.
Di fronte a questa situazione il progetto si è posto in un ottica che non è quella di affrontare di
petto i vari problemi, ma di costruire un tavolo dove ogni soggetto locale si incontra per
condividere in primo luogo un linguaggio per definire e descrivere il lavoro, le professionalità
richieste od attese e quelle reali presenti sul Mercato del Lavoro.
Raggiunto questo primo parziale obiettivo ora si tratta, da parte degli stessi soggetti, di
indicare e scegliere le strade più idonee per affrontare le problematiche più urgenti e
stabilizzare il sistema locale in una rete reale di soggetti che si confrontano e agiscono in modo
integrato e condiviso.
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