Distretto calzaturiero fermano
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Distretto calzaturiero fermano
Distretto calzaturiero fermano-maceratese Incontro tra domanda e offerta di lavoro, politiche attive e formative a livello locale: linguaggi e dizionari dei distretti produttivi per la Borsa Continua Nazionale del Lavoro Anno 2004 Provincia di Macerata Indice Problema affrontato e l’innovazione adottata........................................................... 3 Obiettivi attesi/risultati raggiunti ............................................................................ 4 Soggetti coinvolti ..................................................................................................... 6 Contesto normativo e territoriale ............................................................................... 6 Il racconto dell’esperienza ...................................................................................... 22 Considerazioni finali ................................................................................................ 39 2 Problema affrontato e l’innovazione adottata Facilitare il dialogo tra i diversi soggetti che intervengono nel Mercato del Lavoro locale sul tema delle professioni, ottimizzando l’utilizzo della classificazione ISTAT con lo scopo di: • migliorare gli standard per l’incontro tra domanda e offerta di lavoro; • avviare politiche del lavoro mirate a target specifici (donne, giovani, over 45, immigrati, ecc.) e integrate con la formazione. La sperimentazione, replicata in sette province, affronta il problema dei linguaggi utilizzati dai diversi soggetti territoriali per definire le figure professionali, in merito alla ricerca di personale, ai fabbisogni di professionalità, ai rapporti di lavoro, alle classificazioni, ai programmi formativi. Questi linguaggi sono molto differenti tra loro, in quanto spesso definiscono una professione dai contenuti simili con denominazioni diverse e viceversa, ed inoltre non dialogano facilmente con lo standard di riferimento nazionale, la classificazione ISTAT, utilizzata dai Servizi per l’impiego. L’incontro tra la domanda e l’offerta di lavoro, infatti, oggi avviene, per quanto riguarda l’individuazione delle qualifiche professionali, sulla base della “Classificazione delle professioni ISTAT 1991”, introdotta dal Decreto Ministeriale del 30 maggio 2001 in sostituzione della vecchia Classificazione Ministeriale (Libro Blu dei collocatori, nell’edizione del 1988). La Borsa Continua Nazionale del Lavoro (BCNL) ribadisce questo sistema di codifica come lo standard per definire le caratteristiche professionali della domanda e dell’offerta di lavoro. Questa soluzione ha permesso in questi anni l’utilizzo da parte dei Centri per l’impiego (CPI) di procedure software compatibili con la normativa in uso e l’introduzione di più moderne metodologie per la gestione di un Mercato del Lavoro sempre più complesso ed articolato. Ma ha anche evidenziato limiti e lacune, tanto che alcune Amministrazioni provinciali hanno introdotto propri criteri di semplificazione o veri e propri glossari sulle figure professionali più critiche e significative del territorio (vedi ad esempio Asti, Ascoli Piceno e Macerata), che agevolano l’attività degli operatori e che riportano un sottoinsieme di qualifiche (in genere semplici supporti cartacei di rapida consultazione, che riportano la codifica e la relativa denominazione, raramente descrizione del contenuto professionale) identificato sulla base dell’esperienza locale e di un accordo interno ai CPI. Forti sono le richieste di ottimizzazione del sistema, in quanto risulta difficile e poco efficace basare l’incrocio d/o su una delle oltre 7.000 “voci” relative al 5° digit della classificazione ISTAT 1991. La sperimentazione parte dall’ipotesi che per realizzare servizi di intermediazione con qualità sempre maggiore occorre uno strumento che, una volta individuate le figure di riferimento per il sistema locale e/o distretto, permetta un’analisi più attenta del contenuto della professione e non si fermi alla semplice denominazione. In particolare l’ipotesi innovativa di partenza è stata quella di costruire, insieme ai soggetti socio-istituzionali locali, un dizionario delle professioni come base per migliorare l’incontro tra domanda ed offerta di lavoro, le politiche attive del lavoro e l’integrazione tra queste e la formazione professionale. Per questo, sollecitati da diverse istituzioni locali, il Progetto SPINN ha avviato alcune sperimentazioni, non per ipotizzare un nuovo sistema di classificazione, ma per provare, utilizzando l’attuale standard, una metodologia che metta in grado i diversi attori istituzionali e sociali di comunicare e dialogare relativamente alla definizione delle figure professionali e delle loro caratteristiche come azione propedeutica al miglioramento dei servizi e delle politiche del lavoro e formative. 3 Obiettivi attesi/risultati raggiunti Il traduttore e il dizionario delle professioni condivisi il “traduttore”: è un sinottico che, partendo dai processi caratterizzanti il sistema locale e/o distretto, confronta con la classificazione ISTAT i linguaggi utilizzati per la definizione delle figure professionali e definisce quali sono e che denominazione hanno le figure di riferimento per quel territorio il “dizionario”: è un glossario delle figure di riferimento descritte in termini di competenze, secondo la metodologia concordata tra Italia Lavoro e ISFOL, base per l’inserimento nell’offerta sussidiaria della Borsa Continua Nazionale del Lavoro “condivisi”: significa che entrambi sono realizzati con la partecipazione delle Amministrazioni provinciali e di tutti i soggetti che intervengono nel mercato del lavoro locale L’obiettivo è la realizzazione di un decodificatore dei linguaggi attualmente in uso da parte dei diversi soggetti che intervengono sul mercato del lavoro locale per confrontarli e stabilire una modalità di lettura condivisa del sistema occupazionale e professionale. Partendo da come imprese, consulenti del lavoro, associazioni e sindacati, ma anche CPI e le stesse agenzie formative definiscono le professioni, la sperimentazione evidenzia quali parole utilizzano per denominare queste professioni e quale significato danno a queste parole. Si tratta di verificare se, i diversi modo di definire il “lavoro”, interfacciano tra loro. In altre parole, quando uno di questi soggetti usa un determinato termine con un preciso significato per definire una professione, gli altri attori, a cui questo linguaggio è destinato, lo comprendono e soprattutto danno lo stesso significato, tanto da riuscire a rispondere nel modo atteso dal primo interlocutore. Viste le difficoltà e i limiti che si riscontrano nell’attivazione di servizi per le imprese da parte dei CPI , questo è parso un primo passo per facilitare un dialogo che vada oltre l’attuazione dei pur necessari adempimenti amministrativi. Infatti se iniziamo a confrontare la classificazione ISTAT con l’inquadramento contrattuale definito dai CCNL, si notano immediatamente differenti terminologie. La cosa si aggrava e la correlazione diventa ancora più difficile quando si prendono a riferimento i linguaggi utilizzati nella realtà dai CPI o dalle associazioni di categoria e dai consulenti del lavoro, a cui occorre aggiungere le denominazioni specifiche adottate delle singole tipologie di imprese per definire i propri sistemi professionali. La stessa formazione professionale ha ovviamente un sua modalità di linguaggio che per le proprie finalità si differenzia ulteriormente da quelle viste in precedenza, per cui le difficoltà di confronto aumentano. Ciò comporta l’insorgere di problemi non indifferenti e incomprensioni già a partire dallo svolgimento delle attività più semplici: come la compilazione, da parte delle imprese, dei cosiddetti “adempimenti amministrativi” relativi alla comunicazione delle assunzioni, delle cessazioni e delle trasformazioni dei rapporti di lavoro e successivamente la loro registrazione da parte dei CPI su sistemi informativi in grado di “certificare” in tempo reale lo status occupazionale di una persona e la sua storia lavorativa. Quando si tratta, poi, di realizzare servizi più complessi relativi all’orientamento e all’incontro domanda-offerta oppure politiche attive del lavoro ed integrarle con la programmazione di percorsi formativi di riqualificazione e sviluppo dell’occupabilità, la definizione della professione e del suo contenuto sono decisivi per l’efficacia degli interventi. 4 La necessità non è quella di andare a sostituire con nuovi termini i vecchi ora utilizzati e costruire un nuovo linguaggio, un nuovo “esperanto” bellissimo ma che nessuno impiega. Anche perché ognuno dei linguaggi in uso ha delle sue precise finalità e risponde ad altrettanto precise esigenze: i contratti definiscono gli inquadramenti professionali, i repertori ISFOL sono un punto di riferimento per l’identificazione e la valutazione delle competenze per ottenere crediti formativi. Piuttosto occorre, una volta evidenziati i linguaggi in uso, metterli a confronto e provare ad individuare un “traduttore” che permetta di far dialogare i differenti lessici, e trasformare poi l’elenco di professioni decodificate in un vero e proprio dizionario. Mentre il “traduttore” è un sinottico che mette a confronto i diversi linguaggi e stabilisce quali sono le figure professionali di riferimento in base ai processi caratterizzanti il sistema locale e/o distretto, il “dizionario” è la descrizione delle figure professionali in termini di competenze secondo la metodologia messa a punto da Italia Lavoro ed ISFOL (vedi accordo allegato in fase di firma). Inoltre la descrizione delle figure professionali secondo lo standard citato permette di costruire profili che implementano l’attuale Banca Profili inserita nell’offerta sussidiaria della Borsa Continua Nazionale del Lavoro con professioni rispondenti alle esigenze locali e distrettuali, molto importanti nella realtà economica e sociale italiana. Condizione necessaria affinché l’operazione riesca è far in modo che ogni passaggio del percorso di elaborazione e di ricerca veda la diretta partecipazione di tutti gli attori interessati in modo tale che il risultato finale sia un vero “dizionario condiviso”, che venga utilizzato realmente dai soggetti come strumento utile per migliorare gli standard dei servizi e delle politiche. Con l’avvio della BCNL la creazione di traduttori dei linguaggi in uso relativi alle professioni diventa per certi versi un prerequisito al dialogo tra un numero di soggetti che va crescendo e servizi che richiedono interfacce più efficienti e qualificate. Per realizzare ciò il Progetto SPINN ha avviato in sette province, su invito delle rispettive Amministrazioni, una sperimentazione che coinvolgesse alcuni dei distretti manifatturieri presenti sul territorio: calzaturiero, spettacolo ed alcuni settori dell’agroalimentare (vitivinicolo, conserve ed olivicolo). La scelta è stata effettuata sia per la significatività dei comparti nel sistema economico locale, sia per avere ambiti di sperimentazione omogenei dai confini limitati. Proprio in quanto l’obiettivo non è quello di ridefinire un nuovo sistema di classificazione, ma di utilizzare al meglio quello esistente per far parlare sempre più soggetti fra loro si è inteso partire da situazioni locali circoscritte. Le province interessate alla sperimentazione sono: • • • • • • • Forlì-Cesena con il distretto calzaturiero di San Mauro Pascoli; Ascoli Piceno e Macerata con il distretto calzaturiero Fermo-Maceratese; Pistoia con il distretto calzaturiero di Monsummano; Cuneo con il comparto conserviero di Alba; Asti con il distretto vitivinicolo ed enomeccanico di Canelli; Benevento con il distretto vitivinicolo ed olivicolo; Ivrea con il comparto dello spettacolo. Output prodotti per la trasferibilità dell’esperienza Gli output prodotti riguardano, oltre ai risultati specifici realizzati in ogni territorio, la proposta di un percorso standard frutto della sintesi delle esperienze sviluppate che è possibile replicare o trasferire in altre realtà con caratteristiche simili. Per questo gli output prodotti vengono riportati nella seguente modalità: • lo standard di processo operativo rielaborato alla luce dalle sperimentazioni realizzate con evidenziate le fasi e i risultati più significativi in modo tale da avere immediatamente un’idea chiara e sintetica sul significato e sullo sviluppo della sperimentazione; le fasi e i rispettivi risultati sono collegati in modalità ipertestuale con la guida operativa e con l’iter specifico delle singole sperimentazioni; 5 • • • la guida operativa che descrive per ogni fase significativa del processo finalità, attività, metodologie/strumenti e risorse, in modo tale da essere il punto di riferimento per le trasferibilità dell’esperienza; la strumentazione tecnica messa a punto nel corso delle sperimentazioni; l’approccio teorico che sottostà alle metodologie e alla strumentazione proposta. Soggetti coinvolti La sperimentazione è stata gestita da un gruppo di lavoro costituito da rappresentanti di: • • • Italia Lavoro con il responsabile nazionale della sperimentazione ed il responsabile dell’unità territoriale COICO con il presidente del Consorzio, che è l’istituzione formalizzata dalla Regione che gestisce tutte le politiche e gli interventi relativi al Distretto; nel consorzio sono rappresentati oltre la Regione, la Provincia di Ascoli Piceno e quella di Macerata, tutti i Comuni e le Parti Sociali CPI di Fermo e di Civitanova Marche Visto il ruolo istituzionale del COICO in questa sperimentazione il comitato dei decisori è stato costituito dallo stesso comitato di direzione del consorzio, il quale ha individuato e formalizzato un gruppo di esperti locali che sono stati inseriti nel comitato tecnico che è risultato così composto: • • • • • • • • • • la Regione Marche, rappresentata dal dott. Soverchia del Settore Lavoro; il COICO, rappresentato dal Presidente Paolo Petrini; il CPI di Fermo, rappresentato dalla responsabile Paola Vizzi e dall’operatrice Annamaria Antolloni; il CPI di Civitanova, rappresentato dall’operatrice Lorenza Pelosi; COSIF, rappresentato dal Presidente Umberto Marconi; CNA Federmoda calzatura, rappresentato dal Presidente Giovanni Lucani; Scuola Calzaturieri, rappresentata dal consulente Paolo Frattini; FILTEA CGIL, rappresentata da Michela Verdecchia; Il consulente esperto del distretto Mauro Filippetti; il team di Italia Lavoro, rappresentato da Mauro Brustia, Cesare Gabrielli, Di Centa e Busilacchi. A questo comitato tecnico è stata demandata l’elaborazione dei processi, del traduttore e successivamente del dizionario che per scelta dei decisori ha riguardato solo le tipologie d’imprese della fornitura di componenti, vista anche l’estrema concentrazione nel tempo della sperimentazione (i tempi effettivi dedicati alla ricerca operativa sono risultati pari a otto settimane). Contesto normativo e territoriale Contesto normativo Decreto Legislativo n. 181 del 21 aprile 2001 Legge Biagi n. 30 del 14 febbraio 2003 Decreto Legislativo n. 276 del 10 settembre 2003 Decreto Legislativo n. 251 del 6 ottobre 2004 Circolare Ministeriale n. 40 del 14 ottobre 2004 6 Contesto territoriale La situazione congiunturale del distretto Il mercato calzaturiero internazionale è stato caratterizzato negli ultimi anni da consistenti modificazioni, che hanno riguardato l’offerta, la domanda ed il sistema distributivo. A fronte di un consumatore che attua comportamenti variegati ed in evoluzione, è incrementata la concorrenza internazionale con la nascita di nuove imprese nell’est europeo e nel Sud-Est asiatico, mentre in molti paesi sono presenti operatori commerciali di elevata dimensione. Queste trasformazioni, che la piccola e media dimensione aziendale difficilmente consente di fronteggiare con successo, hanno avuto effetti particolarmente negativi per le imprese del distretto calzaturiero fermano-maceratese. Si riscontra in modo evidente un fenomeno di rilocalizzazione della produzione su scala internazionale, con uno spostamento verso i Paesi tradizionalmente definiti in via di sviluppo, che si è verificato ad un ritmo molto sostenuto. Tale processo si è concretato per vari motivi, tra cui: a. soddisfacimento dei bisogni interni; b. basso costo del lavoro, che costituisce un notevole vantaggio differenziale in un settore industriale ancora “labour intensive”; c. rapporti di subfornitura con numerose imprese operanti nei Paesi industrializzati; d. strategia adottata da alcuni gruppi calzaturieri, sia di grandi che di medie dimensioni. Come si vede nella tabella 1, la penetrazione nel mercato mondiale dei nuovi paesi produttori di calzature è stata piuttosto rapida, con risultati estremamente evidenti; tra questi, si possono evidenziare la Cina, l’India, il Brasile, il Vietnam e la Thailandia. Tabella 1 – Evoluzione della classifica dei Paesi produttori di calzature Anni 1997 Paesi - paia Cina 5.252 India 680 Indonesia 527 Brasile 520 Italia 460 Thailandia 276 Turchia 270 Messico 260 Spagna 208 Vietnam 206 1998 Paesi - paia Cina 5.520 India 685 Brasile 516 Italia 425 Indonesia 316 Turchia 277 Messico 270 Thailandia 260 Pakistan 227 Spagna 221 1999 Paesi - paia Cina 5.930 India 700 Indonesia 507 Brasile 499 Italia 381 Messico 275 Thailandia 258 Vietnam 241 Pakistan 240 Turchia 227 2000 Paesi - paia Cina 6.442 India 715 Brasile 580 Indonesia 499 Italia 390 Vietnam 303 Messico 285 Thailandia 267 Pakistan 241 Turchia 219 2001 Paesi - paia Cina 6.628 India 740 Brasile 610 Indonesia 488 Italia 375 Vietnam 320 Thailandia 273 Pakistan 242 Messico 217 Turchia 211 (valori in milioni di paia; anni 1997-2001) Fonte: Confindustria Marche – “Consulta regionale imprese calzaturiere” 7 Può essere utile osservare che l’Italia rappresenta l’unico Paese di “vecchia industrializzazione”, caratterizzato da un’importante produzione: peraltro, si riscontra una preoccupante diminuzione continuativa del livello produttivo. Mentre il nostro Paese ha perduto quote sempre maggiori, la Cina ha consolidato la sua leadership mondiale e sembra proseguire la strategia di crescita nel settore (si veda la tabella 2). Il vantaggio del basso costo del lavoro in certe regioni cinesi è tale da indurre alcuni produttori occidentali ad acquistare e/o trasferirvi i processi produttivi, realizzati precedentemente in altri Paesi del Sud-Est asiatico (si pensi, ad esempio, alla Corea del Sud ed a Taiwan). Le aziende cinesi costituiscono importanti competitor, non solo per le aziende italiane che producono calzature sportive in materiali sintetici o in gomma, destinati alle fasce di mercato di qualità/prezzo più basse; infatti, si stanno incrementando le esportazioni di calzature cinesi realizzate in pelle e cuoio. Tabella 2 – Confronto tra la quota italiana e quella cinese sulla produzione mondiale di calzature (produzione in milioni di paia; anni: 1994-2001) Anni Quota Produzione Produzione Produzione Italiana dell’Italia della Cina mondiale % Quota Cinese % 1994 1995 1996 1997 1998 1999 2000 2001 471 476 483 460 425 381 390 375 38,4 42,7 42,8 47,5 49,8 51,4 53,3 54,0 3.750 4.270 4.500 5.252 5.520 5.930 6.442 6.628 9.756 9.993 10.525 11.051 11.080 11.534 12.079 12.269 4,8 4,8 4,6 4,2 3,8 3,3 3,2 3,1 Fonte: Confindustria Marche – “Consulta regionale imprese calzaturiere” Va inoltre osservato che le tendenze riscontrate nell’ultimo anno non consentono di definire un quadro migliore, per cui persiste un andamento negativo. La produzione calzaturiera italiana, dopo un andamento altalenante fino alla metà degli anni Novanta, è stata caratterizzata da un forte decremento; nella tabella 3, è possibile notare che nel 2002 il numero di paia realizzate risulta inferiore al dato relativo al 1970. Va poi rilevato che dal 1996 si riscontra una diminuzione del numero delle aziende produttrici italiane e del numero degli addetti; secondo l’ANCI, nel 2002 si è verificato in Italia un decremento del 17% circa del numero di imprese, rispetto al dato relativo al 1995, e del 14% degli occupati. Nel periodo considerato la dimensione media delle aziende in termini di addetti, si è incrementata (di quasi una unità); ma tale dato sembra essere correlato soprattutto alla fuoriuscita dal mercato delle imprese di piccolissima dimensione. Si rileva, inoltre, il forte ricorso alla cassa integrazione da parte delle imprese calzaturiere italiane, che permette di evidenziare la presenza di uno stato di crisi; tale situazione risulta essere particolarmente preoccupante per le aziende del distretto fermano maceratese. 8 Tabella 3– Evoluzione della produzione italiana di calzature dal 1970 al 2002 Anni Numero Indice paia paia 1992=100 (in milioni) Valore della produzione (milioni di euro) Indice valore 1992=100 1970 1980 1990 1991 1992 1993 1994 1995 1996 1997 1998 1999 2000 2001 2002 345,9 451,7 424,9 433,4 418,8 451,7 471,3 476,2 482,7 460,0 425,0 380,9 389,9 375,2 335,0 409,55 2.530,48 5.653,62 5.920,40 5.955,50 6.603,35 7.141,55 7.856,40 8.092,38 8.051,64 7.910,44 7.415,69 8.269,31 8.669,99 8.170,69 6,9 42,5 94,9 99,4 100,0 110,9 119,9 131,9 135,9 135,2 132,8 124,5 138,9 145,6 137,2 82,6 107,9 101,5 103,5 100,0 107,8 112,5 113,7 115,2 109,8 101,5 90,9 93,1 89,6 80,0 Fonte: Confindustria Marche – “Consulta regionale imprese calzaturiere” Alcune sintetiche considerazioni riguardano poi la tendenza di molte imprese a spostarsi verso produzioni di fascia qualità/prezzo più elevata; si tratta di un posizionamento corretto che peraltro, considerando una struttura piramidale del mercato, non potrà essere consentito a tutte le aziende, soprattutto nel caso frequente di una debolezza commerciale del marchio. Va infine osservato che secondo i risultati dell’indagine congiunturale realizzata dall’ANCI per i primi nove mesi del 2003, si riscontra un’ulteriore consistente riduzione dei volumi prodotti (pari a circa il 6,4% in quantità ed a 4,4% in valore). Le esportazioni hanno svolto un ruolo fondamentale per lo sviluppo dell’industria calzaturiera italiana; esse si sono notevolmente accresciute in quantità e valore dal 1970 in poi ed inoltre si è incrementato il loro peso sul totale della produzione da circa il 63% nel 1970 all’85,9% nel 1994. Ma dal 1996 in poi si assiste ad una continua diminuzione del numero di paia esportate (si rimanda alla tabella 4); ciò si è verificato per vari fattori, tra cui l’accresciuta concorrenza estera e la rivalutazione dell’euro. Risultati piuttosto negativi sono stati conseguiti nei confronti di alcuni mercati europei, come la Germania, la Francia ed il Regno Unito (si veda la tab. 5). 9 Tabella 4– Evoluzione delle esportazioni italiane di calzature dal 1970 al 2002 Anni Numero Indice Valore paia paia (milioni di (in 1992=100 euro) milioni) Incidenza percentuale delle esportazioni Indice sulla produzione valore 1992=100 sulle paia sul valore 1970 1980 1990 1991 1992 1993 1994 1995 1996 1997 1998 1999 2000 2001 2002 217,7 314,6 360,0 347,8 338,7 380,6 404,8 426,7 430,0 414,7 381,8 346,7 362,4 353,7 322,3 5,4 40,0 102,3 99,4 100,0 116,4 134,1 153,1 158,2 158,6 152,7 141,7 164,6 180,2 169,0 64,3 92,9 106,3 102,7 100,0 112,4 119,5 126,0 127,0 122,4 112,7 102,4 107,0 104,4 95,2 214,95 1.606,49 4.104,54 3.988,65 4.013,21 4.672,09 5.380,12 6.144,03 6.348,05 6.365,30 6.129,72 5.686,79 6.605,65 7.230,65 6.781,18 62,9 69,6 84,7 80,2 80,9 84,3 85,9 89,6 89,1 90,1 89,8 91,0 92,9 94,3 96,2 52,5 63,5 72,6 67,4 67,4 70,7 75,3 78,2 78,4 79,1 77,5 76,7 79,9 83,4 83,0 Fonte: Confindustria Marche – “Consulta regionale imprese calzaturiere” Tabella 5 – Quote dell’Italia sulle importazioni di calzature di alcuni Paesi dell’Ue (valori in percentuale sul numero totale di paia di importazione di ogni Paese; anni 1991-2001) Paesi Anni Germania Francia Regno Unito Belgio e Lussembu Austria** Spagna rgo Portogallo Grecia 1991 1992 1993 1994 1995 1996 1997 1998 1999 2000* 2001° 28,3 24,8 27,1 26,3 28,9 28,4 27,7 28,0 24,7 23,9 23,3 13,7 12,4 14,2 12,6 13,7 12,4 13,8 13,6 11,3 12,3 9,4 20,2 17,6 18,1 17,4 19,4 14,4 11,4 11,5 10,6 12,5 13,5 11,0 11,4 11,3 10,0 7,7 6,6 7,5 7,5 8,2 8,1 8,6 22,1 20,1 23,8 24,0 24,0 22,0 23,1 20,5 18,5 17,0 16,2 33,4 33,6 34,7 30,4 29,3 24,4 22,8 n.d. *dati provvisori ° stime ANCI ** considerata dal 1994 Fonte: dati tratti dall’ANCI 10 6,8 7,0 13,6 8,5 7,6 7,3 7,9 8,0 7,1 7,4 7,9 18,9 14,6 18,7 24,0 34,4 30,5 34,6 34,9 29,0 28,3 n.d. Tabella 6– Evoluzione delle esportazioni italiane di calzature per aree geografiche (valori in milioni di paia; anni 1997-2002) Anni Aree geografiche Europa occidentale Europa orientale (CSI inclusa) Africa America del Nord America centrale e del Sud Medio Oriente Altri d'Asia Australia e Oceania Diverse Totale esportazioni 2002 Var.% 1997/200 2 248,9 239,1 218,8 -19,8 22,7 24,5 29,5 28,1 -19,7 6,9 50,5 5,3 51,9 4,9 58,6 4,4 54,6 4,2 48,1 -37,3 -17,9 2,5 2,8 2,1 2,2 2,8 2,9 +16,0 22,7 13,2 3,1 // 17,2 9,1 3,3 // 12,9 8,6 2,7 0,1 11,6 9,2 2,5 // 11,9 9,1 2,2 0,1 10,2 8,0 1,9 0,1 -55,1 -39,4 -38,7 414,7 381,8 346,7 362,4 353,7 322,3 -22,3 1997 1998 1999 2000 272,9 262,1 240,4 35,0 29,9 6,7 58,6 2001 Fonte: Confindustria Marche – “Consulta regionale imprese calzaturiere” Utili considerazioni ai fini dell’analisi della propensione all’esportazione riguardano la struttura geografica degli scambi commerciali; come risulta dalla tabella 7, i Paesi verso i quali affluiscono principalmente le nostre esportazioni di calzature sono quelli dell’Europa Occidentale e del Nord-America: mercati caratterizzati da forti flessioni. La quota delle nostre esportazioni verso il mercato nord-americano si è ridotta sensibilmente nell’ultimo decennio in quantità, con una maggiore incidenza delle calzature di qualità mediofine e fine. La diminuzione del numero di paia esportate negli Stati Uniti ed in Canada è dovuta soprattutto ad un effetto sostituzione delle nostre esportazioni con quelle dei Paesi in via di sviluppo. In generale, risulta necessaria una presenza più diretta delle aziende del distretto nei mercati internazionali; queste hanno invece adottato in prevalenza una strategia di esportazione indiretta. Non disponendo di una stabile organizzazione all’estero, si sono affidate ad un agente esclusivo o ad importatori locali, con evidenti limiti dal punto di vista del mercato. Non può quindi sfuggire che la minore propensione all’export deriva anche da una debolezza nelle strategie di internazionalizzazione delle aziende calzaturiere italiane. In particolare, i dati forniti dall’ISTAT per i primi otto mesi del 2003 consentono di rilevare una diminuzione delle esportazioni del 7,5% (in quantità) e dell’8,3% (in valore) rispetto allo stesso periodo dello scorso anno, con una sostanziale stabilità dei livelli di prezzo medi (di poco al di sotto dei 20 euro al paio); inoltre, l’analisi per paese mostra sia per i principali mercati europei che per il Nord America andamenti negativi. Connesso al dato relativo al decremento delle esportazioni è quello inerente l’aumento delle importazioni, che si sono notevolmente accresciute negli ultimi anni, come si nota nella tabella 7. 11 Tabella 7– Evoluzione delle importazioni italiane di calzature dal 1970 al 2002 Anni Numero Indice paia paia 1992=100 (in milioni) Valore Indice (in milioni di valore euro) 1992=100 1970 1980 1990 1991 1992 1993 1994 1995 1996 1997 1998 1999 2000 2001 2002 3,4 36,8 73,7 104,1 127,5 101,7 128,2 139,9 133,3 157,6 162,3 182,3 196,0 203,1 224,7 1,55 63,48 357,89 529,68 636,03 627,55 819,93 934,51 946,17 1.279,80 1.273,11 1.449,25 1.796,27 2.085,97 2.242,30 2,6 28,8 57,8 81,6 100,0 79,7 100,5 109,7 104,5 123,5 127,2 142,9 153,7 159,2 176,2 0,2 10,0 56,3 83,3 100,0 98,7 128,9 146,9 148,8 201,2 200,2 227,9 282,4 328,0 352,5 Incidenza delle importazioni sui consumi interni Quota Quota sulle paia sul valore 2,5 0,7 20,7 6,0 48,5 18,9 53,0 21,3 64,7 24,7 52,4 25,0 65,8 31,9 73,9 35,3 71,7 35,2 84,2 44,9 86,7 44,1 96,3 49,1 102,9 57,4 109,7 65,7 119,4 68,2 Fonte: Confindustria Marche – “Consulta regionale imprese calzaturiere” In particolare, esaminando l’evoluzione della quota dei principali Paesi produttori sulle importazioni italiane di calzature, è possibile sottolineare il ruolo sempre più rilevante della Cina e della Romania; nella tabella 8 viene presentata la differente quota dei vari paesi (in valore ed in numero di paia). Anche nei primi otto mesi del 2003, l’import prosegue nel trend di crescita (con un incremento del 19,8% in volume e del 9,5% in valore), in modo particolare dalla Cina. 12 Tabella 8 – Quote di alcuni Paesi sulle importazioni italiane di calzature (valori percentuali; anni 1998, 2000, 2002) Quota sul importate numero di paia Quota sul valore importato Anni Paesi 1998 2000 2002 1998 2000 2002 Cina Vietnam Thainlandia Indonesia Romania Bulgaria Belgio Spagna Tunisia Francia Ungheria Croazia Bosnia Erzegovina Serbia-Montenegro Resto del mondo Totale 26,9 10,2 4,4 6,0 14,0 2,4 3,6 4,9 2,4 1,6 1,5 1,6 1,0 1,1 18,4 100,0 27,6 7,8 3,3 3,7 18,5 2,5 4,9 3,1 3,7 2,0 1,4 1,7 1,9 0,9 17,0 100,0 30,0 9,0 2,1 2,7 19,9 3,2 3,2 2,4 4,5 1,1 1,3 1,1 1,9 1,4 16,2 100,0 10,7 8,0 1,9 4,4 16,4 2,4 8,3 5,4 3,6 4,1 1,7 2,1 1,3 1,7 28,0 100,0 10,5 7,8 1,2 2,9 19,9 2,8 11,8 3,7 4,4 3,6 1,7 2,8 2,3 1,1 23,5 100,0 9,6 8,6 0,7 2,4 24,7 3,0 9,5 3,2 4,8 2,9 2,0 1,7 2,4 1,8 22,7 100,0 Fonte: Confindustria Marche – “Consulta regionale imprese calzaturiere” Un’interpretazione più corretta dei dati presentati deve prendere in considerazione il fatto che: • • nei Paesi dell’Europa Orientale si sono sviluppate in questi anni numerose imprese calzaturiere, specializzate anche nella realizzazione di singole fasi di lavorazione; i Paesi dell’Europa Occidentale sono ricorsi a processi di subfornitura internazionale; quindi essi hanno decentrato la realizzazione di fasi del processo di lavorazione. È quindi evidente che gli scambi commerciali con l’estero riflettono alcune conseguenze dovute alle strategie di internazionalizzazione produttiva adottate dalle aziende italiane. Risultano quindi: 1. una diminuzione delle esportazioni italiane di calzature, le quali tendono ad essere esportate direttamente dai luoghi dove vengono prodotte; 2. un aumento delle esportazioni di materie prime, di macchinari specializzati, di semilavorati, di componenti e di accessori per calzature; 3. un aumento delle importazioni di calzature, derivante anche dalla vendita nel nostro Paese di prodotti realizzati da aziende italiane al di fuori dei confini nazionali. Vengono di seguito riportati alcuni dati relativi ai rapporti commerciali con la Romania, dove molte imprese italiane calzaturiere si trovano ad operare anche direttamente. In tale Paese si esportano soprattutto materie prime necessarie alle trasformazioni, (cuoio, tessili) ed anche macchinari (figura 1); come si vede nella figura 2, si importano invece prodotti finiti. 13 Figura 1 Esportazioni italiane in Romania suddivise per settori (anno 2002) Cuoio e prodotti in cuoio 17% Prodotti tessili 38% Calzature 7% Materiale per telecomuniMacchinari cazioni elettrici 7% Macchinari 5% industriali Manufatti vari 7% 5% Macchinari Abbigliamento specializzati 7% 7% Fonte: Confindustria Marche – “Consulta regionale imprese calzaturiere” Figura 2 Importazioni italiane dalla Romania suddivise per settori (anno 2002) Manufatti metallici 4% Prodotti tessili 3% Articoli in minerali non metallici 4% Macchinari elettrici 5% Petrolio e prodotti in petrolio 9% Altri macchinari non elettrici 1% Calzature 32% Abbigliamento 42% Fonte: Confindustria Marche – “Consulta regionale imprese calzaturiere” È interessante notare che le operazioni commerciali con la Romania si realizzano in modo frequente ricorrendo al traffico di perfezionamento passivo (si rimanda alle tabelle 9-10); la diffusione di tale operazione è strettamente connessa al basso costo della manodopera romena (secondo stime realizzate dall’EUROSTAT, il costo orario della manodopera è pari a 1,5 euro all’ora- per un confronto, si tenga conto che si attesta a circa 4,48 euro in Polonia e a 8,98 euro in Slovenia). 14 Non esistono peraltro pareri comuni su un ulteriore sviluppo di tale operazione in futuro; da parte di alcuni operatori ed opinion leader ne è stata rilevata una possibile diminuzione, soprattutto per il probabile incremento dei salari e per il possibile apprezzamento della moneta locale. Tabella 9– Il ruolo del TTP negli scambi commerciali con la Romania distinto per alcuni settori (esportazioni in milioni di dollari; anno 2002) Settori Esportazioni Esportazioni temporanee Esportazioni temporanee/esportazioni (peso percentuale) Cuoio e prodotti in cuoio 470 454 96,6 Calzature 211 191 90,5 Prodotti tessili 1.035 983 95,0 Abbigliamento 192 177 92,2 Manufatti vari 158 107 67,7 Macchinari industriali 198 9 4,5 Materiale per telecomunicazioni 202 1 0,5 Macchinari specializzati 0,7 0,4 196 Fonte: Confindustria Marche – “Consulta regionale imprese calzaturiere” Tabella 10 – Il ruolo del TPP negli scambi commerciali con la Romania distinto per alcuni settori (importazioni in milioni di dollari; anno 2002) Settori Importazioni Reimportazioni Reimportazioni/importazioni (peso percentuale) Abbigliamento 1.159 1.146 98,9 Prodotti tessili 74 45 60,8 Calzature 865 853 98,6 Macchinari elettrici 130 114 87,7 Meccanica strumentale 64 42 65,6 Manufatti metallici 105 36 34,3 Metalli non ferrosi 113 26 23,0 Fonte: Confindustria Marche – “Consulta regionale imprese calzaturiere” Va poi osservato che numerose PMI italiane hanno realizzato investimenti diretti all’estero in differenti paesi dell’Est europeo; tra questi si pone la Romania, dove la similarità dimensionale delle imprese romene ed italiane, nonché la comune origine linguistica hanno favorito la presenza di imprese italo-romene (si rimanda in proposito alla tabella 11). 15 Figura 3 Destinazione degli IDE italiani in Romania per settori 100% 17% 80% Tessili e maglieria 21% Metallo e prodotti derivati 60% 22% Pelli, cuoio e calzature 40% 20% Abbigliamento 40% 0% Destinazione Fonte: dati tratti dall’indagine ICE-Reprint Tabella 11 - Partecipazioni italiane in imprese romene (numero di imprese, addetti e fatturato; anni 2000-2002) Anni Numero di imprese rumene partecipate da imprese italiane Numero di addetti Fatturato (in milioni di euro) 2000 2001 2002 584 617 657 38.070 1.695 43.444 1.786 44.356 1.846 Fonte: dati tratti dall'ICE Il processo evidenziato pone peraltro una serie di problematiche differenti. In primo luogo, risulta evidente la deindustrializzazione italiana del settore; così, mentre in Italia il numero delle imprese calzaturiere e dei relativi addetti diminuisce in modo consistente, modificando la struttura ed i confini dei distretti industriali, nei paesi dell’Est europeo e del Sud-Est asiatico si riscontra un andamento del tutto differente. Aldilà degli effetti negativi sull’occupazione, è necessario sottolineare altri due rischi di medioperiodo: a. una dispersione del know-how calzaturiero acquisito negli anni, con una perdita o quantomeno una riduzione della “cultura tecnico-produttiva”; b. una diminuzione della volontà di fare e di continuare l’impresa che invece, secondo il noto modello shumpeteriano, è risultato uno dei principali fattori alla base dello sviluppo; in sostanza, la voglia di intraprendere e di continuare ad intraprendere potrebbe risultare un forte limite al passaggio generazionale. Un ulteriore aspetto da sottolineare è costituito dal fatto che la diffusione del decentramento produttivo internazionale ed il ricorso agli IDE sta determinando, sia pure gradualmente, un miglioramento delle capacità tecnico-produttive delle imprese calzaturiere internazionali; tale crescita è alimentata anche dalla esportazione dal mercato italiano di macchinari, di accessori e componenti ed anche di conoscenze (mediante le attività svolte all’estero da tecnici e stilisti)1. 1 Esaminando l’esportazione di macchine ed apparecchi per la produzione o la riparazione di calzature (escluse macchine per cucire) in Romania, ne è possibile individuare un incremento negli anni da 2,9 milioni di euro nel 1993 a oltre 20 milioni di euro nel 2002 (ICE, 2003). 16 È evidente l’importanza che in tale contesto assume lo sviluppo del campionario come arma competitiva per fronteggiare una concorrenza, che sta acquisendo in modo crescente uno specifico know-how. Inoltre, si sottolinea un ulteriore elemento di “limitata chiarezza”, circa l’instabilità del processo di delocalizzazione, sia per quanto concerne la scelta attuale e futura delle aree geografiche verso le quali rivolgersi, sia relativamente al ritorno a processi di accentramento, almeno di alcune fasi di lavorazione. Ad esempio, come verificato direttamente dalle associazioni di categoria, sembra essere in atto un processo in controtendenza, non confermato da fonti statistiche, proprio nel caso della Romania, a favore di altri paesi, quali la Tunisia ed il Magreb in genere. Tale considerazione permette di rilevare anche una certa debolezza, non solo nella strategia commerciale, ma anche relativamente a quello tecnico-produttiva. Secondo i risultati delle indagini congiunturali realizzate dall’ANCI, anche le aspettative a breve termine relative al primo semestre 2004, non sono particolarmente positive; le aspettative delle imprese con riferimento a produzione, ordini interni ed ordini esteri sono al di sotto dei valori di mantenimento e di consolidamento dei livelli già raggiunti. Il distretto calzaturiero fermano-maceratese Le Marche, com’è noto, rappresentano la regione italiana caratterizzata dalla maggior diffusione di imprese calzaturiere, specializzate in produzioni differenti in specifiche aree del distretto fermano-maceratese (si vedano le tabelle 12 e 13); in tale area risultano essere particolarmente negativi gli effetti socio-economici indotti dalle trasformazioni, che presenta il sistema calzaturiero internazionale2. È diminuito il numero delle imprese e degli addetti, con un forte ricorso alla cassa integrazione guadagni3: questi dati risultano attualmente preoccupanti; ma considerazioni altrettanto negative sembrano derivare dalle previsioni a breve termine delle associazioni di categoria. Inoltre, come si vede nella tabella 14, si riscontrano per la regione Marche un aumento delle importazioni di calzature e, allo stesso tempo, una diminuzione delle esportazioni; i movimenti registrati nella dogana di Civitanova Marche testimoniano poi l’intensificarsi del ricorso al “lavoro esterno”, da parte delle imprese del distretto marchigiano in vari paesi dell’Esteuropeo. 2 Il sistema delle imprese calzaturiere marchigiane è costituito da circa 4.200 imprese che occupano 40.000 addetti; tale settore rappresenta circa il 30% dell’industria manifatturiera regionale, realizzando un fatturato superiore a 2.500.000 euro. Inoltre, operano oltre 550 aziende nei settori della componentistica/accessoristica e della pelletteria. 3 In proposito, va osservato che la contrazione del settore già riscontrata a livello nazionale assume connotazioni ancora più evidenti in tale area; secondo i dati elaborati da “Infocamere”, nella provincia di Ascoli Piceno dal 1997 al 2002 il numero di imprese è passato de 3.105 a 2.811, le unità locali da 3.336 a 3.114, e gli addetti da 23.600 a 20.264. Nella provincia di Macerata nello stesso periodo, il numero di aziende è diminuito da 1.433 a 1.356; anche in questo caso, le informazioni acquisite sull’attuale andamento delle imprese calzaturiere marchigiane sembrano prevedere un’ulteriore fuoriuscita dal mercato delle aziende. 17 Tabella 12 – Aziende ed addetti del settore calzaturiero per regione (anno 2002) Calzaturifici e produzione di calzature a mano e su misura Aziende Regioni Numero Marche 2.359 Toscana 1.601 Veneto 1.148 Lombardia 605 Campania 601 Puglia 554 Emilia-Romagna 252 Abruzzo 75 Umbria 44 Piemonte 40 Sicilia 39 Friuli-Venezia 16 Giulia Lazio 14 Calabria 12 Trentino-Alto Adige 6 Sardegna 5 Molise 4 Basilicata 3 Liguria 2 Totale Italia 7.380 Addetti % sul Totale % Unità cumulata % sul totale % cumulata 32,0 21,7 15,6 8,2 8,1 7,5 3,4 1,0 0,6 0,5 0,5 32,0 53,3 69,3 77,5 85,6 93,1 96,5 97,5 98,1 98,6 99,1 30.024 19.904 21.069 8.089 8.050 10.725 4.612 1.815 547 843 345 28,1 18,6 19,7 7,6 7,5 10,0 4,3 1,7 0,5 0,8 0,3 27,4 46,7 66,4 74 81,5 91,5 95,8 97,5 98,0 98,8 99,1 0,2 99,3 341 0,1 99,2 0,2 0,2 0,1 0,1 0,1 0,0 0,0 100,0 99,5 99,7 99,8 99,9 100,0 100,0 100,0 100,0 76 0,3 150 0,1 176 0,2 13 0,0 45 0,0 179 0,2 5 0,0 107.008 100,0 Fonte: dati tratti da ANCI 18 99,5 99,6 99,8 99,8 99,8 100,0 100,0 100,0 Tabella 13 - Principali caratteristiche del distretto fermano-maceratese Nel distretto fermano-maceratese, che si colloca tra le provincie di Ascoli Piceno e di Macerata, l’industria calzaturiera nasce nel secolo scorso; determinante in tal senso è stata la presenza in tale area di molti maestri calzolai, che hanno consentito la diffusione della tecnica di produzione delle calzature. In una prima fase, fino al 1860, la produzione riguardava prevalentemente le pantofole, che erano vendute direttamente dagli stessi fabbricanti, ricorrendo al commercio ambulante. L’introduzione delle macchine a pedale per cucire le tomaie, avvenuta nel 1870 circa, ha comportato il progressivo inserimento delle donne nell’attività lavorativa; infatti, il lavoro femminile era limitato fino a questo periodo alla guarnizione ed alla tessitura delle pantofole. L’introduzione di una nuova tecnologia ha quindi consentito ai laboratori di incrementare le quantità prodotte ed anche di reclutare più facilmente la manodopera (Sabbatucci Severini, 1989). È interessante osservare che in tali anni venivano realizzate esportazioni di pantofole in Francia, in Germania, in America e nei Paesi che si affacciavano sull’Adriatico e sull’Egeo. Dalla fine del 1800 al 1920 circa si alternano fasi di sviluppo e fasi di crisi; non si riscontrano peraltro cambiamenti nelle configurazioni organizzative aziendali. I fabbricanti tagliavano la pelle, amministravano l’azienda e due volte l’anno si recavano presso i potenziali clienti per acquisire gli ordini. Nel laboratorio erano occupati da un minimo di due ad un massimo di venti addetti; l’orlatura e la cucitura delle tomaie venivano effettuate a domicilio, solitamente dalla forza lavoro femminile, mentre il montaggio e la cucitura erano prevalentemente realizzati da singoli calzolai o da famiglie di artigiani terzisti. Non può sfuggire che il nucleo essenziale dell’economia locale era rappresentato dalla famiglia mezzadrile; in particolare, il passaggio da mezzadro a imprenditore comincia negli anni del secondo conflitto mondiale e si realizza secondo percorsi differenti. Quindi è innegabile il diretto coinvolgimento della famiglia nel processo di industrializzazione. Il fatto stesso che molte unità produttive trovassero la loro prima (e talvolta anche definitiva) localizzazione in spazi sottratti all’abitazione familiare costituì un elemento decisivo per l’affermazione del modello ad imprenditoria diffusa. Inoltre, le relazioni industriali all’interno dell’unità produttiva, quando vi erano coinvolti componenti esterni alla famiglia, si conformavano ugualmente al modello di rapporti interfamiliari (Anselmi, 1989). Nei primi anni Cinquanta, l’industria del fermano-maceratese inizia il suo sviluppo, che continua in modo crescente negli anni Sessanta, a fronte delle esportazioni negli Stati Uniti, in Germania ed anche nei Paesi Scandinavi. Nel distretto fermano-maceratese prevalgono tre poli produttivi specializzati: nell’area di Montegranaro sono realizzate calzature per uomo, nella zona di Monte Urano calzature per bambino/ragazzo e nel comprensorio di Civitanova Marche sono prevalentemente prodotte scarpe da donna. Fonte: Gregori (1996). 19 Tabella 14 – Scambi commerciali di calzature finite e parti di calzature (dati distinti per la regione Marche e le province di Ascoli Piceno e di Macerata -valori in milioni di euro; anni 1991-2002) Anni 1991 1992 1993 1994 1995 1996 1997 1998 1999 2000 2001 2002 Regione Marche Import 38 44 60 91 104 113 153 168 193 274 350 374 Export 774 754 1.007 1.169 1.358 1.497 1.547 1.511 1.429 1.658 1.890 1.758 Provincia di Ascoli Piceno Import Export 24 433 26 406 35 556 54 653 61 763 62 831 79 844 84 819 100 796 152 930 199 1.079 233 976 Provincia di Macerata Import Export 11 282 13 284 19 394 31 448 33 525 41 586 63 612 75 574 85 561 113 644 137 745 129 680 Fonte: Confindustria Marche – “Consulta regionale imprese calzaturiere” Ulteriori considerazioni possono essere realizzate analizzando alcune variabili economiche relative ai primi nove mesi del 2003, confrontate con le stesse per l’anno 2002. Si verifica un decremento delle esportazioni di calzature realizzate da imprese calzaturiere marchigiane pari al 9,7% (in valore); tale diminuzione è ancora più elevata nel caso della provincia di Ascoli Piceno (il 10,7%). Inoltre, continua la crescita delle importazioni, pari al 9,1% in valore per l’intera Regione Marche. Al tempo stesso, con riferimento al settore Pelli e cuoio, le ore autorizzate per trattamenti di integrazione salariale (a favore di operai e di impiegati) si sono accresciute per l’intera regione di oltre il 68%; l’incremento è stato del 103,7% nel caso della provincia di Ascoli Piceno4. I dati e le problematiche evidenziate hanno consentito agli attori socio-istituzionali del territorio di individuare alcuni possibili interventi, che acquisiscono carattere di priorità per il distretto, in relazione ai nuovi fattori di competitività internazionali. A. Sviluppare un processo di internazionalizzazione più stabile, caratterizzato da una presenza più diretta delle imprese, non solo riguardo alla funzione tecnico-produttiva, ma anche e soprattutto per quanto concerne l’area commerciale. B. Favorire processi di aggregazione tra imprese del distretto, per realizzare attività sinergiche nelle differenti aree funzionali (acquisti, produzione, distribuzione, comunicazione,ecc.); ciò in considerazione del fatto che la piccola e media dimensione non sembra più assicurare la “soglia minima strutturale” per attuare con efficacia ed efficienza differenti politiche aziendali. Si è peraltro consapevoli del fatto che il ricorso all’associazionismo non risulta agevole, considerando l’elevato individualismo dell’imprenditore; peraltro, lo sviluppo di aggregazioni può essere favorito proprio da condizioni di crisi. C. Diffondere la cultura dell’innovazione della gamma prodotti, mediante strumenti che agevolino e promuovano la realizzazione dei campionari. D. Attuare interventi volti a favorire la successione imprenditoriale; infatti, secondo il risultato di varie interviste, molte imprese rischiano di “chiudere”, in quanto la nuova generazione imprenditoriale che dovrebbe succedere a quella attuale “non risulta né pronta”, “né inserita in azienda”. Soprattutto nella situazione di mercato evidenziata, questa problematica costituisce un ulteriore indebolimento per il settore. 4 Si tenga conto che nello stesso periodo il numero totale di ore di cassa integrazione con riferimento all’intero mercato italiano è diminuito del 14%. 20 Il distretto e la sperimentazione Nel contesto sopradescritto la sperimentazione si colloca a sostegno ed integrazione delle iniziative e dei progetti di ristrutturazione già in atto nel distretto, in particolare si pone come azione per individuare le competenze su cui investire rispetto alle priorità indicate. Il sistema di piccole e medie imprese del distretto evidenzia infatti particolari fattori di vulnerabilità sul versante delle professionalità richieste a sostegno di nuove politiche di sviluppo. Se le imprese del distretto godono di una spiccata capacità di adattamento nel breve periodo, si dimostrano fragili nel sostenere interventi di ristrutturazione complessivi a causa di una carente managerialità aziendale e della indisponibilità delle risorse necessarie alla gestione di interventi di riorganizzazione radicale del sistema di business. Il sistema locale di imprese è ancora oggi caratterizzato da: • • • • • • • imprese ad alta intensità di capitale umano, in cui le professionalità ed i modelli organizzativi del lavoro rappresentano la variabile strategica di successo o fallimento aziendale; aziende caratterizzate da piccole, quando non addirittura piccolissime dimensioni, che non dispongono quindi non solo delle conoscenze specifiche per la gestione del cambiamento, ma anche di risorse da dedicare al reperimento di competenze utili a sostenere tali processi, con conseguente elevato tasso di mortalità; inerzia organizzativa, legata a modelli di intervento basati sulla routinizzazione dei processi, piuttosto che sulla ricerca di soluzioni altamente performanti; frequente refrattarietà a gestire percorsi di valutazione ed analisi critica dei risultati conseguiti, anche per la diffusa carenza di una esplicita strategia e programmazione aziendale; fragilità della cultura imprenditoriale e manageriale che, oltre a presentarsi come poco matura, ignora troppo spesso modelli e strategie di intervento ormai accreditate ed utili alla gestione del cambiamento che condiziona organizzazioni in contesti dinamici; rigidità dei diversi sistemi di competenze, da cui derivano una scarsa sensibilità alla formazione permanente ed una rapida obsolescenza dei profili professionali interessati; scarsa sensibilità all’innovazione che lo sviluppo tecnologico ed informatico può apportare in un settore ad alta intensità di capitale umano, in cui la conoscenza diviene sempre più fattore strategico di competitività e di successo. Tutto ciò viene aggravato dall’impatto occupazionale che i processi in atto stanno generando su base locale: • • • • espulsione dal mercato del lavoro delle professionalità più fragili; carenza di opportunità alternative di inserimento; indisponibilità di opportunità concrete di riqualificazione/riconversione just in time; inadeguatezza dei CPI a gestire livelli quali-quantitativi di utenza così complessi e diversificati. La sperimentazione, quindi, intende inserirsi tra iniziative in corso al fine di raggiungere i seguenti obiettivi: • • • identificare alcuni profili professionali distintivi per il distretto calzaturiero con lo scopo di migliorare l’incontro tra domanda e offerta di lavoro, le politiche attive per l’occupazione e integrarle con la formazione professionale; creare una rete di soggetti pubblici e privati (CPI, associazioni imprenditoriali) che sperimentano un linguaggio comune come precondizione per le realizzazione delle politiche sopraindicate; attuare un percorso sperimentato e condiviso che ricerchi soluzioni efficaci per la riqualificazione e la ricollocazione occupazionale. 21 Il racconto dell’esperienza Flow chart e output prodotti dalla sperimentazione In base al processo standard precedentemente descritto la sperimentazione che ha coinvolto il distretto calzaturiero fermano-maceratese ha articolato la fase socio-istituzionale secondo le modalità seguenti: Processo socio-istituzionale del distretto calzaturiero fermano maceratese Condivisione istituzionale Distretto calzaturiero Fermano-maceratese Proposta di sperimentazione Presentazione della sperimentazione alla Regione Marche: Dipartimento sviluppo economico Confronto con COICO, Consorzio Distretto Calzaturiero fermano-maceratese Protocollo d’intesa 22 Condivisione sociale Distretto calzaturiero Fermano-maceratese Protocollo d’intesa Proposta di sperimentazione Confronto con i rappresentanti del COICO per la condivisione della proposta di sperimentazione Individuazione degli esperti partecipanti il comitato tecnico Comitato tecnico Processo di ricerca operativa Condivisione dizionario Distretto calzaturiero Fermano-maceratese Confronto con i rappresentanti del COICO e validazione dell’ipotesi del dizionario elaborata nel processo di ricerca operativa Dizionario condiviso 23 Per quanto riguarda il processo di ricerca operativa le modalità di articolazione sono state le seguenti: Processo di ricerca operativa del distretto Fermano-maceratese Processo di ricerca operativa Analisi dei processi Distretto calzaturiero Fermano-maceratese Presentazione sperimentazione Piano per ricerca operativa Confronto con gli esperti, presentazione del progetto e condivisione del piano di ricerca operativa Individuazione tramite desk analisis dei principali processi presenti nel sistema locale, visite in cinque imprese del territorio con interviste Processi principali del sistema locale 24 Confronto linguaggi Distretto calzaturiero Fermano-maceratese Processi principali del distretto Identificazione dei sistemi professionali presenti nelle aziende dell’indotto scelte come campione sul territorio ad integrazione del lavoro svolto nel distretto di San Mauro Pascoli e di Monsummano Elaborazione del sinottico di confronto tra i vari linguaggi, collocando le denominazioni delle figure professionali lungo i processi precedentemente individuati Confronto tecnico per condividere il sinottico, scegliere le figure più significative lungo il processo e relative denominazioni ed elaborare l’ipotesi di traduttore Ipotesi di Traduttore 25 Analisi profili Distretto calzaturiero Fermano-maceratese Traduttore condiviso Elaborazione con gli esperti del comitato tecnico del piano di ricerca sulle competenze dei profili professionali individuati ed individuazione delle imprese in base a rappresentatività e disponibilità Avvio visite nelle imprese citate per le interviste ai responsabili e ai rappresentanti della figura professionale studiata Elaborazione informazioni raccolte e definizione descrittivi dei profili delle figure professionali in base alla metodologia Italia Lavoro Confronto con gli esperti locali e stesura dell’ipotesi del dizionario per il distretto Ipotesi di Dizionario 26 Articolazione delle attività realizzate in alcune fasi dell’iter operativo Condivisione sociale Condivisione sociale Distretto calzaturiero Fermano-maceratese Il 6 ottobre 2004 presso la sede del COICO. a Porto S. Elpidio (MC) si è svolto l’incontro tra: • • • • • • • • • • la Regione Marche, rappresentata dal dott. Soverchia del Settore Lavoro; il COICO., rappresentato dal Presidente Paolo Petrini; il CPI di Fermo, rappresentato dalla responsabile Paola Vizzi e dall’operatrice Annamaria Antolloni; il CPI di Civitanova, rappresentato dall’operatrice Lorenza Pelosi; COSIF, rappresentato dal Presidente Umberto Marconi; CNA Federmoda calzatura, rappresentato dal Presidente Giovanni Lucani; Scuola Calzaturieri, rappresentata dal consulente Paolo Frattini; FILTEA CGIL, rappresentata da Michela Verdecchia; Il consulente esperto del distretto Mauro Filippetti; il team di Italia Lavoro, rappresentato da Mauro Brustia, Cesare Gabrielli, Di Centa e Busilacchi. All’Ordine del giorno della riunione la presentazione del progetto, la costituzione del comitato tecnico e la programmazione delle successive fasi. Durante l’incontro è stata presentata la sperimentazione SPINN sui dizionari delle professionali nel distretto calzaturiero fermano-maceratese e le finalità che intende perseguire. Sono stati inoltre condivisi i materiali e la documentazione già elaborati da Italia Lavoro SpA, in particolare tutti i processi relativi al calzaturiero oggetto della sperimentazione. I processi, precedentemente elaborati dalla sperimentazione già avviata nel distretto di San Mauro Pascoli (Forlì-Cesena), sono stati condivisi ed è subito emersa una specificità del distretto fermano-maceratese, quella della forte presenza in questo territorio di aziende di fornitura di componenti. Per questo è stato deciso di approfondire processi e figure professionali dell’indotto, così anche da completare l’elaborazione effettuata nelle altre sperimentazioni. Il campione di aziende in cui andare ad effettuare le interviste è quindi stato definito prendendo in considerazione le imprese che lavorano sulla componentistica, realizzando una parte della calzatura, nello specifico: un formificio, un suolificio, un solettificio, un tacchificio e un’azienda produttrice di fondi in gomma. L’elenco delle imprese campione è il seguente: TIPOLOGIA AZIENDA NOME Formificio Suolificio Solettificio Tacchificio Fondi in gomma TRENDY PANTERA CENTINI OLIVIERI MARGOM 27 Analisi dei processi Analisi dei processi Distretto calzaturiero Fermano-maceratese L’analisi dei processi relativi alle imprese di produzione dei componenti è stata condotta attraverso visite ed interviste presso le imprese campione, predisponendo un primo semilavorato, sottoposto prima ai rappresentanti delle stesse aziende intervistate e successivamente ai rappresentati del comitato tecnico. Grazie a questo approfondimento specifico effettuato nel distretto fermano-maceratese la sperimentazione ha coperto sostanzialmente l’intera filiera calzaturiera, integrando l’analisi sviluppata negli altri due distretti (San Mauro Pascoli e Monsummano). Questo è un aspetto molto importante in quanto si sono presi a riferimento processi spesso dimenticati, forse perché ritenuti secondari, ma che hanno un’importanza decisiva per la stessa competitività del distretto, basata su una rete di rapporti di subfornitura di semilavorati/componenti che garantiscono la flessibilità e la qualità necessari. Inoltre viene completata la filiera in termini di figure professionali che solo in apparenza sono di tipo esecutivo, ma in realtà hanno una competenza specifica sulla quale se non si interviene con adeguate politiche di orientamento e di formazione si rischia di perdere con gravi conseguenze sulle possibilità di tenuta e di ripresa del distretto stesso. Il risultato finale è una prima schematizzazione dei processi delle imprese di fornitura dei componenti con relativa individuazione delle figure professionali lungo i vari processi, che diventa l’ipotesi di “traduttore” per il Distretto calzaturiero fermano-maceratese, grazie al quale potranno essere decifrati i diversi modi di definire le professioni da parte dei soggetti locali che agiscono sul Mercato del Lavoro. Strumenti utilizzati Analisi processi e analisi competenze con metodologia Italia Lavoro, vedi “Strumentazione tecnica”. Metodologie e strumenti La sperimentazione si basa su un processo che integra fasi di ricerca operativa a fasi di partecipazione socio-istituzionale. La visualizzazione schematica del processo mette in evidenza proprio la stretta correlazione ed interdipendenza tra le attività che hanno una tipica caratteristica tecnica con quelle invece che hanno una funzione socio-istituzionale. Questa è una specificità con conseguenze molto importanti: non ci può essere un’attività di ricerca ed elaborazione in merito al dizionario senza che prima ci sia la formalizzazione di una committenza istituzionale, a cui deve far seguito un allargamento della partecipazione alle parti sociali, che devono fornire una collaborazione attiva tramite l’individuazione di esperti che insieme ai ricercatori sviluppano l’elaborazione di un ipotesi di dizionario che a sua volta torna ai rappresentanti istituzionali e sociali per essere infine validata. Lo schema di processo è il seguente, i collegamenti ipertestuali permettono di accedere direttamente alla guida operativa che descrive in dettaglio le rispettive fasi e agli iter operativi delle varie sperimentazioni: 28 Il Processo per la costruzione del Dizionario Condiviso Processo socio-istituzionale Processo di ricerca operativa Condivisione istituzionale Protocollo d’intesa Condivisione sociale C. decisori e C. tecnico Analisi dei processi e Confronto linguaggi Ipotesi di traduttore Condivisione traduttore Traduttore condiviso Analisi profili Ipotesi di Dizionario Condivisione Dizionario Dizionario condiviso 29 Guida operativa In questa guida operativa analizziamo le varie fasi del processo, indicandone finalità, attività, metodologie/strumenti e risorse. Come il processo sopradescritto la guida operativa è il frutto di una elaborazione che ha tenuto conto del reale sviluppo delle sette sperimentazioni, per cui può essere considerata un utile punto di riferimento per coloro che sono interessati ad avviare esperienze analoghe. Condivisione istituzionale e Protocollo d’intesa Condivisione istituzionale Protocollo d’intesa Finalità In tutti i casi coinvolti l’avvio della sperimentazione è stato definito da un “Protocollo d’intesa” sottoscritto tra le rispettive Amministrazioni provinciali e Italia Lavoro. Partendo dal una bozza di protocollo proposta da Italia Lavoro ogni Amministrazione provinciale coinvolta ha deciso di formalizzare la sperimentazione seguendo strade diverse: si va dalla delibera di Giunta come nel caso dell’amministrazione di Forlì-Cesena che sceglie di far gestire la sperimentazione da uno sportello dedicato alle imprese del distretto, al semplice accordo tra dirigenti dell’Amministrazione provinciale e dirigente di SPINN. Al di là della formalizzazione che sancisce una committenza istituzionale, necessaria per avviare le sperimentazioni del progetto SPINN, occorre sottolineare come il “Protocollo d’intesa” assume in questo caso un significato particolare. L’Amministrazione provinciale, istituzione preposta al governo dei Servizi per l’impiego, nonché alla realizzazione delle politiche del lavoro e della formazione a livello locale, assume la decisione di avviare la realizzazione, seppure in ambito sperimentale, di un “dizionario condiviso” con le parti sociali. È un passo che assume rilevanza politica ed amministrativa, in quanto mentre da un lato rafforza la politica di concertazione e partenariato sociale sul territorio, dall’altro impegna la struttura dei servizi in un’attività certamente innovativa ma altrettanto onerosa. Attività Questa fase di avvio del processo si svolge principalmente attraverso incontri bilaterali tra l’ente proponente e i rappresentanti dell’amministrazione pubblica. Dell’Amministrazione provinciale sono coinvolti: • • il livello politico rappresentato di solito dall’Assessore al Lavoro, anche se in alcuni casi sono stati interessati gli stessi Presidenti o altri Assessorati, come quello della Formazione quando questo è distinto dal Assessorato al Lavoro; i ruoli dirigenziali dell’amministrazione, di solito il dirigente responsabile dell’area lavoro, e i funzionari responsabili dei Servizi per l’impiego o anche della formazione professionale o dei sistemi informativi. Dopo i primi incontri, constatato l’interesse e contestualizzati gli obiettivi e i settori su cui caratterizzare l’iniziativa sul territorio, si passa alla stesura dell’ipotesi di protocollo che dopo essere passata al vaglio dei vari responsabili viene sottoscritta dalle due parti. 30 Metodologie e strumenti Gli incontri richiedono una presentazione del progetto e la predisposizione di una bozza di protocollo d’intesa. La gestione degli incontri richiede abilità relazionali e contrattuali in grado di cogliere strategie, esigenze ed interessi non sempre chiari ed espliciti unitamente a comportamenti e rapporti politici, istituzionali ed amministrativi tra le persone coinvolte, che possono essere spesso determinanti per il buon esisto del progetto. Risorse e tempi In questa fase intervengono due figure: • • il responsabile territoriale di Italia Lavoro che ha il compito di gestire le relazioni a livello locale; l’esperto responsabile a livello centrale della sperimentazione di Italia Lavoro. In base all’esperienza realizzata si può dire che per questa fase non è facile stabilire un tempo preciso, si va da un minimo di due ad un massimo di tre mesi dal primo contatto telefonico, con un minimo di due ad un massimo di tre incontri. Condivisione sociale e Comitato dei decisori e comitato tecnico Condivisione sociale C. decisori e C. tecnico Finalità Dopo la firma del protocollo d’intesa l’Amministrazione provinciale invita i rappresentanti delle parti sociali ad una riunione con le seguenti finalità: • • • presentare gli obiettivi e le modalità di svolgimento della sperimentazione; formalizzare il “comitato dei decisori” che dovrà validare il dizionario; definire un “comitato tecnico” che gestirà le fasi di ricerca ed elaborerà le ipotesi di dizionario. Lo scopo è quello di coinvolgere attivamente gli attori che agiscono sul mercato del lavoro locale nella convinzione che questa è l’unica strada per costruire un linguaggio “vivo”, cioè uno strumento che una volta definito sia effettivamente utilizzato. Domani con l’avvento della Borsa Continua Nazionale del Lavoro questa fase potrebbe essere aperta a tutte le agenzie accreditate, avviando così un rapporto tra pubblico e privato propedeutico ad interventi più integrati e coordinati sulle politiche del lavoro. In questa ottica in alcune sperimentazioni sono state interessate agenzie formative e consulenti del lavoro già oggi riconosciuti a livello locale come partner dell’istituzione pubblica. La partecipazione richiesta ai diversi soggetti ha due caratteristiche: 1. funzione decisionale nella validazione del lavoro di ricerca e alla fine del dizionario; 2. funzione tecnica ed operativa nel mettere a disposizione, per il settore in esame, esperti ed imprese per una collaborazione attiva nell’analisi dei processi e dei profili. 31 Attività Questa fase si svolge prevalentemente attraverso contatti bilaterali ed incontri in plenaria che possono avere la seguente scansione: • • • • contatti bilaterali con le singole associazioni; primo incontro in plenaria di presentazione del progetto, discussione e formalizzazione del “comitato dei decisori”; contatti bilaterali per l’individuazione del “comitato tecnico”; primo incontro del “comitato tecnico” per definizione del piano operativo di ricerca. Metodologie e strumenti I contatti bilaterali necessitano una buona rete di relazioni sul territorio. Gli incontri richiedono una presentazione del progetto e del protocollo d’intesa firmato. La gestione degli incontri richiede abilità relazionali e contrattuali in grado di cogliere strategie, esigenze ed interessi non sempre chiari ed espliciti unitamente a comportamenti e rapporti politici, istituzionali e sociali tra le associazioni e i loro rappresentanti, che possono essere spesso determinanti per il buon esisto del progetto. Risorse e tempi In questa fase intervengono le stesse figure previste nella prima: • • il responsabile territoriale di Italia Lavoro che ha il compito di gestire le relazioni a livello locale; l’esperto responsabile a livello centrale della sperimentazione di Italia Lavoro. I tempi possono variare tra uno e i due mesi massimo tra la firma del Protocollo e le definizione del piano operativo. Analisi dei processi, confronto linguaggi ed ipotesi di traduttore Analisi dei processi e Confronto linguaggi Ipotesi di traduttore Finalità Con questa fase prende avvio la ricerca operativa che ha come primo obiettivo quello di individuare un “traduttore” dei diversi linguaggi utilizzati dai soggetti che a livello locale intervengono sul mercato del lavoro. Il “traduttore” è uno strumento condiviso per confrontare le varie modalità di denominazione delle figure professionali appartenenti al settore oggetto di analisi. Il “traduttore” non è un nuovo linguaggio e neppure modifica quelli esistenti ma ha il semplice compito di mettere ordine tra i linguaggi utilizzati e permettere di effettuarne poi il confronto. 32 Sinottico per “Traduttore” condiviso Comparto/distretto: …. Processi Output Voci ISTAT 5° digit CCNL Linguaggi in uso da imprese, associazioni, consulenti, ecc. Linguaggi in uso da agenzie formative Ipotesi “Traduttore ” condiviso Ciò dà libertà ai diversi soggetti di continuare a parlare la lingua più idonea alle proprie finalità, ad esempio per stabilire l’inquadramento professionale dei lavoratori le associazioni imprenditoriali ed il sindacato continueranno ovviamente ad utilizzare il contratto collettivo di lavoro. Nello stesso tempo si stabiliscono in modo condiviso a livello locale le denominazioni riferite alle figure professionali che meglio interpretano il sistema professionale del settore. In sostanza si stabilisce una nuova convenzione tra gli attori socio-istituzionali del territorio per declinare il loro sistema professionale; una convenzione che “parla” con le convenzioni in vigore e fa riferimento allo standard nazionale: la classificazione ISTAT. Attività L’attività prevista per questa fase si può suddividere in due filoni: lavoro di ricerca ed elaborazione soprattutto attraverso attività di back-office, con alcune analisi sul campo presso le imprese disponibili; confronto con gli esperti del comitato tecnico sul materiale prodotto in una serie di incontri. Metodologie e strumenti La metodologia utilizzata in questa fase di ricerca si articola nei seguenti passaggi: 1. analisi dei processi; 2. analisi dei flussi del mercato del lavoro locale e ricerca sulle “voci” professionali al 5° digit della classificazione ISTAT relative al settore considerato; 3. ricerca sugli inquadramenti contrattuali e sui repertori ISFOL delle denominazioni relative alle figure professionali del settore considerato; 4. individuazione del sistema professionale specifico della tipologia delle imprese del territorio; 5. confronto tra i diversi linguaggi analizzati, collocandoli lungo i processi individuati; 6. definizione del “traduttore” attraverso la denominazione condivisa lungo i processi delle figure professionali scelte come “figure di riferimento”. Vediamo brevemente punto per punto. 1 L’analisi dei processi è l’approccio scelto come base per il confronto tra i linguaggi e successivamente per l’individuazione delle attività chiave del profilo, così come stabilito dalla metodologia concordata tra Italia Lavoro ed ISFOL. La scelta è stata fatta in quanto l’analisi di processo permette di avere una visione integrata delle attività e delle funzioni necessarie per ottenere un determinato prodotto e/o servizio, sufficientemente indipendenti dalle diversissime organizzazioni del lavoro presenti nella realtà, 33 permettendo così di ordinare e successivamente confrontare i vari sistemi professionali definiti nei diversi linguaggi. Ciò significa scomporre il settore nei processi principali e di supporto, secondo la definizione di M. Porter, in modo tale da cogliere immediatamente i processi trasversali a più settori e quelli invece caratteristici di quello oggetto di studio. Soprattutto per questi ultimi si dovrà arrivare ad una scomposizione che tenga conto delle specificità, ma nello stesso tempo non cada nell’articolazione troppo spinta. La regola che permette di evitare analisi poco correte è quella di identificare il risultato (output) che il processo o le sue attività principali devono garantire. Una volta definita in modo chiaro l’articolazione per processi e/o per attività principali del settore questa diventa la base su cui confrontare le diverse modalità di definizione del sistema professionale. 2 L’analisi dei flussi del Mercato del Lavoro locale si effettua attraverso l’elaborazione dei dati relativi alle comunicazioni obbligatorie delle imprese su assunzioni, cessazioni e trasformazioni dei rapporti di lavoro. Ai fini della sperimentazione oltre ad evidenziare l’andamento reale dell’occupazione nel settore a livello locale, questi dati segnalano le denominazioni delle figure professionali movimentate. Denominazioni che, riferendosi ovviamente alla classificazione ISTAT, danno uno spaccato dell’utilizza reale di essa in quel territorio per quel settore. A questo punto viene effettuata una ricerca di tutte le “voci” relative al 5° digit della classificazione ISTAT riferite al settore in oggetto. 3 La stessa ricerca viene fatta rispetto ai linguaggi utilizzati nei contratti nazionali di lavoro applicati in quel settore, selezionando dalle parti relative agli inquadramenti le denominazioni delle mansioni o ruoli professionali inserite nei vari livelli. Per concludere questa parte relativa alla ricerca dei linguaggi formalizzati a livello nazionale, si evidenziano i repertori segnalati dall’ISFOL attinenti al settore in studio. 4 Si passa alla individuazione del linguaggio o dei linguaggi utilizzati a livello locale, studiando il sistema professionale per tipologia di impresa: grande e/o piccola impresa, azienda artigiana, ecc. Con l’aiuto degli esperti, partecipanti al comitato tecnico, si stabiliscono le tipologie d’impresa tipiche del territorio e per ognuna si declina lo specifico sistema professionale con relative denominazione delle figure professionali spesso dissimili, non solo dalla classificazione ISTAT, ma dagli stessi contratti nazionali, in quanto derivanti dalla storia e dalla cultura locale. 5 È possibile ora confrontare diversi linguaggi analizzati da quelli istituzionali e formalizzati a livello nazionale, a quelli utilizzati a livello locale. Per far ciò si utilizza un sinottico che nelle prime due colonne di sinistra colloca i processi e/o le attività chiave individuate nella fase 1., nelle colonne seguenti dispone le denominazioni delle figure professionale a partire da quelle individuate nella classificazione ISTAT e di seguito le altre. Grazie a questo semplice procedimento è possibile avere immediata visione delle differenze e/o similitudini tra i vari linguaggi, proprio in quanto la disposizione delle singole figure professionali avviene lungo il processo. 6 La definizione del “traduttore” a questo punto risulta essere semplice ed immediata. Avendo, infatti, ricostruito processi e/o attività significative, in quanto producono un output riconosciuto, nell’ultima colonna del sinottico si possono collocare le figure professionali che accorpano in sé tutte le operazioni necessarie per gestire o l’intero processo o svolgerne le attività chiave. Si individua in questo modo un elenco di figure professionali che possiamo definire di “riferimento”, che sono riconducibili alle denominazioni utilizzate negli altri linguaggi tramite la loro collocazione sui processi. Queste figure di riferimento sono “a banda larga” in quanto presiedono attività significative con output definiti, per cui sono di più immediata utilizzazione sia per l’incrocio domanda e offerta sia come riferimento per politiche del lavoro e formative. 34 Il sinottico costruito in precedenza diventa, con nell’ultima colonna l’elenco di figure professionali di riferimento, il “traduttore” dei linguaggi per il sistema locale. La strumentazione per tutta questa serie di attività è quella relativa al bagaglio metodologico relativo all’analisi dei processi dal flussogramma all’osservazione diretta nelle imprese e relative interviste ai responsabili, alle tabelle per l’elaborazione dei dati sui flussi del Mercato del Lavoro e al sinottico per l’ordinamento dei linguaggi lungo i processi. Risorse e tempi La ricostruzione dei processi prevista al punto 1 richiede sia un lavoro di recupero del materiale prodotto in letteratura sia una discesa sul campo per contestualizzarli in base alle caratteristiche del settore a livello locale. In particolare occorre cogliere gli elementi più “critici” per le innovazioni tecnologiche ed organizzative in corso o per fattori esterni che stanno influenzando il comparto. Per cui si può prevedere l’intervento di almeno un ricercatore senior, coadiuvato da alcuni ricercatori junior. Molto interessante è stata l’esperienza di affiancare al ricercatore senior messo a disposizione da Italia Lavoro una piccola squadra formata da: • • • operatori dei CPI locali, in particolare coloro che già svolgono attività di preselezione e contatto con le imprese del territorio; operatori di agenzie formative riconosciute sul territorio, in particolare coloro che già si occupano di corso rivolti al settore oggetto di studio; giovani stagisti in carico ai due enti, destinati a rafforzare poi i rispettivi staff. Mediamente tutta l’attività prevista al punto 1 ha comportato una decina di giornate-uomo lungo un arco di tempo che va dalle 4 alle 6 settimane. Le attività prevista ai punti 2, 3 e 4 sono attività di back office a cui si devono aggiungere alcune interviste alle imprese per il punto 4. Il lavoro, svolto sempre dalla stessa squadra di ricercatori che svolge il punto 1, richiede una decina di giornate-uomo, che è possibile collocare nell’arco temporale previsto per il punto precedente. I punti 5 e 6 sono realizzati attraverso due o massimo tre incontri del comitato tecnico, dove i semilavorati elaborati dal team di ricercatori vengono presentati e discussi per arrivare ad elaborare con l’indispensabile collaborazione degli esperti locali il “traduttore” con l’elenco delle “figure professionali di riferimento”. 35 Condivisione traduttore e traduttore condiviso Condivisione traduttore Traduttore condiviso Finalità A questo punto si torna al confronto socio-istituzionale in quanto il “prodotto” elaborato in fase di ricerca operativa deve essere sottoposto al vaglio dei rappresentanti dell’Amministrazione provinciale e delle parti sociali per essere “validato”. Il “traduttore” da semplice elaborato di un lavoro, seppure partecipato, pur sempre di ricerca operativa, diventa uno strumento validato dai rappresentanti socio-istituzionali del territorio, quindi un “traduttore condiviso” utilizzabile come standard locale per le strategie e le finalità che gli stessi soggetti riterranno più opportune. Attività Nelle sperimentazioni questa fase si è tradotta in un incontro formalizzato dall’Amministrazione provinciale con la presenza dei rappresentanti del “comitato dei decisori”. In questa riunione, dopo la presentazione del “traduttore” e del lavoro svolto dai ricercatori e dal “comitato tecnico”, seguita da una discussione tra i partecipanti, si è arrivati alla decisione formale di condividere il “traduttore” e di avviare la successiva fase di ricerca, dandone mandato al comitato tecnico e ai ricercatori. Per lo sviluppo di altri casi potrebbe essere necessario prevedere un ulteriore passaggio di modifica ed affinamento dello strumento a seguito di suggerimenti o correzioni emerse dalla discussione socio-istituzionale. Metodologie e strumenti Per questa fase occorre raccogliere in una presentazione il lavoro fatto nell’attività di ricerca e il sinottico elaborato. È necessario prevedere una conduzione dell’incontro in modo che siano sottolineati gli eventuali suggerimenti e che alla fine sia presa una decisione formale sulla condivisione del “traduttore”. Risorse e tempi Il tempo è quello necessario per indire un’incontro formale con la presenza di tutti i soggetti, quindi dalle due al massimo quattro settimane. Le risorse previste sono quelle del ricercatore senior per realizzare la presentazione, con l’aiuto del team dei ricercatori. 36 Analisi dei profili e Ipotesi di dizionario Analisi profili Ipotesi di Dizionario Finalità La seconda fase della ricerca operativa riguarda la descrizione delle figure professionali denominate nel “traduttore” condiviso. La convinzione è quella che non sia sufficiente individuare in termini puramente nominali le figure professionali di riferimento per quel settore se non si passa a precisarne i contenuti, ad evidenziare le caratteristiche specifiche di ognuna di esse. Significa passare dalla denominazione condivisa alla formalizzazione di un descrittivo relativo al profilo professionale della figura presa a riferimento. Ciò permette di trasformare il “traduttore” in un vero e proprio “dizionario” del sistema professionale locale che cerca di specificare le competenze richieste alla figura professionale. Un dizionario relativo a figure professionali, basato sulle competenze, è sicuramente uno strumento che può migliorare gli standard sia quantitativi che qualitativi per l’incontro tra domanda ed offerta di lavoro. Soprattutto, poi, se questo dizionario viene acquisito dalla banca profili di Italia Lavoro e domani dalla Borsa Continua del Lavoro. Attività Anche l’attività prevista per questa fase si può suddividere in due filoni: • • lavoro di ricerca ed elaborazione sia con attività di back-office, che con analisi sul campo presso le imprese disponibili per effettuare interviste mirate, confronto con gli esperti del comitato tecnico sul materiale prodotto in una serie di incontri. Metodologie e strumenti La metodologia utilizzata in questa fase di ricerca si articola nei seguenti passaggi: 1. recupero del materiale già pubblicato sui profili delle figure professionali da studiare; 2. acquisizione di informazioni sulle stesse figure tramite interviste sul campo e focus group; 3. elaborazione del descrittivo relativo al profilo professionale secondo il format utilizzato dalla banca profili di Italia Lavoro, che risponde allo standard nazionale messo a punto con ISFOL; 4. redazione del dizionario. Come si vede il bagaglio metodologico adottato è, come già detto, quello che Italia Lavoro ha concordato con ISFOL e quindi si può ritenere uno standard sufficientemente collaudato. Gli strumenti sono quelli predisposti da Italia Lavoro: il descrittivo, il manuale per la compilazione, la guida alle interviste. Per acquisire le informazioni sufficienti per la stesura di un profilo indicativamente nella sperimentazione sono state effettuate almeno tre interviste per ogni figura di riferimento, cercando di coinvolgere sia il responsabile del ruolo sia colui che realmente lo svolge. 37 Dopo le interviste con il materiale raccolto e rielaborato sono stati realizzati focus group per precisare meglio le competenze della figura. A questi focus group sono stati invitati gli esperti oltre agli intervistati in modo tale da avere alla fine un validazione del profilo almeno dal punto di vista tecnico. Risorse e tempi L’attività vede coinvolta la stessa squadra di ricercatori che ha sviluppato l’analisi dei processi, che ricordiamo, oltre al ricercatore senior messo a disposizione da Italia Lavoro, è composta da operatori del CPI o degli SPI provinciali, operatori di agenzie formative, a cui si aggiungono sempre gli esperti del comitato tecnico. Si crea così un’expertise e una rete di rapporti tra enti ed imprese a livello locale che rimarrà anche dopo la fine della sperimentazione e potrà essere utilizzata per implementare il dizionario ad altri settori e rafforzare le relazioni il sistema delle imprese. I tempi di questa fase di ricerca variano con il numero di profili da descrivere. Per ogni profilo, se si considerano tre interviste ed un focus group, si può dire che occorrono 6 giornate-lavoro. Tutte le sperimentazioni per motivi di rendicontazione hanno svolto questa attività nell’arco di due mesi. Condivisione dizionario e Dizionario condiviso Condivisione Dizionario Dizionario condiviso Finalità L’ultima fase è quella relativa alla condivisione del lavoro svolto in quella precedente, con lo scopo di validare il “dizionario”. Si riprende il confronto socio-istituzionale in quanto il “dizionario” elaborato in fase di ricerca operativa deve essere sottoposto al vaglio dei rappresentanti dell’Amministrazione provinciale e delle parti sociali per essere “validato”. Anche il “dizionario” da semplice elaborato di un lavoro di ricerca operativa, diventa uno strumento validato dai rappresentanti socio-istituzionali del territorio, quindi un “dizionario condiviso” utilizzabile come strumento locale per le strategie e le finalità che gli stessi soggetti riterranno più opportune. Attività L’attività prevista è stata quella di un incontro formalizzato dall’Amministrazione provinciale con la presenza dei rappresentanti del “comitato dei decisori”. In questa riunione, dopo la presentazione del “dizionario” e del lavoro svolto dai ricercatori e dal “comitato tecnico”, è seguito nei casi sperimentati un dibattito sulle problematiche relative all’utilizzo dello strumento e alla sua implementazione per sviluppare le “politiche” del lavoro già avviate a livello locale (vedi verbali delle sperimentazioni). Alla fine dell’incontro si è arrivati alla decisione formale di condividere il “dizionario” e darsi altre scadenza per approfondire le modalità di prosecuzione dell’esperienza avviata. 38 Metodologie e strumenti Per l’ultimo passaggio del processo occorre raccogliere tutto il materiale elaborato ed in particolare preparare una presentazione sul “dizionario” elaborato. È necessario prevedere una conduzione dell’incontro in modo che siano raccolti suggerimenti e problematiche sul lavoro prodotto e sul suo eventuale proseguimento, per arrivare alla fine a prendere una decisione formale sulla condivisione del “dizionario”. Risorse e tempi Il tempo, anche in questo caso, è quello necessario per indire un’incontro formale con la presenza di tutti i soggetti, quindi dalle due al massimo quattro settimane. Le risorse previste sono quelle del ricercatore senior per realizzare la presentazione, con l’aiuto del team dei ricercatori. Considerazioni finali Condizioni per il successo 1 Il primo elemento decisivo per avviare questo tipo di intervento è individuare interlocutori a livello istituzionale (Regioni e Province) convinti che il miglioramento dei servizi e delle politiche del lavoro passa anche attraverso la definizione di linguaggi condivisi tra gli attori territoriale sul versante delle professioni, almeno quelle più “critiche” sul mercato del lavoro. Ciò in quanto si propone loro non un nuovo servizio o un intervento diretto su una particolare utenza, ma un azione propedeutica e trasversale, per cercare di capire che cosa richiede il territorio in termini di figure professionali distintive del sistema di imprese e/o di distretto locale e definirne un dizionario attraverso un approccio per competenze. Quindi una cultura di servizio che punta su una loro qualificazione, in particolare verso nuovi standard per migliorare l’incontro tra domanda e offerta di lavoro, per integrare politiche del lavoro con la formazione, è fondamentale. Se invece vi è la convinzione che la preselezione è sufficiente realizzarla attraverso parametri che non richiedono l’utilizzo di analisi delle competenze richieste dalle imprese per confrontarle con quelle possedute dai lavoratori non è necessario avviare il processo sopra descritto. 2 Inoltre siccome il dizionario deve essere uno strumento condiviso, una seconda condizione di successo è determinata dalla rete di soggetti locali disponibili a confrontarsi e collaborare per raggiungere un obiettivo comune. Quindi una buona tradizione di partenariato locale con relazioni già attive su precedenti progetti di sviluppo aiuta l’avvio e la buona riuscita del progetto. 3 L’utilizzo da parte dell’Amministrazione provinciale di un sistema informativo che aggiorna in tempo reale i dati relativi alle registrazioni delle imprese su assunzioni, trasformazioni e cessazioni dei rapporti di lavoro, permette di avere da subito un quadro aggiornato dei flussi del mercato del lavoro locale e delle relative figure professionali più “movimentate” sul territorio, con relative denominazioni prevalenti. 4 L’elemento centrale per il successo dell’intervento è la competenza dei ricercatori messi in campo. Essi devono possedere le basi metodologiche e strumentali per effettuare un’analisi dei processi a livelli macro e un’analisi delle competenze secondo l’approccio utilizzato da Italia Lavoro e ISFOL. Il gruppo dei ricercatori locali grazie a questa esperienza sono in grado successivamente di ampliare l’intervento ad altri sistemi professionali significativi per il territorio e di aggiornarli costantemente. In un certo senso potrebbero costituire il nucleo per l’attivazione di un osservatorio provinciale sul lavoro e le competenze. 5 In questa sperimentazione la fase di ricerca operativa è stata condotta da ricercatori di Italia Lavoro e operatori CPI, per cui si sono formati team di ricerca “misti” che con l’ausilio 39 degli esperti indicati dalle parti sociali sono entrati nelle imprese ad studiarne i processi e le competenze di alcune figure professionali. Questo ci pare un valore aggiunto da evidenziare che rimane come patrimonio del territorio e può essere sviluppato in più di una direzione. 6 La stessa considerazione può essere fatta per il comitato tecnico degli esperti e il comitato dei decisori. Il primo può essere un punto di riferimento per tenere monitorato il sistema locale sulle evoluzioni possibili e quelle previste a breve sulle quali occorre intervenire con politiche ad hoc (anche questo aspetto può essere inserito in un ipotesi di osservatorio permanente del mercato del lavoro e delle competenze. Il secondo è di fatto un comitato che potrebbe, sulla base delle elaborazioni fatte, avviare politiche attive integrate a interventi formativi mirati a target particolarmente critiche per il territorio. Raccomandazioni Aspetto importante di questa sperimentazione è stato quello di non creare aspettative sulla possibilità di risolvere con il dizionario delle professioni problemi che richiedono interventi di altra natura, come ad esempio politiche per incentivare lo sviluppo. Avendo come interlocutore un’Amministrazione provinciale che ha già attivato iniziative sia sul terreno del marketing territoriale che su quello delle politiche attive del lavoro, è stato semplice inquadrare la sperimentazione nella dimensione corretta di analisi delle competenze distintive del territorio come azione integrata alle altre preesistenti. È stato molto importante coinvolgere i centri di formazione professionale del territorio, al fine di garantire una più efficace e sinergica partecipazione, volta a fornire ai centri formativi strumenti utili per un maggior raccordo con il mondo delle imprese. Per i limiti delle presenti sperimentazioni non è stato possibile testare concretamente lo strumento rispetto ad esempio il miglioramento dei servizi di incontro domanda e offerta oppure a processi di orientamento, riqualificazione ed inserimento lavorativo di specifici target di offerta, potrebbe essere questo l’oggetto di future sperimentazioni che Italia Lavoro e il Progetto SPINN vorranno avviare. Per questo motivo è fondamentale costruire dei Gruppi di ricerca e dei Comitati tecnici misti, in cui partecipino diversi attori territoriali: IL, CPI, Agenzie formative ed Esperti locali. Un linguaggio condiviso sulle professioni si configura come uno strumento di utilizzo comune per i soggetti del territorio, quindi non può non nascere dalla decisione e dalla elaborazione attuata direttamente da questi soggetti. Qualsiasi soluzione si trovi non deve essere il frutto di una progettazione svolta a tavolino da qualche esperto, ma deve sorgere e svilupparsi da un confronto diretto tra gli attori del territorio, i soli in grado di individuare le caratteristiche reali del mercato del lavoro e del sistema professionale locale e di dare, al di là del linguaggio scelto, un significato preciso e condiviso ai termini selezionati, in modo tale da assicurare un loro concreto utilizzo nello svolgimento e miglioramento dei servizi. Il processo di lavorazione della calzatura è un processo dove ancora la tecnologia non riesce a soppiantare la lavorazione manuale di tipo artigianale e la qualità del prodotto finale: la scarpa di lusso, è garantita soprattutto dalla qualità della prestazione lavorativa. Per cui la manodopera impiegata in questo settore si caratterizza per una forte specializzazione e per abilità manuali derivanti dalla lunga esperienza. Uno dei problemi emergenti in questi ultimi anni nel distretto fermano-maceratese è proprio quello della mancanza di un necessario e qualitativamente adeguato ricambio generazionale del personale all’interno delle imprese. La situazione si presenta ancor più complessa da affrontare, in quanto, anche qui si registra un generale allontanamento dei giovani dal lavoro in “fabbrica”. Per cui di fronte ad una domanda comunque significativa di lavoro, in particolare di personale specializzato, sul mercato del lavoro locale non vi è un riscontro dal lato dell’offerta: non si trovano le figure più specialistiche e non c’è neppure molta disponibilità per quelle generiche, almeno da parte dell’offerta di età più giovane e di sesso maschile. Su questi temi è in corso da tempo sul territorio una riflessione e un confronto tra i vari soggetti e sono già state intraprese diverse iniziative. Ma nessuna di queste pur lodevoli iniziative è riuscita ad instaurare un sistema locale in grado di gestire in modo integrato le politiche del lavoro e della formazione. Un sistema che sappia 40 affrontare le diverse problematicità con interventi adeguati al loro livello di complessità, sfruttando tutte le opportunità che il territorio offre, coinvolgendo tutte le risorse e tutti i soggetti interessati, dando ad ognuno un ruolo riconosciuto e richiedendo nel contempo uno specifico e reale contributo. Non è pensabile affrontare problemi che coinvolgono aspetti che toccano dalla cultura dei soggetti fino a questioni molto concrete come quelle contrattuali e di organizzazione della vita e del lavoro delle persone e delle imprese, senza intraprendere politiche ed iniziative strutturate a più livelli e condivise. Ad esempio, come in ogni parte di Italia, anche nel distretto calzaturiero fermano-maceratese vi è oggi una diffusa refrattarietà, sia da parte delle imprese che da parte dei lavoratori a sperimentare contratti di lavoro più flessibili, come il part-time, il job-sharing o altro che potrebbero consentire fra l’altro di impiegare una potenziale quota di forza lavoro femminile, segmento oggi tra i più critici del Mercato del Lavoro locale. Di fronte a questa situazione il progetto si è posto in un ottica che non è quella di affrontare di petto i vari problemi, ma di costruire un tavolo dove ogni soggetto locale si incontra per condividere in primo luogo un linguaggio per definire e descrivere il lavoro, le professionalità richieste od attese e quelle reali presenti sul Mercato del Lavoro. Raggiunto questo primo parziale obiettivo ora si tratta, da parte degli stessi soggetti, di indicare e scegliere le strade più idonee per affrontare le problematiche più urgenti e stabilizzare il sistema locale in una rete reale di soggetti che si confrontano e agiscono in modo integrato e condiviso. 41