l`osservatore romano
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Spedizione in abbonamento postale Roma, conto corrente postale n. 649004 Copia € 1,00 Copia arretrata € 2,00 L’OSSERVATORE ROMANO GIORNALE QUOTIDIANO Unicuique suum Anno CLIII n. 115 (46.359) POLITICO RELIGIOSO Non praevalebunt Città del Vaticano lunedì-martedì 20-21 maggio 2013 . Nella solennità di Pentecoste il Papa celebra la giornata dei movimenti, delle nuove comunità, delle associazioni e delle aggregazioni laicali Una Chiesa che va incontro a tutti y(7HA3J1*QSSKKM( +%!"!\!?!# Il fuoco della missione Missione: è senza dubbio questa la parola che meglio riassume la conclusione del grande incontro di Pentecoste tra il vescovo di Roma e oltre duecentomila fedeli appartenenti ad associazioni e movimenti cattolici. Proprio la realtà, necessaria e urgente, di testimoniare e predicare il Vangelo è stata infatti al centro della lunga veglia e poi dell’omelia che Papa Francesco ha tenuto durante la messa sul sagrato di San Pietro, riprendendo anche temi ed espressioni della sua predicazione quotidiana a Santa Marta, tanto efficace quanto coinvolgente. Altrettanto vivide e appassionate sono state le risposte del Pontefice a quattro domande postegli. «Ci ho pensato» ha detto subito, quasi a sottolineare l’autenticità di una testimonianza in prima persona che è la chiave per capire davvero le parole del vescovo di Roma e l’interesse che stanno suscitando anche al di fuori della Chiesa e dei suoi confini visibili. È infatti l’esperienza personale — «la storia della mia vita» — che Papa Francesco ha subito evocato per rivolgersi ai presenti in piazza San Pietro e a moltissime altre persone, donne e uomini, in tutto il mondo. La fede? Ho avuto la grazia di una famiglia dove questa realtà si viveva in modo semplice e concreto, ha risposto, ed era una donna — «la mamma di mio padre» — che «ci parlava di Gesù». Come tante altre donne, fin dai primi tempi della Chiesa: per esempio, Loide ed Eunice, la nonna e la mamma di Timoteo la cui fede è espressamente ricordata all’inizio della seconda lettera indirizzatagli dall’apostolo, ha osservato il Pontefice. Su questo doppio registro, di attenzione all’esperienza personale e di meditazione profonda della Scrittura, si fonda la testimonianza che comunica con immediatezza Papa Francesco. Che ha presente come fosse ieri il 21 settembre 1953, quando a diciassette anni incontrò un prete che non conosceva e con il quale si confessò perché avvertì nitidamente che «qualcuno l’aspettava». Così ha citato un versetto all’inizio della profezia di Geremia per mostrare come sia il Signore per primo, paragonato al fiore di mandorlo, ad aspettarci. O a chiamare alla nostra porta, secondo l’immagine apocalittica; ma anche a bussare «per uscire fuori, e noi non lo lasciamo uscire, per le nostre sicurezze, perché tante volte siamo chiusi in strutture caduche» ha aggiunto il Pontefice. In continuità con i predecessori — Benedetto XVI e Giovanni Paolo II, ricordati dal vescovo di Roma, ma anche Paolo VI, che sottolineava l’urgenza per il nostro tempo di maestri che fossero soprattutto testimoni — Papa Francesco ha di nuovo insistito sull’importanza decisiva di una testimonianza di vita coerente: per «vivere il cristianesimo come un incontro con Gesù che mi porta agli altri e non come un fatto sociale». In questo senso ha precisato che per i credenti in Cristo la povertà «non è una categoria sociologica o filosofica o culturale», ma teologale: cioè «la povertà che ci ha portato il Figlio di Dio con la sua incarnazione». Ed è proprio questa testimonianza che deve spingere la Chiesa al di fuori di se stessa, verso tutte le periferie, esistenziali e materiali, nel mondo di oggi. Per una missione che abbandoni ogni autoreferenzialità e si lasci ravvivare dalla novità e dall’armonia di quel fuoco che raffigura lo Spirito di Dio. g.m.v. È una Chiesa non richiusa su se stessa ma aperta all’incontro con tutti e impegnata accanto ai più poveri nelle «periferie esistenziali» del mondo, quella che Papa Francesco propone ai movimenti, alle nuove comunità, alle associazioni e alle aggregazioni laicali nella festa di Pentecoste. Nella giornata loro dedicata nell’Anno della fede, il Pontefice incontra per due volte nel giro di poche ore i protagonisti di queste realtà ecclesiali giunti in massa in piazza San Pietro. Durante la veglia di preghiera, presieduta sabato sera, il vescovo di Roma parla a lungo rispondendo a quattro domande sui temi della fede e della testimonianza personale. «Preferisco mille volte una Chiesa incidentata — afferma — che una Chiesa ammalata per chiusura». Da qui l’esortazione a «uscire fuori», perché c’è bisogno di testimoni autentici e non di «cristiani inamidati». Del resto — fa notare richiamando la presenza di Paul Bhatti, fratello del ministro pakistano Shahbaz ucciso nel 2011 — «ci sono più martiri oggi che nei primi secoli della Chiesa». E l’indomani, celebrando la messa domenicale, il Papa torna su questi temi all’omelia, esortando tutti a essere «aperti alle sorprese di Dio». Infine, al Regina caeli traccia un bilancio della due giorni, definendola una «festa della fede, una rinnovata Pentecoste che ha trasformato piazza San Pietro in un Cenacolo a cielo aperto». PAGINE 4 E 5 Torna la calma dopo i sanguinosi scontri con la polizia ma la tensione resta alta Sfida dei salafiti in Tunisia TUNISI, 20. È ormai sfida senza esclusione di colpi quella lanciata dai salafiti al Governo tunisino dopo il no del ministero dell’Interno al raduno nazionale che si sarebbe dovuto tenere ieri a Kairouan, enclave della parte più dura del movimento nella Tunisia più povera. E tra scontri dal bilancio grave ma ancora incerto (un giovane salafita è rimasto ucciso alla periferia nord, a Citè Ettadhamen, della Grande Tunisi e decine di poliziotti sono rimasti feriti), spari, assalti e sassaiole, il Paese ha vissuto ieri il punto più alto dello scontro che i salafiti vogliono alimentare contro uno Stato di cui non riconoscono affatto l’autorità, minacciandone gli esponenti. È trascorsa all’insegna della calma apparente, anche se la tensione resta alta, la notte in Tunisia, scossa ieri da violenti disordini tra la polizia e gruppi di salafiti, inferociti per il divieto a tenere il raduno nazionale. Il dispositivo approntato dal ministero dell’Interno non è stato comunque allentato nella notte e, come ha verificato l’agenzia Ansa, le principali strade d’accesso alla capitale erano sorvegliate da pattuglie miste (polizia e polizia stradale, affiancate dall’esercito), dotate anche di mezzi blindati, che controllavano molti degli automezzi in transito. È dunque scontro aperto senza riserve tra il Governo tunisino e i salafiti di Ansar Al Sharia. Il premier Ali Larayedh, espressione degli islamisti moderati di Ennahdha, ha accusato la formazione di essere «un’organizzazione illegale che ha legami ed è coinvolta nel terrorismo». Il no del ministero dell’Interno — guidato da poche settimane con decisione da Lotfi Ben Jeddou, ex magistrato antiterrorismo e poco incline al dialogo senza il rispetto della legge — alla tenuta del raduno, che doveva portare a Kairouan almeno 40.000 salafiti, è stato forse il pretesto che gli estremisti di Ansar Al Sharia cercavano da tempo per mostrare a tutti la loro capacità militare e la loro organizzazione. Una strategia che ieri si è manifestata con evidenza quando sono scoppiati contemporaneamente tumulti in tutta la Tunisia e, non certo per coincidenza, vicino alle moschee che controllano e che offrono sempre, in casi come questo, rifugio a chi attacca le forze dell’ordine e poi scappa. Ma la Tunisia ufficiale sembra avere cambiato registro e la controprova sta nel dispiegamento di forze che Ben Jeddou ha deciso, mandando nella sola Kairouan ben undicimila uomini, con molte altre migliaia tenuti nelle caserme e fatti intervenire nei punti di crisi. Se in occasione dell’assalto all’ambasciata statunitense dello scorso settembre i salafiti agirono quasi indisturbati, questa volta hanno trovato a sbarrare loro la strada migliaia di agenti, guardie nazionali, soldati che sono apparsi fortemente motivati e che non hanno fatto un passo indietro. Cosa che ha scatenato la rabbia degli estremisti di Ansar Al Sharia che hanno attaccato, bruciato, gettato sassi, puntualmente ricacciati indie- Violenti combattimenti nella provincia siriana di Homs PAGINA 3 Il 21 maggio 1972 un folle sfregiò la «Pietà» di Michelangelo Perfezione infranta ANTONIO PAOLUCCI A PAGINA 6 Scontri tra polizia e manifestanti nel centro di Tunisi (Reuters) tro dalle forze dell’ordine e dai soldati. Il pugno di ferro del Governo si è anche tradotto in un controllo estremo del territorio e al ricorso, contro i salafiti, di ogni mezzo. Come accaduto a Kairouan quando, contro quelli asserragliati nella moschea che vorrebbero fare diventare il centro del sognato califfato, sono stati lanciati dei cani lupo addestrati per i moti di piazza. La polizia tunisina ha arrestato 200 salafiti nel fine settimana. Tra questi anche Seifeddine Rais, portavoce ufficiale del gruppo fondamentalista. Negli ultimi giorni Seifeddine Rais ha partecipato a trasmissioni in radio e televisive, in merito al raduno nazionale che Ansar Al Sharia doveva tenere ieri a Kairouan. Da lui erano arrivate violentissime dichiarazioni contro lo Stato e le forze di sicurezza. Rais è stato arrestato, hanno riferito ieri alcune emittenti radio, mentre stava cercando di entrare a Kairouan, passando per uno dei numerosi posti di blocco istituiti da forze di sicurezza ed esercito intorno alla città destinata a ospitare il raduno nazionale dei salafiti. Secondo una fonte della sicurezza, citata dall’emittente radio Shems, è stata avviata una inchiesta su Seifeddine Rais perché, nelle sue dichiarazioni, sono stati rilevati ripetuti incitamenti a uccidere giornalisti e agenti della polizia. Dichiarazioni prese seriamente dal sindacato dei giornalisti tunisini che ha invitato i cronisti che si trovano nella città di Kairouan alla massima cautela e a indossare le pettorine con la scritta “Presse”. Altre raccomandazioni del sindacato: muoversi in gruppo e, in caso di incidenti, cercare protezione dalle forze di sicurezza. Il raduno di Ansar Al Sharia è stato ufficialmente rinviato di una settimana, ma questo ora pone gli estremisti salafiti davanti a un dilemma: se accetteranno di chiedere l’autorizzazione significherà che riconoscono la primazia dello Stato; se non lo faranno, rischiano d’essere spazzati da una Tunisia ormai stanca delle loro violenze. NOSTRE INFORMAZIONI Il Santo Padre ha ricevuto questa mattina presso la «Domus Sanctae Marthae» l’Eminentissimo Cardinale Darío Castrillón Hoyos. Il Santo Padre ha ricevuto questa mattina in udienza: Sua Eminenza Reverendissima il Signor Cardinale Robert Sarah, Presidente del Pontificio Consiglio «Cor Unum»; le Loro Eccellenze Reverendissime i Monsignori: — Salvatore Gristina, Arcivescovo di Catania (Italia), in visita «ad limina Apostolorum»; — Salvatore Pappalardo, Arcivescovo di Siracusa (Italia), in visita «ad limina Apostolorum»; — Calogero La Piana, Arcivescovo di Messina - Lipari Santa Lucia del Mela (Italia), in visita «ad limina Apostolorum»; — Ignazio Zambito, Vescovo di Patti (Italia), in visita «ad limina Apostolorum»; — Paolo Urso, Vescovo di Ragusa (Italia), in visita «ad limina Apostolorum»; — Salvatore Muratore, Vescovo di Nicosia (Italia), in visita «ad limina Apostolorum»; — Antonio Staglianò, Vescovo di Noto (Italia), in visita «ad limina Apostolorum»; — Calogero Peri, Vescovo di Caltagirone (Italia), in visita «ad limina Apostolorum»; — Antonino Raspanti, Vescovo di Acireale (Italia), in visita «ad limina Apostolorum». In data 18 maggio, il Santo Padre ha accettato la rinuncia al governo pastorale dell’Arcidiocesi di Singapore, presentata dall’Eccellentissimo Monsignore Nicholas Chia Yeck Joo, in conformità al canone 401 § 1 del Codice di Diritto Canonico. Gli succede Sua Eccellenza Reverendissima Monsignor William Goh, Coadiutore della medesima Arcidiocesi. L’OSSERVATORE ROMANO pagina 2 lunedì-martedì 20-21 maggio 2013 Verso il vertice di Bruxelles Il governatore della Banca d’Inghilterra King punta il dito contro la finanza continentale L’Europa serra i ranghi nella lotta contro l’evasione fiscale Per la Gran Bretagna il vero rischio è l’eurozona BRUXELLES, 20. Il problema dell’evasione fiscale sarà uno dei temi chiave del prossimo vertice europeo in programma mercoledì a Bruxelles. Dopo che Austria e Lussemburgo hanno dimostrato maggiore disponibilità al dialogo, la strada sembra spianata verso un accordo globale sulla trasparenza e sullo scambio automatico dei dati. Da tempo Bruxelles preme per una maggiore integrazione nella lotta ai paradisi fiscali. A far sperare in sviluppi positivi è una bozza delle conclusioni del vertice anticipata da Bloomberg, nella quale, oltre a indicare che «sarà data priorità agli sforzi per estendere lo scambio automatico di informazioni a livello Ue e globale», si prefigura una posizione più morbida su questo tema da parte di Austria e Lussemburgo. Finora i due Paesi non si erano mostrati disponibili all’attuazione di un network informativo, che dovrebbe comunque prevedere un periodo «di transizione». Lo scenario non appariva così ottimistico dopo l’ultimo vertice dell’Ecofin, con Vienna e il Gran Ducato a frenare di fronte alla proposta di un gruppo di Paesi (l’Italia insieme a Francia, Germania, Spagna e Gran Bretagna) di chiedere a Bruxelles un sistema antievasione più stringente, simile a quello americano. Nonostante le aperture, tuttavia, il vertice Ue resta in salita: le divergenze e gli attriti sulla materia fiscale sono ancora tanti, troppi forse per garantire un successo a tutto tondo. Un passo in avanti decisivo potrebbe arrivare dalla Svizzera. Secondo il quotidiano elvetico «Les temps», l’associazione delle banche elvetiche sarebbe pronta ad aprirsi alla diffusione di dati e informazioni sui conti correnti cifrati dopo “l’assedio” cui gli istituti di credito sono stati sottoposti sia da parte degli Stati Uniti sia da parte dell’Unione europa. Da segnalare anche il rinnovato impegno di Londra. Il premier britannico, David Cameron, ha rivolto un appello ai leader di dieci territori d’oltremare o dipendenze della Corona britannica, a collaborare per combattere l’evasione fiscale. In particolare, in una lettera Cameron ha fatto riferimento al «delica- LONDRA, 20. Il maggior rischio per la ripresa economica della Gran Bretagna è la debolezza dell’eurozona. La diagnosi senza appello arriva direttamente dal cuore della finanza d’oltre Manica: il governatore della Banca d’Inghilterra, Mervyn King. In un’intervista a Bloomenberg King ha detto che sarebbe necessario «un piano per la crescita di medio termine» per rimettere in carreggiata l’economia britannica. Inoltre, nei prossimi due anni, ha aggiunto, dovrebbe esserci una ripresa della produzione di petrolio nel Mare del Nord. L’Europa — ha poi sottolineato il governatore della banca d’Inghilterra — ha bisogno «in primo luogo di un piano credibile a medio termine per riportare le finanze pubbliche in ordine» e in secondo luogo «che si consenta agli stabilizzatori automatici» di avere effetto. «Questi due principi, un piano di medio termine credibile e flessibilità, sono la strada giusta da percorrere» ha detto King. Dal canto suo, la Gran Bretagna deve fronteggiare in questo momento, come tutto il resto dell’Unione europea, una gravissima crisi economica. Secondo l’istituto nazionale di statistica, nel primo trimestre il tasso di disoccupazione è salito al 7,8 per cento, ovvero un totale di due milioni e 520.000 di senza lavoro. to tema dello scambio di informazioni sui residenti di quei territori che grazie allo status di residenti usufruiscono della bassa imposizione fiscale locale su redditi che invece sono stati generati altrove». Come sapete — scrive Cameron — «la lotta contro il flagello dell’evasione fiscale è una delle priorità del vertice del G8 che la Gran Bretagna ospiterà il prossimo giugno»; a un mese da questo evento, «bisogna fare ordine intanto in casa nostra: chiedo a tutti i territori d’oltremare e a tutti i territori della Corona di proseguire la loro collaborazione con la Gran Bretagna su due temi delicati, e cioè lo scambio di informazioni fiscali e le leggi sull’usufrutto». La lettera è stata inviata ai leader delle Bermuda, Isole Vergini britanniche, Isole Cayman, Gibilterra, Anguilla, Montserrat, Isole Turks e Caicos, Jersey, Guernesey e Isola di Man. All’inizio di maggio Stati Uniti, Gran Bretagna e Australia hanno lanciato una campagna comune contro l’evasione fiscale con un’inchiesta su enormi conti bancari segreti, che ha preso le mosse da una fuga di informazioni provenienti dai paradisi fiscali. I tre Paesi hanno detto di aver condiviso soprattutto dati su conti nascosti a Singapore, nelle Isole Vergini britanniche, Isole Cayman e Isole Cook. L’OSSERVATORE ROMANO GIORNALE QUOTIDIANO Unicuique suum POLITICO RELIGIOSO Non praevalebunt 00120 Città del Vaticano [email protected] http://www.osservatoreromano.va PARIGI, 20. Il presidente della Banca centrale tedesca, la Bundesbank, Jens Weidmann, si oppone all’ipotesi di concedere più tempo alla Francia per mettere a posto i suoi conti. «La credibilità delle nuove regole non sarà rafforzata se si deroga dai principi concedendo flessibilità» ha spiegato Weidmann in un’intervista a un quotidiano tedesco. La Francia ha una responsabilità particolare nella zona euro «e deve prendere sul serio le nuove regole sulla riduzione del disavanzo disposte l’anno scorso» ha aggiunto Weidmann. La Commissione europea ha concesso due anni, fino al 2015, a Spagna e Francia per raggiungere gli obiettivi di riduzione del deficit al tre per cento del pil, come stabilito dai Trattati. Secondo l’Eliseo, l’economia francese, attualmente in recessione tecnica, potrebbe tornare a crescere nel secondo semestre dell’anno. Il ministro delle Finanze, Pierre Moscovici, si è detto fiducioso circa il calo del tasso di disoccupazione entro la fine del 2013. Mercoledì scorso — come riferisce l’agenzia di stampa Ansa — i dati dell’istituto di statistica Insee hanno evidenziato un calo del prodotto interno lordo dello 0,2 per cento nel primo trimestre, dopo una simile contrazione nel quarto trimestre del 2012. Il governatore della Banca d’Inghilterra Mervyn King (Reuters) Secondo l’ultimo rapporto dell’agenzia federale del lavoro Rappresentano oltre un decimo del prodotto interno lordo Piena occupazione in Germania per i laureati Le rimesse dei migranti cruciali nei Paesi asiatici Ballottaggi alle elezioni amministrative in Croazia ZAGABRIA, 20. A quaranta giorni dalla adesione all’Ue la Croazia si è recata ieri alle urne per le amministrative, considerate dagli analisti un importante test per la tenuta del Governo di centrosinistra. Bassa la partecipazione al voto per il rinnovo dei 555 consigli comunali e ventuno provinciali e l’elezione diretta di altrettanti sindaci e presidenti di provincia. I primi risultati mostrano un esito incerto, con le sfide tra le varie coalizioni rinviate al ballottaggio del 2 giugno. A Zagabria, il sindaco uscente, Milan Bandić, ex socialdemocratico e ora indipendente, va al secondo turno con un notevole vantaggio sullo sfidante, il ministro della Sanità, Rajko Ostojić, candidato del Partito socialdemocratico (Sdp) del primo ministro, Zoran Milanović. Gli exit poll danno Bandić al 44 per cento, contro il 25 per cento di Ostojić. A Spalato, capoluogo della Dalmazia, è previsto un testa a testa tra il candidato dell’Spd e quello dell’Unione democratica croata (conservatori), mentre esce di scena il sindaco Željko Kerum, che si è piazzato solo terzo con il 16 per cento dei voti. A Rijeka, invece, dovrebbero essere riconfermati i socialdemocratici, che governano la città adriatica dal 1990. Berlino non concede più tempo a Parigi Il cancelliere tedesco Angela Merkel (Afp) BERLINO, 20. In Germania si è arrivati in pratica alla piena occupazione per i laureati, secondo i dati raccolti dall’agenzia federale del lavoro e pubblicati durante il fine settimana dalla «Frankfurter Allgeimene Zeitung». Tra il 2001 e il 2011 hanno trovato lavoro 2,5 milioni di laureati in più rispetto al decennio precedente, con un incremento del 50 per cento, che ha portato il totale a 7,7 milioni. La disoccupazione tra i possessori di una laurea è di circa il 2,5 per cento. Il quotidiano tedesco ricorda che questo, secondo le normali definizioni macroeconomiche, corrisponde alla piena occupazione. Il dato è comunque ulteriormente migliorato nel 2012, durante il quale l’agenzia ha registrato 150.000 offerte di lavoro per possessori di una laurea, il 5 per cento in più rispetto al 2011, e le previsioni per il 2013 sono ancora più positive. La crescita occupazionale riguarda ogni tipo di titolo di studio accademico, ma il numero maggiore di occupati laureati sono ingegneri, oltre 700.000. Dal rapporto governativo emerge inoltre che in caso di perdita del posto di lavoro un laureato disoccupato su due deve aspettare meno di tre mesi per trovarne un altro, mentre quelli costretti ad attendere più di un anno per avere di nuovo una busta paga non sono più del 12 per cento. ROMA, 20. Le rimesse dei migranti asiatici hanno un peso economico per i Paesi d’origine superiore di cinque volte a quello del totale degli aiuti allo sviluppo. È quanto emerge dal rapporto «Sending money home to Asia» (mandiamo i soldi a casa in Asia) redatto dal Fondo internazionale per lo sviluppo agricolo (Ifad) e dalla Banca mondiale presentato oggi a Bangkok, dove fino al 23 maggio si terrà il Forum globale sulle rimesse 2013. Secondo il rapporto, in ben nove Paesi le rimesse costituiscono circa il 10 per cento del prodotto interno lordo, con un picco del 50 per cento per quanto riguarda il Tadjkistan. In cifra assoluta, India, Cina, Filippine e Bangladesh sono i Paesi che ricevono il maggior numero di rimesse. Anche perché, nel 2012, il denaro dai migranti asiatici ha rappresentato il 63 per cento dei 450 miliardi di rimesse totali nel mondo. Nel 2012 il flusso totale di tali rimesse inviate alle loro famiglie dagli oltre sessanta milioni di asiatici che lavorano all’estero ha superato il valore di 260 miliardi di dollari, il più alto di sempre. Il rapporto parla di un incredibile potenziale di tali rimesse in tempo di crisi e sarà questo il punto chiave intorno al quale ruoteranno i lavori del Forum. Il documento fornisce una serie di raccomandazioni tese a sfruttare il grande potenziale delle ri- messe, il 40 per cento delle quali va alle popolazioni rurali. Secondo Kevin Cleaver, vicepresidente aggiunto dell’Ifad, occorre agevolare il collegamento tra le persone che ricevono rimesse e le istituzioni finanziarie in modo da creare opportunità di investimento soprattutto nell’agricoltura. Presentando il rapporto, Cleaver ha aggiunto che per migliorare gli effetti delle rimesse andrebbe innanzitutto ridotto il costo del trasferimento del denaro. Per rilanciare gli accordi sulla normalizzazione dei rapporti diplomatici Il ministro degli Esteri tedesco in Serbia e Kosovo BELGRAD O, 20. La condizione principale per ulteriori progressi della Serbia sulla strada verso l’Ue è l’attuazione concreta dell’accordo raggiunto il mese scorso con il Kosovo. Lo ha detto ieri il ministro degli Esteri tedesco, Guido Westerwelle, in visita ufficiale a Belgrado. Il capo della diplomazia tedesca si è detto ottimista sulla concessione alla Serbia di una data d’avvio del negoziato di adesione all’Ue nel consiglio europeo di fine giugno. A patto, ha sottolineato il ministro, di applicare, non necessariamente in una volta sola, ma anche «passo dopo passo», l’accordo sulla normalizzazione dei rapporti con Pristina raggiunto a Bruxelles il 19 aprile scorso, con la mediazione dell’Unione europea. Trattative a livello tecnico fra delegazioni di Serbia e Kosovo sull’applicazione pratica dell’accordo non hanno finora portato ad alcun risultato per le differenti interpretazioni delle due parti, e per questo il capo della diplomazia e alto rappresentante della Politica estera e di sicurezza comune dell’Ue, Catherine Ashton, che fa da mediatore nel negoziato, ha nuovamente convocato i GIOVANNI MARIA VIAN direttore responsabile TIPO GRAFIA VATICANA EDITRICE L’OSSERVATORE ROMANO Carlo Di Cicco don Sergio Pellini S.D.B. vicedirettore Piero Di Domenicantonio caporedattore Gaetano Vallini segretario di redazione direttore generale due premier, Ivica Dačić e Hashim Thaçi, il 21 maggio a Bruxelles. «Noi vogliamo un accordo sui modi di attuazione, ma non possiamo accettare di applicare qualcosa che non è previsto nell’intesa» del 19 aprile, ha spiegato Dacic, riferendosi all’impasse tra Belgrado e Pristina. Il parere della Germania in sede di consiglio europeo è ritenuto fondamentale per la decisione sulla data del negoziato con la Serbia, e per questo la dirigenza di Belgrado tiene molto ai contatti e ai colloqui con i rappresentanti di Berlino. «I nostri due Paesi sono europei, noi e voi Servizio vaticano: [email protected] Servizio internazionale: [email protected] Servizio culturale: [email protected] Servizio religioso: [email protected] Segreteria di redazione telefono 06 698 83461, 06 698 84442 fax 06 698 83675 [email protected] Servizio fotografico: telefono 06 698 84797, fax 06 698 84998 [email protected] www.photo.va siamo parte dell’Europa, e siamo partner paritari. Voglio contribuire a fare in modo che lo storico accordo del 19 aprile venga ora attuato con successo» ha precisato il ministro tedesco, che oggi si recherà anche a Pristina. Prima di trasferirsi in Kosovo, Westerwelle incontrerà il presidente serbo, Tomislav Nikolić, il premier Dačić, e il ministro degli Esteri di Belgrado, Ivan Mrkić. Intanto, è stato confermato che Nikolić incontrerà il 24 maggio a Soci il presidente russo, Vladimir Putin, con il quale firmerà un accordo di partenariato strategico. Tariffe di abbonamento Vaticano e Italia: semestrale € 99; annuale € 198 Europa: € 410; $ 605 Africa, Asia, America Latina: € 450; $ 665 America Nord, Oceania: € 500; $ 740 Ufficio diffusione: telefono 06 698 99470, fax 06 698 82818, [email protected] Ufficio abbonamenti (dalle 8 alle 15.30): telefono 06 698 99480, fax 06 698 85164, [email protected] Necrologie: telefono 06 698 83461, fax 06 698 83675 Napolitano a un anno dal sisma in Emilia Romagna ROMA, 20. A un anno dal terremoto che ha colpito i territori dell’Emilia Romagna, interessando anche la Lombardia e il Veneto, il presidente della Repubblica italiana, Giorgio Napolitano, ha rivolto oggi un messaggio «a quanti hanno subito gravi lutti e ingenti danni personali e materiali». Simili tragedie — si legge nella nota del Quirinale — «infliggono una ferita al Paese intero che si deve ritrovare unito nel dolore e nel ricordo». In tal senso, «desidero rinnovare il mio vivo apprezzamento per l’esempio di forza e di coesione offerto dalle popolazioni nel reagire alla sciagura e il mio ringraziamento ai tanti cittadini che spontaneamente accorsero in aiuto prestando il loro sostegno nei momenti più difficili con generosità e alto senso civico». Nella certezza che «lo stesso spirito continuerà ad animare il processo di ricostruzione», ha concluso il capo dello Stato, «esprimo alle comunità colpite la vicinanza mia e di tutti gli italiani». Napolitano è intervenuto oggi, nell’anniversario dell’uccisione di Massimo D’Antona, anche sulla situazione economica italiana, definendo la crisi attuale «angosciante e drammatica». Concessionaria di pubblicità Il Sole 24 Ore S.p.A System Comunicazione Pubblicitaria Aziende promotrici della diffusione de «L’Osservatore Romano» Intesa San Paolo Alfonso Dell’Erario, direttore generale Romano Ruosi, vicedirettore generale Ospedale Pediatrico Bambino Gesù Sede legale Via Monte Rosa 91, 20149 Milano telefono 02 30221/3003, fax 02 30223214 Società Cattolica di Assicurazione [email protected] Banca Carige Credito Valtellinese lunedì-martedì 20-21 maggio 2013 L’OSSERVATORE ROMANO Cinque autobombe insanguinano Baghdad Violenti combattimenti nella provincia siriana di Homs BAGHDAD, 20. Strage oggi a Baghdad. In alcuni quartieri della capitale irachena sono esplose cinque autobombe. Pesante il bilancio delle vittime: più di quaranta i morti e oltre centosettanta i feriti. Proprio ieri il primo ministro iracheno, Nouri Al Maliki, aveva rivolto un appello alle comunità sciita e sunnita affinché le violenze interconfessionali, che negli ultimi giorni hanno insanguinato l’Iraq, non si ripetano più. Un appello tanto più necessario perché, stando alla recrudescenza delle violenze, lo scenario, già critico, rischia nel prossimo futuro di deteriorarsi. E le violenze non si sono registrate solo a Baghdad. Nella città di Bassora due vetture cariche di esplosivo sono state fatte deflagrare: undici i morti. E tredici persone sono rimaste uccise, a Samarra, in un altro attentato dinamitardo. In attacchi compiuti da miliziani contro alcuni posti di blocco sono morti 24 agenti di polizia. Le tensioni interconfessionali sono tornate ad acuirsi dopo la partenza delle ultime truppe statunitensi, nel dicembre 2011. Ma la rivalità tra sciiti e sunniti è sempre stata una costante problematica nella storia del Paese. In più di un’occasione, nel passato, lo stesso presidente statunitense, Barack Obama, ha sottolineato l’esigenza di superare questa rivalità, nell’ottica di un processo di ricostruzione del Paese segnato da anni di conflitto. Negli ultimi mesi le tensioni si sono aggravate quando nelle province a maggioranza sunnita hanno avuto luogo proteste contro le politiche adottate dal premier sciita Al Maliki, giudicate «discriminatorie». Addebito che il primo ministro irachen0 ha respinto al mittente. Distruzioni dopo una battaglia nella provincia di Homs (LaPresse/Ap) DAMASCO, 20. Cresce, secondo indiscrezioni giornalistiche, la tensione tra Siria e Israele. L’esercito di Assad avrebbe puntato i suoi missili su Tel Aviv, che «sarà colpita se ci saranno nuovi raid sul territorio siriano». Israele ha ribadito che «farà tutto il possibile» per impedire il trasferimento di armi ai miliziani di Hezbollah, il movimento sciita libanese. Sono state fonti della stampa internazionale a rivelare il dispiegamento delle batterie di missili siriane, sulla base del monitoraggio satellitare. Nelle scorse settimane Israele aveva lanciato diversi raid per bloccare — come riferiscono le agenzie — convogli di armi al confine tra Siria e Libano. Questa notte colpi d’arma da fuoco provenienti dal territorio siriano hanno raggiunto la parte israeliana delle alture del Golan, senza causare danni né vittime: lo ha reso noto un portavoce dell’esercito israeliano. Intanto, in Siria proseguono i combattimenti: nella regione di Homs le forze governative avrebbero conquistato la cittadina di Qusayr, considerata un punto strategico perché collega la capitale alle regioni costiere. Il bilancio parla al momento di almeno 58 morti e di circa seicento feriti, secondo gli attivisti. Fonti di stampa riferiscono di numerose vittime anche tra le forze governative e tra gli Hezbollah libanesi. Sul piano politico il presidente Assad in una recente intervista ha dichiarato che «rinunciare sarebbe fuggire», sottolineando che il futuro del Il premier Li Keqiang in visita a New Delhi India e Cina per un’intesa strategica NEW DELHI, 20. Il primo ministro cinese, Li Keqiang, è giunto ieri a New Delhi, per la sua prima visita all’estero. Il tour comprende anche il Pakistan, la Svizzera e la Germania. Il premier ha definito «produttivi» i primi colloqui avuti ieri sera con il collega indiano Manmohn Singh. In dichiarazioni alla stampa, oggi, Li Keqiang ha poi fatto indirettamente riferimento a divergenze frontaliere indo-cinesi nella regione del Ladakh: a tale riguardo, ha detto che i due Paesi «stanno cercando di accrescere la fiducia reciproca strategica». Il primo ministro cinese ha quindi sostenuto che «lo sviluppo e la prosperità del mondo non Attentato suicida nel nord dell’Afghanistan KABUL, 20. I talebani non abbassano la guardia e le violenze continuano a segnare il territorio afghano. Oggi un attentatore suicida si è fatto esplodere all’ingresso della sede del Governo della provincia di Baghlan, nel nord, causando la morte di undici persone: tra le vittime figura il presidente del consiglio provinciale, Mohammad Rasul Mohsini. Secondo una prima ricostruzione dell’accaduto, l’attentatore suicida, che vestiva un’uniforme della polizia, si è avvicinato a piedi al gruppo di persone che accompagnava il presidente del Consiglio provinciale e si è fatto poi esplodere fra le sue guardie del corpo. Subito dopo l’attentato il presidente afghano, Hamid Karzai, ha diffuso un comunicato in cui ha espresso ferma condanna, ribadendo la determinazione a combattere contro coloro che vogliono minare il processo di ricostruzione del Paese. Lo stesso Karzai, nei giorni scorsi, aveva sottolineato le sfide che attendono l’Afghanistan, anche in vista del completo ritiro del contingente internazionale, entro il 2014. E la sfida maggiore interpella le forze locali che, da sole, dovranno gestire la responsabilità della sicurezza in un territorio che continua a essere segnato da attentati e imboscate. pagina 3 potranno avvenire senza un simultaneo sviluppo di India e Cina». Li Keqiang, alla vigilia, aveva posto l’accento sui tre obiettivi della visita: aumentare la fiducia reciproca, intensificare la cooperazione, affrontare le sfide del futuro. E come rilevano gli analisti, sono obiettivi che facilmente si riassumono in uno solo: rilanciare l’intesa strategica tra Cina e India, nella chiara consapevolezza che i due Paesi sono destinati a svolgere di sempre maggiore peso nello scenario internazionale. Il primo ministro indiano, dal canto suo, si è detto favorevole alla prospettiva di un rafforzamento dei legami con Pechino. E in riferimento alle recenti tensioni frontaliere (le autorità indiane, il 15 aprile scorso, hanno denunciato una presunta infiltrazione dell’esercito cinese in un territorio, nella regione dell’Himalaya, sul quale New Delhi reclama la propria sovranità) Manmohan Singh ha auspicato che eventuali frizioni siano appianate in breve tempo. A tale proposito, il premier indiano ha detto che nel prossimo futuro saranno organizzati incontri tra le autorità competenti dei due Paesi con l’obiettivo di raggiungere Il presidente del Myanmar da Obama WASHINGTON, 20. A conferma dell’ulteriore avvicinamento tra Stati Uniti e Myanmar, il presidente del Paese asiatico, Thein Sein, sarà ricevuto oggi alla Casa Bianca da Barack Obama. La visita di Thein — che negli ultimi anni ha avviato una serie di riforme democratiche, ordinando anche la scarcerazione di numerosi detenuti politici — è la prima di un leader della Nazione del sud est asiatico dal 1966 e segue quella fatta da Obama a Naypyidaw nel novembre dello scorso anno. In agenda ci sarà la situazione in Myanmar e i suoi sforzi per sviluppare un sistema democratico alla luce anche delle tensioni etniche interne. Sia l’Ue che gli Stati Uniti hanno di recente rimosso le sanzioni economiche imposte al Governo del Myanmar, aprendo quindi una nuova fase nelle relazioni politiche e commerciali con Naypyidaw. uno stabile accordo su possibili contenziosi. Il primo ministro cinese, riferisce la France Presse, ha detto che, in un quadro di rispetto e fiducia reciproci, i due Paesi pensano sia opportuno migliorare «i meccanismi di politica frontaliera» così da garantire nelle zone cosiddette sensibili un clima di pace e tranquillità. E per l’India l’azione diplomatica, in questi giorni, non si limita alla Cina. Nel Paese è giunto anche il presidente afghano, Hamid Karzai. Obiettivo della sua missione, segnala l’agenzia Reuters, è di rafforzare l’intesa con New Delhi anzitutto sul piano militare. E ciò proprio mentre tra Afghanistan e Islamabad si sono riaccese forti tensioni al confine. In un comunicato diffuso dall’ufficio di presidenza afghano si afferma che Kabul punta a un rilancio dei rapporti con l’India allo scopo di favorire lo sviluppo di equilibrate dinamiche a beneficio dell’intera area. Nel 2011 New Delhi e Kabul hanno firmato un’intesa di partnership, che prevede, tra l’altro, corsi di formazione per le unità afghane in vista del ritiro del contingente internazionale dal Paese entro il 2014. popolo siriano sarà deciso nelle elezioni presidenziali del 2014. Il presidente si è poi mostrato scettico sulla possibilità che la conferenza internazionale progettata da Stati Uniti e Russia possa dare frutti. «Credere che una conferenza possa fermare il terrorismo sul terreno è irrealistico». I ribelli — ha aggiunto il presidente siriano — non sono un’entità politica compatta, ma «gruppi diversi, e non sono decine ma centinaia». Del progetto di conferenza internazionale che si dovrebbe svolgere sotto l’egida dell’Onu a Ginevra discuteranno i ministri degli Esteri della Lega araba in un vertice di emergenza che si terrà giovedì 23 maggio a Doha. La riunione si terrà dopo l’incontro del gruppo “Amici della Siria” in Giordania. Forti tensioni segnano il clima politico in Pakistan ISLAMABAD, 20. Forti tensioni stanno caratterizzando il clima politico in Pakistan, dopo le elezioni legislative svoltesi l’11 maggio. Il leader del partito Pakistan Tehreek-i-Insaf (Pti), l’ex campione di cricket Imran Khan, ha accusato ieri il partito Mutthida Quami Movement (Mqm) di essere responsabile dell’omicidio del suo vice. Zahra Shadid Hussain, 59 anni, è stata uccisa da tre uomini armati davanti alla sua casa dopo che il suo partito aveva chiesto la ripetizione del voto in 43 distretti dove erano state denunciate numerose irregolarità. Khan, citato dalle agenzie di stampa internazionali, ha dichiarato: «Ritengo Altaf Hussain, leader del movimento Mqm, direttamente responsabile dell’assassinio, dal momento che aveva minacciato il Pti e i suoi leader». Intanto, la polizia pakistana ha aperto un’inchiesta per stabilire se la matrice dell’omicidio è politica o imputabile alla criminalità comune. IL CAIRO, 20. Un gruppo di uomini armati ha attaccato all’alba una base delle forze di sicurezza egiziane nella penisola del Sinai. Lo riferiscono fonti della sicurezza citate dalla televisione satellitare Al Jazeera, secondo le quali i militari della base di Al Ahrash, nel nord del Sinai, hanno risposto al fuoco. Il lungo scontro si è concluso solo con il ritiro degli aggressori, probabilmente legati ai gruppi militanti islamici. In base a un primo bilancio, non si contano vittime. «Un atto ingiustificato»: così un portavoce di Hamas ha qualificato la chiusura del valico di Rafah, fra il Sinai e la Striscia di Gaza, imposta venerdì dalle autorità egiziane che hanno chiuso ieri, nella stessa zona, anche il valico commerciale Auja. Queste misure sono giunte dopo il rapimento di sette militari egiziani nel Sinai settentrionale, a quanto pare da fondamentalisti islamici, e nel timore che gli ostaggi possano essere trasferiti verso Gaza. Come riferisce l’agenzia di stampa Ansa, il portavoce di Hamas, Sami Abu Zuhri, ha fatto appello all’Egitto affinché torni ad autorizzare il transito di persone e merci fra la Striscia di Gaza e il Sinai. «I problemi interni dell’Egitto — ha precisato — vanno risolti in una maniera diversa, e non a scapito del popolo palestinese». Il valico di Rafah, precisano fonti locali, resta chiuso anche oggi. Secondo Hamas questo stato di cose ha ripercussioni gravi in modo particolare per quegli abitanti della Striscia di Gaza che contavano di ricevere cure mediche in Egitto. Offensiva dell’esercito contro Boko Haram Scontri nel nord est nigeriano ABUJA, 20. Altri morti nel fine settimana nel nord est della Nigeria. Gli scontri sono avvenuti nei tre Stati — Borno, Yobe e Adamawa, — dove la settimana scorsa il presidente Good Luck Jonathan aveva proclamato lo stato d’emergenza. Esercito e aviazione proseguono le operazioni contro i miliziani di Boko Haram, il gruppo di matrice fondamentalista autore nell’ultimo quadriennio di attentati e attacchi armati che hanno provocato oltre tremila morti. Particolarmente preoccupante è la situazione a Maiduguri, la capitale del Borno dove l’esercito ha imposto il coprifuoco totale e sta effettuando perquisizioni casa per casa. A Maiduguri, secondo fonti militari, sono stati ingaggiati scontri armati che tra sabato e domenica hanno portato all’uccisione di 24 militanti del gruppo islamista e all’arresto di altri 85. I portavoce dell’esercito hanno altresì comunicato che tra i soldati ci sono stati tre morti e sette feriti. Fonti locali citate dalle agenzie di stampa internazionali ri- Ban Ki-moon condanna la provocazione nordcoreana Pyongyang lancia altri missili PYONGYANG, 20. La Corea del Nord ha lanciato oggi un ulteriore missile a corto raggio dalla costa orientale, e finito nel mar del Giappone, mostrando segnali di attività militare per il terzo giorno di fila con un totale di 5 vettori testati. Sabato il regime comunista di Pyongyang ha lanciato tre missili a corto raggio e ieri ne ha testato un altro. «Siamo molto preoccupati per questo atto provocatorio della Corea del Nord. Mi auguro che Pyongyang si astenga dal continuare con questo genere di azioni», ha dichiarato ieri il segretario generale dell’Onu, Ban Kimoon dopo un incontro a Soci con il presidente russo Vladimir Putin. «È tempo di riprendere il dialogo e di placare le tensioni. Le Nazioni Unite sono pronte a fare la loro parte», ha aggiunto auspicando che la «la Russia utilizzi i suoi contatti per abbassare la tensione e rafforzare il dialogo con la Corea del Nord». Gruppo armato attacca nel Sinai le forze di sicurezza egiziane Missili nordcoreani lanciati dalla costa orientale (Afp) feriscono che la popolazione della città, chiusa in casa, teme ora la penuria alimentare. Sembrano cioè avere conferma i timori espressi da diversi osservatori dopo l’annuncio dello stato d’emergenza e il via libera dato all’esercito sulle conseguenze che l’operazione è destinata ad avere sulle popolazioni civili. Tra l’ altro, diversi soggetti internazionali ritengono attendibili le denunce secondo le quali le forze di sicurezza nigeriane stanno commettendo gravi violazioni dei diritti umani nel corso dell’offensiva contro i ribelli. Si riaccendono le violenze nel Burundi BUJUMBURA, 20. Nelle complesse e intricate crisi della regione dei Grandi Laghi, la violenza torna a colpire anche il Burundi, dove sabato tre civili sono stati uccisi e una decina sono stati feriti in un’imboscata contro un autobus nei pressi di Gatumba, a una decina di chilometri a nord della capitale Bujumbura. Alcuni sopravvissuti hanno raccontato a fonti di stampa locali che autori dell’agguato sono stati una quindicina di uomini pesantemente armati. Secondo testimoni citati dal sito d’informazione indipendente Iwacu, si trattava di ribelli delle Forze nazionali di liberazione (Fnl), il gruppo guidato da Agathon Rwasa, passato alla clandestinità più di due anni fa, dopo le contestate elezioni del 2010, vinte dal presidente Pierre Nkurunziza e da allora spostatosi oltre frontiera, nella Repubblica Democratica del Congo. Tale versione è stata poi confermata da fonti di polizia che hanno attribuito l’assalto — il primo del genere da più di un anno, dopo che nei mesi precedenti c’erano stati più di quattrocento morti — a un gruppuscolo di ribelli arrivati appunto dal territorio congolese, dove avrebbero ripiegato dopo il sanguinoso agguato. pagina 4 L’OSSERVATORE ROMANO lunedì-martedì 20-21 maggio 2013 lunedì-martedì 20-21 maggio 2013 pagina 5 La veglia di preghiera presieduta da Papa Francesco in piazza San Pietro in occasione della Giornata dei movimenti, delle nuove comunità, delle associazioni e delle aggregazioni laicali per l’Anno della fede Una Chiesa che va incontro a tutti Pubblichiamo il testo del discorso pronunciato da Papa Francesco in risposta a quattro domande rivoltegli durante la veglia di Pentecoste presieduta in piazza San Pietro sabato sera, 18 maggio. Buonasera a tutti! Sono contento di incontrarvi e che tutti noi ci incontriamo in questa piazza per pregare, per essere uniti e per aspettare il dono dello Spirito. Io conoscevo le vostre domande e ci ho pensato — questo, quindi, non è senza conoscenza! Primo, la verità! Le ho qui, scritte. La prima — «come lei ha potuto raggiungere nella sua vita la certezza sulla fede; e quale strada ci indica perché ciascuno di noi possa vincere la fragilità della fede?» — è una domanda storica, perché riguarda la mia storia, la storia della mia vita! Io ho avuto la grazia di crescere in una famiglia in cui la fede si viveva in modo semplice e concreto; ma è stata soprattutto mia nonna, la mamma di mio padre, che ha segnato il mio cammino di fede. Era una donna che ci spiegava, ci parlava di Gesù, ci insegnava il Catechismo. Ricordo sempre che il Venerdì Santo ci portava, la sera, alla processione delle candele, e alla fine di questa processione arrivava il «Cristo giacente», e la nonna ci faceva — a noi bambini — inginocchiare e ci diceva: «Guardate, è morto, ma domani risuscita». Ho ricevuto il primo annuncio cristiano proprio da questa donna, da mia nonna! È bellissimo, questo! Il primo annuncio in casa, con la famiglia! E questo mi fa pensare all’amore di tante mamme e di tante nonne nella trasmissione della fede. Sono loro che trasmettono la fede. Questo avveniva anche nei primi tempi, perché san Paolo diceva a Timoteo: «Io ricordo la fede della tua mamma e della tua nonna» (cfr. 2Tm 1, 5). Tutte le mamme che sono qui, tutte le nonne, pensate a questo! Trasmettere la fede. Perché Dio ci mette accanto delle persone che aiutano il nostro cammino di fede. Noi non troviamo la fede nell’astratto; no! È sempre una persona che predica, che ci dice chi è Gesù, che ci trasmette la fede, ci dà il primo annuncio. E così è stata la prima esperienza di fede che ho avuto. Ma c’è un giorno per me molto importante: il 21 settembre del ’53. Avevo quasi 17 anni. Era il «Giorno dello studente», per noi il giorno della Primavera — da voi è il giorno dell’Autunno. Prima di andare alla festa, sono passato nella parrocchia dove andavo, ho trovato un prete, che non conoscevo, e ho sentito la necessità di confessarmi. Questa è stata per me un’esperienza di incontro: ho trovato che qualcuno mi aspettava. Ma non so cosa sia successo, non ricordo, non so proprio perché fosse quel prete là, che non conoscevo, perché avessi sentito questa voglia di confessarmi, ma la verità è che qualcuno m’aspettava. Mi stava aspettando da tempo. Dopo la Confessione ho sentito che qualcosa era cambiato. Io non ero lo stesso. Avevo sentito proprio come una voce, una chiamata: ero convinto che dovessi diventare sacerdote. Questa esperienza nella fede è importante. Noi diciamo che dobbiamo cercare Dio, andare da Lui a chiedere perdono, ma quando noi andiamo, Lui ci aspetta, Lui è prima! Noi, in spagnolo, abbiamo una parola che spiega bene questo: «Il Signore sempre ci primerea», è primo, ci sta aspettando! E questa è proprio una grazia grande: trovare uno che ti sta aspettando. Tu vai peccatore, ma Lui ti sta aspettando per perdonarti. Questa è l’esperienza che i Profeti di Israele descrivevano dicendo che il Signore è come il fiore di mandorlo, il primo fiore della Primavera (cfr. Ger 1, 11-12). Prima che vengano gli altri fiori, c’è lui: lui che aspetta. Il Signore ci aspetta. E quando noi Lo cerchiamo, troviamo questa realtà: che è Lui ad aspettarci per accoglierci, per darci il suo amore. E questo ti porta nel cuore uno stupore tale che non lo credi, e così va crescendo la fede! Con l’incontro con una persona, con l’incontro con il Signore. Qualcuno dirà: «No, io preferisco studiare la fede nei libri!». È importante studiarla, ma, guarda, questo solo non basta! L’importante è l’incontro con Gesù, l’incontro con Lui, e questo ti dà la fede, perché è proprio Lui che te la dà! Anche voi parlavate della fragilità della fede, come si fa per vincerla. Il nemico più grande che ha la fragilità — è curioso, eh? — è la paura. Ma non abbiate paura! Siamo fragili, e lo sappiamo. Ma Lui è più forte! Se tu vai con Lui, non c’è problema! Un bam- bino è fragilissimo — ne ho visti tanti, oggi —, ma era con il papà, con la mamma: è al sicuro! Con il Signore siamo sicuri. La fede cresce con il Signore, proprio dalla mano del Signore; questo ci fa crescere e ci rende forti. Ma se noi pensiamo di poterci arrangiare da soli... Pensiamo che cosa è successo a Pietro: «Signore, io mai ti rinnegherò!» (cfr. Mt 26, 33-35); e poi ha cantato il gallo e l’aveva rinnegato per tre volte! (cfr. vv. 69-75). Pensiamo: quando noi abbiamo troppa fiducia in noi stessi, siamo più fragili, più fragili. Sempre con il Signore! E dire con il Signore significa dire con l’Eucaristia, con la Bibbia, con la preghiera... ma anche in famiglia, anche con la mamma, anche con lei, perché lei è quella che ci porta al Signore; è la madre, è quella che sa tutto. Quindi pregare anche la Madonna e chiederle che, come mamma, mi faccia forte. Questo è quello che io penso sulla fragilità, almeno è la mia esperienza. Una cosa che mi rende forte tutti i giorni è pregare il Rosario alla Madonna. Io sento una forza tanto grande perché vado da lei e mi sento forte. Passiamo alla seconda domanda. «Penso che tutti noi qui presenti sentiamo fortemente la sfida, la sfida della evangelizzazione, che è al cuore delle nostre esperienze. Per questo vorrei chiedere a Lei, Padre Santo, di aiutare me e tutti noi a capire come vivere questa sfida nel nostro tempo, qual è per lei la cosa più importante cui tutti noi movimenti, associazioni e comunità dobbiamo guardare per attuare il compito cui siamo chiamati. Come possiamo comunicare in modo efficace la fede di oggi?». Dirò soltanto tre parole. La prima: Gesù. Chi è la cosa più importante? Gesù. Se noi andiamo avanti con l’organizzazione, con al- tre cose, con belle cose, ma senza Gesù, non andiamo avanti, la cosa non va. Gesù è più importante. Adesso, vorrei fare un piccolo rimprovero, ma fraternamente, tra noi. Tutti voi avete gridato nella piazza «Francesco, Francesco, Papa Francesco». Ma, Gesù dov’era? Io avrei voluto che voi gridaste: «Gesù, Gesù è il Signore, ed è proprio in mezzo a noi!». Da qui in avanti, niente «Francesco», ma «Gesù»! La seconda parola è: la preghiera. Guardare il volto di Dio, ma soprattutto — e questo è collegato con quello che ho detto prima — sentirsi guardati. Il Signore ci guarda: ci guarda prima. La mia esperienza è ciò che sperimento davanti al sagrario [Tabernacolo] quando vado a pregare, la sera, davanti al Signore. Alcune volte mi addormento un pochettino; questo è vero, perché un po’ la stanchezza della giornata ti fa addormentare. Ma Lui mi capisce. E sento tanto conforto quando penso che Lui mi guarda. Noi pensiamo che dobbiamo pregare, parlare, parlare, parlare... No! Làsciati guardare dal Signore. Quando Lui ci guarda, ci dà forza e ci aiuta a testimoniarlo — perché la domanda era sulla testimonianza della fede, no? Primo «Gesù», poi «preghiera» — sentiamo che Dio ci sta tenendo per mano. Sottolineo allora l’importanza di questo: lasciarsi guidare da Lui. Questo è più importante di qualsiasi calcolo. Siamo veri evangelizzatori lasciandoci guidare da Lui. Pensiamo a Pietro; forse stava facendo la siesta, dopo pranzo, e ha avuto una visione, la visione della tovaglia con tutti gli animali, e ha sentito che Gesù gli diceva qualcosa, ma lui non capiva. In quel momento, sono venuti alcuni non-ebrei a chiamarlo per andare in una casa, e ha visto come lo Spirito Santo era laggiù. Pietro si è lasciato guidare da Gesù per giungere a quella prima evange- lizzazione ai gentili, che non erano ebrei: una cosa inimmaginabile in quel tempo (cfr. At 10, 9-33). E così, tutta la storia, tutta la storia! Lasciarsi guidare da Gesù. È proprio il leader; il nostro leader è Gesù. E terza: la testimonianza. Gesù, preghiera — la preghiera, quel lasciarsi guidare da Lui — e poi testimonianza. Ma vorrei aggiungere qualcosa. Questo lasciarsi guidare da Gesù ti porta alle sorprese di Gesù. Si può pensare che l’evangelizzazione dobbiamo programmarla a tavolino, pensando alle strategie, facendo dei piani. Ma questi sono strumenti, piccoli strumenti. L’importante è Gesù e lasciarsi guidare da Lui. Poi possiamo fare le strategie, ma questo è secondario. Infine, la testimonianza: la comunicazione della fede si può fare soltanto con la testimonianza, e questo è l’amore. Non con le nostre idee, ma con il Vangelo vissuto nella propria esistenza e che lo Spirito Santo fa vivere dentro di noi. È come una sinergia fra noi e lo Spirito Santo, e questo conduce alla testimonianza. La Chiesa la portano avanti i Santi, che sono proprio coloro che danno questa testimonianza. Come ha detto Giovanni Paolo II e anche Benedetto XVI, il mondo di oggi ha tanto bisogno di testimoni. Non tanto di maestri, ma di testimoni. Non parlare tanto, ma parlare con tutta la vita: la coerenza di vita, proprio la coerenza di vita! Una coerenza di vita che è vivere il cristianesimo come un incontro con Gesù che mi porta agli altri e non come un fatto sociale. Socialmente siamo così, siamo cristiani, chiusi in noi. No, questo no! La testimonianza! La terza domanda: «Vorrei chiederle, Padre Santo, come io e tutti noi possiamo vivere una Chiesa povera e per i poveri. In che modo l’uomo sofferente è una domanda per la nostra fede? Noi tutti, come movimenti, associazioni laicali, quale contributo concreto ed efficace possiamo dare alla Chiesa e alla società per affrontare questa grave crisi che tocca l’etica pubblica» — questo è importante! — «il modello di sviluppo, la politica, insomma un nuovo modo di essere uomini e donne?». Riprendo dalla testimonianza. Prima di tutto, vivere il Vangelo è il principale contributo che possiamo dare. La Chiesa non è un movimento politico, né una struttura ben organizzata: non è questo. Noi non siamo una ONG, e quando la Chiesa diventa una ONG perde il sale, non ha sapore, è soltanto una vuota organizzazione. E in questo siate furbi, perché il diavolo ci inganna, perché c’è il pericolo dell’efficientismo. Una cosa è predicare Gesù, un’altra cosa è l’efficacia, essere efficienti. No, quello è un altro valore. Il valore della Chiesa, fondamentalmente, è vivere il Vangelo e dare testimonianza della nostra fede. La Chiesa è sale della terra, è luce del mondo, è chiamata a rendere presente nella società il lievito del Regno di Dio e lo fa prima di tutto con la sua testimonianza, la testimonianza dell’amore fraterno, della solidarietà, della condivisione. Quando si sentono alcuni dire che la solidarietà non è un valore, ma è un «atteggiamento primario» che deve sparire... questo non va! Si sta pensando ad un’efficacia soltanto mondana. I momenti di crisi, come quelli che stiamo vivendo — ma tu hai detto prima che «siamo in un mondo di menzogne» —, questo momento di crisi, stiamo attenti, non consiste in una crisi soltanto economica; non è una crisi culturale. È una crisi dell’uomo: ciò che è in crisi è l’uomo! E ciò che può essere distrutto è l’uomo! Ma l’uomo è immagine di Dio! Per questo è una crisi profonda! In questo momento di crisi non possiamo preoccuparci soltanto di noi stessi, chiuderci nella solitudine, nello scoraggiamento, nel senso di impotenza di fronte ai problemi. Non chiudersi, per favore! Questo è un pericolo: ci chiudiamo nella parrocchia, con gli amici, nel movimento, con coloro con i quali pensiamo le stesse cose... ma sapete che cosa succede? Quando la Chiesa diventa chiusa, si ammala, si ammala. Pensate ad una stanza chiusa per un anno; quando tu vai, c’è odore di umidità, ci sono tante cose che non vanno. Una Chiesa chiusa è la stessa cosa: è una Chiesa ammalata. La Chiesa deve uscire da se stessa. Dove? Verso le periferie esistenziali, qualsiasi esse siano, ma uscire. Gesù ci dice: «Andate per tutto il mondo! Andate! Predicate! Date testimonianza del Vangelo!» (cfr. Mc 16, 15). Ma che cosa succede se uno esce da se stesso? Può succedere quello che può capitare a tutti quelli che esco- Hanno trasformato piazza San Pietro in «un cenacolo a cielo aperto», gli oltre duecentomila fedeli giunti da ogni latitudine per partecipare sabato sera alla veglia e domenica mattina alla messa in occasione della Giornata dei movimenti, delle nuove comunità, delle associazioni e delle aggregazioni laicali con il Pontefice. Una folla immensa, in rappresentanza di almeno 150 differenti realtà ecclesiali, ha vissuto con il Santo Padre l’appuntamento di Pentecoste organizzato dal Pontificio Consiglio per la promozione della Nuova Evangelizzazione in occasione dell’Anno della fede. A parlare dell’incontro come una grande «festa della fede» è stato lo stesso Papa Francesco quando, al Regina caeli cantato al termine della celebrazione domenicale, si è rivolto ai tantissimi gruppi presenti, salutandoli come «un dono e una ricchezza nella Chiesa». Poco prima l’arcivescovo Rino Fisichella, presidente del dicastero per la nuova evangelizza- zione, prendendo la parola, aveva descritto la Giornata come «un’ulteriore tappa nel cammino iniziato con il Vaticano II» e aveva rinnovato la disponibilità dei movimenti e delle associazioni a impegnarsi nella «grande missione di cui il successore di Pietro ci ha investiti: essere discepoli e missionari del Signore Risorto, perché tutti gli uomini in lui trovino la vita». Preparata dalla recita del rosario, la messa è iniziata con il rito dell’aspersione dell’acqua benedetta. Prima della proclamazione del Vangelo, la Cappella Sistina ha cantato insieme all’assemblea la sequenza Veni, sanctae Spiritus. Le intenzioni della preghiera dei fedeli sono state in portoghese per la Chiesa, in tedesco per i laici e quanti vivono al servizio del Vangelo, in francese per i peccatori, gli increduli e i dubbiosi, in polacco per i ragazzi e i giovani, in swahili per i governanti e gli uomini di buona volontà. A conclusione del rito, dopo aver salutato iniziatori, no di casa e vanno per la strada: un incidente. Ma io vi dico: preferisco mille volte una Chiesa incidentata, incorsa in un incidente, che una Chiesa ammalata per chiusura! Uscite fuori, uscite! Pensate anche a quello che dice l’Apocalisse. Dice una cosa bella: che Gesù è alla porta e chiama, chiama per entrare nel nostro cuore (cfr. Ap 3, 20). Questo è il senso dell’Apocalisse. Ma fatevi questa domanda: quante volte Gesù è dentro e bussa alla porta per uscire, per uscire fuori, e noi non lo lasciamo uscire, per le nostre sicurezze, perché tante volte siamo chiusi in strutture caduche, che servono soltanto per farci schiavi, e non liberi figli di Dio? In questa «uscita» è importante andare all’incontro; questa parola per me è molto importante: l’incontro con gli altri. Perché? Perché la fede è un incontro con Gesù, e noi dobbiamo fare la stessa cosa che fa Gesù: incontrare gli altri. Noi viviamo una cultura dello scontro, una cultura della frammentazione, una cultura in cui quello che non mi serve lo getto via, la cultura dello scarto. Ma su questo punto, vi invito a pensare — ed è parte della crisi — agli anziani, che sono la saggezza di un popolo, ai bambini... la cultura dello scarto! Ma noi dobbiamo andare all’incontro e dobbiamo creare con la nostra fede una «cultura dell’incontro», una cultura dell’amicizia, una cultura dove troviamo fratelli, dove possiamo parlare anche con quelli che non la pensano come noi, anche con quelli che hanno un’altra fede, che non hanno la stessa fede. Tutti hanno qualcosa in comune con noi: sono immagini di Dio, sono figli di Dio. Andare all’incontro con tutti, senza negoziare la nostra appartenenza. E un altro punto è importante: con i poveri. Se usciamo da noi stessi, troviamo la povertà. Oggi — questo fa male al cuore dirlo — oggi, trovare un barbone morto di freddo non è notizia. Oggi è notizia, forse, uno scandalo. Uno scandalo: ah, quello è notizia! Oggi, pensare che tanti bambini non hanno da mangiare non è notizia. Questo è grave, questo è grave! Noi non possiamo restare tranquilli! Mah... le cose sono così. Noi non possiamo diventare cristiani inamidati, quei cristiani troppo educati, che parlano di cose teologiche mentre prendono il tè, tranquilli. No! Noi dobbiamo diventare cristiani coraggiosi e andare a cercare quelli che sono proprio la carne di Cristo, quelli che sono la carne di Cristo! Quando io vado a confessare — ancora non posso, perché per uscire a confessare... di qui non si può uscire, ma questo è un altro problema — quando io andavo a confessare nella diocesi precedente, venivano alcuni e sempre facevo questa domanda: «Ma, lei dà l’elemosina?» — «Sì, padre!». «Ah, bene, bene». E gliene facevo due in più: «Mi dica, quando lei dà l’elemosina, guarda negli occhi quello o quella a cui dà l’elemosina?» — «Ah, non so, non me ne sono accorto». Seconda domanda: «E quando lei dà l’elemosina, tocca la mano di quello al quale dà l’elemosina, o gli getta la moneta?». Questo è il problema: la carne di Cristo, toccare la carne di Cristo, prendere su di noi questo dolore per i poveri. La povertà, per noi cristiani, non è una categoria sociologica o filosofica o culturale: no, è una categoria teologale. Direi, forse la prima categoria, perché quel Dio, il Figlio di Dio, si è abbassato, si è fatto povero per camminare con noi sulla strada. E questa è la nostra povertà: la povertà della carne di Cristo, la povertà che ci ha portato il Figlio di Dio con la sua Incarnazione. Una Chiesa povera per i poveri incomincia con l’andare verso la carne di Cristo. Se noi andiamo verso la carne di Cristo, incominciamo a capire qualcosa, a capire che cosa sia questa povertà, la povertà del Signore. E questo non è facile. Ma c’è un problema che non fa bene ai cristiani: lo spirito del mondo, lo spirito mondano, la mondanità spirituale. Questo ci porta ad una sufficienza, a vivere lo spirito del mondo e non quello di Gesù. La domanda che facevate voi: come si deve vivere per affrontare questa crisi che tocca l’etica pubblica, il modello di sviluppo, la politica. Siccome questa è una crisi dell’uomo, una crisi che distrugge l’uomo, è una crisi che spoglia l’uomo dell’etica. Nella vita pubblica, nella politica, se non c’è l’etica, un’etica di riferimento, tutto è possibile e tutto si può fare. E noi vediamo, quando leggiamo i giornali, come la mancanza di etica nella vita pubblica faccia tanto male all’umanità intera. Vorrei raccontarvi una storia. L’ho fatto già due volte questa settimana, ma lo farò una terza volta con voi. È la storia che racconta un midrash biblico di un Rabbino del secolo XII. Lui narra la storia della costruzione della Torre di Babele e dice che, per costruire la Torre di Babele, era necessario fare i mattoni. Che cosa significa questo? Andare, impastare il fango, portare la paglia, fare tutto... poi, al forno. E quando il mattone era fatto doveva essere portato su, per la costruzione della Torre di Babele. Un mattone era un tesoro, per tutto il lavoro che ci voleva per farlo. Quando cadeva un mattone, era una tragedia nazionale e l’operaio colpevole era punito; era tanto prezioso un mattone che se cadeva era un dramma. Ma se cadeva un operaio, non succedeva niente, era un’altra cosa. Questo succede oggi: se gli investimenti nelle banche calano un po’... tragedia... come si fa? Ma se muoiono di fame le persone, se non hanno da mangiare, se non hanno salute, non fa niente! Questa è la nostra crisi di oggi! E la testimonianza di una Chiesa povera per i poveri va contro questa mentalità. La quarta domanda: «Davanti a queste situazioni, mi pare che il mio confessare, la mia testimonianza sia timida e impacciata. Vorrei fare di più, ma cosa? E come aiutare questi nostri fratelli, come alleviare la loro sofferenza non potendo fare nulla o ben poco per cambiare il loro contesto politico-sociale?». Per annunciare il Vangelo sono necessarie due virtù: il coraggio e la pazienza. Loro [i cristiani che soffrono] sono nella Chiesa della pazienza. Loro soffrono e ci sono più martiri oggi che nei primi secoli della Chiesa; più martiri! Fratelli e sorelle nostri. Soffrono! Loro portano la fede fino al martirio. Ma il martirio non è mai una sconfitta; il martirio è il grado più alto della testimonianza che noi dobbiamo dare. Noi siamo in cammino verso il martirio, dei piccoli martìri: rinunciare a questo, fare questo... ma siamo in cammino. E loro, poveretti, danno la vita, ma la danno — come abbiamo sentito la situazione nel Pakistan — per amore a Gesù, testimoniando Gesù. Un cristiano deve sempre avere questo atteggiamento di mitezza, di umiltà, proprio l’atteggiamento che hanno loro, confidando in Gesù, affidandosi a Gesù. Bisogna precisare che tante volte questi conflitti non hanno un’origine religiosa; spesso ci sono altre cause, di tipo sociale e politico, e purtroppo le appartenenze religiose vengono utilizzate come benzina sul fuoco. Un cristiano deve saper sempre rispondere al male con il bene, anche se spesso è difficile. Noi cerchiamo di far sentire loro, a questi fratelli e sorelle, che siamo profondamente uniti — profondamente uniti! — alla loro situazione, che noi sappiamo che sono cristiani «entrati nella pazienza». Quando Gesù va incontro alla Passione, entra nella pazienza. Loro sono entrati nella pazienza: farlo sapere a loro, ma anche farlo sapere al Signore. Vi pongo la domanda: pregate per questi fratelli e queste sorelle? Voi pregate per loro? Nella preghiera di tutti i giorni? Io non chiederò ora che alzi la mano colui che prega: no. Non lo chiederò, adesso. Ma pensatelo bene. Nella preghiera di tutti i giorni diciamo a Gesù: «Signore, guarda questo fratello, guarda a questa sorella che soffre tanto, che soffre tanto!». Loro fanno l’esperienza del limite, proprio del limite tra la vita e la morte. E anche per noi: questa esperienza deve portarci a promuovere la libertà religiosa per tutti, per tutti! Ogni uomo e ogni donna devono essere liberi nella propria confessione religiosa, qualsiasi essa sia. Perché? Perché quell’uomo e quella donna sono figli di Dio. E così, credo di avere detto qualcosa sulle vostre domande; mi scuso se sono stato troppo lungo. Grazie tante! Grazie a voi, e non dimenticate: niente di una Chiesa chiusa, ma una Chiesa che va fuori, che va alle periferie dell’esistenza. Che il Signore ci guidi laggiù. Grazie. L’omelia della messa di Pentecoste Aperti alle sorprese di Dio «Novità, armonia e missione» sono i tre temi affrontati da Papa Francesco all’omelia della messa di Pentecoste, celebrata sul sagrato della basilica Vaticana domenica mattina, 19 maggio, in occasione della Giornata dei movimenti. Cari fratelli e sorelle, in questo giorno noi contempliamo e riviviamo nella liturgia l’effusione dello Spirito Santo operata da Cristo risorto sulla sua Chiesa; un evento di grazia che ha riempito il cenacolo di Gerusalemme per espandersi nel mondo intero. Ma che cosa avvenne in quel giorno così lontano da noi, eppure così vicino da raggiungere l’intimo del nostro cuore? San Luca ci offre la risposta nel brano degli Atti degli Apostoli che abbiamo ascoltato (2, 1-11). L’evangelista ci riporta a Gerusalemme, al piano superiore della casa nella quale sono riuniti gli Apostoli. Il primo elemento che attira la nostra attenzione è il fragore che improvviso viene dal cielo, «quasi un vento che si abbatte impetuoso» e riempie la casa; poi le «lingue come di fuoco» che si dividevano e si posavano su ciascuno degli Apostoli. Fragore e lingue infuocate sono segni precisi e concreti che toccano gli Apostoli, non solo esteriormente, ma anche nel loro intimo: nella mente e nel cuore. La conseguenza è che «tutti furono colmati di Spirito Santo», il quale sprigiona il suo dinamismo irresistibile, con esiti sorprendenti: «Cominciarono a parlare in altre lingue nel modo in cui lo Spirito dava loro il potere di esprimersi». Si apre allora davanti a noi un quadro del tutto inatteso: una grande folla si raduna ed è piena di meraviglia perché ciascuno sente parlare gli Apostoli nella propria lingua. Tutti fanno un’esperienza nuova, mai accaduta prima: «Li udiamo parlare nelle nostre lingue». E di che cosa parlano? «Delle grandi opere di D io». Alla luce di questo brano degli Atti, vorrei riflettere su tre parole legate all’azione dello Spirito: novità, armonia, missione. La novità ci fa sempre un po’ di paura, perché ci sentiamo più sicuri se abbiamo tutto sotto controllo, se siamo noi a costruire, a programmare, a progettare la nostra vita secondo i nostri schemi, le nostre sicurezze, i nostri gusti. E questo avviene anche con Dio. Spesso lo seguiamo, lo accogliamo, ma fino ad un certo punto; ci è difficile abbandonarci a Lui con piena fiducia, lasciando che sia lo Spirito Santo l’anima, la guida della nostra vita, in tutte le scelte; abbiamo paura che Dio ci faccia percorrere strade nuove, ci faccia uscire dal nostro orizzonte spesso limitato, chiuso, egoista, per aprirci ai suoi orizzonti. Ma, in tutta la storia della salvezza, quando Dio si rivela porta novità — Dio porta sempre novità —, trasforma e chiede di fidarsi totalmente di Lui: Noè costruisce un’arca deriso da tutti e si salva; Abramo lascia la sua terra con in mano solo una promessa; Mosè affronta la potenza del faraone e guida il popolo verso la libertà; gli Apostoli, timorosi e chiusi nel cenacolo, escono con coraggio per annunciare il Vangelo. Non è la novità per la novità, la ricerca del nuovo per superare la noia, come avviene spesso nel nostro tem- Come un grande cenacolo a cielo aperto fondatori e responsabili di alcuni movimenti e i cardinali concelebranti, il Pontefice ha percorso con la jeep la piazza e gran parte di via della Conciliazione, per poi soffermarsi a lungo con i malati e i disabili. Hanno concelebrato 22 porporati, fra i quali i cardinali Re, Saraiva Martins, Tomko e Ruini, che sono saliti con il Papa all’altare al momento della consacrazione; 18 presuli, tra i quali gli arcivescovi Becciu, sostituto, e Fisichella; circa 400 sacerdoti provenienti da diversi Paesi. Era presente il cardinale Lajolo. Ad accompagnare il Pontefice gli arcivescovi Gänswein, prefetto della Casa Pontificia, e Pozzo, elemosiniere, i monsignori Xuereb e Sapienza, reggente della Prefettura della Casa Pontificia, e il medico Polisca. Ha diretto il rito monsignor Marini, maestro delle celebrazioni liturgiche pontificie. Sabato pomeriggio la veglia è stata preceduta da un momento di festa sul tema: «Io credo! Aumenta in noi la fede». L’hanno scandita testimo- nianze, coreografie e musiche. Intanto piazza san Pietro andava riempiendosi sempre più di gente che ha finito con lo strabordare lungo tutta via della Conciliazione. E un lungo tratto di questa strada il Papa ha voluto percorrerlo a bordo della papamobile, girando per più di mezz’ora tra gli striscioni, le bandiere, i foulard, le magliette e i berretti e i palloncini che coloravano l’assemblea. Quando il Papa ha raggiunto il sagrato della basilica Vaticana, la festa ha lasciato il posto al raccoglimento per la veglia di Pentecoste, preceduta dal saluto dell’arcivescovo Fisichella. «L’Anno della fede non poteva fare a meno della loro presenza» ha detto definendoli «evangelizzatori del mondo contemporaneo» e paragonandoli all’apostolo Giovanni all’indomani della Pasqua. «La giovinezza e la freschezza dell’amore — ha spiegato — li fa correre più spediti; ma non corrono da soli. Vanno più veloci di altri discepoli, forse più stanchi e affaticati per il peso degli anni. Sanno comunque che solo insieme e in comunione con tutti l’annunzio è efficace». Dal centro della piazza è poi partita una processione di giovani che hanno recato accanto alla cattedra papale l’icona della Salus populi romani, rimasta anche per la messa domenicale. Il Papa stesso ha guidato l’applauso alla Madonna, prima della proclamazione di un passo del Nuovo Testamento, di un salmo e di un brano del trattato Contro le eresie di sant’Ireneo. Con le testimonianze dello scrittore irlandese John Waters e del medico pakistano Paul Bhatti, fratello del ministro Shahbaz, ucciso nel 2011, la veglia ha vissuto uno dei momenti più toccanti. Il primo ha parlato della propria esperienza di rinascita dopo la caduta nel baratro dell’alcolismo. Il secondo delle persecuzioni subite dai cristiani del suo Paese e della speranza che sopravvive grazie all’impegno di uomini di fede come suo fratello, la cui Bibbia è conservata nella basilica romana di San Bartolomeo all’isola Tiberina. Il clima di condivisione creatosi ha favorito il successivo dialogo del Santo Padre con gli interlocutori scelti per formulargli quattro domande: Martino Feyles, di Comunione e liberazione; Maria Malvarosa, del Rinnovamento nello Spirito Santo; Paola Cardellicchio, della comunità di Sant’Egidio; Margy e Stefano Comazzi, del movimento dei Focolari. Papa Francesco ha parlato per ben 38 minuti. Molti applausi hanno segnato i passi più significativi del discorso, nel quale ha offerto ricordi e confidenze personali, a volte con tono scherzoso, altre di correzione. Come quando ha rivolto ai presenti un piccolo rimprovero per aver invocato il nome di Francesco invece che quello di Gesù. Per questo al termine, mentre venivano liberati in volo alcuni palloncini colorati, a lungo l’assemblea ha scandito il nome di Gesù. Un altro piccolo fuori programma c’è stato alla professione di fede, quando sulla scia emotiva della testimonianza di Bhatti il Papa ha aggiunto al testo liturgico del rinnovo delle promesse battesimali un’ulteriore domanda: «Volete vivere e morire in questa fede?». La risposta è stata un sì echeggiato in tutti i settori della piazza. Accanto a Papa Francesco sedevano gli arcivescovi Fisichella e Gänswein e i monsignori Marini e Xuereb. In posti riservati erano, tra gli altri, i cardinali Ryłko, presidente del Pontificio Consiglio per i Laici, Vallini, vicario di Roma, Tauran, De Giorgi e Sgreccia; alcuni presuli, tra i quali il sostituto Becciu, i segretari dei dicasteri della nuova evangelizzazione, l’arcivescovo Ruiz Arenas, e dei laici, il vescovo Clemens; monsignor Sapienza e il medico Polisca. La veglia si è conclusa con il canto delle intercessioni e la benedizione impartita dal Pontefice ai presenti. po. La novità che Dio porta nella nostra vita è ciò che veramente ci realizza, ciò che ci dona la vera gioia, la vera serenità, perché Dio ci ama e vuole solo il nostro bene. Domandiamoci oggi: siamo aperti alle “sorprese di Dio”? O ci chiudiamo, con paura, alla novità dello Spirito Santo? Siamo coraggiosi per andare per le nuove strade che la novità di Dio ci offre o ci difendiamo, chiusi in strutture caduche che hanno perso la capacità di accoglienza? Ci farà bene farci queste domande durante tutta la giornata. Un secondo pensiero: lo Spirito Santo, apparentemente, sembra creare disordine nella Chiesa, perché porta la diversità dei carismi, dei doni; ma tutto questo invece, sotto la sua azione, è una grande ricchezza, perché lo Spirito Santo è lo Spirito di unità, che non significa uniformità, ma ricondurre il tutto all’armonia. Nella Chiesa l’armonia la fa lo Spirito Santo. Uno dei Padri della Chiesa ha un’espressione che mi piace tanto: lo Spirito Santo “ipse harmonia est”. Lui è proprio l’armonia. Solo Lui può suscitare la diversità, la pluralità, la molteplicità e, nello stesso tempo, operare l’unità. Anche qui, quando siamo noi a voler fare la diversità e ci chiudiamo nei nostri particolarismi, nei nostri esclusivismi, portiamo la divisione; e quando siamo noi a voler fare l’unità secondo i nostri disegni umani, finiamo per portare l’uniformità, l’omologazione. Se invece ci lasciamo guidare dallo Spirito, la ricchezza, la varietà, la diversità non diventano mai conflitto, perché Egli ci spinge a vivere la varietà nella comunione della Chiesa. Il camminare insieme nella Chiesa, guidati dai Pastori, che hanno uno speciale carisma e ministero, è segno dell’azione dello Spirito Santo; l’ecclesialità è una caratteristica fondamentale per ogni cristiano, per ogni comunità, per ogni movimento. È la Chiesa che mi porta Cristo e mi porta a Cristo; i cammini paralleli sono tanto pericolosi! Quando ci si avventura andando oltre (proagon) la dottrina e la Comunità ecclesiale — dice l’Apostolo Giovanni nella sua Seconda Lettera — e non si rimane in esse, non si è uniti al Dio di Gesù Cristo (cfr. 2Gv v. 9). Chiediamoci allora: sono aperto all’armonia dello Spirito Santo, superando ogni esclusivismo? Mi faccio guidare da Lui vivendo nella Chiesa e con la Chiesa? L’ultimo punto. I teologi antichi dicevano: l’anima è una specie di barca a vela, lo Spirito Santo è il vento che soffia nella vela per farla andare avanti, gli impulsi e le spinte del vento sono i doni dello Spirito. Senza la sua spinta, senza la sua grazia, noi non andiamo avanti. Lo Spirito Santo ci fa entrare nel mistero del Dio vivente e ci salva dal pericolo di una Chiesa gnostica e di una Chiesa autoreferenziale, chiusa nel suo recinto; ci spinge ad aprire le porte per uscire, per annunciare e testimoniare la vita buona del Vangelo, per comunicare la gioia della fede, dell’incontro con Cristo. Lo Spirito Santo è l’anima della missione. Quanto avvenuto a Gerusalemme quasi duemila anni fa non è un fatto lontano da noi, è un fatto che ci raggiunge, che si fa esperienza viva in ciascuno di noi. La Pentecoste del cenacolo di Gerusalemme è l’inizio, un inizio che si prolunga. Lo Spirito Santo è il dono per eccellenza di Cristo risorto ai suoi Apostoli, ma Egli vuole che giunga a tutti. Gesù, come abbiamo ascoltato nel Vangelo, dice: «Io pregherò il Pa- dre ed egli vi darà un altro Paràclito perché rimanga con voi per sempre» (Gv 14, 16). È lo Spirito Paràclito, il «Consolatore», che dà il coraggio di percorrere le strade del mondo portando il Vangelo! Lo Spirito Santo ci fa vedere l’orizzonte e ci spinge fino alle periferie esistenziali per annunciare la vita di Gesù Cristo. Chiediamoci se abbiamo la tendenza di chiuderci in noi stessi, nel nostro gruppo, o se lasciamo che lo Spirito Santo ci apra alla missione. Ricordiamo oggi queste tre parole: novità, armonia, missione. La liturgia di oggi è una grande preghiera che la Chiesa con Gesù eleva al Padre, perché rinnovi l’effusione dello Spirito Santo. Ciascuno di noi, ogni gruppo, ogni movimento, nell’armonia della Chiesa, si rivolga al Padre per chiedere questo dono. Anche oggi, come al suo nascere, insieme con Maria la Chiesa invoca: «Veni Sancte Spiritus! — Vieni, Spirito Santo, riempi i cuori dei tuoi fedeli e accendi in essi il fuoco del tuo amore!». Amen. Al Regina caeli Una festa della fede «Una rinnovata Pentecoste». Così Papa Francesco ha definito la «festa della fede» vissuta a Pentecoste, al Regina caeli recitato con i fedeli presenti alla messa di domenica 19. Il Pontefice ha anche ricordato il sisma che un anno fa ha colpito l’Emilia Romagna. Cari fratelli e sorelle, sta per concludersi questa festa della fede, iniziata ieri con la Veglia e culminata stamani nell’Eucaristia. Una rinnovata Pentecoste che ha trasformato Piazza San Pietro in un Cenacolo a cielo aperto. Abbiamo rivissuto l’esperienza della Chiesa nascente, concorde in preghiera con Maria, la Madre di Gesù (cfr. At 1, 14). Anche noi, nella varietà dei carismi, abbiamo sperimentato la bellezza dell’unità, di essere una cosa sola. E questo è opera dello Spirito Santo, che crea sempre nuovamente l’unità nella Chiesa. Vorrei ringraziare tutti i Movimenti, le Associazioni, le Comunità, le Aggregazioni ecclesiali. Siete un dono e una ricchezza nella Chiesa! Questo siete voi! Ringrazio, in modo particolare, tutti voi che siete venuti da Roma e da tante parti del mondo. Portate sempre la forza del Vangelo! Non abbiate paura! Abbiate sempre la gioia e la passione per la comunione nella Chiesa! Il Signore risorto sia sempre con voi e la Madonna vi protegga! Ricordiamo nella preghiera le popolazioni dell’Emilia Romagna che il 20 maggio dell’anno scorso furono colpite dal terremoto. Prego anche per la Federazione Italiana delle Associazioni di Volontariato in Oncologia. Dopo la recita dell’antifona mariana il Papa ha così concluso. Fratelli e sorelle, grazie tante per il vostro amore alla Chiesa! Buona domenica, buona festa e buon pranzo! L’OSSERVATORE ROMANO pagina 6 Messa del Papa a Santa Marta Il 21 maggio 1972 un folle sfregiò a martellate la «Pietà» di Michelangelo a San Pietro La preghiera fa miracoli I miracoli esistono ancora oggi. Ma per consentire al Signore di compierli c’è bisogno di una preghiera coraggiosa, capace di superare quel «qualcosa di incredulità» che alberga nel cuore di ogni uomo, anche se uomo di fede. Una preghiera soprattutto per coloro che soffrono a causa delle guerre, delle persecuzioni e di ogni altro dramma che scuote la società di oggi. Ma la preghiera deve «mettere carne al fuoco», cioè coinvolgere la nostra persona e impegnare tutta la nostra vita, per superare l’incredulità. È questa la raccomandazione affidata da Papa Francesco a quanti hanno partecipato alla messa celebrata la mattina di lunedì 20 maggio, nella cappella della Domus Sanctae Marthae. Nell’omelia il Pontefice ha svolto una riflessione sull’incredulità a partire dal racconto del vangelo di Marco (9, 14-29) su un giovane posseduto dallo spirito maligno e liberato da Cristo. «Non è la prima volta — ha detto il Santo Padre — che Gesù si lamenta dell’incredulità: O generazioni incredule! Tante volte l’ha detto»; e ha sofferto molto per questa incredulità verso le sue parole, il suo messaggio. «Gli volevano bene, la folla andava a salutarlo. Gli volevano bene ma fino a un certo punto. Non rischiavano troppo nella loro fede nei confronti di lui. Non rischiavano. E Gesù soffriva per questo, no? È forte quello che dice oggi: O generazione incredula, fino a quando sarò con voi? Fino a quando dovrò sopportarvi?». Il Papa ha poi notato che Gesù è serio nel suo rimprovero. Anzi, si rivolge deciso ai discepoli e chiede di portare il giovane posseduto davanti a lui. «Prende le cose in mano» e quando «Gesù prende le cose in mano, vanno bene». Ma come si fa perché il Signore prenda le cose in mano? Certo non è facile, proprio perché entra in gioco l’incredulità. «Ma perché questa incredulità?» si è chiesto ancora il Papa. «Tutti vedevano che Gesù faceva dei miracoli, tante cose belle. Le parole di Gesù erano tanto belle e arrivavano al cuore». Ed è proprio una questione di cuore: «Credo — ha infatti detto il vescovo di Roma — che sia proprio il cuore che non si apre, il cuore chiuso, il cuore che vuol avere tutto sotto controllo». Abbiamo «paura di fallire». Il Pontefice ha ricordato in proposito quanto avvenuto la domenica della risurrezione, «quando Gesù viene tra i suoi discepoli nel cenacolo. Luca dice: Era tanta la gioia che non potevano credere. Avevano paura che questa gioia fosse un sogno, fosse una fantasia, che non fosse Gesù...». Tornando all’episodio evangelico, il Santo Padre ha riproposto la domanda dei discepoli che non erano riusciti a scacciare lo spirito maligno dal giovane: «Ma perché noi non abbiamo potuto cacciarlo? Questa specie di demoni, spiega Gesù, non si può cacciare in alcun modo se non con la preghiera». E il padre del fanciullo «ha detto: Credo Signore, aiuta la mia incredulità». La sua è stata «una preghiera forte; e questa preghiera, umile e forte, fa sì che Gesù possa fare il miracolo. La preghiera per chiedere un’azione straordinaria — ha spiegato il Pontefice — deve essere una preghiera che ci coinvolge tutti, come se impegnassimo tutta la nostra vita in quel senso. Nella preghiera bisogna mettere la carne al fuoco». Il Pontefice ha poi raccontato un episodio avvenuto in Argentina: «Mi ricordo una cosa che è successa tre anni fa nel santuario di Luján». Una bambina di sette anni si era ammalata, ma i medici non trovavano la soluzione. Andava peggiorando sempre, sino a quando, una sera, i medici dissero che non c’era più niente da fare e che le rimanevano poche ore di vita. «Il papà, che era un elettricista, un uomo di fede, è diventato come pazzo. E spinto da quella pazzia ha preso il bus ed è andato al santuario di Luján, due ore e mezzo di bus, a settanta chilometri di distanza. È arrivato alle nove di sera e ha trovato tutto chiuso. E lui ha cominciato a pregare con le mani aggrappate al cancello di ferro. Pregava e piangeva. Così è rimasto tutta la notte. Quest’uomo lottava con Dio. Lottava proprio con Dio per la guarigione della sua fanciulla. Poi alle sei di mattina è andato al terminal e ha preso il bus. È arrivato all’ospedale alle nove, più o meno. Ha trovato la moglie che piangeva e ha pensato al peggio: cosa è successo? Non capisco. Cosa è successo? Sono venuti i dottori, gli ha risposto la moglie, e mi hanno detto che la febbre è scomparsa, respira bene, non c’è niente... La terranno ancora solo due giorni. Ma non capiscono quello che è successo. E questo — ha commentato il Papa — succede ancora. I miracoli ci sono. Ma serve la preghiera! Una preghiera coraggiosa, che lotta per arrivare a quel miracolo, non quelle preghiere per cortesia: Ah, io pregherò per te! Poi un Pater Noster, un’Ave Maria e mi dimentico. No! Ci vuole una preghiera coraggiosa, come quella di Abramo che lottava con il Signore per salvare la città; come quella di Mosè che pregava con le mani in alto e si stancava pregando il Signore; come quella di tanta gente che ha fede e con la fede prega, prega». La preghiera fa miracoli, «ma — ha concluso Papa Francesco — dobbiamo crederlo. Io penso che noi possiamo fare una bella preghiera, non una preghiera per cortesia, ma una preghiera con il cuore, e dirgli oggi per tutta la giornata: Credo Signore! Aiuta la mia incredulità. Tutti noi abbiamo nel cuore qualcosa di incredulità. Diciamo al Signore: Credo, credo! Tu puoi! Aiuta la mia incredulità. E quando ci chiedono di pregare per tanta gente che soffre nelle guerre, nelle loro condizioni di rifugiati, in tutti questi drammi preghiamo, ma con il cuore, e diciamo: Signore, fallo. Credo, Signore. Ma aiuta la mia incredulità». Tra i presenti alla messa, un gruppo di dipendenti della Radio Vaticana, guidati dal direttore padre Federico Lombardi, e i dipendenti dell’Ufficio sistemi informatici del Governatorato. lunedì-martedì 20-21 maggio 2013 Perfezione infranta Una giornata di studio ripercorre la storia del restauro del capolavoro di ANTONIO PAOLUCCI Di fronte alla Pietà di San Pietro che Michelangelo firmò nel 1499 a ventiquattro anni, la prima impressione, fulmineamente esatta, è quella registrata da Giorgio Vasari nella prima edizione delle Vite (1550). «È un miracolo che un sasso, da principio senza forma nessuna, si sia mai ridotto a quella perfezione che la natura a fatica suol formare nella carne». Lo stupore di Giorgio Vasari ta, lucente. Ammiriamo lo splendore degli incarnati, il prodigio dei panneggi trattati con infinita perizia e pensiamo, come l’autore delle Vite, che oltre, nell’arte dello scolpire, è impossibile andare. Noi siamo costretti a riconoscere — con il Vasari — che se l’arte è la metamorfosi che trasforma un sasso in mimesi del vero e in visibile immagine dell’idea, questa scultura è un miracolo nel senso letterale della parola, nel senso cioè di cosa mai vista prima, di Nel volto della Madonna appare totale, le parti lesionate del volto della Vergine. In questo modo il in tutta la sua evidenza l’idea di trauma del 1972 non ha offuscato «il “bellezza spirituale” perseguita da levigato e lunare pallore di quella Michelangelo. Vista di fronte Maria ci appare grave e pensosa; la sua testa inobliabile» (Brandi 1994). In qualsiasi altra scultura la visibi- giovinezza sembra senza età, è antilità della lesione, ancorché dolorosa, ca come il mondo. Vista di profilo, sarebbe stata tollerata. Non nella la Vergine tradisce un’ombrosa timiPietà Vaticana perché la finitezza dezza di bambina chiamata a conformale — il “miracolo” tanto ammi- templare un mistero più grande di rato da Giorgio Vasari — è il caratte- Lei. Solo negli affreschi del Beato Anre distintivo di quest’opera, è la ragelico nel San Marco di Firenze (afgione principale del suo fascino. Il volto della Vergine è quello di freschi che certo Michelangelo vide una donna assai giovane, quasi una e ammirò) troviamo rappresentaziobambina, certo assai più giovane ni della Vergine così profondamente dell’uomo che tiene sulle ginocchia spirituali e al tempo stesso così vere; e che pure è suo figlio. A chi gli fa- vere nel senso di una pura commoceva notare l’incongruenza (come vente semplicità, a tutti comprensipoteva essere che il Cristo apparisse bile. Non è certo un caso se la Pietà più vecchio della madre?) Michelan- di San Pietro, al pari dell’Annunciata gelo rispondeva — la testimonianza del Beato Angelico, ha attraversato i è ancora del Vasari — che giovinezza secoli affermandosi come figura base è specchio e figura di verginità e che della devozione popolare, ancora nel dare a Maria l’immagine di una oggi molto diffusa e molto amata. fanciulla adolescente, egli voleva A questo punto è necessario chiesottolineare l’incontaminata purezza dersi come si colloca nel percorso di della Madre di Dio. Michelangelo quel miracolo di “artiLa giustificazione teologica della ficio” e di “grazia” (per usare gli aticonografia inusuale (di norma nell’arte sacra d’occidente Maria ai piedi della croce o in contemplazione del Cristo morto ha sem«La Pietà di San Pietro. In memoria del 21 pre le sembianze di maggio 1972. Storia di un restauro» è il titolo donna attempata) è della giornata di studio che si svolge martedì del tutto convincente. 21 maggio nei Musei Vaticani. Il direttore dei Essa è, del resto, la Musei ha anticipato al nostro giornale parte traduzione in figura della sua relazione introduttiva. Durante dei celebri versi di la giornata viene riproposto il filmato Dante che MichelanLa violenza e la Pietà realizzato da Brando gelo conosceva bene: Giordani all’indomani del folle gesto «Vergine Madre, figlia vandalico del 1972 mentre una serie di del tuo figlio, umile relazioni ripercorreranno la storia e i dettagli ed alta più che creatura» (Paradiso, XXXIII, di uno dei più importanti interventi 1-2). di restauro nella storia dell’arte. Questo per dire che I lavori pomeridiani saranno introdotti un’altissima riflessione dal cardinale Angelo Comastri, religiosa vive nel volto presidente della Fabbrica di San Pietro. della Vergine. È un volto che deve essere vero: l’immagine di una fanciulla supremamente bella tributi di cui la qualificano gli autori che nessuno ha mai visto prima antichi) rappresentato dalla Pietà d’ora ma che tuttavia sapremmo ri- Vaticana? Qual è l’universo culturale conoscere se la incontrassimo; è un e stilistico dal quale la Pietà ha prevolto che deve sembrare eterno per- so forma? Quali i precedenti che la ché la Madonna è una icona senza giustificano? Sono domande alle tempo, ed è figura della Chiesa che quali non è facile rispondere perché, vive ed è santa in virtù del Corpo di al primo impatto, la scultura di San Cristo; è un volto che deve significa- Pietro in Vaticano, si presenta a noi re, nella pensosa mestizia di una come un luminoso meteorite caduto madre bambina concepita di Spirito da un altro mondo. Tale è la sua Santo, il dolore di tutte le madri del perfezione formale, quell’effetto di cosa mai vista prima descritto dal mondo. Il volto della Vergine nella Pietà Vasari, che verrebbe voglia di dire di San Pietro è quindi un esempio che la Pietà si spiega solo con se di bellezza spirituale. La mimesi del stessa. È una suggestione comprenVero (un Vero che idealizza e trasfi- sibile ma pericolosa dalla quale è gura la Natura) diventa veicolo di necessario guardarsi. Perché nessuno significati teologici profondi: l’Im- è fuori dalla storia, neanche Michemacolata concezione, il Verbo che si langelo. È dunque necessario collofa carne, il mistero della morte di care la Pietà nel suo tempo, cercanDio, Maria-Chiesa testimone e cu- do di capire le ragioni storiche che stode del Corpus Domini. hanno portato a questo risultato. Ai Musei Vaticani Il 25 marzo 1973, dopo l’Angelus per la solennità dell’Annunciazione Paolo VI fece un atto di devozione alla Vergine sostando davanti alla «Pietà» appena restaurata: «Come — disse il Papa — è stato riparato con espertissima cura il folle oltraggio a questo capolavoro dell’arte, così auspichiamo che sia restaurata negli animi degli uomini del nostro tempo la figura ideale di Maria, capolavoro della grazia» è lo stesso che, più di cinque secoli dopo, provano le migliaia di turisti che ogni giorno sfilano davanti a quella scultura. Per noi, come per il Vasari, la Pietà è un miracolo, un miracolo di suprema bravura. La scultura sta davanti ai nostri occhi come un gioiello: pura, leviga- Le notizie di Fides viaggiano sull’app «Missio» Le notizie dell’agenzia Fides, organo di informazione delle Pontificie Opere Missionarie (Pom), sono disponibili ora anche sull’applicazione per smartphone Missio. Realizzato in otto lingue — inglese, spagnolo, italiano, tedesco, francese, portoghese, cinese e arabo — il nuovo servizio è stato inaugurato da Papa Francesco il 17 maggio scorso, durante l’udienza con i direttori nazionali delle Pom e con il personale dell’agenzia. Il Pontefice ha cliccato su un iPad, lanciando l’applicazione realizzata da padre Andrew Small, degli oblati di Maria Immacolata, direttore nazionale delle Pom negli Stati Uniti. L’applicazione, che può essere scaricata gratuitamente su iTunes App Store e Google Play, contiene le notizie pubblicate sul sito news.va, foto, filmati e omelie del Papa, oltre a numerose informazioni sulla Chiesa nel mondo. perfezione mai raggiunta in precedenza. Credo che il primo a essere convinto di aver raggiunto un risultato impareggiabile, almeno in termini di finitezza formale, sia stato Michelangelo stesso, il quale per questo volle firmare la Pietà. Volle firmarla, scrive il Vasari, come «cosa nella quale e soddisfatto e compiaciuto s’era per se medesimo». Questa frase appare soltanto nella prima edizione delle Vite. Nella seconda (1568) è sostituita da una notizia abbastanza banale e poco convincente che vorrebbe giustificare l’apposizione della firma con la volontà di autenticare la paternità di un’opera che qualcuno intendeva attribuire ad altri. Io propendo per la prima versione. Sono parole che sigillano l’orgoglio e la consapevolezza di un miracolo giovanile. In quella firma la fiduciosa acerbità del ventiquattrenne Michelangelo poteva compiacersi soddisfatta. Se il proprio della Pietà di San Pietro è la sua intatta perfezione (una suprema e luminosa finitezza di pelle che non è un sovrappiù ma un modo di esprimere l’idea intellettuale e spirituale) allora si capisce perché l’atto vandalico del 1972, quando uno psicopatico massacrò a martellate la punta del naso e l’occhio sinistro della Vergine, sia stato da tutti considerato una devastazione terribile. Si capisce anche perché il restauro (contravvenendo per una volta ai principi consacrati) abbia puntato, riuscendoci felicemente, alla restituzione perfettamente mimetica dell’immagine violata. I calchi esistenti hanno permesso di restituire, con approssimazione Il cardinale Baselios Cleemis Thottunkal ha preso possesso del titolo di San Gregorio VII al Gelsomino Conferita dal cardinale Bertone a Santiago de Compostela L’ordinazione episcopale di José Rodríguez Carballo Ha percorso a piedi il tratto di strada che separa la basilica di San Giacomo il Maggiore dal convento di San Francesco, circondato da una folla di persone, amici, conoscenti, fedeli e molti confratelli dei frati minori venuti da ogni parte della Galizia, della Spagna e dal resto dell’Europa. È stata una gioiosa testimonianza di affetto quella ricevuta dall’arcivescovo José Rodríguez Carballo, segretario della Congregazione per gli Istituti di vita consacrata e le Società di vita apostolica, al termine del rito di ordinazione episcopale presieduto sabato pomeriggio, 19 maggio, a Santiago de Compostela, dal cardinale Tarcisio Bertone, segretario di Stato. Tra i presenti, anche numerosi fedeli di Santa María, la parrocchia di Lodoselo, suo paese natale. Proprio in occasione della celebrazione, monsignor Rodríguez Carballo ha rilasciato un’intervista al quotidiano spagnolo «Abc» — pubblicata nel numero di sabato 18 maggio — nella quale ha rilanciato il valore della vita consacrata. Senza la quale, ha affermato rispondendo alla domanda del giornalista Enrique Beotas, la Chiesa «sarebbe una Chiesa senza cuore o senza uno dei suoi polmoni. La Chiesa ha bisogno della vita religiosa come la vita religiosa ha bisogno della Chiesa». Quanto a Papa Francesco, il presule ne ha parlato come di «una persona semplice, affascinante e profonda, che va all’essenziale. È un pastore che, per utilizzare una sua espressione, “odora delle pecore”. Ci si sente sempre a proprio agio conversando con lui, questa è stata la mia recente esperienza nell’udienza concessami due giorni dopo la mia nomina, e che conferma quanto vissuto dal 2004, quando ci siamo conosciuti». Nel pomeriggio di domenica 19 maggio, il cardinale indiano Baselios Cleemis Thottunkal, arcivescovo maggiore di Trivandrum dei siro-malankaresi, ha preso solennemente possesso del titolo di San Gregorio VII al Gelsomino. Dopo il rituale bacio del crocifisso — portogli dal parroco francescano Paolo Maiello sulla soglia della chiesa romana di via del Cottolengo — il porporato ha presieduto la liturgia della Parola. L’omelia è stata tenuta dal cardinale Leonardo Sandri, prefetto della Congregazione per le Chiese Orientali, che ha partecipato insieme al vescovo di Mavelikara dei siro-malankaresi, Joshua Ignathios Kizhakkeveettil, e a sacerdoti e religiose della comunità indiana residente a Roma. Ha letto la bolla monsignor Vincenzo Peroni, cerimoniere pontificio, che ha diretto il rito. L’OSSERVATORE ROMANO lunedì-martedì 20-21 maggio 2013 pagina 7 Il seminario promosso a Istanbul dal Patriarcato ortodosso di Costantinopoli e Ccee Per il cardinale Koch l’unità dei cristiani è necessaria all’integrazione continentale Libertà religiosa aspirazione fondamentale L’Europa in crisi ha bisogno di moneta spirituale ISTANBUL, 20. «Tanto la Chiesa cattolica quanto le Chiese ortodosse considerano la libertà religiosa come un prezioso fondamento e una sacra aspirazione della loro dottrina sociale e disciplina canonica»: è quanto si sottolinea in un comunicato giunto al termine del seminario sulla libertà religiosa che il Patriarcato ecumenico di Costantinopoli ha promosso a Istanbul, in collaborazione con il Consiglio delle Conferenze episcopali europee (Ccee). L’incontro, svoltosi dal 17 al 18 maggio, ha avuto come sfondo la celebrazione dei millesettecento anni dell’editto di Milano, con il quale l’imperatore Costantino concesse libertà a tutti i culti. Nel comunicato si richiamano in particolare le parole che Papa Francesco ha voluto rivolgere al cardinale Péter Erdő, arcivescovo di Esztergom-Budapest e presidente del Ccee, in occasione dell’apertura del seminario, in un messaggio indirizzato ai partecipanti attraverso il cardinale segretario di Stato, Tarcisio Bertone. Il Pontefice ha voluto fra l’altro esortare le autorità civili, alla luce del decreto di Costantino, «a rispettare ovunque il diritto dei credenti a vivere liberamente il proprio culto e a esprimere pubblicamente la loro fede». Al contempo, il Papa ha anche invitato tutti i cittadini europei «a riconoscere il ruolo che il cristianesimo ha avuto nel formare la nostra cultura, e rimanere aperti al contributo continuo che i credenti cristiani possono dare in questo senso». Il comunicato riprende inoltre le parole del Patriarca di Costantinopoli Bartolomeo, che ha ricordato come i diritti umani fondamentali «comprendono i valori spirituali che l’imperatore Costantino aveva seminato all’interno del governo e delle strutture del suo impero, perché aveva riconosciuto e previsto che questo era l’unico modo di assicurare il progresso e preservare la pace». Nel testo prodotto al termine dell’incontro si passa poi alle relazioni tra Stato e Chiesa su questo specifico tema. Al riguardo si ribadisce che «Stato e Chiesa sono distinti ma non scollegati fra loro» e che «la reciproca indipendenza e autonomia, nonché la cooperazione, sono principi fondamentali delle loro relazioni». Lo Stato, prosegue il comunicato, deve rispettare la libertà religiosa di tutti i credenti e delle loro comunità nel promuovere un ordine sociale basato sulla giustizia». Nei contesti poi «in cui una religione specifica gode di una protezione di favore da parte dello Stato; la libertà religiosa delle minoranze deve essere garantita». Lo Stato, si legge ancora, «non deve favorire il proselitismo a favore di un credo specifico, ma ha l’obbligo di tutelare il bene comune e l’armonia fra i cittadini delle diverse religioni». Il comunicato si conclude riaffermando il sostegno delle Chiese alla Attesi oltre due milioni di partecipanti I giovani si preparano all’incontro di Rio de Janeiro La Croce dei giovani è arrivata ieri, domenica, a Icarai, in Brasile per una celebrazione preparatoria della Giornata mondiale della Gioventù. La Croce e un icona della Vergine Maria hanno viaggiato lungo diciotto città del Brasile, a partire da gennaio di quest’anno. A Rio de Janeiro, dove la Giornata sarà celebrata alla presenza di Papa Francesco, si prevede, tra il 23 e il 28 luglio prossimi, l’affluenza di circa due milioni di giovani provenienti da tutto il mondo. Convenzione per i diritti civili e politici delle Nazioni Unite del 1966, nella quale si afferma la responsabilità delle autorità pubbliche nei confronti del pubblico esercizio della libertà religiosa. La Convenzione, è spiegato, definisce la stessa libertà religiosa includendovi anche «il diritto di ogni comunità di fede di gestire delle scuole confessionali, al fine di educare i propri membri sulla base dei propri valori e delle credenze religiose» e la stessa tutela «si applica all’amministrazione di ogni Chiesa e comunità religiosa, all’estensione della parità di diritti in materia di attività di beneficenza e di assistenza sociale, così come alla garanzia di protezione per legge delle proprietà religiose». In apertura del seminario il cardinale Erdő aveva sottolineato che nel contesto storico attuale «sono ancora numerosi gli ambiti nei quali la libertà religiosa deve essere ricordata e difesa» e aveva aggiunto che l’epoca attuale «possiede delle caratteristiche che rende particolarmente pressante interrogarci sul tema della libertà religiosa». I partecipanti all’incontro hanno anche pregato per i due vescovi siriani di Aleppo, rapiti quasi un mese fa: il metropolita greco ortodosso Boulos Yazigi e il metropolita siro-ortodosso Mar Gregorios Yohanna Ibrahim. VIENNA, 20. Il processo di riunificazione ecumenica può essere considerato come «il più ampio contributo del cristianesimo attuale al futuro politico dell’umanità, in particolare del mondo occidentale»; la riconquistata unità delle Chiese cristiane darebbe infatti un importante impulso al progetto di integrazione europea attualmente in crisi. Lo ha affermato — riporta Kathweb (Katholische Presseagentur Österreich) — il cardinale Kurt Koch, presidente del Pontificio Consiglio per la Promozione dell’Unità dei Cristiani, intervenuto venerdì scorso alla giornata conclusiva del dialogo di Pentecoste sulla visione degli Stati Uniti d’Europa tenuto nel centro ecclesiale di Schloss Seggau, in Austria. Nella sua relazione sui fondamenti spirituali dell’Europa, il porporato ha fra l’altro sottolineato che la secolarizzazione e la privatizzazione del fatto religioso, che oggi caratterizzano l’Europa con sviluppi molto preoccupanti per l’umanità, sono «una conseguenza imprevista ma tragica» dello scisma occidentale del XVI secolo e delle relative sanguinose guerre di religione. Le lotte tra cattolici e protestanti hanno fatto sì che in Europa — ha spiegato Koch secondo quanto si legge in una traduzione dell’articolo diffusa da www.finesettimana.org — non si sia tenuto conto delle differenze confessionali e soprattutto del cristianesimo nella costruzione della pace sociale. In questo le Chiese sono state insieme colpevoli della precaria situazione della religione nella società moderna. Secondo le parole del teologo cattolico tedesco Johann Baptist Metz, si tratterebbe di una «privatizzazione del cristianesimo causata all’interno delle religioni stesse» che non ha tenuto conto della sua esigenza di avere efficacia sociale. Secondo il presidente del Pontificio consiglio, il movimento ecumenico, che vorrebbe rimuovere i contrasti che si frappongono all’unità dei cristiani voluta da Cristo, ha svolto la funzione di faro nel mare dell’Europa insanguinata del ventesimo secolo. Anche il concilio Vaticano II ha visto la necessità di contribuire a ricostituire l’unità dei cristiani come uno dei suoi compiti principali. Ma «solo se le Chiese riescono a riconciliarsi» e sono disposte al pentimento e all’espiazione, possono operare in maniera credibile al mantenimento, alla promozione e al rinnovamento della pace sociale. E proprio questo devono fare, «vivere e agire per l’unità degli uomini», secondo quanto espresso dal concilio, in un mondo così lacerato da divisioni, inimicizie e contrastanti interessi. L’Europa, per il cardinale Koch, ha bisogno di una “moneta di riferimento spirituale”. Anche se la nuova evangelizzazione dell’Europa nelle moderne condizioni di libertà non porterà a una grande Chiesa popolare ma piuttosto a una “Chiesa della diaspora”, lo Stato con una visione del mondo neutrale ha comunque bisogno delle Chiese e delle comunità religiose per fondare e difendere valori fondamentali. Ha poi espresso la convinzione che il vecchio continente non potrà esistere solo come comunità di interessi economici: accanto all’euro è necessaria appunto una “moneta di riferimento spirituale”. Anche senza una religiosità esplicita, l’essere umano «crede». E citando Martin Lutero, che definiva adoratore di Mammona l’uomo che si fondava su denaro e ricchezza, il porporato ha aggiunto: «Chi riconosce l’esistenza di Dio, e ritiene di dovergli rendere conto, è prima di tutto difeso dal cadere in quel crepuscolo degli dei che può sempre tornare quando delle realtà umane vengono messe al posto di Dio e quindi divinizzate». Questo avviene in molteplici casi e lo si vede chiaramente dal fatto che perfino Nella prolusione del presidente della Cei all’assemblea generale L’unica cosa seria da fare ROMA, 20. «Pensare alla gente», senza «populismi inconcludenti e dannosi» è «l’unica cosa seria» che i politici possono fare per l’Italia, in un momento in cui il Paese si trova nel «vortice dell’emergenza», tanto che, soprattutto da parte chi non ha più un lavoro, le «richieste di aiuto si moltiplicano a dismisura» nelle parrocchie, nei centri d’ascolto, nelle mense e nei centri di recupero gestiti dalla Chiesa. È quanto afferma il cardinale presidente della Conferenza episcopale italiana (Cei), Angelo Bagnasco, nella prolusione per l’apertura a Roma dei lavori dell’Assemblea generale, che si concluderà venerdì prossimo. Le vicende che di recente hanno segnato l’Italia sul piano politico e istituzionale, secondo il presidente della Cei, «devono fare riflettere e innescare un serio esame di coscienza» che se deve essere generalizzato non può però essere «assolutorio» soprattutto «se si portano responsabilità pubbliche», anche perché in questi tempi, «ad alti livelli», accanto a «gesti e disponibilità esemplari» che devono ispirare tutti, si sono anche viste «situazioni intricate e personalismi che hanno assorbito energie e tempo degni di ben altro impiego, vista la mole e la complessità dei problemi che assillano famiglie, giovani e anziani». Ai vescovi italiani, spiega il cardinale Bagnasco, «sta a cuore non una formula specifica ma i princìpi che devono ispirare la vita politica e più in generale il vivere sociale» e a questo proposito si evidenzia «il segno triste e sconfortante» di un clima di ostinata contrapposizione che, a momenti alterni, si deve registrare tanto a livello privato che pubbli- co» mentre «dopo il responso delle urne, i cittadini hanno il diritto che quanti sono stati investiti di responsabilità e onore per servire il Paese, pensino al Paese senza distrazioni, tattiche o strategiche che siano». Per il cardinale Bagnasco occorre un «forte e deciso piano industriale» per uscire dalla crisi economica, perché «se tutto rallenta» — si chiede il porporato — «fino a quando» le «pesanti politiche fiscali potranno raccogliere risorse?». La preoccupazione è per le famiglie che, «ancora una volta hanno dato prova di sé» come presidio «non solo della vita» ma anche «della tenuta sociale ed economica del Paese». Quella stessa famiglia che non può essere «umiliata e indebolita» da «rappresentazioni similari che in modo felpato costituiscono un vulnus progressivo della sua identità». Per il presidente della Cei è necessaria in Italia anche una «bonifica culturale», al fine di discernere «le categorie concettuali e morali che descrivono o deformano l’alfabeto dell’umano, con i suoi fondamentali come la persona, la vita e l’amore, la coppia e la famiglia, il matrimonio e la libertà educativa, la giustizia» e per affrontare fenomeni gravi come quelli del gioco d’azzardo «che divora giovani, anziani e famiglie» e la «ricorrente violenza sulle donne». In quest’ottica, è necessaria «una grande alleanza educativa» che passa anche attraverso il riconoscimento del «diritto dei genitori di educare i figli secondo le proprie convinzioni», mentre sempre di più «sono costretti a rinunciare sotto la pressione della crisi e la persistente latitanza dello Stato». La crisi, però non deve far dimenticare «il fronte delicatissimo e fondativo della vita umana». La recente raccomandazione, ricorda il cardinale Bagnasco, che la Corte dei diritti umani a Strasburgo ha fatto circa il suicidio assistito «è l’ulteriore prova del progetto di una società senza relazioni», dove ognuno, in definitiva, «è solo»: «impedire il cancro della solitudine» è perciò «la prima e fondamentale risposta che la società deve dare alla sofferenza dei suoi membri». le automobili vengono curate meglio delle persone morenti o dei bambini non ancora nati: «Dove Dio viene allontanato dalla vita sociale, è forte il pericolo che anche la dignità umana venga calpestata», ha ammonito Koch. Anche la religione è una irrinunciabile risorsa per la solidarietà, che nasce, ha detto citando il teologo cattolico austriaco Paul Zulehner, «innanzitutto nell’orbita della speranza della risurrezione». Nel dibattito a conclusione dell’incontro — riferisce Kathweb — il cardinale ha parlato di paralleli tra le discussioni sull’Europa e quelle sull’ecumenismo. Tutti si dichiarano a favore dell’Europa, o rispettivamente a favore dell’ecumenismo, ma il disaccordo sorge poi nella concretizzazione: in pratica «ci sono tante idee di unità quante sono le Chiese». Il presidente del Pontificio Consiglio per la Promozione dell’Unità dei Cristiani ha aggiunto che la politica europea deve diventare più “cattolica”, nel senso di tendente a una trasformazione universale, e di essere riconoscente per il fatto che Papa Francesco proviene dall’America latina, il che rende evidente che anche da un punto di vista ecclesiale l’Europa non è più “l’ombelico del mondo” e che il futuro del cristianesimo sarà in America latina, in Africa, in Asia.