La regina dei castelli di carta (Millennium Trilogy

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La regina dei castelli di carta (Millennium Trilogy
Lisbeth Salander è sopravvissuta al fuoco, ma è ancora lontana dall'avere risolto i suoi problemi. Persone potenti cercano di ridurla
silenzio per sempre. Intanto, Mikael Blomkvist è riuscito ad avvicinarsi alla verità sul suo terribile passato ed è deciso a pubblicare
articolo di denuncia che farà tremare il governo, i servizi di sicurezza e l'intero paese.
Giornalista, esperto mondiale di movimenti di estrema destra, fondatore di EXPO, lo svedese STIEG LARSSON (1954) è mor
improvvisamente nel 2004, quando aveva appena concluso la sua trilogia: Uomini che odiano le donne, La ragazza che giocava c
il fuoco e La regina dei castelli di carta , tutti pubblicati da Marsilio, che nel mondo hanno complessivamente venduto 30 milioni
copie, di cui due e mezzo solo in Italia. Da ciascun episodio della trilogia è stato tratto un film per il grande schermo ed è
preparazione un remake holliwoodiano di Uomini che odiano le donne.
TASCABILI MAXI
Dello stesso autore
nei «Tascabili Maxi»
Uomini che odiano le donne
La ragazza che giocava con il fuoco
Stieg Larsson
La regina
dei castelli
di carta
traduzione di Carmen Giorgetti Cima
Marsilio
Proprietà letteraria riservata
© Stieg Larsson 2007
First published by Norstedts, Sweden, 2007
Published by agreement with Pan Agency
© 2009, 2010 by Marsilio Editori® spa in Venezia
Titolo originale: Luftslottet som sprängdes
Prima edizione digitale 2010 da edizione Marsilio luglio 2010
ISBN 978-88-317-3070-9
In copertina: illustrazione di ALE+ALE
www.marsilioeditori.it
[email protected]
Quest’opera è protetta dalla Legge sul diritto d’autore
È vietata ogni duplicazione, anche parziale, non autorizzata
LA REGINA DEI CASTELLI
DI CARTA
Parte prima
Intermezzo in un corridoio
8 - 12 aprile
Si calcola che circa seicento donne prestarono servizio nella guerra civile americana. Si eran
arruolate travestendosi da uomo. Al riguardo, Hollywood si è lasciata sfuggire un pezzo di storia del
civiltà — o forse l’argomento è troppo spinoso sul piano ideologico? Difficilmente i libri di storia
occupano di donne che non rispettano i confini sessuali, soprattutto in tema di guerra e uso delle arm
Dall’antichità fino all’epoca moderna, si sono tuttavia conservati numerosi racconti di donne guerrie
— le amazzoni. Gli esempi più noti trovano posto nei libri di storia perché le donne vi compaion
come “regine”, ovvero rappresentanti della classe dominante. La successione politica, per quan
possa suonare sgradevole, a intervalli regolari mette infatti una donna sul trono. Siccome le guer
scoppiano anche quando a capo della nazione c’è casualmente una donna, ci sono regine guerriere ch
necessariamente compaiono alla stregua di un Churchill, uno Stalin o un Roosevelt qualsias
Semiramide di Ninive, che creò il regno assiro, e Boadicea, che guidò una delle rivolte inglesi p
sanguinose contro l’impero romano, sono solo un esempio. La seconda, fra parentesi, è immortalata
una statua che decora il ponte sul Tamigi di fronte al Big Ben. Fatele un saluto, se vi capita di passar
davanti.
Invece, i libri di storia parlano molto poco delle donne guerriere che, come soldati comuni,
esercitano nell’uso delle armi, fanno parte delle truppe e vanno in battaglia contro gli eserciti nemi
alle stesse condizioni dei loro colleghi maschi. Eppure sono sempre esistite. Non c’è guerra che s
stata combattuta senza partecipazione femminile.
1.
Venerdì 8 aprile
Il dottor Anders Jonasson fu svegliato dall’infermiera Hanna Nicander. Mancavano pochi minu
all’una e mezza di notte.
«Che c’è?» domandò confuso.
«Elicottero in arrivo. Due pazienti. Un uomo anziano e una giovane donna. La donna ha feri
d’arma da fuoco.»
«Aha» fece Anders Jonasson stancamente.
Si era appisolato una mezz’oretta e aveva ancora sonno. Stava facendo il turno di notte al pron
soccorso dell’ospedale Sahlgrenska di Göteborg. Era stata una serata alquanto faticosa. Da quando e
entrato in servizio alle sei di sera, l’ospedale aveva accolto quattro persone reduci da uno scontr
frontale subito fuori Lindome. Una era in gravi condizioni e di un’altra era stato constatato il decess
subito dopo l’arrivo. Il dottore aveva anche curato una cameriera con un’ustione a una gamb
conseguente a un incidente nelle cucine di un ristorante dell’Avenyn, il corso principale di Göteborg,
salvato la vita a un bambino di quattro anni, che era arrivato con un blocco respiratorio dopo av
ingerito la ruota di una macchinina giocattolo. Inoltre, aveva fatto in tempo a medicare un’adolescen
finita in una buca con la bicicletta. La manutenzione stradale aveva scelto opportunamente di piazza
lo scavo all’uscita di una pista ciclabile, e qualcuno aveva buttato i cavalletti di avvertimento dentr
lo scavo. La ragazza era stata ricucita con quattordici punti in faccia e avrebbe avuto bisogno di du
incisivi nuovi. Jonasson aveva poi riattaccato un pezzo di pollice che un entusiasta falegname del
domenica si era mozzato con la pialla.
Verso le undici il numero delle urgenze era diminuito. Aveva fatto il giro per controllare lo stat
dei pazienti ricoverati e poi si era ritirato nel suo studio per riposarsi un po’. Era di turno fino alle s
e non aveva l’abitudine di dormire, anche se non arrivavano emergenze, ma proprio quella notte si e
appisolato quasi subito.
Hanna Nicander gli allungò una tazza di tè. Non aveva ricevuto altri dettagli sui due casi in arrivo.
Anders Jonasson sbirciò fuori dalla finestra e vide che al largo sul mare era tutto un susseguirsi
lampi. L’elicottero aveva fatto veramente appena in tempo. D’improvviso cominciò a piovere
dirotto. Il temporale era arrivato su Göteborg.
Mentre era in piedi accanto alla finestra, sentì il rombo del motore e vide l’elicottero barcolla
nella burrasca verso la piattaforma di atterraggio. Trattenne il respiro quando il pilota parve aver
qualche difficoltà a mantenere il controllo. Poi il velivolo sparì dal suo campo visivo e si sentì
motore che calava di giri. Bevve un sorso di tè e mise da parte la tazza.
Anders Jonasson accolse le barelle all’ingresso del pronto soccorso. La collega Katarina Holm
fece carico del primo paziente che fu portato dentro — un uomo di una certa età con estese ferite
viso. Toccò invece al dottor Jonasson occuparsi dell’altro paziente, la donna con ferite d’arma d
fuoco. Fece un rapido controllo e constatò che all’apparenza si trattava di un’adolescente, tut
insudiciata e sanguinante, con gravi ferite. Sollevò la coperta che il personale di soccorso le avev
avvolto intorno al corpo e notò che qualcuno aveva chiuso le ferite all’anca e alla spalla con del larg
nastro adesivo argentato, iniziativa che giudicò insolitamente intelligente. Il nastro teneva lontani
batteri e fermava la fuoriuscita di sangue. Una pallottola aveva colpito l’anca penetrando attraverso
tessuto muscolare. Le sollevò la spalla e localizzò il foro d’ingresso nella schiena. Non c’erano fo
d’uscita, il che significava che la pallottola era ancora da qualche parte dentro la spalla. Sperava ch
non avesse forato il polmone, e siccome non rilevò la presenza di sangue nella cavità orale del
ragazza, trasse la conclusione che probabilmente non era successo.
«Radiografia» ordinò all’infermiera. Non c’era bisogno di spiegare altro.
Infine tagliò la fasciatura con la quale il personale di soccorso le aveva avvolto il cranio. Si ragge
quando con le dita sentì il foro d’ingresso e si rese conto che la ragazza era stata colpita anche al
testa. Neppure lì c’erano fori d’uscita.
Anders Jonasson si fermò un secondo a osservarla. D’improvviso si sentiva scoraggiato. Da l
arrivavano ogni giorno persone in condizioni molto diverse ma con un unico scopo — ricevere aiut
Signore di settantaquattro anni che si erano afflosciate al centro commerciale di Nordstan per u
arresto cardiaco, ragazzi di quattordici con il polmone sinistro perforato da un cacciavite, ragazze
sedici che avevano rosicchiato pasticche di ecstasy e ballato per diciotto ore di fila per poi crolla
con la faccia cianotica. Vittime di incidenti sul lavoro e di maltrattamenti. Bambini aggrediti da can
da combattimento in Vasaplatsen e uomini in gamba che dovevano soltanto segare qualche asse con
Black & Decker e avevano finito quasi per amputarsi una mano. Anders Jonasson stava fra il pazien
e le pompe funebri. Era la persona che stabiliva cosa era necessario fare. Se prendeva la decision
sbagliata, il paziente poteva morire o essere condannato all’invalidità. Il più delle volte faceva la cos
giusta, il che dipendeva dal fatto che la grande maggioranza dei pazienti aveva un problema specific
evidente. Una coltellata in un polmone o una frattura in conseguenza di un incidente automobilistic
erano fenomeni comprensibili. Il paziente sopravviveva a seconda della natura del danno e di quan
lui era stato abile.
Ma c’erano due tipi di lesioni che Anders Jonasson detestava. Le ustioni gravi, le cui conseguenz
a prescindere dalle misure che avesse adottato, si sarebbero protratte per tutta la vita. E le lesioni al
testa.
La ragazza che aveva di fronte poteva vivere con una pallottola nell’anca e una pallottola nel
spalla. Ma una pallottola da qualche parte nel cervello era un problema di tutt’altro ordine
grandezza. D’un tratto sentì che Hanna stava dicendo qualcosa.
«Prego?»
«È lei.»
«Lei chi?»
«Lisbeth Salander. La ragazza cui stanno dando la caccia per il triplice omicidio di Stoccolma.»
Anders Jonasson guardò il viso della paziente. Hanna aveva perfettamente ragione. Era la sua fo
che lui e tutti gli altri svedesi avevano visto sulle locandine fuori da ogni edicola nei giorni di Pasqu
E adesso l’assassina era stata a sua volta colpita, il che costituiva forse una sorta di poetica giustizia.
Ma la cosa non lo riguardava. Il suo lavoro era salvare la vita dei suoi pazienti, che fosser
pluriomicidi o premi Nobel. O tutte e due le cose allo stesso tempo.
Quindi scoppiò il caos efficiente che caratterizza un pronto soccorso. Il personale della squadra
Jonasson si mise all’opera con consumata abilità. Gli indumenti rimasti addosso a Lisbeth Saland
furono tagliati con le forbici. Un’infermiera riferì la pressione sanguigna, cento e settanta, mentre
dottore poggiava lo stetoscopio sul petto della paziente e auscultava un battito che sembrav
relativamente regolare e un respiro che non lo era altrettanto.
Il dottor Jonasson non esitò a classificare immediatamente le condizioni di Lisbeth Salander com
critiche. Le ferite alla spalla e all’anca per il momento potevano aspettare, tamponate con un paio
compresse di garza o anche con gli stessi pezzi di nastro che qualche anima ispirata ci aveva mess
sopra. L’importante era la testa. Il dottor Jonasson ordinò che fosse fatta una tac, co
l’apparecchiatura nella quale l’ospedale aveva investito la sua parte di tasse.
Anders Jonasson era biondo con gli occhi azzurri, ed era originario di Umeå. Lavorava da vent’an
al Sahlgrenska e all’Östra Sjukhuset alternativamente come ricercatore, patologo e medico del pron
soccorso. Aveva una peculiarità che sconcertava i colleghi e rendeva il personale orgoglioso d
lavorare con lui: nessun paziente doveva morire nelle mani della sua squadra, e in qualche mod
miracoloso era effettivamente riuscito a mantenere a zero il numero dei decessi. Alcuni dei suo
pazienti erano morti, è vero, ma era sempre accaduto nel corso dei trattamenti successivi o per caus
del tutto diverse dai suoi interventi.
Jonasson aveva una visione talvolta poco ortodossa della medicina. A suo parere, alcuni dotto
tendevano a trarre conclusioni senza fondamento e di conseguenza si arrendevano troppo in frett
Oppure dedicavano troppo tempo a individuare con esattezza il problema del paziente per procedere
un trattamento corretto. Certamente era il metodo suggerito dal manuale, il problema era che
paziente rischiava di morire mentre i medici erano ancora lì a riflettere.
Ad Anders Jonasson però non era mai capitato in precedenza qualcuno con una pallottola in test
Qui probabilmente c’era bisogno di un neurochirurgo. Si sentì inadeguato, ma d’un tratto si rese con
di essere forse più fortunato di quanto non meritasse. Prima di lavarsi e infilarsi il camice gridò
Hanna Nicander: «C’è un professore americano che si chiama Frank Ellis e lavora al Karolinska
Stoccolma, ma in questo momento è a Göteborg. È un noto studioso del cervello e un mio buon amic
È all’Hotel Radisson, sulla Avenyn. Puoi trovarmi il numero di telefono?»
Mentre Anders Jonasson aspettava le radiografie, Hanna Nicander tornò con il numero d
Radisson. Jonasson diede un’occhiata all’orologio, l’una e quarantadue, e alzò la cornetta. Il portie
era assolutamente contrario a passare qualsiasi chiamata a quell’ora di notte e il dottor Jonasson f
costretto a usare qualche parola molto dura prima che la sua chiamata fosse inoltrata.
«Buon giorno, Frank» disse quando la cornetta fu finalmente sollevata. «Sono Anders. Ho sentit
che eri a Göteborg. Avresti voglia di venire su al Sahlgrenska per assistermi in un intervento a
cervello?»
«Are you bullshitting me?» si sentì dall’altra parte del telefono. Nonostante Frank Ellis abitasse
Svezia ormai da anni e parlasse correntemente lo svedese — pur con accento americano — la su
lingua rimaneva l’inglese. Jonasson parlava in svedese ed Ellis rispondeva in inglese.
«Frank, mi dispiace di aver perso la tua conferenza, ma pensavo che avresti potuto darmi qualch
lezione privata. Ho qui una giovane donna alla quale hanno sparato in testa. Foro d’ingresso subi
sopra l’orecchio sinistro. Non ti telefonerei se non avessi bisogno di una second opinion. E mi
difficile immaginare una persona più adatta a cui chiederla.»
«È una cosa seria?» domandò Ellis.
«Si tratta di una ragazza sui venticinque anni.»
«E le hanno sparato alla testa?»
«Foro d’ingresso, nessun foro d’uscita.»
«Però è viva?»
«Battito debole ma regolare, respiro meno regolare, pressione cento e settanta. Inoltre ha un
pallottola nella spalla e una nell’anca. Ma quelli sono due problemi che posso trattare io.»
«Sembra incoraggiante» disse il professor Ellis.
«Incoraggiante?»
«Se una persona ha una pallottola in testa ed è ancora viva, la situazione dev’essere considera
incoraggiante.»
«Mi puoi assistere?»
«Devo ammettere che ho passato la serata in compagnia di buoni amici. Sono andato a letto all’un
e ho probabilmente un tasso alcolico impressionante…»
«Sarò io a prendere le decisioni e ad agire in concreto. Ma ho bisogno di qualcuno che mi assista
mi dica se sto facendo qualche idiozia. E, detto sinceramente, un professor Ellis ubriaco fradicio
probabilmente molto meglio di me quando si tratta di giudicare dei danni cerebrali.»
«Okay. Arrivo. Però mi devi un favore.»
«C’è un taxi che ti aspetta fuori dall’albergo.»
Il professor Frank Ellis si spinse gli occhiali sul naso e si grattò la nuca. Focalizzò lo sguardo sul
schermo del computer che mostrava ogni angolo del cervello di Lisbeth Salander. Ellis avev
cinquantatré anni, i capelli di un nero corvino spruzzati d’argento e la barba scura, e sembrava uno ch
recitasse una parte secondaria in E. R. - Medici in prima linea. Il suo corpo lasciava capire ch
trascorreva un certo numero di ore alla settimana in palestra. Frank Ellis si trovava bene in Svezia. E
andato lì come giovane ricercatore ospite alla fine degli anni settanta e si era fermato per due anni. P
c’era tornato in ripetute occasioni, finché gli era stato offerto un posto di professore al Karolinska.
quel punto era già un nome noto e rispettato a livello internazionale.
Anders Jonasson conosceva Frank Ellis da quattordici anni. Si erano incontrati a un seminario
Stoccolma e avevano scoperto di essere entrambi appassionati di pesca sportiva; così Anders avev
invitato Frank ad accompagnarlo in un tour di pesca in Norvegia. Negli anni si erano tenuti in contat
e i tour di pesca si erano ripetuti. Ma non avevano mai lavorato insieme.
«I cervelli sono un mistero» disse il professor Ellis. «Ho dedicato vent’anni allo studio del cervell
Anche di più.»
«Lo so. Scusami se ti ho disturbato, ma…»
«Lascia perdere.» Ellis agitò una mano per chiudere l’argomento. «Ti costerà una bottiglia d
Cragganmore la prossima volta che andiamo a pescare.»
«Okay. Me la cavo con poco.»
«Ebbi una paziente qualche anno fa quando lavoravo a Boston, scrissi di quel caso sul New Englan
Journal of Medicine. Si trattava di una ragazza della stessa età di questa. Stava andando all’universi
quando qualcuno la prese di mira con una balestra. La freccia penetrò al margine esterno d
sopracciglio sinistro, attraversò tutta la testa e uscì quasi al centro della nuca.»
«E lei sopravvisse?» domandò Jonasson stupefatto.
«La situazione sembrava disperata quando arrivò al pronto soccorso. Tagliammo le parti sporgen
della freccia e le infilammo la testa in un tomografo. La freccia attraversava tutto il cervello. Second
ogni ragionevole stima avrebbe dovuto essere morta o in ogni caso avere un trauma così esteso d
essere in coma.»
«Com’erano le sue condizioni?»
«È sempre stata cosciente. Non solo. Ovviamente era terrorizzata, ma perfettamente lucida. Sol
aveva una freccia che le attraversava la testa.»
«Cosa hai fatto?»
«Be’, presi una pinza e tirai fuori la freccia e poi applicai dei cerotti sulle ferite. All’incirca.»
«Se la cavò?»
«Non sciogliemmo la prognosi per alcuni giorni, è ovvio, ma detto onestamente avremmo potu
mandarla a casa subito. Non ho mai avuto un paziente più in buona salute.»
Jonasson si chiese se non lo stesse prendendo in giro.
«D’altro lato» continuò Ellis, «qualche anno fa a Stoccolma ebbi un paziente di quarantadue an
che aveva battuto la testa contro lo stipite di una finestra riportando una leggera commozione. Si e
sentito male e l’avevano portato in ambulanza al pronto soccorso. Quando arrivò da me era privo
conoscenza. Aveva un piccolo bernoccolo e una piccolissima emorragia. Ma non si riprese mai e mo
dopo nove giorni di terapia intensiva. Ancora oggi non so quale sia stata la causa del decesso. N
referto autoptico scrivemmo emorragia cerebrale post-traumatica, ma nessuno di noi era soddisfatto
quella conclusione. L’emorragia era estremamente circoscritta, e dalla posizione non avrebbe dovut
avere alcuna influenza su nulla. Eppure fegato, reni, cuore e polmoni smisero a poco a poco
funzionare. Più divento vecchio, più mi sembra una specie di roulette. Personalmente credo che no
scopriremo mai esattamente come funziona il cervello. Ora cosa pensi di fare?»
Picchiettò con una penna sull’immagine che compariva sullo schermo.
«Speravo che me l’avresti detto tu.»
«Sentiamo il tuo giudizio.»
«Be’, anzitutto sembra trattarsi di una pallottola di piccolo calibro. È entrata all’altezza del
tempia e si è fermata circa quattro centimetri all’interno del cervello. Poggia contro il ventrico
laterale e in quel punto c’è un’emorragia.»
«Misure?»
«Per usare la tua terminologia, prendere una pinza e tirare fuori la pallottola per la stessa strada p
cui è entrata.»
«Ottima idea. Ma io userei la pinzetta più sottile che hai.»
«Così semplice?»
«In questo caso, cos’altro possiamo fare? Possiamo lasciare la pallottola lì dove sta, e lei fors
continuerà a vivere fino a cent’anni, ma anche questo è un rischio. La paziente potrebbe ave
problemi di epilessia, emicrania, ogni genere di disturbo. E una cosa che nessuno vorrebbe fare
trapanarle il cranio fra un anno quando la ferita sarà guarita. La pallottola si trova a una certa distanz
dalle grandi arterie. In questo caso raccomanderei che tu la estraessi, ma…»
«Ma cosa?»
«Non è la pallottola in sé che mi preoccupa. È questo l’aspetto affascinante delle lesioni al cervell
se è sopravvissuta al fatto di avere una pallottola in testa, allora è segno che sopravviverà anche s
gliela togliamo. Il problema è piuttosto qui…» indicò sullo schermo «… intorno al foro d’ingresso c
una quantità di frammenti ossei. Posso vederne almeno una dozzina di lunghi qualche millimetr
Alcuni sono penetrati nel tessuto cerebrale. Ecco quello che potrebbe ucciderla, se non operi con
dovuta cautela.»
«Questa parte del cervello è associata all’uso della parola e alle capacità matematiche.»
Ellis alzò le spalle.
«Bah. Non saprei dire a cosa servano nello specifico queste cellule grigie. Tu puoi soltanto fare d
tuo meglio. Sei tu quello che opera. Io guarderò da sopra la tua spalla. Posso prendere un camice
lavarmi da qualche parte?»
Mikael Blomkvist diede un’occhiata all’orologio e vide che erano da poco passate le tre d
mattino. Era ammanettato. Chiuse gli occhi un secondo. Era mortalmente stanco ma l’adrenalina
teneva sveglio. Riaprì gli occhi e guardò furibondo il commissario Thomas Paulsson che ricamb
l’occhiata con un’espressione sconvolta. Sedevano al tavolo della cucina di una casa contadina bianc
in un posto nei pressi di Nossebro che si chiamava Gosseberga e del quale Mikael aveva senti
parlare per la prima volta in vita sua meno di dodici ore prima.
La catastrofe era un dato di fatto.
«Idiota» disse Mikael.
«Mi stia un po’ a sentire…»
«Idiota» ripeté Mikael. «L’avevo detto, accidenti, che era estremamente pericoloso. L’avevo dett
che dovevate trattarlo come una bomba a mano senza sicura. Ha ucciso minimo tre persone, è fat
come un carro armato ed è capace di ammazzare a mani nude. E lei manda due poliziotti di paese
prelevarlo, come fosse un ubriacone del sabato sera.»
Mikael chiuse di nuovo gli occhi. Si domandò cos’altro sarebbe andato storto nel corso di quel
nottata.
Aveva trovato Lisbeth Salander poco dopo mezzanotte, gravemente ferita. Dopo aver chiamato
polizia era riuscito a convincere il pronto intervento sanitario a inviare un elicottero per trasportarla
Sahlgrenska. Aveva descritto dettagliatamente le sue ferite e il foro da pallottola in testa ricevend
supporto da qualche persona saggia e intelligente che si era resa conto che la ragazza aveva bisogno
cure immediate.
Eppure era trascorsa più di mezz’ora prima che l’elicottero arrivasse. Mikael era uscito e avev
recuperato due automobili dalla vecchia stalla, che fungeva da garage, e accendendone i fari avev
marcato una sorta di pista d’atterraggio illuminando il campo davanti alla casa.
Il personale dell’elicottero e due operatori sanitari al seguito avevano agito con esperienza
professionalità. Uno dei sanitari aveva prestato a Lisbeth Salander i primi soccorsi mentre l’altro
occupava di Alexander Zalachenko, conosciuto anche come Karl Axel Bodin. Zalachenko era il padr
di Lisbeth Salander e il suo peggior nemico. Aveva cercato di ucciderla, ma aveva fallito. Mikae
l’aveva trovato parecchio malridotto nella legnaia, con una brutta ferita da accetta alla testa e un
frattura alla gamba.
In attesa dell’elicottero, Mikael aveva fatto quel che aveva potuto per Lisbeth. Recuperato u
lenzuolo pulito da un armadio, l’aveva tagliato improvvisando una fasciatura di fortuna. Dato che
sangue si era coagulato formando una sorta di tappo sul foro d’ingresso nella testa, era rimasto incer
se bendare o meno. Infine aveva annodato il lenzuolo intorno alla testa della ragazza senza stringe
troppo, più che altro perché la ferita non rimanesse esposta a batteri e sporcizia. Aveva fermato
sangue che usciva dalle ferite all’anca e alla spalla nella maniera più semplice che gli fosse venuta
mente. In un armadietto c’era un rotolo di largo nastro adesivo argentato e l’aveva usato per chiude
le ferite. Poi le aveva inumidito il viso con un asciugamano bagnato, cercando di rimuovere alla bell
meglio lo sporco.
Infine era andato nella legnaia e aveva soccorso Zalachenko. Ma nel suo intimo aveva constata
che onestamente non gliene importava un fico secco.
Mentre aspettava il pronto intervento sanitario aveva anche telefonato a Erika Berger per spiegar
la situazione.
«Tu stai bene?» volle subito sapere Erika.
«Io sto bene» rispose Mikael. «È Lisbeth che è ridotta male.»
«Povera ragazza» disse Erika. «Ho letto l’inchiesta di Björck per la Säpo, i servizi segreti, duran
la serata. Come gestirai questa faccenda?»
«Non ho nemmeno la forza di pensarci» disse Mikael.
Mentre parlava con Erika stava seduto sul pavimento e teneva un occhio vigile su Lisbeth Salande
Le aveva tolto le scarpe e sfilato i pantaloni per poterle medicare la ferita all’anca e gli capitò
mettere la mano sui pantaloni che aveva buttato per terra accanto al divano. Sentì che c’era qualcos
dentro una tasca e tirò fuori un Palm Tungsten T3.
Corrugò le sopracciglia e osservò pensieroso il palmare. Quando sentì il rumore dell’elicottero se
infilò nella tasca interna della giacca. Quindi — mentre ancora era solo — si chinò e frugò in tutte
tasche di Lisbeth. Trovò un mazzo di chiavi dell’appartamento di Mosebacke e un passaporto intestat
a Irene Nesser. Infilò velocemente il tutto in uno scomparto della borsa del computer.
La prima macchina con Fredrik Torstensson e Gunnar Andersson della polizia di Trollhättan arriv
qualche minuto dopo che l’elicottero del pronto intervento sanitario era atterrato, seguita da quella d
commissario in servizio esterno, Thomas Paulsson, che assunse immediatamente il comando del
situazione. Mikael si era fatto avanti e aveva cominciato a spiegare cosa fosse successo. Paulsson g
sembrò subito un sergente maggiore presuntuoso e ottuso. Dopo il suo arrivo, le cose avevan
cominciato ad andare per il verso sbagliato.
Paulsson non diede nessun segno di aver capito di cosa stesse parlando Mikael. Sembrav
stranamente intimorito e l’unico fatto che recepì fu che la ragazza malridotta stesa per terra davan
alla cassapanca della cucina era la super-ricercata triplice omicida Lisbeth Salander, e che si trattav
quindi di una cattura particolarmente importante. Paulsson aveva chiesto tre volte all’occupatissim
operatore del pronto intervento se la ragazza poteva essere arrestata sul posto. Alla fine il paramedic
si era alzato e aveva urlato a Paulsson di tenersi a distanza di un braccio.
Quindi Paulsson si era concentrato sul martoriato Alexander Zalachenko e Mikael l’aveva sentit
riferire alla radio che Lisbeth Salander aveva cercato di ammazzare un’altra persona.
A quel punto Mikael era così arrabbiato con Paulsson, il quale evidentemente non ascoltava un
sola parola di quanto cercava di dirgli, che aveva alzato la voce intimandogli di chiama
immediatamente l’ispettore Jan Bublanski della polizia di Stoccolma. Si era offerto di fare lui stess
il numero con il proprio cellulare. Paulsson non si era mostrato affatto interessato.
Dopo di che Mikael aveva commesso due errori.
Aveva spiegato con decisione che il vero triplice omicida era un uomo di nome Ronald Niederman
che era una specie di robot anticarro, soffriva di una malattia denominata analgesia congenita e
momento era legato come un salame in un fosso lungo la strada per Nossebro. Mikael spiegò com
localizzare Niedermann e raccomandò che la polizia mobilitasse un plotone di militari con armi
rinforzo per andare a prenderlo. Paulsson aveva domandato come avesse fatto Niedermann a finire n
fosso e Mikael aveva ammesso apertamente che era stato lui a sistemarlo in quel mod
minacciandolo con un’arma.
«Minacciandolo con un’arma?» aveva chiesto il commissario Paulsson.
A quel punto Mikael avrebbe dovuto rendersi conto che Paulsson era un imbecille. Avrebbe dovut
prendere il cellulare e chiamare lui stesso Jan Bublanski, pregandolo di intervenire per diradare
nebbia in cui Paulsson sembrava immerso. Invece aveva commesso l’errore numero due cercando
consegnare l’arma che aveva nella tasca della giacca — la Colt 1911 Government che ore prima avev
trovato nell’appartamento di Lisbeth Salander a Stoccolma, con l’aiuto della quale aveva tenuto
bada Ronald Niedermann.
Il gesto aveva indotto Paulsson a fermarlo su due piedi per porto abusivo di arma da fuoc
Paulsson aveva quindi dato ordine agli agenti Torstensson e Andersson di dirigersi verso il punto dell
strada per Nossebro che Mikael aveva indicato, e di controllare se ci fosse qualcosa di vero nel
storia secondo cui c’era una persona in un fosso, legata a un cartello con scritto Attenzione alci. S
così effettivamente era, gli agenti avrebbero dovuto ammanettare la persona in questione e portarla d
lui al podere di Gosseberga.
Mikael aveva immediatamente protestato, spiegando che Ronald Niedermann non era un sogget
che si potesse semplicemente prendere e ammanettare — era un pericolosissimo assassino. Quand
Paulsson aveva mostrato di ignorare le sue proteste, la stanchezza aveva fatto valere i propri diritt
Mikael aveva dato a Paulsson del somaro incompetente, urlando che Torstensson e Andersson no
dovevano assolutamente liberare Ronald Niedermann senza prima chiamare rinforzi.
Il risultato della stanchezza era stato che Mikael era finito in manette sul sedile posteriore del
macchina di Paulsson, dalla quale aveva guardato imprecando i due agenti allontanarsi con la lor
automobile. L’unico bagliore di luce nelle tenebre era che Lisbeth Salander era stata trasportat
all’elicottero ed era sparita sopra le cime degli alberi in direzione del Sahlgrenska. Mikael si sentiv
del tutto impotente e lontano dal flusso delle informazioni e poteva solo sperare che Lisbeth finisse
mani competenti.
Il dottor Anders Jonasson eseguì due profonde incisioni fino all’osso e ripiegò la cute intorno
foro d’ingresso. Usò delle graffe per fissarla. Un’infermiera introdusse con cautela una cannula p
drenare il sangue. Poi arrivò la terribile fase in cui il dottor Jonasson utilizzò un trapano per allarga
il foro nell’osso. Il tutto si svolse con una lentezza snervante.
Alla fine il dottore ottenne un foro sufficientemente largo perché il cervello di Lisbeth Saland
diventasse accessibile. Infilò con cautela una sonda e allargò il canale della ferita di qualch
millimetro. Quindi introdusse una sonda più sottile e localizzò la pallottola. Dalla radiografia del
scatola cranica poté constatare che formava un angolo di quarantacinque gradi rispetto al canale del
ferita. Usò la sonda per raggiungere la pallottola e dopo una serie di tentativi falliti riuscì a muover
un po’ e a portarla nella posizione giusta.
Infine introdusse una sottile pinza chirurgica con le estremità scanalate. Le strinse forte intorno al
base della pallottola e la afferrò saldamente. Poi tirò indietro la pinza. La pallottola la seguì qua
senza opporre resistenza. Jonasson la sollevò un secondo in controluce e constatò che sembrav
intatta, dopo di che la fece cadere in una bacinella.
«Pulire» disse, e l’ordine fu subito eseguito.
Diede un’occhiata all’elettrocardiogramma che mostrava che la sua paziente aveva anco
un’attività cardiaca regolare.
«Pinza.»
Abbassò una lente a forte ingrandimento e la puntò sulla zona messa a nudo.
«Piano» disse il professor Frank Ellis.
Nel corso dei successivi quarantacinque minuti, Anders Jonasson recuperò non meno di trentadu
minuscoli frammenti ossei intorno al foro d’ingresso. Il più piccolo era praticamente invisibile
occhio nudo.
Mentre Mikael Blomkvist, frustrato, cercava di recuperare il proprio cellulare dal taschino del
giacca — operazione che si dimostrò impossibile con le mani legate —, arrivarono a Gosseberg
diverse automobili con poliziotti e tecnici della scientifica. Il commissario Paulsson ordinò loro
mettere al sicuro le prove nella legnaia e di ispezionare a fondo la casa dove erano già state mess
sotto sequestro parecchie armi. Mikael osservò rassegnato le loro manovre dal sedile posteriore del
macchina di Paulsson.
Fu solo dopo un’ora circa che il commissario parve accorgersi che gli agenti Torstensson
Andersson non erano ancora tornati. Tutto d’un tratto assunse un’aria preoccupata e portò Mikael i
cucina chiedendogli di fornire nuovamente una descrizione della strada.
Mikael chiuse gli occhi.
Era ancora seduto in cucina in compagnia di Paulsson quando la squadra inviata per dare man for
a Torstensson e Andersson tornò a fare rapporto. L’agente Gunnar Andersson era stato trovato morto
con il collo spezzato. Il suo collega Fredrik Torstensson era ancora vivo ma era stato percoss
selvaggiamente. Entrambi erano stati rinvenuti nel fosso accanto al cartello Attenzione alci. Le lor
armi di servizio e la macchina della polizia erano sparite.
Da una situazione pressoché sotto controllo, il commissario Thomas Paulsson si ritrov
d’improvviso a fronteggiare l’omicidio di un poliziotto e la fuga di un uomo disperato e armato.
«Idiota» ripeté Mikael Blomkvist.
«Insultare la polizia non è di nessun aiuto.»
«Su questo punto siamo d’accordo. Ma io la inchioderò per negligenza in servizio fosse l’ultim
cosa che faccio. Sarà descritto come il poliziotto più stupido di tutto il paese in tutti i giorna
svedesi.»
La minaccia di essere esposto al pubblico scherno era evidentemente l’unica cosa che toccav
Thomas Paulsson sul vivo. Assunse un’aria inquieta.
«Cosa suggerisce?»
«Esigo che telefoni all’ispettore Jan Bublanski della polizia di Stoccolma. Adesso.»
L’ispettore Sonja Modig si svegliò di soprassalto quando il suo cellulare, che era in caric
dall’altra parte della camera da letto, cominciò a suonare. Guardò la sveglia sul comodino e vid
turbata che erano passate da poco le quattro del mattino. Quindi diede un’occhiata a suo marito, ch
continuava beatamente a russare. Sarebbe stato capace di andare avanti a dormire anche sotto u
attacco di artiglieria. Sonja si alzò barcollando dal letto e trovò il tasto rispondi sul cellulare.
Jan Bublanski pensò. Chi altri.
«È scoppiato l’inferno giù dalle parti di Trollhättan» esordì il suo capo senza tante formalit
«L’X2000 per Göteborg parte alle cinque e dieci.»
«Cosa è successo?»
«Blomkvist ha trovato Lisbeth Salander, Niedermann e Zalachenko. Lui è stato fermato pe
oltraggio a pubblico ufficiale, resistenza e porto abusivo di arma da fuoco. Lisbeth Salander è sta
trasportata al Sahlgrenska con una pallottola in testa. Zalachenko anche ma con un’accetta nel crani
Niedermann è a piede libero. Ha ucciso un poliziotto.»
Sonja Modig batté le palpebre due volte e avvertì la stanchezza. Più di ogni altra cosa avrebb
voluto infilarsi di nuovo sotto le coperte e prendersi un mese di vacanza.
«L’X2000 delle cinque e dieci. Okay. Cosa devo fare?»
«Chiama un taxi per la stazione centrale. Jerker Holmberg verrà con te. Prenderete contatto con u
certo commissario Thomas Paulsson della polizia di Trollhättan, che chiaramente è responsabile d
buona parte del tumulto di stanotte e che a detta di Blomkvist è, cito testualmente, un imbecille
proporzioni galattiche, fine della citazione.»
«Hai parlato con Blomkvist?»
«A quanto pare è agli arresti in catene. Sono riuscito a convincere Paulsson a reggergli la cornet
per un attimo. Io sto andando alla centrale a Kungsholmen e cercherò di fare chiarezza su quello ch
sta succedendo. Ci teniamo in contatto col cellulare.»
Sonja Modig guardò ancora una volta l’ora. Quindi chiamò il taxi e si infilò sotto la doccia per u
minuto. Si lavò i denti, passò un pettine fra i capelli, indossò un paio di pantaloni neri e una T-shi
nera. Infilò l’arma di servizio nella borsa a tracolla e scelse una giacca di pelle rosso scuro da mette
sopra. Quindi svegliò il marito scuotendolo piano e gli disse che stava andando via e che avrebb
dovuto pensare lui ai bambini. Uscì dalla porta nell’attimo stesso in cui il taxi si fermava fuori
strada.
Non ebbe bisogno di cercare il suo collega, l’ispettore Jerker Holmberg. Dava per scontato ch
sarebbe stato nel vagone ristorante, e poté constatare che era proprio così. Aveva già ordinato caffè
tramezzini anche per lei. Restarono seduti in silenzio cinque minuti mentre consumavano la colazion
Alla fine Holmberg spinse da parte la tazza del caffè.
«Forse basterebbe cambiare lavoro» disse.
Alle quattro del mattino un certo ispettore Marcus Erlander della polizia di Göteborg, sezione rea
contro la persona, era finalmente arrivato a Gosseberga e aveva assunto il comando delle indagin
sollevando l’occupatissimo Thomas Paulsson. Erlander era un uomo sui cinquant’anni, tondo e con
capelli brizzolati. Uno dei suoi primi provvedimenti fu di liberare Mikael Blomkvist dalle manette
di portargli delle brioche e del caffè da una caraffa termica. Poi andarono a sedersi in soggiorno per u
colloquio a quattr’occhi.
«Ho parlato con Bublanski a Stoccolma» disse Erlander. «Ci conosciamo da diversi anni. Sia lui ch
io deploriamo l’accoglienza di Paulsson.»
«È riuscito a far ammazzare un poliziotto, stanotte» disse Mikael.
Erlander annuì. «Conoscevo di persona l’agente Andersson. Prestava servizio a Göteborg, prima d
trasferirsi a Trollhättan. Ha una bambina di tre anni.»
«Mi dispiace veramente. Ho cercato di mettere in guardia…»
Erlander annuì di nuovo.
«L’ho capito. Ha alzato la voce ed è per questo che l’hanno ammanettata. È stato lei a inchiodar
Wennerström, vero? Bublanski dice che è un diavolo di giornalista e un detective privato scriteriato
ma che probabilmente sa di cosa parla. Le dispiacerebbe mettermi al corrente del quadro in un
maniera un po’ più comprensibile?»
«Questo è l’epilogo degli omicidi dei miei amici Dag Svensson e Mia Bergman a Enskede,
dell’omicidio di una terza persona che invece non era un mio amico… l’avvocato Nils Bjurman, ch
era il tutore di Lisbeth Salander.»
Erlander assentì.
«Come sa, la polizia ha dato la caccia a Lisbeth Salander fin dai giorni di Pasqua. Era sospettata
triplice omicidio. Tanto per cominciare dovrà avere ben chiaro che Lisbeth Salander non è colpevol
Anzi, in questo contesto è una vittima.»
«Non ho avuto assolutamente nulla a che fare con il caso Salander, ma dopo tutto quello che hann
scritto i giornali il fatto che sia perfettamente innocente è un po’ duro da digerire.»
«Ciò nonostante, è proprio così che stanno le cose. Lei è innocente. Punto. Il vero assassino
Ronald Niedermann, quello che ha ucciso il suo collega Gunnar Andersson stanotte. Lavora per Ka
Axel Bodin.»
«Quel Bodin che adesso sta al Sahlgrenska con un’accetta piantata nel cranio.»
«Tecnicamente l’accetta non è più piantata nel cranio. Suppongo che sia stata Lisbeth a inchiodarl
Il suo vero nome è Alexander Zalachenko. È il padre di Lisbeth ed è un ex sicario dei servizi segre
militari russi. Disertò negli anni settanta e quindi lavorò per la Säpo fino alla caduta dell’Union
Sovietica. Dopo di che si mise in proprio come gangster.»
Erlander studiò pensieroso la figura sul divano di fronte a lui. Mikael Blomkvist era lucido
sudore e appariva congelato e stanco morto. Fino a quel momento aveva ragionato in manie
razionale e coerente, ma il commissario Thomas Paulsson — alle cui parole però Erlander no
prestava alcuna fede — l’aveva messo in guardia sul fatto che Blomkvist farneticava di agenti segre
russi e di sicari tedeschi, il che non rientrava esattamente nella routine della polizia giudiziar
svedese. Blomkvist era evidentemente arrivato al punto della storia sul quale Paulsson aveva taglia
corto. Ma c’erano un agente morto e un altro agente gravemente ferito sul ciglio del fosso lungo
strada per Nossebro, ed Erlander era più che disposto ad ascoltare. Tuttavia non poté impedire ch
un’ombra di diffidenza s’insinuasse nella sua voce.
«Okay. Un agente russo.»
Blomkvist fece un pallido sorriso, palesemente consapevole di quanto suonasse assurdo il su
racconto.
«Un ex agente russo. Posso documentare tutte le mie affermazioni.»
«Continui.»
«Negli anni settanta Zalachenko era una spia di altissimo livello. Disertò e ottenne asilo dai servi
segreti svedesi. Da quanto ho potuto capire, non è un caso unico nella scia della disgregazion
dell’Unione Sovietica.»
«Okay.»
«Come ho detto, non so esattamente cosa sia accaduto qui stanotte, ma Lisbeth ha rintracciato su
padre che non incontrava da quindici anni. A suo tempo lui picchiò così pesantemente la madre d
Lisbeth, che la donna più tardi ne morì. Ha cercato di uccidere anche sua figlia ed è coinvolto neg
omicidi di Dag Svensson e Mia Bergman. Inoltre è responsabile del rapimento dell’amica di Lisbet
Miriam Wu. Ricorderà certamente il famoso match per il titolo di Paolo Roberto a Nykvarn.»
«Se Lisbeth Salander ha colpito suo padre in testa con un’accetta, non mi sembra esattamen
innocente.»
«Lisbeth ha tre pallottole in corpo. Credo che si potrà ipotizzare un tentativo di difesa. M
domando…»
«Sì?»
«Lisbeth era talmente impastata di terra che i suoi capelli erano un’unica crosta di fango seccat
Sotto i vestiti era piena di sabbia. Sembrava fosse stata sepolta. E Niedermann ha una certa abitudine
sotterrare gente. La polizia di Södertälje ha trovato due sepolture nel terreno intorno a quel magazzin
di proprietà del Motoclub Svavelsjö dalle parti di Nykvarn.»
«Tre, in effetti. Ne hanno trovata un’altra nella tarda serata di ieri. Ma se Lisbeth Salander è sta
colpita e poi sepolta, che ci faceva in piedi con in mano un’accetta?»
«Io non so cosa sia successo, ma Lisbeth è un tipo pieno di risorse. Ho cercato di convince
Paulsson a far portare qui dei cani…»
«Stanno arrivando.»
«Bene.»
«Paulsson l’ha fermata per oltraggio.»
«Mi oppongo. Io l’ho chiamato idiota, incompetente e stupido. Nessuno di questi epiteti costituisc
un oltraggio, nel contesto.»
«Mmm. Però lei è anche accusato di porto abusivo di arma.»
«Ho commesso l’errore di cercare di consegnargli un’arma da fuoco. Ma non voglio pronunciarm
su questa faccenda prima di aver parlato con il mio avvocato.»
«Okay. Accantoniamola. Abbiamo cose più importanti di cui parlare. Cosa sa di quest
Niedermann?»
«È un assassino. È una strana creatura; è alto più di due metri e ha la struttura di un robot anticarr
Domandi a Paolo Roberto che ha tirato di boxe con lui. Soffre di analgesia congenita. È una malatt
che fa sì che la trasmissione nervosa non funzioni, e lui di conseguenza non può sentire il dolore.
tedesco, è nato ad Amburgo e in gioventù è stato uno skinhead. È pericolosissimo ed è a piede libero.
«Ha qualche idea di dove potrebbe essere diretto?»
«No. So soltanto che era lì pronto per essere preso in custodia quando quell’idiota di Trollhättan h
assunto il comando della situazione.»
Poco prima delle cinque del mattino il dottor Anders Jonasson si tolse i guanti di lattice lordi e
gettò nel cestino dei rifiuti. Un’infermiera applicò delle compresse di garza alla ferita all’anc
L’operazione era durata tre ore. Il dottore guardò il capo malconcio di Lisbeth Salander, che era gi
stato impacchettato nel bendaggio.
Avvertì un improvviso senso di tenerezza del genere che sperimentava spesso di fronte a pazien
che aveva operato. Secondo i giornali Lisbeth Salander era una psicopatica pluriomicida, ma ai su
occhi aveva piuttosto l’aria di un passerotto ferito. Scosse la testa e spostò lo sguardo sul dottor Fran
Ellis che lo stava osservando divertito.
«Tu sei un ottimo chirurgo» disse Ellis.
«Posso offrirti la colazione?»
«È possibile avere delle crêpe alla marmellata da qualche parte qui?»
«Cialde» disse Anders Jonasson. «A casa mia. Fammi telefonare a mia moglie per avvisarla e po
prendiamo un taxi.» Si fermò e guardò l’ora. «Tanto vale che lasciamo perdere la telefonata.»
L’avvocato Annika Giannini si svegliò di soprassalto. Si voltò verso destra e vide che mancavan
due minuti alle sei. Aveva un appuntamento con un cliente già alle otto. Si voltò verso sinistra e died
un’occhiata a suo marito, Enrico Giannini, che dormiva tranquillo e nel migliore dei casi si sarebb
svegliato intorno alle otto. Batté ripetutamente le palpebre, poi si alzò e andò ad accendere
macchina del caffè prima di infilarsi sotto la doccia. Se la prese comoda in bagno, quindi si vestì co
pantaloni neri, una polo bianca e una giacca rossa. Fece tostare due fette di pane e le guarnì co
formaggio, marmellata di arance e fette di avocado e si portò la colazione in soggiorno in tempo per
notiziario delle sei e mezza alla tv. Bevve un sorso di caffè. Aveva appena aperto la bocca per dare u
morso al pane quando sentì i titoli di testa.
Un poliziotto ucciso e un altro gravemente ferito. Dramma nella notte durante la cattura del
super-ricercata Lisbeth Salander.
All’inizio ebbe difficoltà a capire il contesto, dal momento che le era parso che fosse stata Lisbeth
uccidere il poliziotto. La notizia era stata riferita in modo molto sommario, ma a poco a poco capì ch
la persona ricercata per l’omicidio del poliziotto era un uomo. Era stato emesso un avviso di ricerca s
tutto il territorio nazionale per un trentacinquenne del quale non era ancora noto il nome. Lisbe
Salander era ricoverata in gravi condizioni al Sahlgrenska di Göteborg.
Annika passò sull’altro canale ma non riuscì a farsi un’idea più chiara di cosa fosse successo. And
a prendere il cellulare e digitò il numero di suo fratello, Mikael Blomkvist. Le fu comunicato ch
l’abbonato al momento non era raggiungibile. Avvertì una fitta di paura. Mikael le aveva telefonato l
sera prima mentre era in viaggio per Göteborg. Stava seguendo le tracce di Lisbeth Salander. E di u
assassino di nome Ronald Niedermann.
Quando si fece chiaro, un poliziotto particolarmente attento notò delle tracce di sangue sul terren
dietro la legnaia. Un cane poliziotto seguì le tracce fino a una fossa scavata in una radura circ
quattrocento metri a nordest del podere di Gosseberga.
Mikael accompagnò l’ispettore Erlander. Studiarono attentamente tutta la zona e non tardarono
scoprire una gran quantità di sangue nella fossa e tutto intorno.
Trovarono anche un portasigarette malridotto che palesemente era stato usato a mo’ di paletta pe
scavare. Erlander infilò l’oggetto in un sacchetto da reperti e lo etichettò. Raccolse come reper
anche qualche grumo di terra insanguinata. Un agente in uniforme gli fece notare un mozzicone di Pa
Mall senza filtro a qualche metro di distanza dalla fossa. Anche quello fu infilato in un sacchetto e
etichettato. Mikael si ricordò di aver visto un pacchetto di Pall Mall sul bancone della cucina nel
casa di Zalachenko.
Erlander sbirciò verso il cielo e vide nubi gravide di pioggia. Il temporale che durante le prime o
della notte aveva imperversato su Göteborg stava evidentemente passando a sud della zona
Nossebro, ma era solo questione di tempo prima che cominciasse a piovere. Si rivolse a un poliziot
in uniforme e lo pregò di procurare un telo impermeabile con cui coprire la fossa.
«Credo che lei abbia ragione» disse alla fine Erlander rivolto a Mikael. «Un’analisi del sangu
probabilmente confermerà che Lisbeth Salander è stata lì dentro e scommetto che troveremo le su
impronte digitali sul portasigarette. La ragazza è stata colpita e sepolta ma in qualche modo dev
essere sopravvissuta ed è riuscita a tirarsi fuori e…»
«… e ha fatto ritorno alla fattoria dove ha calato l’accetta sul cranio di Zalachenko» comple
Mikael. «È proprio una testa dura.»
«Ma come ha fatto a gestire Niedermann?»
Mikael alzò le spalle. A quel riguardo era sconcertato tanto quanto Erlander.
2.
Venerdì 8 aprile
Sonja Modig e Jerker Holmberg arrivarono alla stazione centrale di Göteborg poco dopo le ott
Bublanski aveva telefonato dando nuove istruzioni; potevano lasciar perdere Gosseberga, e prende
invece un taxi per la centrale di Ernst Fontell Plats, vicino allo stadio Nya Ullevi, che era la sede del
polizia giudiziaria provinciale del Västra Götaland. Aspettarono quasi un’ora prima che l’ispettor
Erlander arrivasse da Gosseberga in compagnia di Mikael Blomkvist. Mikael salutò Sonja Modig ch
aveva già incontrato in precedenza e strinse la mano a Jerker Holmberg. Quindi un collega di Erland
si aggiunse a loro con un aggiornamento sulla caccia a Ronald Niedermann. Fu un resoconto breve.
«Abbiamo un gruppo investigativo sotto la guida della polizia provinciale. L’allarme ovviamente
stato esteso a tutto il territorio nazionale. Abbiamo trovato l’auto della polizia ad Alingsås alle sei d
stamattina. Lì le tracce per il momento si interrompono. Sospettiamo che il ricercato abbia cambia
veicolo ma non abbiamo ricevuto nessuna denuncia di furti d’auto.»
«I media?» domandò Sonja, dando un’occhiata di scusa a Mikael Blomkvist.
«Si tratta dell’omicidio di un poliziotto e siamo in piena mobilitazione. Terremo una conferenz
stampa alle dieci.»
«C’è qualcuno che abbia qualche notizia sulle condizioni di Lisbeth Salander?» chiese Mikael. S
sentiva curiosamente disinteressato a tutto ciò che aveva a che fare con la caccia a Niedermann.
«È stata operata durante la notte. Le hanno estratto una pallottola dal cranio. Non si è anco
risvegliata.»
«C’è una prognosi?»
«A quanto mi è parso di capire, non si può sapere nulla finché non si sarà svegliata. Ma il medic
che l’ha operata dice di avere buone speranze che sopravviva se non insorgono complicazioni.»
«E Zalachenko?» domandò Mikael.
«Chi?» chiese il collega di Erlander, che non era stato messo ancora al corrente di tutti gli intrica
dettagli della vicenda.
«Karl Axel Bodin.»
«Ah ecco, sì, anche lui è stato operato nel corso della notte. Aveva una brutta ferita alla testa
un’altra subito sotto il ginocchio. È malridotto ma non si trattava di lesioni mortali.»
Mikael annuì.
«Lei ha l’aria stanca» disse Sonja Modig.
«Altroché. Questo è il mio terzo giorno quasi senza dormire.»
«In effetti si è addormentato in macchina durante il tragitto da Nossebro» disse Erlander.
«Se la sente di ricapitolare tutta la storia dal principio?» chiese Holmberg. «Si ha l’impressione
essere sul tre a zero fra investigatori privati e polizia.»
Mikael fece un pallido sorriso.
«Questa è una battuta che vorrei sentire da Bublanski» disse.
Si sedettero alla caffetteria della centrale per fare colazione. Mikael impiegò una mezz’ora
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