Roma, 12 giugno 2007 In data 3 maggio 2007, il Ministro

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Roma, 12 giugno 2007 In data 3 maggio 2007, il Ministro
Presidente
Prof. Pietro Perlingieri
Vicepresidente
Prof. Giuseppe Benedetti
Segretario
Prof. Daniela Valentino
Consiglieri
Prof. Mario Barcellona
Prof. Alessandro Ciatti
Prof. Vincenzo Cuffaro
Prof. Raffaele Di Raimo
Prof. Enrico Gabrielli
Prof. Stefania Giova
Prof. Silvio Martuccelli
Prof. Salvatore Mazzamuto
Prof. Daniela Memmo
Prof. Gabriello Piazza
Prof. Francesco Venosta
Prof. Mario Zana
Roma, 12 giugno 2007
In data 3 maggio 2007, il Ministro dell’Università e della Ricerca scientifica – per la
finalità di attuazione dell’art. 1, comma 647, della legge 27 dicembre 2006, n. 296 – ha
sottoscritto uno schema di regolamento recante modalità di svolgimento dei concorsi di
ricercatore. Letto il relativo testo, il Comitato direttivo della Società degli Studiosi di Diritto
Civile esprime le seguenti osservazioni.
1. Il regolamento in oggetto si colloca a valle di una vicenda databile a far capo dal
primo anno della scorsa legislatura. A tale periodo risale in particolare la presa d’atto, da
parte di numerose componenti del mondo accademico, della inadeguatezza del sistema di
reclutamento delineato dalla l. 210/98, al quale venivano imputati un crescente localismo e
un conseguente sensibile scadimento dei criteri di selezione. Nelle discussioni che
seguirono si confrontavano essenzialmente due posizioni ideologicamente contrapposte. La
prima individuava il difetto della normativa vigente nell’eccessivo spazio che essa lasciava
all’autonomia delle sedi locali – alle quali era, di fatto, consentito di imporre un candidato
‘interno’ – nonché nella perdita di attenzione e di controllo da parte della comunità
accademica nazionale su ciò che avveniva nelle singole sedi: caldeggiava perciò il ritorno a
sistemi di reclutamento fondati su concorsi nazionali. La seconda ravvisava il problema
nella imperfezione del sistema dell’autonomia, costruito senza reale concorrenza né
responsabilità economica diretta in capo agli Atenei: proponeva perciò l’abolizione del
valore legale dei titoli rilasciati dalle Università e meccanismi di finanziamento legati quasi
esclusivamente al controllo della qualità della didattica e della ricerca. Queste due posizioni
adottavano coerentemente due tecniche di disciplina tra loro generalmente alternative:
controllo (a priori); libertà seguita da responsabilità (a posteriori). Come è noto, al termine
della scorsa legislatura è stata varata una riforma che adotta il criterio del controllo, a mezzo
della introduzione di una forma di concorso nazionale, per il reclutamento dei professori,
lasciando invece inalterato fino al 2013 il sistema riguardante i ricercatori per poi mettere il
relativo ruolo ad esaurimento.
Con il cambio di legislatura, alla detta riforma – reputata insoddisfacente dal Ministro
pro tempore – non è stata data attuazione. Infine, dopo un ulteriore anno di discussioni, vede
ora la luce questo regolamento, destinato soltanto alla disciplina dei concorsi per ricercatore
ma presentato come il modello da applicare anche al reclutamento dei professori.
2. In primo luogo, appare di principio condivisibile l’idea di ridurre il numero dei settori
scientifico-disciplinari. E’ infatti fuor di dubbio che l’eccessiva frammentazione ha prodotto
effetti negativi sia sotto il profilo del corretto funzionamento delle procedure valutative, sia
sotto il profilo culturale. Suscita tuttavia perplessità la predeterminazione rigida effettuata
dal ministero del numero dei settori che dovranno risultare dalla progettata riduzione.
Sarebbe forse più opportuno operare rimettendo al CUN l’elaborazione di un progetto
che esprima lo sforzo massimo di accorpamento, analiticamente motivato sul piano
scientifico. La congruità di tale progetto potrebbe poi agevolmente essere verificata dal
Ministero sulla base del numero dei settori proposti e delle dimensioni di ciascun settore.
L’esame del provvedimento suscita tuttavia gravi perplessità: a) sul piano della
legittimità; b) in ordine alla adeguatezza dei meccanismi prospettati, rispetto alla dichiarata
finalità di incentivare una selezione meritocratica; c) in ordine agli effetti culturali
prevedibili in conseguenza della sua eventuale applicazione.
a) Quanto alla legittimità, occorre anzitutto considerare che il regolamento ministeriale
si colloca in un quadro normativo caratterizzato dalla vigenza della l. 210/98 per la parte
concernente i concorsi per ricercatore, non abrogata dal d.lgs. 164/2006; e occorre altresì
considerare che i regolamenti ministeriali non possono mai comportare abrogazione di
leggi ordinarie. E’ appena il caso di ricordare che anche nell’ipotesi c.d. di delegificazione,
l’abrogazione delle leggi preesistenti è riservata alla legge che attribuisce al Ministro il potere
di disciplinare le relative materie (cfr. l’art. 17, comma 2, l. 400/88). In particolare, l’art. 1,
comma 647, della legge 27 dicembre 2006, n. 296 non sancisce l’abrogazione della
normativa preesistente e non autorizza il Ministro a disciplinare integralmente ex novo la
materia. La detta disposizione si limita invece a prevedere l’emanazione di un decreto che
abbia «particolare riguardo alle modalità procedurali ed ai criteri di valutazione dei titoli
didattici e dell'attività di ricerca, garantendo celerità, trasparenza e allineamento agli
standard internazionali». Tale decreto non può perciò che essere attuativo, secondo le
finalità indicate, della legge tuttora vigente.
Un secondo profilo di illegittimità è connesso al merito del provvedimento. La
previsione di una commissione giudicatrice unica di Ateneo, in quanto tale, composta in
maggioranza da soggetti non competenti ratione materiae a valutare le specifiche qualità dei
candidati in relazione alla funzione che il vincitore dovrà svolgere contrasta sostanzialmente
con la previsione dell’art. 97 cost. In relazione all’assunzione nei ruoli dell’impiego
pubblico, il concorso deve infatti garantire l’imparzialità dell’Amministrazione e
l’eguaglianza dei candidati: ciò è possibile soltanto qualora il medesimo concorso si fondi
esclusivamente sulla valutazione tecnica, comparativa, delle capacità specifiche degli
aspiranti, il che è escluso che possa avvenire allorché, ad esempio, un professore di
medicina, chimica o architettura decidano l’assunzione di un linguista o di un economista.
Sostanzialmente, una procedura gli esiti della quale sono affidati a soggetti non competenti
a valutare e comparare non è un concorso ai sensi dell’art. 97 cost.
b) Quanto alla adeguatezza dei meccanismi, è possibile affermare senza mezzi termini
che essi conducono in direzione esattamente opposta a quella di una selezione
meritocratica. Guardandone l’essenza, essi replicano il principale difetto della 210/98,
semmai aggravandolo sensibilmente, segnatamente, là dove la nuova disciplina
consentirebbe che la selezione avvenga secondo criteri non scientifici ma, in senso molto
ampio, politici. Il decreto infatti formalizza un potere di scelta atecnica del Rettore e degli
organi di Ateneo. Scelta che, in assenza di una specifica competenza per la valutazione della
qualità dei candidati, non potrà che essere ‘politica’.
Stante ciò, semplicemente inutile e farraginoso appare il procedimento che precede la
valutazione d’Ateneo. Le sua funzione, limitata alla formazione di una lista ristretta, è assai
poco selettiva, se è vero che basta una sufficienza risicata (2,1 su 4) per non essere esclusi,
facilmente eludibile (è sufficiente sollecitare molte domande di persone che non alleghino
titoli per fare finire chi si vuole assumere nel «quarto superiore») nonché sostanzialmente
canzonatoria giacché la graduatoria formata dagli esperti anonimi non è vincolante per la
commissione d’Ateneo.
Formalizzata, dunque, l’assenza di un meccanismo di controllo efficace a priori, ci si
potrebbe attendere un rigoroso sistema di responsabilità a posteriori: un sistema cioè che
premi gli atenei che assumono i migliori e penalizzi quelli che non lo fanno. Il regolamento
tuttavia nulla prevede al riguardo. Le linee guida in precedenza diffuse dal Ministero
profilavano peraltro una valutazione dopo il primo triennio, rinnovabile dopo un ulteriore
triennio, ad opera di cinque esperti anonimi ma: più blanda della precedente poiché si
ipotizzava la sufficienza di tre valutazioni su cinque; senza alcun incentivo legato alla qualità
dimostrata dal docente assunto.
In sintesi: un meccanismo assai barocco nasconde la semplice libertà di scelta da parte
di soggetti non competenti ratione materiae; la responsabilità – come ad oggi prospettata –
opera esclusivamente al di sotto della linea della mediocrità. Il localismo e l’incidenza di
interessi estranei alla ricerca scientifica – fino ad ora conseguenze di prassi distorsive –
vengono legalizzati determinando una inaccettabile politicizzazione (nel senso più ampio
ma anche deteriore) del reclutamento universitario.
c) Quanto, infine, agli effetti culturali, è possibile prevedere che essi saranno
drammatici. La despecializzazione delle valutazioni comporterà infatti un correlativo
annacquamento dei caratteri tecnici delle singole discipline a favore di un approccio
divulgativo, necessario per essere compresi da studiosi di discipline differenti. Ancora, la
burocratizzazione della valutazione despecializzata determinerà una netta prevalenza della
quantità sulla qualità della produzione scientifica ed un correlativo grave decadimento.
Si deve reputare altresì inaccettabile oltre che velleitaria la previsione, come prospettata
nel decreto, di valutatori «stranieri». Di là dalla considerazione formale che, in assenza di
reciprocità, si tratta di una resa culturale – non motivata se è vero che, come lo stesso
Ministro ha più volte affermato, il livello medio delle Università italiane è ancora tra i più
elevati a livello mondiale – due osservazioni sembrano inevitabili: non tutte le aree
disciplinari possono essere valutate da studiosi non italiani; comunque, tali valutatori
andrebbero selezionati, a meno che non si consideri quale attestato di qualità il mero fatto
di essere «stranieri», e, nei grandi numeri, non vi sono criteri oggettivi che consentano tale
selezione. Certamente non è pensabile che, a semplice domanda, qualsiasi straniero di
qualsiasi Università, di qualunque parte del mondo, possa venire a decidere chi può fare il
ricercatore o il professore in Italia. E da considerare infine che la valutazione ad opera di
esperti stranieri può risultare particolarmente inconcludente rispetto al profilo degli
aspiranti ricercatori, in quanto studiosi all’inizio del loro percorso scientifico.
Altra cosa sarebbe consentire ai candidati che reputino la loro ricerca apprezzabile
anche da studiosi stranieri di chiedere una valutazione aggiuntiva – i cui esiti, se positivi,
determinino un punteggio da sommare a quello risultante dalla valutazione degli italiani,
quando quest’ultimo sia almeno sufficiente –, potendo indicare altresì la (o le) nazionalità di
tali studiosi (soprattutto in campo umanistico e nelle scienze sociali, non tutte le ricerche
sono valutabili in tutti i paesi del mondo). Ciò dovrebbe essere consentito ai singoli
candidati e non agli Atenei per tutti i candidati delle singole procedure (come da altre parti
si è invece proposto), perché non sorga il sospetto che la scelta sia operata sulla base delle
caratteristiche di un candidato già individuato. Resta naturalmente, anche in questo caso, il
problema di determinare il peso (in termini di punteggio aggiuntivo) delle dette valutazioni
secondo criteri, prestabiliti e non rimessi alla discrezionalità delle commissioni, che tengano
conto del prestigio internazionale dei valutatori e delle Università alle quali appartengono.
3. Le presenti osservazioni sono espresse con la consapevolezza della (comoda) censura
alla quale andranno incontro: la comunità accademica si oppone a qualsiasi cambiamento,
per conservare i propri privilegi, senza mai manifestare un atteggiamento costruttivo.
Ebbene, rispetto al decreto in esame, è prospettabile, in via transitoria, più di una
possibilità alternativa:
- dare immediata attuazione al d.lgs 164/2006;
o
- correggere la 210/98 (almeno) eliminando la presenza del membro designato dalle
Facoltà nelle commissioni giudicatrici.
4. Per concludere, nella prospettiva di una definitiva riforma organica, necessariamente
collocata nel quadro di un complessivo progetto, anche finanziario, di sviluppo della
istruzione universitaria e della ricerca, la Società Italiana degli Studiosi di Diritto Civile
manifesta la propria disponibilità a collaborare in modo costruttivo e aperto al fine di
individuare ipotesi razionali e coerenti di reclutamento, idonee a correggere gli attuali
gravi difetti del sistema.