Una commedia per Pàvana

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Una commedia per Pàvana
Raffaella Zuccari
Una commedia per Pavana
Una commedia di Plauto, la Casina, “tradotta” nel dialetto di Pàvana: per chi non conoscesse
gli interessi privati di Francesco Guccini, aldilà della professione più nota, quella di cantautore,
va subito detto che non si tratta di un lavoro improvvisato o superficiale perché vi si
riscontrano competenze che appartengono prima allo studioso che al parlante. Se infatti il
pavanese è Lingua paterna, - Ferruccio Guccini era originario di questo piccolo paese situato
sull’Appennino Tosco-Emiliano - ascoltata e praticata per anni, è invece frutto di ricerche serie
e puntuali, sempre sostenute dall’autorità degli strumenti consultati, il Dizionario del 1998. Per
circa un decennio Guccini aveva accumulato il materiale, mantenendo una collaborazione
costante con la rivista Nuèter, edita dal gruppo di studi Alta Valle del Reno: nella rubrica
intitolata “Quassù parlano diverso” egli prendeva in esame singoli lemmi e, anche grazie ai
raffronti con gli altri dialetti limitrofi, proponendo etimologie, argomentando con notizie sul
folklore e sulle tradizioni popolari, andava di volta in volta privilegiando una prospettiva
diacronica, sincronica, o sociolinguistica.
Ci sembra utile segnalare, limitata l’ indagine all’analisi del lessico scelto da Guccini per
tradurre la Càsina, la necessità di seguire un percorso interno all’opera di Guccini che tenga
come riferimento il dialetto pavanese e il suo utilizzo. Il necessario raffronto infatti,
mostrerebbe lo scrupolo compilativo e l’incidenza delle occorrenze, e questa, sebbene
preliminare e parziale, attenzione alle concordanze, non può non valorizzare le scelte stilistiche
dell’autore, la sua attenzione alla prosodia, illuminare il divertissement del processo creativo,
ed enfatizzare sia la cura verso una determinata parola sia il peso delle alternative.
Abbiamo annotato alcuni dei lemmi che compaiono nella commedia e che sono già stati
oggetto di ripetute attenzioni. (Nel n. 30 di Nuèter sono esposte le ipotesi sulle origini del
toponimo, e nel n. 33 è illustrata una prima “descrizione” del dialetto pavanese). Nel n. 24
della rivista troviamo il sostantivo calcédro, il secchio di rame con cui si attingeva l’acqua dal
pozzo; nel n. 26 invece cimbraccola, la donna leggera un poco sciatta; nel n. 36 abbiamo
bà̀c̀chio, bastone, il cui suono “̀chi” è pronunciato verso la gola: “un suono palatale velare che
differisce dal normale suono italiano” e che Guccini rende graficamente così: ̀chi. Nel n. 37
infine trógo, il trogolo in cui mangiavano i maiali, che dà luogo, nella commedia, al neologismo
introgolarsi (ed è termine longobardo, non latino!).
Ma più divertenti appaiono le glosse poste in appendice al romanzo “Cròniche Epafàniche”: le
parole aldàmme, arcaciàre, calcédro, fighi, lai, màffia, matéria, patòza e spinaiòlo, sono
pretesti, sia per spiegazioni dotte che per ironiche facezie.
Se il fine del Dizionario del dialetto di Pàvana era stato quello di museizzare una lingua di sola
tradizione orale, conferendole l’autorevolezza del documento storico, senza dubbio la scrittura
della commedia ha restituito al pavanese, pur attraverso la mediazione di Plauto,
l’imprevedibile mobilità della vita.
Una consapevolezza nuova, un sentimento appena mascherato, di fierezza, sta crescendo tra
gli attori pavanesi che vogliono interpretare le varie parti e che si sforzano, mentre tentano di
riappropriarsi delle strutture della loro antica lingua, di penetrare i segreti del proprio passato,
in cerca di radici. Le caratteristiche e le modificazioni morfologiche a cui le parole sono
soggette, i rapporti che le legano ad altre parole con cui co-funzionano sintatticamente, le
connessioni di significato che esse realizzano nei vari contesti, sono quelli di un volgare
italiano che ha avuto rapporti di contiguità, di tradizione ininterrotta, con il latino parlato,
colloquiale.
Il fatto fondamentale, poi, è che il dialetto pavanese rispecchia (meglio dire rispecchiava) un
mondo di tipo agricolo che aveva, mutatis mutandis,le stesse caratteristiche del mondo
plautino e, cambiate alcune piccole e forse inessenziali cose, la vicenda della Casina avrebbe
potuto svolgersi nella Pàvana degli anni fino ai ’50.
Perché il latino è sì lingua illustre, ma anche popolare, e l’incontro fra i due registri linguistici è
stato un incontro relativamente non difficile, perché il background culturale sembra essere lo
stesso, il patrimonio ormai defunto della civiltà contadina che si esprimeva nelle parole del
latino volgare di Plauto, lo stesso del pavanese. Lingue morte entrambe, figlie di una civiltà
ormai tramontata, capaci però di incantare l’ascoltatore, di resuscitare quel passato per chi lo
ignora, di farlo ancora ridere di gusto.
Qualche notizia sul dialetto pavanese.
Il dialetto pavanese si situa, geograficamente e morfologicamente, in una stretta fascia
dialettale inserita fra l’Emilia e la Toscana; questa fascia di territorio diparte all’incirca dalla
Romagna – Toscana e, attraverso i crinali, passando per lembi di provincia di Firenze, Prato,
Pistoia, Bologna, Modena, Lucca e Massa Carrara, raggiunge la Liguria. Naturalmente ogni
singolo dialetto parlato nelle zone appena citate possiede caratteristiche sue proprie ma si può
dire, mutuando la classificazione dalle scienze biologiche, che esso appartiene ad una stessa
famiglia, suddivisa però in particolari genere e specie. Si può aggiungere per sommi capi, che
si tratta di dialetti che, su una base toscana o toscaneggiante, hanno inserito una, più o meno
forte, componente emiliana.
Pàvana è, da secoli, in territorio pistoiese (un documento del 998 di Ottone III conferma, al
vescovo di Pistoia, Antonino, “omnia res et proprietates sibi pertinentes”; fra queste, la
seconda di un elenco di numerose località, è “villam de Pavana”). Pur non essendo Comune,
ma frazione di Sambuca Pistoiese, Pàvana ha sempre mantenuto una propria forte identità,
viva fra tutti coloro che ne riconoscevano i confini, grosso modo, all’ interno del territorio della
parrocchia (la pieve) identità che si è manifestata in molte occasioni del passato medievale,
nel ripetuto tentativo dei pavanesi di passare sotto l’amministrazione bolognese.
Il fatto è che Pàvana è situata all’estremo nord del territorio di un Comune che è molto vasto e
molto suddiviso, per cui ogni singola comunità si è sempre sentita isolata rispetto alle altre.
Questa situazione, per Pàvana, ha condotto ad una maggiore emilianizzazione del dialetto
enfatizzando caratteristiche quali, ad esempio, la sonorizzazione delle consonanti sorde
intervocaliche (ad es. ortica che diventa ortiga); la tendenza alla scomparsa, nel corpo della
parola, delle vocali atone (stomaco che diventa stómgo); la non dittongazione della e ed o
brevi latine, toniche, (si hanno piètra e fuòco nel toscano e préda e fógo nel pavanese); il
fenomeno del troncamento, nei participi passati dei verbi e nelle parole terminanti in -ato, eto, -ito, -uto, (ad es. manghia’ per mangiato, avu’ per avuto, parti’ per partito, sagra’ per
sagrato, ašge’ per aceto, mari’ per marito); lo scadimento del pronome soggetto che, nelle
forme toniche (io, tu, egli) viene sostituito dalle forme oblique (mì, tì, lu’). Il pavanese è
quindi un dialetto su base toscana ma con tratti fortemente emiliani, presenti in maggior
numero rispetto agli altri dialetti del comune.
Non esiste né in emiliano né in toscano questa particolarità fonetica: si osserva la
trasformazione del suono delle affricate palatali ce, ci, ge, gi, le quali, solo all’interno di parola,
diventano sibilanti sonore, pronunciate come la j del francese jambon, e come la x del ligure
Bixio, bruxiare; questo suono Guccini lo scrive, per convenzione, šg: avremo quindi pašge per
pace, bašgio per bacio, ecc. Anche lo scempiamento delle consonanti doppie, che solitamente
avviene nell’emiliano, si attua soltanto in parole che hanno più di due sillabe e dove la doppia
consonante precede la vocale tonica, come appunto in galìna, fosétto, capèllo. Tipicamente
pavanese anche il fenomeno del raddoppiamento della m che si trovi fra due vocali, come in
ommo, fiumme, lumme, ecc.
Guccini ha pubblicato nel 1998, in occasione dei mille anni “ufficiali” di Pàvana (si ricordi il
documento ottoniano) il “Dizionario del dialetto di Pàvana” dal quale abbiamo tratto le preziose
informazioni che ci sono servite per questa sintetica descrizione.
Il dialetto pavanese non ha e non ha mai avuto una tradizione scritta: Guccini ha scelto il
sistema di trascrizione grafica proposto dalla Rivista Italiana di Dialettologia. Lo scopo del
Dizionario era purtroppo solo conservativo, in quanto il pavanese, ormai, non è più parlato:
non solo dai giovani ma anche dagli individui compresi in quella fascia di età che va dai
cinquanta a più di settant’anni. Ormai solo i molto anziani lo parlano, e solamente fra di loro, il
che porterà inevitabilmente, fra alcuni anni, all’estinzione di questo dialetto. La scomparsa dei
dialetti è ormai generalizzata, e neanche Pàvana si discosta da questa tendenza: la si deve al
forte spopolamento dovuto all’emigrazione, esterna ed interna, abbastanza incisiva fino al
1970 circa; al fatto che il paese ha raramente conosciuto il fenomeno, tipico di certe zone di
montagna, delle nozze endogamiche, ma che anzi ha visto spesso unioni con persone
provenienti da zone le più disparate d’Italia e anche dall’estero; in ultimo, all’estrema facilità
che i pavanesi hanno sempre avuto nel passare, essendo toscani (anche se particolari: essi
hanno sì il vocalismo tonico toscano, con le vocali giustamente accentate, -bène, pósto,
perché-, ma nessuno dei fonemi tipici toscani come, ad esempio, l’aspirazione della c) al
registro italiano. Oggi l’esodo si è arrestato e a Pàvana si assiste ad un modesto incremento
demografico. Favorita da condizioni particolari (l’estrema vicinanza al centro termale di
Porretta Terme, le relative possibilità di lavoro offerte dal contiguo territorio emiliano, la
Statale 64 Porrettana che l’attraversa, la comodità della ferrovia Bologna-Pistoia) Pàvana
conta oggi un migliaio di residenti, sui 1400 circa dell’intero Comune. Ma ciò non toglie che il
dialetto sia ormai un ricordo del passato.
Per compiacere un desiderio dell’ autore l’articolo non è stato appesantito da note, faticose per
i non addetti ai lavori: chi fosse interessato alla spiegazione o alla verifica dei fenomeni
linguistici precedentemente illustrati è invitato a consultare il Dizionario del dialetto di Pàvana:
nell’indice bibliografico sono elencati tutti gli strumenti utilizzati: lessici, repertori, vocabolari,
studi specifici.
Bibliografia essenziale
F.Guccini, Dizionario del dialetto di Pàvana, una comunità fra Pistoiese e Bolognese, “Gruppo
di studi alta valle del Reno-Nuèter”, 1998
F.Guccini, Cròniche Epafàniche, Feltrinelli, Milano 1989
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Nota sulla grafia
cfr. Autografo opp. Vocabolario