Guccini, o del vino vecchio

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Guccini, o del vino vecchio
Questotrentino.it
Monitor - QT n. 22, 22 dicembre 2007
Guccini, o del vino vecchio
Come previsto, niente di nuovo dal concerto di Francesco Guccini: ma ancora tanta coerenza, che affascina e
richiama.
di Alessandro Bezzi
Si sente spesso dire che non è da un concerto di Guccini che ci si può aspettare qualcosa di nuovo e lui, nella serata trentina
del 7 dicembre, lo mette subito in chiaro. A scanso di equivoci. Francesco si presenta con i soliti musicisti: Juan Carlos
"Flaco" Biondini, Ellade Bandini, Vince Tempera, Roberto Manuzzi, Antonio Marangolo, Pierluigi Mingotti. Entra sul palco,
fa sedere il pubblico della platea mentre ironizza sulla "prima" alla Scala e poi attacca con "Canzone per un’amica". Finirà
due ore e mezza più tardi con "La locomotiva". Come sempre. In mezzo una vasta selezione di canzoni e un po’ di
intrattenimento e gag. Il leit motiv dell’ironia è quello del "Tristano e Isotta". Come a tracciare una linea e marcare una
differenza. Lui e il suo pubblico da una parte. e dall’altra le signore impellicciate della prima scaligera piegate dai gioielli,
dalle acconciature e da cinque ore di Wagner cantato in tedesco. Il Maestrone invece viaggia leggero senza tanti fronzoli sulle
ali delle canzoni e del sogno. Il pubblico numerosissimo (4.500 i biglietti venduti per un tutto esaurito) gradisce e quasi si
dimentica della solita pessima acustica del PalaTrento (d'altronde, siamo alle solite, vedi Guccini: mai più al Palasport).
Francesco canta "L’isola non trovata" che "appare, a volte, avvolta di foschia, magica e bella, ma se il pilota avanza su mari
misteriosi è già volata via". Il tema è quello dell’intuizione di un momento che poi svanisce, un argomento ricorrente
nell’opera del cantautore emiliano. Verrà ripreso anche più tardi con "La canzone della bambina portoghese", introdotta
parlando di Cabo do Roca in Portogallo, il punto più a occidente del continente europeo. Il poeta Camões nei "Lusiadi" lo
definì come il luogo "onde a terra se acaba e o mar começa" (dove la terra finisce e il mare comincia). Il mare è qui il simbolo
di ciò che è sconosciuto. La bambina in piedi di fronte all’Atlantico immenso per un attimo coglie qualcosa del mistero, come
se questo fosse illuminato da un lampo, poi il caldo l’avvolge e la domanda resta irrisolta. E ci si ferma all’interrogativo anche
nella "Signora Bovary", dove in fondo alla notte non c’è una risposta ma un lungo assolo di sassofono.
Guccini nel suo concerto trentino non parla solo di mistero e intuizioni. C’è "Quello che non", "Una canzone" e una versione
tirata dell’apocalittica "Noi non ci saremo" che dedica ad Augusto Daolio che fu il primo a cantarla. Segue poi una carrellata
di canzoni d’amore che rappresentano vari sguardi che il cantautore ha dato a questo sentimento. Le domande e i dubbi
dell’amore con "La canzone delle domande consuete", un amore amore-amicizia che riaffiora dal passato con "Incontro", la
magia dell’innamoramento con "Vorrei", la fine di un amore giovanile con "Farewell".
Due ragazzi del pubblico si baciano. Francesco li vede e chiede divertito un applauso.
Il tema cambia e si fa un salto indietro nel tempo. Si torna all’epoca delle balere. Pare che tutti i musicisti sul palco siano
passati da quella scuola e vi abbiano suonato in gruppi dai nomi improbabili e buffi. Francesco racconta aneddoti di quel
periodo, canta divertito "Guarda che luna" di Buscaglione e poi abbozza un vecchio tango.
Ma al passato si torna non solo per scherzare ma pure per ricordare un episodio della Resistenza, contro il revisionismo di chi
oggi cerca di distorcere la storia e di mettere sullo stesso piano repubblichini e partigiani. "Su in collina" è una canzone
inedita scritta da Guccini traducendo una poesia dialettale bolognese e musicata da Biondini.
Il finale è tutta una tirata. Con "Cirano" il pubblico della platea si alza in piedi, canta e applaude. Seguono "Auschwitz", "Il
vecchio e il bambino", "Eskimo", "Dio è morto". L’ultima, come si diceva, è "La locomotiva".
Si diceva appunto che non era da questo concerto che ci si poteva aspettare qualcosa di nuovo. Dirlo è quasi diventato un
luogo comune, ma forse è proprio questo che affascina tanto e richiama tante persone. Qualcosa che ha a che fare con la
coerenza. Di questi tempi non è poco. Guccini fa venire in mente il buon vino che magari invecchiando non migliora ma
sicuramente non diventa l’aceto che abbiamo visto nelle botti (piccole, bolognesi e con il parrucchino) di alcuni suoi colleghi
cantautori passati di recente dalle nostre parti (vedi Elton John alla bolognese).