la ragazza dei corpi

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la ragazza dei corpi
LIBRO
IN ASSAGGIO
LA RAGAZZA DEI
CORPI
CHELSEA CAIN
La ragazza dei corpi
DI CHELSEA CAIN
1
Archie non era sicuro che fosse lei, fino a quel momento. Sente diffondersi un
caldo improvviso lungo la spina dorsale, gli si annebbia la vista e capisce che
il killer è Gretchen Lowell. Capisce anche che l’ha drogato. Troppo tardi.
Cerca di afferrare la pistola, ma i movimenti sono rallentati, e non riesce a
impugnarla. Lei sorride, gliela toglie di mano come fosse un dono che lui le
sta porgendo e lo bacia in fronte. Poi gli infila la destra nella tasca della
giacca, gli prende il cellulare, lo spegne e se lo mette in borsa. Archie non
riesce quasi più a muoversi, ormai, è bloccato nella poltrona di pelle dello
studio che Gretchen ha spacciato come suo. Eppure è ancora lucido.
Gretchen si inginocchia accanto a lui, come se fosse un bambino, e avvicina
le labbra alle sue fino quasi a sfiorargliele con un bacio. Archie ha il cuore in
gola, non riesce a deglutire. Gretchen profuma di lillà.
“È ora di andare, tesoro”, sussurra. Si alza in piedi e Archie si sente sollevare
da dietro, da sotto le ascelle. Un uomo, davanti a lui, corpulento e con la
faccia rossa, lo afferra per le gambe. Lo portano nel garage e lo stendono sul
sedile posteriore del Voyager verde, quello che lui e i suoi uomini cercavano
da mesi. Gretchen gli sale addosso e Archie si accorge che dentro il furgone
c’è anche qualcun altro, che non era lei a tenerlo per le braccia. Non ha il
tempo di approfondire, però, perché Gretchen gli si siede sui petto, un
ginocchio di qua e uno di là. Archie non riesce più a muovere gli occhi. Lei gli
spiega la situazione.
“Ora ti tiro su una manica e ti metto un laccio emostatico.” Gli fa vedere una
siringa. Ha conoscenze mediche, pensa Archie. Il diciotto per cento dei serial
killer donna sono infermiere. Fissa il tetto del furgone, metallo grigio. Sta’
sveglio, si dice. Ricordati tutto, anche i particolari sono importanti. E pensa:
Sempre che sopravvivi.
“Ora ti lascio riposare un po’.” Gretchen sorride, si avvicina in modo che lui la
possa vedere in faccia, gli sfiora le guance con i capelli biondi, ma lui non
sente nulla. “C’è tempo, per divertirci.”
Archie non reagisce, non riesce nemmeno più a battere le ciglia, respira a
fatica, rantola. Non vede l’ago che gli entra nella vena, però presume che
Gretchen glielo abbia infilato, perché di colpo tutto diventa nero.
Si risveglia sulla schiena. È annebbiato, e gli ci vuole un po’ prima di mettere
a fuoco l’uomo con la faccia rossa di fronte a lui. In quel momento, il primo di
consapevolezza, la testa dell’uomo esplode. Archie sussulta, investito dal
fiotto di sangue e materia cerebrale che gli arriva sul volto e sul petto, caldo e
grumoso come vomito. Cerca di muoversi, ma ha mani e piedi legati a un
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tavolo. Sente qualcosa di tiepido e schifoso scivolargli sul viso e cadere per
terra, fa forza contro i legacci fino a farsi male: non riesce ad allentarli. Ha un
conato, ma il nastro adesivo sulla bocca gli impedisce di vomitare e deve
ricacciare giù tutto, procurandosi un altro conato. Gli bruciano gli occhi. A quel
punto la vede, in piedi dietro il cadavere dell’uomo con la faccia rossa. Ha
ancora in pugno la pistola con cui l’ha appena ammazzato. “Volevo che
capissi quanto sono legata a te”, gli dice. “Tu sei l’unico.” Gli volta le spalle e
se ne va.
Archie rimane lì a pensare a quello che è successo. Deglutisce, si sforza di
restare calmo, di guardarsi intorno. E solo. L’uomo è morto, per terra.
Gretchen se n’è andata. Anche il tizio che guidava il furgone è sparito. Gli
batte il cuore talmente forte che non sente altro. Passa il tempo. Gli sembra di
essere in una sala operatoria. E un locale ampio, con forti luci a fluorescenza
e pareti piastrellate tipo metropolitana. Volta la testa da una parte e dall’altra e
vede strumenti da chirurgo, macchinari da ospedale, uno scarico nel
pavimento di cemento. Prova di nuovo ad allentare i legacci e si rende conto
di essere legato a una barella e attaccato a una serie di tubicini: un catetere,
una flebo. La sala non ha finestre, vi aleggia un lieve odore di muffa. E una
cantina.
Comincia a pensare da poliziotto. Le altre vittime erano state torturate per
qualche giorno, prima che lei si liberasse dei cadaveri. Questo significa che
ha tempo: due giorni, forse tre. Potrebbero ritrovano, nel frattempo. Ha detto a
Henry dove andava, gli ha spiegato che aveva appuntamento con la
psichiatra per parlare dell’ultimo cadavere rinvenuto. Voleva chiederle una
consulenza, sentire che cosa ne pensava. Non si aspettava una cosa del
genere. Ma loro capiranno. Henry capirà: è l’ultimo posto in cui è stato visto.
Per strada, ha telefonato a sua moglie, l’ultima persona che lo ha sentito.
Quanto tempo può essere passato?
Gretchen è tornata. Di là del tavolo, sotto il morto, si sta allargando una
chiazza spessa e scura sul pavimento grigio. Archie ricorda quando si sono
conosciuti. Gretchen si è presentata come una psichiatra che aveva smesso
temporaneamente di lavorare per scrivere un libro, aveva letto della task force
e gli aveva telefonato. Era un caso difficile, un incubo. Lei si era offerta di
dare una mano agli investigatori, non vere e proprie sedute, una semplice
chiacchierata. Erano quasi dieci anni che lavoravano a quel caso: ventitré
morti, in tre Stati diversi. Una fatica terribile. E lei, la psichiatra, aveva invitato
tutti quelli che erano interessati a una seduta di gruppo. Una semplice
chiacchierata. Archie era rimasto stupito che si fossero presentati in tanti.
Forse uno dei motivi era che la psichiatra era bellissima. Ma la cosa strana
era che funzionava davvero. Non era solo bella, era pure brava.
Gretchen abbassa il lenzuolo in maniera da scoprirgli il petto e Archie si rende
conto di essere nudo. Non gli dà particolarmente fastidio, lo nota e basta.
Gretchen gli posa la mano sullo sterno. Archie sa che cosa significa. Ha visto
le foto delle sue vittime, le abrasioni, le bruciature sui petto. Lo fa sempre, è
quasi una firma.
“Sai cosa succede, adesso?” gli domanda, cosciente del fatto che lui lo sa
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benissimo.
Ha bisogno di parlarle, di prendere tempo. Emette un verso da dietro il nastro
adesivo e le fa segno con la testa di staccarglielo. Lei si porta un dito sulle
labbra e fa di no con la testa. “Non ancora”, sussurra.
Gli ripete la domanda, questa volta in tono più brusco. “Sai cosa succede,
adesso?”
Archie annuisce.
Lei sorride, soddisfatta. “Ecco perché ti ho riservato un trattamento speciale,
tesoro.” Prende qualcosa dal vassoio portastrumenti accanto a lei. Un chiodo
e un martello. Interessante, pensa Archie. E si stupisce di quanto riesca a
distaccarsi, a rimanere obiettivo. Finora le vittime sembravano scelte a caso:
maschi, femmine, giovani, vecchi. Ma i segni sul torso, benché con alcune
differenze, erano sempre gli stessi. È la prima volta che usa un chiodo.
Sembra soddisfatta. “Pensavo avresti apprezzato una piccola variazione sul
tema.” Gli passa le dita sul petto finché non trova la costola che cercava, vi
posa la punta del chiodo e abbassa il martello con forza. Archie sente
un’esplosione di dolore e ha un altro conato di vomito. La fitta è quasi
insopportabile. Fa fatica a respirare, gli viene da piangere. Gretchen gli
asciuga una lacrima dalla guancia, cerca un’altra costola e ripete
l’operazione. Una volta, due, e poi ancora, e ancora. Quando finisce, gli ha
rotto sei costole e il chiodo è rosso di sangue. Lo lascia cadere sul vassoio
portastrumenti. Archie non riesce a muoversi di un millimetro senza provare
un dolore lancinante, il più intenso che abbia mai provato. Ha il naso chiuso,
la bocca tappata, ogni respiro è una sofferenza inaudita, ma non riesce a
respirare piano, a smettere di ansimare, a placare il panico. Forse due giorni
era un’ipotesi troppo ottimistica, pensa. Forse morirà prima. Adesso.
Aggiornata il venerdì 23 maggio 2008
Edizione Mondolibri S.p.A., Milano
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