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SEZIONE 6
ANALISI E SINTESI
A partire dalla classe terza è importante impostare il lavoro sui due procedimenti perché lo
sviluppo mentale dell’adolescente da un lato, le materie trattate dall’altro richiedono un approccio
razionale e strutturato allo studio e alla elaborazione di ciò che viene appreso.
In altre parole il ragazzo in terza comincia ad essere cresciuto intellettivamente, sul piano cognitivo,
non deve affrontare solo argomenti semplici o semplificati ma è necessario che colga aspetti più
profondi dei contenuti come ad esempio il messaggio in rapporto all’epoca storica nei testi letterari
o il legame tra cultura e società in storia.
Ma appunto perché il ragazzo è cresciuto è indispensabile che abbia gli strumenti linguistici per
elaborare ed esplicitare quanto conosce di nuovo, per valorizzare le operazioni della sua mente che
sono diverse, più articolate, rispetto al biennio per motivi per così dire biologici, legati allo
sviluppo.
D’altra parte nel triennio mutano i contenuti delle discipline, i testi adottati, il linguaggio impiegato,
le modalità di studio, muta anche l’esposizione orale e scritta.
Discussione in classe
In una terza si è appunto iniziato un approccio ai procedimenti sintetico ed analitico partendo con
una discussione apparentemente informale sul senso di “sintetizzare”,a che cosa può servire, se è
facile “sintetizzare” oppure lo sembra solamente ma in realtà è impegnativo, sulle preferenze
individuali (a me piace sintetizzare, io invece mi stufo, alle medie facevamo tanti riassunti per casa
e mi pesavano come un obbligo, la sintesi serve dopo avere studiato a riepilogare tutto, la sintesi
molte volte si trova si Internet ma spesso è imprecisa…)
L’aspetto curioso della discussione è stato che nessun allievo si è ricordato dell’uso specifico di
questo termine (la sintesi clorofilliana, la sintesi delle proteine, la sintesi in chimica…) tanto che il
docente ha proposto un cambiamento di rotta andando prima a verificare il senso dell’espressione.
In pratica per gli allievi sintetizzare significa ridurre il contenuto ai suoi aspetti essenziali, appunto
il riassunto scritto.
In modo molto rapido con l’aiuto di un cellulare si è trovata la seguente definizione che è stata
riportata alla lavagna: la sintesi è
“un procedimento con cui di una materia, di una argomentazione, di un sistema logico,o anche di
un complesso di fatti si raccolgono i concetti e gli elementi essenziali”
La definizione è stata soppesata parola per parola a partire dal termine iniziale “procedimento”, che
è stato spiegato nel corso della discussione come sinonimo, espressione sostitutiva per “andare
avanti”, “segnare una strada”.
Segnare una strada implica la delineazione di un percorso, ancora una volta, come nel caso delle
definizioni(cfr. sezione 2),contrassegnato da indicazioni o cartelli.
I cartelli indicano la direzione, le eventuali svolte e destra o a sinistra, i bivi,gli incroci, le distanze
ancora da compiere.
Ma sono costituiti da parole, espressioni di collegamento, perifrasi o anche da segni punteggiatura.
Es:
“Dopo l’anno Mille si assiste ad una grande fioritura, cominciando dalla ripresa demografica. A
questo fenomeno si associa una grande disponibilità di terra da coltivare.
Dalla combinazione dei due dati(ripresa demografica, terre disponibili) si comprende come ci sia
stato nel Mille uno sviluppo nell’agricoltura che ha permesso di avere risorse disponibili in ampia
quantità e quindi di destinarne una parte al mercato.
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Così il sistema economico feudale basato sul baratto cambia: si comincia ad affermare una
economia fondata sullo scambio e sulla moneta”
Il brano così costruito è la sintesi(estremamente ristretta) dei paragrafi iniziali del primo capitolo del
libro di testo di storia (Il mosaico e gli specchi vol. 3) nella quale però si è prestato attenzione ai
cartelli indicatori espressi non con simboli ma con realizzazioni linguistiche, espressioni verbali
ecc.
A questo punto ci si può domandare: perché non è stato direttamente proposto uno schema, una
mappa concettuale, che avrebbe trattato più punti e li avrebbe visualizzati forse meglio?
Perché qui non si tratta di visualizzare o di schematizzare ma di esplicitare.
Se è fondata una delle ipotesi guida di questo progetto (le discipline si integrano a vicenda sul
terreno della lingua) allora deve essere realistico pensare che abituando i ragazzi ad usare parole,
termini, espressioni di collegamento, segni di punteggiatura, si può passare da una conoscenza dei
contenuti ad una capacità di veicolarli(esprimerli) con chiarezza e padronanza.
La sintesi in questo primo anno è stata applicata principalmente a testi narrativi, in particolare le
novelle del “Decameron”
Indicazioni emerse: a parte l’ovvio ricorso alle 5W, si è capito che il diverso punto di partenza (ad
esempio partire da “dove” invece che da “chi”) può dinamizzare la narrazione,o focalizzarla sul
punto principale.
Alcune indicazioni
Mezzi linguistici
Chi: nome, sinonimi, pronomi relativi diretti o obliqui
Dove: località, espressioni che la indicano senza ripetere(qui, là dove, nello stesso luogo…)
Quando: indicare il tempo e i momenti, i passaggi della narrazione con espressioni adeguate(prima,
in seguito, nel frattempo, in precedenza), rendere correttamente anteriorità, contemporaneità,
posteriorità padroneggiando i tempi verbali
Come: aspetto fondamentale della sintesi, chiarisce la vicenda(infatti, dato che, poiché, oppure con
gerundi semplici o composti o participi passati).
Perché: ulteriori spiegazioni con appropriate frasi o incisi.
Esempi di sintesi tratte da racconti: la novelle su Cavalcanti nel “Decameron” e un racconto breve
di Gianni Celati dal libro “Narratori delle pianure” intitolato “L’isola in mezzo all’Atlantico”
Giovanni Boccaccio, Decameron (sesta giornata, novella nona) Guido Cavalcanti dice con un motto onestamente villania a certi cavalier fiorentini li quali soprappresso l’aveano. Dovete adunque sapere che né tempi passati furono nella nostra città assai belle e laudevoli usanze, delle quali oggi niuna ve n’è rimasa, mercé dell’avarizia che in quella con le ricchezze è cresciuta, la quale tutte l’ha discacciate. Tra le quali n’era una cotale, che in diversi luoghi per Firenze si ragunavano insieme i gentili uomini delle contrade e facevano lor brigate di certo numero, guardando di mettervi tali che comportar potessono acconciamente le spese, e oggi l’uno, doman l’altro, e così per ordine tutti mettevan tavola, ciascuno il suo dì, a tutta la brigata; e in quella spesse volte onoravano e gentili uomini forestieri, quando ve ne capitavano, e ancora de’cittadini; e similmente si vestivano insieme almeno una volta l’anno, e insieme i dì più notabili cavalcavano per la città, e talora armeggiavano, e massimamente per le feste principali o quando alcuna lieta novella di vittoria o d’altro fosse venuta nella città. Tra le quali brigate n’era una di messer Betto Brunelleschi, nella quale messer Betto è compagni s’eran molto ingegnati di tirare Guido di messer Cavalcante de’Cavalcanti, e non senza cagione; per ciò che, oltre a quello che egli fu un de’migliori loici che avesse il mondo e ottimo filosofo naturale (delle quali cose poco la brigata curava, sì fu egli leggiadrissimo e costumato e parlante uomo molto, e ogni cosa che far volle e a gentile uom pertenente, seppe meglio che altro uom fare; e con questo 53
era ricchissimo, e a chiedere a lingua sapeva onorare cui nell’animo gli capeva che il valesse. Ma a messer Betto non era mai potuto venir fatto d’averlo, e credeva egli co’suoi compagni che ciò avvenisse per ciò che Guido alcuna volta speculando molto astratto dagli uomini diveniva. E per ciò che egli alquanto tenea della oppinione degli epicuri, si diceva tra la gente volgare che queste sue speculazioni eran solo in cercare se trovar si potesse che Iddio non fosse. Ora avvenne un giorno che, essendo Guido partito d’Orto San Michele e venutosene per lo corso degli Adimari infino a San Giovanni, il quale spesse volte era suo cammino, essendo quelle arche grandi di marmo, che oggi sono in Santa Reparata, e molte altre dintorno a San Giovanni, ed egli essendo tra le colonne del porfido che vi sono e quelle arche e la porta di San Giovanni, che serrata era, messer Betto con sua brigata a caval venendo su per la piazza di Santa Reparata, veggendo Guido là tra quelle sepolture, dissero: -­‐ Andiamo a dargli briga -­‐; e spronati i cavalli a guisa d’uno assalto sollazzevole gli furono, quasi prima che egli se ne avvedesse, sopra, e cominciarongli a dire:-­‐ Guido tu rifiuti d’esser di nostra brigata; ma ecco, quando tu arai trovato che Iddio non sia, che avrai fatto? A’ quali Guido, da lor veggendosi chiuso, prestamente disse: -­‐ Signori, voi mi potete dire a casa vostra ciò che vi piace -­‐ ; e posta la mano sopra una di quelle arche, che grandi erano, sì come colui che leggerissimo era, prese un salto e fussi gittato dall’altra parte, e sviluppatosi da loro se n’andò. Costoro rimaser tutti guatando l’un l’altro, e cominciarono a dire che egli era uno smemorato e che quello che egli aveva risposto non veniva a dir nulla, con ciò fosse cosa che quivi dove erano non avevano essi a far più che tutti gli altri cittadini, né Guido meno che alcun di loro. Alli quali messer Betto rivolto disse: -­‐ Gli smemorati siete voi, se voi non l’avete inteso. Egli ci ha detta onestamente in poche parole la maggior villania del mondo; per ciò che, se voi riguardate bene, queste arche sono le case de’ morti, per ciò che in esse si pongono e dimorano i morti; le quali egli dice che sono nostra casa, a dimostrarci che noi e gli altri uomini idioti e non litterati siamo, a comparazion di lui e degli altri uomini scienziati, peggio che uomini morti, e per ciò, qui essendo, noi siamo a casa nostra. Allora ciascuno intese quello che Guido aveva voluto dire e vergognossi né mai più gli diedero briga, e tennero per innanzi messer Betto sottile e intendente cavaliere. Nel sintetizzare questa novella è indispensabile ricordare alcuni elementi( ad esempio cosa
facevano le brigate, cosa si diceva su Cavalcanti) e caratterizzare la situazione(dove si trova
Cavalcanti quando pronuncia la sua battuta)
Gianni Celati, L’isola in mezzo all’Atlantico Ho sentito raccontare la storia d’un radioamatore di Gallarate, provincia di Varese, il quale s’era messo in contatto con qualcuno che abitava su un’isola in mezzo all’Atlantico. I due comunicavano in inglese, lingua che il radioamatore italiano capiva poco. Capiva però che l’altro aveva sempre voglia di descrivergli il luogo in cui abitava e di parlargli delle coste battute dalle onde, del cielo che spesso era sereno benché piovesse, della pioggia che su quell’isola scendeva orizzontalmente per via del vento, e di ciò che vedeva dalla sua finestra. Per capire meglio, il radioamatore italiano ha cominciato a registrare le loro conversazioni e a farsi poi tradurre i nastri dalla sua fidanzata, che sapeva l’inglese meglio di lui. L’uomo desiderava solo parlargli dell’isola. Con lui il radioamatore non riusciva mai a scambiare notizie tecniche o notizie su altri radioamatori sparsi nel mondo, come di solito avviene. E quando a volte tentava di chiedergli chi era, cosa faceva, se era nato lì o c’era arrivato da poco, quello evitava le domande come se non volesse sentirle. Di lui il ragazzo di Gallarate era riuscito soltanto a sapere che si chiamava Archie, che viveva con la moglie, e che ogni giorno percorreva l’isola in lunghe passeggiate. Riascoltando un nastro assieme alla fidanzata, e dopo una delle solite descrizioni del luogo, un giorno il radioamatore sentiva questa frase pronunciata a bassa voce da Archie: «Tutto questo non lo vedrò più». Ormai quel contatto, le parole del corrispondente lontano e le immagini dell’isola, occupavano molto i pensieri dei due fidanzati. Ma il contatto era anche imbarazzante per il giovane radioamatore, perché lui continuava a non sapere niente d’un uomo con cui parlava da mesi, e ormai non osava più fargli domande. In quel periodo gli è stato regalato un piccolo apparecchio con cui poteva localizzare 54
i suoi contatti radio. Così è riuscito a localizzare l’isola al largo delle coste scozzesi. Almeno adesso sapeva dove fosse la casa di Archie, ma cosa stava per accadere a quell’uomo? Se per qualche motivo i suoi occhi non avrebbero più potuto vedere l’isola, allora il suo desiderio di parlarne finché riusciva a vederla era comprensibile. Ma il giovane radioamatore, non potendo fare domande, era sempre più imbarazzato con Archie. Così negli ultimi contatti non lo ascoltava neanche più, accendeva il registratore e lo lasciava parlare da solo. Per questo motivo s’è accorto soltanto un mese dopo, dopo che per un mese non aveva più ricevuto segnali dal suo corrispondente né l’aveva cercato, che nell’ultimo nastro Archie lo salutava, lo ringraziava di averlo ascoltato, e diceva che avrebbe lasciato l’isola l’indomani. Sono passati otto mesi. I due fidanzati hanno finito il liceo e sono andati a fare un viaggio. Hanno raggiunto Glasgow e di lì, con un trenino, la piccola città di Oban sulla costa occidentale scozzese. Da Oban un battello li ha portati sull’isola di Archie. Quando sono sbarcati hanno subito ritrovato la lunga strada che faceva un percorso circolare attorno al promontorio coperto d’erica. Riconoscevano quasi tutto e riuscivano ad orientarsi come se ci fossero già stati. Riconoscevano un punto in cui la costa era mangiata dal mare, e le rocce ignee sparivano con l’alta marea. Al di sopra di quel punto il terreno s’innalzava in un piccolo promontorio erboso, sul quale doveva sorgere la casa di Archie. C’era infatti un cottage, e dietro il cottage una vecchia casa in pietra grigia con porta molto bassa. Nel cottage ci abitava un uomo biondo con una moglie bionda. Non sapendo come affrontare il discorso su Archie, i fidanzati hanno chiesto se lì c’erano case da affittare, e l’uomo biondo ha offerto loro la vecchia casa in pietra grigia che aveva appena finito di rendere abitabile. Si installavano dunque in quella casa i fidanzati; e, giorno dopo giorno, vagando per l’isola ritrovavano i punti descritti da Archie. Ritrovavano la città dei conigli selvatici, una duna piena di tunnel che sembrava una metropoli sotterranea. Ritrovavano il sentiero lastricato sul promontorio coperto d’erica, dove un giorno Archie aveva visto le ossa e il vello d’una pecora aggredita da uno sparviero e dove altre volte aveva visto aveva visto le capre selvatiche, alte un metro e mezzo, che abitavano quel promontorio. Ritrovavano una vasta spiaggia sopraelevata sulla costa orientale, che l’anno prima era per metà crollata in mare. Alla sera andavano a guardare la televisione nel cottage dei coniugi biondi. Lei si chiamava Susan e lui si chiamava Archie. Parlando, parlando con Susan e Archie sono riusciti finalmente ad affrontare l’argomento che stava loro a cuore. E allora, quando il padrone di casa ha saputo che il ragazzo era quel corrispondente lontano, gli ha raccontato la storia di Archie. Archie era un poliziotto di Glasgow, che una notte aveva sparato a un ragazzo colpendolo al cuore. Era stato un incidente, ma Archie si considerava colpevole di sciatteria nei propri gesti, per poca attenzione a ciò che gli stava attorno, per disprezzo di ciò che vedeva in quegli infami quartieri della periferia di Glasgow. Quella notte era stato sorpreso sul fatto da un altro poliziotto, suo amico. Archie s’era riconosciuto colpevole, ma aveva anche detto all’amico di non essere pronto ad affrontare il carcere. Gli aveva chiesto di lasciarlo andare per cinque anni, a vivere con sua moglie da qualche parte; dopo di che sarebbe tornato a farsi arrestare. L’amico aveva acconsentito. Così l’uomo era venuto ad abitare su quell’isola. Erano trascorsi cinque anni, durante i quali egli aveva imparato a osservare ciò che gli stata attorno per rendere attenti i propri gesti e pensieri, ed era tornato a Glasgow a farsi arrestare. I fidanzati a questo punto erano confusi: chi era Archie? E chi era il loro padrone di casa che sapeva tutta quella storia e si chiamava anche lui Archie? Non subito, solo qualche sera dopo, il loro padrone di casa ha spiegato che lui era l’altro poliziotto, quello che aveva permesso ad Archie di andarsene per cinque anni. Dopo quell’episodio, e dopo l’arresto di Archie, non aveva più voluto fare il poliziotto e s’era messo in pensione, venendo ad abitare nel cottage di Archie. Per una coincidenza si chiamava anche lui Archie. L’inverno successivo i fidanzati da Gallarate ricevevano una lettera. Il loro padrone di casa li informava che Archie era stato assolto e stava per ritornare sull’isola. I suoi superiori gli avevano 55
impedito di dichiararsi colpevole, e quell’omicidio era stato considerato un semplice incidente sul lavoro, come tanti altri omicidi senza importanza in quei quartieri di Glasgow. Adesso i due amici, Archie e Archie, si sarebbero messi ad allevare pecore. Se i fidanzati capitavano da quelle parti, sarebbero stati sempre i benvenuti. In questi due testi si tratta non solo di enunciare i punti fondamentali quanto di esplicitare con
parole una situazione, altrimenti non si chiarisce il senso di ciò che viene narrato.
Nel caso della novelle del Boccaccio bisogna spiegare la battuta di Cavalcanti (ad esempio, il poeta
aveva voluto dire che loro erano morti, cioè indegni di essere vivi perché rozzi e ignoranti…) nel
racconto di Celati va chiarita la situazione con espressioni come” si trattava di un caso di
omonimia, in realtà i poliziotti erano due ma con lo stesso nome…”
Nelle discipline tecnico-scientifiche questi procedimenti e questo approccio espositivo che tendono
ad esplicitare, a spiegare attivamente i dati acquisiti, vanno impiegati o possono essere sostituiti da
mappe o schematizzazioni?
L’analisi
Sempre allo stesso argomento si sono concentrati degli sforzi di analizzare, cioè dividere in parti
da studiare a fondo, le novelle stesse.
Più che di una analisi del testo si cerca di portare i ragazzi a capire come si può approfondire con
sistematicità un argomento, cioè come si possono trarre informazioni, suggestioni,
ipotesi,significati e conclusioni che la sintesi non suggerisce.
Si può partire sempre dalla 5W provando a escogitare una serie di domande che potrebbe ad
esempio porre un lettore o un ascoltatore attento.
Ad esempio nella novella del Boccaccio partendo dal Chi:
Informazioni su Cavalcanti fornite nel testo (grande intrattenitore, ricco, logico e filosofo natura,
ingiustamente sospettato di ateismo attivo, ritenuto a volte troppo schivo e introverso…).
Tutte le informazioni raccolte (i dati) vanno illustrati, chiariti, dicendo da dive sono stati tratti,chi li
ha forniti, se sono oggettivi o la fonte è parziale.
Quindi in una analisi –approfondimento della novella si dirà che Cavalcanti sommava in sé molte
qualità, o aspetti positivi, o tratti particolari. o doti ecc..di diverso genere, dall’intellettuale a
quello delle relazioni umane. Lo sappiamo da ciò che dice l’autore e dai giudizi che riporta dei
contemporanei.
Ad esempio: Nelle novella Boccaccio enumera, elenca, presenta, descrive le doti di Cavalcanti.
Sostanzialmente mette in evidenza tre punti positivi
Il giudizio sul protagonista è in parte basato su dati oggettivi, in parte su ciò che si diceva senza
molto fondamento
Un procedimento simile può essere utilizzato nel Dove, cioè l’ambientazione.
Boccaccio sostiene che nella Firenze di alcuni decenni prima ci fossero usanze più liberali, che
Cavalcanti traversava luoghi del centro di Firenze e che la scena principale si svolge in mezzo delle
arche, cioè in un cimitero altrimenti Cavalcanti non potrebbe zittire gli uomini della brigata con il
suo motto appare
Come esplicitare questi dati dal momento che hanno ognuno una forte valenza nella novella?
Si può ricorrere ad espressioni di luogo come “a Firenze, in questa città, nelle sua città
Boccaccio,qui, in questo luogo” dicendo che Boccaccio ambienta la narrazione, colloca i
personaggi, fa svolgere l’azione…
Uno per uno si possono analizzare i dati: Boccaccio dice, evidenzia, sottolinea che Firenze aveva
usanze più liberali un tempo rispetto alla sua epoca perchè vuole, intende, con lo scopo di…
L’ambientazione è fedele, si nominano le vie per dare un effetto, allo scopo di creare un racconto
realistico.(ci si può collegare al realismo dell’intera opera)
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La scena finale è strettamente legata al racconto, la battuta non avrebbe senso in un altro
contesto(Il tema è molto importante per l’autore, ci conduce al valore dell’intelligenza)
Tutte le espressioni in neretto dovrebbero costituire un bagaglio fondamentale per gli allievi del
triennio che si accingono a sviluppare per iscritto (ma anche oralmente), contenuti disciplinari di un
certo respiro.
Nelle esposizioni analitiche di carattere scientifico o tecnico vanno maggiormente valorizzati alcuni
termini.
Ad es. per introdurre: dai dati in nostro possesso, inizialmente, dopo una osservazione attenta.
Per evidenziare i passaggi; dopo, inoltre, inseguito, in conseguenza, come implicazione, ne
deriva che…
Per sottolineare la conclusione: si può concludere, trarre come conclusione, arrivare alla
conclusione che…
Se la conclusione non è sicura: si possono avanzare delle ipotesi, si può proporre , è possibile
pensare che…
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